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Sociologia Economica - cittastudi.org · dalle condizioni congiunturali del mercato stesso ......

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Sociologia Economica Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2008-2009) prof. Domenico Carbone La nascita del Welfare State Il termine inglese Welfare State fu utilizzato per la prima volta nel 1941 dall’arcivescovo di York (GB) William Temple. Tuttavia se indichiamo con questo termine l’insieme degli interventi posti in essere dalle istituzioni politiche per far fronte ai rischi sociali della popolazione, le sue origini sono molto più antiche. Esse possono essere individuate nell’insieme di misure, per molto tempo disarticolate, messe in atto per rispondere a rischi provocati dalla modernizzazione. La modernizzazione della società coincide, infatti, con una serie di importanti cambiamenti che hanno portato all’affermazione di un nuovo ordine sociale caratterizzato da: - una struttura sociale complessa in cui prevale l’ambito urbano su quello rurale - le relazioni impersonali su quelle personali - l’economia di mercato su quella domestica.
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Sociologia Economica

Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2008-2009) prof. Domenico Carbone

La nascita del Welfare State

Il termine inglese Welfare State fu utilizzato per la prima volta nel 1941 dall’arcivescovo di York (GB) William Temple.

Tuttavia se indichiamo con questo termine l’insieme degli interventi posti in essere dalle istituzioni politiche per far fronte ai rischi sociali della popolazione, le sue origini sono molto più antiche. Esse possono essere individuate nell’insieme di misure, per molto tempo disarticolate, messe in atto per rispondere a rischi provocati dalla modernizzazione.

La modernizzazione della società coincide, infatti, con una serie di importanti cambiamenti che hanno portato all’affermazione di un nuovo ordine sociale caratterizzato da:

- una struttura sociale complessa in cui prevale l’ambito urbano su quello rurale

- le relazioni impersonali su quelle personali

- l’economia di mercato su quella domestica.

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Proletariato rurale e povertà di massa

I primi interventi politici di contrasto alla povertà risalgono al XVII secolo. Essi operano all’interno di un contesto socio-economico caratterizzato dalla progressiva affermazione di una nuova classe sociale: il proletariato rurale

Durante il periodo di transizione al nuovo sistema economico-produttivo, fondato sul “mercato autoregolato” e caratterizzato dalla razionalizzazione nei sistemi di produzione agricola e dall’avvio della prima produzione industriale, le possibilità di allocazione delle risorse vengono a dipendere, quasi esclusivamente, dalla posizione di ciascun individuo nel mercato e, quindi, dalle condizioni congiunturali del mercato stesso

La fase che precede la rivoluzione industriale rappresenta un periodo molto difficile per il proletariato a causa della forte instabilità delle condizioni di mercato. Fasi di alta richiesta di manodopera, soprattutto nel settore manifatturiero, erano seguite da fasi di stagnazione della domanda di lavoro in uno scenario caratterizzato da continue fluttuazioni economiche

Di fronte a tali condizioni strutturali dell’economia, unitamente all’avvicendarsi di eventi contingenti quali guerre ed epidemie la povertà si impose per la prima volta come fenomeno di massa

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Le prima legge sui poveri

L’Inghilterra fu il paese in cui il fenomeno della povertà di massa si manifestò prima che altrove. Nel 1601, il parlamento inglese approvò, infatti, la Poor Law, con la quale, per la prima volta in un atto legislativo, veniva sancito il “diritto a vivere” per tutti i cittadini.

La legge stabiliva che:

- Ad occuparsi dei poveri dovevano essere le parrocchie alle quali venivano trasferite le risorse derivanti dalle imposte locali (le tasse sui poveri) che tutti i proprietari e fittavoli, ricchi o meno, erano tenuti a pagare a seconda della rendita della terra o delle case in loro possesso

- Tutti coloro che si trovano in uno stato di indigenza erano tenuti ad accettare, quale prerequisito necessario per l’accesso ai servizi offerti, l’internamento in apposite strutture residenziali differenziate a seconda del tipo di disagio (poorhouses).

