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sezioni unite penali; sentenza 17 dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agrò, P.M. Siniscalchi...

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sezioni unite penali; sentenza 17 dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agrò, P.M. Siniscalchi (concl. diff.); ric. Montella. Conferma Trib. Pisa, ord. 7 febbraio 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 267/268-273/274 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199341 . Accessed: 24/06/2014 20:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.134 on Tue, 24 Jun 2014 20:14:13 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 17 dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agrò, P.M. Siniscalchi(concl. diff.); ric. Montella. Conferma Trib. Pisa, ord. 7 febbraio 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 267/268-273/274Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199341 .

Accessed: 24/06/2014 20:14

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PARTE SECONDA

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 17

dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agro, P.M. Siniscalchi

(conci, diff.); ric. Montella. Conferma Trib. Pisa, ord. 7 feb

braio 2003.

Confisca — Ipotesi particolari di confisca ex art. 12 «sexies»

d.l. 306/92 — Nesso di pertinenza dei beni con il reato —

Irrilevanza (D.l. 8 giugno 1992 n. 306, modifiche urgenti al

nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contra

sto alla criminalità mafiosa, art. 12 sexies', 1. 7 agosto 1992 n.

356, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 giu

gno 1992 n. 306; d.l. 20 giugno 1994 n. 399, disposizioni ur

genti in materia di confisca di valori ingiustificati, art. 2; 1. 8

agosto 1994 n. 501, conversione in legge, con modificazioni,

del d.l. 20 giugno 1994 n. 399). Sequestro penale

— Sequestro preventivo — Ipotesi parti

colari ex art. 12 «sexies» d.l. 306/92 — Presupposti (Cod.

proc. pen., art. 321; d.l. 8 giugno 1992 n. 306, art. 12 sexies; 1.

7 agosto 1992 n. 356; d.l. 20 giugno 1994 n. 399, art. 2; 1. 8

agosto 1994 n. 501).

La confisca prevista dall'art. 12 sexies d.l. 306/92 va disposta anche in relazione a beni per cui non consti il nesso di perti

nenza causale e temporale con i reati ivi previsti o con altre

attività delittuose della persona condannata. (1)

(1) 1. - A distanza di quasi tre anni (Cass., sez. un., 30 maggio 2001,

Derouach, Foro it., 2001, II, 502, con nota redazionale), le sezioni unite

tornano ad occuparsi della confisca ex art. 12 sexies d.l. 306/92, ade

rendo al prevalente orientamento ermeneutico, già sostenuto di recente

(anche) da Cass. 28 gennaio 2003, Scuto, id., 2003, II, 508, con nota di

Giorgio, e ribadito da Cass. 18 giugno 2003, Tanzarella, Guida al dir.,

2004, fase. 6, 63. II. - La tesi (minoritaria) patrocinata (anche) da Cass. 5 febbraio

2001, Di Bella, Foro it., 2002, II, 263, con nota di Di Chiara, viene su

perata sulla base di un'interpretazione della norma de qua (perché am

bigua nel suo testo letterale), fondata sul concorso dei criteri ermeneu

tici logico-sistematico e storico c.d. oggettivo (in dottrina, cfr. Fianda

ca-Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2002, 104 ss. In

giurisprudenza, cfr. Cass. 16 ottobre 1975, n. 3359, Foro it., 1976, I,

699, spec. 701; 24 settembre 1973, n. 2415, id., Rep. 1973, voce Legge, n. 32).

Sicché, si sottolineano le connessioni normative intercorrenti tra l'i

stituto in questione (costituente «misura di sicurezza atipica, con fun

zione anche dissuasiva») e gli art. 416 bis, 1° comma, e 644, 6° comma,

c.p. Viene, quindi, escluso che con l'introduzione dell'art. 12 sexies cit.

11 legislatore abbia voluto (soltanto) ribadire o (addirittura) restringere la disciplina (pur speciale rispetto a quella di cui all'art. 240 c.p.) pre vista in tema di confisca dalle norme appena citate.

Si sottolinea, all'uopo, anche la (peculiare) ratio (storica) ispiratrice della novella, atta a giustificarne (anche) la costituzionalità, perché volta a contrastare «(. ..) gli autori di delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare una accumulazione economica, a sua volta fonte di pos sibili delitti (.. .)» (come anche opinato da Corte cost., ord. 29 gennaio 1996, n. 18, id., Rep. 1996, voce Ricettazione, n. 27, cui adde 28 marzo

2000, n. 88, id., Rep. 2000, voce Stupefacenti, n. 72). III. - Proprio al fine di patrocinare un'interpretazione costituzional

mente orientata della norma de qua, viene affermato che «(. . .) il giu dice non è autorizzato ad espropriare un patrimonio quando comunque sia di ingente valore, ma deve accertarne la sproporzione rispetto ai

redditi ed alle attività economiche del condannato attraverso una rico

struzione storica della situazione esistente al momento dei singoli ac

quisti», mediante una verifica «rigorosa», effettuata alla luce del prin

cipio del libero convincimento.

