sezioni unite penali; sentenza 17 dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agrò, P.M. Siniscalchi(concl. diff.); ric. Montella. Conferma Trib. Pisa, ord. 7 febbraio 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 267/268-273/274Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199341 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 17
dicembre 2003; Pres. Marvulli, Est. Agro, P.M. Siniscalchi
(conci, diff.); ric. Montella. Conferma Trib. Pisa, ord. 7 feb
braio 2003.
Confisca — Ipotesi particolari di confisca ex art. 12 «sexies»
d.l. 306/92 — Nesso di pertinenza dei beni con il reato —
Irrilevanza (D.l. 8 giugno 1992 n. 306, modifiche urgenti al
nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contra
sto alla criminalità mafiosa, art. 12 sexies', 1. 7 agosto 1992 n.
356, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 giu
gno 1992 n. 306; d.l. 20 giugno 1994 n. 399, disposizioni ur
genti in materia di confisca di valori ingiustificati, art. 2; 1. 8
agosto 1994 n. 501, conversione in legge, con modificazioni,
del d.l. 20 giugno 1994 n. 399). Sequestro penale
— Sequestro preventivo — Ipotesi parti
colari ex art. 12 «sexies» d.l. 306/92 — Presupposti (Cod.
proc. pen., art. 321; d.l. 8 giugno 1992 n. 306, art. 12 sexies; 1.
7 agosto 1992 n. 356; d.l. 20 giugno 1994 n. 399, art. 2; 1. 8
agosto 1994 n. 501).
La confisca prevista dall'art. 12 sexies d.l. 306/92 va disposta anche in relazione a beni per cui non consti il nesso di perti
nenza causale e temporale con i reati ivi previsti o con altre
attività delittuose della persona condannata. (1)
(1) 1. - A distanza di quasi tre anni (Cass., sez. un., 30 maggio 2001,
Derouach, Foro it., 2001, II, 502, con nota redazionale), le sezioni unite
tornano ad occuparsi della confisca ex art. 12 sexies d.l. 306/92, ade
rendo al prevalente orientamento ermeneutico, già sostenuto di recente
(anche) da Cass. 28 gennaio 2003, Scuto, id., 2003, II, 508, con nota di
Giorgio, e ribadito da Cass. 18 giugno 2003, Tanzarella, Guida al dir.,
2004, fase. 6, 63. II. - La tesi (minoritaria) patrocinata (anche) da Cass. 5 febbraio
2001, Di Bella, Foro it., 2002, II, 263, con nota di Di Chiara, viene su
perata sulla base di un'interpretazione della norma de qua (perché am
bigua nel suo testo letterale), fondata sul concorso dei criteri ermeneu
tici logico-sistematico e storico c.d. oggettivo (in dottrina, cfr. Fianda
ca-Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2002, 104 ss. In
giurisprudenza, cfr. Cass. 16 ottobre 1975, n. 3359, Foro it., 1976, I,
699, spec. 701; 24 settembre 1973, n. 2415, id., Rep. 1973, voce Legge, n. 32).
Sicché, si sottolineano le connessioni normative intercorrenti tra l'i
stituto in questione (costituente «misura di sicurezza atipica, con fun
zione anche dissuasiva») e gli art. 416 bis, 1° comma, e 644, 6° comma,
c.p. Viene, quindi, escluso che con l'introduzione dell'art. 12 sexies cit.
11 legislatore abbia voluto (soltanto) ribadire o (addirittura) restringere la disciplina (pur speciale rispetto a quella di cui all'art. 240 c.p.) pre vista in tema di confisca dalle norme appena citate.
Si sottolinea, all'uopo, anche la (peculiare) ratio (storica) ispiratrice della novella, atta a giustificarne (anche) la costituzionalità, perché volta a contrastare «(. ..) gli autori di delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare una accumulazione economica, a sua volta fonte di pos sibili delitti (.. .)» (come anche opinato da Corte cost., ord. 29 gennaio 1996, n. 18, id., Rep. 1996, voce Ricettazione, n. 27, cui adde 28 marzo
2000, n. 88, id., Rep. 2000, voce Stupefacenti, n. 72). III. - Proprio al fine di patrocinare un'interpretazione costituzional
mente orientata della norma de qua, viene affermato che «(. . .) il giu dice non è autorizzato ad espropriare un patrimonio quando comunque sia di ingente valore, ma deve accertarne la sproporzione rispetto ai
redditi ed alle attività economiche del condannato attraverso una rico
struzione storica della situazione esistente al momento dei singoli ac
quisti», mediante una verifica «rigorosa», effettuata alla luce del prin
cipio del libero convincimento.
Peraltro, in virtù della presunzione iuris tantum espressamente previ sta dalla legge, sull'interessato grava l'onere di fornire un'esauriente
spiegazione in termini economici (e non semplicemente giuridico formali) di una derivazione da attività lecite del bene (confiscando), es
sendo irrilevante l'eventuale anteriorità del suo acquisto rispetto alla
data d'inizio della contestata attività criminosa. Tale conclusione con
segue ad un'esegesi «letterale» della norma de qua, in quanto «una si
tuazione di pericolosità presente» (ex se) giustifica l'adozione della mi
sura ablativa, connessa, peraltro, alla funzione sociale — ex art. 42
Cost. — della proprietà privata. IV. - Le argomentazioni addotte a conforto della confiscabilità dei
beni acquisiti prima del dì di commissione del reato contestato ex art.
12 sexies cit. non appaiono del tutto convincenti.
Al di là di quanto già prospettato in altra sede (cfr. nota a Cass. 28
gennaio 2003, Scuto, cit., sub XI), si possono trarre utili spunti di ri
flessione dalle recenti affermazioni delle sezioni unite in tema di (ob
bligatoria) motivazione del decreto di sequestro probatorio — ex art.
253 c.p.p. — del corpo di reato (cfr. Cass., sez. un., 28 gennaio 2004,
Il Foro Italiano — 2004.
Il sequestro preventivo di cui all'art. 12 sexies, 4° comma, d.l.
306/92 può essere adottato se: a) alla luce delle specifiche
circostanze di fatto, prospettate dal pubblico ministero, sia
astrattamente configurabile uno dei reati previsti da detta
norma; bj emergano seri indizi circa la concreta sussistenza
delle condizioni — in tema di sproporzione dei valori e di
mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni —
necessarie ai fini della definitiva confisca. (2)
Ferazzi, Guida al dir., 2004, fase. 9, 54, con nota di Forlenza, La
sproporzione tra beni e reddito dichiarato sottrae rilievo penale al
momento dell'acquisizione). Nella circostanza, tra l'altro, è stato evi
denziato che dev'essere ispirato ai principi di «ragionevolezza» e di
«proporzionalità» l'intervento penale incidente sul diritto di proprietà, tutelato — precettivamente
— dall'art. 42 Cost, e dall'art. 1 del primo
protocollo aggiuntivo alla convenzione europea dei diritti dell'uomo
(ibid., 59). Sicché, è necessario un «giusto equilibrio», «un ragionevole
rapporto di proporzionalità» tra il mezzo impiegato — lo spossessa mene dei beni — e il fine endoprocessuale perseguito.
Orbene, un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto
de quo, rispettosa anche della (citata) norma internazionale, vincolante
per l'ordinamento interno (arg. ex Corte cost. 13 giugno 2000, n. 190,
Foro it., Rep. 2000, voce Legge, n. 71; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14900,
id., Rep. 2002, voce cit., n. 30; 5 maggio 1995, n. 4906, id., 1995, I,
2105, spec. 2107) dovrebbe indurre a dubitare della legittimità della
conclusione raggiunta nella pronuncia in epigrafe. Infatti, un bene acquisito in epoca antecedente alla data di commis
sione del reato contestato ex art. 12 sexies cit. è dallo stesso ictu oculi
avulso, sia «ragionevolmente» che « proporzionalmente». Né — peraltro — la confisca de qua deriva (effettivamente) da una
«situazione di pericolosità presente» del condannato, sì da giustificarne
l'operatività anche per le ricchezze conseguite prima del reato conte
stato (come affermato sub 6 nella pronuncia in epigrafe). Invero, la
norma de qua non richiede alcuna verifica giudiziale in tema di (attua
le) pericolosità dell'imputato, ai fini della pronuncia ablatoria, che con
segue ipso iure ad una sentenza di condanna dalla (complessiva) situa
zione patrimoniale esistente al momento dei singoli acquisti. Infine, che la ricostruzione storica debba effettuarsi in modo «rigoro
so», rileva (apprezzabilmente) in relazione al quomodo (procedurale) della misura punitiva patrimoniale.
Il suo esperimento, però, non può assurgere a valida giustificazione (anche costituzionale) circa il (distinto e prioritario) profilo dell 'an
della confisca relativamente ai beni entrati nella disponibilità dell'im
putato, prima del delitto ascritto ex art. 12 sexies cit.
V. - Per ulteriori osservazioni critiche sulla sentenza de qua, Forlen
za, op. cit., 70. VI. - Sui profili di contrasto tra l'opzione ermeneutica recepita nella
sentenza in epigrafe (per l'aspetto di cui sub IV) e la normativa in ge stazione, nel contesto dello «spazio giuridico europeo», riguardante la
(possibile) regolamentazione uniforme in materia di confisca di beni di
valore sproporzionato, cfr. Di Chiara, Modelli e standard probatori in
tema di confisca dei proventi di reato «nello spazio giuridico euro
peo»: problemi e prospettive, in Foro it., 2002, II, 263 ss.
VII. - De iure condendo va ricordata la presentazione in parlamento del disegno di legge dì ratifica e di attuazione della convenzione delle
Nazioni unite contro il crimine organizzato transnazionale, approvata, nel dicembre 2000, a Palermo.
Tra l'altro, viene prevista l'introduzione di un articolo nel codice di
procedura penale in tema di indagini patrimoniali, destinate (anche) al
l'individuazione dei beni confiscabili ex art. 12 sexies cit. ed utilizza
bili (probatoriamente) sino alla data di deposito della sentenza di primo
grado. Cfr., in proposito, Barberini, Entrata in vigore della convenzio
ne contro il crimine organizzato transnazionale e disegno di legge di
ratifica, in Cass, pen., 2003, 3264 ss.
