sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano(concl. conf.); ric. Sagone. Annulla senza rinvio App. Roma 30 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 3 (MARZO 2001), pp. 141/142-159/160Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196498 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
levare che, secondo alcune posizioni espresse in dottrina, il reato deve essere escluso quando
— come nel caso di specie —
sia reso pubblico che la decisione è stata presa all'unanimità, senza l'indicazione nominativa dei giudici. Questa corte ritiene
di non poter condividere tale linea di pensiero, che si traduce in
una ingiustificata delimitazione dell'ambito precettivo della norma incriminatrice, per la ragione che anche la divulgazione dell'unanimità della deliberazione corrisponde all'attribuzione
nominativa dei voti dati da tutti i componenti dell'organo colle
giale e, pertanto, costituisce violazione della segretezza della
camera di consiglio e si traduce nella lesione dell'interesse tu
telato, rendendo concretamente possibile l'individuazione dei
voti dei singoli giudici, i cui nomi sono pubblici e sono riportati nell'intestazione del provvedimento.
Non hanno pregio neppure le argomentazioni sviluppate nei
motivi di ricorso per dimostrare l'insussistenza dell'elemento
psicologico del reato. Infatti, va riconosciuto che il reato di cui
all'art. 685 c.p. è soggetto alla regola generale posta dall'art.
42, 4° comma, c.p., e che esso è punibile, quindi, anche a titolo
di colpa, a differenza del delitto di rivelazione di segreti di uffi cio di cui all'art. 326 c.p., la cui punibilità è limitata al dolo. Orbene, il giudice di merito ha accertato che la divulgazione dell'unanimità della decisione non è ascrivibile ad un lapsus
linguae che possa elidere la consapevolezza e la volontarietà del
fatto, ma è addebitabile a colpa del dott. Lignola sotto il profilo della inosservanza di norme cautelari generiche di prudenza, con la conseguenza che, in presenza di una motivazione dotata
di congruenza logica ed esente da vizi giuridici, la conclusione
accolta nella sentenza impugnata resta incensurabile nel giudi zio di legittimità.
Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, poiché manca
no le condizioni che giustificano una pronuncia assolutoria nel
merito a norma del 2° comma dell'art. 129 c.p.p., deve dichia
rarsi l'estinzione del reato per prescrizione e, per l'effetto, la
sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 13 dicembre 2000; Pres. Vessia, Est. Cognetti, P.M. Galgano
(conci, conf.); ric. Sagone. Annulla senza rinvio App. Roma
30 aprile 1999.
Tributi in genere — Reato tributario — Omessa presenta zione della dichiarazione fiscale — «Ius superveniens» —
«Abolitio criminis» (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, norme per la repressione dell'evasione in materia di im
poste sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la defi
nizione delle pendenze in materia tributaria, art. 1 ; 1. 7 agosto 1982 n. 516, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
10 luglio 1982 n. 429, art. 1; d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, nuo va disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'art. 9 1. 25 giugno 1999 n. 205,
art. 5, 25). Tributi in genere — Reato tributario — Omessa tenuta e/o
conservazione di scritture contabili — «Ius superveniens» — «Abolitio criminis» (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 1; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1; d.leg. 10 marzo
2000 n. 74, art. 25).
Attesa la netta disomogeneità strutturale della contravvenzione
di omessa presentazione della dichiarazione in materia di im
II Foro Italiano — 2001.
poste dirette od Iva, di cui all'abrogato art. 1,1° comma, d.l.
10 luglio 1982 n. 429, rispetto al nuovo delitto di omessa di
chiarazione introdotto dall'art. 5 d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, nonché in considerazione della più generale incompatibilità del nuovo sistema penai-tributario con il vecchio modello
fondato sulla criminalizzazione di violazioni meramente for mali e preparatorie, deve ritenersi che l'avvento della nuova
normativa ha determinato una vera e propria abolitio crimi
nis della fattispecie previgente. (1) A seguito dell'entrata in vigore del d.leg. 10 marzo 2000 n. 74,
è venuta meno la punibilità di tutte le pregresse condotte di
omessa tenuta e/o conservazione di scritture contabili, prece dentemente rilevanti a norma dell'art. 1, ultimo comma, d.l.
10 luglio 1982 n. 429. (2)
(1-5) Con queste due importanti pronunce delle sezioni unite la Corte di cassazione è intervenuta a dirimere alcuni fra i principali problemi di diritto transitorio, che si sono venuti a delineare a seguito dell'ancora recente emanazione della nuova disciplina penale-tributaria introdotta dal d.leg. 10 marzo 2000 n. 74 (sulle linee complessive di questa rifor
ma, nel quadro di una già copiosa letteratura, v., fra i tanti, Cerqua Pricolo, La riforma della disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, in Dir. pen. e proc., 2000, 574 ss., 708
ss.; D'Avirro-Nannucci (a cura di), La riforma del diritto penale tri
butano, Padova, 2000; Di Siena, La nuova disciplina dei reati tributa
ri, Milano, 2000;, Manna, Prime osservazioni sulla nuova riforma del diritto penale tributario, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2000, 119 ss.;
Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, Milano, 2000; Tarantini-Esposito, La nuova di
sciplina dei reati tributari, Padova, 2000; Traversi-Gennai, I nuovi delitti tributari, Milano, 2000).
La necessità di una più attenta valutazione dei nessi intertemporali fra la vecchia e la nuova normativa penale-tributaria è stata determinata da un duplice ordine di fattori: in primo luogo, dall'avvenuta abroga zione, da parte dell'art. 24 d.leg. 507/99, del c.d. principio di ultratti vità della legge penale finanziaria originariamente fissato dall'art. 20 1.
4/29 (sul punto, anche per un quadro del dibattito che aveva contrasse
gnato quest'ultima disposizione, v. Corte cost. 6 marzo 1995, n. 80, Foro it., 1997,1, 2023, con nota di richiami, nonché ancora Napoleoni,
op. cit., 287 ss.): l'effetto di tale abrogazione è stato infatti quello di
estendere anche all'insieme delle «disposizioni penali delle leggi finan ziarie» (questo il settore considerato da detto art. 20 1. 4/29) l'operati vità delle regole previste in via ordinaria dall'art. 2 c.p.; in secondo
luogo, dalla formale e generica abrogazione, dettata dall'art. 25 citato
d.leg. 74/00, di tutte le disposizioni contenute nel titolo I del d.l. 429/82
e dalla contestuale mancata previsione, sempre nell'ambito del nuovo
decreto legislativo, di apposite regole di diritto transitorio (sulle ragioni della mancata riproposizione, nel testo definitivamente varato dal go verno, delle regole transitorie inizialmente previste nello schema di de
creto legislativo sottoposto ad un vaglio preventivo del parlamento, v.,
per tutti, Casula, La depenalizzazione dimezzata: osservazioni sulle
norme transitorie della riforma del diritto penale tributario, in Fisco,
2000, 1697 ss.; Izzo, Dubbi di costituzionalità sulla normativa transito
ria della riforma sui reati tributari, ibid., 1695 ss.). Nel caso considerato dalla meno recente delle sentenze in epigrafe, la
questione riguardava alcuni specifici aspetti connessi al rapporto fra la
precedente disciplina della c.d. frode fiscale, così come complessiva mente stabilita dall'art. 4 d.l. 429/82 (ed in parte modificata dal d.l.
83/91), ed il nuovo assetto delle incriminazioni oggi previste dagli art.
2 e 8 d.leg. 74/00, in tema, rispettivamente, di dichiarazione fraudo lenta mediante utilizzazione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti e, nella seconda ipotesi, di mera emissione di questi ultimi
documenti. Ferma la tendenziale corrispondenza (ed il conseguente rapporto di
mera modificazione normativa) fra la vecchia e la nuova fattispecie re
lativa alla sola emissione di false fatture (art. 4, lett. d, d.l. 429/82 e art.
8 d.leg. 74/00: sul punto, v., per tutti, Manna, op. cit., 145; Napoleoni,
op. cit., 293), più problematica e complessa è invece apparsa la consi
derazione della ulteriore condotta di utilizzazione di tali fatture. Nel
l'ambito della disciplina previgente, quest'ultima era infatti condotta
autonomamente tipizzata all'interno della medesima disposizione di cui
alla lett. d) dell'art. 4 cit., ma risultava formalmente differenziata ri
spetto all'ulteriore ipotesi di frode, prevista dalla lett./) dello stesso art.
4, con la quale veniva punita la redazione della dichiarazione dei redditi
(o del bilancio o del rendiconto ad essa allegato) fondata sulle false at
testazioni contenute in tali fatture (sulle caratteristiche di queste due
separate ipotesi di frode, v., fra i tanti, Padovani e Di Nicola, in D'A
virro-Di Nicola-Flora-Grosso-Padovani, Responsabilità e processo
penale nei reati tributari, Milano, 1992, rispettivamente 244 ss. e 334
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PARTE SECONDA
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 25
ottobre 2000; Pres. Vessia, Est. Canzio, P.M. Leo (conci,
conf.); ric. Di Mauro e altro. Annulla App. Torino 22 gennaio 1999.
Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — Utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti — «Ius superveniens» — «Abolitio criminis» (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1;
d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, art. 2, 25). Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — In
fedele dichiarazione dei redditi mediante utilizzazione di documenti attestanti falsi fatti materiali — «Ius superve niens» — Disciplina (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1; d.l. 16 marzo 1991
n. 83, modifiche al d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, dalla 1. 7 agosto 1982 n. 516, in materia di re
pressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire
le relative pendenze, art. 1; 1. 15 maggio 1991 n. 154, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 16 marzo 1991 n. 83, art. 1; d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, art. 2).
ss.). Proprio per questo, attesa la riconosciuta possibilità di ravvisare
una utilizzazione penalmente rilevante già nel caso della semplice con
servazione ed inserimento in contabilità delle fatture false (v. Cass., sez. un., 3 febbraio 1995, Aversa, Foro it., 1995, II. 340, con nota di
ulteriori riferimenti), nel caso di successiva utilizzazione dei dati emer
genti da tali fatture anche in sede di redazione della dichiarazione fi scale la giurisprudenza aveva talvolta ravvisato gli estremi di un vero e
proprio concorso materiale di reati interno al citato art. 4 d.l. 429/82
(cfr. Cass. 22 giugno 1990, Corti, id., Rep. 1991, voce Tributi in gene re, n. 1467; sulla questione, v. anche Izzo, Concorso interno alla frode fiscale e nuova disciplina della l. 154/91, in Fisco, 1992, 5950 ss.).
Come puntualmente ricordato nella motivazione di Cass. 25 ottobre
2000, in epigrafe, a seguito dell'avvento della nuova normativa del 2000 un primo indirizzo interpretativo aveva riconosciuto l'esistenza di un diretto rapporto di continuità normativa fra la precedente ipotesi di mera utilizzazione delle fatture, sanzionata dalla lett. d) dell'art. 4 d.l.
429/82, ed il nuovo delitto di dichiarazione fraudolenta previsto dal l'art. 2 d.leg. 74/00 (in questo senso, v., in particolare, Cass. 27 aprile 2000, Bellavia, Fisco, 2000, 8450, e Corriere trib., 2000, 1902, con nota critica di Corso; sulle caratteristiche costitutive della nuova incri
minazione, oltre alla bibliografia più generale già innanzi citata, v. Pri
colo, Prime osservazioni sul delitto di dichiarazione fraudolenta me
diante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, in Riv.
pen., 2000, 651 ss.). Al riguardo, si era infatti ritenuto che la dichiara
zione contemplata da quest'ultima disposizione dovesse essere intesa come un mero elemento specializzante della previgente figura di frode
fiscale, «la cui volizione e rappresentazione può considerarsi già insita,
quanto meno a titolo di dolo eventuale, nella stessa condotta di utilizza zione». Muovendo da tali premesse (questi, ovviamente, i riflessi di ti
po transitorio) si era quindi giunti ad escludere che l'avvento della nuova normativa avesse comportato una abolitio criminis della ipotesi previgente, e si era perciò riconosciuta la necessità di considerare anco ra formalmente sanzionabili (pur sulla base della disciplina in concreto
più favorevole al reo, a norma di quanto disposto dall'art. 2, 3° comma,
c.p.) i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normati va.