Peraltro, in virtù della presunzione iuris tantum espressamente previ sta dalla legge, sull'interessato grava l'onere di fornire un'esauriente

spiegazione in termini economici (e non semplicemente giuridico formali) di una derivazione da attività lecite del bene (confiscando), es

sendo irrilevante l'eventuale anteriorità del suo acquisto rispetto alla

data d'inizio della contestata attività criminosa. Tale conclusione con

segue ad un'esegesi «letterale» della norma de qua, in quanto «una si

tuazione di pericolosità presente» (ex se) giustifica l'adozione della mi

sura ablativa, connessa, peraltro, alla funzione sociale — ex art. 42

Cost. — della proprietà privata. IV. - Le argomentazioni addotte a conforto della confiscabilità dei

beni acquisiti prima del dì di commissione del reato contestato ex art.

12 sexies cit. non appaiono del tutto convincenti.

Al di là di quanto già prospettato in altra sede (cfr. nota a Cass. 28

gennaio 2003, Scuto, cit., sub XI), si possono trarre utili spunti di ri

flessione dalle recenti affermazioni delle sezioni unite in tema di (ob

bligatoria) motivazione del decreto di sequestro probatorio — ex art.

253 c.p.p. — del corpo di reato (cfr. Cass., sez. un., 28 gennaio 2004,

Il Foro Italiano — 2004.

Il sequestro preventivo di cui all'art. 12 sexies, 4° comma, d.l.

306/92 può essere adottato se: a) alla luce delle specifiche

circostanze di fatto, prospettate dal pubblico ministero, sia

astrattamente configurabile uno dei reati previsti da detta

norma; bj emergano seri indizi circa la concreta sussistenza

delle condizioni — in tema di sproporzione dei valori e di

mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni —

necessarie ai fini della definitiva confisca. (2)

Ferazzi, Guida al dir., 2004, fase. 9, 54, con nota di Forlenza, La

sproporzione tra beni e reddito dichiarato sottrae rilievo penale al

momento dell'acquisizione). Nella circostanza, tra l'altro, è stato evi

denziato che dev'essere ispirato ai principi di «ragionevolezza» e di

«proporzionalità» l'intervento penale incidente sul diritto di proprietà, tutelato — precettivamente

— dall'art. 42 Cost, e dall'art. 1 del primo

protocollo aggiuntivo alla convenzione europea dei diritti dell'uomo

(ibid., 59). Sicché, è necessario un «giusto equilibrio», «un ragionevole

rapporto di proporzionalità» tra il mezzo impiegato — lo spossessa mene dei beni — e il fine endoprocessuale perseguito.

Orbene, un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto

de quo, rispettosa anche della (citata) norma internazionale, vincolante

per l'ordinamento interno (arg. ex Corte cost. 13 giugno 2000, n. 190,

Foro it., Rep. 2000, voce Legge, n. 71; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14900,

id., Rep. 2002, voce cit., n. 30; 5 maggio 1995, n. 4906, id., 1995, I,

2105, spec. 2107) dovrebbe indurre a dubitare della legittimità della

conclusione raggiunta nella pronuncia in epigrafe. Infatti, un bene acquisito in epoca antecedente alla data di commis

sione del reato contestato ex art. 12 sexies cit. è dallo stesso ictu oculi

avulso, sia «ragionevolmente» che « proporzionalmente». Né — peraltro — la confisca de qua deriva (effettivamente) da una

«situazione di pericolosità presente» del condannato, sì da giustificarne

l'operatività anche per le ricchezze conseguite prima del reato conte

stato (come affermato sub 6 nella pronuncia in epigrafe). Invero, la

norma de qua non richiede alcuna verifica giudiziale in tema di (attua

le) pericolosità dell'imputato, ai fini della pronuncia ablatoria, che con

segue ipso iure ad una sentenza di condanna dalla (complessiva) situa

zione patrimoniale esistente al momento dei singoli acquisti. Infine, che la ricostruzione storica debba effettuarsi in modo «rigoro

so», rileva (apprezzabilmente) in relazione al quomodo (procedurale) della misura punitiva patrimoniale.

Il suo esperimento, però, non può assurgere a valida giustificazione (anche costituzionale) circa il (distinto e prioritario) profilo dell 'an

della confisca relativamente ai beni entrati nella disponibilità dell'im

putato, prima del delitto ascritto ex art. 12 sexies cit.

V. - Per ulteriori osservazioni critiche sulla sentenza de qua, Forlen

za, op. cit., 70. VI. - Sui profili di contrasto tra l'opzione ermeneutica recepita nella

sentenza in epigrafe (per l'aspetto di cui sub IV) e la normativa in ge stazione, nel contesto dello «spazio giuridico europeo», riguardante la

(possibile) regolamentazione uniforme in materia di confisca di beni di

valore sproporzionato, cfr. Di Chiara, Modelli e standard probatori in

tema di confisca dei proventi di reato «nello spazio giuridico euro

peo»: problemi e prospettive, in Foro it., 2002, II, 263 ss.

VII. - De iure condendo va ricordata la presentazione in parlamento del disegno di legge dì ratifica e di attuazione della convenzione delle

Nazioni unite contro il crimine organizzato transnazionale, approvata, nel dicembre 2000, a Palermo.

Tra l'altro, viene prevista l'introduzione di un articolo nel codice di

procedura penale in tema di indagini patrimoniali, destinate (anche) al

l'individuazione dei beni confiscabili ex art. 12 sexies cit. ed utilizza

bili (probatoriamente) sino alla data di deposito della sentenza di primo

grado. Cfr., in proposito, Barberini, Entrata in vigore della convenzio

ne contro il crimine organizzato transnazionale e disegno di legge di

ratifica, in Cass, pen., 2003, 3264 ss.

(2) I. - La pronuncia in rassegna, pur ribadendo un orientamento in

terpretativo ormai consolidato (autorevolmente avallato da Cass., sez.

un., 25 marzo 1993, Gifuni, Foro it., Rep. 1993, voce Sequestro penale, nn. 19, 128), contiene una significativa puntualizzazione a proposito della necessaria sussistenza di indizi, qualificati dalla «serietà», in rife

rimento al giudizio di sproporzione e di mancata giustificazione della

lecita provenienza dei beni confiscandi ex art. 12 sexies d.l. 306/92.

Solo in presenza di detto (qualificato) compendio investigativo, può

configurarsi il periculum, quale necessario presupposto del sequestro

preventivo, propedeutico alla misura ablativa definitiva.

Peraltro, di recente, è stato puntualizzato che l'accertamento da parte del giudice del riesame del fumus commissi delieti a) deve mirare alla

verifica della «congruità» degli elementi di fatto prospettati dall'accu

sa, che devono indurre ad inquadrare l'ipotesi accusatoria in quella ti

pica, in un'ottica di «ragionevole probabilità» (Cass. 11 giugno 2002,

Pianelli, Riv. pen., 2003, 791); b) non deve portare «ad una approfon dita disamina storica della vicenda penale», implicando (soltanto) una

verifica circa la sussumibilità della fattispecie denunciata in quella le

gale tipica ipotizzata (Cass. 10 dicembre 2002, Caccaro, ibid., 394,

spec. 395).

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GIURISPRUDENZA PENALE

Ritenuto in fatto. — 1. - Nel corso del procedimento penale a

carico di Mario Montella, accusato, tra l'altro, del reato di usura

in relazione ad un episodio risalente al gennaio del 1999, il

g.i.p. presso il Tribunale di Pisa, su richiesta del p.m., con prov vedimento del 2 gennaio 2003, sequestrava quattro immobili siti

in Napoli, alcune autovetture, un motociclo, diversi depositi in

conto corrente, alcune cassette di sicurezza e numerosi titoli di

credito, tutti beni di cui l'indagato risultava avere la disponibi lità. Il sequestro era disposto ex art. 321, 2° comma, c.p.p., su

cose confiscabili per effetto dell'art. 12 sexies d.l. 306/92 (con

vertito in 1. 356/92), in relazione al delitto di usura.

2. - Contro il provvedimento cautelare veniva proposta richie

sta di riesame da parte dell'indagato e di suo figlio Pasquale, che con separato ricorso assumeva che il sequestro preventivo avesse riguardato beni di sua proprietà. Il tribunale del riesame

(in data 7 gennaio 2003) accoglieva il ricorso di Pasquale Mon

tella, revocando il sequestro degli immobili e dei capitali a lui

intestati; confermava il provvedimento nei confronti di Mario

Montella limitatamente all'immobile sito in Napoli, in via Tito

Lucrezio Caro (acquistato in data 21 aprile 1995), all'autovettu

In precedenza, la tesi secondo cui la legittimità del sequestro preven tivo implica non soltanto l'astratta riconducibilità dei fatti rappresentati dal p.m. ad un'ipotesi di reato, ma anche la sussistenza in concreto del

fumus di detto reato è stata sostenuta da Cass. 27 gennaio 2000, Cava

gnoli, 24 febbraio 1999, Graziano, e 15 novembre 1999, Coppola, Foro

it., Rep. 2000, voce cit., nn. 41, 45 e 46; 9 luglio 1999, Faustini, 12

febbraio 1999, Rubino, e 19 novembre 1998, Pansini, id.. Rep. 1999, voce cit., nn. 51, 89 e 113; 25 marzo 1997, Stracuzzi, id., Rep. 1997, voce cit., n. 65; 29 settembre 1995, Flachi, 28 febbraio 1996, Manelli, e

3 aprile 1996, Di Maggio, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 64, 65 e 66; 23

settembre 1994, Nigro, id., Rep. 1995, voce cit., n. 148.

Con riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca de

qua, cfr. anche Cass. 19 gennaio 1999, Fedele, e 25 giugno 1999, Sici

gnano, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 59 e 60, che sottolineano lo speci fico raccordo tra la norma de qua e l'art. 321, 2° comma, c.p.p. Questa norma, peraltro, a dire di Cass. 13 novembre 2002, Angrisani, Riv. pen., 2003, 1040, prevede un'ipotesi di misura cautelare facoltativa e non

obbligatoria, come invece è quella di cui all'art. 321, 1° comma, c.p.p. II. - Per quanto riguarda la documentazione che il p.m. deve deposi

tare, in caso di riesame delle misure cautelari reali, cfr. Cass. 21 feb

braio 2002, Confalonieri, Foro it.. Rep. 2002, voce cit., n. 58, secondo

cui sussiste l'obbligo di trasmissione (almeno) per gli atti d'indagine

già trasmessi al g.i.p., a fondamento della richiesta.

Tale documentazione dev'essere posta a disposizione del competente tribunale ex art. 324 c.p.p. nella sua integralità, non essendo all'uopo sufficienti le affermazioni contenute nella richiesta del p.m. (così Cass.

15 gennaio 2003, Serini, Arch, nuova proc. pen., 2004, 129). Peraltro, legittimamente il giudice del riesame può annullare il prov

vedimento di sequestro preventivo, correlato ad un reato risultante ex

actis estinto (Cass. 4 novembre 1998, Agustoni, Foro it., Rep. 1999,

voce cit., n. 103); o per cui l'assenza dell'elemento soggettivo sia rile

vabile ictu oculi in modo macroscopico ed evidente (Cass. 15 ottobre

1996, Balistreri, id., Rep. 1997, voce cit., n. 87), fermo restando che

l'annullamento giudiziale della misura cautelare reale incide (solo) sul

mantenimento della stessa, non impedendo l'utilizzabilità degli ele

menti probatori (così Cass. 19 dicembre 2002, Raddino, Arch, nuova

proc. pen., 2004, 133). III. - A proposito del terzo, che voglia sottrarsi alla confisca di un

bene sottoposto a sequestro preventivo ex art. 321, 2° comma, c.p.p. e

12 sexies d.l. cit., cfr. Trib. Napoli 16 luglio 2003, Foro it., 2003, II,

540, con nota redazionale. In argomento, peraltro, secondo Cass. 20 marzo 2002, Tanini, id.,

Rep. 2002, voce cit., n. 18, e, per esteso, Giur. it., 2003, 2147, con nota

di Montagna, il giudice, adito ai fini della revoca del provvedimento cautelare, non deve rispettare la procedura camerale ex art. 127 c.p.p., attesa l'inapplicabilità — ob relationem — dell'art. 263 c.p.p., non ri

chiamato dall'art. 104 disp. att. c.p.p. Di contrario avviso era stata Cass.

29 febbraio 1996, Lo Giudice, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 91.

Infine, Cass. 8 ottobre 2003, Calvi, Guida al dir., 2004, fase. 8, 79,

ha evidenziato che «persona estranea al reato» può ritenersi solo chi

dimostri: 1) che il titolo del proprio diritto abbia data certa anteriore al

sequestro preventivo, finalizzato, ex art. 321, 2° comma, c.p.p., alla

confisca; 2) l'assenza di collegamento del proprio diritto con l'altrui

condotta delittuosa, dalla quale non deve aver tratto alcun vantaggio; 3) la sussistenza della propria buona fede o, comunque, di una situazione

di apparenza, tale da rendere scusabile la propria ignoranza o il difetto

di diligenza, nel caso in cui risulti a suo favore un oggettivo vantaggio scaturito dall'altrui reato.

IV. - In tema di tutela del diritto di difesa dell'indagato nel giudizio

d'impugnazione di misure cautelari reali, cfr. Cass. 3 giugno 2003, Au

riti. Foro it., 2004, II, 168, con nota redazionale. [G. Giorgio]

Il Foro Italiano — 2004.

ra Ford KA, in uso alla moglie, e ai capitali liquidi e cartolariz

zati che erano nella sua disponibilità, ordinando la restituzione

degli altri beni.

Nella parte in cui confermava il provvedimento impugnato, l'ordinanza ribadiva sia l'esistenza del fumus delieti, sia la con

fiscabilità dei beni ex art. 12 sexies 1. 356/92. In particolare, il

tribunale escludeva che il vincolo di pertinenzialità tra cose e

reato costituisse un elemento fondante della confisca prevista dall'art. 12 sexies ritenendo che, a differenza della confisca or

dinaria, non fosse richiesta «la correlazione tra un determinato

bene ed un certo reato», ma soltanto «il diverso nesso che si

stabilisce tra il patrimonio ingiustificato e la persona nei con

fronti della quale è pronunciata condanna per uno dei delitti

elencati dall'art. 12 sexies», precisando come il medesimo le

game valesse anche per il sequestro preventivo. Su queste basi il

giudice del riesame, considerato che attraverso le dichiarazioni

della parte offesa risultava che le condotte usurarie erano già in

atto nel 1990, ha ritenuto che le giustificazioni offerte dall'in

dagato circa la disponibilità del patrimonio, che si fermavano al

1994, non fossero sufficienti a vincere la presunzione dell'ille

cita provenienza. 3. - Contro l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di

Mario Montella, per violazione di legge, ritenendo che la pecu liarità della disciplina prevista dall'art. 12 sexies non possa giu stificare una completa svalutazione del nesso di pertinenzialità tra beni e reato. Più precisamente, dopo aver sostenuto che il le

game tra bene sequestrato e reato commesso viene dalla legge

presunto e che tale presunzione può essere superata dalle giusti ficazioni offerte dall'indagato, il difensore ha escluso che nella

fattispecie potesse operare tale presunzione, rilevando l'assoluta

inesistenza del nesso a causa dell'evidente scarto temporale tra

l'acquisto dei beni e la consumazione del reato di usura, ag

giungendo che tale carenza era stata irragionevolmente superata dal tribunale, che aveva ipotizzato una serie di condotte usura

rie, più vicine all'epoca dell'acquisizione dei beni in oggetto, delle quali non vi era alcuna traccia nel procedimento e nella

stessa contestazione.