(2) I. - La pronuncia in rassegna, pur ribadendo un orientamento in
terpretativo ormai consolidato (autorevolmente avallato da Cass., sez.
un., 25 marzo 1993, Gifuni, Foro it., Rep. 1993, voce Sequestro penale, nn. 19, 128), contiene una significativa puntualizzazione a proposito della necessaria sussistenza di indizi, qualificati dalla «serietà», in rife
rimento al giudizio di sproporzione e di mancata giustificazione della
lecita provenienza dei beni confiscandi ex art. 12 sexies d.l. 306/92.
Solo in presenza di detto (qualificato) compendio investigativo, può
configurarsi il periculum, quale necessario presupposto del sequestro
preventivo, propedeutico alla misura ablativa definitiva.
Peraltro, di recente, è stato puntualizzato che l'accertamento da parte del giudice del riesame del fumus commissi delieti a) deve mirare alla
verifica della «congruità» degli elementi di fatto prospettati dall'accu
sa, che devono indurre ad inquadrare l'ipotesi accusatoria in quella ti
pica, in un'ottica di «ragionevole probabilità» (Cass. 11 giugno 2002,
Pianelli, Riv. pen., 2003, 791); b) non deve portare «ad una approfon dita disamina storica della vicenda penale», implicando (soltanto) una
verifica circa la sussumibilità della fattispecie denunciata in quella le
gale tipica ipotizzata (Cass. 10 dicembre 2002, Caccaro, ibid., 394,
spec. 395).
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ritenuto in fatto. — 1. - Nel corso del procedimento penale a
carico di Mario Montella, accusato, tra l'altro, del reato di usura
in relazione ad un episodio risalente al gennaio del 1999, il
g.i.p. presso il Tribunale di Pisa, su richiesta del p.m., con prov vedimento del 2 gennaio 2003, sequestrava quattro immobili siti
in Napoli, alcune autovetture, un motociclo, diversi depositi in
conto corrente, alcune cassette di sicurezza e numerosi titoli di
credito, tutti beni di cui l'indagato risultava avere la disponibi lità. Il sequestro era disposto ex art. 321, 2° comma, c.p.p., su
cose confiscabili per effetto dell'art. 12 sexies d.l. 306/92 (con
vertito in 1. 356/92), in relazione al delitto di usura.
2. - Contro il provvedimento cautelare veniva proposta richie
sta di riesame da parte dell'indagato e di suo figlio Pasquale, che con separato ricorso assumeva che il sequestro preventivo avesse riguardato beni di sua proprietà. Il tribunale del riesame
(in data 7 gennaio 2003) accoglieva il ricorso di Pasquale Mon
tella, revocando il sequestro degli immobili e dei capitali a lui
intestati; confermava il provvedimento nei confronti di Mario
Montella limitatamente all'immobile sito in Napoli, in via Tito
Lucrezio Caro (acquistato in data 21 aprile 1995), all'autovettu
In precedenza, la tesi secondo cui la legittimità del sequestro preven tivo implica non soltanto l'astratta riconducibilità dei fatti rappresentati dal p.m. ad un'ipotesi di reato, ma anche la sussistenza in concreto del
fumus di detto reato è stata sostenuta da Cass. 27 gennaio 2000, Cava
gnoli, 24 febbraio 1999, Graziano, e 15 novembre 1999, Coppola, Foro
it., Rep. 2000, voce cit., nn. 41, 45 e 46; 9 luglio 1999, Faustini, 12
febbraio 1999, Rubino, e 19 novembre 1998, Pansini, id.. Rep. 1999, voce cit., nn. 51, 89 e 113; 25 marzo 1997, Stracuzzi, id., Rep. 1997, voce cit., n. 65; 29 settembre 1995, Flachi, 28 febbraio 1996, Manelli, e
3 aprile 1996, Di Maggio, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 64, 65 e 66; 23
settembre 1994, Nigro, id., Rep. 1995, voce cit., n. 148.
Con riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca de
qua, cfr. anche Cass. 19 gennaio 1999, Fedele, e 25 giugno 1999, Sici
gnano, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 59 e 60, che sottolineano lo speci fico raccordo tra la norma de qua e l'art. 321, 2° comma, c.p.p. Questa norma, peraltro, a dire di Cass. 13 novembre 2002, Angrisani, Riv. pen., 2003, 1040, prevede un'ipotesi di misura cautelare facoltativa e non
obbligatoria, come invece è quella di cui all'art. 321, 1° comma, c.p.p. II. - Per quanto riguarda la documentazione che il p.m. deve deposi
tare, in caso di riesame delle misure cautelari reali, cfr. Cass. 21 feb
braio 2002, Confalonieri, Foro it.. Rep. 2002, voce cit., n. 58, secondo
cui sussiste l'obbligo di trasmissione (almeno) per gli atti d'indagine
già trasmessi al g.i.p., a fondamento della richiesta.
Tale documentazione dev'essere posta a disposizione del competente tribunale ex art. 324 c.p.p. nella sua integralità, non essendo all'uopo sufficienti le affermazioni contenute nella richiesta del p.m. (così Cass.
15 gennaio 2003, Serini, Arch, nuova proc. pen., 2004, 129). Peraltro, legittimamente il giudice del riesame può annullare il prov
vedimento di sequestro preventivo, correlato ad un reato risultante ex
actis estinto (Cass. 4 novembre 1998, Agustoni, Foro it., Rep. 1999,
voce cit., n. 103); o per cui l'assenza dell'elemento soggettivo sia rile
vabile ictu oculi in modo macroscopico ed evidente (Cass. 15 ottobre
1996, Balistreri, id., Rep. 1997, voce cit., n. 87), fermo restando che
l'annullamento giudiziale della misura cautelare reale incide (solo) sul
mantenimento della stessa, non impedendo l'utilizzabilità degli ele
menti probatori (così Cass. 19 dicembre 2002, Raddino, Arch, nuova
proc. pen., 2004, 133). III. - A proposito del terzo, che voglia sottrarsi alla confisca di un
bene sottoposto a sequestro preventivo ex art. 321, 2° comma, c.p.p. e
12 sexies d.l. cit., cfr. Trib. Napoli 16 luglio 2003, Foro it., 2003, II,
540, con nota redazionale. In argomento, peraltro, secondo Cass. 20 marzo 2002, Tanini, id.,
Rep. 2002, voce cit., n. 18, e, per esteso, Giur. it., 2003, 2147, con nota
di Montagna, il giudice, adito ai fini della revoca del provvedimento cautelare, non deve rispettare la procedura camerale ex art. 127 c.p.p., attesa l'inapplicabilità — ob relationem — dell'art. 263 c.p.p., non ri
chiamato dall'art. 104 disp. att. c.p.p. Di contrario avviso era stata Cass.
29 febbraio 1996, Lo Giudice, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 91.
Infine, Cass. 8 ottobre 2003, Calvi, Guida al dir., 2004, fase. 8, 79,
ha evidenziato che «persona estranea al reato» può ritenersi solo chi
dimostri: 1) che il titolo del proprio diritto abbia data certa anteriore al
sequestro preventivo, finalizzato, ex art. 321, 2° comma, c.p.p., alla
confisca; 2) l'assenza di collegamento del proprio diritto con l'altrui
condotta delittuosa, dalla quale non deve aver tratto alcun vantaggio; 3) la sussistenza della propria buona fede o, comunque, di una situazione
di apparenza, tale da rendere scusabile la propria ignoranza o il difetto
di diligenza, nel caso in cui risulti a suo favore un oggettivo vantaggio scaturito dall'altrui reato.
IV. - In tema di tutela del diritto di difesa dell'indagato nel giudizio
d'impugnazione di misure cautelari reali, cfr. Cass. 3 giugno 2003, Au
riti. Foro it., 2004, II, 168, con nota redazionale. [G. Giorgio]
Il Foro Italiano — 2004.
ra Ford KA, in uso alla moglie, e ai capitali liquidi e cartolariz
zati che erano nella sua disponibilità, ordinando la restituzione
degli altri beni.
Nella parte in cui confermava il provvedimento impugnato, l'ordinanza ribadiva sia l'esistenza del fumus delieti, sia la con
fiscabilità dei beni ex art. 12 sexies 1. 356/92. In particolare, il
tribunale escludeva che il vincolo di pertinenzialità tra cose e
reato costituisse un elemento fondante della confisca prevista dall'art. 12 sexies ritenendo che, a differenza della confisca or
dinaria, non fosse richiesta «la correlazione tra un determinato
bene ed un certo reato», ma soltanto «il diverso nesso che si
stabilisce tra il patrimonio ingiustificato e la persona nei con
fronti della quale è pronunciata condanna per uno dei delitti
elencati dall'art. 12 sexies», precisando come il medesimo le
game valesse anche per il sequestro preventivo. Su queste basi il
giudice del riesame, considerato che attraverso le dichiarazioni
della parte offesa risultava che le condotte usurarie erano già in
atto nel 1990, ha ritenuto che le giustificazioni offerte dall'in
dagato circa la disponibilità del patrimonio, che si fermavano al
1994, non fossero sufficienti a vincere la presunzione dell'ille
cita provenienza. 3. - Contro l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di
Mario Montella, per violazione di legge, ritenendo che la pecu liarità della disciplina prevista dall'art. 12 sexies non possa giu stificare una completa svalutazione del nesso di pertinenzialità tra beni e reato. Più precisamente, dopo aver sostenuto che il le
game tra bene sequestrato e reato commesso viene dalla legge
presunto e che tale presunzione può essere superata dalle giusti ficazioni offerte dall'indagato, il difensore ha escluso che nella
fattispecie potesse operare tale presunzione, rilevando l'assoluta
inesistenza del nesso a causa dell'evidente scarto temporale tra
l'acquisto dei beni e la consumazione del reato di usura, ag
giungendo che tale carenza era stata irragionevolmente superata dal tribunale, che aveva ipotizzato una serie di condotte usura
rie, più vicine all'epoca dell'acquisizione dei beni in oggetto, delle quali non vi era alcuna traccia nel procedimento e nella
stessa contestazione.
