+ All Categories
Home > Documents > sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M. Aponte...

sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M. Aponte...

Date post: 27-Jan-2017
Category:
Upload: trinhcong
View: 216 times
Download: 3 times
Share this document with a friend
3
sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M. Aponte (concl. conf.); Zoccoli ed altri. Conferma App. Messina 14 marzo 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 67/68-69/70 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190203 . Accessed: 25/06/2014 02:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 02:28:22 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M. Aponte (concl. conf.); Zoccoli ed altri. Conferma App. Messina 14 marzo 1994

sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M.Aponte (concl. conf.); Zoccoli ed altri. Conferma App. Messina 14 marzo 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 67/68-69/70Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190203 .

Accessed: 25/06/2014 02:28

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 02:28:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M. Aponte (concl. conf.); Zoccoli ed altri. Conferma App. Messina 14 marzo 1994

PARTE SECONDA

1. 689/81 rappresenta una disposizione di rinvio a norme (art. 135 e 133 bis c.p.) di contenuto chiaramente sostanziale perché incidenti sul trattamento sanzionatorio applicabile in concreto.

Trattasi, in pratica, di un sistema sanzionatorio parallelo a

quello ordinario composto da norme che stabiliscono modalità

e criteri fissati per determinare la sanzione sostitutiva; sicché si viene a creare uno stretto collegamento tra sanzione sostituti

va e fattispecie penale in modo tale da farne derivare la natura

dell'originaria sanzione penale. Tali considerazioni valgono altresì ad escludere che la sanzio

ne sostitutiva di cui alla 1. 689/81 rappresenti una semplice mo

dalità esecutiva della pena detentiva breve; anche perché la nor ma incriminatrice si compone di precetto e sanzione ed ogni norma che comunque integri o completi la sanzione deve rite

nersi norma di tipo sanzionatorio e, quindi, avere natura essen

zialmente sostanziale e, come tale, detta disposizione è sogget

ta, in caso di successione della legge nel tempo, al principio di cui all'art. 2 c.p.

Con l'ulteriore precisazione, però, che allorché si parla di nor

ma avente natura sostanziale o processuale, il riferimento deve

intendersi all'art. 53 1. 689/81 e non già all'art. 135 c.p. Ade

rendo alla prevalente dottrina, ritengono infatti queste sezioni

unite che detta ultima norma non è suscettibile di qualificazione

giacché si tratta di una disposizione strumentale ad altro effetto

giuridico consistente nella operazione di ragguaglio tra pena de

tentiva e pena pecuniaria. È solo la disposizione che regola tale

effetto che deve ritenersi di natura sostanziale attenendo l'ap

plicazione della pena sostitutiva (cosi come della sospensione condizionale della pena) al diritto penale sostanziale siccome

istituti che definiscono l'ambito del trattamento punitivo. Non senza rilevare, infine che le sporadiche tesi contrarie so

no rappresentate da affermazioni apodittiche sostenenti la natu

ra processuale della norma senza apportare significativi contri

buti alla soluzione del quesito e che la tesi prospettata dal ricor

rente condurrebbe alla inaccettabile conclusione secondo cui, effettuato il ragguaglio secondo la vigente norma, l'imputato verrebbe a scontare una sanzione più onerosa di quella prevista al momento di fatto, producendosi, in tal modo, una non con

sentita retroattività della norma penale più gravosa, per di più condizionata dalla variabile durata del processo.

S'impone, allora, l'applicabilità dell'art. 2 c.p. che rappre senta una specificazione del generalissimo principio del favor rei, nel senso che la norma risponde ad una duplice esigenza: si evita, da un lato, una valutazione del fatto più severa di quel la del tempo in cui fu commesso il reato (sostituzione della pe

na) e, dall'altro, si impedisce l'applicabilità della disposizione anteriore il cui maggior rigore non risponde più ai nuovi para metri di valutazione sociale e morale del fatto (sospensione con

dizionale). E non è valido il rilievo secondo cui, aderendo alla tesi preva

lente si verrebbero simultaneamente ad applicare elementi della vecchia ed altri della nuova legge, comodamente combinati, in

una non vigente tertia lex (applicazione in tema di sostituzione

della pena e di sospensione condizionale della stessa). Perché, nell'ipotesi in cui una legge abbia modificato più istituti, cia scuno deve trovare concreta ed autonoma applicazione con rife

rimento ai criteri del maggior favore per l'imputato, attingendo

l'interprete le disposizioni più favorevoli con riguardo ai singoli istituti complessivamente considerati.

È opportuno precisare, infine, che identica questione è stata decisa da queste sezioni unite alla udienza del 27 settembre 1995, su ricorso Forina, con soluzione analoga a quella innanzi esposta.

