sezioni unite civili; sentenza 8 ottobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M. LoCascio (concl. conf.); Comune di San Pier Niceto (Avv. Briguglio) c. Savoja e altri (Avv.Siracusa). Dichiara ammissibile il ricorso e lo rimette alla sezione sempliceSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 123/124-135/136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195309 .
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PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 ot
tobre 1999, n. 712/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M.
Lo Cascio (conci, conf.); Comune di San Pier Niceto (Avv.
Briguglio) c. Savoja e altri (Aw. Siracusa). Dichiara am
missibile il ricorso e lo rimette alla sezione semplice.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Cumulo di
domande — Decisione parziale — Separazione e pronuncia sulle spese — Omissione — Sentenza non definitiva — Fatti
specie (Cod. proc. civ., art. 91, 277, 278, 279, 340, 361).
In caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, deve consi
derarsi non definitiva, quindi suscettibile di riserva di impu gnazione, la sentenza che decide solo alcune di dette doman
de, con prosecuzione del procedimento per le altre, senza di
sporre la separazione e senza provvedere sulle spese in ordine
alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone la liqui dazione all'ulteriore corso del giudizio (nella specie, è stata
ritenuta non definitiva la sentenza con cui la pubblica ammi
nistrazione veniva condannata al risarcimento dei danni per
occupazione illegittima di terreni, quindi, accolta l'opposizio ne alla stima in relazione all'espropriazione sopravvenuta, ve
niva riservata al definitivo la pronuncia sulle spese, disponen do con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la determinazione delle indennità di espropriazione e di occu
pazione). (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 8 ot tobre 1999, n. 711/SU; Pres. Favara, Est. Preden, P.M.
Lo Cascio (conci, conf.); Fall. soc. Scavi e movimenti (Avv.
Vinciguerra) c. Armenio e altri (Avv. Diana, Paone). Cas
sa App. Roma 16 maggio 1994.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Cumulo di
domande — Decisione parziale — Separazione e pronuncia sulle spese — Omissione — Sentenza non definitiva — Fatti
specie (Cod. proc. civ., art. 91, 277, 278, 279, 340, 361).
In caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, deve consi
derarsi non definitiva, quindi suscettibile di riserva di impu gnazione, la sentenza che decide solo alcune di dette doman
de, con prosecuzione del procedimento per le altre, senza di
sporre la separazione e senza provvedere sulle spese in ordine
alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone la liqui dazione all'ulteriore corso del giudizio (nella specie, è stata
ritenuta non definitiva la sentenza sostitutiva del contratto
definitivo non concluso con condanna del promittente vendi
tore al pagamento della penale pattuita per il ritardo, essendo
stata riservata al definitivo la pronuncia sulle spese e disposta con separata ordinanza la prosecuzione del procedimento per la domanda di risarcimento per vizi dell'immobile). (2)
(1-2) I. - Le sezioni unite tornano (con due sentenze identiche meno che per la fattispecie: la parte omessa della seconda è identica a quella di cui ai par. 5, 6 e 7 della prima) sulla controversa questione della distinzione tra sentenze definitive e non definitive per ribadire l'orienta mento «formalista» accolto da Cass., sez. un., 1° marzo 1990, n. 1577, Foro it., 1990, I, 836, ma successivamente abbandonato da altre pro nunce delle sezioni semplici (v. Cass. 19 ottobre 1998, n. 10328, id., Rep. 1998, voce Sentenza civile, n. 78; 19 agosto 1998, n. 8207, ibid., voce Appello civile, n. 18; 7 settembre 1995, n. 9448, id., Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 92; 20 maggio 1993, n. 5703, id., 1994, I, 829, e 12 giugno 1992, n. 7225, id., 1993, I, 480, con nota di Cea, Sentenze
definitive e non definitive: una «querelle» interminabile). Il problema è sorto a seguito della novella del 1950 che, pur lascian
do immutato l'art. 277 c.p.c., ha modificato il testo degli art. 103, 104, 279, 340 e 361 c.p.c. ed ha previsto la possibilità di scelta fra
impugnazione immediata e impugnazione differita tramite riserva per le sentenze non definitive, con ciò dando luogo ad un difetto di coordi namento tra le suddette norme.
Il 1° comma dell'art. 277 enuncia il principio generale del nostro ordinamento dell'unicità della decisione, secondo cui il giudice, una volta investito di tutta la causa, deve decidere totalmente il merito. Il 2° comma della medesima norma prevede un'eccezione a tale principio, che è in fatti da considerarsi tendenziale e non assoluto, laddove ammette che
Il Foro Italiano — 2000.
I
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 28 dicem
bre 1984, Olga Savoja, Rosa Maria Savoja ed Antonino Savoja
esponevano che il comune di San Pier Niceto aveva occupato alcuni terreni edificabili di proprietà di Rosa Ilacqua, per la realizzazione di tre opere pubbliche, e precisamente per la co
struzione di una scuola materna, per la realizzazione della stra
da di accesso a detta scuola e per l'ampliamento di strade co
il giudice possa decidere solo alcune delle più domande cumulate, se ritiene che per esse non sia necessaria un'ulteriore istruzione e se vi è un interesse apprezzabile della parte che ha fatto istanza.
La controversia interpretativa in esame riguarda appunto quest'ulti ma disposizione, non avendo il legislatore del 1950 chiarito se le pro nunce su alcune delle più domande cumulate di cui all'art. 277, 2° com
ma, siano da considerare sempre definitive e quindi da ricollegare al l'art. 279, 2° comma, n. 5, oppure se siano da considerare sentenze non definitive e quindi da ricollegare all'art. 279, 2° comma, n. 4.
L'art. 279, 2° comma, n. 5, infatti, regola l'ipotesi delle sentenze definitive su alcune delle più cause riunite con contemporaneo provve dimento di separazione e proseguimento dell'istruzione per le altre cau
se, sentenze che potranno essere impugnate solo in via immediata; men tre il n. 4 della stessa norma regola l'ipotesi delle sentenze non definiti ve che, senza definire il giudizio, decidono alcune delle questioni di cui ai nn. 1, 2 e 3 (questioni di giurisdizione o di competenza, questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, altre questioni di merito). Queste ultime sentenze, proprio in quanto non definitive, sono suscetti bili non solo di impugnazione immediata, ma anche, a scelta della parte soccombente, di impugnazione differita tramite la riserva prevista dagli art. 340 e 361, dando così luogo alla restaurazione dell'unità del giudi zio in sede di impugnazione.
Nessun dubbio sorge sulla natura non definitiva delle sentenze su
questioni di giurisdizione o di competenza (art. 279, 2° comma, n. 1) e su altre questioni pregiudiziali di rito o su questioni preliminari di
merito (art. 279, 2° comma, n. 2), intendendo con queste ultime le
questioni relative a meri fatti impeditivi, estintivi o modificativi dell'ef fetto del fatto costitutivo dedotto dall'attore, cioè quelle questioni che derivano solo dall'esercizio del potere di eccezione.
Problemi invece sorgono nell'interpretazione del rinvio al n. 3 dello stesso art. 279 che si riferisce alla definizione del giudizio con decisione totale del merito e che, quindi, nell'ambito delle sentenze non definitive di cui al n. 4, sembra far riferimento a quelle questioni di merito che
possono costituire oggetto di autonomo giudizio (v. Cocchi, in margi ne a Cass. 21 dicembre 1984, n. 6659, id., 1985, I, 1743). Ci si chiede, cioè, se tale rinvio vada inteso nel senso di comprendere tra le sentenze non definitive anche le sentenze su domande, con conseguente ricondu zione dell'art. 277, 2° comma, al suddetto n. 4 dell'art. 279, o se invece le sentenze su domande debbano essere sempre considerate definitive riconducendo così l'art. 277, 2° comma, al n. 5 dell'art. 279.
L'opzione per l'una o l'altra soluzione non ha una rilevanza pretta mente teorica, in quanto incide direttamente sull'esercizio del diritto di impugnazione: solo le sentenze non definitive sono suscettibili di im
pugnazione differita tramite l'istituto della riserva, mentre quelle defi nitive dovranno essere impugnate in via immediata, pena la perdita del diritto di impugnazione per decorrenza dei termini.
