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sezioni unite penali; sentenza 25 novembre 1998; Pres. La Torre, Est. Silvestri, P.M. Toscani...

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sezioni unite penali; sentenza 25 novembre 1998; Pres. La Torre, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl. parz. diff.); ric. Messina. Conferma Pret. Napoli 9 luglio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 217/218-221/222 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195406 . Accessed: 28/06/2014 07:41 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.195 on Sat, 28 Jun 2014 07:41:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezioni unite penali; sentenza 25 novembre 1998; Pres. La Torre, Est. Silvestri, P.M. Toscani (concl. parz. diff.); ric. Messina. Conferma Pret. Napoli 9 luglio 1997

sezioni unite penali; sentenza 25 novembre 1998; Pres. La Torre, Est. Silvestri, P.M. Toscani(concl. parz. diff.); ric. Messina. Conferma Pret. Napoli 9 luglio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 217/218-221/222Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195406 .

Accessed: 28/06/2014 07:41

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217 GIURISPRUDENZA PENALE 218

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 25

novembre 1998; Pres. La Torre, Est. Silvestri, P.M. To

scani (conci, parz. diff.); ric. Messina. Conferma Pret. Na

poli 9 luglio 1997.

CORTE DI CASSAZIONE;

Pena (applicazione su richiesta) — Circostanze attenuanti og

getto dell'accordo tra le parti — Effetti — Prescrizione del

reato — Esclusione — Limiti (Cod. pen., art. 157; cod. proc.

pen., art. 129, 444, 445).

In tema di patteggiamento, al giudice richiesto dell'applicazione della pena concordata è precluso dichiarare l'estinzione del

reato per prescrizione, in conseguenza dell'accordo intervenu

to tra le parti in ordine all'esclusione di circostanze aggravan ti o alla sussistenza di circostanze attenuanti, a meno che l'e

lisione delle prime o il riconoscimento delle seconde, anche

per effetto di valutazione comparativa, non emergano obietti

vamente e inoppugnabilmente dallo stato degli atti. (1)

(1) Con la recente sentenza 28 maggio 1997, Lisuzzo (Foro it., 1997, II, 670, con nota di richiami, e Cass, pen., 1997, 3341, con nota di D. Cardano, Il giudice del patteggiamento non può dichiarare l'estin

zione del reato per prescrizione con riguardo alla pena stabilita per il reato ritenuto in sentenza: riemergono i dubbi di compatibilità con l'art.

101, 2° comma, Cost.) le sezioni unite avevano già stabilito, dirimendo il precedente contrasto interpretativo profilatosi nella giurisprudenza di

legittimità, che il giudice che procede col rito del patteggiamento non

può dichiarare estinto il reato per prescrizione ai sensi dell'art. 129 c.p.p., allorché la ragione del proscioglimento derivi da una valutazione positi va dell'accordo negoziale tra le parti, avente ad oggetto il riconosci mento e l'eventuale prevalenza di circostanze attenuanti, con conseguente riduzione dell'originaria pena edittale ed applicabilità di un più breve termine prescrizionale.

Avvertiva la Suprema corte che, attesa l'incompatibilità concettuale fra il rito speciale del patteggiamento e gli schemi negoziali finalizzati, non all'applicazione della pena, bensì al diverso risultato del prosciogli mento, «... è proprio la stessa costruzione normativa di quel procedi mento speciale a dissociare l'area di operatività dell'art. 129 c.p.p. dal contenuto dell'accordo cui le parti sono pervenute, posto che in tanto la pena concordata potrà formare oggetto di verifica da parte del giudi ce in quanto il preliminare e condizionante accertamento sulle possibili cause di proscioglimento sia stato dal giudice esercitato utilizzando gli atti di cui dispone e questo accertamento abbia avuto un risultato ne

gativo . . .». E tali principi (sostanzialmente disattesi da Cass., sez. Ili, ord. 29

ottobre 1997, Amato, Foro it., 1998, II, 327, ma condivisi da Cass., sez. I, 2 dicembre 1997, Acunzo, Ced Cass., rv. 209533) risultano riaf fermati dalle sezioni unite con la sentenza in epigrafe, dopo che la me

desima questione è stata riproposta dalla quinta sezione, con ordinanza

del 20 maggio 1998, in relazione al profilo della ritenuta dissociazione

dell'area di operatività dell'art. 129 c.p.p. dal contenuto del patto. L'odierna decisione si segnala peraltro per l'apertura fortemente in

novativa circa l'ambito dei poteri ricognitivi e decisori del giudice ri

chiesto dell'applicazione della pena concordata, riguardo alla prelimi nare e condizionante verifica — sottratta all'area dei poteri dispositivi delle parti — dell'inesistenza di possibili cause di non punibilità legitti manti il proscioglimento «allo stato degli atti», a norma dell'art. 129

c.p.p. Si sostiene infatti in motivazione (cfr., in particolare, il par. 5) che

il giudice — «dandone adeguata motivazione» — deve dichiarare l'e stinzione del reato per prescrizione in forza dell'avvenuto decorso del

più breve termine prescrizionale correlato alla minore pena edittale che

ne consegue, non solo se reputi di qualificare giuridicamente il fatto

sotto un diverso titolo di reato, ma anche quando dagli atti emergano «... ictu oculi, inoppugnabilmente, precisi e completi elementi di giu dizio che rendono certa l'inesistenza delle aggravanti contestate ovvero

che forniscono una base sicura e indiscutibile per l'applicazione di cir

costanze attenuanti ovvero, ancora, che consentono di procedere ad un'e

sauriente valutazione comparativa delle circostanze ai sensi dell'art. 69

c.p., senza che residui alcun margine d'incertezza . . .»: tali situazioni

probatorie «di immediato e diretto valore dimostrativo», indipendente mente dalle soluzioni negoziali prospettate dalle parti, rendono dovero

sa l'immediata pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129

c.p.p. in applicazione del preminente principio del favor innocentiae.

La novità ermeneutica, che segna sicuramente un'inversione di ten

denza rispetto ai tradizionali ed ormai «ingessati» interventi delle sezio

ni unite sul tema (v., da ultimo, Cass., sez. un., 27 maggio 1998, Bosio, Foro it., 1999, II, 185, e 25 marzo 1998, Giangrasso, Ced Cass., rv.

210872), allarga in modo significativo la sagoma degli accertamenti e

dei controlli inderogabilmente riservati all'organo giurisdizionale nono

stante la struttura negoziale del procedimento semplificato, e appare

perciò di indubbio rilievo deflattivo nei confronti del più penetrante e faticoso vaglio dibattimentale, anche se solo la verifica delle future

prassi giurisprudenziali sarà in grado di constatarne la corretta applica zione da parte dei giudici di merito.

Il Foro Italiano — 1999 — Parte II-6.

Motivi della decisione. — 1. - La quinta sezione penale ha

riproposto una questione che le sezioni unite di questa corte

hanno già risolto con la sentenza 28 maggio 1997, n. 5, Lisuz

zo, Foro it., 1997, II, 670, con la quale hanno stabilito, diri

mendo il precedente contrasto di giurisprudenza, che il giudice che procede a norma dell'art. 444 c.p.p. non può dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione quando questa consegua alla valutazione positiva dell'accordo concluso dalle parti in or

dine al riconoscimento di attenuanti che riducono l'originaria

pena edittale, determinando così l'abbreviazione del termine pre scrizionale.

Le ragioni del dissenso espresso dalla sezione rimettente non

meritano di essere condivise, in quanto si risolvono nella reite

razione di argomenti già diffusamente esaminati e disattesi nella

citata sentenza 5/97 e hanno origine, spesso, da una non corret

ta comprensione delle linee argomentative nelle quali si com

pendiano la ratio decidendi e la reale portata di tale pronuncia. In particolare, va segnalato che non hanno pregio e mancano

di base giustificativa i dubbi e le perplessità formulati sia con

riguardo ai poteri dei quali è investito il giudice nel controllo

dell'accordo delle parti sia in relazione all'affermata dissocia

zione dell'area di operatività dell'art. 129 c.p.p. dal contenuto

del patto. 2. - Senza dovere ripercorrere i singoli passaggi dell'elabora

zione giurisprudenziale, a conclusione della quale sono state in

dividuate le peculiari connotazioni del procedimento di applica zione della pena su richiesta delle parti ed è stata attribuita all'i

stituto la collocazione più appropriata all'interno del vigente sistema processuale, deve porsi in risalto che la configurazione dello speciale modello processuale è stata enucleata da norme

gravitanti attorno a due distinti parametri che rappresentano i contrapposti poli di riferimento della disciplina legale, costi

tuiti, da un lato, dalla rilevanza della volontà delle parti sulla

definizione del procedimento, su cui è determinante l'esercizio

del potere dispositivo ad esse attribuito «in funzione di collabo

razione ad una rapida affermazione della giustizia con una ef

fettiva ed immediata applicazione della pena» (Corte cost. 2

luglio 1990, n. 313, id., 1990, I, 2385), e, dall'altro, dalla inde

rogabile operatività dei principi fondamentali che scaturiscono

dalla Carta costituzionale e contribuiscono a delineare i caratte

ri insopprimibili dell'ordinamento processuale penale, ai quali anche lo speciale procedimento, pur con le sue numerose pecu

liarità, deve essere comunque conformato.

Il primo dei due referenti è, dunque, identificabile nella con

figurazione di uno «strumento negoziato idoneo ad incidere sul

la sfera della libertà personale e dei diritti patrimoniali dell'im

putato» (Corte cost. 6 aprile 1993, n. 143, id., Rep. 1993, voce

Pena (applicazione su richiesta), n. 49), che sembra proiettare

un'impronta nettamente contrattualistica sulla vicenda proces

suale, al punto che, a fronte dell'ampiezza della dilatazione del

potere dispositivo delle parti, in dottrina si è ritenuto di potere affermare che con l'introduzione del procedimento ex art. 444

c.p.p. «nasce il negozio giuridico-penale e, correlativamente, re

gredisce l'oracolo giusdicente». È questo indubbiamente il carattere più saliente dello speciale

meccanismo processuale, che, determinando una innegabile de

viazione dai principi tradizionali della giurisdizione penale, ha

fatto attribuire al nuovo procedimento «connotati di spiccata eccentricità rispetto al sistema processuale, anche perché privo di concrete radici nella nostra tradizione culturale e scientifica»

(Cass., sez. un., 26 febbraio 1997, Bahrouni, id., 1997, II, 457), «rendendo certamente non agevole all'interprete il compito di

delineare, e con appagante certezza, gli effetti conseguenti alla

sua adozione, senza dover travalicare i limiti imposti dai princi

pi processuali aventi rilevanza costituzionale, coordinandoli con

tutto l'ordinamento positivo» (Cass., sez. un., 28 maggio 1997,

Si può tuttavia ribadire fin d'ora che meritano di essere censurate in sede di legittimità quelle operazioni valutative del giudice del patteg

giamento, le quali, limitandosi a recepire acriticamente, dietro lo scher

mo della pregiudiziale formula di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., 10 schema negoziale disegnato dalle parti, risultino funzionali, mediante

11 riconoscimento e l'eventuale prevalenza di circostanze attenuanti non

sorretti da logica e «adeguata motivazione», non all'applicazione della

pena concordata bensì alla produzione di un risultato — quello del pro

scioglimento, conseguente alla riduzione dell'originaria pena edittale ed

all'applicabilità di un più breve termine prescrizionale — diverso da

quello tipico del rito speciale, per il quale deve invece necessariamente

procedersi al giudizio di cognizione piena. [G. Canzio]

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PARTE SECONDA

Lisuzzo, cit.). In tale prospettiva, la questione centrale dell'ana

lisi ricostruttiva della normativa sul patteggiamento è costituita

dalla definizione dei rapporti tra l'ambito della volontà nego ziale delle parti e i poteri del giudice e, dunque, dalla individua

zione dei limiti segnati dall'accordo ai poteri di cognizione e

di decisione dei quali l'organo giurisdizionale è investito.

Non è contestabile che esiste una diretta ed essenziale correla

zione tra le riconosciute possibilità di esplicazione della volontà

delle parti e i poteri del giudice, chiaro essendo che ampliare le basi negoziali del procedimento significa, necessariamente,

restringere gli spazi di intervento del giudice e viceversa: dital

ché il travaglio interpretativo — comprovato dalle numerose pro nunce della Corte costituzionale e di queste sezioni unite in ma

teria di patteggiamento — si è sviluppato principalmente nella

ricerca del punto di equilibrio tra l'area del profilo negoziale e quella sottratta alla disponibilità delle parti e riservata alla

giurisdizione, in modo da coordinare la precipua funzione pre miale dell'istituto con i principi fondamentali del sistema pro cessuale.

3. - Un punto fermo della consolidata elaborazione giurispru denziale deve essere identificato nella mancanza, nella sentenza

pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., di un giudizio di colpe volezza e di una pronuncia di condanna, essendo state più volte

precisate le ragioni logiche e sistematiche per le quali l'applica zione della pena non dipende da un accertamento di responsa

bilità, riferito al reato contestato, ma poggia, anzitutto, sulle

determinazioni pattizie sottoposte al giudice, che è chiamato a

valutarne la legittimità mediante un controllo esercitato sugli elementi di prova raccolti dal pubblico ministero nel corso delle

indagini preliminari (Cass., sez. un., 27 maggio 1998, Bosio,

id., 1999, II, 185; 25 marzo 1998, Giangrasso, Borretti, Palaz

zo; 28 maggio 1997, Lisuzzo, cit.; 26 febbraio 1997, Bahrouni,

cit.; 8 maggio 1996, De Leo, id., 1997, II, 28). L'affermazione relativa all'esclusione di un accertamento di

responsabilità — enunciata anche dal giudice delle leggi a parti re dalla sentenza n. 313 del 1990, cit., sino alle recenti ordinan

ze n. 172 del 1998 e n. 339 del 1997 — è ben compatibile con

la disposizione di cui all'art. 444, 2° comma, c.p.p., che consi

dera la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. quale condizione necessaria dell'ap

plicazione della pena richiesta dalle parti, nel senso che questa

può avere luogo soltanto quando il giudice non possa ricavare

dagli atti disponibili l'esistenza di una causa di non punibilità. In proposito, ai fini della praticabilità del patteggiamento, è

stata sottolineata la necessità dell'inesistenza delle condizioni le

gittimanti il proscioglimento «allo stato degli atti», dato che, se queste sussistono, «si sovrappone alla volontà delle parti il

potere-dovere del giudice di applicare l'art. 152 del codice abro

gato (ipotesi dell'art. 248 disp. trans.) o l'art. 129 del codice

vigente» (Corte cost. 2 luglio 1990, n. 313, cit.): sicché «nel

rito speciale del patteggiamento l'accordo negoziale si arresta

di fronte all'interesse pubblico che impone al giudice di pro nunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129

c.p.p.» (Cass., sez. un., 25 marzo 1998, Giangrasso, Borretti, Palazzo, cit.).

4. - Pertanto, nonostante l'intervenuta rinunzia a contestare la fondatezza dell'accusa, la legge processuale prescrive al giu dice — in vista di una superiore esigenza di giustizia sostanziale — di verificare la non sussistenza delle condizioni per il pro scioglimento dell'imputato prima di controllare il contenuto con venzionale trasfuso nella concorde richiesta delle parti, la cui

peculiare ed esclusiva connotazione funzionale è quella di con

sentire la sollecita definizione del procedimento con l'applica zione di una pena che non è preceduta da un giudizio di respon sabilità. È questa, e soltanto questa, la lineare e inequivoca por tata della posizione argomentativa che rappresenta la chiave di

volta della sentenza 28 maggio 1997, n. 5, cit., con cui le sezio

ni unite hanno ritenuto che «è proprio la stessa costruzione nor

mativa di quel procedimento speciale a dissociare l'area di ope ratività dell'art. 129 c.p.p. dal contenuto dell'accordo al quale le parti sono pervenute, posto che in tanto la pena concordata

potrà formare oggetto di verifica da parte del giudice in quanto il preliminare e condizionante accertamento sulle possibili cause

di proscioglimento sia stato dal giudice esercitato utilizzando

gli atti di cui dispone e questo accertamento abbia avuto un risultato negativo». Una simile affermazione è stata a torto cri

ticata dalla sezione rimettente, alla quale è sfuggito che — in

totale sintonia con il trasparente significato della norma conte nuta nel 2° comma dell'art. 444 c.p.p. — la struttura essenziale

Il Foro Italiano — 1999.

del patteggiamento e la funzione tipica di tale istituto, per il

fatto di essere preordinate all'applicazione della pena, prescin dono dall'accertamento di responsabilità e postulano che l'esa

me della richiesta concordata, nella quale le parti stesse predi

spongono la componente punitiva della emananda sentenza ex

art. 444 c.p.p., avvenga «soltanto dopo che si sia esaurito il

controllo del giudice sulle cause di non punibilità previste dal

l'art. 129 c.p.p.». 5. - Orbene, sviluppando le implicazioni insite nelle limpide

proposizioni dalle quali è sorretto il decisum della sentenza Li

suzzo, deve riconoscersi che è dovere indeclinabile del giudice

esaminare, prima della verifica dell'osservanza dei limiti di le

gittimità della proposta di pena concordata, gli atti del procedi mento al fine di riscontrare l'eventuale esistenza di una qualsia si causa di non punibilità, la cui operatività, giustificando il

proscioglimento dell'imputato e creando un impedimento asso

luto all'applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta

ai poteri dispositivi delle parti. Si tratta, dunque, di una opera zione preliminare avente ad oggetto un accertamento negativo che «non equivale di per sé, simmetricamente, a una pronuncia

positiva di responsabilità» (Corte cost. 20 maggio 1996, n. 155,

id., 1996, I, 1898), in quanto scaturisce da un'attività ricogniti va «allo stato degli atti», che può condurre ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. soltanto se le risultanze

disponibili rendano palese l'obiettiva esistenza di una causa di

non punibilità, indipendentemente dalla valutazione compiuta dalle parti e senza la necessità di alcun approfondimento proba torio e di ulteriori acquisizioni. Ne consegue che, con riferimen

to alla causa di estinzione del reato che interessa nel caso in

esame, il giudice ha il potere-dovere di dichiarare la prescrizio ne non soltanto quando accerti l'avvenuto decorso del termine

stabilito per il reato enunciato nel capo di imputazione, ma an

che allorché, restando immutato il fatto che forma oggetto del

la contestazione, reputi che esso deve essere ricondotto sotto

un diverso titolo di reato per il quale la prescrizione è già matu

rata. La doverosa dichiarazione di estinzione del reato prescrit to non può essere limitata, peraltro, alle ipotesi testé specifica te, dato che le medesime esigenze di ordine logico e sistematico

impongono che il giudice pronunci il proscioglimento a norma

dell'art. 129 c.p.p. anche in presenza di una situazione di mani

festa e incontrovertibile completezza dimostrativa degli atti, dai

quali emergano, ictu oculi, inoppugnabilmente, precisi e com

pleti elementi di giudizio che rendono certa l'inesistenza delle

aggravanti contestate ovvero che forniscono una base sicura ed

indiscutibile per l'applicazione di circostanze attenuanti (si pen si ai casi di documentata riparazione integrale del danno ex art.

62, n. 6, c.p. o di danno patrimoniale di valore irrisorio ex

art. 62, n. 4, c.p.) ovvero, ancora, che consentono di procedere ad una esauriente valutazione comparativa delle circostanze ai

sensi dell'art. 69 c.p., senza che residui alcun margine di incer

tezza. A fronte di tali situazioni probatorie di immediato e di

retto valore dimostrativo, che fanno apparire inutile l'esigenza di un più pregnante vaglio dibattimentale, non è ipotizzabile alcuna plausibile ragione che possa indurre il giudice ad ignora re le obiettive e sicure emergenze processuali, che reclamano

l'applicazione del principio imperativo del favor rei sancito dal l'art. 129 (esplicitamente richiamato dall'art. 444, 2° comma,

c.p.p.), dovendo egli, al contrario, necessariamente tenere con

to — dandone adeguata motivazione — dell'esclusione delle cir

costanze aggravanti o della sussistenza di circostanze attenuanti e dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione in relazione al più breve termine prescrizionale correlato alla minore pena edittale che ne consegue. Dai rilievi testé esposti deve inferirsi

che il solo fatto che nell'accordo delle parti siano previste esclu

sioni di aggravanti o applicazioni di attenuanti non elide né at

tenua, di per sé, la forza cogente dell'art. 129 c.p.p., atteso

che, nelle specifiche situazioni prese in considerazione, la pro nuncia di proscioglimento è indipendente dalle valutazioni e dalle

prospettazioni contenute nelle determinazioni pattizie ed ha co

me unici referenti l'obiettiva e definitiva evidenza probatoria

degli atti e la soggezione del giudice alla legge, che lo obbliga ad emettere immediato verdetto di proscioglimento: ond'è che, nelle ipotesi sopra prefigurate, l'accertamento delle condizioni

per il proscioglimento avviene esclusivamente sulla base degli atti e non dell'accordo strumentale per l'applicazione della pena.

6. - Esaurito con esito negativo il doveroso accertamento pre liminare avente ad oggetto l'esame degli atti tendente a verifica

re l'inesistenza di cause di non punibilità, il compito del giudice è quello di passare a controllare la legittimità dei termini del

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GIURISPRUDENZA PENALE

l'accordo e la congruità della pena concordata: l'indagine en

tra, quindi, nell'orbita tutt'affatto particolare del rito speciale ex art. 444 c.p.p. e i poteri del giudice restano, allora, inevita

bilmente condizionati dalla peculiare natura strutturale e fun

zionale del procedimento nonché dallo specifico contenuto delle

pattuizioni delle parti. In questa ottica, profondamente diversa da quella propria dell'area di operatività dell'art. 129 c.p.p., l'eventuale indicazione nel patto di circostanze attenuanti non

può avere altro valore, per le parti, se non quello di individuare

la soluzione punitiva ritenuta più adeguata al caso concreto (e

dall'imputato reputata comunque preferibile rispetto alla possi bilità di irrogazione di una più grave pena a conclusione del

giudizio ordinario), e, per il giudice, quello di verificare i neces sari parametri di determinazione della pena congrua ai sensi

dell'art. 27, 3° comma, Cost. Agli stessi effetti — come, del

resto, gli è esplicitamente prescritto dal 2° comma dell'art. 444

c.p.p. — il giudice deve accertare l'eventuale applicazione delle

circostanze e deve procedere all'operazione di comparazione nel

caso di concorso di aggravanti e di attenuanti.

In mancanza della già illustrata situazione di piena e concla

mata completezza degli atti in ordine alla dimostrazione della

sussistenza di cause di non punibilità, da cui deriva l'obbligo della immediata pronuncia di sentenza di proscioglimento, l'at

tività cognitiva del giudice deve necessariamente calarsi all'in

terno dell'accordo concluso dalle parti, il quale non ha altro

fine che quello di condurre all'applicazione di una determinata

pena. In altri termini, il controllo giudiziale dei presupposti è

proiettato in direzione della verifica delle condizioni di legalità alle quali è subordinata l'attuazione della concorde volontà del

le parti. Con la conseguenza che, poiché il controllo è condotto

sulla base dei risultati acquisiti nelle indagini preliminari, il ri

scontro giudiziale del contenuto del patto è normalmente privo di completezza probatoria e valutativa, risultando inevitabilmente

conformato — per ciò che concerne l'ambito, le modalità, gli obiettivi — alla particolare funzione attribuita dalla legge pro cessuale al procedimento di applicazione su richiesta delle parti.

Pertanto, in coerenza con la logica negoziale che indubbiamen

te tipicizza il procedimento ex art. 444 c.p.p., il punto di appro do dell'accertamento del giudice non può essere diverso dall'ap

plicazione della pena o dal mancato accoglimento della concor

de richiesta per dare avvio al giudizio ordinario.

7. - L'applicazione di tali principi allo specifico tema ripro

posto all'esame di queste sezioni unite porta a riconoscere l'e

sattezza e la solidità logica e sistematica delle linee argomentati ve sulle quali poggia la conclusione accolta dalla sentenza n.

5 del 1997, Lisuzzo, cit., secondo cui — una volta accertata

l'insussistenza delle condizioni che rendono operante l'obbligo dell'immediata dichiarazione di cause di non punibilità ai sensi

dell'art. 129 c.p.p. — l'orizzonte dell'indagine del giudice non

può spingersi oltre il limite dell'esame della congruità della pe na concordata e tale verifica deve svilupparsi attraverso una

serie di operazioni logiche, finalizzate al controllo della «corret

tezza» della proposta di applicazione della pena, tra le quali devono essere annoverate quelle che, secondo l'esplicita previ sione dell'art. 444, 2° comma, c.p.p., vertono sulla qualifica zione giuridica del fatto, sull'applicazione delle circostanze e

sulla loro comparazione. E dunque risultano perfettamente com

prensibili le ragioni per le quali, nel precedente da ultimo ri

chiamato, le sezioni unite hanno ritenuto infondata la contraria

soluzione interpretativa, osservando che ammettere che le circo

stanze attenuanti e l'esito della comparazione, indicati dalle parti

quoad poenam, possano avere rilevanza ai fini della prescrizio ne equivale ad introdurre una patente distorsione della funzione

tipica del procedimento speciale, con la precisazione che «se

si pervenisse ad una diversa conclusione, si finirebbe per so

vrapporre un accertamento preliminare che il giudice, di uffi

cio, sulla base degli atti disponibili, deve compiere, quale che

sia il contenuto dell'accordo tra le parti, alla successiva ricogni zione del contenuto di tale accordo, ricognizione che soggiace a ben diversi criteri, correlati alla sua altrettanto diversa finali

tà, per poi dissociare tale finalità dal contenuto, sì da utilizzar

ne solo una parte, e cioè quella che è servita proprio per il

calcolo della pena concretamente applicabile, per farne discen

dere effetti incompatibili con le finalità del procedimento, al

quale, per libera e consapevole scelta, le parti hanno fatto ri

corso». L'apprezzamento delle circostanze attenuanti e la valu

tazione di comparazione con possibili aggravanti non possono,

quindi, condurre alla pronuncia di una sentenza di prosciogli

li. Foro Italiano — 1999.

mento, dato che «sarebbe arbitrario utilizzare una parte di quel l'accordo, svuotandolo dal suo complessivo contenuto e disarti colandolo dalla finalità essenziale cui era predisposto, per ap

prodare ad una conclusione del procedimento che è esattamente il contrario di quello che le stesse parti hanno concordemente

dichiarato di volere perseguire». 8. -1 risultati dell'indagine sin qui svolta consentono di affer

mare che l'equilibrio perseguito dalla legge processuale tra la

struttura negoziale dell'istituto, basato sull'iniziativa delle par ti, e gli irrinunciabili accertamenti e controlli giurisdizionali (Corte cost. 11 dicembre 1997, n. 399) ha come necessario corollario

il potere-dovere del giudice di disattendere la proposta pattizia e di imporre, contro la volontà delle stesse parti, le forme del

giudizio ordinario allorché gli esiti del procedimento speciale

gli appaiano confliggere con i principi fondamentali dell'ordi

namento, non comprimibili dai poteri dispositivi attribuiti alle

parti, ovvero quando la conclusione dello stesso procedimento si traduca in una distorsione della funzione che ad esso è pro

pria, come, appunto, si verifica nell'ipotesi in cui il patto sia

confezionato con l'inserimento di circostanze attenuanti che non

assumono l'esclusivo ruolo di parametro di commisurazione della

pena congrua, ma producono anche l'effetto estintivo del reato

incidendo sulla entità della pena in termini tali da determinare

la prescrizione. A fronte di tale situazione ed escluso il caso,

precedentemente indicato, in cui lo «stato degli atti» presenti

quei caratteri di completezza e di autosufficiente idoneità dimo

strativa che legittimano l'immediato proscioglimento ex art. 129

c.p.p., il giudice ha il potere-dovere di respingere il patto e di

dare ingresso al giudizio ordinario affinché, alla luce degli ap

profondimenti probatori propri della dialettica dibattimentale

ed acquisibili in sede di piena cognitio, siano verificate le condi

zioni per l'applicazione delle attenuanti prospettate dalle parti e per la favorevole valutazione comparativa delle circostanze,

che, incidendo sulla misura della pena edittale, si riflettono sul

la durata del termine di prescrizione e danno origine, quindi, ad un fatto estintivo del reato da cui non può conseguire che

il proscioglimento dell'imputato. Una simile posizione interpre tativa — già espressa dalla giurisprudenza di questa corte allor

ché è stato deciso che deve respingersi la richiesta di applicazio ne di pena che, per effetto del suo accoglimento, ponga in esse

re il presupposto di una causa di proscioglimento, quale l'estinzione del reato per prescrizione, altrimenti insussistente

(Cass. 10 maggio 1993, Bicocchi, id., Rep. 1994, voce cit., n.

29) — non costituisce deviazione dai principi precedentemente enunciati dalle sezioni unite in materia di patteggiamento e, in

particolare, non segna un distacco dal percorso argomentativo della sentenza 5/97, Lisuzzo, cit., della quale costituisce, anzi,

puntuale applicazione, in quanto ribadisce che, una volta accer

tata la mancanza delle condizioni che rendono operante l'art.

129 c.p.p., l'esito del procedimento speciale non può essere il

proscioglimento dell'imputato, stante l'assoluta inidoneità fun

zionale dello strumento processuale negoziato, e che all'applica zione della pena non è data alternativa diversa da quella della

mancata ratifica dell'accordo.

9. - Le argomentazioni svolte pongono in luce l'infondatezza

del ricorso proposto dal Messina, posto che le censure con esso

formulate muovono dall'errato presupposto che il riconoscimento

delle attenuanti generiche e la valutazione di equivalenza delle

circostanze, contenuti nella richiesta di pena valutata positiva mente dal Pretore di Napoli, avrebbero dovuto comportare sic

et simpliciter, come automatica conseguenza dell'accoglimento del patto, la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta

prescrizione. Nella sentenza impugnata è indubbiamente presente una pale

se incongruenza logica e giuridica, identificabile nel fatto che

il Pretore di Napoli, anziché respingere l'accordo e rimettere

gli atti al giudice del dibattimento, ha accolto la richiesta delle

parti contenente attenuanti e ne ha riconosciuto l'operatività

quoad poenam, escludendo, contraddittoriamente, che le stesse

fossero rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 129 c.p.p. Di

questo errore, tuttavia, avrebbe dovuto dolersi il p.m., che, in

vece, non ha proposto impugnazione, e non certo l'imputato, il quale, in definitiva, ha ottenuto una pena corrispondente a

quella richiesta ed inferiore a quella che gli sarebbe stata inflitta

se il giudice, correttamente applicando la legge processuale, avesse

rifiutato di omologare il patto. Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente

al pagamento delle spese processuali.

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