- Coloro che erano impossibilitati al lavoro (es. malati o anziani), potevano ricevere un servizio domiciliare ed un eventuale sussidio in denaro oppure essere ricoverati in appositi ospizi

- Per gli oziosi, coloro cioè che non accettavano l’internamento nelle poorhouses, erano previste sanzioni che andavano dalla reclusione in case di correzione fino alla pena capitale per i recidivi

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Le povertà come colpa

La Poor Law inglese del 1601, così come le leggi di altri paesi europei in quel periodo, può essere definita come una «politica sociale negativa», poiché il suo intento primario era soprattutto quello del controllo dei poveri e la difesa dell’ordine pubblico

La povertà, in pratica, era ritenuta la conseguenza di una colpa ed in quanto tale l’unico metodo ritenuto efficace per risolvere il problema era individuato nella responsabilizzazione degli individui attraverso l’impegno lavorativo

L’aspetto repressivo venne ulteriormente accentuato quando nel 1662 venne approvato l’Actof Settlement.Esso stabiliva che i poveri potevano ricevere assistenza solo dalla parrocchia presso la quale erano residenti.

Tale norma aveva, quindi, lo scopo di scoraggiare i comportamenti opportunistici dei cosiddetti “indigenti di professione” coloro che, cioè, si spostavano periodicamente alla ricerca dei sistemi parrocchiali di sostegno “più efficienti”.

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La mancata differenziazione dei problemi

Impegnati a limitare i rischi per l’ordine pubblico, i legislatori inglesi non erano ancora in grado di comprendere quanta parte giocasse nelle condizioni di vita di ampi strati della popolazione l’indigenza e quanto la mancanza di lavoro.

Nel 1722 presso alcune parrocchie, vennero istituite le workhouse. Ricoveri del tutto simili alle poorhouse, ma che, già nel nome, evidenziano un elemento centrale del problema: la mancata di differenziazione tra povertà e disoccupazione.

La lettura del problema ignorava, inoltre, tra le cause della povertà la disgregazione sociale (di intere comunità e sistemi familiari), provocata dalla rivoluzione agricola, prima, e da quella industriale successivamente. Il problema, di fatto, veniva interpretato esclusivamente come una questione di reddito disponibile.

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La Speenhamland Law (1795)

È nel contesto sociale e normativo in cui povertà, disoccupazione e indigenza sono letti come un problema unico ed indifferenziato che nel 1795 venne approvato, sempre in Inghilterra, un nuovo provvedimento: la Speenhamland Law.

Tale legge ha un impatto rivoluzionario sulla nascita del welfare state poiché stabiliva che: .

“… un individuo con un lavoro – ma il cui salario ammontava a meno di una certa soglia,

calcolata in base al prezzo del pane – aveva comunque diritto a ricevere una integrazione tale

da garantirgli un reddito minimo assicurato in qualsiasi circostanza”

Anche se le conseguenze della sua applicazione in un cotesto economico e normativo come quello inglese del 1800 furono, nel breve periodo, più negative che positive, questa legge segna un punto di svolta fondamentale nella concezione dei rischi sociali in epoca moderna. Per la prima volta viene ammessa la possibilità che il la povertà è un rischio insito strutturale della società e che può riguardare anche chi svolge una attività lavorativa

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Povertà e disoccupazione come “questioni sociali”

Nel 1800, con la Speenhamland Law e con il successivo Poor Law Amendment Act del 1834,diventò sempre più chiaro che il problema della povertà si intrecciava inestricabilmente con i fenomeni relativi all’avvento dell’economia di mercato.

La povertà, l’indigenza e la disoccupazione non erano più soltanto la conseguenza di scelte individuali o di punizioni divine, ma effetti non previsti dei nuovi processi produttivi e, in quanto tali, rappresentavano problemi riguardanti l’intera società. Erano, appunto, delle questioni sociali .

La società industriale dovette prendere coscienza del fatto che, rispetto al passato, le cause dell’insicurezza erano cambiate: ai fattori naturali e politici dell’insicurezza e del rischio si erano aggiunti quelli, ben più temibili, dell’economia.

È solo nel momento in cui i problemi ed i rischi diventano sociali (o sono percepiti come tali) che, quindi, la società stessa è chiamata ad intervenire

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La pressione dal basso

Il fermento delle idee nate dalla rivoluzione francese, insieme al dibattito intorno alla Poor Lawdiede il via ad una serie di movimenti ed iniziative volte ad incidere profondamente nei processi di riforma istituzionale durante la prima parte del 1800.Con il consolidamento della produzione industriale, inoltre, anche la nascente classe operaia iniziò ad organizzarsi e a mobilitarsi per richiedere il riconoscimento dei propri diritti sociali e politici

Le condizioni di vita del proletariato urbano, dentro e fuori le fabbriche, portarono, infatti, inevitabilmente alle prime proteste e al consolidamento dei primi gruppi organizzati.

I primi sindacati nacquero nel 1820, in Gran Bretagna. Tra il 1860 e il 1880, le organizzazioni sindacali si diffusero in diversi altri paesi europei: Norvegia, Svezia e Finlandia.

L’ultima parte del XIX secolo rappresentò, quindi, in Europa un periodo di importanti novità nella legislazione sociale e lavorativaÈ in questo contesto che furono approvate, infatti, alcune importanti riforme destinate ad incidere profondamente sullo sviluppo dei moderni welfare state.

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I primi interventi strutturali: le assicurazioni per i lavoratori

Tra le riforme più importanti introdotte in questo periodo un posto di primo piano spetta, senza dubbio alle assicurazioni sociali

La novità insita nelle leggi istitutive delle assicurazioni operaie fu il riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro

L’introduzione delle assicurazioni aveva come scopo la predisposizione di misure previdenziali di carattere sistematico, standardizzate e, quindi prevedibili, capaci di responsabilizzare i lavoratori senza macchiarli, come un tempo, dello stigma indelebile di assistiti. Il dato nuovo era che restituire sicurezza ai lavoratori ed alle loro famiglie incominciava a porsi come problema di responsabilità collettiva .

La prima forma assicurativa venne introdotta in Germania nel periodo compreso tra la prima legislazione Bismarckiana (1871) e la grande guerra. Nei primi decenni del 1900, altri paesi (Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Svezia, Svizzera, e Gran Bretagna) istituzionalizzarono nel proprio apparato amministrativo i sistemi assicurativi come principale meccanismo di copertura dei rischi per i lavoratori.

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Le Assicurazioni volontarie: interventi residuali e target group selezionati

Il modello più diffuso di assicurazione sociale in questa prima fase era quello “volontario” basato sulla copertura da parte delle società di mutuo soccorso, sovvenzionate in parte dallo Stato, e dall’adesione da parte dei lavoratori su base, esclusivamente, volontaria.

L’intervento regolativo dello Stato in questo modello rimaneva, quindi, molto scarso e considerando che la gran parte dei salariati non era disposta a pagare o non era in grado di garantirsi un’assicurazione, coloro che potevano sottoscrivere un piano previdenziale di questo tipo erano soprattutto i lavoratori specializzati meglio remunerati e la piccola borghesia. Si trattava, quindi, di programmi rivolti ad una minoranza della popolazione lavorativa

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Le Assicurazioni obbligatorie: estensione della protezione a tutti i lavoratori

Il modello assicurativo, basato sulle assicurazioni obbligatorie, venne adottato per la prima volta in Germania all’inizio del 1900. In questo modello le sottoscrizioni spettavano a tutti i lavoratori ai quali veniva richiesto il versamento di contributi previdenziali variabili in base al reddito.

In un primo momento l’obbligatorietà assicurativa riguardava esclusivamente gli operai dei settori manifatturieri maggiormente a rischio, ma successivamente venne estesa a tutti i settori produttivi ed anche agli impiegati.

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La protezione minima in caso di bisogno

La fase successiva nello sviluppo dei programmi previdenziali fu l’introduzione delle assicurazioni sociali attraverso cui la copertura dei rischi venne ulteriormente estesa anche ai soggetti non attivi, come i pensionati (assicurazione pensionistica) o i superstiti (assicurazione contro malattia ed infortuni).

Questo cambiamento rappresenta un passaggio epocale nella storia dello stato sociale in quanto il principio della sostituzione del salario, che aveva guidato tutti i piani di intervento assistenziali e previdenziali fino ad allora, venne progressivamente integrato dal principio di protezione minima in caso di bisogno

L’innovazione senza dubbio più significativa, in questa direzione, fu quella avviata in Svezia, nel 1913, dove venne stabilito che tutti i cittadini con oltre 67 anni avevano diritto ad una pensione.