Il Foro Italiano — 1996.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 21

aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M.

Aponte (conci, conf.); Zoccoli ed altri. Conferma App. Mes

sina 14 marzo 1994.

Giudizio abbreviato — Dissenso del pubblico ministero — Rito

ordinario — Riconoscimento della diminuente — Appello —

Disciplina (Cod. proc. pen., art. 443).

La diminuzione della pena nella misura di un terzo, applicata dal giudice dibattimentale che abbia, al termine del dibatti mento, ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministe

ro espresso in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato, ha

meri effetti sostanziali e non anche processuali; ne consegue

che, ove venga proposto appello avverso detta pronuncia, il

relativo giudizio va celebrato nelle forme ordinarie, e dunque in pubblica udienza, essendo in tale ipotesi inapplicabile il disposto dell'art. 443, 4° comma, c.p.p. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Dando priorità — per ovvie

ragioni di metodo — all'esame della prima delle accennate que stioni di profilo procedimentale, sottomesse dal ricorrente Fer

rara, deve darsi atto che, in effetti, se ne riscontra varietà di

soluzioni, nelle sentenze di questa corte, che si sono sinora oc

cupate dell'argomento. Secondo le pronunce nn. 1989, 2401, 2035, 7987 del 1993

(massime nn. 193266, 193786, 195957, 194914) il disposto del l'art. 443, 4° comma, c.p.p., per il quale — in caso di giudizio abbreviato — l'appello segue le forme previste dall'art. 599, cioè quelle del rito camerale, trova applicazione anche nel caso

in cui, celebratosi il giudizio di primo grado nelle forme ordina rie, a seguito del mancato consenso del p.m. alla richiesta di

giudizio abbreviato, il giudice di primo grado abbia ritenuto ingiustificato tale dissenso ed abbia, quindi, applicato la ridu zione di pena prevista dall'art. 442. Di contro, secondo le sen

tenze nn. 5532/91, 2847/92 e 7015/93 (rispettivamente massime

rv. nn. 197594, 189490, 195504) il giudizio di appello, nell'ac cennata ipotesi, deve svolgersi nelle forme ordinarie, non essen

do applicabile l'art, (cit.) 443, 4° comma, in quanto la diminu zione di pena, accordata dal giudice, che ritenga ingiustificato il dissenso del p.m., ha effetti solo sostanziali e non pure pro

cessuali, che possano comportare un virtuale — e dalla legge non previsto — regresso dalle forme ordinarie, con le quali il

processo si sia validamente svolto, a quelle del rito speciale, ritenute {a posteriori) praticabili dal primo giudice, e, tuttavia, non praticate.

Cosi evocati i termini della questione, reputa il collegio delle

sezioni unite dover propendere per la correttezza tecnico-giuridica di quest'ultima soluzione. Né sembra, in realtà, insuperabile il dato fondante, rappresentato da ciò, che l'esito normativo, de

rivato dalla cosiddetta «costituzionalizzazione» dei disposti del

codice di rito, sui quali ha inciso l'accennata pronuncia della

Corte costituzionale (sent. 15 febbraio 1991, n. 81, Foro it.,

1991, I, 2322), non immuta minimamente l'originario schema

positivo procedimentale del giudizio abbreviato, nel quale il con senso del p.m. rappresentava — e contiua a rappresentare —

un fattore, giustamente definito (dalle pronunce, sopra accen

nate, che hanno adottato la soluzione in discorso) indefettibile,

per legittimare l'introduzione del giudizio speciale. Non può non

seguirne che — ove tale consenso sia mancato, discendendone

(1) Il principio adesso accolto dalle sezioni unite era stato in prece denza sostenuto da Cass. 27 novembre 1991, Spagnolo, Foro it., Rep. 1992, voce Giudizio abbreviato, n. 146, e 21 maggio 1993, La Rocca, id., Rep. 1994, voce cit., n. 79; per l'opposto indirizzo, cfr., invece, Cass. 4 dicembre 1992, Baldi, id., Rep. 1993, voce cit., n. 116; 21 di cembre 1992, Tornese, ibid., n. 115; 3 febbraio 1993, La Maestra, ibid., n. 113; 31 maggio 1993, Di Franco, id., Rep. 1994, voce cit., n. 77. Non appare superfluo segnalare che, secondo Cass. 11 ottobre 1993, Lattisi, ibid., voce Pena (applicazione su richiesta), n. 164, e 28 feb braio 1994, Superbo, ibid., n. 163, la sentenza che, a norma dell'art.