Si deve a questo punto precisare che il problema in esame riguarda solo il cumulo di domande tra gli stessi soggetti, perché nel caso di cumulo di domande fra soggetti diversi si avranno sempre sentenze de
finitive, a meno che non si versi in un'ipotesi di «litisconsorzio unita rio» cioè di più azioni connesse per identità di petitum e di causa peten di e come tali inseparabili (v. Cocchi, op. cit., 1745, a cui si rinvia
per i richiami della dottrina relativa all'istituto del «litisconsorzio
unitario»). II. - Due sono gli orientamenti che si sono prospettati sull'argomen
to: da una parte l'orientamento «sostanzialista» secondo cui la definiti vità della sentenza va desunta esclusivamente dal suo contenuto, per cui è definitiva la sentenza che, attribuendo o negando il bene in conte
stazione, decide una delle più domande cumulate in modo autonomo ed esaustivo, mentre non ha rilevanza l'esistenza o meno di un provve dimento di separazione o di una pronuncia sulle spese; dall'altra parte l'orientamento «formalista» secondo cui la definitività si desume esclu sivamente dal dato formale dell'esistenza o meno di un provvedimento di separazione, a prescindere dal contenuto della sentenza. Secondo la tesi «sostanzialista», quindi, l'art. 277, 2° comma, va ricondotto al n. 5 dell'art. 279 in quanto le sentenze su domande possono essere solo
definitive; mentre per la tesi «formalista» l'art. 277, 2° comma, va ri condotto al n. 4 della medesima norma in quanto il termine «questioni» ivi previsto va inteso in senso non letterale ma sistematico, comprensivo anche di «domande» e quindi si deve ammettere l'esistenza di sentenze non definitive su domande.
Come abbiamo già rilevato, l'accoglimento della tesi «formalista» da
parte di Cass., sez. un., 1577/90 cit., non ha posto fine ai contrasti
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
munali; deducevano che le opere erano state realizzate senza
che i relativi procedimenti espropriativi fossero stati conclusi, con conseguente illegittima ed irreversibile occupazione dei ter
reni; convenivano il comune davanti al Tribunale di Messina
chiedendo, quali eredi della Ilacqua, la condanna dell'ente al
risarcimento dei danni.
Il comune resisteva, sostenendo di aver completato le proce dure espropriative; in subordine contestava la natura edificato
ria dei terreni; in corso di lite eccepiva la prescrizione del diritto
giurisprudenziali sull'argomento, alimentati nuovamente da successive
pronunce delle sezioni semplici. Per l'orientamento «sostanzialista», v. la giurisprudenza già citata sopra, cioè Cass. 10328/98, 8207/98, 9448/95, 5703/93 e 7225/92; per l'orientamento «formalista» v., invece, Cass. 13 gennaio 1998, n. 209, id., Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 66, e 15 febbraio 1997, n. 1417, id., 1997, I, 2147, con nota di E. Fabiani, Sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive, a cui si rinvia
per i richiami di giurisprudenza e dottrina. Con le pronunce in epigrafe le sezioni unite confermano la soluzione
«formalista» accolta da Cass., sez. un., 1577/90, rilevando, in partico lare, che l'opposto orientamento pregiudica gravemente le esigenze di tutela della parte soccombente non offrendo un criterio certo ed univo co per distinguere tra sentenze definitive e non definitive e mettendo così in pericolo il suo diritto di impugnazione. Se infatti la parte soc combente propone riserva di impugnazione nei confronti di una senten za ritenuta non definitiva, rischia di farsi respingere la suddetta impu gnazione in quanto inammissibile, qualora il giudice dell'impugnazione qualifichi la medesima sentenza come definitiva, con conseguente perdi ta del diritto di impugnazione per decorrenza dei termini. Ciò spingerà la parte soccombente a proporre sempre impugnazione immediata, pre giudicando così il principio tendenziale dell'unità della decisione che il legislatore del 1950 ha voluto salvaguardare prevedendo la facoltà di scelta tra impugnazione immediata e differita.
In questo senso si è anche pronunciata una notevole parte della dot
trina, che ha sottolineato l'importanza di un criterio di distinzione certo ed univoco che tuteli adeguatamente il soccombente: v., in particolare, Cea, Sentenze definitive e non definitive: una «querelle» interminabile, cit., 483: Id., Pluralità di domande e sentenze non definitive, id., 1987, I, 145; Sassani, in Giur. it., 1991, I, 1, 841 ss.; Rota, in Nuova giur. civ., 1990,1, 780; Carbone, Definitività e non definitività della senten
za, in Corriere giur., 1990, 705, e Fabiani, Sulla distinzione tra senten ze definitive e non definitive, cit., 2153. Sempre a favore della tesi «for
malista», v. anche Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, 1997, II, 267 ss.; Montesano, Cumulo di domande e sentenze non definitive, in Giust. civ., 1985, I, 3132 ss.; Id., Ancora su cumulo di domande e sentenze non definitive, id., 1986, I, 2371, e Cerino Canova, Sul contenuto delle sentenze non definitive di merito, in Riv. dir. proc., 1971, 426.
A favore della tesi sostanzialista, v. Denti, Ancora sull'efficacia del la decisione di questioni preliminari di merito, id., 1970, 560 ss.; Sat
ta, Commentario, 1966, II, 1, 320 e 2, 106, e Andrioli, Commentario, 1960, II, 246 s.
Contrario a entrambi gli orientamenti è invece Costantino (Ancora sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive riservatili, in Foro it., 1993, I, 2469 ss.), secondo cui dal dato normativo degli art.
277, 2° comma, e 279, 2° comma, n. 5, si ricava che si ha sentenza non definitiva «allorché, in sede di decisione, il giudice valuti come
apprezzabile l'interesse di almeno una delle parti che abbia espressa mente richiesto la decisione di alcune delle più domande proposte» e si ha invece sentenza definitiva «allorché tutte le parti abbiano richiesto la separazione o il giudice, d'ufficio, ritenga che la trattazione congiun ta sia nociva alla economia processuale» (Id., op. cit., 2472), non ba sandosi così la distinzione, né sul dato formale dell'esistenza o meno di un provvedimento di separazione, né sul dato contenutistico del tipo di rapporto esistente tra le diverse domande cumulate, ma piuttosto sulla ratio stessa del frazionamento della decisione nelle due diverse
ipotesi, ossia la tutela dell'interesse di una parte nel caso di sentenze non definitive e l'esigenza di economia processuale nel caso di sentenze definitive.
III. - In un obiter dictum le pronunce riportate affrontano l'ulteriore
questione delle caratteristiche che deve avere il provvedimento di sepa razione, questione già ampiamente discussa dalla precedente giurispru denza appartenente all'orientamento «formalista».
In particolare, le sezioni unite, ribadendo quanto già sostenuto in
Cass. 1577/90, cit., affermano che il provvedimento di separazione de ve essere espresso, ma che a tal fine può considerarsi sufficiente anche
una mera pronuncia sulle spese, ciò in conformità all'indirizzo giuri
sprudenziale secondo cui il provvedimento di separazione, pur dovendo
essere espresso, non necessita di forme sacramentali. Non viene invece
accolta la diversa tesi della separazione implicita, tesi che sfocia in pra tica nell'orientamento sostanzialista nel momento in cui desume l'esi
stenza o meno di un provvedimento di separazione dal contenuto della
decisione (per la giurisprudenza a favore dell'uno o dell'altro indirizzo,
Il Foro Italiano — 2000.
al risarcimento del danno relativo all'occupazione dell'area de
stinata alla realizzazione della strada di accesso alla scuola.
Il tribunale, con sentenza del 13 gennaio 1990, accoglieva la
sola domanda di risarcimento del danno per il periodo di occu
pazione illegittima dell'area destinata alla costruzione della scuola
e per la perdita degli spezzoni di terreno divenuti inutilizzabili
in seguito alla realizzazione dell'opera suddetta; riteneva con
vertite in opposizioni alla stima le domande di risarcimento da
irreversibile trasformazione delle aree destinate alla realizzazio
ne delle tre opere pubbliche e dichiarava la propria incompeten za a decidere su di esse, trattandosi di materia riservata alla
cognizione della corte d'appello. I Savoja proponevano appello. Il comune resisteva e, in via
incidentale, impugnava il capo relativo alla conversione in op
posizione alla stima delle domande di risarcimento.