Alla progressiva estensione dell’assicurazione sociale contribuirono le esperienze del primo dopoguerra, con gli anni dell’inflazione e della Grande Depressione, durante i quali apparve chiaro che anche ceti più abbienti non erano esenti da rischi di impoverimento e disagio

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L’assicurazione contro la disoccupazione

La definitiva applicazione delle assicurazioni contro la disoccupazione rappresenta la rottura definitiva dei tradizionali schemi di previdenza di tipo liberale, basati su un approccio paternalistico e sull’assicurazione obbligatoria da parte dei beneficiari

La sua introduzione sancisce definitivamente l’affermazione del rischio come contingente e strettamente legato all’andamento dei cicli economici

L’assicurazione contro la disoccupazione fu l’ultima ad essere introdotta (negli anni ’30). Tale ritardo si spiega con il fatto che la disoccupazione rappresenta una problematica sociale caratterizzata da un andamento altalenante legato essenzialmente agli andamenti congiunturali dell’economia. Ciò ne ha impedito una rapida presa di coscienza del problema da parte dei governi nazionali.

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La crescita dell’intervento pubblico tra le due guerre

«L’evoluzione generale dei sistemi di sicurezza sociale tra le due guerre si manifesta nella

quota crescente di prodotto interno lordo destinato alle assicurazioni sociali; si rileva anche

nel forte aumento dei beneficiari, nel passaggio dall’aiuto ai bisognosi all’assistenza ed alla

tutela del benessere […] nell’edilizia sociale e nelle assicurazioni contro il rischio di

disoccupazione introdotte soltanto ora in misura massiccia» (Ritter, 1996:106)

Alla base di questa espansione ci sono due visioni ideologiche opposte del welfare state,

- quella della protezione sociale vista come alternativa alla piena partecipazione politica del proletariato industriale sostenuta dai conservatori.

- quella della cittadinanza sociale quale compimento della democrazia politica, sostenuta dai progressisti.

Le risposte alla difficile fase di crisi che condurrà alla transizione al capitalismo regolato non furono omogenee e soprattutto dimostrano un diverso modo di concepire l’intervento assistenziale dello Stato tra regimi democratici e regimi totalitari.

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Le risposte democratiche: La Repubblica di Weimar

Gli esempi più eloquenti delle strategie democratiche messe in atto in questa fase furono quelli della Carta Costituzionale Tedesca della Repubblica di Weimar ed il New Deal del presidente Roosevelt negli Stati Uniti.

L’assemblea costituente di Weimar sancì per la prima volta in un documento costituzionale, il riconoscimento dei diritti sociali e la piena legittimazione dell’assistenza sociale intesa come strumento volto a garantire un elevato grado di sicurezza materiale per tutta la popolazione

Venne, inoltre, riconosciuto il diritto di partecipazione da parte dei sindacati – come espressione della società civile – alla definizione dei piani di intervento sociale. Nasceva, in pratica, un nuovo modello regolativo basato sul pluralismo corporativo che inciderà significativamente sul futuro dello stato sociale tedesco e non solo.

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Le risposte democratiche: Il New Deal Americano

Il New Deal americano prese avvio tra il 1933 e il 1937 durante la presidenza Roosevelt e rappresentò, per l’epoca in cui si colloca, una sperimentazione estesa e coraggiosa perché aveva l’ obiettivo di trasformare strutturalmente l’intervento pubblico in campo economico e sociale.

Nel campo del lavoro e dell’industria fu proclamata la legittimazione delle pratiche sindacali riconoscendo il diritto alla contrattazione collettiva. Furono emanati i provvedimenti sulle quaranta ore settimanali e sulla retribuzione salariale minima.

Nel campo della sicurezza sociale, invece, venne varato il Social Security Act, che rappresentava un primo impianto di assicurazione obbligatoria contro i rischi di invalidità, di vecchiaia (insieme al programma, di garanzia di assistenza agli anziani più poveri, la Old AgeAssistance), di vedovanza e per la protezione dei familiari di defunti.

Tuttavia, la tradizione individualista e le resistenze nei confronti di nuove spese da parte dello Stato, spiegano perché la spesa sociale in questo paese rimase relativamente bassa e perché si rinunciò ad ampliare la gamma delle assicurazioni,come ad esempio quelle contro i rischi di malattia

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Le risposte totalitarie: Il Nazismo

I regimi totalitari risposero alle tensioni sociali del periodo compreso tra le due guerre mondiali con una repressione preventiva delle minacce rivoluzionarie soffocando, di fatto, ogni domanda di cambiamento sociale nell’interesse delle classi dominanti.

La strategie di intervento di questi regimi passarono dai metodi della minaccia e della violenza fino alla progressiva smobilitazione sindacale e l’abolizione delle istituzioni democratiche.

Le misure della Germania hitleriana riproposero le concezioni della povertà come colpa predisponendo piani di intervento basati sull’internamento degli indigenti e sanzioni che prevedevano anche l’eliminazione dei “superflui”.

La politicizzazione della sanità con lo sforzo per evitare il deterioramento dell’essenza biologica del popolo mostrò, per la prima volta, la possibilità di degenerazione ed abuso dello stato sociale.

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Le risposte totalitarie: Il Fascismo

Nell’Italia fascista con il Concordato del 1929 – stipulato tra governo e Chiesa Cattolica – fu sancita una divisione dei compiti assistenziali, tra le due istituzioni.

Il regime fascista rivendicava un proprio primato su tutte quelle attività in cui il contenuto assistenziale coincideva con obiettivi di socializzazione politica e di organizzazione della popolazione secondo i propri principi ideologici.

Alla Chiesa venne confermata una delega di gestione – da esercitare con la massima autonomia – nelle più tradizionali attività di assistenza agli anziani, agli inabili e ai soggetti marginali

Lo scopo principale della politica sociale fascista fu quello di creare un opinione pubblica favorevole al regime attraverso opere sociali che avevano forti valenze propagandisticheÈ in questa logica che vengono creati i grandi istituti previdenziali operanti ancora oggi: INPS e INAIL.

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Verso un Welfare maturo: il rapporto Beveridge

L’impulso alla nuova fase dello stato sociale venne dal Regno Unito e da quello che è considerato il documento fondamentale del moderno welfare state: il Rapporto Beveridge

Il Piano per la Sicurezza Sociale redatto da Beveridge cambiava radicalmente il modo di affrontare i rischi sociali. La lotta alla povertà si presentava come parte di una più ampia politica di progresso sociale in cui l’attacco al bisogno doveva essere accompagnato dallo sviluppo dell’assicurazione sociale e da misure di lotta contro gli altri rischi fondamentali: malattia, ignoranza, incuria e inoperosità.

Alla base del programma c’era lo stretto collegamento tra la politica sociale ed una politica economica nazionale tendente alla piena occupazione.

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Il Piano di Sicurezza Sociale Beveridge: principali caratteristiche

Il Piano per la Sicurezza Sociale redatto da Beveridge era un sistema integrato di misure volte a contrastare i rischi sociali basato su:

- Sussidi di sussistenza: previsti per ogni forma di interruzione del reddito (disoccupazione, invalidità maternità, pensione etc.)

- Unificazione delle responsabilità amministrative in capo al Ministero per la Sicurezza Sociale

- Sistema contributivo uniforme: ciascuno in base alla propria condizione lavorativa era tenutoalla partecipazione al sistema contributivo come pre-requisito per l’accesso alle misure previdenziali

- Classificazione e Inclusione: I cittadini venivano classificati in 8 categorie (lavoratori dipendenti; imprenditori, commercianti, liberi professionisti; casalinghe sposate con marito lavoratore; tipologie di lavoratori non retribuiti; giovani al di sotto dell’età lavorativa; pensionati). Per ciascuna categoria venivano stabilite le tipologie di sussidio cui si aveva diritto.

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Consolidamento e crescita dello Stato Sociale

Dopo la seconda guerra mondiale, la “sperimentazione” lasciò gradualmente il posto ad un insieme più strutturato e più consensuale di politiche sociali

L’impostazione “paternalistica e discrezionale” che da tempo aveva permeato gli interventi e le pratiche assistenziali venne progressivamente abbandonata, di fronte alle sfide poste da vecchi e nuovi problemi sociali.