448, 1° comma, ultimo inciso, c.p.p., in esito al dibattimento, applica la pena originariamente chiesta dall'imputato, ritenendo ingiustificato il dissenso espresso dal pubblico ministero, mantiene natura di pronun cia di 'patteggiamento', sicché sarà ad essa applicabile l'intero 'statuto'

proprio della decisione emessa ex art. 444 ss. c.p.p.

This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 02:28:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezioni unite penali; sentenza 21 aprile 1995; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. D'Urso, P.M. Aponte (concl. conf.); Zoccoli ed altri. Conferma App. Messina 14 marzo 1994

GIURISPRUDENZA PENALE

la necessità di procedere al dibattimento — se il giudice, all'esi

to di quest'ultimo, fruendo del potere decisorio accennato, ac

cordi egualmente al giudicabile la riduzione di pena, nella rite nuta esistenza delle condizioni, giustificanti l'esercizio di tal po

tere, la pronuncia dibattimentale, pur caratterizzata da un tal

contenuto, non potrà, evidentemente, omologarsi — nel suo es

senziale profilo tecnico-giuridico — a quella che, ai termini del

l'art. 442, segue allo svolgimento del giudizio abbreviato, se

condo le altre disposizioni che precedono il disposto, di cui si

è appena fatto cenno. È, infatti, evidente come la pronuncia, iscrivibile nella prima di tali tipologie, debba — per contro —

esclusivamente ricondursi alle previsioni degli art. 525 ss., posti nel titolo III del VII libro del codice, che tratta del giudizio e del dibattimento. E, appunto, dal dato, essenziale e qualifi

cante, della celebrazione di quest'ultimo, nella forma ordinaria, non può non rivenire l'elisione di alcuna valenza — strumentale

all'assimilazione d'una pronuncia del genere alle disposizioni sul

procedimento speciale in discorso — nel fatto che il trattamen

to sanziona torio, riservato al giudicabile con tale sentenza, sia

condizionato dall'esito della verifica, compiuta dal giudice, nel

senso della non giustificazione del dissenso del p.m. sull'istanza

proposta ai sensi dell'art. 438. Il rilievo, di apparenza unifican

te, desumibile dalla concessione all'imputato, in entrambi i ca

si, d'una riduzione di pena, non può — invero — essere assun

to a fattore idoneo, per l'omologazione delle due ipotesi, quan

to al relativo trattamento processuale, posto che il procedimento di produzione del beneficio «premiale» in discorso mantiene, nei due casi, un'irreversibile diversità di presupposti, di razio

nalità giustificativa e di modalità di avveramento. E se la pro nuncia — per tale insuperabile ragione — non è omologabile a quella prevista dall'art. 442, è ovvia l'osservazione dell'inap

plicabilità ad essa del regime, cui fa luogo — in tema di senten

ze pronunciate nel giudizio abbreviato — l'art. 443 c.p.p., che,

tra l'altro, contiene — nel suo ultimo comma — la previsione

delle forme, nelle quali deve svolgersi il giudizio di appello. L'operatività d'un siffatto regime, correlativamente alla pro

nuncia dibattimentale, una delle cui statuizioni si avveri nella

direzione anzidetta, non potrebbe essere giustificata da alcuno

dei criteri, vigenti nell'ermeneusi della legge processuale, non

potendo superarsi il dato della netta divaricazione degli itinerari

procedimentali — e dei correlativi effetti — conducenti, rispet

tivamente, alla decisione, che intervenga nel giudizio abbrevia

to, o a quella del giudizio ordinario.

Detto ciò, non possono rivelarsi convincenti le ragioni, che

fanno da supporto all'enunciazione dell'opposto, accennato cri

terio esegetico. Vengono, invero, individuate in ciò, che non

sarebbe razionale differenziare la posizione di chi abbia fruito

del giudizio abbreviato ab initio, da quella dell'imputato, nei

cui confronti il giudice del dibattimento ravvisi, al termine di

un giudizio ordinario, l'esistenza di uguali condizioni per l'ac

cesso al rito speciale, dacché la decisione, di concedere ugual

mente la riduzione di pena suddetta, viene a determinare la pa

rificazione dei detti soggetti processuali, non solo ai fini sostan

ziali della quantificazione della pena ma pure quanto al

riconoscimento dell'identità — nelle due rispettive posizioni —

dei presupposti legittimanti, per entrambe, lo svolgimento del

giudizio speciale; ragion per cui non potrebbe scorgersi perché, avendo l'imputato — sottoposto al rito ordinario — fruito in