Con successiva memoria il difensore ha, inoltre, lamentato il

vizio di motivazione e di violazione dell'art. 12 sexies in tema

di ripartizione dell'onere della prova. In particolare, ha soste

nuto che la sproporzione deve riferirsi necessariamente a un pe riodo di tempo, scelto discrezionalmente dall'accusa e che l'in

dagato ha l'onere di fornire la prova contraria solo sul lasso

temporale così individuato, non potendosi pretendere che forni

sca dimostrazioni afferenti periodi non presi in esame dalla stes

sa accusa, come invece avrebbe fatto il tribunale, addossando

all'indagato un onere di prova contraria insostenibile.

4. - All'udienza del 10 luglio 2003 la II sezione della Corte di

cassazione ha rilevato un contrasto giurisprudenziale in ordine

al problema del rapporto di pertinenzialità tra beni confiscabili

sulla base dell'art. 12 sexies, 1° e 2° comma, cit. — e quindi

oggetto di sequestro preventivo ex art. 321, 2° comma, c.p.p. e

12 sexies, 4° comma, cit. — e reati per cui è intervenuta con

danna, individuando tre distinti filoni interpretativi non univoci:

il primo, che esclude la necessità di qualsiasi nesso esistente tra

beni confiscabili e reati; l'altro che, al contrario, pretende che

sia almeno ipotizzabile la provenienza delittuosa dei beni; infi

ne, il terzo che individua un nesso di pertinenzialità più ampio, riferito cioè non allo specifico fatto delittuoso, ma all'attività

criminosa facente capo ad un soggetto. Il ricorso è stato, quindi, rimesso alle sezioni unite ai sensi

dell'art. 618 c.p.p. e il presidente della corte ha fissato l'udienza

del 17 dicembre 2003 per la discussione davanti alle sezioni

unite.

Considerato in diritto. — 1. - Come si è detto in narrativa, le

sezioni unite, in relazione ad un sequestro disposto ai sensi del

l'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, sono in primo luogo

chiamate e pronunziarsi su quali siano le condizioni che legitti

mano la confisca prevista dal medesimo articolo.

Posto che la legge espressamente indica la condanna del sog

getto per certi delitti, la sproporzione del valore della somma

dei beni rispetto ai redditi dichiarati ed alle attività economiche

del condannato e infine la mancata giustificazione dell'origine

di tali beni, si chiede se, oltre a tanto, la norma consideri o non

consideri necessaria anche la verifica di una derivazione delle

cose da confiscare dal reato di cui il soggetto è stato ritenuto re

sponsabile. Ovvero se, ferme sempre restando le condizioni

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PARTE SECONDA

suddette ed anche la necessità di una verifica, la provenienza di tali cose debba più genericamente essere individuata, non nel reato oggetto del giudizio, ma, attraverso un accertamento inci

dentale, nell'attività illecita del condannato.

Risolto tale problema, le sezioni unite devono poi esprimersi su come la soluzione adottata si rifletta sul sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca.

2. - L'ordinanza che pone la questione, dopo aver premesso che è il legislatore, nello stesso art. 12 sexies, a porre una pre sunzione iuris tantum di origine illecita dei beni di valore spro

porzionato di cui il condannato abbia la disponibilità, nel criti care l'orientamento predominante della giurisprudenza secondo cui non è richiesto alcun accertamento in ordine alla derivazione dei beni, auspica un'interpretazione della norma che «quel rap porto di pertinenzialità ravvisi tra i beni e la fattispecie o le fat

tispecie criminose per cui si procede». 3. -

Quello che però resta inespresso e che non è nemmeno ri

cavabile dall'economia complessiva del provvedimento è di che natura debba poi essere la relazione che la norma vorrebbe sus sistere e imporrebbe di accertare tra il bene ed il reato.

Ed è una difficoltà a ben vedere insuperabile. Infatti se, col mando il silenzio del legislatore, si richiedesse un carattere im

mediato e diretto della pertinenza della cosa col delitto, tale re lazione corrisponderebbe o alle cose utilizzate per il reato o alla nozione di prezzo o di prodotto o di profitto, la cui confiscabi lità è già prevista dall'art. 240 c.p. E quindi in questo ordine di

idee, l'art. 12 sexies, posto che per il prezzo l'art. 240 c.p. già la

impone, si limiterebbe a rendere obbligatoria la confisca facol tativa prevista per le cose destinate a commettere il reato, il

prodotto ed il profitto di questo. Ma considerando che l'obbli

gatorietà è già specificamente prevista dal codice per i delitti di associazione mafiosa e di usura, la norma in esame, per questi delitti, costituirebbe un'inutile replica di un istituto già esistente

nell'ordinamento, così come in generale lo sarebbe per la confi sca del prezzo del reato. Ed anzi, imponendo come ulteriore condizione di applicabilità quella sproporzione di cui prima s'è

detto, renderebbe più ristrette rispetto alla disciplina comune le

ipotesi di ablazione per le fattispecie ivi previste. Ma un'analoga aporia si riprodurrebbe anche quando si opi

nasse che la norma in esame autorizza un'espropriazione degli utili che costituiscono reimpiego delle cose pertinenti al reato, nel caso di condanna per i delitti ivi elencati. Si assisterebbe in tal caso, e proprio per i delitti di criminalità mafiosa alla cui re

pressione il d.l. n. 306 del 1992 è elettivamente diretto, ad una

duplicazione tra quanto previsto dalla norma in esame ed il di

sposto del 7° comma dell'art. 416 bis c.p. (e sempre al parados so che la nostra norma richiede anche la sproporzione, che inve ce il codice ignora).

Se poi dagli utili provenienti dalle cose si passasse a ritenere la confiscabilità del tantundem, resterebbe incomprensibile per ché la 1. 7 marzo 1996 n. 108, nel modificare l'art. 644 c.p., proprio introducendo la confisca per equivalente nel caso di condanna per usura, faccia espressamente salva l'applicabilità dell'art. 12 sexies, del quale, nella sua interezza, indica dunque un ulteriore campo operativo, con possibilità quindi di ulteriori confische su cose diverse dal tantundem.

Dire infine che la norma autorizza a valorizzare anche ipotesi di relazioni mediate, indirette o occasionali del bene col reato,

significa lasciare alla discrezionalità creativa dell'interprete la determinazione dei presupposti di applicabilità della confisca, in violazione patente del principio di legalità.

4. - D'altra parte non sembra nemmeno praticabile una via che individui il tratto caratteristico della norma sulla confisca in esame in specifiche forme di indagine sul nesso di derivazione dal reato, diverse e meno penetranti rispetto a quelle richieste

per altre confische.

Prospettiva che occorre considerare in quanto significativa mente l'ordinanza che pone la questione evita il termine «ac certamento» della provenienza delittuosa, ma impiega l'espres sione «quanto meno ipotizzabile provenienza delittuosa». E an cora suggerisce che l'art. 12 sexies, nel porre quella presunzione generale di cui s'è detto, opera in realtà e soltanto sul piano probatorio, nel senso che tra il delitto di cui il giudice ha cogni zione e il bene da espropriare possa concepirsi una ragionevole sorta di pertinenzialità, la quale andrebbe esclusa, per esempio, quando emerga che l'acquisto della cosa da parte del condan nato è anteriore al reato per cui si è proceduto.

Il Foro Italiano — 2004.

Così argomentando peraltro si dà per dimostrato quello che

invece dovrebbe dimostrarsi, che cioè l'art. 12 sexies in ogni modo postuli pur sempre la provenienza del bene da espropriare dal delitto oggetto del giudizio, cosa che, come s'è appena os

servato, non può ammettersi se non giungendo o a negare un

proprio ubi consistavi alla norma in esame quale istituto sostan

ziale o alla conclusione di una sua irrimediabile vaghezza. Ed il

problema verrebbe a riprodursi anche a livello probatorio, in

quanto la ragionevolezza dell'ipotesi di una derivazione (anche

per la specie che si porta ad esempio) dovrebbe diversamente

apprezzarsi se fosse richiesta una relazione immediata e diretta

della cosa col reato, ovvero se si dovesse considerare espropria bile il reimpiego della cosa pertinente al reato, ovvero se si pas sasse al tantundem, ovvero infine se si ammettesse anche una

relazione mediata, indiretta o di occasionalità.

Ma poiché — conviene ripeterlo

— la norma in esame non

offre alcuna indicazione positiva in ordine al rapporto che do

vrebbe sussistere tra i beni ed il reato specifico ed anzi la 1. 7

marzo 1996 n. 108, nell'indicare, come s'è detto, un campo

operativo della nostra confisca più ampio rispetto al tantundem, induce ad allentare ulteriormente il nesso di derivazione della

cosa, non solo dal delitto per cui si procede, ma anche dal valore

economico corrispondente, anche l'accertamento semplificato, nel quale consisterebbe il quid novi della medesima norma, sa rebbe privo di un oggetto certo.

5. - Rimane pertanto da verificare se, nonostante la presun zione posta dal legislatore, la norma, pur muovendo dalla con

danna per uno dei reati che essa stessa indica, richieda un ac certamento della provenienza dei beni non dal reato oggetto del

giudizio, ma dall'attività illecita del condannato.

Ed al riguardo, a parte il rilievo che l'attività illecita si scom

pone pur sempre in specifici delitti e che quindi si tornerebbe in definitiva a quanto appena osservato, sono risolutive le stesse

considerazioni contenute nell'ordinanza che ha rimesso la que stione alle sezioni unite.

L'innesto della confisca in esame nel processo non può allar

gare indefinitamente il thema decidendum di quest'ultimo. I li miti della contestazione, con i connessi diritti della difesa al

contraddittorio, impediscono al giudice di occuparsi di condotte varie e multiformi, pregresse o successive al fatto per cui si pro cede. Il quale giudice dovrebbe invece conoscere di queste con dotte non incidenter tantum, ma nella pienezza delle sue attribu zioni di cognizione, sia pure ai limitati fini della sussistenza di un presupposto della misura di sicurezza patrimoniale.

Con la conseguenza che l'istituto in parola o resterebbe di

fatto inapplicato per incompatibilità con i meccanismi proces suali in cui s'è cercato di introdurlo o che un accertamento del nesso di derivazione del bene dall'attività criminosa non è ri chiesto dall'art. 12 sexies.

6. - Tutto quanto s'è fin qui osservato conduce allora a ritene re che il legislatore, nell'individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha presupposto la deri vazione di tali beni dall'episodio criminoso singolo per cui la condanna è intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti in ordine all'attitudine crimi nale.

In altri termini il giudice, attenendosi al tenore letterale della

disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili e il reato per cui ha pronunziato condanna e nemmeno tra questi stessi beni e l'attività criminosa del con dannato. Cosa che, sotto un profilo positivo, significa che, una volta intervenuta la condanna, la confisca va sempre ordinata

quando sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economi ca e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose.

Con il corollario che, essendo la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realtà attuali, la confi scabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di perico losità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è

proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna.

Si conferma in tal modo quanto già queste sezioni unite han no affermato (30 maggio 2001, Derouach, Foro it., 2001, II,

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Page 5: sezioni unite penali; sentenza 17 dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agrò, P.M. Siniscalchi (concl. diff.); ric. Montella. Conferma Trib. Pisa, ord. 7 febbraio 2003

GIURISPRUDENZA PENALE

502) che cioè ci si trova dinanzi ad una misura di sicurezza ati

pica con funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura

di prevenzione antimafia introdotta dalla 1. 31 maggio 1965 n.

575. 7. - Si rendono necessarie, a questo punto, alcune precisazioni

esegetiche. Il legislatore impiega il termine sproporzione e ciò rimanda

non a qualsiasi difformità tra guadagni e capitalizzazione, ma ad

un incongruo squilibrio tra questi, da valutarsi secondo le co

muni regole di esperienza. La sproporzione così intesa viene testualmente riferita, non al

patrimonio come complesso unitario, ma alla somma dei singoli

beni, con la conseguenza che i termini di raffronto dello squili

brio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori

economici in gioco, non vanno fissati nel reddito dichiarato o

nelle attività al momento della misura rispetto a tutti i beni pre

senti, ma nel reddito e nelle attività nei momenti dei singoli ac

quisti, rispetto al valore dei beni volta a volta acquisiti. La giustificazione credibile attiene alla positiva liceità della

provenienza e non si risolve nella prova negativa della non pro venienza dal reato per cui si è stati condannati. E così, per

esempio, per gli acquisti che hanno un titolo negoziale occorre

un'esauriente spiegazione in termini economici (e non sempli cemente giuridico-formali) di una derivazione del bene da atti

vità consentite dall'ordinamento, che sarà valutata secondo il

principio del libero convincimento.

8. - La conclusione raggiunta è conforme ad una fondamen

tale scelta di politica criminale del legislatore, operata con l'in

dividuare delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare una

accumulazione economica, a sua volta possibile strumento di

ulteriori delitti, e quindi col trarne una presunzione, iuris tan

tum, di origine illecita del patrimonio «sproporzionato» a dispo sizione del condannato per tali delitti.

Ma in realtà è proprio contro questa scelta politica che, in

modo più o meno palese, si nutrono preoccupazioni di legitti mità costituzionale, tanto che le interpretazioni che in qualche modo cercano di introdurre un concreto nesso di derivazione

non muovono da vere e proprie considerazioni esegetiche o si

stematiche, ma da una supposta necessità di adeguamento del

dettato normativo ai principi costituzionali. La confisca disposta alle condizioni qui ritenute necessarie e sufficienti sarebbe

frutto di una cultura del sospetto, in contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di proprietà nonché col diritto inviola

bile di difesa. E tuttavia la ragionevolezza in sé della presunzione è stata

confermata dalla Corte costituzionale che al riguardo ha ritenuto

manifestamente infondato un dubbio sull'arbitrarietà della

scelta legislativa (ordinanza n. 18 del 1996, id., Rep. 1996, voce

Ricettazione, n. 27). Essa trova ben radicata base nella nota ca

pacità dei delitti individuati dal legislatore, quali, per indicarne

alcuni, l'associazione per delinquere di stampo mafioso, la ridu

zione in schiavitù e la tratta e il commercio di schiavi, l'estor

sione ed il sequestro di persona a scopo di estorsione, l'usura, la

ricettazione, il riciclaggio nelle sue varie forme o il traffico di

stupefacenti, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e

a porsi quali fonti di illecita ricchezza. La sua congruità è poi rafforzata dal fatto che il giudice non è autorizzato ad espropria re un patrimonio quando comunque sia di ingente valore, ma

deve invece accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle

attività economiche del condannato e ciò, come s'è visto, attra

verso una ricostruzione storica della situazione esistente al mo

mento dei singoli acquisti. 9. - Né è dato capire in qual modo la norma potrebbe contra

stare con il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata di cui la legge «determina i limiti allo scopo di assicurarne la

funzione sociale». La prevenzione speciale e la dissuasione,

perseguite non irragionevolmente dal legislatore attraverso la

presunzione in esame, assolvono appunto ad una funzione so

ciale che è a fondamento dei limiti che il legislatore stesso può

imporre. Né può parlarsi di una violazione del diritto di difesa. Si tratta

di una presunzione iuris tantum ed essa è applicabile quando sia

dimostrata la sproporzione tra il valore dei beni da un lato e i

redditi e le attività economiche dall'altro, al momento di ogni

acquisto dei beni stessi. Solo dopo una tale dimostrazione il

soggetto inciso dovrà, con riferimento temporale precisamente

determinato, indicare le proprie giustificazioni, le quali dunque

Il Foro Italiano — 2004.