Diverse conclusioni sono state viceversa raggiunte da un secondo orientamento interpretativo (v., in particolare, Cass. 2 maggio 2000, Corriere trib., 2000, 2051), a favore del quale si erano nel frattempo pronunciati anche i principali commenti alla decisione sopra ricordata
(v., ad esempio, E. Musco, Cassazione in crisi da «specialità», in II Sole-24 Ore del 7 giugno 2000; per una posizione in parte intermedia, v. invece Manna, op. cit., 146 ss.). A fronte di tale contrasto, la que stione è stata pertanto rimessa alla decisione delle sezioni unite (v. Cass., ord. 5 maggio 2000, Corriere trib., 2000, 2052).
Come chiaramente emerge dalle massime in epigrafe, anche le sezio ni unite non hanno ritenuto corretto tale primo orientamento ed hanno
conseguentemente escluso che fra la previgente ipotesi di frode fiscale descritta alla lett. d) dell'art. 4 d.l. n. 429 ed il nuovo delitto previsto dall'art. 2 d.leg. n. 74 potesse essere ravvisato un rapporto di mera mo dificazione normativa. Le ragioni poste a sostegno di questa diversa conclusione (per una più diffusa considerazione delle quali si rinvia, ovviamente, all'ampia motivazione sopra riportata) sono principal mente legate al riscontro della netta diversità strutturale ravvisabile fra le due fattispecie (diversa risulta infatti la condotta rispettivamente pre vista e, per certi versi, la stessa oggettività giuridica sottesa alle due in
II Foro Italiano — 2001.
Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — Di chiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri do
cumenti per operazioni inesistenti — Nuova disciplina —
Applicabilità — Condizioni (Cod. pen., art. 2; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, art. 1; d.l. 16 mar
zo 1991 n. 83, art. 1; 1. 15 maggio 1991 n. 154, art. 1; d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, art. 2).
Attesa la netta disomogeneità strutturale della fattispecie di cui
all'abrogato art. 4, 1° comma, lett. d), d.l. 10 luglio 1982 n.
429, rispetto alla nuova figura di reato prevista dall'art. 2
d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, nonché in considerazione della
più generale incompatibilità del nuovo sistema penal tributario con il vecchio modello di tutela anticipata fondato sulla repressione di violazioni strumentali e prodromiche al
l'evasione, deve ritenersi che, con riferimento alle condotte
di utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti realizzatesi durante la vigenza della normativa og
gi abrogata, è intervenuta una vera e propria abolitio crimi
nis. (3)
criminazioni), ed alla presa d'atto della mutata filosofia di fondo che ha
ispirato la nuova disciplina penale-tributaria, caratterizzata da un deciso
superamento del vecchio modello di tutela anticipata fondato sulla re
pressione di violazioni strumentali e prodromiche all'evasione (fermo
quanto previsto dallo stesso art. 6 d.leg. n. 74, circa la non punibilità del mero tentativo dei nuovi delitti di dichiarazione fraudolenta e/o in
fedele; sul punto, v. anche quanto esplicitamente riferito nella relazione
governativa al d.leg. n. 74). Parallelamente, le sezioni unite sono viceversa giunte a riconoscere
l'esistenza di un diretto rapporto di continuità fra il nuovo delitto di di
chiarazione fraudolenta previsto dall'art. 2 d.leg. n. 74 e la precedente
ipotesi di frode fiscale prevista alla lett./) dell'art. 4 cit. Per questa ra
gione, la meno recente delle sentenze in epigrafe si è fatta carico anche
di puntualizzare i limiti entro i quali, nell'ambito di tutti i procedimenti
penali attualmente in corso per fatti originariamente considerati solo
alla luce della fattispecie di cui alla lett. d) dell'art. 4 cit. (fatti, cioè,
genericamente valorizzati solo in ragione della semplice detenzione e/o
del semplice inserimento in contabilità di false fatture), potessero rav
visarsi gli estremi per una immediata riformulazione dell'accusa, tale
da estendersi alla considerazione della successiva utilizzazione di tali
fatture anche in sede di dichiarazione fiscale, così da legittimare l'a
stratta riconducibilità del fatto contestato tanto alla precedente ipotesi di frode prevista dalla lett./) dell'art. 4 cit., quanto al nuovo delitto di
cui all'art. 2 d.leg. n. 74 e da imporre, quindi, una più specifica valuta
zione della normativa concretamente applicabile (a seconda dei casi, nonostante la più alta sanzione edittale prevista per quest'ultima fatti
specie, il carattere maggiormente favorevole per il reo della nuova
normativa potrebbe infatti essere ravvisato soprattutto alla luce del più breve termine di prescrizione oggi ravvisabile per le ipotesi rientranti
nella figura attenuata prevista al 2° comma del citato art. 2). In relazio
ne a questi ultimi aspetti di modifica processuale delle originarie conte stazioni accusatorie, v. anche Caracciolo Per il riscontro dei dati nei
processi in corso il giudice penale non può restare solo, in Guida al
dir., 2000, fase. 43, 63 s. Le conclusioni oggi raggiunte dalle sezioni unite collimano, in linea
di massima, con il prevalente orientamento della dottrina che si è pro nunciata su queste prime questioni interpretative. Così, ad esempio, in termini analoghi a quanto affermato in sentenza circa l'effetto di aboli tio criminis ravvisabile rispetto all'ipotesi di cui alla lett. d) dell'art. 4
cit., ed il diverso rapporto di continuità esistente fra la condotta previ sta alla lett. f) di questo stesso articolo e quella attualmente sanzionata
dall'art. 2 d.leg. n. 74, v., in generale, M. Musco, La riformulazione dei
reati. Profdi di diritto intertemporale, Milano, 2000, 237 ss.; Napoleo
ni, op. cit., 299; Traversi-Gennai, op. cit., 114. Di contrario avviso, ri
spetto a quest'ultima conclusione, ed orientato ad ammettere un effetto di abolitio criminis anche rispetto allo stesso delitto di cui all'art. 4, lett. /), cit., v. invece Giarda, Leggi penali, successione al buio, in II
Sole-24 Ore del 10 ottobre 2000.
Un diretto effetto di vera e propria abolitio criminis è stato inoltre ri
conosciuto dalla prima sentenza sopra riportata, tanto con riferimento
alla precedente ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione in
materia di imposte dirette ed Iva (art. 1,1° comma, d.l. 429/82), quanto in relazione alla ulteriore contravvenzione di omessa od irregolare te nuta delle scritture contabili (art. 1, ultimo comma, d.l. 429/82).
Per quanto riguarda quest'ultima ipotesi di reato, la conclusione ac colta dalle sezioni unite non aveva, invero, mai dato adito a dubbio al
cuno (fra i tanti, v. ancora Napoleoni, op. cit., 293; Traversi-Gennai,
op. cit., 109). Più complessa e problematica è viceversa risultata la so
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GIURISPRUDENZA PENALE
È ravvisabile una continuità normativa d'illecito fra l'abrogata
ipotesi di frode fiscale prevista dall'art. 4, 1° comma, lett. f), d.l. 10 luglio 1982 n. 429 (così come modificato dal d.l. 16
marzo 1991 n. 83) ed il nuovo reato di dichiarazione fraudo lenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 2 d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, di
talché, a norma di quanto previsto dall'art. 2, 3° comma,
c.p., rispetto a tutti i fatti commessi prima dell'entrata in vi
gore della nuova normativa, dovrà applicarsi la disciplina in
concreto più favorevole al reo. (4) Stante l'intervenuta abolitio criminis del delitto di utilizzazione
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art.
4, 1° comma, lett. à), d.l. 10 luglio 1982 n. 429 ed il diverso
rapporto di continuità normativa fra la precedente ipotesi di
frode fiscale ex art. 4, 1° comma, lett. f), d.l. cit. ed il nuovo
reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall 'art. 2
d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, deve ritenersi che, anche nei pro cessi penali per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa nei quali non risulti formalmente con
testato il reato di cui all'art. 4, 1° comma, lett. f), d.l. 429/82,
resta comunque riservata alla pubblica accusa la potestà di
contestazione del fatto «nuovo» attinente al momento dichia
rativo ogni qual volta emerga ex actis la sussistenza di una
fraudolenta dichiarazione dei redditi mediante utilizzazione
di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti. (5)
luzione della prima questione affrontata, giacché la mantenuta previ sione, anche nell'ambito della nuova normativa, di una diretta rilevanza
penale di alcuni specifici casi di omessa dichiarazione (quelli attual
mente riconducibili all'art. 5 d.leg. 74/00) aveva reso molto più dubbia
e contestata la possibilità di ammettere una radicale abolitio criminis
della fattispecie previgente, con conseguente drastica affermazione di
non punibilità di tutti i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della
nuova disciplina. In dottrina, in termini conformi a quanto affermato
dalle sezioni unite, v., ad esempio, Izzo, Quel che resta degli illeciti ex
l. 516/82 dopo l'esercizio della delega ex l. 205/99, in Fisco, 2000,
3622; M. Musco, op. cit., 229; Traversi-Gennai, op. cit., 115; contra, v. invece Di Siena, op. cit., 246; Napoleoni, op. cit., 296).
Per l'ulteriore affermazione dell'avvenuta abolitio criminis, sempre a seguito dell'entrata in vigore del d.leg. n. 74, delle contravvenzioni di
omessa annotazione nelle scritture contabili obbligatorie e di omessa
fatturazione, così come rispettivamente previste alle lett. a) e b) del
l'art. 1, 2° comma, d.l. 429/82, v. Cass. 1° giugno 2000, Franconieri, Guida al dir., 2000, fase. 36, 81, e, in dottrina, Corso, Depenalizzata l'omessa o infedele annotazione e/o fatturazione ai fini Iva e imposte dirette, in Corriere trib., 2000, 1297.
Rimettendo anche in questo secondo caso alla lettura della sentenza
in epigrafe per una più chiara e completa illustrazione degli argomenti che hanno indotto le sezioni unite ad accogliere la tesi dell'intervenuta
abolitio criminis anche della contravvenzione di omessa presentazione della dichiarazione fiscale, nell'insieme appare sicuramente opportuno richiamare l'attenzione sulla notevole importanza e complessità che,
pure alla luce di queste nuove decisioni, continua ad avere la proble matica relativa alla differenziazione fra i casi di vera e propria abolitio
criminis (casi, cioè, ai quali ricollegare gli effetti previsti dall'art. 2, 2°
comma, c.p.) e quelli di più generica successione di leggi meramente
modificative (come tali diversamente inquadrabili ex art. 2, 3° comma,
c.p.: di recente, su questa problematica, v. F.C. Palazzo, Introduzione ai principi del diritto penale, Torino, 1999, 304 ss.; B. Romano, Il rap
porto tra norme penali, Milano, 1996, 68 ss.; con analoga prospettiva di portata generale, ma con diretta considerazione anche delle questioni sollevate dalla riforma del diritto penale tributario, v. altresì M. Musco,
op. cit., 33 ss.). Come implicitamente confermato dalle complesse divergenze inter
pretative risolte da queste due nuove sentenze delle sezioni unite, al ri
guardo permane infatti la difficoltà di individuare una univoca linea di
interpretazione. Linea di interpretazione che, a ben vedere, non appare di fatto chiaramente enucleabile neppure muovendo da una compara zione diretta di quanto in concreto affermato nell'ambito delle pur pre
gevoli motivazioni di queste stesse decisioni.
Nel primo caso le sezioni unite sembrano infatti essersi ispirate ad
una impostazione del problema che, solo in parte distaccandosi da
quanto a suo tempo emerso nell'ambito di altra importante decisione a
sezioni unite (v. Cass., sez. un., 20 giugno 1990, Monaco, Foro it.,
1990, II, 637, con nota di Fiandaca, Questioni di diritto transitorio in
seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di
ufficio), se, da un lato, pare attribuire minore rilievo al criterio della
c.d. «continuità del tipo d'illecito» (fondato sul parametro della mante
II Foro Italiano — 2001.
I
Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza in data 2 feb
braio 1995, il Tribunale di Roma dichiarava Sagone Riccardo colpevole del reato di cui all'art. 1, 1° comma, 1. 7 agosto 1982
n. 516 (capo A della rubrica) e del reato di cui all'art. 1, ultimo
comma, 1. cit. (capo B), condannandolo, unificati i reati sotto il
vincolo della continuazione, alla pena di mesi cinque di arresto
e lire 12.000.000 di ammenda, applicando altresì le pene acces
sorie di cui all'art. 7 1. cit. All'imputato, nella sua qualità di amministratore della Doppia esse s.r.l., veniva addebitato di
avere omesso di presentare la dichiarazione, ai fini delle impo ste dirette per l'anno 1991, di quanto percepito dalla suddetta
società per la vendita, effettuata in data 13 maggio 1991, di uno
stabilimento tipografico per un importo complessivo di lire
6.688.712.000, portato in diciotto fatture emesse nei confronti
della Palladio s.r.l., e veniva altresì addebitato di avere omesso,
per l'anno 1991, di istituire le scritture contabili obbligatorie. A seguito di appello dell'imputato, la Corte d'appello di Ro
ma, con sentenza in data 30 aprile 1999, confermava l'im
pugnata decisione.
2. - Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cas
sazione il Sagone, il quale, con primo motivo, deduce erronea
applicazione della legge penale in relazione ad una prova deci
siva, assumendo in relazione al reato di cui all'art. 1,1° comma,
1. 516/82 di avere regolarmente presentato la dichiarazione ed
nuta omogeneità sia del bene protetto, che delle modalità offensive
della condotta), a favore di una più netta affermazione del c.d. criterio
della «continenza» (fondato sul riconoscimento di un rapporto di conti
nuità normativa ogni qual volta sia ravvisabile una situazione di interfe
renza e/o di specialità fra le due disposizioni di volta in volta conside
rate), dall'altro tende tuttavia a dare ancora ampio rilievo anche ad una
verifica della mantenuta punibilità del fatto concreto. Nella motivazio
ne della seconda sentenza in epigrafe si afferma, infatti, che «deve ri
conoscersi un fenomeno successorio, con conseguente applicazione dell'art. 2, 3° comma, c.p., quando, all'esito della comparazione e del
raffronto tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle fatti
specie incriminatrici, persiste, anche se mutato, il giudizio di disvalore
astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispet tive decisioni, e il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile
nel suo nucleo essenziale, secondo le regole proprie del concorso appa rente di norme, ad una diversa e più mite categoria d'illecito, tuttora
penalmente rilevante».
In dottrina, la legittimità della valorizzazione delle caratteristiche
concrete del fatto è stata di recente rivalutata (v. Pagliaro, La legge
penale tra irretroattività e retroattività, in Giust. pen., 1991, II, 1 ss.),
ma, nell'insieme, è stata dai più fortemente contestata in ragione di
possibili implicazioni contrarie al principio di irretroattività (sul punto, v., in generale, Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte generale, Bolo
gna, 1995, 77 ss.; M. Romano, Commentario sistematico del codice pe nale,, Milano, 1995,1, sub art. 2, n. 14 ss.).
Soluzioni molto più radicali e drastiche risultano al contrario emer
gere dalla prima sentenza in rassegna, con la quale le sezioni unite
sembrano essersi uniformate ad un orientamento minoritario anche in
dottrina, seppur autorevolmente ed efficacemente sostenuto, in forza
del quale, ferma la ribadita esigenza di un diretto rapporto di specialità fra le due disposizioni a confronto, si ritiene che «se gli elementi ulte
riori della fattispecie risultano eterogenei, e cioè non identici e non ri
ducibili l'uno all'altro sul piano del rapporto da generale a speciale, o
viceversa», deve comunque ammettersi un fenomeno di abolitio crimi
nis, giacché la legge successiva risulta prevedere «un fatto che come
tale non può mai essere ricondotto alla disposizione abrogata» (v. Pa
dovani, Tipicità e successione di leggi penali. La modificazione legi slativa degli elementi della fattispecie incriminatrìce o della sua sfera di applicazione, nell'ambito dell'art. 2, 2° e 3" comma, c.p., in Riv. it.
dir. e proc. pen., 1982, 1370). Di recente, a conferma delle notevoli incertezze applicative che
emergono dalla giurisprudenza della Suprema corte in ordine alla deli
mitazione dei casi di piena abolitio criminis rispetto a quelli di mera
modificazione normativa, v. altresì le controverse indicazioni emergenti dalla questione relativa agli effetti dell'avvenuta abrogazione del de
litto di oltraggio, ex art. 341 c.p., da parte dell'art. 18 1. 25 giugno 1999
n. 205: con conclusioni contrastanti rispetto alla mantenuta riconduci
bilità dei fatti pregressi alla disposizione relativa al delitto di ingiuria, ex art. 594 c.p., v., ad esempio, Cass. 2 dicembre 1999, Licata, Ced
Cass., rv. 215474; 11 aprile 2000, Speranza, 10 marzo 2000, Piccolo, e
28 gennaio 2000, Marini, Foro it., 2000, II, 593, con nota di Giammona
[A. Melchionda]
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PARTE SECONDA
assumendo altresì, quanto al reato di cui all'art. 1, 6° comma, 1.
cit., di avere informato guardia di finanza e procura della repub blica che la prescritta documentazione era stata consegnata a
tale Cavalli Giuseppe; con secondo motivo deduce manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessio
ne delle circostanze attenuanti generiche. 3. - Il ricorso, assegnato alla terza sezione penale della Corte
di cassazione, è stato rimesso da quest'ultima alle sezioni unite
con ordinanza del 14 giugno 2000.
L'ordinanza suddetta premette che la trattazione del presente ricorso deve essere necessariamente preceduta dalla valutazione
dei reati fiscali oggetto di giudizio alla stregua delle disposizio ni introdotte dal d.leg. 10 marzo 2000 n. 74 (che ha riformato il
sistema penale-tributario in attuazione dell'art. 9 1. 25 giugno 1999 n. 205), al fine di verificare — tenuto conto che il nuovo
testo normativo non contiene un regime transitorio di raccordo e
che l'art. 24 d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507 ha abrogato il prin
cipio di ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanzia rie posto dall'art. 20 1. 7 gennaio 1929 n. 4 — se i fatti conte
stati, già incriminati ai sensi del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, con vertito, con modificazioni, nella 1. 7 agosto 1982 n. 516, man
tengano rilevanza penale anche dopo la riforma e l'abrogazione
espressa del titolo I della stessa 1. n. 516 (art. 25, 1° comma, lett. d, d.leg. 74/00).
L'ordinanza di rimessione, alla luce del criterio del rapporto strutturale delle norme integrato da quello della continenza, ri
tiene che la fattispecie già sanzionata dall'art. 1, 6° comma, 1. 7
agosto 1982 n. 516 (omessa o irregolare tenuta o conservazione
delle scritture contabili) sia sicuramente depenalizzata ai sensi
dell'art. 9 1. 25 giugno 1999 n. 205 e del d.leg. 10 marzo 2000
n. 74, perché nel nuovo sistema penale-tributario degrada a me
ra modalità di estrinsecazione di una condotta, che, solo unita
mente ad altri elementi, integra una diversa fattispecie di reato
tributario. Con riguardo al reato di omessa presentazione della dichiara
zione dei redditi o Iva, già sanzionato dall'art. 1, 1° comma, 1.
516/82, rileva, invece, la sussistenza di divergenze interpretati ve in ordine alla sostenibilità di una permanente criminalizza
zione delle condotte già sanzionate ai sensi dell'art. 1,1° com
ma, 1. 516/82. Correlativamente ha ritenuto, attesa la particolare rilevanza della questione e l'elevata probabilità di contrasti, di
dirimere gli stessi in via preventiva rimettendo appunto il ricor
so alle sezioni unite. La suddetta ordinanza evidenzia l'assenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un orientamento univoco
in ordine alla questione concernente la verifica della continuità
normativa, nell'ipotesi di abrogazione di una norma incrimina
trice, in quanto sul tema si procede a combinare i vari criteri
suggeriti dalla dottrina, utilizzando ora il criterio della conti
nuità del tipo di illecito, ora quello del rapporto di continenza
tra nuova e vecchia fattispecie, ora quello del rapporto struttu
rale tra le fattispecie, quest'ultimo anche in combinazione con il
criterio di continenza; quindi enuclea i termini del contrasto in
terpretativo con riguardo alla fattispecie in esame. Rileva che in
dottrina e nelle prime applicazioni giurisprudenziali si sono ma
nifestate difformi opinioni circa la sostenibilità di una perma nente criminalizzazione delle condotte già sanzionate ai sensi
del citato art. 1, 1° comma, 1. 516/82. La possibilità di configu rare una continuità normativa (di tipo illecito) con il reato di cui
all'art. 5 d.leg. 10 marzo 2000 n. 74 viene esclusa con riferi
mento alla natura delittuosa della nuova fattispecie incriminatri
ce, alla diversa struttura del suo profilo soggettivo, essendo ri
chiesto il dolo specifico, all'esistenza di una soglia di punibilità commisurata all'imposta evasa e dunque ontologicamente di
versa da quella prevista nella previgente contravvenzione, che
era riferita agli imponibili sottratti all'imposizione, nonché alla
violazione dell'art. 521 c.p.p. in caso di mancata contestazione
della specifica finalità di evasione delle imposte e dell'ammon
tare dei tributi effettivamente evasi.
L'affermazione della continuità normativa, al contrario, si fonda sulle considerazioni che l'omessa contestazione espressa del dolo specifico di evadere l'imposta e dell'ammontare effet
tivo del tributo evaso non determina una violazione dell'art. 521
c.p.p. tutte le volte in cui l'ammontare dell'imposta evasa risulti
dagli atti a conoscenza dell'imputato e dagli atti medesimi si
evinca comunque l'esistenza del dolo di evasione anche se non
Il Foro Italiano — 2001.
perseguito in via esclusiva, oppure tali circostanze appaiano, sia
pure in maniera implicita, contestate nell'imputazione oppure abbiano, comunque, formato oggetto della difesa, giacché detti
elementi non si pongono in rapporto di eterogeneità o di incom
patibilità con i contenuti del precedente addebito, ma ne costi
tuiscono la normale conclusione, tanto più che secondo unanime
giurisprudenza di questa corte, la violazione dell'art. 521 c.p.p. richiede una trasformazione radicale del fatto nei suoi elementi
essenziali, in modo tale che il fatto ritenuto in sentenza si trovi
rispetto a quello contestato in rapporto di ontologica eteroge neità e incompatibilità, non potendosi basare la correlazione tra
accusa contestata e ritenuta nella decisione sul mero confronto
letterale tra imputazione e sentenza (Cass., sez. Ili, 29 maggio 2000, n. 6228, Bellavia). Si aggiunge, infine, nell'ordinanza di rimessione, che la previsione di una soglia quantitativa di rile
vanza penale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa, implica una complessa operazione di calcolo che va ben oltre la verifica
dell'omessa indicazione di elementi di facile accertamento e
comporta la considerazione di costi, ammortamenti, detrazioni
di imposta e di quant'altro incide sulla determinazione dell'im
ponibile e del conseguente tributo.
Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle se
zioni unite penali fissando per la trattazione l'odierna udienza
pubblica. Motivi della decisione. — 1. - La questione controversa sotto
posta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se do
po l'entrata in vigore del d.leg. 10 marzo 2000 n. 74, sia, o non,
configurabile una continuità normativa tra la disciplina penale avente ad oggetto l'omessa presentazione della dichiarazione
annuale ai fini delle imposte sul reddito o di quella del valore
aggiunto, così come risultante, rispettivamente, dall'art. 1, 1°
comma, d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazio
ni, nella 1. 7 agosto 1982 n. 516 e dall'art. 5 d.leg. 10 marzo
2000 n. 74, anche avuto riguardo alla diversa soglia quantitativa di rilevanza penale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa.
Sul tema si sono delineati due indirizzi contrapposti nella giu
risprudenza di legittimità. Nel senso che non è configurabile un rapporto di continuità
tra la contravvenzione di cui all'abrogato art. 1, 1° comma, d.l.
10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, nella 1. 7
agosto 1982 n. 516 ed il delitto di cui all'art. 5 d.leg. 10 marzo
2000 n. 74, si sono espresse Cass., sez. Ili, 5 luglio 2000, Gal
vagno, dep. 29 settembre 2000, n. 2706, e 5 luglio 2000, Grotti,
dep. 29 settembre 2000, n. 2705. Secondo tali decisioni non è
configurabile un rapporto di continuità fra la contravvenzione di
cui all'abrogato art. 1, 1° comma, 1. 516/82 ed il delitto di cui
all'art. 5 dell'attuale d.leg. 74/00.
L'assenza di continuità tra le due fattispecie viene principal mente ravvisata nel fatto che —
pur prevedendo entrambe le
norme come reato la mancata presentazione di una delle pre scritte dichiarazioni annuali in materia di imposte dirette o im
posta sul valore aggiunto — esse sono diversamente caratteriz
zate e dette diversità attengono ad elementi costitutivi tipici che
disegnano l'identità del «fatto». Si tratta della natura dell'ille
cito contemplato dalle due norme — contravvenzione nella vec
chia norma, delitto nella nuova — e della previsione in que st'ultima del dolo specifico preordinato alla realizzazione del
l'evento, costituito dall'evasione d'imposta in misura non infe
riore a centocinquanta milioni di lire.
Secondo un diverso orientamento, invece, la continuità tra la
vecchia e la nuova normativa non è esclusa: dalla diversa natura
dell'illecito (contravvenzione nella previgente normativa, de
litto in quella vigente); dall'innalzamento delle soglie di puni bilità; dalla previsione del dolo specifico (cfr. sez. Ili 28 aprile 2000, Masengo, dep. 14 giugno 2000, n. 1666; 9 maggio 2000, Ceraso, dep. 3 luglio 2000, n. 1804).
Numerose altre decisioni, pur non affrontando direttamente il
problema della continuità normativa, hanno tuttavia ritenuto, con ciò implicitamente affermandola, che l'omessa dichiarazio
ne integra gli estremi del reato ora punito dall'art. 5 d.leg. 74/00, solo se ed in quanto abbia determinato una evasione
d'imposta superiore a centocinquanta milioni di lire, mentre, nel
caso in cui detta soglia non viene raggiunta, il fatto non è più
previsto dalla legge come reato (cfr. sez. Ili 2 maggio 2000,
Palazzo, dep. 4 giugno 2000, n. 1685; 17 maggio 2000, Catan
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GIURISPRUDENZA PENALE
zara, dep. 27 luglio 2000, n. 1925; 21 giugno 2000, Pezzoni, dep. 2 ottobre 2000, n. 2529; 20 giugno 2000, Ricchiuti, dep. 11 ottobre 2000, n. 2499; 20 giugno 2000, Bianco, dep. 19 settem
bre 2000, n. 2491; 18 aprile 2000, Bollettino, dep. 7 giugno
2000, n. 1585; 28 giugno 2000, Castagna, dep. 27 settembre
2000, n. 2643; 23 giugno 2000, Felici, dep. 29 settembre 2000, n. 2569; 15 giugno 2000, Fenici, dep. 21 settembre 2000, n.
2555; 15 giugno 2000, Di Palma, dep. 27 settembre 2000, n. 2374; 3 maggio 2000, Di Matteo, dep. 7 giugno 2000, n. 1828; 8
giugno 2000, Citton, dep. 7 settembre 2000, n. 2274; 13 giugno 2000, Graziano, dep. 2 agosto 2000, n. 2396). In alcuni casi si è evidenziata la complessità delle operazioni di calcolo determi
nate dalla previsione di una soglia quantitativa di rilevanza pe
nale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa (cfr. sez. Ili 14
giugno 2000, Strallo, dep. 18 settembre 2000, n. 2371; 27 giu gno 2000, Soraci, dep. 21 settembre 2000, n. 2551), mentre in
un caso specifico il reato di cui all'art. 1, 1° comma, 1. 516/82 è
stato considerato «non previsto come reato» in considerazione
del fatto che, mentre è stato ritualmente contestato l'ammontare
dei ricavi non dichiarati, non risulta contestata un'evasione
d'imposta che non può essere ricavata altrimenti (cfr. sez. Ili 17
maggio 2000, Germini, dep. 21 luglio 2000, n. 1913). 2. - L'orientamento giurisprudenziale che afferma la conti
nuità tra la vecchia e la nuova normativa non può essere condi
viso.
Le sezioni unite hanno recentemente affrontato i problemi di
diritto intertemporale tra il d.leg. 74/00 e la previgente 1. 516/82
in relazione all'esistenza, o meno, di una continuità normativa
tra il reato di cui all'art. 4, 1° comma, lett. d), 1. 516/82 (utiliz
zazione di fatture per operazioni inesistenti) e la nuova fattispe cie di cui all'art. 2 d.leg. 74/00 (dichiarazione fraudolenta nella
quale ci si avvalga di fatture per operazioni inesistenti), perve nendo all'esclusione di detta continuità (cfr. sez. un. 25 ottobre
2000, Di Mauro, dep. 7 novembre 2000, n. 27, in questo fasci
colo, II, 143). Tale decisione, pur concernendo fattispecie diverse da quella
in esame, stabilisce tuttavia criteri ermeneutici applicabili, ov
viamente, anche al caso in esame. Premette, infatti, che — dopo
l'abolizione del principio di ultrattività delle leggi penali tribu tarie ad opera dell'art. 24, 1° comma, d.leg. 30 dicembre 1999
n. 507 (attuativo del criterio direttivo fissato dall'art. 6, 1°
comma, 1. delega 205/99) e in assenza di norme disciplinanti il
regime transitorio tra la vecchia e la nuova normativa — il pro blema dell'individuazione della norma incriminatrice applica bile ai fatti anteriormente commessi deve essere risolto alla
stregua delle regole fondamentali del diritto intertemporale in
materia penale dettate dall'art. 2 c.p. Non è infatti sufficiente a
risolvere il problema l'uso da parte del legislatore di una espres sa formula abrogativa rispetto a preesistenti fattispecie incrimi
natrici (l'art. 25, 1° comma, lett. d, d.leg. 74/00 abroga il titolo I
della 1. 516/82). Ciò posto, evidenzia come la ratio della nuova
normativa abbia inteso realizzare un nuovo sistema penale tri
butario, imperniato sulla repressione penale limitata ai fatti ca
ratterizzati da rilevante offensività per gli interessi dell'erario,
superando in tal modo il vecchio sistema posto a base della pre
vigente 1. 516/82, fondato su un modello di tutela anticipata, ca
ratterizzato dalla repressione di violazioni strumentali e pro dromiche ad una falsa dichiarazione e alla evasione di imposta, con conseguente incompatibilità tra i due sistemi.
la. - Il rilievo è determinante ai fini della soluzione della
questione oggetto del decidere. Difatti, pur prevedendo come
reato, sia l'art. 1, 1° comma, 1. 516/82 che l'art. 5 d.leg. 74/00,
la mancata presentazione della dichiarazione in materia di im
poste dirette o dell'Iva, le norme in questione sono diversa
mente caratterizzate, attenendo le divergenze ad elementi costi
tutivi tipici che disegnano l'identità del fatto, costituiti, quanto alla nuova normativa, dal dolo specifico di evadere l'imposta,
dalla volizione di un'evasione di imposta superiore a centocin
quanta milioni di lire dall'evento di danno per l'erario, costi
tuito dall'evasione effettiva di centocinquanta milioni di lire,
mentre la previgente normativa sanziona la semplice condotta
omissiva, anche se connessa a mera colpa, commisurando la pe
na non all'ammontare dell'imposta evasa, ma all'ammontare
degli imponibili non dichiarati. Evidente è, pertanto, la disomogeneità strutturale delle due
fattispecie.
Il Foro Italiano — 2001.
L'illecito previsto dalla nuova normativa costituisce un de
litto, il cui elemento soggettivo è rappresentato dal dolo specifi co preordinato alla realizzazione dell'evento, costituito dall'e
vasione dell'imposta in misura non inferiore a centocinquanta milioni di lire con correlato danno per l'erario.
L'illecito previsto dalla previgente normativa costituisce un
reato contravvenzionale, che si perfeziona con la sola omissione
della dichiarazione, non assumendo rilievo né la positività o ne
gatività del reddito né la quantificazione dell'imposta evasa, as
sumendo rilevanza l'entità del reddito non dichiarato esclusi
vamente ai fini della quantificazione della pena (cfr. sez. Ili 30
giugno 1995, Bosso, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi in genere, n. 1723).
Lo ius superveniens ha introdotto nel fatto illecito, rappre sentato dalla omissione della dichiarazione, elementi costitutivi
nuovi e diversi da quelli previsti dalla previgente norma, di tal
ché non può sostenersi una continuità tra vecchia e nuova nor
mativa in funzione dell'identità dell'interesse protetto, sia per ché il nuovo sistema penale-tributario attua «una vera e propria inversione di rotta, assumendo come obiettivo strategico quello di limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente corre
lati, tanto sul versante oggettivo che su quello soggettivo, alla
lesione degli interessi fiscali, con correlata rinuncia alla crimi
nalizzazione delle violazioni meramente «formali» e «prepara torie» (cfr. relazione governativa al d.leg. 74/00), sia perché non
può parlarsi di continuità nella successione tra norme quando uno o più elementi normativi tipici di identificazione del fatto siano tra loro eterogenei.
3. - La circostanza che il legislatore abbia previsto per il fat
to-reato l'introduzione di elementi costitutivi nuovi e diversi
comporta una frattura tra l'originaria figura contravvenzionale
di omessa dichiarazione fiscale, scissa dall'intento di evasione,
e la nuova figura di omessa dichiarazione, connessa al perse
guimento dello scopo di evasione, attuato mediante il raggiun
gimento della soglia quantitativa di centocinquanta milioni di
lire che sia stata oggetto di previa volizione.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, ritenere, in accogli mento della tesi della continuità tra le due normative, che l'o
messa dichiarazione integra gli estremi del reato ora punito dal
l'art. 5 d.leg. 74/00, solo ed in quanto abbia determinato una
evasione d'imposta superiore a centocinquanta milioni di lire e
che non essendosi raggiunta detta soglia il fatto non è più previ sto dalla legge come reato, comporterebbe, sotto l'aspetto pro
cessuale, la violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza stabilito dall'art. 521 c.p.p., che sussiste quando il
fatto ritenuto in sentenza si trovi in rapporto di eterogeneità o
incompatibilità sostanziale con l'imputazione contestata. Non
può trascurarsi dal considerare infatti che, a differenza del pre
vigente reato contravvenzionale, il nuovo delitto di omessa di
chiarazione prevede il dolo specifico dell'evasione dell'imposta
nell'ammontare stabilito dalla legge, che deve formare oggetto di contestazione specifica. Ciò impedisce la possibilità di valu
tare a posteriori se il fatto, già integrante una contravvenzione
punibile sia a titolo di colpa che di dolo, sia stato posto in essere
allo scopo di perseguire un risultato di evasione, non potendosi attribuire rilevanza ad un elemento costitutivo del reato non
previsto dalla originaria fattispecie. Ciò posto, è impraticabile l'orientamento giurisprudenziale
che sostiene la continuità tra le due fattispecie, considerato che
detta continuità concerne ipotesi di passaggio da una norma
speciale a una norma generale ove quest'ultima comprenda il
contenuto tipico della precedente, ma non l'ipotesi contraria co
stituita dal passaggio, come nel caso in esame, da una norma
generale ad una norma speciale che introduce elementi nuovi
caratterizzanti non previsti dalla norma previgente. In conclusione, la rilevata frattura tra la previgente e l'attuale
normativa, comporta che l'art. 5 d.leg. 74/00 non possa trovare
applicazione retroattiva, perché gli elementi costitutivi del reato
in esso previsti non integrano gli estremi della precedente nor
ma incriminatrice. Conseguentemente, nella fattispecie in esame
si versa nell'ipotesi dell'abolitio criminis prevista dall'art. 2, 2°
comma, c.p. 4. - Alla luce dei criteri sopra evidenziati, deve ritenersi che
anche il reato di cui all'art. 1, 6° comma, 1. 516/82 (omessa o ir
regolare tenuta o conservazione delle scritture contabili), conte
stato all'imputato al capo B) della rubrica, a seguito dell'abro
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PARTE SECONDA
gazione del titolo I della 1. cit. ad opera dell'art. 25, 1° comma,
lett. d), d.leg. 74/00, non sia più previsto dalla legge come reato.
La condotta incriminata dalla norma in questione costituisce,
infatti, una di quelle violazioni formali o preparatorie che il le
gislatore, nel riformare il sistema penale-tributario ha rinunciato
a criminalizzare in quanto non direttamente correlata alla lesio
ne di interessi fiscali. Essa, di per sé, non trova riscontro alcuno
nelle previsioni del d.leg. 74/00, e può tutt'al più costituire un
elemento integrante, solo unitamente ad altri, una diversa fatti
specie di reato tributario.
5. - Tutto ciò premesso, si impone l'annullamento senza rin
vio dell'impugnata sentenza perché i fatti ascritti all'imputato
Sagone Riccardo non sono più previsti dalla legge come reato.
II
Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza del 22 gen
naio 1999 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma di
quella 13 maggio 1997 del locale tribunale, nell'assolvere gli
imputati dai delitti di emissione di fatture relative ad operazioni
inesistenti, ribadiva l'affermazione di responsabilità e la con
danna di Di Mauro Nicola per i delitti di frode fiscale di cui al
l'art. 4, 1° comma, lett. d) e/), 1. n. 516 del 1982 (mediante uti
lizzazione di fatture per operazioni inesistenti e corrispondente indicazione nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1991 e 1992 di componenti negativi in misura diversa da quella effettiva: capi 11 e 12) e per il reato di truffa comunitaria ine
rente alla commercializzazione di olio d'oliva ex art. 640 bis
c.p. (capo 20), e di Ranella Giuseppe, in concorso col Di Mauro,
per i medesimi delitti di frode fiscale (capi 11 e 12), unificati nel vincolo della continuazione; rideterminava altresì la pena
principale complessiva, per il primo, in anni uno e mesi cinque di reclusione e, per il secondo, in mesi nove di reclusione e otto
milioni di lire di multa; confermava per entrambi le pene acces
sorie di legge applicate nel minimo. La corte territoriale riteneva provato che il Ranella, quale le
gale rappresentante della s.r.l. C.d.r., e il Di Mauro, quale pro motore e intermediario della vasta e articolata attività di circola
zione di fatture fittizie facente capo alle società del coimputato
Angelo Prochietto (giudicato separatamente), avevano dapprima «utilizzato» —
capo 11 — quattro fatture emesse nel 1991 dalla
s.a.s. f.lli De Sensi per un imponibile di circa duecentotrentotto
milioni di lire, due fatture emesse nel 1992 dalla s.a.s. Quadri
foglio ed una fattura emessa nel 1992 dalla s.a.s. f.lli De Sensi
per un imponibile complessivo di circa centocinquantotto milio
ni di lire, tutte relative ad operazioni di vendita inesistenti, e poi «indicato» nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni 1991 e 1992, presentate nel maggio 1992 e rispettivamente nel maggio 1993, le suddette fittizie passività come componenti negativi del
reddito portandole fraudolentemente in detrazione (capo 12). Il giudice di merito valorizzava, come elementi di prova, le
precise e attendibili dichiarazioni confessorie ed etero-accu
satorie rese dal Prochietto, riscontrate dalle risultanze investi
gative e dalla documentazione bancaria e fiscale acquisite dalla
guardia di finanza, anche per quanto riguardava la partecipazio ne del Di Mauro agli ulteriori episodi di truffa relativa ai contri
buti comunitari indebitamente erogati per la commercializza
zione di olio d'oliva ad opera delle medesime società del Pro
chietto.
2. - Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassa
zione gli imputati, i quali hanno denunziato:
a) il Di Mauro, la violazione degli art. 63, 2° comma, 191 e
513 c.p.p., in quanto erano state utilizzate a suo carico le dichia
razioni rese dal coimputato Prochietto in sede d'indagini preli minari, non confermate in dibattimento ove lo stesso s'era av
valso della facoltà di non rispondere; il difetto di dolo specifico
per l'avvenuta utilizzazione delle fatture contestate nella conta
bilità e nelle dichiarazioni annuali della ditta facente capo al
Ranella; la mancanza di una condotta artificiosa per il reato di
truffa comunitaria e comunque il difetto di prova di una sua re
sponsabilità concorsuale per questo delitto;
b) il Ranella, l'inutilizzabilità della chiamata in correità del Prochietto e il vizio di motivazione in relazione ai criteri di va
II Foro Italiano — 2001.
lutazione della prova per la ritenuta partecipazione alla frode fi
scale, in particolare per il profilo del dolo specifico di evasione
rispetto al fine alternativo di ottenere indebiti contributi comu
nitari; nonché, per l'aspetto sanzionatorio, l'omessa applicazio ne della continuazione con gli analoghi reati per i quali egli era
già stato condannato con sentenza del Tribunale di Brindisi e
della Corte d'appello di Bologna. 3. - Il ricorso, assegnato alla terza sezione penale della Corte
di cassazione, è stato rimesso da quest'ultima alle sezioni unite
con ordinanza del 5 maggio 2000 sul rilievo dell'esistenza di un
contrasto interpretativo, essendosi affermato, da un lato, che la
dichiarazione fraudolenta nella quale ci si avvalga di fatture per
operazioni inesistenti, contemplata dall'art. 2 d.leg. n. 74 del
2000, costituisce un «elemento specializzante» della pregressa frode fiscale mediante utilizzo di analoghe fatture di cui all'art.
4, lett. d), 1. n. 516 del 1982, con la conseguente riconducibilità
del nuovo precetto alla precedente fattispecie (Cass., sez. Ili, 27
aprile 2000, Bellavia), e, dall'altro, che la condotta di detenzio
ne o registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesi
stenti non integra ormai, di per sé, gli estremi di reato, assu
mendo essa rilevanza penale nell'ambito della nuova fattispecie solo come mezzo del quale l'autore s'avvale per indicare nella
dichiarazione annuale elementi passivi fittizi (Cass., sez. Ili, 2
maggio 2000, Rasi). Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle se
zioni unite penali fissando per la trattazione l'odierna udienza
pubblica. Motivi della decisione. — 1. - Nel corso dell'odierna udienza
pubblica il procuratore generale ha sostenuto che le sezioni
unite — ai sensi dell'art. 142 disp. att. c.p.c., norma a suo avvi
so di portata generale, applicabile sia nel procedimento civile
che in quello penale — dovrebbero limitarsi ad esaminare la
sola questione di diritto oggetto di contrasto giurisprudenziale,
disponendo poi la restituzione degli atti alla sezione rimettente
per la decisione relativa agli altri motivi di gravame. La richiesta non può trovare accoglimento per le ragioni già
esplicitate da queste sezioni unite nella recente sentenza 21 giu
gno 2000, Primavera, in cui si è sottolineato come, per la speci fica autonomia della disciplina propria del rito civile, non sia
consentito ipotizzare l'applicazione estensiva al rito penale della sequenza dicotomica — eccezionalmente —
prevista dal
l'art. 142 disp. att. c.p.c. Mette conto altresì di rilevare: — che, eliminate le previgenti
ipotesi di attribuzione predeterminata del procedimento alle se
zioni unite penali, il meccanismo di assegnazione immediata (da
parte del presidente della corte, quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti
insorti tra le decisioni delle singole sezioni: art. 610, 2° comma,
c.p.p.) o di rimessione (da parte della sezione, quando la que stione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo o può dar
luogo a un contrasto giurisprudenziale: art. 618 c.p.p.) alle se
zioni unite è funzionale alla decisione del «ricorso», e non di
una o più questioni tra quelle dedotte con i motivi di gravame; — che la restituzione alla sezione del ricorso già rimesso alle
sezioni unite è consentita solo quando siano stati assegnati alle
sezioni unite altri ricorsi sulla medesima questione o il contrasto
giurisprudenziale risulti superato (art. 172, 1° comma, disp. att.
c.p.p.); — che nella tipologia delle sentenze che la Corte di cas
sazione pronunzia ai sensi degli art. 615 ss. c.p.p. non è con
templato uno specifico tipo di deliberazione, riservato alle se
zioni unite, come quello prospettato dal procuratore generale; —
che, infine, quando il ricorso è stato rimesso alle sezioni unite, la sentenza enuncia «sempre» il principio di diritto sul quale si
basa la decisione, sia essa di rigetto del ricorso, di rettificazione, di annullamento con rinvio o di annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata (art. 173, 3° comma, disp. att. c.p.p.). La descritta trama normativa sembra pertanto confermare che
— anche per evidenti esigenze di efficienza e funzionalità del
sistema processuale penale —, le sezioni unite, una volta che il
ricorso sia stato ad esse assegnato o rimesso, sono chiamate a
pronunziarsi su tutte le questioni dedotte, non solo in merito alla
specifica questione di speciale importanza ovvero oggetto di
contrasto giurisprudenziale. 2. - La questione controversa sottoposta all'esame delle se
zioni unite consiste nello stabilire se il delitto finanziario conte
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GIURISPRUDENZA PENALE
stato agli imputati come violazione dell'art. 4, 1° comma, lett.
d), d.l. n. 429 del 1982, convertito in 1. n. 516 del 1982 (utiliz zazione di fatture per operazioni inesistenti) conservi tuttora ri
levanza penale, nonostante l'espressa abrogazione del titolo I di
questa legge ad opera dell'art. 25, 1° comma, lett. d), d.leg. 10
marzo 2000 n. 74, recante la nuova disciplina dei reati in mate
ria di imposte sui redditi e sul valore aggiunto secondo l'art. 9 1.
delega 25 giugno 1999 n. 205. Sul tema si contrappongono due indirizzi interpretativi nella
giurisprudenza di legittimità. Da un lato, si ravvisa una sorta di continuità normativa fra
l'ipotesi sanzionata dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 e la
nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art.
2 d.leg. n. 74 del 2000 (Cass., sez. Ili, 27 aprile 2000, Bellavia, cit.), sull'assunto che la dichiarazione annuale fraudolenta con
templata da quest'ultima disposizione costituisce un «elemento
specializzante» della pregressa ipotesi di frode fiscale, la cui
volizione e rappresentazione è già insita nella condotta utilizza
trice, almeno a titolo di «dolo eventuale».
Si afferma, in senso contrario, che l'originaria fattispecie
prevista dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 di utilizzazione, consistita nella detenzione a fine di prova o nella registrazione nelle scritture contabili obbligatorie di fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti, che non abbiano però costituito il
supporto documentale per l'indicazione di elementi passivi fitti
zi nella dichiarazione fraudolenta, resta priva, di per sé sola, di
rilevanza penale e non è più configurabile come reato, poiché la
sanzione, secondo la chiara formulazione dell'art. 2 d.leg. n. 74
del 2000, risulta oggi ancorata esclusivamente al momento della
dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o sul va
lore aggiunto, nel quale si realizza il presupposto obiettivo del
l'evasione d'imposta e la concreta offesa degli interessi connes
si al prelievo fiscale (Cass., sez. Ili, 10 luglio 2000, Baietta; 31 maggio 2000, Bosco; 18 maggio 2000, Dall'Anese; 2 maggio
2000, Rasi, cit.). Le sezioni unite, premesso che la prima tesi interpretativa
collide sia con la formulazione letterale della disciplina positiva sia con la univoca volontà del legislatore, il quale disegna il fe
nomeno in termini di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale-tributaria, condividono l'oppo
sto, più rigoroso, indirizzo giurisprudenziale per le seguenti ra
gioni di ordine logico-sistematico. 3. - Mette conto innanzi tutto di osservare che l'art. 24, 1°
comma, d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507, in attuazione del crite
rio direttivo fissato dall'art. 6, 1° comma, lett. d), 1. delega n.
205 del 1999 e al fine di adeguare l'ordinamento di settore a
consolidati principi di civiltà giuridica, ha abolito il principio di ultrattività delle leggi penali tributarie già posto dall'art. 20 1. 7
gennaio 1929 n. 4, né d'altra parte il nuovo testo di riforma del
sistema penale-tributario contiene alcuna disposizione di diritto
intertemporale quanto al regime transitorio per i processi in cor
so.
Di talché, il problema dell'individuazione della norma incri minatrice applicabile ai fatti anteriormente commessi dev'essere
risolto alla stregua delle regole fondamentali del diritto inter
temporale in materia penale dettate dall'art. 2 c.p., che, ispiran dosi al superiore canone del favor rei, differenzia l'ipotesi della
vera e propria abolitio criminis (2° comma) da quella della suc
cessione di leggi penali incriminatrici (3° comma); mentre l'art.
673 c.p.p., nel caso di «abolizione del reato», conseguente ad
abrogazione o dichiarazione d'illegittimità costituzionale della
norma incriminatrice, attribuisce al giudice dell'esecuzione, con
una disposizione fortemente innovativa, la potestà di revocare la
sentenza irrevocabile di condanna, dichiarando che «il fatto non
è previsto dalla legge come reato».
È assolutamente pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che
per risolvere i complessi dubbi interpretativi circa la concreta
configurabilità della prima o della seconda ipotesi non sia af fatto sufficiente l'uso da parte del legislatore di un'espressa formula abrogativa rispetto a preesistenti fattispecie incrimina
trici, perché, in tanto può dirsi che si sia realizzata una vera e
propria abolizione del reato, in quanto per l'oggettiva perdita di
disvalore del fatto il legislatore sia pervenuto ad una valutazione
di totale inoffensività e di piena liceità della condotta origina
li. Foro Italiano — 2001.
riamente incriminata (cfr., per talune recenti, sia pure contrad
dittorie, applicazioni del principio, Cass., sez. I, 11 aprile 2000, Hattab; sez. VI 28 gennaio 2000, Marini, Foro it., 2000, II, 595; sez. V 14 ottobre 1999, Ghezzi, ibid., 236; sez. I 12 gennaio 1999, Gastaldi, id., Rep. 1999, voce Straniero, n. 58).
Deve invece riconoscersi un fenomeno successorio, con con
seguente applicazione dell'art. 2, 3° comma, c.p., quando, all'e
sito della comparazione e del raffronto tra gli elementi struttu
rali del contenuto normativo delle fattispecie incriminatrici, per siste, anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per ef
fetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive
previsioni, e il significato lesivo del fatto storico sia riconduci
bile nel suo nucleo essenziale, secondo le regole proprie del
concorso apparente di norme, ad una diversa e più mite catego ria d'illecito, tuttora penalmente rilevante, nonostante ed anzi
proprio in conseguenza dell'intervento legislativo che, benché
formalmente abrogativo, di fatto modifica l'ambito di applica bilità della previgente e diversa norma incriminatrice.
In tal caso, i fatti integranti reato sotto il vigore della prece dente previsione possono continuare ad esserlo alla stregua del
nuovo disposto normativo sempre che gli elementi costitutivi
del nuovo reato siano stati chiaramente enunciati nell'imputa zione contestata all'imputato, eventualmente anche a seguito di
rituale modificazione della contestazione (Cass., sez. un., 20
giugno 1990, Monaco, id., 1990, II, 637). 4. - Quanto alla struttura ed agli elementi costitutivi della fro
de fiscale mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesi
stenti, l'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 qualifica come delitti i fatti di utilizzazione di fatture o altri documenti contabili equi
pollenti, ideologicamente falsificati, «per operazioni in tutto o
in parte inesistenti», connotati, da un lato, dal dolo di evasione
fiscale secondo lo schema tipico del dolo specifico, e, dall'altro, dalla lesione dell'interesse al corretto esplicarsi della funzione
di accertamento e dall'esposizione a pericolo dell'interesse fi
nale dell'erario alla riscossione delle imposte effettivamente
dovute dal contribuente, il quale, incrementando fittiziamente
gli acquisti e le spese, riduce l'imponibile sul reddito e sull'Iva
e conseguentemente gli importi da versare all'erario.
La giurisprudenza di questa corte (Cass., sez. un., 3 febbraio
1995, Aversa, id., 1995, II, 340; sez. Ili 14 ottobre 1992, Fattic
cione, id., Rep. 1993, voce Tributi in genere, n. 967; 19 febbraio
1988, Carrozza, id., Rep. 1989, voce Valore aggiunto (imposta), n. 191), circa l'oggettività giuridica del reato, si è più volte pro nunciata nel senso che la condotta illecita di «utilizzazione» può essere integrata da un qualsiasi impiego del documento giuridi camente rilevante e strumentale all'evasione fiscale: costitui
scono modalità di utilizzazione del documento ideologicamente falso sia l'inserimento, l'annotazione e la conservazione di esso
«in corso d'anno» nelle scritture contabili dell'impresa com
promettendone la veridicità, sia la sua esibizione agli uffici fi
nanziari o alla polizia tributaria per eludere i controlli sull'esatta
ricostruzione dei risultati economici della gestione aziendale e
sulla reale capacità contributiva, sia infine la sua allegazione
(necessaria prima del recente esonero del contribuente dall'ob
bligo di allegare documenti alla dichiarazione, secondo la disci
plina dettata dai d.m. 30 marzo 1998 e 25 marzo 1998) all'infe
dele dichiarazione annuale dei redditi o dell'imposta sul valore
aggiunto per fornirne un riscontro di apparente verosimiglianza. L'art. 4, lett./), 1. n. 516 del 1982 prevede, a sua volta, un'i
potesi complessa di frode fiscale costituita dall'«indicare» nella
dichiarazione dei redditi (ma non anche in quella relativa al
l'imposta sul valore aggiunto) ricavi, proventi od altri compo nenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva,
mediante l'utilizzazione di documenti, ideologicamente falsi,
attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, o con altri
comportamenti fraudolenti: la carica di disvalore del delitto è
incentrata nella fraudolenta falsificazione ideologica della di
chiarazione, ma il mendacio dev'essere supportato da una qual siasi forma di uso (nel senso sopra indicato) del documento fal
so, strumentale e propedeutico al contenuto non veritiero della
dichiarazione. Le due ipotesi delittuose, previste rispettivamente dalla lett.
d) e dalla lett./) dell'art. 4 1. n. 516, sono caratterizzate dalla di
versità della condotta («utilizza»; «indica nella dichiarazione
dei redditi ... utilizzando»), dell'oggetto materiale («fatture o
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PARTE SECONDA
altri documenti»; «dichiarazione dei redditi») e della natura
permanente o istantanea del reato: la frode fiscale di cui alla
lett. d) integra, a differenza di quella di cui alla lett./), un'ipote si di reato permanente, posto che la consumazione di esso per dura per tutto il tempo in cui il falso documento resta acquisito nella contabilità con l'intento di compiere la futura evasione fi
scale o di eludere i controlli degli uffici finanziari, e si protrae fino a quando possono esercitarsi detti controlli o fino all'ac
certamento dell'illecito (Cass., sez. un., 3 febbraio 1995, Aver
sa, cit.; 24 novembre 1999, Scrudato, id., 2000, II, 330). E la giurisprudenza di legittimità, insieme con la prevalente
dottrina, sul rilievo della disomogeneità strutturale delle due
fattispecie, della non necessaria consequenzialità dei detti com
portamenti, e inoltre del testuale riferimento dell'attenuante
speciale del 2° comma dell'art. 4 ai plurimi «fatti» previsti nelle
lett. d) e f) del 1° comma, sostiene che le disposizioni normative
ivi dettate descrivono due ipotesi delittuose di frode fiscale, autonome e distinte tra loro anche quando nella consumazione
del delitto di cui alla lett. f) la condotta fraudolenta di supporto all'infedele dichiarazione sia esattamente conforme a quella de
scritta nella lett. d). Nel caso in cui l'utilizzazione di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti si riverberi sul mo
mento dichiarativo finale, mentre non può ravvisarsi un unico
reato, quello di frode in dichiarazione, idoneo per il fenomeno
della progressione criminosa ad assorbire in sé il disvalore del
l'antecedente illecita condotta utilizzatoria, ben può invece con
figurarsi, sia sotto il profilo giuridico-formale che sotto quello fattuale attesa la natura della disposizione a più fattispecie, il
concorso di reati (Cass., sez. Ili, 15 dicembre 1998, n. 1234; 22
novembre 1995, n. 11307; 22 giugno 1990, Corti, id., Rep.
1991, voce Tributi in genere, n. 1467), fatta salva l'ipotesi di
illecita «utilizzazione» nella dichiarazione Iva, sanzionata solo
per il segmento di condotta descritto nella lett. dì). 5. - Conformemente alle direttive dell'art. 9 1. delega n. 205
del 1999, la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto di cui al d.leg. n. 74 del 2000 è in
formata al superamento della strategia privilegiata dalla previ
gente normativa, fondata sul modello delle violazioni «prodro miche» ad una falsa dichiarazione e all'evasione d'imposta con
intenti anticipatori di tutela, e, nelle linee generali (sottolineate con inusuale chiarezza e vigore in molteplici passi della relazio
ne governativa che accompagna il decreto), segna una netta in
versione di rotta, imperniandosi viceversa l'intervento repressi vo su un più ristretto catalogo di fattispecie delittuose, conno
tate da rilevante offensività degli interessi connessi al prelievo fiscale e da dolo specifico di evasione d'imposta.
La scelta del modello normativo ha portato a concentrare
l'attenzione sulla dichiarazione annuale prevista ai fini delle
imposte sui redditi o sul valore aggiunto, quale momento essen
ziale di disvalore del fatto, «... nel quale si realizza dal lato del
contribuente il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione
d'imposta...». La violazione dell'obbligo di veritiera prospetta zione della situazione reddituale e delle basi imponibili è al
fondamento, segnatamente, della tipologia criminosa costituente
«l'asse portante» del nuovo sistema punitivo: la dichiarazione
annuale «fraudolenta» che, siccome non soltanto mendace ma
caratterizzata altresì da un particolare «coefficiente di insidio
sità», per essere supportata da un impianto contabile o docu
mentale per operazioni inesistenti, costituisce dunque la fatti
specie commissiva ontologicamente più grave, sanzionata con la
sola pena detentiva, ma rafforzata rispetto al passato.
Quanto alla struttura e agli elementi costitutivi della nuova
ipotesi criminosa di «dichiarazione fraudolenta», l'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, «avvalendosi di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti» (secondo la definizione di
essi data dall'art. 1, lett. a), registrati nelle scritture contabili
obbligatorie o detenuti a fini di prova nei confronti dell'ammi nistrazione finanziaria in sede di successivo accertamento, «in
dica» in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi (giusta la formula definitoria dell'art. 1, lett. b). Il 3° comma della medesima norma prevede un più mite
trattamento sanzionatorio, adeguato alla minore gravità del dan
no erariale, nei casi in cui l'ammontare complessivo degli ele
menti passivi fittizi indicati nella dichiarazione annuale è infe
riore a trecento milioni di lire.
Il Foro Italiano — 2001.
Il delitto, di tipo commissivo e di mera condotta, seppure te
leologicamente diretta al risultato dell'evasione d'imposta (co me precisato nella definizione del dolo specifico di evasione sub
art. 1, lett. d), ha natura istantanea e si consuma con la presenta zione della dichiarazione annuale, non rilevando le dichiarazioni
periodiche e quelle relative ad imposte diverse: con la conse
guenza che il comportamento di utilizzazione, nel senso sopra
specificato, si configura come ante factum meramente strumen
tale e prodromico per la realizzazione dell'illecito, e perciò non
punibile. Si avverte in proposito nella relazione governativa
(par. 3.1.1) come «... l'ampia elaborazione giurisprudenziale e
dottrinale relativa al concetto di utilizzazione di fatture e altri
documenti per operazioni inesistenti, rilevante nell'ottica appli cativa del delitto di frode fiscale di cui all'art. 4 d.l. 429/82 non
sia recuperabile sic et simpliciter in rapporto alla nuova figura di reato, la quale resta integrata non dalla mera condotta di uti
lizzazione, ma da un comportamento successivo e distinto,
quale la presentazione della dichiarazione, alla quale in base alla
disciplina in vigore non dev'essere allegata alcuna documenta
zione probatoria». Particolare rilievo sistematico assumono altresì le disposizio
ni normative degli art. 6 e 9 d.leg. n. 74 del 2000 sul tentativo e,
rispettivamente, sul concorso di persone. In forza del disposto dell'art. 6, il delitto di dichiarazione
fraudolenta previsto dall'art. 2 «non è comunque punibile a ti
tolo di tentativo». La ratio legis, ovvia e trasparente, è quella di
evitare la vanificazione della strategia abolitrice del modello di
reato prodromico mediante la generalizzata applicazione del
l'art. 56 c.p. (relazione governativa, par. 3.1.5), potendosi altri
menti sostenere che la propedeutica registrazione in contabilità
o la detenzione a fine di prova di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti, accertate nel corso del periodo d'imposta, siano teleologicamente dirette in modo non equivoco alla suc
cessiva dichiarazione fraudolenta, come tali punibili ex se a ti
tolo di delitto tentato; s'intende in tal modo favorire nell'inte
resse dell'erario la resipiscenza, anche se non spontanea, del
contribuente, il quale di fronte a un accertamento compiuto nei
suoi confronti nel corso del periodo d'imposta sarà portato a
presentare una dichiarazione veridica e conforme alle risultanze
della verifica fiscale per sottrarsi alla responsabilità penale. Risulta poi autonomamente strutturata la fattispecie criminosa
di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesi
stenti, attività illecita di spiccata pericolosità consistente nel
l'immissione sul mercato di documentazione idonea a supporta re l'indicazione fraudolenta in dichiarazione di elementi passivi fittizi: l'ipotesi criminosa dell'emissione, regolata dall'art. 8, è
dunque punita di per sé, mentre l'utilizzazione «solo in quanto trasfusa in una falsa dichiarazione».
Sotto diverso profilo, il successivo art. 9 esclude, in deroga all'art. 110 c.p., la configurabilità del concorso dell'emittente
nel reato di dichiarazione fraudolenta commesso dall'utilizzato
re e soprattutto, in forza della medesima logica sottesa alla non
configurabilità del tentativo («quella cioè di ancorare comunque la punibilità al momento della dichiarazione fraudolenta evitan
do una indiretta resurrezione del reato prodromico»: relazione
governativa, par. 3.2.1), del concorso dell'utilizzatore nel reato
di emissione anche in caso di preventivo accordo. Di conse
guenza, per l'emittente la successiva utilizzazione da parte di
terzi configura un postfatto non punibile, mentre per l'utilizza
tore, che se ne avvalga nella dichiarazione annuale, il previo ri
lascio costituisce un antefatto pure irrilevante penalmente; del
pari, l'intermediario non potrà considerarsi concorrente in en
trambi i reati ma, a seconda dei casi concreti, in una delle di
stinte ipotesi. 6. - Le linee ispiratrici della riforma, come si desume a chiare
lettere sia dalla reale portata delle disposizioni incriminatrici
che dall'esplicita voluntas legis, segnalano dunque l'incompati bilità del nuovo sistema penal-tributario con il vecchio modello
di tutela anticipata caratterizzato dalla repressione di violazioni
strumentali e prodromiche all'evasione.
Il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione
annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della
fattispecie, e nella lesione dell'interesse erariale all'integrale ri
scossione delle imposte dovute, piuttosto che nella generica tra
sparenza fiscale, l'oggetto giuridico della tutela penale. Sono
per contro private di significato penale-tributario condotte che
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GIURISPRUDENZA PENALE
in passato costituivano la soglia avanzata della strategia sanzio
natoria, come quelle di utilizzazione nel corso dell'anno di fat
ture per operazioni inesistenti, pure astrattamente configurabili come atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione
del delitto di dichiarazione fraudolenta, ma che non rivestono
alcuna rilevanza se il contribuente presenta alla scadenza an
nuale una dichiarazione fedele e veritiera.
La nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta di cui al
l'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000 «assorbe» l'ipotesi prodromica di
utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, già sanzionata
dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982, perché, pur contenendo
alcuni elementi descrittivi del fatto già previsti dalla norma pre
esistente, presenta tuttavia ulteriori elementi non riconducibili
alla precedente figura, postulando in particolare 1'«indicazione»
in dichiarazione di elementi passivi fittizi, non richiesta invece dall'art. 4, lett. d), 1. n. 516: non mero «elemento specializzan
te», quest'ultimo, virtualmente compreso nella condotta di «uti
lizzazione» sotto il profilo del «dolo eventuale» (come si sostie
ne impropriamente nella citata Cass., sez. Ili, 27 aprile 2000,
Bellavia), ma eterogeneo rispetto alla previgente previsione in
criminatrice.
In considerazione della disomogeneità strutturale delle fatti
specie tipiche, l'art. 25 d.leg. n. 74 del 2000, nell'abrogare e
spressamente, tra l'altro, l'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982, non
ha dunque creato una sorta di continuità punitiva della di
sposizione abrogata con l'attuale art. 2 medesimo d.leg. in tema
di dichiarazione fraudolenta: di guisa che, con riferimento alle
condotte prodromiche di «utilizzazione» di fatture o altri docu
menti per operazioni inesistenti, un tempo integratrici del reato
di cui all'art. 4, lett. d), 1. n. 516, è intervenuta una vera e pro
pria abolitio criminis mediante integrale depenalizzazione della
fattispecie.
L'opposta tesi interpretativa, che ravvisa un fenomeno di me
ra successione di norme incriminatrici, non coglie il profilo fortemente innovativo dello ius superveniens, in ordine all'i
dentificazione della condotta criminosa meritevole di sanzione
penale, e appare perciò priva di fondamento giuridico, finendo
essa in sostanza per perpetuare la vigenza di una figura di reato
incompatibile col nuovo regime normativo e pervenendo al ri
sultato paradossale di attribuire rilevanza penale a un compor
tamento che, se tenuto oggi, sarebbe privo di disvalore e non
costituirebbe reato, in contrasto con i principi ispiratori delle re
gole stabilite in tema di successione delle leggi penali nel tempo
e con il principio di tipicità della condotta incriminata. Le sezioni unite ritengono in definitiva che il secondo degli
indirizzi interpretativi delineati in premessa, condiviso da larga
parte della dottrina, meriti di essere confermato in quanto la
trama argomentativa da cui scaturisce l'opzione abolitrice trova
solida base giustificativa nell'analisi ricostruttiva e nella com
parazione organica degli elementi strutturali delle fattispecie ti
piche. Il procedimento ermeneutico, dopo avere correttamente indi
viduato all'interno della peculiare oggettività giuridica del reato
di cui all'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000 lo stretto collegamento della frode fiscale con il momento dichiarativo finale ed eviden
ziato che le condotte di utilizzazione, meramente strumentali e
preparatorie, sono sprovviste di per sé di valenza penale —
neppure a titolo di tentativo o di concorso dell'utilizzatore con
l'emittente —, ha posto in luce la sostanziale eterogeneità dei
fatti criminosi.
Di talché può enunciarsi il seguente principio di diritto: «le
condotte di utilizzazione di fatture o altri documenti per opera
zioni inesistenti, prodromiche o strumentali rispetto alla frau
dolenta indicazione di elementi passivi fittizi in una delle di chiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, supportata da tali fatture o documenti, non sono più,
di per sé, previste dalla legge come reato».
7. - Rispetto ai procedimenti penali in corso, come la giuris
prudenza ha avuto modo di chiarire in relazione ad altri casi di
successione di norme incriminatrici, i fatti integranti reato sotto
il vigore della precedente previsione possono continuare ad es
serlo alla stregua di quella nuova, qualora, in concreto, gli ele
menti costitutivi del nuovo reato siano stati chiaramente enun
ciati nell'imputazione contestata all'imputato anche a seguito di
rituale modificazione della contestazione (Cass., sez. un., 20
giugno 1990, Monaco, cit.).
Il Foro Italiano — 2001.
Nei procedimenti penali pendenti, aventi ad oggetto fatti di
«utilizzazione» di fatture o altri documenti per operazioni inesi
stenti già sanzionati dalla previgente disciplina, l'abrogazione dell'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 (diversamente da quanto è
avvenuto per l'ipotesi speculare della «emissione» pure prevista dalla medesima disposizione incriminatrice) comporta pertanto, in forza della regola di diritto intertemporale fissata dal 2°
comma dell'art. 2 c.p., la non punibilità di quei medesimi fatti
che, perseguibili all'epoca della loro commissione come frode
fiscale, non risultano astrattamente inquadrabili oggi nella nuo
va fattispecie criminosa di dichiarazione fraudolenta, disegnata
dall'art. 2 d.leg. n. 74 del 2000. E però, qualora i dati delle fatture o degli altri documenti per
operazioni inesistenti, utilizzati in corso d'anno, fossero stati
recepiti dal contribuente nella successiva dichiarazione annuale
dei redditi della quale avessero costituito il supporto fraudolento
per la mendace indicazione di componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, dottrina e giurisprudenza ri tenevano integrato, nel vigore della precedente disciplina, in
concorso con l'autonoma ipotesi di cui all'art. 4, lett. d), anche
il diverso e autonomo delitto di frode fiscale ex art. 4, lett. /), 1.
n. 516 del 1982. Orbene, per quest'ultima fattispecie ben può ravvisarsi, stante
l'omologa strutturazione e la sovrapposizione delle due previ
sioni punitive (salvo per quanto attiene all'estensione dell'at
tuale incriminazione alla dichiarazione annuale Iva, rispetto alla
quale non è configurabile un rapporto di successione modifica
tiva tra leggi), una continuità normativa d'illecito con la nuova
ipotesi dell'art. 2, 1° comma, d.leg. n. 74 del 2000, rispetto alla
quale la prima s'atteggia anzi come lex mitior per i profili del
trattamento sanzionatorio e dei termini prescrizionali, sempre
che non ricorra l'ipotesi attenuata prevista dall'art. 2, 3° com
ma, medesimo decreto.
Un'indicazione in tal senso sembra potersi trarre dall'art. 25
dello schema preliminare del d.leg. n. 74 (recante le disposizioni
transitorie per i fatti criminosi pregressi, non riprodotte nello
schema definitivo), secondo cui «continuano ad applicarsi le di
sposizioni del d.leg. n. 429 del 1982» per i fatti previsti dall'art.
4, lett. d), limitatamente all'ipotesi di emissione di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti — e non anche a quella di
utilizzazione — (4° comma, nonché per i fatti previsti dall'art.
4, lett. /, medesimo d.l., a condizione che «il fatto è commesso
utilizzando fatture o altri documenti per operazioni inesistenti»:
5° comma, lett. a). Di talché, per i processi penali in corso nei quali non risulti
contestato anche il delitto di frode fiscale di cui alla lett. /), ben
sì solo quello di cui alla lett. d) dell'art. 4 1. n. 516 del 1982, mentre emerga ex actis il riflesso della condotta di utilizzazione
in una fraudolenta dichiarazione dei redditi, resta riservato alla
pubblica accusa la potestà di contestazione del fatto «nuovo»
attinente al momento dichiarativo, con le relative conseguenze
delineate sul terreno processuale dagli art. 423, 2° comma, e
518 ss. c.p.p.: ovviamente, sub specie dell'ipotesi più favore
vole al reo che potrà essere, di volta in volta, quella di cui al
l'art. 4, lett./), 1. n. 516 del 1982, ovvero quella dell'art. 2, 3°
comma, d.leg. n. 74 del 2000.
8. - Nel caso di specie, le concorrenti violazioni tributarie
contestate agli imputati nei capi 11) e 12), unificate nel vincolo
della continuazione, sono caratterizzate dal duplice e autonomo
contesto della «utilizzazione» — prima
— di plurime fatture per
operazioni inesistenti per gli anni 1991 e 1992, registrate in
contabilità e detenute a fini di prova nei confronti dell'ammini
strazione finanziaria, e della mendace «indicazione» — poi
—
nelle dichiarazioni dei redditi presentate in riferimento agli stes
si anni, nel maggio 1992 e rispettivamente nel maggio 1993, di
fittizi componenti negativi del reddito ricollegati alla predetta
utilizzazione, per l'ammontare inferiore a trecento milioni di lire
in ciascuna delle due dichiarazioni.
Orbene, se, da un lato, si rileva in ordine all'imputazione di
cui all'art. 4, lett. d), 1. n. 516 del 1982 che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, dall'altro, la concorrente im
putazione di cui all'art. 4, lett./), 1. n. 516 del 1982 può essere
ricondotta alla previsione attenuata dell'art. 2, 3° comma, d.leg.
n. 74 del 2000.
All'esito del confronto fra le due leggi e tenuto essenzial
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PARTE SECONDA
mente conto dei riflessi sul bene primario della libertà persona
le, deve infatti riconoscersi che le previsioni sanzionatone della
disposizione posteriore sono certamente, nel complesso e in
concreto, più favorevoli al reo a norma dell'art. 2, 3° comma,
c.p. (Cass., sez. Ili, 31 maggio 2000, Bosco, cit.): — per la mi
sura edittale della pena principale (reclusione da sei mesi a due anni, a fronte della reclusione da sei mesi a cinque anni con
giunta alla multa da cinque a dieci milioni di lire previste dal
l'art. 4 1. n. 516); — per l'esclusione della pena accessoria del
l'interdizione dai pubblici uffici ai sensi dell'art. 12, 2° comma, d.leg. n. 74, nonostante si rinvengano nell'applicazione della
nuova disciplina modesti elementi svantaggiosi quanto ad alcu
ne delle pene accessorie temporanee elencate nel 1° comma del
medesimo art. 12; — per il più breve termine di prescrizione
(anni cinque secondo le disposizioni generali di cui all'art. 157, 1° comma, n. 4, c.p., a fronte del termine di anni sei previsto
dall'abrogato regime speciale ex art. 9 1. n. 516). Non è d'altra parte ipotizzabile, in relazione alla ritenuta
continuità normativa, alcuna violazione del diritto di difesa, né
tanto meno del principio di correlazione fra imputazione conte
stata e sentenza di cui all'art. 521 c.p.p., risultando specificata nella contestazione originaria la circostanza della «indicazione»
di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni 1991 e 1992, supportata da documentazione ideologica mente falsa, costituita dalle fatture per operazioni inesistenti
elencate nel precedente capo d'imputazione per il profilo della
mera «utilizzazione»: il fatto ritenuto in sentenza non si trova
rispetto a quello contestato in rapporto di ontologica estraneità o
incompatibilità, nel senso che si sia realizzata una sostanziale
trasformazione o sostituzione degli elementi essenziali dell'ad
debito che abbia posto gli imputati in condizione di non potersi difendere.
9.1. - Quanto ai profili, invero generici e meramente fattuali, delle censure di manifesta illogicità della motivazione in ordine
alla valutazione complessiva delle prove di responsabilità in or
dine al delitto di dichiarazione fraudolenta, i ricorsi devono es
sere rigettati. Il giudice di merito, con puntualità di riferimenti ancorati al
nucleo fondamentale delle risultanze del complessivo quadro
probatorio e con motivazione immune da vizi logico-giuridici, ha infatti efficacemente evidenziato: — la sussistenza di con
vergenti fonti probatorie (dichiarazioni accusatorie del coimpu tato Prochietto, documentazione fiscale e bancaria, investiga zioni della guardia di finanza), che smentiscono completamente le prospettazioni di buona fede o di estraneità e confermano in
vece la consapevole e concorrente partecipazione degli imputati alla vicenda criminosa de qua, nei ruoli per entrambi analitica
mente descritti di utilizzatore-dichiarante per il Ranella e di in
termediario per il Di Mauro; — la sussistenza del dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, che
emerge con chiarezza dall'obiettiva utilizzazione, in sede di di chiarazioni annuali, delle fatture corrispondenti ad operazioni inesistenti per conseguire la detrazione di costi non deducibili,
compatibile, per il Di Mauro, con il concorrente dolo proprio della truffa comunitaria ascrittagli nel capo 20.
Occorre ribadire che esula dai poteri di questa corte la rilettu ra della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicità del discorso giustifica tivo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (Cass., sez. un., 30
aprile 1997, Dessimone, id., 1998, II, 90; 24 dicembre 1999, Spina; 21 giugno 2000, Tammaro).
9.2. - Anche gli ulteriori motivi di gravame circa pretese vio
lazioni di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata ri
sultano, oltre che sprovvisti del requisito di adeguata specificità delle ragioni di diritto, prive di pregio alcuno.
Circa la censurata utilizzazione come elemento di prova del
verbale delle dichiarazioni etero-accusatorie del Prochietto (per sona imputata in un procedimento connesso), assunte nelle in
dagini preliminari dalla polizia giudiziaria su delega del p.m. e lette all'udienza del 13 maggio 1997 nel corso del dibattimento di primo grado per essersi questi avvalso della facoltà di non ri
spondere, devesi rilevare, da un lato, che la lettura è stata dispo sta in ossequio alla norma dell'art. 513, 2° comma, c.p.p., nel testo originario come inciso dal dictum della Corte costituzio nale con sentenza n. 254 del 1992 (id., 1992,1, 2014) e, dall'al
tro, che il difensore degli imputati non ha fatto alcuna richiesta,
Il Foro Italiano — 2001.
nel corso del giudizio d'appello celebrato il 22 gennaio 1999
(pur dopo l'entrata in vigore della novella legislativa di cui alla
1. n. 267 del 1997 e delle prescrizioni transitorie dettate dall'art.
6, 3° comma, di detta legge, e il radicale intervento della Corte
costituzionale con la sentenza n. 361 del 1998, id., 1998, I,
3441), di parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, al
fine di ottenere il recupero del contraddittorio mediante la cita
zione del dichiarante sul fatto altrui, per l'ulteriore esame e per l'eventuale esercizio delle facoltà contestative ai sensi dell'art.
500, commi 2 bis e 4, c.p.p. Di talché, giusta la norma transitoria di cui all'art. 1, 4°
comma, d.l. 7 gennaio 2000 n. 2, convertito in 1. 25 febbraio
2000 n. 35, applicabile fino alla data di entrata in vigore della legge di attuazione del novellato art. 111 Cost., alle dichiarazio
ni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini
delle decisioni di merito, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione le disposizioni processuali in materia di
valutazione della prova «vigenti ... al momento delle decisioni
stesse» (Cass., sez. I, 10 luglio 2000, Malcangi; sez. VI 17 aprile 2000, Francica; 28 gennaio 2000, Ibrahimi).
Per questo profilo la decisione di merito risulta dunque inec
cepibile e adeguatamente motivata.
Quanto alla doglianza del Di Mauro riguardante l'incompati bilità del dolo specifico di evasione fiscale rispetto all'assor
bente finalità di trarre indebite sovvenzioni comunitarie per la
commercializzazione di olio d'oliva, rileva il collegio che, atte
sa l'evidente diversità del bene giuridico protetto (Cass., sez.
Ili, 7 novembre 1995, Ammirato, id., Rep. 1996, voce Concorso
di reati, n. 13), il delitto di frode fiscale può concorrere con
quello di truffa comunitaria quando lo specifico dolo di evasio
ne della condotta tipica si coniuga con una distinta e autonoma
finalità extratributaria, sempre che quest'ultima non sia perse
guita dall'agente in via esclusiva. L'apprezzamento fattuale
della valenza di tale relazione resta peraltro riservato al giudice di merito e, se adeguatamente e logicamente motivato (come nella specie), non è censurabile dal giudice di legittimità.
Va infine disattesa l'ulteriore doglianza del Ranella attinente
al profilo sanzionatorio, in punto di denegata applicazione da
parte della corte distrettuale della continuazione con gli analo
ghi reati per i quali egli era già stato condannato con sentenza
del Tribunale di Brindisi e della Corte d'appello di Bologna,
perché, avendone il difensore fatto richiesta solo nel corso della
discussione finale, il giudice d'appello non aveva l'obbligo di pronunciarsi su un tema d'indagine rimesso al potere dispositi vo della parte e però non devolutogli con uno specifico motivo
di gravame (Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, Tuzzolino). Di talché tutte le, invero generiche, censure dei ricorrenti cir
ca pretese violazioni di legge e carenze motivazionali della
sentenza impugnata in ordine ai punti suindicati risultano mani
festamente infondate.
10. - In conclusione, la sentenza impugnata dev'essere an
nullata senza rinvio nei confronti di entrambi gli imputati limi
tatamente al delitto di utilizzazione di fatture per operazioni ine
sistenti di cui all'art. 4, 1° comma, lett. d), 1. n. 516 del 1982, contestato nel capo 11) della rubrica, perché il fatto non è previ sto dalla legge come reato, con la conseguente eliminazione
delle relative pene. L'ulteriore imputazione di cui all'art. 4, 1° comma, lett. f), 1.
n. 516 del 1982, contestata nel successivo capo 12), dev'essere
invece qualificata, in forza della sopravvenuta lex mitior, come
violazione dell'art. 2, 3° comma, d.leg. n. 74 del 2000, in ordine
alla quale, ferma restando l'affermazione di responsabilità degli
imputati, occorre peraltro rinviare ad altra sezione della Corte
d'appello di Torino per la rideterminazione delle pene principali ed accessorie.
I ricorsi degli imputati vanno rigettati nel resto.
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