esito al dibattimento della riduzione premiale, come se il rito

speciale fosse stato svolto, egli dovrebbe versare — in sede di

appello — in posizione potiore (il rito ordinario) rispetto a chi

ha fruito del rito abbreviato, e del connesso premio, sin dall'u

dienza preliminare. Ma non sembra potersi riconoscere, ad un

tale argomentare, plausibilità dimostrativa, apparendone invali

data la vista articolazione dall'erroneo presupposto che sia pos

sibile istituire una qual sorta di equiparazione tra le pronunce,

appartenenti alle diverse tipologie, sopra considerate, quando,

invece, vi si oppongono i criteri esegetico-sistematici, già lumeg

giati, che pongono la considerazione dei due tipi di procedi mento, strumentali alla pronuncia delle sentenze, rispettivamen

te previste dall'art. 442 e dagli art. 525 ss., su piani totalmente

diversi, ancorché, nel secondo di tali procedimenti, possano ve

nire in considerazione ed avverarsi fattori di giudizio e correla

tivi esiti, peculiari all'altro. Talché, va — di sicuro — riconosciuta prevalenza al contesto

Il Foro Italiano — 1996.

argomentativo, fondante l'opposta ermeneusi, nel senso che la

diminuzione di pena, accordata all'imputato, in esito al dibatti mento, nelle condizioni accennate, abbia solo effetti di profilo

sostanziale; e ciò, in quanto il consenso del p.m., anche dopo l'accennata dichiarazione di illegittimità costituzionale, inciden

te sulla materia, rimane sempre un dato indefettibile per legitti mare l'introduzione del rito abbreviato, tanto che, se deve pur

concorrere, a tal fine, la positiva valutazione del giudice, essa,

senza il detto consenso, sarebbe irrilevante sin dall'udienza pre

liminare; onde, non potrebbe rilevare successivamente, all'esito

del dibattimento, se non ai soli fini della diminuzione della pe na. La rigorosa consequenzialità sillogistica del ragionamento non sembra utilmente contrastata né dai ben labili dubbi di ra

zionalità, né dalle ulteriori considerazioni, sopra evocate, che, oltre a segnare un'arbitraria cesura da non eludibili criteri siste

matici, attengono a riflessi del tutto irrilevanti e, peraltro, nep

pure in se stessi congruenti, essendo ovvia l'osservazione della

diversità, che connota la posizione dell'imputato, nei cui con

fronti si faccia luogo al giudizio abbreviato, rispetto all'imputa

to, al quale, invece, tale possibilità sia stata originariamente

preclusa, solo successivamente — a seguito dell'ordinario dibat

timento — riconoscendoglisi una riduzione «premiale» di pena, in base ad una valutazione a posteriori dell'accoglibilità della

sua istanza. D'altronde, le pronunce, che propendono per l'op zione esegetica, verso la quale qui si mostra ripulsa, non risulta

che l'abbian ponderata, su d'un piano di verifica, che dovrebbe

palesare un ancor più pregnante rigore sistematico-istituzionale, in quanto incidente sul diritto d'impugnazione, riconosciuto al

le parti processuali, e cioè in confronto con la valutazione di

ciò che conseguirebbe, coerentemente all'accoglimento d'un tal

criterio, quanto all'applicazione dell'intero disposto dell'art. 443,

e, quindi, anche con riferimento ai limiti all'appello, ivi fissati: sarebbe evidente, in particolare (cfr. il 2° comma), che dovreb

bero ritenersi inapplicabili — dal lato dell'imputato — la con

danna alla sola pena pecuniaria, e — dal lato del p.m. — ogni condanna (salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo

del reato), ove tali condanne fossero contenute in una sentenza,

resa a seguito di dibattimento, che concedesse la riduzione pre miale in discorso. Ma un risultato ermeneutico, in tal guisa in

cidente, non è ragionevolmente ipotizzabile, ostandovi i dispo sti degli art. 593 e 594 c.p.p. e l'indubitabile, grave vulnus,

che ne soffrirebbero, per l'inesistenza d'alcuna congruente ra

gione tecnico-giuridica di possibile deroga. E, in effetti, per quan to riguarda la parte pubblica, è stato già correttamente ritenuto

da questa corte — con palese, ancorché implicita adesione al

criterio, fondato sull'impossibilità di applicare alla sentenza in

discorso le norme sul rito speciale — che il divieto per il p.m. di proporre appello, sancito dal 3° comma dell'art. 443, è posto con riferimento all'ipotesi di sentenza emessa all'esito di un giu dizio che si sia svolto col rito abbreviato e non per quello che

sia stato condotto nelle forme ordinarie (cfr. la sentenza sez.

VI 26 febbraio 1993 n. 1869) mentre è evidente che alle stesse

conclusioni debba esattamente pervenirsi, quanto all'appellabi

lità, dalla parte dell'imputato, della sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria, non potendo vigere, in relazione al giudi zio ordinario, l'inappellabilità prevista dal 2° comma dello stes

so disposto citato. (Omissis)

This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 02:28:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended