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sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano (concl....

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sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano (concl. conf.); ric. Sagone. Annulla senza rinvio App. Roma 30 aprile 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 141/142-159/160 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196498 . Accessed: 25/06/2014 02:54 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.40 on Wed, 25 Jun 2014 02:54:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano (concl. conf.); ric. Sagone. Annulla senza rinvio App. Roma 30 aprile 1999

sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano(concl. conf.); ric. Sagone. Annulla senza rinvio App. Roma 30 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 141/142-159/160Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196498 .

Accessed: 25/06/2014 02:54

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GIURISPRUDENZA PENALE

levare che, secondo alcune posizioni espresse in dottrina, il reato deve essere escluso quando

— come nel caso di specie —

sia reso pubblico che la decisione è stata presa all'unanimità, senza l'indicazione nominativa dei giudici. Questa corte ritiene

di non poter condividere tale linea di pensiero, che si traduce in

una ingiustificata delimitazione dell'ambito precettivo della norma incriminatrice, per la ragione che anche la divulgazione dell'unanimità della deliberazione corrisponde all'attribuzione

nominativa dei voti dati da tutti i componenti dell'organo colle

giale e, pertanto, costituisce violazione della segretezza della

camera di consiglio e si traduce nella lesione dell'interesse tu

telato, rendendo concretamente possibile l'individuazione dei

voti dei singoli giudici, i cui nomi sono pubblici e sono riportati nell'intestazione del provvedimento.

Non hanno pregio neppure le argomentazioni sviluppate nei

motivi di ricorso per dimostrare l'insussistenza dell'elemento

psicologico del reato. Infatti, va riconosciuto che il reato di cui

all'art. 685 c.p. è soggetto alla regola generale posta dall'art.

42, 4° comma, c.p., e che esso è punibile, quindi, anche a titolo

di colpa, a differenza del delitto di rivelazione di segreti di uffi cio di cui all'art. 326 c.p., la cui punibilità è limitata al dolo. Orbene, il giudice di merito ha accertato che la divulgazione dell'unanimità della decisione non è ascrivibile ad un lapsus

linguae che possa elidere la consapevolezza e la volontarietà del

fatto, ma è addebitabile a colpa del dott. Lignola sotto il profilo della inosservanza di norme cautelari generiche di prudenza, con la conseguenza che, in presenza di una motivazione dotata

di congruenza logica ed esente da vizi giuridici, la conclusione

accolta nella sentenza impugnata resta incensurabile nel giudi zio di legittimità.

Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, poiché manca

no le condizioni che giustificano una pronuncia assolutoria nel

merito a norma del 2° comma dell'art. 129 c.p.p., deve dichia

rarsi l'estinzione del reato per prescrizione e, per l'effetto, la

sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano

(conci, conf.); ric. Sagone. Annulla senza rinvio App. Roma

30 aprile 1999.

Tributi in genere — Reato tributario — Omessa presenta zione della dichiarazione fiscale — «Ius superveniens» —

«Abolitio criminis» (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, norme per la repressione dell'evasione in materia di im

poste sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la defi

nizione delle pendenze in materia tributaria, art. 1 ; 1. 7 agosto 1982 n. 516, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.

10 luglio 1982 n. 429, art. 1; d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, nuo va disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'art. 9 1. 25 giugno 1999 n. 205,

art. 5, 25). Tributi in genere — Reato tributario — Omessa tenuta e/o

conservazione di scritture contabili — «Ius superveniens» — «Abolitio criminis» (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 1; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1; d.leg. 10 marzo

2000 n. 74, art. 25).

Attesa la netta disomogeneità strutturale della contravvenzione

di omessa presentazione della dichiarazione in materia di im

II Foro Italiano — 2001.

poste dirette od Iva, di cui all'abrogato art. 1,1° comma, d.l.

10 luglio 1982 n. 429, rispetto al nuovo delitto di omessa di

chiarazione introdotto dall'art. 5 d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, nonché in considerazione della più generale incompatibilità del nuovo sistema penai-tributario con il vecchio modello

fondato sulla criminalizzazione di violazioni meramente for mali e preparatorie, deve ritenersi che l'avvento della nuova

normativa ha determinato una vera e propria abolitio crimi

nis della fattispecie previgente. (1) A seguito dell'entrata in vigore del d.leg. 10 marzo 2000 n. 74,

è venuta meno la punibilità di tutte le pregresse condotte di

omessa tenuta e/o conservazione di scritture contabili, prece dentemente rilevanti a norma dell'art. 1, ultimo comma, d.l.

10 luglio 1982 n. 429. (2)

(1-5) Con queste due importanti pronunce delle sezioni unite la Corte di cassazione è intervenuta a dirimere alcuni fra i principali problemi di diritto transitorio, che si sono venuti a delineare a seguito dell'ancora recente emanazione della nuova disciplina penale-tributaria introdotta dal d.leg. 10 marzo 2000 n. 74 (sulle linee complessive di questa rifor

ma, nel quadro di una già copiosa letteratura, v., fra i tanti, Cerqua Pricolo, La riforma della disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in Dir. pen. e proc., 2000, 574 ss., 708

ss.; D'Avirro-Nannucci (a cura di), La riforma del diritto penale tri

butano, Padova, 2000; Di Siena, La nuova disciplina dei reati tributa

ri, Milano, 2000;, Manna, Prime osservazioni sulla nuova riforma del diritto penale tributario, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2000, 119 ss.;

Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, Milano, 2000; Tarantini-Esposito, La nuova di

sciplina dei reati tributari, Padova, 2000; Traversi-Gennai, I nuovi delitti tributari, Milano, 2000).

La necessità di una più attenta valutazione dei nessi intertemporali fra la vecchia e la nuova normativa penale-tributaria è stata determinata da un duplice ordine di fattori: in primo luogo, dall'avvenuta abroga zione, da parte dell'art. 24 d.leg. 507/99, del c.d. principio di ultratti vità della legge penale finanziaria originariamente fissato dall'art. 20 1.

4/29 (sul punto, anche per un quadro del dibattito che aveva contrasse

gnato quest'ultima disposizione, v. Corte cost. 6 marzo 1995, n. 80, Foro it., 1997,1, 2023, con nota di richiami, nonché ancora Napoleoni,

op. cit., 287 ss.): l'effetto di tale abrogazione è stato infatti quello di

estendere anche all'insieme delle «disposizioni penali delle leggi finan ziarie» (questo il settore considerato da detto art. 20 1. 4/29) l'operati vità delle regole previste in via ordinaria dall'art. 2 c.p.; in secondo

luogo, dalla formale e generica abrogazione, dettata dall'art. 25 citato

d.leg. 74/00, di tutte le disposizioni contenute nel titolo I del d.l. 429/82

e dalla contestuale mancata previsione, sempre nell'ambito del nuovo

decreto legislativo, di apposite regole di diritto transitorio (sulle ragioni della mancata riproposizione, nel testo definitivamente varato dal go verno, delle regole transitorie inizialmente previste nello schema di de

creto legislativo sottoposto ad un vaglio preventivo del parlamento, v.,

per tutti, Casula, La depenalizzazione dimezzata: osservazioni sulle

norme transitorie della riforma del diritto penale tributario, in Fisco,

2000, 1697 ss.; Izzo, Dubbi di costituzionalità sulla normativa transito

ria della riforma sui reati tributari, ibid., 1695 ss.). Nel caso considerato dalla meno recente delle sentenze in epigrafe, la

questione riguardava alcuni specifici aspetti connessi al rapporto fra la

precedente disciplina della c.d. frode fiscale, così come complessiva mente stabilita dall'art. 4 d.l. 429/82 (ed in parte modificata dal d.l.

83/91), ed il nuovo assetto delle incriminazioni oggi previste dagli art.

2 e 8 d.leg. 74/00, in tema, rispettivamente, di dichiarazione fraudo lenta mediante utilizzazione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti e, nella seconda ipotesi, di mera emissione di questi ultimi

documenti. Ferma la tendenziale corrispondenza (ed il conseguente rapporto di

mera modificazione normativa) fra la vecchia e la nuova fattispecie re

lativa alla sola emissione di false fatture (art. 4, lett. d, d.l. 429/82 e art.

8 d.leg. 74/00: sul punto, v., per tutti, Manna, op. cit., 145; Napoleoni,

op. cit., 293), più problematica e complessa è invece apparsa la consi

derazione della ulteriore condotta di utilizzazione di tali fatture. Nel

l'ambito della disciplina previgente, quest'ultima era infatti condotta

autonomamente tipizzata all'interno della medesima disposizione di cui

alla lett. d) dell'art. 4 cit., ma risultava formalmente differenziata ri

spetto all'ulteriore ipotesi di frode, prevista dalla lett./) dello stesso art.

4, con la quale veniva punita la redazione della dichiarazione dei redditi

(o del bilancio o del rendiconto ad essa allegato) fondata sulle false at

testazioni contenute in tali fatture (sulle caratteristiche di queste due

separate ipotesi di frode, v., fra i tanti, Padovani e Di Nicola, in D'A

virro-Di Nicola-Flora-Grosso-Padovani, Responsabilità e processo

penale nei reati tributari, Milano, 1992, rispettivamente 244 ss. e 334

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PARTE SECONDA

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 25

ottobre 2000; Pres. Vessia, Est. Canzio, P.M. Leo (conci,

conf.); ric. Di Mauro e altro. Annulla App. Torino 22 gennaio 1999.

Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — Utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti — «Ius superveniens» — «Abolitio criminis» (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1;

d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, art. 2, 25). Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — In

fedele dichiarazione dei redditi mediante utilizzazione di documenti attestanti falsi fatti materiali — «Ius superve niens» — Disciplina (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1; d.l. 16 marzo 1991

n. 83, modifiche al d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, dalla 1. 7 agosto 1982 n. 516, in materia di re

pressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire

le relative pendenze, art. 1; 1. 15 maggio 1991 n. 154, conver

sione in legge, con modificazioni, del d.l. 16 marzo 1991 n. 83, art. 1; d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, art. 2).

ss.). Proprio per questo, attesa la riconosciuta possibilità di ravvisare

una utilizzazione penalmente rilevante già nel caso della semplice con

servazione ed inserimento in contabilità delle fatture false (v. Cass., sez. un., 3 febbraio 1995, Aversa, Foro it., 1995, II. 340, con nota di

ulteriori riferimenti), nel caso di successiva utilizzazione dei dati emer

genti da tali fatture anche in sede di redazione della dichiarazione fi scale la giurisprudenza aveva talvolta ravvisato gli estremi di un vero e

proprio concorso materiale di reati interno al citato art. 4 d.l. 429/82

(cfr. Cass. 22 giugno 1990, Corti, id., Rep. 1991, voce Tributi in gene re, n. 1467; sulla questione, v. anche Izzo, Concorso interno alla frode fiscale e nuova disciplina della l. 154/91, in Fisco, 1992, 5950 ss.).

Come puntualmente ricordato nella motivazione di Cass. 25 ottobre

2000, in epigrafe, a seguito dell'avvento della nuova normativa del 2000 un primo indirizzo interpretativo aveva riconosciuto l'esistenza di un diretto rapporto di continuità normativa fra la precedente ipotesi di mera utilizzazione delle fatture, sanzionata dalla lett. d) dell'art. 4 d.l.

429/82, ed il nuovo delitto di dichiarazione fraudolenta previsto dal l'art. 2 d.leg. 74/00 (in questo senso, v., in particolare, Cass. 27 aprile 2000, Bellavia, Fisco, 2000, 8450, e Corriere trib., 2000, 1902, con nota critica di Corso; sulle caratteristiche costitutive della nuova incri

minazione, oltre alla bibliografia più generale già innanzi citata, v. Pri

colo, Prime osservazioni sul delitto di dichiarazione fraudolenta me

diante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in Riv.

pen., 2000, 651 ss.). Al riguardo, si era infatti ritenuto che la dichiara

zione contemplata da quest'ultima disposizione dovesse essere intesa come un mero elemento specializzante della previgente figura di frode

fiscale, «la cui volizione e rappresentazione può considerarsi già insita,

quanto meno a titolo di dolo eventuale, nella stessa condotta di utilizza zione». Muovendo da tali premesse (questi, ovviamente, i riflessi di ti

po transitorio) si era quindi giunti ad escludere che l'avvento della nuova normativa avesse comportato una abolitio criminis della ipotesi previgente, e si era perciò riconosciuta la necessità di considerare anco ra formalmente sanzionabili (pur sulla base della disciplina in concreto

più favorevole al reo, a norma di quanto disposto dall'art. 2, 3° comma,

c.p.) i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normati va.

Diverse conclusioni sono state viceversa raggiunte da un secondo orientamento interpretativo (v., in particolare, Cass. 2 maggio 2000, Corriere trib., 2000, 2051), a favore del quale si erano nel frattempo pronunciati anche i principali commenti alla decisione sopra ricordata

(v., ad esempio, E. Musco, Cassazione in crisi da «specialità», in II Sole-24 Ore del 7 giugno 2000; per una posizione in parte intermedia, v. invece Manna, op. cit., 146 ss.). A fronte di tale contrasto, la que stione è stata pertanto rimessa alla decisione delle sezioni unite (v. Cass., ord. 5 maggio 2000, Corriere trib., 2000, 2052).

Come chiaramente emerge dalle massime in epigrafe, anche le sezio ni unite non hanno ritenuto corretto tale primo orientamento ed hanno

conseguentemente escluso che fra la previgente ipotesi di frode fiscale descritta alla lett. d) dell'art. 4 d.l. n. 429 ed il nuovo delitto previsto dall'art. 2 d.leg. n. 74 potesse essere ravvisato un rapporto di mera mo dificazione normativa. Le ragioni poste a sostegno di questa diversa conclusione (per una più diffusa considerazione delle quali si rinvia, ovviamente, all'ampia motivazione sopra riportata) sono principal mente legate al riscontro della netta diversità strutturale ravvisabile fra le due fattispecie (diversa risulta infatti la condotta rispettivamente pre vista e, per certi versi, la stessa oggettività giuridica sottesa alle due in

II Foro Italiano — 2001.

Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — Di chiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri do

cumenti per operazioni inesistenti — Nuova disciplina —

Applicabilità — Condizioni (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1; d.l. 16 mar

zo 1991 n. 83, art. 1; 1. 15 maggio 1991 n. 154, art. 1; d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, art. 2).

Attesa la netta disomogeneità strutturale della fattispecie di cui

all'abrogato art. 4, 1° comma, lett. d), d.l. 10 luglio 1982 n.

429, rispetto alla nuova figura di reato prevista dall'art. 2

d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, nonché in considerazione della

più generale incompatibilità del nuovo sistema penal tributario con il vecchio modello di tutela anticipata fondato sulla repressione di violazioni strumentali e prodromiche al

l'evasione, deve ritenersi che, con riferimento alle condotte

di utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti realizzatesi durante la vigenza della normativa og

gi abrogata, è intervenuta una vera e propria abolitio crimi

nis. (3)

criminazioni), ed alla presa d'atto della mutata filosofia di fondo che ha

ispirato la nuova disciplina penale-tributaria, caratterizzata da un deciso

superamento del vecchio modello di tutela anticipata fondato sulla re

pressione di violazioni strumentali e prodromiche all'evasione (fermo

quanto previsto dallo stesso art. 6 d.leg. n. 74, circa la non punibilità del mero tentativo dei nuovi delitti di dichiarazione fraudolenta e/o in

fedele; sul punto, v. anche quanto esplicitamente riferito nella relazione

governativa al d.leg. n. 74). Parallelamente, le sezioni unite sono viceversa giunte a riconoscere

l'esistenza di un diretto rapporto di continuità fra il nuovo delitto di di

chiarazione fraudolenta previsto dall'art. 2 d.leg. n. 74 e la precedente

ipotesi di frode fiscale prevista alla lett./) dell'art. 4 cit. Per questa ra

gione, la meno recente delle sentenze in epigrafe si è fatta carico anche

di puntualizzare i limiti entro i quali, nell'ambito di tutti i procedimenti

penali attualmente in corso per fatti originariamente considerati solo

alla luce della fattispecie di cui alla lett. d) dell'art. 4 cit. (fatti, cioè,

genericamente valorizzati solo in ragione della semplice detenzione e/o

del semplice inserimento in contabilità di false fatture), potessero rav

visarsi gli estremi per una immediata riformulazione dell'accusa, tale

da estendersi alla considerazione della successiva utilizzazione di tali

fatture anche in sede di dichiarazione fiscale, così da legittimare l'a

stratta riconducibilità del fatto contestato tanto alla precedente ipotesi di frode prevista dalla lett./) dell'art. 4 cit., quanto al nuovo delitto di

cui all'art. 2 d.leg. n. 74 e da imporre, quindi, una più specifica valuta

zione della normativa concretamente applicabile (a seconda dei casi, nonostante la più alta sanzione edittale prevista per quest'ultima fatti

specie, il carattere maggiormente favorevole per il reo della nuova

normativa potrebbe infatti essere ravvisato soprattutto alla luce del più breve termine di prescrizione oggi ravvisabile per le ipotesi rientranti

nella figura attenuata prevista al 2° comma del citato art. 2). In relazio

ne a questi ultimi aspetti di modifica processuale delle originarie conte stazioni accusatorie, v. anche Caracciolo Per il riscontro dei dati nei

processi in corso il giudice penale non può restare solo, in Guida al

dir., 2000, fase. 43, 63 s. Le conclusioni oggi raggiunte dalle sezioni unite collimano, in linea

di massima, con il prevalente orientamento della dottrina che si è pro nunciata su queste prime questioni interpretative. Così, ad esempio, in termini analoghi a quanto affermato in sentenza circa l'effetto di aboli tio criminis ravvisabile rispetto all'ipotesi di cui alla lett. d) dell'art. 4

cit., ed il diverso rapporto di continuità esistente fra la condotta previ sta alla lett. f) di questo stesso articolo e quella attualmente sanzionata

dall'art. 2 d.leg. n. 74, v., in generale, M. Musco, La riformulazione dei

reati. Profdi di diritto intertemporale, Milano, 2000, 237 ss.; Napoleo

ni, op. cit., 299; Traversi-Gennai, op. cit., 114. Di contrario avviso, ri

spetto a quest'ultima conclusione, ed orientato ad ammettere un effetto di abolitio criminis anche rispetto allo stesso delitto di cui all'art. 4, lett. /), cit., v. invece Giarda, Leggi penali, successione al buio, in II

Sole-24 Ore del 10 ottobre 2000.

Un diretto effetto di vera e propria abolitio criminis è stato inoltre ri

conosciuto dalla prima sentenza sopra riportata, tanto con riferimento

alla precedente ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione in

materia di imposte dirette ed Iva (art. 1,1° comma, d.l. 429/82), quanto in relazione alla ulteriore contravvenzione di omessa od irregolare te nuta delle scritture contabili (art. 1, ultimo comma, d.l. 429/82).

Per quanto riguarda quest'ultima ipotesi di reato, la conclusione ac colta dalle sezioni unite non aveva, invero, mai dato adito a dubbio al

cuno (fra i tanti, v. ancora Napoleoni, op. cit., 293; Traversi-Gennai,

op. cit., 109). Più complessa e problematica è viceversa risultata la so

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GIURISPRUDENZA PENALE

È ravvisabile una continuità normativa d'illecito fra l'abrogata

ipotesi di frode fiscale prevista dall'art. 4, 1° comma, lett. f), d.l. 10 luglio 1982 n. 429 (così come modificato dal d.l. 16

marzo 1991 n. 83) ed il nuovo reato di dichiarazione fraudo lenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 2 d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, di

talché, a norma di quanto previsto dall'art. 2, 3° comma,

c.p., rispetto a tutti i fatti commessi prima dell'entrata in vi

gore della nuova normativa, dovrà applicarsi la disciplina in

concreto più favorevole al reo. (4) Stante l'intervenuta abolitio criminis del delitto di utilizzazione

di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art.

4, 1° comma, lett. à), d.l. 10 luglio 1982 n. 429 ed il diverso

rapporto di continuità normativa fra la precedente ipotesi di

frode fiscale ex art. 4, 1° comma, lett. f), d.l. cit. ed il nuovo

reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o

altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall 'art. 2

d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, deve ritenersi che, anche nei pro cessi penali per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa nei quali non risulti formalmente con

testato il reato di cui all'art. 4, 1° comma, lett. f), d.l. 429/82,

resta comunque riservata alla pubblica accusa la potestà di

contestazione del fatto «nuovo» attinente al momento dichia

rativo ogni qual volta emerga ex actis la sussistenza di una

fraudolenta dichiarazione dei redditi mediante utilizzazione

di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti. (5)

luzione della prima questione affrontata, giacché la mantenuta previ sione, anche nell'ambito della nuova normativa, di una diretta rilevanza

penale di alcuni specifici casi di omessa dichiarazione (quelli attual

mente riconducibili all'art. 5 d.leg. 74/00) aveva reso molto più dubbia

e contestata la possibilità di ammettere una radicale abolitio criminis

della fattispecie previgente, con conseguente drastica affermazione di

non punibilità di tutti i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della

nuova disciplina. In dottrina, in termini conformi a quanto affermato

dalle sezioni unite, v., ad esempio, Izzo, Quel che resta degli illeciti ex

l. 516/82 dopo l'esercizio della delega ex l. 205/99, in Fisco, 2000,

3622; M. Musco, op. cit., 229; Traversi-Gennai, op. cit., 115; contra, v. invece Di Siena, op. cit., 246; Napoleoni, op. cit., 296).

Per l'ulteriore affermazione dell'avvenuta abolitio criminis, sempre a seguito dell'entrata in vigore del d.leg. n. 74, delle contravvenzioni di

omessa annotazione nelle scritture contabili obbligatorie e di omessa

fatturazione, così come rispettivamente previste alle lett. a) e b) del

l'art. 1, 2° comma, d.l. 429/82, v. Cass. 1° giugno 2000, Franconieri, Guida al dir., 2000, fase. 36, 81, e, in dottrina, Corso, Depenalizzata l'omessa o infedele annotazione e/o fatturazione ai fini Iva e imposte dirette, in Corriere trib., 2000, 1297.

Rimettendo anche in questo secondo caso alla lettura della sentenza

in epigrafe per una più chiara e completa illustrazione degli argomenti che hanno indotto le sezioni unite ad accogliere la tesi dell'intervenuta

abolitio criminis anche della contravvenzione di omessa presentazione della dichiarazione fiscale, nell'insieme appare sicuramente opportuno richiamare l'attenzione sulla notevole importanza e complessità che,

pure alla luce di queste nuove decisioni, continua ad avere la proble matica relativa alla differenziazione fra i casi di vera e propria abolitio

criminis (casi, cioè, ai quali ricollegare gli effetti previsti dall'art. 2, 2°

comma, c.p.) e quelli di più generica successione di leggi meramente

modificative (come tali diversamente inquadrabili ex art. 2, 3° comma,

c.p.: di recente, su questa problematica, v. F.C. Palazzo, Introduzione ai principi del diritto penale, Torino, 1999, 304 ss.; B. Romano, Il rap

porto tra norme penali, Milano, 1996, 68 ss.; con analoga prospettiva di portata generale, ma con diretta considerazione anche delle questioni sollevate dalla riforma del diritto penale tributario, v. altresì M. Musco,

op. cit., 33 ss.). Come implicitamente confermato dalle complesse divergenze inter

pretative risolte da queste due nuove sentenze delle sezioni unite, al ri

guardo permane infatti la difficoltà di individuare una univoca linea di

interpretazione. Linea di interpretazione che, a ben vedere, non appare di fatto chiaramente enucleabile neppure muovendo da una compara zione diretta di quanto in concreto affermato nell'ambito delle pur pre

gevoli motivazioni di queste stesse decisioni.

Nel primo caso le sezioni unite sembrano infatti essersi ispirate ad

una impostazione del problema che, solo in parte distaccandosi da

quanto a suo tempo emerso nell'ambito di altra importante decisione a

sezioni unite (v. Cass., sez. un., 20 giugno 1990, Monaco, Foro it.,

1990, II, 637, con nota di Fiandaca, Questioni di diritto transitorio in

seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di

ufficio), se, da un lato, pare attribuire minore rilievo al criterio della

c.d. «continuità del tipo d'illecito» (fondato sul parametro della mante

II Foro Italiano — 2001.

I

Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza in data 2 feb

braio 1995, il Tribunale di Roma dichiarava Sagone Riccardo colpevole del reato di cui all'art. 1, 1° comma, 1. 7 agosto 1982

n. 516 (capo A della rubrica) e del reato di cui all'art. 1, ultimo

comma, 1. cit. (capo B), condannandolo, unificati i reati sotto il

vincolo della continuazione, alla pena di mesi cinque di arresto

e lire 12.000.000 di ammenda, applicando altresì le pene acces

sorie di cui all'art. 7 1. cit. All'imputato, nella sua qualità di amministratore della Doppia esse s.r.l., veniva addebitato di

avere omesso di presentare la dichiarazione, ai fini delle impo ste dirette per l'anno 1991, di quanto percepito dalla suddetta

società per la vendita, effettuata in data 13 maggio 1991, di uno

stabilimento tipografico per un importo complessivo di lire

6.688.712.000, portato in diciotto fatture emesse nei confronti

della Palladio s.r.l., e veniva altresì addebitato di avere omesso,

per l'anno 1991, di istituire le scritture contabili obbligatorie. A seguito di appello dell'imputato, la Corte d'appello di Ro

ma, con sentenza in data 30 aprile 1999, confermava l'im

pugnata decisione.

2. - Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cas

sazione il Sagone, il quale, con primo motivo, deduce erronea

applicazione della legge penale in relazione ad una prova deci

siva, assumendo in relazione al reato di cui all'art. 1,1° comma,

1. 516/82 di avere regolarmente presentato la dichiarazione ed

nuta omogeneità sia del bene protetto, che delle modalità offensive

della condotta), a favore di una più netta affermazione del c.d. criterio

della «continenza» (fondato sul riconoscimento di un rapporto di conti

nuità normativa ogni qual volta sia ravvisabile una situazione di interfe

renza e/o di specialità fra le due disposizioni di volta in volta conside

rate), dall'altro tende tuttavia a dare ancora ampio rilievo anche ad una

verifica della mantenuta punibilità del fatto concreto. Nella motivazio

ne della seconda sentenza in epigrafe si afferma, infatti, che «deve ri

conoscersi un fenomeno successorio, con conseguente applicazione dell'art. 2, 3° comma, c.p., quando, all'esito della comparazione e del

raffronto tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle fatti

specie incriminatrici, persiste, anche se mutato, il giudizio di disvalore

astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispet tive decisioni, e il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile

nel suo nucleo essenziale, secondo le regole proprie del concorso appa rente di norme, ad una diversa e più mite categoria d'illecito, tuttora

penalmente rilevante».

In dottrina, la legittimità della valorizzazione delle caratteristiche

concrete del fatto è stata di recente rivalutata (v. Pagliaro, La legge

penale tra irretroattività e retroattività, in Giust. pen., 1991, II, 1 ss.),

ma, nell'insieme, è stata dai più fortemente contestata in ragione di

possibili implicazioni contrarie al principio di irretroattività (sul punto, v., in generale, Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte generale, Bolo

gna, 1995, 77 ss.; M. Romano, Commentario sistematico del codice pe nale,, Milano, 1995,1, sub art. 2, n. 14 ss.).

Soluzioni molto più radicali e drastiche risultano al contrario emer

gere dalla prima sentenza in rassegna, con la quale le sezioni unite

sembrano essersi uniformate ad un orientamento minoritario anche in

dottrina, seppur autorevolmente ed efficacemente sostenuto, in forza

del quale, ferma la ribadita esigenza di un diretto rapporto di specialità fra le due disposizioni a confronto, si ritiene che «se gli elementi ulte

riori della fattispecie risultano eterogenei, e cioè non identici e non ri

ducibili l'uno all'altro sul piano del rapporto da generale a speciale, o

viceversa», deve comunque ammettersi un fenomeno di abolitio crimi

nis, giacché la legge successiva risulta prevedere «un fatto che come

tale non può mai essere ricondotto alla disposizione abrogata» (v. Pa

dovani, Tipicità e successione di leggi penali. La modificazione legi slativa degli elementi della fattispecie incriminatrìce o della sua sfera di applicazione, nell'ambito dell'art. 2, 2° e 3" comma, c.p., in Riv. it.

dir. e proc. pen., 1982, 1370). Di recente, a conferma delle notevoli incertezze applicative che

emergono dalla giurisprudenza della Suprema corte in ordine alla deli

mitazione dei casi di piena abolitio criminis rispetto a quelli di mera

modificazione normativa, v. altresì le controverse indicazioni emergenti dalla questione relativa agli effetti dell'avvenuta abrogazione del de

litto di oltraggio, ex art. 341 c.p., da parte dell'art. 18 1. 25 giugno 1999

n. 205: con conclusioni contrastanti rispetto alla mantenuta riconduci

bilità dei fatti pregressi alla disposizione relativa al delitto di ingiuria, ex art. 594 c.p., v., ad esempio, Cass. 2 dicembre 1999, Licata, Ced

Cass., rv. 215474; 11 aprile 2000, Speranza, 10 marzo 2000, Piccolo, e

28 gennaio 2000, Marini, Foro it., 2000, II, 593, con nota di Giammona

[A. Melchionda]

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PARTE SECONDA

assumendo altresì, quanto al reato di cui all'art. 1, 6° comma, 1.

cit., di avere informato guardia di finanza e procura della repub blica che la prescritta documentazione era stata consegnata a

tale Cavalli Giuseppe; con secondo motivo deduce manifesta

illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessio

ne delle circostanze attenuanti generiche. 3. - Il ricorso, assegnato alla terza sezione penale della Corte

di cassazione, è stato rimesso da quest'ultima alle sezioni unite

con ordinanza del 14 giugno 2000.

L'ordinanza suddetta premette che la trattazione del presente ricorso deve essere necessariamente preceduta dalla valutazione

dei reati fiscali oggetto di giudizio alla stregua delle disposizio ni introdotte dal d.leg. 10 marzo 2000 n. 74 (che ha riformato il

sistema penale-tributario in attuazione dell'art. 9 1. 25 giugno 1999 n. 205), al fine di verificare — tenuto conto che il nuovo

testo normativo non contiene un regime transitorio di raccordo e

che l'art. 24 d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507 ha abrogato il prin

cipio di ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanzia rie posto dall'art. 20 1. 7 gennaio 1929 n. 4 — se i fatti conte

stati, già incriminati ai sensi del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, con vertito, con modificazioni, nella 1. 7 agosto 1982 n. 516, man

tengano rilevanza penale anche dopo la riforma e l'abrogazione

espressa del titolo I della stessa 1. n. 516 (art. 25, 1° comma, lett. d, d.leg. 74/00).

L'ordinanza di rimessione, alla luce del criterio del rapporto strutturale delle norme integrato da quello della continenza, ri

tiene che la fattispecie già sanzionata dall'art. 1, 6° comma, 1. 7

agosto 1982 n. 516 (omessa o irregolare tenuta o conservazione

delle scritture contabili) sia sicuramente depenalizzata ai sensi

dell'art. 9 1. 25 giugno 1999 n. 205 e del d.leg. 10 marzo 2000

n. 74, perché nel nuovo sistema penale-tributario degrada a me

ra modalità di estrinsecazione di una condotta, che, solo unita

mente ad altri elementi, integra una diversa fattispecie di reato

tributario. Con riguardo al reato di omessa presentazione della dichiara

zione dei redditi o Iva, già sanzionato dall'art. 1, 1° comma, 1.

516/82, rileva, invece, la sussistenza di divergenze interpretati ve in ordine alla sostenibilità di una permanente criminalizza

zione delle condotte già sanzionate ai sensi dell'art. 1,1° com

ma, 1. 516/82. Correlativamente ha ritenuto, attesa la particolare rilevanza della questione e l'elevata probabilità di contrasti, di

dirimere gli stessi in via preventiva rimettendo appunto il ricor

so alle sezioni unite. La suddetta ordinanza evidenzia l'assenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un orientamento univoco

in ordine alla questione concernente la verifica della continuità

normativa, nell'ipotesi di abrogazione di una norma incrimina

trice, in quanto sul tema si procede a combinare i vari criteri

suggeriti dalla dottrina, utilizzando ora il criterio della conti

nuità del tipo di illecito, ora quello del rapporto di continenza

tra nuova e vecchia fattispecie, ora quello del rapporto struttu

rale tra le fattispecie, quest'ultimo anche in combinazione con il

criterio di continenza; quindi enuclea i termini del contrasto in

terpretativo con riguardo alla fattispecie in esame. Rileva che in

dottrina e nelle prime applicazioni giurisprudenziali si sono ma

nifestate difformi opinioni circa la sostenibilità di una perma nente criminalizzazione delle condotte già sanzionate ai sensi

del citato art. 1, 1° comma, 1. 516/82. La possibilità di configu rare una continuità normativa (di tipo illecito) con il reato di cui

all'art. 5 d.leg. 10 marzo 2000 n. 74 viene esclusa con riferi

mento alla natura delittuosa della nuova fattispecie incriminatri

ce, alla diversa struttura del suo profilo soggettivo, essendo ri

chiesto il dolo specifico, all'esistenza di una soglia di punibilità commisurata all'imposta evasa e dunque ontologicamente di

versa da quella prevista nella previgente contravvenzione, che

era riferita agli imponibili sottratti all'imposizione, nonché alla

violazione dell'art. 521 c.p.p. in caso di mancata contestazione

della specifica finalità di evasione delle imposte e dell'ammon

tare dei tributi effettivamente evasi.

L'affermazione della continuità normativa, al contrario, si fonda sulle considerazioni che l'omessa contestazione espressa del dolo specifico di evadere l'imposta e dell'ammontare effet

tivo del tributo evaso non determina una violazione dell'art. 521

c.p.p. tutte le volte in cui l'ammontare dell'imposta evasa risulti

dagli atti a conoscenza dell'imputato e dagli atti medesimi si

evinca comunque l'esistenza del dolo di evasione anche se non

Il Foro Italiano — 2001.

perseguito in via esclusiva, oppure tali circostanze appaiano, sia

pure in maniera implicita, contestate nell'imputazione oppure abbiano, comunque, formato oggetto della difesa, giacché detti

elementi non si pongono in rapporto di eterogeneità o di incom

patibilità con i contenuti del precedente addebito, ma ne costi

tuiscono la normale conclusione, tanto più che secondo unanime

giurisprudenza di questa corte, la violazione dell'art. 521 c.p.p. richiede una trasformazione radicale del fatto nei suoi elementi

essenziali, in modo tale che il fatto ritenuto in sentenza si trovi

rispetto a quello contestato in rapporto di ontologica eteroge neità e incompatibilità, non potendosi basare la correlazione tra

accusa contestata e ritenuta nella decisione sul mero confronto

letterale tra imputazione e sentenza (Cass., sez. Ili, 29 maggio 2000, n. 6228, Bellavia). Si aggiunge, infine, nell'ordinanza di rimessione, che la previsione di una soglia quantitativa di rile

vanza penale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa, implica una complessa operazione di calcolo che va ben oltre la verifica

dell'omessa indicazione di elementi di facile accertamento e

comporta la considerazione di costi, ammortamenti, detrazioni

di imposta e di quant'altro incide sulla determinazione dell'im

ponibile e del conseguente tributo.

Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle se

zioni unite penali fissando per la trattazione l'odierna udienza

pubblica. Motivi della decisione. — 1. - La questione controversa sotto

posta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se do

po l'entrata in vigore del d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, sia, o non,

configurabile una continuità normativa tra la disciplina penale avente ad oggetto l'omessa presentazione della dichiarazione

annuale ai fini delle imposte sul reddito o di quella del valore

aggiunto, così come risultante, rispettivamente, dall'art. 1, 1°

comma, d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazio

ni, nella 1. 7 agosto 1982 n. 516 e dall'art. 5 d.leg. 10 marzo

2000 n. 74, anche avuto riguardo alla diversa soglia quantitativa di rilevanza penale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa.

Sul tema si sono delineati due indirizzi contrapposti nella giu

risprudenza di legittimità. Nel senso che non è configurabile un rapporto di continuità

tra la contravvenzione di cui all'abrogato art. 1, 1° comma, d.l.

10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, nella 1. 7

agosto 1982 n. 516 ed il delitto di cui all'art. 5 d.leg. 10 marzo

2000 n. 74, si sono espresse Cass., sez. Ili, 5 luglio 2000, Gal

vagno, dep. 29 settembre 2000, n. 2706, e 5 luglio 2000, Grotti,

dep. 29 settembre 2000, n. 2705. Secondo tali decisioni non è

configurabile un rapporto di continuità fra la contravvenzione di

cui all'abrogato art. 1, 1° comma, 1. 516/82 ed il delitto di cui

all'art. 5 dell'attuale d.leg. 74/00.

L'assenza di continuità tra le due fattispecie viene principal mente ravvisata nel fatto che —

pur prevedendo entrambe le

norme come reato la mancata presentazione di una delle pre scritte dichiarazioni annuali in materia di imposte dirette o im

posta sul valore aggiunto — esse sono diversamente caratteriz

zate e dette diversità attengono ad elementi costitutivi tipici che

disegnano l'identità del «fatto». Si tratta della natura dell'ille

cito contemplato dalle due norme — contravvenzione nella vec

chia norma, delitto nella nuova — e della previsione in que st'ultima del dolo specifico preordinato alla realizzazione del

l'evento, costituito dall'evasione d'imposta in misura non infe

riore a centocinquanta milioni di lire.

Secondo un diverso orientamento, invece, la continuità tra la

vecchia e la nuova normativa non è esclusa: dalla diversa natura

dell'illecito (contravvenzione nella previgente normativa, de

litto in quella vigente); dall'innalzamento delle soglie di puni bilità; dalla previsione del dolo specifico (cfr. sez. Ili 28 aprile 2000, Masengo, dep. 14 giugno 2000, n. 1666; 9 maggio 2000, Ceraso, dep. 3 luglio 2000, n. 1804).

Numerose altre decisioni, pur non affrontando direttamente il

problema della continuità normativa, hanno tuttavia ritenuto, con ciò implicitamente affermandola, che l'omessa dichiarazio

ne integra gli estremi del reato ora punito dall'art. 5 d.leg. 74/00, solo se ed in quanto abbia determinato una evasione

d'imposta superiore a centocinquanta milioni di lire, mentre, nel

caso in cui detta soglia non viene raggiunta, il fatto non è più

previsto dalla legge come reato (cfr. sez. Ili 2 maggio 2000,

Palazzo, dep. 4 giugno 2000, n. 1685; 17 maggio 2000, Catan

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GIURISPRUDENZA PENALE

zara, dep. 27 luglio 2000, n. 1925; 21 giugno 2000, Pezzoni, dep. 2 ottobre 2000, n. 2529; 20 giugno 2000, Ricchiuti, dep. 11 ottobre 2000, n. 2499; 20 giugno 2000, Bianco, dep. 19 settem

bre 2000, n. 2491; 18 aprile 2000, Bollettino, dep. 7 giugno

2000, n. 1585; 28 giugno 2000, Castagna, dep. 27 settembre

2000, n. 2643; 23 giugno 2000, Felici, dep. 29 settembre 2000, n. 2569; 15 giugno 2000, Fenici, dep. 21 settembre 2000, n.

2555; 15 giugno 2000, Di Palma, dep. 27 settembre 2000, n. 2374; 3 maggio 2000, Di Matteo, dep. 7 giugno 2000, n. 1828; 8

giugno 2000, Citton, dep. 7 settembre 2000, n. 2274; 13 giugno 2000, Graziano, dep. 2 agosto 2000, n. 2396). In alcuni casi si è evidenziata la complessità delle operazioni di calcolo determi

nate dalla previsione di una soglia quantitativa di rilevanza pe

nale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa (cfr. sez. Ili 14

giugno 2000, Strallo, dep. 18 settembre 2000, n. 2371; 27 giu gno 2000, Soraci, dep. 21 settembre 2000, n. 2551), mentre in

un caso specifico il reato di cui all'art. 1, 1° comma, 1. 516/82 è

stato considerato «non previsto come reato» in considerazione

del fatto che, mentre è stato ritualmente contestato l'ammontare

dei ricavi non dichiarati, non risulta contestata un'evasione

d'imposta che non può essere ricavata altrimenti (cfr. sez. Ili 17

maggio 2000, Germini, dep. 21 luglio 2000, n. 1913). 2. - L'orientamento giurisprudenziale che afferma la conti

nuità tra la vecchia e la nuova normativa non può essere condi

viso.

Le sezioni unite hanno recentemente affrontato i problemi di

diritto intertemporale tra il d.leg. 74/00 e la previgente 1. 516/82

in relazione all'esistenza, o meno, di una continuità normativa

tra il reato di cui all'art. 4, 1° comma, lett. d), 1. 516/82 (utiliz

zazione di fatture per operazioni inesistenti) e la nuova fattispe cie di cui all'art. 2 d.leg. 74/00 (dichiarazione fraudolenta nella

quale ci si avvalga di fatture per operazioni inesistenti), perve nendo all'esclusione di detta continuità (cfr. sez. un. 25 ottobre

2000, Di Mauro, dep. 7 novembre 2000, n. 27, in questo fasci

colo, II, 143). Tale decisione, pur concernendo fattispecie diverse da quella

in esame, stabilisce tuttavia criteri ermeneutici applicabili, ov

viamente, anche al caso in esame. Premette, infatti, che — dopo

l'abolizione del principio di ultrattività delle leggi penali tribu tarie ad opera dell'art. 24, 1° comma, d.leg. 30 dicembre 1999

n. 507 (attuativo del criterio direttivo fissato dall'art. 6, 1°

comma, 1. delega 205/99) e in assenza di norme disciplinanti il

regime transitorio tra la vecchia e la nuova normativa — il pro blema dell'individuazione della norma incriminatrice applica bile ai fatti anteriormente commessi deve essere risolto alla

stregua delle regole fondamentali del diritto intertemporale in

materia penale dettate dall'art. 2 c.p. Non è infatti sufficiente a

risolvere il problema l'uso da parte del legislatore di una espres sa formula abrogativa rispetto a preesistenti fattispecie incrimi

natrici (l'art. 25, 1° comma, lett. d, d.leg. 74/00 abroga il titolo I

della 1. 516/82). Ciò posto, evidenzia come la ratio della nuova

normativa abbia inteso realizzare un nuovo sistema penale tri

butario, imperniato sulla repressione penale limitata ai fatti ca

ratterizzati da rilevante offensività per gli interessi dell'erario,

superando in tal modo il vecchio sistema posto a base della pre

vigente 1. 516/82, fondato su un modello di tutela anticipata, ca

ratterizzato dalla repressione di violazioni strumentali e pro dromiche ad una falsa dichiarazione e alla evasione di imposta, con conseguente incompatibilità tra i due sistemi.

la. - Il rilievo è determinante ai fini della soluzione della

questione oggetto del decidere. Difatti, pur prevedendo come

reato, sia l'art. 1, 1° comma, 1. 516/82 che l'art. 5 d.leg. 74/00,

la mancata presentazione della dichiarazione in materia di im

poste dirette o dell'Iva, le norme in questione sono diversa

mente caratterizzate, attenendo le divergenze ad elementi costi

tutivi tipici che disegnano l'identità del fatto, costituiti, quanto alla nuova normativa, dal dolo specifico di evadere l'imposta,

dalla volizione di un'evasione di imposta superiore a centocin

quanta milioni di lire dall'evento di danno per l'erario, costi

tuito dall'evasione effettiva di centocinquanta milioni di lire,

mentre la previgente normativa sanziona la semplice condotta

omissiva, anche se connessa a mera colpa, commisurando la pe

na non all'ammontare dell'imposta evasa, ma all'ammontare

degli imponibili non dichiarati. Evidente è, pertanto, la disomogeneità strutturale delle due

fattispecie.

Il Foro Italiano — 2001.

L'illecito previsto dalla nuova normativa costituisce un de

litto, il cui elemento soggettivo è rappresentato dal dolo specifi co preordinato alla realizzazione dell'evento, costituito dall'e

vasione dell'imposta in misura non inferiore a centocinquanta milioni di lire con correlato danno per l'erario.

L'illecito previsto dalla previgente normativa costituisce un

reato contravvenzionale, che si perfeziona con la sola omissione

della dichiarazione, non assumendo rilievo né la positività o ne

gatività del reddito né la quantificazione dell'imposta evasa, as

sumendo rilevanza l'entità del reddito non dichiarato esclusi

vamente ai fini della quantificazione della pena (cfr. sez. Ili 30

giugno 1995, Bosso, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi in genere, n. 1723).

Lo ius superveniens ha introdotto nel fatto illecito, rappre sentato dalla omissione della dichiarazione, elementi costitutivi

nuovi e diversi da quelli previsti dalla previgente norma, di tal

ché non può sostenersi una continuità tra vecchia e nuova nor

mativa in funzione dell'identità dell'interesse protetto, sia per ché il nuovo sistema penale-tributario attua «una vera e propria inversione di rotta, assumendo come obiettivo strategico quello di limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente corre

lati, tanto sul versante oggettivo che su quello soggettivo, alla

lesione degli interessi fiscali, con correlata rinuncia alla crimi

nalizzazione delle violazioni meramente «formali» e «prepara torie» (cfr. relazione governativa al d.leg. 74/00), sia perché non

può parlarsi di continuità nella successione tra norme quando uno o più elementi normativi tipici di identificazione del fatto siano tra loro eterogenei.

3. - La circostanza che il legislatore abbia previsto per il fat

to-reato l'introduzione di elementi costitutivi nuovi e diversi

comporta una frattura tra l'originaria figura contravvenzionale

di omessa dichiarazione fiscale, scissa dall'intento di evasione,

e la nuova figura di omessa dichiarazione, connessa al perse

guimento dello scopo di evasione, attuato mediante il raggiun

gimento della soglia quantitativa di centocinquanta milioni di

lire che sia stata oggetto di previa volizione.

Alla luce di quanto sopra evidenziato, ritenere, in accogli mento della tesi della continuità tra le due normative, che l'o

messa dichiarazione integra gli estremi del reato ora punito dal

l'art. 5 d.leg. 74/00, solo ed in quanto abbia determinato una

evasione d'imposta superiore a centocinquanta milioni di lire e

che non essendosi raggiunta detta soglia il fatto non è più previ sto dalla legge come reato, comporterebbe, sotto l'aspetto pro

cessuale, la violazione del principio di correlazione tra accusa e

sentenza stabilito dall'art. 521 c.p.p., che sussiste quando il

fatto ritenuto in sentenza si trovi in rapporto di eterogeneità o

incompatibilità sostanziale con l'imputazione contestata. Non

può trascurarsi dal considerare infatti che, a differenza del pre

vigente reato contravvenzionale, il nuovo delitto di omessa di

chiarazione prevede il dolo specifico dell'evasione dell'imposta

nell'ammontare stabilito dalla legge, che deve formare oggetto di contestazione specifica. Ciò impedisce la possibilità di valu

tare a posteriori se il fatto, già integrante una contravvenzione

punibile sia a titolo di colpa che di dolo, sia stato posto in essere

allo scopo di perseguire un risultato di evasione, non potendosi attribuire rilevanza ad un elemento costitutivo del reato non

previsto dalla originaria fattispecie. Ciò posto, è impraticabile l'orientamento giurisprudenziale

che sostiene la continuità tra le due fattispecie, considerato che

detta continuità concerne ipotesi di passaggio da una norma

speciale a una norma generale ove quest'ultima comprenda il

contenuto tipico della precedente, ma non l'ipotesi contraria co

stituita dal passaggio, come nel caso in esame, da una norma

generale ad una norma speciale che introduce elementi nuovi

caratterizzanti non previsti dalla norma previgente. In conclusione, la rilevata frattura tra la previgente e l'attuale

normativa, comporta che l'art. 5 d.leg. 74/00 non possa trovare

applicazione retroattiva, perché gli elementi costitutivi del reato

in esso previsti non integrano gli estremi della precedente nor

ma incriminatrice. Conseguentemente, nella fattispecie in esame

si versa nell'ipotesi dell'abolitio criminis prevista dall'art. 2, 2°

comma, c.p. 4. - Alla luce dei criteri sopra evidenziati, deve ritenersi che

anche il reato di cui all'art. 1, 6° comma, 1. 516/82 (omessa o ir

regolare tenuta o conservazione delle scritture contabili), conte

stato all'imputato al capo B) della rubrica, a seguito dell'abro

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PARTE SECONDA

gazione del titolo I della 1. cit. ad opera dell'art. 25, 1° comma,

lett. d), d.leg. 74/00, non sia più previsto dalla legge come reato.

La condotta incriminata dalla norma in questione costituisce,

infatti, una di quelle violazioni formali o preparatorie che il le

gislatore, nel riformare il sistema penale-tributario ha rinunciato

a criminalizzare in quanto non direttamente correlata alla lesio

ne di interessi fiscali. Essa, di per sé, non trova riscontro alcuno

nelle previsioni del d.leg. 74/00, e può tutt'al più costituire un

elemento integrante, solo unitamente ad altri, una diversa fatti

specie di reato tributario.

5. - Tutto ciò premesso, si impone l'annullamento senza rin

vio dell'impugnata sentenza perché i fatti ascritti all'imputato

Sagone Riccardo non sono più previsti dalla legge come reato.

II

Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza del 22 gen

naio 1999 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma di

quella 13 maggio 1997 del locale tribunale, nell'assolvere gli

imputati dai delitti di emissione di fatture relative ad operazioni

inesistenti, ribadiva l'affermazione di responsabilità e la con

danna di Di Mauro Nicola per i delitti di frode fiscale di cui al

l'art. 4, 1° comma, lett. d) e/), 1. n. 516 del 1982 (mediante uti

lizzazione di fatture per operazioni inesistenti e corrispondente indicazione nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1991 e 1992 di componenti negativi in misura diversa da quella effettiva: capi 11 e 12) e per il reato di truffa comunitaria ine

rente alla commercializzazione di olio d'oliva ex art. 640 bis

c.p. (capo 20), e di Ranella Giuseppe, in concorso col Di Mauro,

per i medesimi delitti di frode fiscale (capi 11 e 12), unificati nel vincolo della continuazione; rideterminava altresì la pena

principale complessiva, per il primo, in anni uno e mesi cinque di reclusione e, per il secondo, in mesi nove di reclusione e otto

milioni di lire di multa; confermava per entrambi le pene acces

sorie di legge applicate nel minimo. La corte territoriale riteneva provato che il Ranella, quale le

gale rappresentante della s.r.l. C.d.r., e il Di Mauro, quale pro motore e intermediario della vasta e articolata attività di circola

zione di fatture fittizie facente capo alle società del coimputato

Angelo Prochietto (giudicato separatamente), avevano dapprima «utilizzato» —

capo 11 — quattro fatture emesse nel 1991 dalla

s.a.s. f.lli De Sensi per un imponibile di circa duecentotrentotto

milioni di lire, due fatture emesse nel 1992 dalla s.a.s. Quadri

foglio ed una fattura emessa nel 1992 dalla s.a.s. f.lli De Sensi

per un imponibile complessivo di circa centocinquantotto milio

ni di lire, tutte relative ad operazioni di vendita inesistenti, e poi «indicato» nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni 1991 e 1992, presentate nel maggio 1992 e rispettivamente nel maggio 1993, le suddette fittizie passività come componenti negativi del

reddito portandole fraudolentemente in detrazione (capo 12). Il giudice di merito valorizzava, come elementi di prova, le

precise e attendibili dichiarazioni confessorie ed etero-accu

satorie rese dal Prochietto, riscontrate dalle risultanze investi

gative e dalla documentazione bancaria e fiscale acquisite dalla

guardia di finanza, anche per quanto riguardava la partecipazio ne del Di Mauro agli ulteriori episodi di truffa relativa ai contri

buti comunitari indebitamente erogati per la commercializza

zione di olio d'oliva ad opera delle medesime società del Pro

chietto.

2. - Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassa

zione gli imputati, i quali hanno denunziato:

a) il Di Mauro, la violazione degli art. 63, 2° comma, 191 e

513 c.p.p., in quanto erano state utilizzate a suo carico le dichia

razioni rese dal coimputato Prochietto in sede d'indagini preli minari, non confermate in dibattimento ove lo stesso s'era av

valso della facoltà di non rispondere; il difetto di dolo specifico

per l'avvenuta utilizzazione delle fatture contestate nella conta

bilità e nelle dichiarazioni annuali della ditta facente capo al

Ranella; la mancanza di una condotta artificiosa per il reato di

truffa comunitaria e comunque il difetto di prova di una sua re

sponsabilità concorsuale per questo delitto;

b) il Ranella, l'inutilizzabilità della chiamata in correità del Prochietto e il vizio di motivazione in relazione ai criteri di va

II Foro Italiano — 2001.

lutazione della prova per la ritenuta partecipazione alla frode fi

scale, in particolare per il profilo del dolo specifico di evasione

rispetto al fine alternativo di ottenere indebiti contributi comu

nitari; nonché, per l'aspetto sanzionatorio, l'omessa applicazio ne della continuazione con gli analoghi reati per i quali egli era

già stato condannato con sentenza del Tribunale di Brindisi e

della Corte d'appello di Bologna. 3. - Il ricorso, assegnato alla terza sezione penale della Corte

di cassazione, è stato rimesso da quest'ultima alle sezioni unite

con ordinanza del 5 maggio 2000 sul rilievo dell'esistenza di un

contrasto interpretativo, essendosi affermato, da un lato, che la

dichiarazione fraudolenta nella quale ci si avvalga di fatture per

operazioni inesistenti, contemplata dall'art. 2 d.leg. n. 74 del

2000, costituisce un «elemento specializzante» della pregressa frode fiscale mediante utilizzo di analoghe fatture di cui all'art.

4, lett. d), 1. n. 516 del 1982, con la conseguente riconducibilità

del nuovo precetto alla precedente fattispecie (Cass., sez. Ili, 27

aprile 2000, Bellavia), e, dall'altro, che la condotta di detenzio

ne o registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesi

stenti non integra ormai, di per sé, gli estremi di reato, assu

mendo essa rilevanza penale nell'ambito della nuova fattispecie solo come mezzo del quale l'autore s'avvale per indicare nella

dichiarazione annuale elementi passivi fittizi (Cass., sez. Ili, 2

maggio 2000, Rasi). Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle se

zioni unite penali fissando per la trattazione l'odierna udienza

pubblica. Motivi della decisione. — 1. - Nel corso dell'odierna udienza

pubblica il procuratore generale ha sostenuto che le sezioni

unite — ai sensi dell'art. 142 disp. att. c.p.c., norma a suo avvi

so di portata generale, applicabile sia nel procedimento civile

che in quello penale — dovrebbero limitarsi ad esaminare la

sola questione di diritto oggetto di contrasto giurisprudenziale,

disponendo poi la restituzione degli atti alla sezione rimettente

per la decisione relativa agli altri motivi di gravame. La richiesta non può trovare accoglimento per le ragioni già

esplicitate da queste sezioni unite nella recente sentenza 21 giu

gno 2000, Primavera, in cui si è sottolineato come, per la speci fica autonomia della disciplina propria del rito civile, non sia

consentito ipotizzare l'applicazione estensiva al rito penale della sequenza dicotomica — eccezionalmente —

prevista dal

l'art. 142 disp. att. c.p.c. Mette conto altresì di rilevare: — che, eliminate le previgenti

ipotesi di attribuzione predeterminata del procedimento alle se

zioni unite penali, il meccanismo di assegnazione immediata (da

parte del presidente della corte, quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti

insorti tra le decisioni delle singole sezioni: art. 610, 2° comma,

c.p.p.) o di rimessione (da parte della sezione, quando la que stione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo o può dar

luogo a un contrasto giurisprudenziale: art. 618 c.p.p.) alle se

zioni unite è funzionale alla decisione del «ricorso», e non di

una o più questioni tra quelle dedotte con i motivi di gravame; — che la restituzione alla sezione del ricorso già rimesso alle

sezioni unite è consentita solo quando siano stati assegnati alle

sezioni unite altri ricorsi sulla medesima questione o il contrasto

giurisprudenziale risulti superato (art. 172, 1° comma, disp. att.

c.p.p.); — che nella tipologia delle sentenze che la Corte di cas

sazione pronunzia ai sensi degli art. 615 ss. c.p.p. non è con

templato uno specifico tipo di deliberazione, riservato alle se

zioni unite, come quello prospettato dal procuratore generale; —

che, infine, quando il ricorso è stato rimesso alle sezioni unite, la sentenza enuncia «sempre» il principio di diritto sul quale si

basa la decisione, sia essa di rigetto del ricorso, di rettificazione, di annullamento con rinvio o di annullamento senza rinvio della

sentenza impugnata (art. 173, 3° comma, disp. att. c.p.p.). La descritta trama normativa sembra pertanto confermare che

— anche per evidenti esigenze di efficienza e funzionalità del

sistema processuale penale —, le sezioni unite, una volta che il

ricorso sia stato ad esse assegnato o rimesso, sono chiamate a

pronunziarsi su tutte le questioni dedotte, non solo in merito alla

specifica questione di speciale importanza ovvero oggetto di

contrasto giurisprudenziale. 2. - La questione controversa sottoposta all'esame delle se

zioni unite consiste nello stabilire se il delitto finanziario conte

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GIURISPRUDENZA PENALE

stato agli imputati come violazione dell'art. 4, 1° comma, lett.

d), d.l. n. 429 del 1982, convertito in 1. n. 516 del 1982 (utiliz zazione di fatture per operazioni inesistenti) conservi tuttora ri

levanza penale, nonostante l'espressa abrogazione del titolo I di

questa legge ad opera dell'art. 25, 1° comma, lett. d), d.leg. 10

marzo 2000 n. 74, recante la nuova disciplina dei reati in mate

ria di imposte sui redditi e sul valore aggiunto secondo l'art. 9 1.

delega 25 giugno 1999 n. 205. Sul tema si contrappongono due indirizzi interpretativi nella

giurisprudenza di legittimità. Da un lato, si ravvisa una sorta di continuità normativa fra

l'ipotesi sanzionata dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 e la

nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di

fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art.

2 d.leg. n. 74 del 2000 (Cass., sez. Ili, 27 aprile 2000, Bellavia, cit.), sull'assunto che la dichiarazione annuale fraudolenta con

templata da quest'ultima disposizione costituisce un «elemento

specializzante» della pregressa ipotesi di frode fiscale, la cui

volizione e rappresentazione è già insita nella condotta utilizza

trice, almeno a titolo di «dolo eventuale».

Si afferma, in senso contrario, che l'originaria fattispecie

prevista dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 di utilizzazione, consistita nella detenzione a fine di prova o nella registrazione nelle scritture contabili obbligatorie di fatture o altri documenti

per operazioni inesistenti, che non abbiano però costituito il

supporto documentale per l'indicazione di elementi passivi fitti

zi nella dichiarazione fraudolenta, resta priva, di per sé sola, di

rilevanza penale e non è più configurabile come reato, poiché la

sanzione, secondo la chiara formulazione dell'art. 2 d.leg. n. 74

del 2000, risulta oggi ancorata esclusivamente al momento della

dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o sul va

lore aggiunto, nel quale si realizza il presupposto obiettivo del

l'evasione d'imposta e la concreta offesa degli interessi connes

si al prelievo fiscale (Cass., sez. Ili, 10 luglio 2000, Baietta; 31 maggio 2000, Bosco; 18 maggio 2000, Dall'Anese; 2 maggio

2000, Rasi, cit.). Le sezioni unite, premesso che la prima tesi interpretativa

collide sia con la formulazione letterale della disciplina positiva sia con la univoca volontà del legislatore, il quale disegna il fe

nomeno in termini di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale-tributaria, condividono l'oppo

sto, più rigoroso, indirizzo giurisprudenziale per le seguenti ra

gioni di ordine logico-sistematico. 3. - Mette conto innanzi tutto di osservare che l'art. 24, 1°

comma, d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507, in attuazione del crite

rio direttivo fissato dall'art. 6, 1° comma, lett. d), 1. delega n.

205 del 1999 e al fine di adeguare l'ordinamento di settore a

consolidati principi di civiltà giuridica, ha abolito il principio di ultrattività delle leggi penali tributarie già posto dall'art. 20 1. 7

gennaio 1929 n. 4, né d'altra parte il nuovo testo di riforma del

sistema penale-tributario contiene alcuna disposizione di diritto

intertemporale quanto al regime transitorio per i processi in cor

so.

Di talché, il problema dell'individuazione della norma incri minatrice applicabile ai fatti anteriormente commessi dev'essere

risolto alla stregua delle regole fondamentali del diritto inter

temporale in materia penale dettate dall'art. 2 c.p., che, ispiran dosi al superiore canone del favor rei, differenzia l'ipotesi della

vera e propria abolitio criminis (2° comma) da quella della suc

cessione di leggi penali incriminatrici (3° comma); mentre l'art.

673 c.p.p., nel caso di «abolizione del reato», conseguente ad

abrogazione o dichiarazione d'illegittimità costituzionale della

norma incriminatrice, attribuisce al giudice dell'esecuzione, con

una disposizione fortemente innovativa, la potestà di revocare la

sentenza irrevocabile di condanna, dichiarando che «il fatto non

è previsto dalla legge come reato».

È assolutamente pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che

per risolvere i complessi dubbi interpretativi circa la concreta

configurabilità della prima o della seconda ipotesi non sia af fatto sufficiente l'uso da parte del legislatore di un'espressa formula abrogativa rispetto a preesistenti fattispecie incrimina

trici, perché, in tanto può dirsi che si sia realizzata una vera e

propria abolizione del reato, in quanto per l'oggettiva perdita di

disvalore del fatto il legislatore sia pervenuto ad una valutazione

di totale inoffensività e di piena liceità della condotta origina

li. Foro Italiano — 2001.

riamente incriminata (cfr., per talune recenti, sia pure contrad

dittorie, applicazioni del principio, Cass., sez. I, 11 aprile 2000, Hattab; sez. VI 28 gennaio 2000, Marini, Foro it., 2000, II, 595; sez. V 14 ottobre 1999, Ghezzi, ibid., 236; sez. I 12 gennaio 1999, Gastaldi, id., Rep. 1999, voce Straniero, n. 58).

Deve invece riconoscersi un fenomeno successorio, con con

seguente applicazione dell'art. 2, 3° comma, c.p., quando, all'e

sito della comparazione e del raffronto tra gli elementi struttu

rali del contenuto normativo delle fattispecie incriminatrici, per siste, anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per ef

fetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive

previsioni, e il significato lesivo del fatto storico sia riconduci

bile nel suo nucleo essenziale, secondo le regole proprie del

concorso apparente di norme, ad una diversa e più mite catego ria d'illecito, tuttora penalmente rilevante, nonostante ed anzi

proprio in conseguenza dell'intervento legislativo che, benché

formalmente abrogativo, di fatto modifica l'ambito di applica bilità della previgente e diversa norma incriminatrice.

In tal caso, i fatti integranti reato sotto il vigore della prece dente previsione possono continuare ad esserlo alla stregua del

nuovo disposto normativo sempre che gli elementi costitutivi

del nuovo reato siano stati chiaramente enunciati nell'imputa zione contestata all'imputato, eventualmente anche a seguito di

rituale modificazione della contestazione (Cass., sez. un., 20

giugno 1990, Monaco, id., 1990, II, 637). 4. - Quanto alla struttura ed agli elementi costitutivi della fro

de fiscale mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesi

stenti, l'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 qualifica come delitti i fatti di utilizzazione di fatture o altri documenti contabili equi

pollenti, ideologicamente falsificati, «per operazioni in tutto o

in parte inesistenti», connotati, da un lato, dal dolo di evasione

fiscale secondo lo schema tipico del dolo specifico, e, dall'altro, dalla lesione dell'interesse al corretto esplicarsi della funzione

di accertamento e dall'esposizione a pericolo dell'interesse fi

nale dell'erario alla riscossione delle imposte effettivamente

dovute dal contribuente, il quale, incrementando fittiziamente

gli acquisti e le spese, riduce l'imponibile sul reddito e sull'Iva

e conseguentemente gli importi da versare all'erario.

La giurisprudenza di questa corte (Cass., sez. un., 3 febbraio

1995, Aversa, id., 1995, II, 340; sez. Ili 14 ottobre 1992, Fattic

cione, id., Rep. 1993, voce Tributi in genere, n. 967; 19 febbraio

1988, Carrozza, id., Rep. 1989, voce Valore aggiunto (imposta), n. 191), circa l'oggettività giuridica del reato, si è più volte pro nunciata nel senso che la condotta illecita di «utilizzazione» può essere integrata da un qualsiasi impiego del documento giuridi camente rilevante e strumentale all'evasione fiscale: costitui

scono modalità di utilizzazione del documento ideologicamente falso sia l'inserimento, l'annotazione e la conservazione di esso

«in corso d'anno» nelle scritture contabili dell'impresa com

promettendone la veridicità, sia la sua esibizione agli uffici fi

nanziari o alla polizia tributaria per eludere i controlli sull'esatta

ricostruzione dei risultati economici della gestione aziendale e

sulla reale capacità contributiva, sia infine la sua allegazione

(necessaria prima del recente esonero del contribuente dall'ob

bligo di allegare documenti alla dichiarazione, secondo la disci

plina dettata dai d.m. 30 marzo 1998 e 25 marzo 1998) all'infe

dele dichiarazione annuale dei redditi o dell'imposta sul valore

aggiunto per fornirne un riscontro di apparente verosimiglianza. L'art. 4, lett./), 1. n. 516 del 1982 prevede, a sua volta, un'i

potesi complessa di frode fiscale costituita dall'«indicare» nella

dichiarazione dei redditi (ma non anche in quella relativa al

l'imposta sul valore aggiunto) ricavi, proventi od altri compo nenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva,

mediante l'utilizzazione di documenti, ideologicamente falsi,

attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, o con altri

comportamenti fraudolenti: la carica di disvalore del delitto è

incentrata nella fraudolenta falsificazione ideologica della di

chiarazione, ma il mendacio dev'essere supportato da una qual siasi forma di uso (nel senso sopra indicato) del documento fal

so, strumentale e propedeutico al contenuto non veritiero della

dichiarazione. Le due ipotesi delittuose, previste rispettivamente dalla lett.

d) e dalla lett./) dell'art. 4 1. n. 516, sono caratterizzate dalla di

versità della condotta («utilizza»; «indica nella dichiarazione

dei redditi ... utilizzando»), dell'oggetto materiale («fatture o

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PARTE SECONDA

altri documenti»; «dichiarazione dei redditi») e della natura

permanente o istantanea del reato: la frode fiscale di cui alla

lett. d) integra, a differenza di quella di cui alla lett./), un'ipote si di reato permanente, posto che la consumazione di esso per dura per tutto il tempo in cui il falso documento resta acquisito nella contabilità con l'intento di compiere la futura evasione fi

scale o di eludere i controlli degli uffici finanziari, e si protrae fino a quando possono esercitarsi detti controlli o fino all'ac

certamento dell'illecito (Cass., sez. un., 3 febbraio 1995, Aver

sa, cit.; 24 novembre 1999, Scrudato, id., 2000, II, 330). E la giurisprudenza di legittimità, insieme con la prevalente

dottrina, sul rilievo della disomogeneità strutturale delle due

fattispecie, della non necessaria consequenzialità dei detti com

portamenti, e inoltre del testuale riferimento dell'attenuante

speciale del 2° comma dell'art. 4 ai plurimi «fatti» previsti nelle

lett. d) e f) del 1° comma, sostiene che le disposizioni normative

ivi dettate descrivono due ipotesi delittuose di frode fiscale, autonome e distinte tra loro anche quando nella consumazione

del delitto di cui alla lett. f) la condotta fraudolenta di supporto all'infedele dichiarazione sia esattamente conforme a quella de

scritta nella lett. d). Nel caso in cui l'utilizzazione di fatture o

altri documenti per operazioni inesistenti si riverberi sul mo

mento dichiarativo finale, mentre non può ravvisarsi un unico

reato, quello di frode in dichiarazione, idoneo per il fenomeno

della progressione criminosa ad assorbire in sé il disvalore del

l'antecedente illecita condotta utilizzatoria, ben può invece con

figurarsi, sia sotto il profilo giuridico-formale che sotto quello fattuale attesa la natura della disposizione a più fattispecie, il

concorso di reati (Cass., sez. Ili, 15 dicembre 1998, n. 1234; 22

novembre 1995, n. 11307; 22 giugno 1990, Corti, id., Rep.

1991, voce Tributi in genere, n. 1467), fatta salva l'ipotesi di

illecita «utilizzazione» nella dichiarazione Iva, sanzionata solo

per il segmento di condotta descritto nella lett. dì). 5. - Conformemente alle direttive dell'art. 9 1. delega n. 205

del 1999, la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui

redditi e sul valore aggiunto di cui al d.leg. n. 74 del 2000 è in

formata al superamento della strategia privilegiata dalla previ

gente normativa, fondata sul modello delle violazioni «prodro miche» ad una falsa dichiarazione e all'evasione d'imposta con

intenti anticipatori di tutela, e, nelle linee generali (sottolineate con inusuale chiarezza e vigore in molteplici passi della relazio

ne governativa che accompagna il decreto), segna una netta in

versione di rotta, imperniandosi viceversa l'intervento repressi vo su un più ristretto catalogo di fattispecie delittuose, conno

tate da rilevante offensività degli interessi connessi al prelievo fiscale e da dolo specifico di evasione d'imposta.

La scelta del modello normativo ha portato a concentrare

l'attenzione sulla dichiarazione annuale prevista ai fini delle

imposte sui redditi o sul valore aggiunto, quale momento essen

ziale di disvalore del fatto, «... nel quale si realizza dal lato del

contribuente il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione

d'imposta...». La violazione dell'obbligo di veritiera prospetta zione della situazione reddituale e delle basi imponibili è al

fondamento, segnatamente, della tipologia criminosa costituente

«l'asse portante» del nuovo sistema punitivo: la dichiarazione

annuale «fraudolenta» che, siccome non soltanto mendace ma

caratterizzata altresì da un particolare «coefficiente di insidio

sità», per essere supportata da un impianto contabile o docu

mentale per operazioni inesistenti, costituisce dunque la fatti

specie commissiva ontologicamente più grave, sanzionata con la

sola pena detentiva, ma rafforzata rispetto al passato.

Quanto alla struttura e agli elementi costitutivi della nuova

ipotesi criminosa di «dichiarazione fraudolenta», l'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, «avvalendosi di fatture o altri

documenti per operazioni inesistenti» (secondo la definizione di

essi data dall'art. 1, lett. a), registrati nelle scritture contabili

obbligatorie o detenuti a fini di prova nei confronti dell'ammi nistrazione finanziaria in sede di successivo accertamento, «in

dica» in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi (giusta la formula definitoria dell'art. 1, lett. b). Il 3° comma della medesima norma prevede un più mite

trattamento sanzionatorio, adeguato alla minore gravità del dan

no erariale, nei casi in cui l'ammontare complessivo degli ele

menti passivi fittizi indicati nella dichiarazione annuale è infe

riore a trecento milioni di lire.

Il Foro Italiano — 2001.

Il delitto, di tipo commissivo e di mera condotta, seppure te

leologicamente diretta al risultato dell'evasione d'imposta (co me precisato nella definizione del dolo specifico di evasione sub

art. 1, lett. d), ha natura istantanea e si consuma con la presenta zione della dichiarazione annuale, non rilevando le dichiarazioni

periodiche e quelle relative ad imposte diverse: con la conse

guenza che il comportamento di utilizzazione, nel senso sopra

specificato, si configura come ante factum meramente strumen

tale e prodromico per la realizzazione dell'illecito, e perciò non

punibile. Si avverte in proposito nella relazione governativa

(par. 3.1.1) come «... l'ampia elaborazione giurisprudenziale e

dottrinale relativa al concetto di utilizzazione di fatture e altri

documenti per operazioni inesistenti, rilevante nell'ottica appli cativa del delitto di frode fiscale di cui all'art. 4 d.l. 429/82 non

sia recuperabile sic et simpliciter in rapporto alla nuova figura di reato, la quale resta integrata non dalla mera condotta di uti

lizzazione, ma da un comportamento successivo e distinto,

quale la presentazione della dichiarazione, alla quale in base alla

disciplina in vigore non dev'essere allegata alcuna documenta

zione probatoria». Particolare rilievo sistematico assumono altresì le disposizio

ni normative degli art. 6 e 9 d.leg. n. 74 del 2000 sul tentativo e,

rispettivamente, sul concorso di persone. In forza del disposto dell'art. 6, il delitto di dichiarazione

fraudolenta previsto dall'art. 2 «non è comunque punibile a ti

tolo di tentativo». La ratio legis, ovvia e trasparente, è quella di

evitare la vanificazione della strategia abolitrice del modello di

reato prodromico mediante la generalizzata applicazione del

l'art. 56 c.p. (relazione governativa, par. 3.1.5), potendosi altri

menti sostenere che la propedeutica registrazione in contabilità

o la detenzione a fine di prova di fatture o altri documenti per

operazioni inesistenti, accertate nel corso del periodo d'imposta, siano teleologicamente dirette in modo non equivoco alla suc

cessiva dichiarazione fraudolenta, come tali punibili ex se a ti

tolo di delitto tentato; s'intende in tal modo favorire nell'inte

resse dell'erario la resipiscenza, anche se non spontanea, del

contribuente, il quale di fronte a un accertamento compiuto nei

suoi confronti nel corso del periodo d'imposta sarà portato a

presentare una dichiarazione veridica e conforme alle risultanze

della verifica fiscale per sottrarsi alla responsabilità penale. Risulta poi autonomamente strutturata la fattispecie criminosa

di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesi

stenti, attività illecita di spiccata pericolosità consistente nel

l'immissione sul mercato di documentazione idonea a supporta re l'indicazione fraudolenta in dichiarazione di elementi passivi fittizi: l'ipotesi criminosa dell'emissione, regolata dall'art. 8, è

dunque punita di per sé, mentre l'utilizzazione «solo in quanto trasfusa in una falsa dichiarazione».

Sotto diverso profilo, il successivo art. 9 esclude, in deroga all'art. 110 c.p., la configurabilità del concorso dell'emittente

nel reato di dichiarazione fraudolenta commesso dall'utilizzato

re e soprattutto, in forza della medesima logica sottesa alla non

configurabilità del tentativo («quella cioè di ancorare comunque la punibilità al momento della dichiarazione fraudolenta evitan

do una indiretta resurrezione del reato prodromico»: relazione

governativa, par. 3.2.1), del concorso dell'utilizzatore nel reato

di emissione anche in caso di preventivo accordo. Di conse

guenza, per l'emittente la successiva utilizzazione da parte di

terzi configura un postfatto non punibile, mentre per l'utilizza

tore, che se ne avvalga nella dichiarazione annuale, il previo ri

lascio costituisce un antefatto pure irrilevante penalmente; del

pari, l'intermediario non potrà considerarsi concorrente in en

trambi i reati ma, a seconda dei casi concreti, in una delle di

stinte ipotesi. 6. - Le linee ispiratrici della riforma, come si desume a chiare

lettere sia dalla reale portata delle disposizioni incriminatrici

che dall'esplicita voluntas legis, segnalano dunque l'incompati bilità del nuovo sistema penal-tributario con il vecchio modello

di tutela anticipata caratterizzato dalla repressione di violazioni

strumentali e prodromiche all'evasione.

Il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione

annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della

fattispecie, e nella lesione dell'interesse erariale all'integrale ri

scossione delle imposte dovute, piuttosto che nella generica tra

sparenza fiscale, l'oggetto giuridico della tutela penale. Sono

per contro private di significato penale-tributario condotte che

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GIURISPRUDENZA PENALE

in passato costituivano la soglia avanzata della strategia sanzio

natoria, come quelle di utilizzazione nel corso dell'anno di fat

ture per operazioni inesistenti, pure astrattamente configurabili come atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione

del delitto di dichiarazione fraudolenta, ma che non rivestono

alcuna rilevanza se il contribuente presenta alla scadenza an

nuale una dichiarazione fedele e veritiera.

La nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta di cui al

l'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000 «assorbe» l'ipotesi prodromica di

utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, già sanzionata

dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982, perché, pur contenendo

alcuni elementi descrittivi del fatto già previsti dalla norma pre

esistente, presenta tuttavia ulteriori elementi non riconducibili

alla precedente figura, postulando in particolare 1'«indicazione»

in dichiarazione di elementi passivi fittizi, non richiesta invece dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516: non mero «elemento specializzan

te», quest'ultimo, virtualmente compreso nella condotta di «uti

lizzazione» sotto il profilo del «dolo eventuale» (come si sostie

ne impropriamente nella citata Cass., sez. Ili, 27 aprile 2000,

Bellavia), ma eterogeneo rispetto alla previgente previsione in

criminatrice.

In considerazione della disomogeneità strutturale delle fatti

specie tipiche, l'art. 25 d.leg. n. 74 del 2000, nell'abrogare e

spressamente, tra l'altro, l'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982, non

ha dunque creato una sorta di continuità punitiva della di

sposizione abrogata con l'attuale art. 2 medesimo d.leg. in tema

di dichiarazione fraudolenta: di guisa che, con riferimento alle

condotte prodromiche di «utilizzazione» di fatture o altri docu

menti per operazioni inesistenti, un tempo integratrici del reato

di cui all'art. 4, lett. d), 1. n. 516, è intervenuta una vera e pro

pria abolitio criminis mediante integrale depenalizzazione della

fattispecie.

L'opposta tesi interpretativa, che ravvisa un fenomeno di me

ra successione di norme incriminatrici, non coglie il profilo fortemente innovativo dello ius superveniens, in ordine all'i

dentificazione della condotta criminosa meritevole di sanzione

penale, e appare perciò priva di fondamento giuridico, finendo

essa in sostanza per perpetuare la vigenza di una figura di reato

incompatibile col nuovo regime normativo e pervenendo al ri

sultato paradossale di attribuire rilevanza penale a un compor

tamento che, se tenuto oggi, sarebbe privo di disvalore e non

costituirebbe reato, in contrasto con i principi ispiratori delle re

gole stabilite in tema di successione delle leggi penali nel tempo

e con il principio di tipicità della condotta incriminata. Le sezioni unite ritengono in definitiva che il secondo degli

indirizzi interpretativi delineati in premessa, condiviso da larga

parte della dottrina, meriti di essere confermato in quanto la

trama argomentativa da cui scaturisce l'opzione abolitrice trova

solida base giustificativa nell'analisi ricostruttiva e nella com

parazione organica degli elementi strutturali delle fattispecie ti

piche. Il procedimento ermeneutico, dopo avere correttamente indi

viduato all'interno della peculiare oggettività giuridica del reato

di cui all'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000 lo stretto collegamento della frode fiscale con il momento dichiarativo finale ed eviden

ziato che le condotte di utilizzazione, meramente strumentali e

preparatorie, sono sprovviste di per sé di valenza penale —

neppure a titolo di tentativo o di concorso dell'utilizzatore con

l'emittente —, ha posto in luce la sostanziale eterogeneità dei

fatti criminosi.

Di talché può enunciarsi il seguente principio di diritto: «le

condotte di utilizzazione di fatture o altri documenti per opera

zioni inesistenti, prodromiche o strumentali rispetto alla frau

dolenta indicazione di elementi passivi fittizi in una delle di chiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore

aggiunto, supportata da tali fatture o documenti, non sono più,

di per sé, previste dalla legge come reato».

7. - Rispetto ai procedimenti penali in corso, come la giuris

prudenza ha avuto modo di chiarire in relazione ad altri casi di

successione di norme incriminatrici, i fatti integranti reato sotto

il vigore della precedente previsione possono continuare ad es

serlo alla stregua di quella nuova, qualora, in concreto, gli ele

menti costitutivi del nuovo reato siano stati chiaramente enun

ciati nell'imputazione contestata all'imputato anche a seguito di

rituale modificazione della contestazione (Cass., sez. un., 20

giugno 1990, Monaco, cit.).

Il Foro Italiano — 2001.

Nei procedimenti penali pendenti, aventi ad oggetto fatti di

«utilizzazione» di fatture o altri documenti per operazioni inesi

stenti già sanzionati dalla previgente disciplina, l'abrogazione dell'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 (diversamente da quanto è

avvenuto per l'ipotesi speculare della «emissione» pure prevista dalla medesima disposizione incriminatrice) comporta pertanto, in forza della regola di diritto intertemporale fissata dal 2°

comma dell'art. 2 c.p., la non punibilità di quei medesimi fatti

che, perseguibili all'epoca della loro commissione come frode

fiscale, non risultano astrattamente inquadrabili oggi nella nuo

va fattispecie criminosa di dichiarazione fraudolenta, disegnata

dall'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000. E però, qualora i dati delle fatture o degli altri documenti per

operazioni inesistenti, utilizzati in corso d'anno, fossero stati

recepiti dal contribuente nella successiva dichiarazione annuale

dei redditi della quale avessero costituito il supporto fraudolento

per la mendace indicazione di componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, dottrina e giurisprudenza ri tenevano integrato, nel vigore della precedente disciplina, in

concorso con l'autonoma ipotesi di cui all'art. 4, lett. d), anche

il diverso e autonomo delitto di frode fiscale ex art. 4, lett. /), 1.

n. 516 del 1982. Orbene, per quest'ultima fattispecie ben può ravvisarsi, stante

l'omologa strutturazione e la sovrapposizione delle due previ

sioni punitive (salvo per quanto attiene all'estensione dell'at

tuale incriminazione alla dichiarazione annuale Iva, rispetto alla

quale non è configurabile un rapporto di successione modifica

tiva tra leggi), una continuità normativa d'illecito con la nuova

ipotesi dell'art. 2, 1° comma, d.leg. n. 74 del 2000, rispetto alla

quale la prima s'atteggia anzi come lex mitior per i profili del

trattamento sanzionatorio e dei termini prescrizionali, sempre

che non ricorra l'ipotesi attenuata prevista dall'art. 2, 3° com

ma, medesimo decreto.

Un'indicazione in tal senso sembra potersi trarre dall'art. 25

dello schema preliminare del d.leg. n. 74 (recante le disposizioni

transitorie per i fatti criminosi pregressi, non riprodotte nello

schema definitivo), secondo cui «continuano ad applicarsi le di

sposizioni del d.leg. n. 429 del 1982» per i fatti previsti dall'art.

4, lett. d), limitatamente all'ipotesi di emissione di fatture o altri

documenti per operazioni inesistenti — e non anche a quella di

utilizzazione — (4° comma, nonché per i fatti previsti dall'art.

4, lett. /, medesimo d.l., a condizione che «il fatto è commesso

utilizzando fatture o altri documenti per operazioni inesistenti»:

5° comma, lett. a). Di talché, per i processi penali in corso nei quali non risulti

contestato anche il delitto di frode fiscale di cui alla lett. /), ben

sì solo quello di cui alla lett. d) dell'art. 4 1. n. 516 del 1982, mentre emerga ex actis il riflesso della condotta di utilizzazione

in una fraudolenta dichiarazione dei redditi, resta riservato alla

pubblica accusa la potestà di contestazione del fatto «nuovo»

attinente al momento dichiarativo, con le relative conseguenze

delineate sul terreno processuale dagli art. 423, 2° comma, e

518 ss. c.p.p.: ovviamente, sub specie dell'ipotesi più favore

vole al reo che potrà essere, di volta in volta, quella di cui al

l'art. 4, lett./), 1. n. 516 del 1982, ovvero quella dell'art. 2, 3°

comma, d.leg. n. 74 del 2000.

8. - Nel caso di specie, le concorrenti violazioni tributarie

contestate agli imputati nei capi 11) e 12), unificate nel vincolo

della continuazione, sono caratterizzate dal duplice e autonomo

contesto della «utilizzazione» — prima

— di plurime fatture per

operazioni inesistenti per gli anni 1991 e 1992, registrate in

contabilità e detenute a fini di prova nei confronti dell'ammini

strazione finanziaria, e della mendace «indicazione» — poi

nelle dichiarazioni dei redditi presentate in riferimento agli stes

si anni, nel maggio 1992 e rispettivamente nel maggio 1993, di

fittizi componenti negativi del reddito ricollegati alla predetta

utilizzazione, per l'ammontare inferiore a trecento milioni di lire

in ciascuna delle due dichiarazioni.

Orbene, se, da un lato, si rileva in ordine all'imputazione di

cui all'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, dall'altro, la concorrente im

putazione di cui all'art. 4, lett./), 1. n. 516 del 1982 può essere

ricondotta alla previsione attenuata dell'art. 2, 3° comma, d.leg.

n. 74 del 2000.

All'esito del confronto fra le due leggi e tenuto essenzial

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PARTE SECONDA

mente conto dei riflessi sul bene primario della libertà persona

le, deve infatti riconoscersi che le previsioni sanzionatone della

disposizione posteriore sono certamente, nel complesso e in

concreto, più favorevoli al reo a norma dell'art. 2, 3° comma,

c.p. (Cass., sez. Ili, 31 maggio 2000, Bosco, cit.): — per la mi

sura edittale della pena principale (reclusione da sei mesi a due anni, a fronte della reclusione da sei mesi a cinque anni con

giunta alla multa da cinque a dieci milioni di lire previste dal

l'art. 4 1. n. 516); — per l'esclusione della pena accessoria del

l'interdizione dai pubblici uffici ai sensi dell'art. 12, 2° comma, d.leg. n. 74, nonostante si rinvengano nell'applicazione della

nuova disciplina modesti elementi svantaggiosi quanto ad alcu

ne delle pene accessorie temporanee elencate nel 1° comma del

medesimo art. 12; — per il più breve termine di prescrizione

(anni cinque secondo le disposizioni generali di cui all'art. 157, 1° comma, n. 4, c.p., a fronte del termine di anni sei previsto

dall'abrogato regime speciale ex art. 9 1. n. 516). Non è d'altra parte ipotizzabile, in relazione alla ritenuta

continuità normativa, alcuna violazione del diritto di difesa, né

tanto meno del principio di correlazione fra imputazione conte

stata e sentenza di cui all'art. 521 c.p.p., risultando specificata nella contestazione originaria la circostanza della «indicazione»

di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni 1991 e 1992, supportata da documentazione ideologica mente falsa, costituita dalle fatture per operazioni inesistenti

elencate nel precedente capo d'imputazione per il profilo della

mera «utilizzazione»: il fatto ritenuto in sentenza non si trova

rispetto a quello contestato in rapporto di ontologica estraneità o

incompatibilità, nel senso che si sia realizzata una sostanziale

trasformazione o sostituzione degli elementi essenziali dell'ad

debito che abbia posto gli imputati in condizione di non potersi difendere.

9.1. - Quanto ai profili, invero generici e meramente fattuali, delle censure di manifesta illogicità della motivazione in ordine

alla valutazione complessiva delle prove di responsabilità in or

dine al delitto di dichiarazione fraudolenta, i ricorsi devono es

sere rigettati. Il giudice di merito, con puntualità di riferimenti ancorati al

nucleo fondamentale delle risultanze del complessivo quadro

probatorio e con motivazione immune da vizi logico-giuridici, ha infatti efficacemente evidenziato: — la sussistenza di con

vergenti fonti probatorie (dichiarazioni accusatorie del coimpu tato Prochietto, documentazione fiscale e bancaria, investiga zioni della guardia di finanza), che smentiscono completamente le prospettazioni di buona fede o di estraneità e confermano in

vece la consapevole e concorrente partecipazione degli imputati alla vicenda criminosa de qua, nei ruoli per entrambi analitica

mente descritti di utilizzatore-dichiarante per il Ranella e di in

termediario per il Di Mauro; — la sussistenza del dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, che

emerge con chiarezza dall'obiettiva utilizzazione, in sede di di chiarazioni annuali, delle fatture corrispondenti ad operazioni inesistenti per conseguire la detrazione di costi non deducibili,

compatibile, per il Di Mauro, con il concorrente dolo proprio della truffa comunitaria ascrittagli nel capo 20.

Occorre ribadire che esula dai poteri di questa corte la rilettu ra della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicità del discorso giustifica tivo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (Cass., sez. un., 30

aprile 1997, Dessimone, id., 1998, II, 90; 24 dicembre 1999, Spina; 21 giugno 2000, Tammaro).

9.2. - Anche gli ulteriori motivi di gravame circa pretese vio

lazioni di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata ri

sultano, oltre che sprovvisti del requisito di adeguata specificità delle ragioni di diritto, prive di pregio alcuno.

Circa la censurata utilizzazione come elemento di prova del

verbale delle dichiarazioni etero-accusatorie del Prochietto (per sona imputata in un procedimento connesso), assunte nelle in

dagini preliminari dalla polizia giudiziaria su delega del p.m. e lette all'udienza del 13 maggio 1997 nel corso del dibattimento di primo grado per essersi questi avvalso della facoltà di non ri

spondere, devesi rilevare, da un lato, che la lettura è stata dispo sta in ossequio alla norma dell'art. 513, 2° comma, c.p.p., nel testo originario come inciso dal dictum della Corte costituzio nale con sentenza n. 254 del 1992 (id., 1992,1, 2014) e, dall'al

tro, che il difensore degli imputati non ha fatto alcuna richiesta,

Il Foro Italiano — 2001.

nel corso del giudizio d'appello celebrato il 22 gennaio 1999

(pur dopo l'entrata in vigore della novella legislativa di cui alla

1. n. 267 del 1997 e delle prescrizioni transitorie dettate dall'art.

6, 3° comma, di detta legge, e il radicale intervento della Corte

costituzionale con la sentenza n. 361 del 1998, id., 1998, I,

3441), di parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, al

fine di ottenere il recupero del contraddittorio mediante la cita

zione del dichiarante sul fatto altrui, per l'ulteriore esame e per l'eventuale esercizio delle facoltà contestative ai sensi dell'art.

500, commi 2 bis e 4, c.p.p. Di talché, giusta la norma transitoria di cui all'art. 1, 4°

comma, d.l. 7 gennaio 2000 n. 2, convertito in 1. 25 febbraio

2000 n. 35, applicabile fino alla data di entrata in vigore della legge di attuazione del novellato art. 111 Cost., alle dichiarazio

ni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini

delle decisioni di merito, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione le disposizioni processuali in materia di

valutazione della prova «vigenti ... al momento delle decisioni

stesse» (Cass., sez. I, 10 luglio 2000, Malcangi; sez. VI 17 aprile 2000, Francica; 28 gennaio 2000, Ibrahimi).

Per questo profilo la decisione di merito risulta dunque inec

cepibile e adeguatamente motivata.

Quanto alla doglianza del Di Mauro riguardante l'incompati bilità del dolo specifico di evasione fiscale rispetto all'assor

bente finalità di trarre indebite sovvenzioni comunitarie per la

commercializzazione di olio d'oliva, rileva il collegio che, atte

sa l'evidente diversità del bene giuridico protetto (Cass., sez.

Ili, 7 novembre 1995, Ammirato, id., Rep. 1996, voce Concorso

di reati, n. 13), il delitto di frode fiscale può concorrere con

quello di truffa comunitaria quando lo specifico dolo di evasio

ne della condotta tipica si coniuga con una distinta e autonoma

finalità extratributaria, sempre che quest'ultima non sia perse

guita dall'agente in via esclusiva. L'apprezzamento fattuale

della valenza di tale relazione resta peraltro riservato al giudice di merito e, se adeguatamente e logicamente motivato (come nella specie), non è censurabile dal giudice di legittimità.

Va infine disattesa l'ulteriore doglianza del Ranella attinente

al profilo sanzionatorio, in punto di denegata applicazione da

parte della corte distrettuale della continuazione con gli analo

ghi reati per i quali egli era già stato condannato con sentenza

del Tribunale di Brindisi e della Corte d'appello di Bologna,

perché, avendone il difensore fatto richiesta solo nel corso della

discussione finale, il giudice d'appello non aveva l'obbligo di pronunciarsi su un tema d'indagine rimesso al potere dispositi vo della parte e però non devolutogli con uno specifico motivo

di gravame (Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, Tuzzolino). Di talché tutte le, invero generiche, censure dei ricorrenti cir

ca pretese violazioni di legge e carenze motivazionali della

sentenza impugnata in ordine ai punti suindicati risultano mani

festamente infondate.

10. - In conclusione, la sentenza impugnata dev'essere an

nullata senza rinvio nei confronti di entrambi gli imputati limi

tatamente al delitto di utilizzazione di fatture per operazioni ine

sistenti di cui all'art. 4, 1° comma, lett. d), 1. n. 516 del 1982, contestato nel capo 11) della rubrica, perché il fatto non è previ sto dalla legge come reato, con la conseguente eliminazione

delle relative pene. L'ulteriore imputazione di cui all'art. 4, 1° comma, lett. f), 1.

n. 516 del 1982, contestata nel successivo capo 12), dev'essere

invece qualificata, in forza della sopravvenuta lex mitior, come

violazione dell'art. 2, 3° comma, d.leg. n. 74 del 2000, in ordine

alla quale, ferma restando l'affermazione di responsabilità degli

imputati, occorre peraltro rinviare ad altra sezione della Corte

d'appello di Torino per la rideterminazione delle pene principali ed accessorie.

I ricorsi degli imputati vanno rigettati nel resto.

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