Con successiva memoria il difensore ha, inoltre, lamentato il
vizio di motivazione e di violazione dell'art. 12 sexies in tema
di ripartizione dell'onere della prova. In particolare, ha soste
nuto che la sproporzione deve riferirsi necessariamente a un pe riodo di tempo, scelto discrezionalmente dall'accusa e che l'in
dagato ha l'onere di fornire la prova contraria solo sul lasso
temporale così individuato, non potendosi pretendere che forni
sca dimostrazioni afferenti periodi non presi in esame dalla stes
sa accusa, come invece avrebbe fatto il tribunale, addossando
all'indagato un onere di prova contraria insostenibile.
4. - All'udienza del 10 luglio 2003 la II sezione della Corte di
cassazione ha rilevato un contrasto giurisprudenziale in ordine
al problema del rapporto di pertinenzialità tra beni confiscabili
sulla base dell'art. 12 sexies, 1° e 2° comma, cit. — e quindi
oggetto di sequestro preventivo ex art. 321, 2° comma, c.p.p. e
12 sexies, 4° comma, cit. — e reati per cui è intervenuta con
danna, individuando tre distinti filoni interpretativi non univoci:
il primo, che esclude la necessità di qualsiasi nesso esistente tra
beni confiscabili e reati; l'altro che, al contrario, pretende che
sia almeno ipotizzabile la provenienza delittuosa dei beni; infi
ne, il terzo che individua un nesso di pertinenzialità più ampio, riferito cioè non allo specifico fatto delittuoso, ma all'attività
criminosa facente capo ad un soggetto. Il ricorso è stato, quindi, rimesso alle sezioni unite ai sensi
dell'art. 618 c.p.p. e il presidente della corte ha fissato l'udienza
del 17 dicembre 2003 per la discussione davanti alle sezioni
unite.
Considerato in diritto. — 1. - Come si è detto in narrativa, le
sezioni unite, in relazione ad un sequestro disposto ai sensi del
l'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, sono in primo luogo
chiamate e pronunziarsi su quali siano le condizioni che legitti
mano la confisca prevista dal medesimo articolo.
Posto che la legge espressamente indica la condanna del sog
getto per certi delitti, la sproporzione del valore della somma
dei beni rispetto ai redditi dichiarati ed alle attività economiche
del condannato e infine la mancata giustificazione dell'origine
di tali beni, si chiede se, oltre a tanto, la norma consideri o non
consideri necessaria anche la verifica di una derivazione delle
cose da confiscare dal reato di cui il soggetto è stato ritenuto re
sponsabile. Ovvero se, ferme sempre restando le condizioni
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PARTE SECONDA
suddette ed anche la necessità di una verifica, la provenienza di tali cose debba più genericamente essere individuata, non nel reato oggetto del giudizio, ma, attraverso un accertamento inci
dentale, nell'attività illecita del condannato.
Risolto tale problema, le sezioni unite devono poi esprimersi su come la soluzione adottata si rifletta sul sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca.
2. - L'ordinanza che pone la questione, dopo aver premesso che è il legislatore, nello stesso art. 12 sexies, a porre una pre sunzione iuris tantum di origine illecita dei beni di valore spro
porzionato di cui il condannato abbia la disponibilità, nel criti care l'orientamento predominante della giurisprudenza secondo cui non è richiesto alcun accertamento in ordine alla derivazione dei beni, auspica un'interpretazione della norma che «quel rap porto di pertinenzialità ravvisi tra i beni e la fattispecie o le fat
tispecie criminose per cui si procede». 3. -
Quello che però resta inespresso e che non è nemmeno ri
cavabile dall'economia complessiva del provvedimento è di che natura debba poi essere la relazione che la norma vorrebbe sus sistere e imporrebbe di accertare tra il bene ed il reato.
Ed è una difficoltà a ben vedere insuperabile. Infatti se, col mando il silenzio del legislatore, si richiedesse un carattere im
mediato e diretto della pertinenza della cosa col delitto, tale re lazione corrisponderebbe o alle cose utilizzate per il reato o alla nozione di prezzo o di prodotto o di profitto, la cui confiscabi lità è già prevista dall'art. 240 c.p. E quindi in questo ordine di
idee, l'art. 12 sexies, posto che per il prezzo l'art. 240 c.p. già la
impone, si limiterebbe a rendere obbligatoria la confisca facol tativa prevista per le cose destinate a commettere il reato, il
prodotto ed il profitto di questo. Ma considerando che l'obbli
gatorietà è già specificamente prevista dal codice per i delitti di associazione mafiosa e di usura, la norma in esame, per questi delitti, costituirebbe un'inutile replica di un istituto già esistente
nell'ordinamento, così come in generale lo sarebbe per la confi sca del prezzo del reato. Ed anzi, imponendo come ulteriore condizione di applicabilità quella sproporzione di cui prima s'è
detto, renderebbe più ristrette rispetto alla disciplina comune le
ipotesi di ablazione per le fattispecie ivi previste. Ma un'analoga aporia si riprodurrebbe anche quando si opi
nasse che la norma in esame autorizza un'espropriazione degli utili che costituiscono reimpiego delle cose pertinenti al reato, nel caso di condanna per i delitti ivi elencati. Si assisterebbe in tal caso, e proprio per i delitti di criminalità mafiosa alla cui re
pressione il d.l. n. 306 del 1992 è elettivamente diretto, ad una
duplicazione tra quanto previsto dalla norma in esame ed il di
sposto del 7° comma dell'art. 416 bis c.p. (e sempre al parados so che la nostra norma richiede anche la sproporzione, che inve ce il codice ignora).
Se poi dagli utili provenienti dalle cose si passasse a ritenere la confiscabilità del tantundem, resterebbe incomprensibile per ché la 1. 7 marzo 1996 n. 108, nel modificare l'art. 644 c.p., proprio introducendo la confisca per equivalente nel caso di condanna per usura, faccia espressamente salva l'applicabilità dell'art. 12 sexies, del quale, nella sua interezza, indica dunque un ulteriore campo operativo, con possibilità quindi di ulteriori confische su cose diverse dal tantundem.
Dire infine che la norma autorizza a valorizzare anche ipotesi di relazioni mediate, indirette o occasionali del bene col reato,
significa lasciare alla discrezionalità creativa dell'interprete la determinazione dei presupposti di applicabilità della confisca, in violazione patente del principio di legalità.
4. - D'altra parte non sembra nemmeno praticabile una via che individui il tratto caratteristico della norma sulla confisca in esame in specifiche forme di indagine sul nesso di derivazione dal reato, diverse e meno penetranti rispetto a quelle richieste
per altre confische.
Prospettiva che occorre considerare in quanto significativa mente l'ordinanza che pone la questione evita il termine «ac certamento» della provenienza delittuosa, ma impiega l'espres sione «quanto meno ipotizzabile provenienza delittuosa». E an cora suggerisce che l'art. 12 sexies, nel porre quella presunzione generale di cui s'è detto, opera in realtà e soltanto sul piano probatorio, nel senso che tra il delitto di cui il giudice ha cogni zione e il bene da espropriare possa concepirsi una ragionevole sorta di pertinenzialità, la quale andrebbe esclusa, per esempio, quando emerga che l'acquisto della cosa da parte del condan nato è anteriore al reato per cui si è proceduto.
Il Foro Italiano — 2004.
Così argomentando peraltro si dà per dimostrato quello che
invece dovrebbe dimostrarsi, che cioè l'art. 12 sexies in ogni modo postuli pur sempre la provenienza del bene da espropriare dal delitto oggetto del giudizio, cosa che, come s'è appena os
servato, non può ammettersi se non giungendo o a negare un
proprio ubi consistavi alla norma in esame quale istituto sostan
ziale o alla conclusione di una sua irrimediabile vaghezza. Ed il
problema verrebbe a riprodursi anche a livello probatorio, in
quanto la ragionevolezza dell'ipotesi di una derivazione (anche
per la specie che si porta ad esempio) dovrebbe diversamente
apprezzarsi se fosse richiesta una relazione immediata e diretta
della cosa col reato, ovvero se si dovesse considerare espropria bile il reimpiego della cosa pertinente al reato, ovvero se si pas sasse al tantundem, ovvero infine se si ammettesse anche una
relazione mediata, indiretta o di occasionalità.
Ma poiché — conviene ripeterlo
— la norma in esame non
offre alcuna indicazione positiva in ordine al rapporto che do
vrebbe sussistere tra i beni ed il reato specifico ed anzi la 1. 7
marzo 1996 n. 108, nell'indicare, come s'è detto, un campo
operativo della nostra confisca più ampio rispetto al tantundem, induce ad allentare ulteriormente il nesso di derivazione della
cosa, non solo dal delitto per cui si procede, ma anche dal valore
economico corrispondente, anche l'accertamento semplificato, nel quale consisterebbe il quid novi della medesima norma, sa rebbe privo di un oggetto certo.
5. - Rimane pertanto da verificare se, nonostante la presun zione posta dal legislatore, la norma, pur muovendo dalla con
danna per uno dei reati che essa stessa indica, richieda un ac certamento della provenienza dei beni non dal reato oggetto del
giudizio, ma dall'attività illecita del condannato.
Ed al riguardo, a parte il rilievo che l'attività illecita si scom
pone pur sempre in specifici delitti e che quindi si tornerebbe in definitiva a quanto appena osservato, sono risolutive le stesse
considerazioni contenute nell'ordinanza che ha rimesso la que stione alle sezioni unite.
L'innesto della confisca in esame nel processo non può allar
gare indefinitamente il thema decidendum di quest'ultimo. I li miti della contestazione, con i connessi diritti della difesa al
contraddittorio, impediscono al giudice di occuparsi di condotte varie e multiformi, pregresse o successive al fatto per cui si pro cede. Il quale giudice dovrebbe invece conoscere di queste con dotte non incidenter tantum, ma nella pienezza delle sue attribu zioni di cognizione, sia pure ai limitati fini della sussistenza di un presupposto della misura di sicurezza patrimoniale.
Con la conseguenza che l'istituto in parola o resterebbe di
fatto inapplicato per incompatibilità con i meccanismi proces suali in cui s'è cercato di introdurlo o che un accertamento del nesso di derivazione del bene dall'attività criminosa non è ri chiesto dall'art. 12 sexies.
6. - Tutto quanto s'è fin qui osservato conduce allora a ritene re che il legislatore, nell'individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha presupposto la deri vazione di tali beni dall'episodio criminoso singolo per cui la condanna è intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti in ordine all'attitudine crimi nale.
In altri termini il giudice, attenendosi al tenore letterale della
disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili e il reato per cui ha pronunziato condanna e nemmeno tra questi stessi beni e l'attività criminosa del con dannato. Cosa che, sotto un profilo positivo, significa che, una volta intervenuta la condanna, la confisca va sempre ordinata
quando sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economi ca e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose.
Con il corollario che, essendo la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realtà attuali, la confi scabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di perico losità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è
proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna.
Si conferma in tal modo quanto già queste sezioni unite han no affermato (30 maggio 2001, Derouach, Foro it., 2001, II,
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GIURISPRUDENZA PENALE
502) che cioè ci si trova dinanzi ad una misura di sicurezza ati
pica con funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura
di prevenzione antimafia introdotta dalla 1. 31 maggio 1965 n.
575. 7. - Si rendono necessarie, a questo punto, alcune precisazioni
esegetiche. Il legislatore impiega il termine sproporzione e ciò rimanda
non a qualsiasi difformità tra guadagni e capitalizzazione, ma ad
un incongruo squilibrio tra questi, da valutarsi secondo le co
muni regole di esperienza. La sproporzione così intesa viene testualmente riferita, non al
patrimonio come complesso unitario, ma alla somma dei singoli
beni, con la conseguenza che i termini di raffronto dello squili
brio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori
economici in gioco, non vanno fissati nel reddito dichiarato o
nelle attività al momento della misura rispetto a tutti i beni pre
senti, ma nel reddito e nelle attività nei momenti dei singoli ac
quisti, rispetto al valore dei beni volta a volta acquisiti. La giustificazione credibile attiene alla positiva liceità della
provenienza e non si risolve nella prova negativa della non pro venienza dal reato per cui si è stati condannati. E così, per
esempio, per gli acquisti che hanno un titolo negoziale occorre
un'esauriente spiegazione in termini economici (e non sempli cemente giuridico-formali) di una derivazione del bene da atti
vità consentite dall'ordinamento, che sarà valutata secondo il
principio del libero convincimento.
8. - La conclusione raggiunta è conforme ad una fondamen
tale scelta di politica criminale del legislatore, operata con l'in
dividuare delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare una
accumulazione economica, a sua volta possibile strumento di
ulteriori delitti, e quindi col trarne una presunzione, iuris tan
tum, di origine illecita del patrimonio «sproporzionato» a dispo sizione del condannato per tali delitti.
Ma in realtà è proprio contro questa scelta politica che, in
modo più o meno palese, si nutrono preoccupazioni di legitti mità costituzionale, tanto che le interpretazioni che in qualche modo cercano di introdurre un concreto nesso di derivazione
non muovono da vere e proprie considerazioni esegetiche o si
stematiche, ma da una supposta necessità di adeguamento del
dettato normativo ai principi costituzionali. La confisca disposta alle condizioni qui ritenute necessarie e sufficienti sarebbe
frutto di una cultura del sospetto, in contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di proprietà nonché col diritto inviola
bile di difesa. E tuttavia la ragionevolezza in sé della presunzione è stata
confermata dalla Corte costituzionale che al riguardo ha ritenuto
manifestamente infondato un dubbio sull'arbitrarietà della
scelta legislativa (ordinanza n. 18 del 1996, id., Rep. 1996, voce
Ricettazione, n. 27). Essa trova ben radicata base nella nota ca
pacità dei delitti individuati dal legislatore, quali, per indicarne
alcuni, l'associazione per delinquere di stampo mafioso, la ridu
zione in schiavitù e la tratta e il commercio di schiavi, l'estor
sione ed il sequestro di persona a scopo di estorsione, l'usura, la
ricettazione, il riciclaggio nelle sue varie forme o il traffico di
stupefacenti, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e
a porsi quali fonti di illecita ricchezza. La sua congruità è poi rafforzata dal fatto che il giudice non è autorizzato ad espropria re un patrimonio quando comunque sia di ingente valore, ma
deve invece accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle
attività economiche del condannato e ciò, come s'è visto, attra
verso una ricostruzione storica della situazione esistente al mo
mento dei singoli acquisti. 9. - Né è dato capire in qual modo la norma potrebbe contra
stare con il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata di cui la legge «determina i limiti allo scopo di assicurarne la
funzione sociale». La prevenzione speciale e la dissuasione,
perseguite non irragionevolmente dal legislatore attraverso la
presunzione in esame, assolvono appunto ad una funzione so
ciale che è a fondamento dei limiti che il legislatore stesso può
imporre. Né può parlarsi di una violazione del diritto di difesa. Si tratta
di una presunzione iuris tantum ed essa è applicabile quando sia
dimostrata la sproporzione tra il valore dei beni da un lato e i
redditi e le attività economiche dall'altro, al momento di ogni
acquisto dei beni stessi. Solo dopo una tale dimostrazione il
soggetto inciso dovrà, con riferimento temporale precisamente
determinato, indicare le proprie giustificazioni, le quali dunque
Il Foro Italiano — 2004.
potranno anche loro essere specifiche e puntuali. Tale indica
zione non va confusa con un'imposizione di onere della prova, ma si risolve nell'esposizione di fatti e circostanze di cui il giu dice valuterà la specificità e la rilevanza e verificherà in defini
tiva la sussistenza. L'onere imposto non trasmoda perciò in una
richiesta di prova diabolica, ma è al contrario di agevole assol
vimento.
Né infine la presunzione in esame collide con la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 della Carta (con la quale invece contrastava l'art. 12 quinquies, 2° comma, che introdu
ceva sugli stessi presupposti un'ipotesi di reato: Corte cost. n.
48 del 1994, id., 1994, I, 2969), in quanto nella specie non si
tratta di presumere la colpevolezza di un soggetto, ma la prove nienza illecita di un patrimonio.
10. - Tanto detto, pare allora semplice individuare le condi
zioni in base alle quali possa essere disposto, ai sensi dell'art.
321, 2° comma, c.p.p., il sequestro preventivo dei beni confi
scabili a norma dell'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306.
Sotto un primo profilo, quello del c.d.fumus, il giudice dovrà
verificare se nel fatto attribuito all'indagato, in relazione alle
concrete circostanze indicate dal p.m., sia astrattamente confi
gurabile una delle ipotesi criminose previste dalla norma citata.
Si tratta di un'applicazione dei principi, che qui vengono riba
diti, enunciati da sez. un. 25 marzo 1993, Gifuni (id., Rep. 1993,
voce Sequestro penale, n. 128), secondo la quale è preclusa al
giudice delle misure cautelari reali ogni valutazione sulla sussi
stenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi.
Sotto il profilo del periculum, coincidendo questo con la con
fiscabilità del bene, il giudice della cautela, al pari di quello del
merito, non può esimersi dal vagliare gli stessi aspetti che legit timano la definitiva confisca e per quanto riguarda la spropor zione dei valori e per quanto riguarda la mancata giustificazione della lecita provenienza. Con l'avvertenza che, in sede cautela
re, verrà apprezzata la presenza di seri indizi della sussistenza di
queste condizioni, delle quali la piena prova è riservata al me
rito.
11.- Venendo infine al caso di specie, il Montella, indagato di usura, non nega la riconducibilità della condotta addebitata
gli, puntualmente descritta dal p.m., all'ipotesi di cui all'art.
644 c.p. Né nega un'evidente sproporzione del complesso dei
beni di cui dispone e del valore di questi (3.946.403.915 lire
per gli anni 1995-2000) con i redditi dichiarati e le attività eco
nomiche svolte (attività di manovale e, in modo non continuati
vo, di procacciatore di affari per le quali risulta un guadagno di
176.833.000 lire negli anni 1995-2000) nei momenti degli ac
quisti. Assume invece di aver provato l'impossibilità di una prove
nienza dal reato contestatogli (in tesi commesso nel 1999) dei
beni posseduti e perché l'appartamento è stato comprato il 21
aprile 1995 e perché, a fronte del provento della pretesa usura
(sette milioni di lire), nel dicembre 1994 disponeva di un monte
di titoli per circa cinque miliardi di lire. Talché, così ragionando, il Montella assume che l'art. 12
sexies, 1° comma, d.l. n. 306 del 1992 prevede che sussista una
relazione derivativa tra i beni passibili di confisca e il reato per cui si procede (o, come con maggior sfumatura sostiene, tra i
beni e gli illeciti che possono essere stati commessi dal mo
mento della richiesta del sequestro al momento della consuma
zione del reato addebitatogli) e che la giustificazione dell'origi ne di tali beni possa dirsi offerta quando si dimostri che essi non
provengono da quel reato o da reati commessi in quel periodo. Ora il provvedimento impugnato contiene, in alcuni passi,
delle affermazioni superflue per respingere questa tesi (esso,
come detto in narrativa, assume un'attività di usuraio del ricor
rente risalente al 1990, così correlando la confiscabilità dei beni
all'accertamento di una continuità dell'attività criminosa). Resta
però fermo che il Montella, erroneamente ancorandosi ai possi bili proventi del reato che gli è stato addebitato o di eventuali
reati commessi dal sequestro alla data della consumazione del
reato ascrittogli, non solo non ha dato indicazione, secondo
quanto si è finora osservato, di circostanze idonee a fornire una
giustificazione credibile della sproporzione tra i suoi beni e i
suoi guadagni leciti, ma anzi, attraverso l'ammissione e la man
cata giustificazione di disponibilità per cinque miliardi di lire,
ha aggravato lo squilibrio rilevato all'atto del sequestro. 12. - Il ricorso va quindi respinto.
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