La Corte d'appello di Messina, con sentenza del 16 marzo
1993, pronunciava come segue: a) confermava la pronuncia ri
sarcitoria adottata dal tribunale; b) dichiarava ammissibile ed
accoglieva l'opposizione alla stima in relazione alla espropria zione (sopravvenuta) dell'area occupata per la costruzione della
scuola e dell'area occupata per l'ampliamento di strade comu
nali, delle quali riconosceva la natura edificatoria, disponendo, con separata ordinanza, un supplemento di consulenza tecnica
per la determinazione delle relative indennità secondo i criteri
di cui all'art. 5 bis 1. n. 359 del 1992; c) dichiarava che l'area
occupata per la realizzazione della strada di accesso alla scuola
era stata oggetto di occupazione appropriativa e, disattesa l'ec
cezione di prescrizione, per non essere decorso il termine decen
nale ritenuto nella specie applicabile, condannava il comune al
pagamento del valore venale del bene ed al pagamento dell'in
dennità per il periodo di occupazione legittima; d) riservava al
definitivo la statuizione sulle spese. Con sentenza definitiva del 13 maggio 1996 la corte d'appello
determinava l'indennità di espropriazione e l'indennità di occu
pazione relativamente alle aree espropriate per la costruzione
della scuola e per l'ampliamento delle strade comunali.
Avverso entrambe le suindicate sentenze, in virtù di riserva
di impugnazione differita formulata in relazione alla prima, ha
proposto ricorso per cassazione il comune, sulla base di cinque motivi. Hanno resistito, con controricorso, i Savoja, che hanno
cfr. Fabiani, Sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive, cit., 2152).
La dottrina più recente, pur ammettendo che la statuizione sulle spe se contenga di per sé un provvedimento di separazione, ha ritenuto di aderire alla tesi della separazione espressa, proprio in considerazione del fatto che la separazione implicita finisce per dar luogo alla stessa incertezza ed equivocità proprie dell'orientamento «sostanzialista» (in questo senso, Fabiani, op. loc. cit.; Cea, Sentenze definitive e non de
finitive: una «querelle» interminabile, cit., 484; Id., Pluralità di do mande e sentenze non definitive, cit., 152, e, meno recentemente, Ceri no Canova, Sul contenuto delle sentenze non definitive di merito, cit., 421 ss.).
Da quanto sopra deriva che la pronuncia sulle spese è di per sé suffi ciente ad attribuire natura definitiva alla sentenza, a meno che la stessa sentenza non sia chiaramente non definitiva, ad esempio perché qualifi cata tale dallo stesso giudice che l'ha emessa. In questo caso, secondo Cea (Sentenze definitive e non definitive: una «querelle» interminabile, cit., 485) si deve negare l'esistenza di un provvedimento di separazione e la pronuncia sulle spese va considerata frutto di un errore perché emessa fuori dall'ipotesi prevista dall'art. 91.
Ma cosa avviene se il giudice dispone la separazione senza provvedere sulle spese?
Se si accoglie l'orientamento «formalista», in quanto idoneo ad of frire un criterio di distinzione certo tra sentenze definitive e non defini tive e, conseguentemente, tale da garantire al soccombente l'effettivo esercizio del diritto di impugnazione, si deve ritenere che l'esistenza di un esplicito provvedimento di separazione è sufficiente a qualificare come definitiva la sentenza su alcune di più domande cumulate, mentre la mancanza di una pronuncia sulle spese costituisce un'ipotesi di viola zione dell'art. 91 da far vedere necessariamente in sede di impugnazione.
Con riferimento all'impugnazione come unico rimedio contro l'omis sione della pronuncia sulle spese, v. Grasso, Della responsabilità delle
parti, in Commentario al codice di procedura civile a cura di Allorio, 1973, 998, e, con specifico riferimento al problema della distinzione
tra sentenze definitive e non definitive, Proto Pisani, Dell'esercizio del
l'azione, ibid., 1134, il quale ultimo però sostiene l'orientamento «so stanzialista» e considera la diversa ipotesi in cui il giudice decida defini tivamente su una domanda senza disporre la separazione né provvedere sulle spese. (A. Fortini]
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PARTE PRIMA
a loro volta proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, avverso la sentenza definitiva.
Con ordinanza del 12 maggio 1998, la prima sezione civile
della Corte di cassazione, alla quale i ricorsi erano stati asse
gnati, rilevato che con il controricorso era stata eccepita l'inam
missibilità, per decorso del termine, del ricorso avverso la sen
tenza del 16 marzo 1993, in ragione della sua natura di sentenza
definitiva, in relazione alla quale risultava inefficace la riserva
di impugnazione differita, e che in punto di qualificazione della sentenza come definitiva o non definitiva, ai fini della riserva
di impugnazione differita, sussiste contrasto nella giurispruden za della Suprema corte, in quanto al criterio c.d. formale, ac
colto dalle sezioni unite con la sentenza 1577/90 (Foro it., 1990,
I, 836), si contrappone il criterio c.d. sostanziale, accolto da
successive decisioni (sent. 7225/92, id., 1993, I, 480; 5703/93, id., 1994, I, 829), ha disposto la trasmissione degli atti, per l'eventuale rimessione della questione alle sezioni unite, al pri mo presidente, che in tal senso ha provveduto.
Motivi della decisione. — 1. -1 due ricorsi, proposti avverso
le medesime sentenze, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.). (Omissis) 3. - Deducono i controricorrenti che la sentenza emessa dalla
corte d'appello il 16 marzo 1993 deve considerarsi sentenza de
finitiva: a) in relazione alla statuizione concernente l'occupazio ne appropriativa dell'area sulla quale è stata realizzata la strada
di accesso alla scuola e le conseguenti condanne; b) in relazione
all'accoglimento delle opposizioni alla stima concernenti le espro
priazioni delle aree sulle quali è stata costruita la scuola e sono
state ampliate alcune strade comunali; c) in relazione alla quali ficazione delle aree espropriate come terreni edificabili.
Sostengono infatti che si tratta di pronunce che, per il loro
contenuto, non hanno carattere di strumentalità rispetto alle ul
teriori decisioni, e che pertanto, alla stregua del criterio sostan
ziale accolto da varie pronunce della Suprema corte, vanno con
siderate definitive, con la conseguenza che non potevano costi
tuire oggetto di efficace riserva di impugnazione differita.
4. - L'eccezione di inammissibilità del ricorso principale —
in ragione della intervenuta decadenza del diritto di impugna zione per decorso del termine, stante l'inefficacia della riserva
di impugnazione differita avverso la sentenza del 16 marzo 1993,
da qualificarsi come sentenza definitiva — non è fondata.
Il criterio sostanziale, che privilegia, ai fini della qualificazio ne della sentenza come definitiva o non definitiva agli effetti
dell'ammissibilità della riserva di impugnazione differita, la va
lutazione del contenuto della pronuncia, non può essere accol
to. Queste sezioni unite della Suprema corte, con la sentenza
1577/90, cit., lo hanno infatti disatteso ed hanno accolto il con
trapposto criterio formale, affermando che è da considerarsi
non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differi
ta ai sensi degli art. 340 e 361 c.p.c., la sentenza con la quale, in ipotesi di più domande cumulate tra gli stessi soggetti, il giu dice decide una o più delle domande proposte, con prosecuzio ne del procedimento per le altre senza disporre la separazione ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5, c.p.c. e senza provvedere sulle spese in ordine alla domanda o alle domande decise, ma
rinviandone la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. E tale orientamento, posto in discussione da alcune pronunce
successive (ed in particolare dalla sentenza 7225/92, e dalla sen
tenza 5703/93, cit.), queste sezioni unite ritengono di conferma
re, per le considerazioni che seguono. 5. - Il contrasto di giurisprudenza, già composto con la sen
tenza a sezioni unite 1577/90, cit., verteva sull'individuazione
del criterio idoneo a qualificare come definitiva o non definiti
va, agli effetti della riserva di impugnazione, la sentenza che
decide solo alcune delle domande cumulate nello stesso proces so tra gli stessi soggetti.
All'orientamento c.d. sostanziale, che attribuiva rilevanza al
l'effettivo contenuto della decisione, e cioè alla sua intrinseca
autonomia rispetto ad una ulteriore decisione, si contrapponeva l'orientamento c.d. formale, che prescindeva dal contenuto del
la pronuncia ed attribuiva forza decisiva all'esistenza o meno
di un provvedimento di separazione emesso dal giudice ai sensi
dell'art. 279, 2° comma, n. 5.
Il contrasto si era creato successivamente alla modificazione
apportata al codice di procedura civile dalla novella del 1950.
Il legislatore del 1942 aveva accolto il principio dell'unica sen
tenza per ciascun grado del processo, per cui con la sentenza, in linea di principio, vanno decise tutte le domande proposte
li Foro Italiano — 2000.
e le relative eccezioni, definendo il giudizio (art. 277, 1° com
ma). Erano tuttavia previste sentenze «parziali» (art. 279, 3°
comma, che menzionava le ipotesi di cui agli art. 277, 2° com
ma, e 278), contro le quali non era ammesso gravame immedia
to, ma, con onere di farne espressa riserva, solo l'impugnazione unitamente alla sentenza definitiva (art. 339, 2° comma, 340
e 360, 3° comma), così realizzando la concentrazione del pro cesso in fase di impugnazione.
La novella del 1950 ha abolito il divieto di impugnazione im
mediata, senza peraltro escludere del tutto la ricomposizione ad unità del processo, poiché ha lasciato alla parte la scelta
tra l'impugnazione immediata e la riserva di impugnazione dif
ferita (art. 340 e 361), che la concentrazione in definitiva fa
vorisce.
5.1. - A sostegno del criterio sostanziale, si affermava quanto
segue:
a) la nozione di sentenza non definitiva, per la quale è am
messa la riserva di impugnazione, è data dagli art. 340 e 361, che prevedono l'ammissibilità della riserva esclusivamente per le sentenze di cui agli art. 278 (condanna generica) e 279, 2°
comma, n. 4 (che prevede l'ipotesi in cui il collegio, decidendo
alcune delle questioni di cui ai nn. 1 — questioni di giurisdizio ne o di competenza —,2 — questioni pregiudiziali attinenti
al processo o questioni preliminari di merito —, e 3 — decisio
ne totale del merito —, pronuncia sentenza con la quale «non
definisce» il giudizio); b) non è consentito allargare l'ambito della figura della sen
tenza non definitiva fino ad includervi le sentenze previste dal
l'art. 279, 2° comma, n. 5 (che prevede l'ipotesi in cui il colle
gio, valendosi della facoltà di cui agli art. 103, 2° comma, e
104, 2° comma, decide con sentenza solo alcune delle cause
fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti di
spone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione ri
guardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore
delle cause di sua competenza), poiché tale disposizione, richia
mando sia l'art. 103, 2° comma, che l'art. 104, 2° comma, deve
ritenersi che faccia riferimento tanto alle sentenze emesse, nel
l'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, in decisione di alcune sol
tanto delle cause riunite, quanto a quelle, già previste dall'art.
277, 2° comma, contenenti la decisione di solo alcune delle do
mande proposte, con prosecuzione, nell'uno e nell'altro caso, del procedimento per la decisione delle altre cause o domande;
e) le sentenze di cui all'art. 279, 2° comma, n. 5, e quindi anche quelle di cui all'art. 277, 2° comma, non possono essere
ricondotte nell'ambito delle sentenze non definitive sia perché
gli art. 340 e 361 non richiamano né l'art. 279, 2° comma, n. 5, né l'art. 277, 2° comma, sia perché le sentenze previste
dagli art. 340 e 361 non contengono rispetto alla domanda una
decisione completa ed esauriente, bensì bisognevole di integra zione ad opera della sentenza definitiva, mentre le sentenze di
cui all'art. 279, 2° comma, n. 5, ed all'art. 277, 2° comma, definiscono interamente il giudizio riguardo alla «causa» o alla
«domanda» decisa, poiché altrimenti si verserebbe nell'ipotesi di cui all'art. 279, 2° comma, n. 4;
d) tale ultima disposizione (concernente sentenze non definiti
ve per espressa previsione di legge, in virtù del richiamo com
piuto dagli art. 340 e 361) non può includere in sé la sentenza
decisoria di solo alcune delle «domande» proposte ai sensi del
l'art. 277, 2° comma, e dell'art. 104, 2° comma (ipotesi cui
si riferisce anche l'art. 279, 2° comma, n. 5) poiché parla di
«questioni» e non di «domande», sicché non è ammissibile una
sentenza non definitiva su domande;
e) nell'ipotesi di sentenza decisoria di solo alcune delle do
mande proposte (ai sensi dell'art. 277, 2° comma, o dell'art.
279, 2° comma, n. 5, in relazione all'ipotesi di cui all'art. 104, 2° comma), il legislatore, non consentendo la riserva di impu
gnazione differita, ha sacrificato a favore del principio della
celere definizione della controversia il principio della concentra
zione della decisione in fase di gravame;
f) consegue che, nell'ipotesi di unico giudizio con pluralità di domande, è sentenza definitiva, in quanto tale soggetta ad
impugnazione immediata, quella che esamina l'intero rapporto causale relativamente ad una delle domande proposte, che pre senta carattere di autonomia rispetto ad altra decisione da adot
tare nel giudizio che prosegue, e che non debba essere integrata da ulteriori pronunce;
g) allorché il giudice decide su una o su alcune (ma non tutte)
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
delle domande o delle cause, disponendo sulle altre ulteriore
istruttoria, egli fa implicitamente uso delle potestà di cui agli art. 103 e 104, non occorrendo per la separazione delle doman
de o delle cause decise in via definitiva da quelle rimesse in
istruttoria un provvedimento formale;
h) la definitività della sentenza non è esclusa dalla diversa
qualificazione ad essa attribuita dal giudice che la emette, né
dalla omessa pronuncia sulle spese, perché riservata alla pro nuncia definitiva, poiché ciò configura un vizio della sentenza
da far valere con l'impugnazione. In tal senso, in particolare, si veda la sentenza 6659/84 (id.,
1985, I, 1742), ma l'orientamento era condiviso da altre pro
nunce, tra cui si ricordano: sent. 3139/80 (id., Rep. 1980, voce
Appello civile, n. 17); 243/83 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 8); 8212/87 (id., Rep. 1987, voce Cosa giudicata civile, n. 11); 665/88 (id., Rep. 1988, voce Appello civile, n. 14), 2961/88 (ibid., voce Sentenza civile, n. 47).
5.2. - L'orientamento formale si incentrava sulle seguenti con
siderazioni (espresse, nella forma più incisiva ed esauriente, dal
la sentenza 4331/86, id., 1987, I, 144): a) la formula dell'art. 279, 2° comma, n. 4, deve essere intesa
non in modo letterale, ma sistematico: il richiamo al n. 3 non
può intendersi come richiamo a decisioni di merito di qualsiasi specie (e quindi anche a decisioni di merito su questioni diverse da quelle preliminari di merito di cui al n. 2), perché il n. 3 disciplina la sentenza definitiva di merito (si tratta della senten
za che definisce il giudizio decidendo totalmente il merito) e
dunque l'atto il cui contenuto consiste nella decisione della do
manda proposta (art. 277, 1° comma); esula dalla previsione del n. 3 ogni soluzione di mere «questioni» e quindi il n. 4, che lo richiama, va interpretato nel senso che la parola «que stioni» (al di fuori del richiamo alle questioni di giurisdizione o di competenza — di cui al n. 1 —, o alle questioni pregiudi ziali attinenti al processo o preliminari di merito — di cui al n. 2 —) si riferisce a «causa» o «domanda»;
b) l'art. 279, 2° comma, n. 4, come sopra inteso, non esclude
quindi la configurabilità di sentenze non definitive su domande;
c) consegue che la decisione su alcune domande ai sensi del
l'art. 277, 2° comma, coincide con l'ipotesi di cui all'art. 279, 2° comma, n. 4 (sentenza non definitiva), e non con quella di
cui al n. 5 (sentenza definitiva su alcune domande separate da
altre);
d) l'art. 277, 2° comma, e l'art. 279, 2° comma, n. 5, hanno
in comune il presupposto di un processo con più domande cu
mulate, ma soltanto la seconda disposizione riguarda la separa zione delle domande cumulate: nel sistema originario del codi
ce, nel quale era previsto il regime dell'impugnazione necessa
riamente differita, al frazionamento delle decisioni ex art. 277, 2° comma, seguiva un unico processo di impugnazione, in cui
l'unità si ricomponeva, sicché la decisione parziale su alcune
domande ivi prevista non determinava la loro separazione dalle
altre, ed il mutamento del regime delle impugnazioni apportato dalla novella non ha determinato l'abrogazione dell'art. 277, 2° comma, nel suo originario significato di decisione parziale su alcune domande, risultando anzi dai lavori preparatori che
l'impugnazione immediata, introdotta dalla riforma, potesse tro
vare applicazione proprio nel caso di pronuncia su alcuni capi di domanda;
e) la riforma continua a prevedere, come ipotesi di sentenza
non definitiva, quella resa ai sensi dell'art. 278, e se la condan na generica e la successiva liquidazione, che tutelano la medesi
ma situazione sostanziale, sono soggette alla disciplina della sen
tenza non definitiva, le stesse regole possono adattarsi ad un
giudizio avente ad oggetto più situazioni giuridiche suscettibili, ciascuna, di costituire oggetto di un autonomo processo, qual è quello presupposto dall'art. 277, 2° comma;
f) i requisiti per la decisione parziale (art. 277, 2° comma), e per la separazione delle domande cumulate (art. 103, 2° com
ma, richiamato dall'art. 104, 2° comma, a sua volta richiamato
dall'art. 279, 2° comma, n. 5) sono diversi: nel primo caso l'in
teresse apprezzabile «per la parte che ne ha fatto istanza» alla
sollecita definizione di alcune domande non bisognose di ulte
riore istruzione; nell'altro caso «l'istanza di tutte le parti», ov
vero il ritardo o l'aggravio del processo unitario, valutati (d'uf
ficio) indipendentemente dalla richiesta della parte o delle parti;
/l) l'ipotesi di una sentenza non definitiva su domande risul
II Foro Italiano — 2000 — Parte 1-3.
ta espressamente dalla previsione dell'art. 356, 2° comma (se condo il quale, quando sia stato proposto appello immediato
contro una delle sentenze previste dall'art. 279, 2° comma, n.
4, il giudice di appello non può disporre nuove prove riguardo alle domande e alle questioni, rispetto alle quali il giudice di primo grado, non definendo il giudizio, abbia disposto con se
parata ordinanza la prosecuzione dell'istruzione);
g) può quindi conclusivamente affermarsi che la sentenza non
definitiva di cui all'art. 279, 2° comma, n. 4, comprende anche
l'ipotesi di cui all'art. 277, 2° comma, e che questa si differen
zia pertanto dalle ipotesi previste dall'art. 279, 2° comma, n.
5, in virtù dell'esistenza di un provvedimento di separazione;
h) in certi casi non può esservi concorso tra le due discipline,
per essere preclusa la separazione delle domande cumulate (per ché legate da rapporti di accessorietà, garanzia o pregiudiziali
tà), con conseguente applicabilità del solo art. 277, 2° comma; in altri casi il potenziale concorso è risolto dall'adozione di un
provvedimento di separazione, che rende «definitiva» la pro nuncia su una domanda, mentre in difetto di tale provvedimen to, che può risultare anche da espressioni non «sacramentali», la sentenza deve qualificarsi «non definitiva»;
0 la soluzione accolta è coerente con il principio, affermato
in altri settori, secondo cui le forme dell'impugnazione sono
condizionate dalla qualifica espressa data dal giudice, anche se
errata (in senso conforme: sent. 653/80, id., Rep. 1980, voce
Appello civile, n. 19; 2020/82, id., Rep. 1982, voce Sentenza
civile, nn. 90, 93; 7025/83, id., Rep. 1983, voce Matrimonio, n. 267; 3965/84, id., Rep. 1986, voce Appello civile, nn. 12, 90; 3325/85, id., 1987, I, 144; 7408/86, id., Rep. 1986, voce Espropriazione per p.i., n. 272; 2992/87, id., Rep. 1987, voce
Appello civile, n. 16; 4325/88, id., 1989, I, 800). 5.3. - La composizione del contrasto è stata compiuta da queste
sezioni unite con la sentenza 1577/90, cit., nella quale è stato
accolto l'orientamento formale sulla base delle seguenti argo mentazioni (che in sostanza recepiscono quelle svolte nella sen
tenza 4331/86, cit.): a) il principio generale desumibile dall'art. 277, 1° comma
(secondo cui il collegio, nel deliberare sul merito, deve decidere
tutte le domande proposte e le relative eccezioni definendo il
giudizio), è quello della concentrazione della decisione, che con
sente di ricavare dal sistema la regola dell'unità della sentenza
per ciascun grado di giudizio; alla detta regola il 2° comma
dell'art. 277 arreca un'eccezione, prevedendo che il collegio, an
che quando l'istruttore gli abbia rimesso la causa a norma del
l'art. 187, 1° comma, può limitare la sua decisione ad alcune
domande in presenza di determinati presupposti; il contrasto
di giurisprudenza riguarda appunto il coordinamento di tale di
sposizione con l'art. 279, 2° comma, e cioè se essa debba essere
ricollegata al n. 4, e preveda quindi un'ipotesi di sentenza «non
definitiva», ovvero al n. 5, e preveda quindi un'ipotesi di sen
tenza «definitiva»;
b) non vale a contestare la prima opzione ermeneutica il te
nore letterale dell'art. 279, 2° comma, n. 4, che, nel richiamare
il precedente n. 3, lo ha accomunato alle altre ipotesi previste dai nn. 1 e 2, allorché ha statuito che il collegio anche in tal caso decidendo una «questione» non definisce il giudizio; il n. 4 discorre genericamente di «questioni» per ragioni di tecnica
legislativa, avendo richiamato con la stessa locuzione tutte e
tre le ipotesi di sentenze (definitive) previste dai nn. 1, 2 e 3; ma il n. 3 si discosta dai numeri precedenti, perché contempla una ipotesi in cui la sentenza (definitiva) è la più pregnante
possibile, in quanto contiene la totale definizione del merito
della controversia; se, quindi, il n. 3 attribuisce la qualifica di
sentenza alla pronuncia che definisce il giudizio, decidendo to
talmente il merito, il richiamo contenuto nel successivo n. 4
della norma esprime soltanto il concetto che, quando il collegio decide parzialmente il merito dell'intera controversia non defi
nendo il giudizio, in tal caso, come nelle ipotesi di cui ai nn.
1 e 2, pronuncia sentenza «non definitiva» ed impartisce distin
ti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa;
c) tale interpretazione, che coordina il cpv. dell'art. 277 al
l'art. 279, 2° comma, n. 4 (e non al n. 5 di tale disposizione, che riguarda la sentenza definitiva) è confermata da vari rilievi:
c.a) come già rilevato, nel sistema originario del codice, l'art.
277, 2° comma, apportando deroga al principio dell'unicità del
la sentenza per ciascun grado di giudizio, prevedeva come ipo
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PARTE PRIMA
tesi di sentenza non definitiva, la sentenza «parziale» su alcune
delle domande cumulate (in tal senso è la relazione); se si ritie
ne, aderendo all'orientamento sostanziale, che la separazione, ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5, consegua automatica
mente alla sentenza che decide solo alcune delle domande cu
mulate, tale sentenza dovrebbe ritenersi per ciò solo «definiti
va», in contrasto con la qualificazione di «parzialità» attribuita
dalla originaria formulazione dell'art. 279, 3° comma, alla sen
tenza emessa ai sensi dell'art. 277, 2° comma; né sussistono
valide ragioni per ritenere che, con la novella del 1950, quella
«parzialità» sia stata eliminata dall'entrata in vigore dell'art.
279, 2° comma, n. 5, che, sotto questo profilo, richiamando
la sentenza definitiva l'istituto della separazione, non presenta alcun carattere innovativo;
c.b) l'ipotesi del cumulo di domande presenta forti elementi
di analogia con la fattispecie prevista dall'art. 278; se, quindi, in quest'ultima ipotesi è espressamente consentita (art. 340 e
361) la scindibilità della decisione, malgrado la stretta inerenza
che sussiste tra l'oggetto del giudizio sull'an rispetto all'oggetto del giudizio sul quantum, ad eguale risultato deve pervenirsi
per quelle ipotesi in cui, riflettendo il giudizio più situazioni giuridiche suscettibili di costituire ciascuna oggetto di un auto
nomo processo, la relazione tra esse sia meno stretta di quella che sussiste tra la sentenza di condanna generica e la sentenza
di liquidazione del quantum; c.c) la ravvisata correlazione tra l'art. 277, 2° comma, con
l'art. 279, 2° comma, n. 4, non priva di autonomo rilievo la
prima disposizione, così realizzando una interpretazione abro
gatrice, poiché le due norme disciplinano rispettivamente il con
tenuto e la forma del provvedimento del giudice;
c.d) non può sostenersi che il giudice, quando decide una
o più delle domande cumulate, disponendo per le altre ulteriore
istruttoria, esercita implicitamente il potere di separazione di
cui agli art. 103, 2° comma, e 104, 2° comma (con conseguente definitività della sentenza ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n.
5): i presupposti per l'applicazione dell'art. 277, 2° comma, e
degli art. 103, 2° comma, e 104, 2° comma, sono infatti diver
si, poiché la separazione delle cause o delle domande può essere
disposta solo se vi sia l'istanza di tutte le parti, ovvero (anche
d'ufficio) quando la continuazione della loro riunione ritarde
rebbe o renderebbe più gravoso il processo, mentre per l'ado
zione della decisione su alcune soltanto delle domande cumulate
è richiesto che la sollecita definizione della controversia sia di
interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza (la cui proposizione è quindi sempre necessaria);
c.é) l'espressa previsione di sentenze non definitive su domande
si rinviene in altre norme, ed in particolare nell'art. 356 c.p.c.
(già richiamato dalla sentenza 4331/86, cit.) e nell'art. 9 1. n.
74 del 1987, che autorizza il tribunale ad emettere sentenza non
definitiva di scioglimento o cessazione degli effetti civili del ma trimonio, rinviando alla prosecuzione del giudizio gli ulteriori
provvedimenti;
c.f) limitando l'area della sentenza definitiva a quella caratte
rizzata dall'esercizio del potere di separazione della causa ex
art. 279, 2° comma, n. 5, si rimane più aderenti al principio di concentrazione della decisione, tendenzialmente accolto dal
codice di rito, poiché tale principio, in caso di sentenza non
definitiva, non è derogato in maniera irrimediabile come accade
invece per la sentenza definitiva, poiché con la riserva è possibi le ricostituire la concentrazione delle domande in sede di gravame;
d) in conclusione, nell'individuazione della sentenza «non de
finitiva» va privilegiato esclusivamente il dato (negativo) del man
cato esercizio da parte del giudice, nel decidere, in caso di cu
mulo di domande, soltanto una o alcune delle domande, del
potere di separazione, dovendosi invece ravvisare sentenza «de
finitiva» qualora tale potere sia stato esercitato, così ricollegan dosi la qualificazione della sentenza come «definitiva» esclusi
vamente ad un criterio formale, e cioè alla presenza di un prov vedimento di separazione; e non rileva che la separazione sia
stata disposta (erroneamente) in casi in cui è prevista per legge la trattazione unitaria del processo davanti allo stesso giudice in deroga alle norme sulla competenza (come nelle ipotesi di
connessione per accessorietà, garanzia, pregiudizialità), poiché, ai fini della qualificazione della sentenza come definitiva, deve
aversi riguardo solo all'esistenza e non anche alla legittimità del provvedimento di separazione;
Il Foro Italiano — 2000.
e) circa le caratteristiche del provvedimento mediante il quale il giudice esercita il potere di separazione, essendo stato accol
to, ai fini della distinzione tra sentenza definitiva e non definiti
va, il criterio formale, va privilegiata la tesi della separazione
espressa, pur non richiedendosi l'adozione di formule sacramen
tali; consegue che non assume rilievo la circostanza che il giudi
ce, nel provvedere su alcuna soltanto delle domande cumulate, non abbia provveduto sulle spese; per converso, qualora la pro nuncia sulle spese in relazione alla domanda decisa sia stata
emessa, la sentenza va considerata come definitiva, poiché in
tal modo il giudice non solo adempie all'obbligo imposto dal
l'art. 91 c.p.c., ma provvede, sia pure implicitamente, alla se
parazione delle cause, in quanto la condanna alle spese della
parte soccombente è contenuta nel provvedimento decisorio che
definisce e cioè conclude, per quella fase, il procedimento pen dente davanti a lui.
6. - Come già rilevato, il criterio formale, accolto dalle sezio
ni unite con la sentenza 1577/90, cit., è stato ulteriormente po sto in discussione da alcune successive pronunce, tra le quali si segnalano la sentenza 7225/92, cit., e la sentenza 5703/93,
cit., accomunate dalla rilevanza attribuita, ai fini in esame, alla
natura del cumulo tra le domande, e cioè al vincolo di connes
sione tra di esse esistente.
6.1. - In particolare, ha riaffermato il criterio sostanziale la
sentenza 7225/92 (concernente una ipotesi in cui, sussistendo
rapporto di pregiudizialità tra domande, il giudice di primo grado aveva deciso sulla domanda pregiudicante e provveduto sulle
spese). Dopo aver rilevato che l'adozione del criterio formale
finisce con l'avallare l'errore del giudice, la pronuncia sostiene
che una sentenza deve essere considerata definitiva o non defi
nitiva in ragione del suo effettivo contenuto, senza che rilevi
l'emanazione o meno di un provvedimento di separazione o di
pronuncia sulle spese; è quindi definitiva la sentenza che esauri
sce l'oggetto della controversia, senza necessità di ulteriori pro
nunce, mentre è non definitiva quella che riguarda solo un aspetto della controversia e che rinvia alla prosecuzione del giudizio il riconoscimento o meno del bene in contestazione; è sempre non definitiva la sentenza che pronuncia soltanto su alcune del
le domande cumulate, se tra queste sussiste (come nel caso esa
minato) vincolo di connessione.
Per contrastare il percorso argomentativo seguito dalle sezio
ni unite con la sentenza 1577/90 la sentenza osserva che:
a) l'art. 279 non si limita a disciplinare la forma dei provve dimenti del collegio, ma stabilisce, in virtù del richiamo fatto
dagli art. 340 e 361 al n. 4 del suo 2° comma, che è sentenza
«non definitiva» quella che decide su «questioni», e non su
domande;
b) l'art. 279, 2° comma, n. 5, si riferisce all'ipotesi di cumulo
di più «cause», e pertanto, quando il giudice decide soltanto
alcune cause e dispone la separazione delle altre, la sua senten
za è senza dubbio «definitiva», perché rispetto alle cause decise
viene esaurito l'oggetto della controversia;
e) l'art. 277, 2° comma, nel menzionare le «domande» e non
le «cause», si riferisce alle domande connesse (o ai diversi capi di un'unica domanda), sicché quando il giudice limita la deci
sione ad alcune domande (o ad alcuni capi) e dispone l'ulteriore
istruzione, emette sempre una sentenza «non definitiva», e l'e
ventuale provvedimento di separazione, esplicito o implicito (in
quanto ricompreso nella statuizione sulle spese), deve ritenersi
illegittimo, non essendovi cause da separare, e privo di rilevan
za ai fini della qualificazione della sentenza; d) l'analogia dell'ipotesi regolata dall'art. 277, 2° comma,
con quella prevista dall'art. 278 consente di estendere alla pri ma il richiamo alla seconda compiuto dagli art. 340 e 361 e
quindi la qualificazione della sentenza come «non definitiva».
6.1.2. - Gli argomenti enunciati dalla sentenza 7225/92, cit., non valgono a contrastare l'adesione al criterio formale che queste sezioni unite hanno voluto privilegiare con la sentenza 1577/90, cit. Va invero rilevato quanto segue:
a) anche il criterio sostanziale non è esente da inconvenienti,
poiché la qualificazione della sentenza come definitiva o non
definitiva, da compiersi caso per caso, alla stregua del contenu
to della decisione, non è agevole e può condurre quindi a con
clusioni incerte, esponendo la parte soccombente, le cui esigen ze di tutela assumono nella materia in esame preminente rilie
vo, poiché viene in discussione il suo diritto di impugnazione,
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al rischio di perdere il diritto di impugnare, per avere ineffica
cemente proposto la riserva, in relazione ad una sentenza rite
nuta non definitiva e qualificata invece come definitiva dal giu dice del gravame, ed inducendola quindi, per non correre tale
rischio, ad impugnare sempre in via immediata, così vanifican
do la facoltà di scelta che il legislatore ha voluto attribuirle
e pregiudicando il tendenziale principio dell'unità della decisio
ne; per converso, il criterio formale ha l'indubbio pregio della
certezza, in quanto si affida ad un elemento obiettivo e facil
mente accertabile, e cioè al dato negativo della mancanza del
provvedimento di separazione, che consente di qualificare la sen
tenza come non definitiva, ovvero al dato positivo dell'esistenza
di un provvedimento espresso di separazione (comunque impli cato da una statuizione sulle spese), che determina la natura
definitiva della pronuncia;
ti) non può condividersi l'interpretazione meramente letterale
dell'art. 279, 2° comma, n. 4; le considerazioni svolte nella sen
tenza 1577/90, cit., da intendersi qui richiamate, inducono a
privilegiare l'interpretazione sistematica della suindicata dispo
sizione, che consente di coordinarla con l'art. 277, 2° comma, e di ritenere quindi ammissibili anche sentenze non definitive
su domande; e va altresì ribadito che le due disposizioni svolgo no diversa funzione, riguardando l'una la forma del provvedi mento del giudice e l'altra il contenuto;
c) la rilevata contrapposizione tra l'art. 279, 2° comma, n.
5, che si riferisce alla trattazione di più «cause» nello stesso
processo (suscettive di decisione autonoma, previa separazione, con sentenza definitiva), e l'art. 277, 2° comma, che si riferisce
alla decisione di alcune «domande», non vale a sorreggere la
conclusione che la seconda disposizione riguarda l'ipotesi del
cumulo di domande tra loro connesse, come tali non separabili, sicché l'eventuale provvedimento di separazione, in quanto ille
gittimo, non varrebbe a rendere definitiva la decisione limitata
ad alcune domande; occorre infatti ribadire che, dovendosi ac
cogliere, anche per le esigenze di certezza e praticità sopra men
zionate, un criterio esclusivamente formale, ai fini in esame ri
leva soltanto l'esistenza e non la legittimità del provvedimento di separazione (in riferimento alla inscindibilità delle domande connesse); consegue che la sentenza resa definitiva dall'esercizio
da parte del giudice del potere di separazione, si sottrae alla
possibilità della riserva di impugnazione differita e può essere
impugnata solo in via immediata, ancorché venga censurata per l'erroneità della separazione sotto il profilo della inscindibilità
delle cause; per converso, il mancato esercizio del potere di se
parazione, precludendo il coordinamento con l'art. 279, 2° com
ma, n. 5, consente di inserire la decisione nell'ambito di quelle
previste come non definitive dall'art. 279, 2° comma, n. 4.
6.2. - Si è inoltre posta in espressa contraddizione con la de
cisione delle sezioni unite 1577/90, la sentenza 5703/93, cit. Ta
le sentenza, mentre concorda con l'interpretazione sistematica, che consente di coordinare l'art. 279, 2° comma, n. 4, con l'art.
277, 2° comma, e di ritenere quindi configurabili sentenze non
definitive su «domande» (e non soltanto su «questioni»), si con
trappone all'indirizzo formale svolgendo (in adesione ad auto
revole dottrina) le seguenti considerazioni, incentrate essenzial mente sulla valorizzazione del peculiare rapporto di connessio
ne che deve sussistere tre le domande cumulate:
a) diversamente da quanto affermato dagli assertori del crite
rio formale, nel caso di cumulo di domande non è configurabile concorso tra le discipline degli art. 277, 2° comma, e 279, 2°
comma, n. 5, con conseguente qualificazione della sentenza co
me definitiva (ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5), ovvero
come non definitiva (ai sensi del combinato disposto dell'art.
277, 2° comma, e dell'art. 279, 2° comma, n. 4), in dipendenza dell'avvenuto esercizio ovvero del mancato esercizio da parte del giudice del potere di separazione; requisiti e presupposti del
le suindicate disposizioni sono infatti diversi, e l'art. 277, 2°
comma, perderebbe ogni concreto significato se in ogni caso
di pluralità di domande il giudice avesse la piena discrezionalità di separazione per motivi di mera economia processuale;
ti) lo spazio sistematico di applicazione dell'art. 277, 2° com
ma, si ravvisa pertanto esclusivamente in quelle ipotesi in cui
le domande cumulate sono tra loro congiunte da identità di pe titum materiale, pur nella diversità della causa petendi, e cioè
nel caso di domande, subordinatamente o alternativamente for
mulate, che tendano a conseguire il medesimo bene della vita,
di guisa che l'eventuale rigetto di una di esse non produce con
II Foro Italiano — 2000.
creta soccombenza della parte che ne ha chiesto la separata de
cisione, potendo la parte medesima ancora conseguire il bene
con l'eventuale accoglimento delle residue domande; in ogni al
tra ipotesi non può esservi alcun concorso tra le due discipline e la sentenza su una delle domande cumulate, e non accomuna
te da identità di petitum materiale, non può che essere definiti
va, a nulla rilevando l'esistenza o meno di un provvedimento di separazione;
c) l'accertamento della natura definitiva o non definitiva del
la sentenza, nel caso di decisione di alcune soltanto delle do
mande unitariamente proposte, è riservato al giudice dell'impu
gnazione e deve quindi essere basato sulla oggettiva autonomia
o meno della decisione rispetto a quelle riservate in prosieguo,
indipendentemente dalla qualificazione che le abbia attribuito
il giudice a quo, e non sulla presenza o meno di un provvedi mento di separazione (e nella specie la sentenza è stata qualifi cata come definitiva, in ragione della totale autonomia tra do
mande decise e domanda «riservata», sussistendo tra di esse
soltanto connessione sotto il profilo soggettivo, nella diversità
di petitum e di causa petendi). 6.2.1. - Le richiamate considerazioni non possono condurre
ad abbandonare il criterio formale deve infatti rilevarsi quanto
segue:
a) la delimitazione dell'ambito di applicazione dell'art. 277, 2° comma, alla sola ipotesi di domande cumulate aventi eguale
petitum materiale (o mediato), non trova alcun sostegno nella
formulazione della norma;
b) l'adozione del criterio sostanziale, nei termini proposti dal
la sentenza 5703/93, cit., impone una valutazione non sempre
agevole del peculiare vincolo di connessione esistente tra più domande cumulate, e non è pertanto idonea a fornire certezza
nella qualificazione della sentenza come definitiva o non defini
tiva, a tutela delle preminenti esigenze di tutela della parte soc
combente, diversamente dal criterio formale, che va quindi pri
vilegiato. 7. - In conclusione, il contrasto, riproposto dalle suindicate
sentenze, va composto in senso conforme a quanto già statuito
a sezioni unite con la sentenza 1577/90, enunciando il seguente
principio: È da considerarsi non definitiva agli effetti della riserva di
impugnazione differita, la sentenza con la quale, in ipotesi di
domande cumulate tra gli stessi soggetti, il giudice decide una
o più delle domande proposte, con prosecuzione del procedi mento per le altre senza disporre la separazione ai sensi dell'art.
279, 2° comma, n. 5, c.p.c., e senza provvedere sulle spese in
ordine alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone
la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. 8. - Nel caso in esame, la sentenza della Corte d'appello di
Messina del 16 marzo 1993 non ha adottato un provvedimento di separazione ai sensi dell'art. 279, 2° comma, n. 5, né ha
provveduto sulle spese in relazione alle domande sulle quali ha
pronunciato. La sentenza va quindi qualificata come non defi
nitiva e quindi oggetto di efficace riserva di impugnazione dif
ferita. Consegue che il ricorso principale va dichiarato ammissibile. Gli atti vanno rimessi alla prima sezione civile per l'ulteriore
corso.
II
Svolgimento del processo. — Con separati atti di citazione,
Calogero Giovanni Armenio, Giovanni Iallonghi, Raffaele Di
Giuseppe, Maria Giovanna Leccese, Damiano Leccese, Luigi
Massaro, Maurizio Di Giuli, Cosmo Mici, Cosmo Spinosa, Gio vanni Ciccariello, Andrea Galliano, Damiano Uglietta, Giorgio
Fasano, Vincenzo Taiani, Gaetano Imbinto, Alfonso Vanni, Lui
gi Ciaramella, Silverio Vignati, Aurelio Inzitari, Gennaro Mo naco, Maria Monaco, Giovanni Meschino, Giovanni La Croix,
promissari acquirenti di appartamenti siti in un complesso im
mobiliare in località Monte di Tortona, in Gaeta, nel possesso dei beni in virtù di provvedimento cautelare, convennero da
vanti al Tribunale di Latina la s.r.l. Scavi e movimenti, promit tente venditrice, per sentire pronunciare sentenza sostitutiva del
contratto di trasferimento non concluso, con condanna della
convenuta al pagamento della penale pattuita per il ritardo; gli
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PARTE PRIMA
attori (ad eccezione dei primi cinque) proposero altresì doman
da di risarcimento dei danni per vizi riscontrati nell'immobile.