potranno anche loro essere specifiche e puntuali. Tale indica

zione non va confusa con un'imposizione di onere della prova, ma si risolve nell'esposizione di fatti e circostanze di cui il giu dice valuterà la specificità e la rilevanza e verificherà in defini

tiva la sussistenza. L'onere imposto non trasmoda perciò in una

richiesta di prova diabolica, ma è al contrario di agevole assol

vimento.

Né infine la presunzione in esame collide con la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 della Carta (con la quale invece contrastava l'art. 12 quinquies, 2° comma, che introdu

ceva sugli stessi presupposti un'ipotesi di reato: Corte cost. n.

48 del 1994, id., 1994, I, 2969), in quanto nella specie non si

tratta di presumere la colpevolezza di un soggetto, ma la prove nienza illecita di un patrimonio.

10. - Tanto detto, pare allora semplice individuare le condi

zioni in base alle quali possa essere disposto, ai sensi dell'art.

321, 2° comma, c.p.p., il sequestro preventivo dei beni confi

scabili a norma dell'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306.

Sotto un primo profilo, quello del c.d.fumus, il giudice dovrà

verificare se nel fatto attribuito all'indagato, in relazione alle

concrete circostanze indicate dal p.m., sia astrattamente confi

gurabile una delle ipotesi criminose previste dalla norma citata.

Si tratta di un'applicazione dei principi, che qui vengono riba

diti, enunciati da sez. un. 25 marzo 1993, Gifuni (id., Rep. 1993,

voce Sequestro penale, n. 128), secondo la quale è preclusa al

giudice delle misure cautelari reali ogni valutazione sulla sussi

stenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi.

Sotto il profilo del periculum, coincidendo questo con la con

fiscabilità del bene, il giudice della cautela, al pari di quello del

merito, non può esimersi dal vagliare gli stessi aspetti che legit timano la definitiva confisca e per quanto riguarda la spropor zione dei valori e per quanto riguarda la mancata giustificazione della lecita provenienza. Con l'avvertenza che, in sede cautela

re, verrà apprezzata la presenza di seri indizi della sussistenza di

queste condizioni, delle quali la piena prova è riservata al me

rito.

11.- Venendo infine al caso di specie, il Montella, indagato di usura, non nega la riconducibilità della condotta addebitata

gli, puntualmente descritta dal p.m., all'ipotesi di cui all'art.

644 c.p. Né nega un'evidente sproporzione del complesso dei

beni di cui dispone e del valore di questi (3.946.403.915 lire

per gli anni 1995-2000) con i redditi dichiarati e le attività eco

nomiche svolte (attività di manovale e, in modo non continuati

vo, di procacciatore di affari per le quali risulta un guadagno di

176.833.000 lire negli anni 1995-2000) nei momenti degli ac

quisti. Assume invece di aver provato l'impossibilità di una prove

nienza dal reato contestatogli (in tesi commesso nel 1999) dei

beni posseduti e perché l'appartamento è stato comprato il 21

aprile 1995 e perché, a fronte del provento della pretesa usura

(sette milioni di lire), nel dicembre 1994 disponeva di un monte

di titoli per circa cinque miliardi di lire. Talché, così ragionando, il Montella assume che l'art. 12

sexies, 1° comma, d.l. n. 306 del 1992 prevede che sussista una

relazione derivativa tra i beni passibili di confisca e il reato per cui si procede (o, come con maggior sfumatura sostiene, tra i

beni e gli illeciti che possono essere stati commessi dal mo

mento della richiesta del sequestro al momento della consuma

zione del reato addebitatogli) e che la giustificazione dell'origi ne di tali beni possa dirsi offerta quando si dimostri che essi non

provengono da quel reato o da reati commessi in quel periodo. Ora il provvedimento impugnato contiene, in alcuni passi,

delle affermazioni superflue per respingere questa tesi (esso,

come detto in narrativa, assume un'attività di usuraio del ricor

rente risalente al 1990, così correlando la confiscabilità dei beni

all'accertamento di una continuità dell'attività criminosa). Resta

però fermo che il Montella, erroneamente ancorandosi ai possi bili proventi del reato che gli è stato addebitato o di eventuali

reati commessi dal sequestro alla data della consumazione del

reato ascrittogli, non solo non ha dato indicazione, secondo

quanto si è finora osservato, di circostanze idonee a fornire una

giustificazione credibile della sproporzione tra i suoi beni e i

suoi guadagni leciti, ma anzi, attraverso l'ammissione e la man

cata giustificazione di disponibilità per cinque miliardi di lire,

ha aggravato lo squilibrio rilevato all'atto del sequestro. 12. - Il ricorso va quindi respinto.

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