Il tribunale, con sentenza del 27 agosto 1984, pronunciò sen
tenza ex art. 2932 c.c., subordinando il trasferimento al paga mento del residuo prezzo, e condannò la convenuta al paga mento della penale in favore di ciascun attore; circa la doman
da di risarcimento per vizi dell'immobile, proposta da diciotto attori, con separata ordinanza dispose procedersi ad ulteriore
istruttoria; riservò il regolamento delle spese al definitivo.
Nel corso del successivo svolgimento del giudizio, la conve
nuta, che aveva formulato riserva di impugnazione, fu dichiara
ta fallita con sentenza del 23 novembre 1985, ed il curatore,
costituitosi, dichiarò di voler sciogliere i contratti ai sensi del l'art. 72 1. fall, e chiese il rigetto delle domande ex art. 2932 c.c.
Il tribunale, con sentenza del 22 febbraio 1991, dichiarò inam
missibile la domanda della curatela, rilevando che solo il giudi ce di appello avrebbe potuto modificare le statuizioni della sen
tenza del 27 agosto 1984; dichiarò inammissibile la domanda di risarcimento proposta da diciotto dei ventitré attori.
Propose appello la curatela, chiedendo il rigetto delle doman
de di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto
di vendita. Resistettero gli appellati, sostenendo che la sentenza del 27
agosto 1984, nella parte in cui aveva pronunciato sulle doman
de ex art. 2932 c.c., era passata in giudicato. I destinatari della
statuizione di inammissibilità della domanda di risarcimento pro
posero appello incidentale.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 16 maggio 1994,
rigettò l'appello della curatela osservando che la sentenza che
aveva statuito sulle domande di trasferimento degli immobili
ex art. 2932 c.c. doveva considerarsi sentenza definitiva ai sensi
dell'art. 279, 2° comma, n. 5, c.p.c., in relazione all'art. 104
c.p.c., in considerazione della totale autonomia tra le domande
decise e quelle riservate, non rilevando l'omessa adozione di
un provvedimento di separazione, e che pertanto la sentenza
del 27 agosto 1984, non impugnata immediatamente, era passa ta in giudicato; rilevò, ancora, che l'omesso versamento del re
siduo prezzo, disposto dal tribunale con la sentenza costitutiva,
tardivamente dedotto dalla curatela, non investiva l'efficacia del
giudicato ma l'esecuzione della sentenza; rigettò l'appello inci
dentale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
curatela del fallimento della s.r.l. Scavi e movimenti, affidan
dolo a due motivi. Hanno resistito, con separati controricorsi, i cinque originari attori che avevano proposto soltanto doman
da ex art. 2932 c.c., nonché i diciotto originari attori che aveva
no formulato altresì domanda di risarcimento dei danni.
La prima sezione civile della Corte di cassazione, alla quale il ricorso era stato assegnato, con ordinanza 3 luglio 1997, rile
vato che con il primo motivo di ricorso viene contestata la qua lificazione della sentenza del tribunale del 27 agosto 1984 come
sentenza definitiva, e ritenuto che sul punto sussiste contrasto
nella giurisprudenza della Suprema corte, nella quale si con
trappongono un indirizzo c.d. formale, che ricollega la definiti
vità all'adozione di un provvedimento di separazione (sez. un.
sent. 1577/90, Foro it., 1990, I, 836) ed un indirizzo c.d. so
stanziale, che attribuisce rilevanza al contenuto effettivo della
sentenza (sent. 7225/92, id., 1993, I, 480; 5703/93, id., 1994,
I, 829; 944.8/95, id., Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 92), ha disposto la rimessione degli atti al primo presidente, per l'e
ventuale assegnazione alle sezioni unite per la composizione del
contrasto.
In tal senso ha in effetti disposto il primo presidente. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor
so, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 277,
279, 2° comma, n. 4, e 340 c.p.c. la curatela ricorrente lamenta
che il giudice di appello abbia ritenuto definitiva la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. emessa inter partes dal Tribunale
di Latina il 27 agosto 1984, in quanto oggettivamente autono
ma rispetto alle ulteriori decisioni da adottare sulle domande
di risarcimento dei danni per vizi agli immobili, per le quali aveva disposto ulteriore istruttoria, dichiarando esplicitamente di aderire al c.d. orientamento sostanziale (accolto da varie pro nunce della Suprema corte), secondo il quale, nel caso di cumu
lo di domande tra gli stessi soggetti (o fra soggetti diversi), la
decisione integrale ed esauriente di alcune di esse (che esamina,
cioè, l'intero rapporto causale relativamente alla domanda, pre
1l Foro Italiano — 2000.
sentando carattere di autonomia e non necessitando di ulteriore
integrazione), con prosecuzione del processo per l'esame di al
tre domande, va considerata come sentenza «definitiva» ai fini
della proposizione dell'impugnazione, a prescindere dal nomen
attribuito dal giudice che l'ha pronunciata, ancorché questo non
abbia adottato un provvedimento formale di separazione della
domanda decisa da quelle rinviate ed abbia rimesso la statuizio
ne sulle spese dell'intero procedimento ad una sentenza ulteriore.
Sostiene che, così statuendo, il giudice di appello si è posto in contrasto con l'orientamento c.d. formale, accolto, compo nendo il contrasto di giurisprudenza, dalle sezioni unite della
Corte suprema con sentenza 1577/90, cit., secondo il quale è
indispensabile un provvedimento di separazione per dare carat
tere di definitività alla decisione su alcune delle domande cumu
late, con prosecuzione del procedimento per le altre.
3. (sic) - Osserva il collegio che, con la sentenza del 27 agosto
1984, il tribunale, accogliendo la domanda proposta da tutti
gli attori, promissari acquirenti di ventitré appartamenti, contro
la convenuta, promittente venditrice: a) ha pronunciato senten
za costitutiva ex art. 2932 c.c.; b) ha disposto la prosecuzione del giudizio per ulteriore istruttoria della domanda (proposta da diciotto degli attori) di risarcimento del danno per vizi degli immobili trasferiti; c) ha riservato la pronuncia sulle spese alla
sentenza definitiva, poi adottata il 22 febbraio 1991.
La decisione sulle domande ex art. 2932 c.c., adottata dalla
prima sentenza, è stata qualificata come «definitiva» dalla corte
d'appello, in esplicita adesione all'orientamento c.d. sostanzia
le: la corte ha quindi ritenuto inefficace la riserva di impugna zione differita proposta dalla convenuta, con conseguente pas
saggio in giudicato della statuizione costitutiva del trasferimen
to della proprietà (e con l'ulteriore effetto della preclusione dell'esercizio della facoltà di scioglimento dal contratto da par te del curatore, ai sensi dell'art. 72 1. fall., poiché il fallimento
della società promittente venditrice era intervenuto successiva
mente alla formazione del giudicato). È appunto alla professata adesione all'orientamento c.d. so
stanziale, che la censura è rivolta, sul rilievo che le sezioni unite
della Suprema corte, con la sentenza 1577/90, cit., lo hanno
disatteso ed hanno accolto il contrapposto orientamento c.d.
formale, affermando che è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita ai sensi degli art.
340 e 361 c.p.c., la sentenza con la quale, in ipotesi di più do
mande cumulate tra gli stessi soggetti, il giudice decide una o
più delle domande proposte, con prosecuzione del procedimen to per le altre senza disporre la separazione ai sensi dell'art.
279, 2° comma, n. 5, c.p.c. e senza provvedere sulle spese in
ordine alla domanda o alle domande decise, ma rinviandone
la liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. E la censura risulta fondata, poiché tale orientamento, posto
in discussione da alcune pronunce successive (ed in particolare dalla sentenza 7225/92, cit., e dalla sentenza 5703/93, cit.), queste sezioni unite ritengono di confermare, per le considerazioni che
seguono. (Omissis) 7. - Il primo motivo del ricorso va quindi accolto e l'impu
gnata sentenza, che non si è attenuta al suenunciato principio, va cassata in relazione.
Va disposta la rimessione degli atti alla prima sezione civile
per l'ulteriore corso.
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