Accanto al nucleo centrale, che rimarrà concentrato intorno alle assicurazioni sociali, si consoliderà l’impegno dello Stato in alcuni settori cruciali dell’economia e della vita sociale (il mercato del lavoro, la scuola, la sanità, etc.).

Questa fase si contraddistingue per un consolidamento del welfare state caratterizzato da una graduale affermazione del potere dei governi democratici come manager sociali

I risultati di tale consolidamento non portarono a soluzioni univoche e stabili nel tempo, anzi è proprio durante questa fase che si struttureranno le principali linee di differenziazione tra i diversi modelli di welfare

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Gli anni ’60: l’apice dell’espansione del Welfare

Il periodo compreso tra gli anni sessanta e la prima metà dei settanta rappresenta la fase di maggiore espansione del welfare state in Europa

Oltre ad una espansione costante della spesa sociale, vennero colmate le lacune delle fasi precedenti ed estesi i programmi di intervento sociale sia per quanto riguarda la gamma dei rischi coperti, sia per quanto riguarda la quota di popolazione che poteva beneficiare delle prestazioni di welfare

In questa fase nella maggior parte dei paesi occidentali i servizi e le misure assistenziali vennero indirizzati verso la maggioranza della popolazione che, dopo il boom economico post-bellico, si colloca in una posizione intermedia tra ricchezza e povertà.

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Gli anni ’70: problemi di sostenibilità

Alla base della forte espansione delle politiche sociali e dei servizi di welfare durante tutti gli anni ’50 e ’60 vanno individuati alcuni fattori contingenti che hanno garantito, per qualche decennio, un occultamento dei costi legati alla diffusione incontrollata dello stato sociale.

1) Il più importante fattore riguarda l’alto tasso di sviluppo economico che ha garantito ai partiti politici e alle coalizioni di governo quote crescenti di risorse da impiegare sotto forma di interventi pubblici

2) Un secondo fattore riguarda, invece, il sistematico ricorso, da parte dei responsabili della politica economica e sociale, al meccanismo di deficit spending per finanziare gli interventi. In pratica molti servizi e prestazioni venivano erogati senza la reale esistenza di una copertura economica, ma semplicemente ricorrendo all’indebitamento pubblico.

“Se da una parte, la crescita economica ha permesso la forte espansione dello stato sociale,

dall’altra, ha innescato dei processi che ne hanno minato la sua stessa sostenibilità. I cicli

distributivi del welfare state hanno teso, nel lungo periodo, ad avvitarsi in spirali di spesa

pubblica espansive capaci di autoalimentarsi, con conseguenze nefaste sul piano economico

e finanziario” (Ferrera, 1998)

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La crisi dello stato sociale keynesiano

Alla fine degli anni ‘60 appare evidente che il meccanismo di regolazione istituzionale dell’economia basato sullo stato sociale keynesiano tende a produrre, nel tempo, alcuni “effetti perversi” verso cui devono essere trovate delle contromisure

Ad un livello micoroeconomico, la forte crescita occupazionale garantita dall’attuazione dei principi keynesiani contribuisce nel tempo a esaurire le risorse di manodopera menopoliticizzata e maggiormente disposta a compromessi (agricoltori ed immigrati)

Durante gli anni ’60 si assiste ad una ripresa del conflitto industriale in parte derivato da processi di ristrutturazione produttiva caratterizzati dal riemergere di modelli di organizzazione della produzione “alienanti” . In parte, proprio grazie alla forza contrattuale derivante dalla piena occupazione, le classi operaie maturano in questi anni nuove domande sul piano retributivo e su quello del riconoscimento sociale

Ad un livello macroeconomico va considerata la progressiva difficoltà dei governi a tenere sottocontrollo la spesa sociale. L’estensione progressiva della protezione nei confronti dei rischi (malattia, infortuni, disoccupazione, vecchiaia etc.) comporta un aumento costante del ricorso al deficit spendingutilizzato sempre più spesso come mezzo di “equilibrio politico” e come strumento per la costruzione del consenso

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I fattori economici della crisi

Agli aspetti di natura istituzionale nella gestione della regolazione economica, vanno aggiunti anche dei fattori “contingenti” di carattere più strettamente economico che incidono profondamente nella crisi dello stato sociale keynesiano.Questi aspetti riguardano:

La saturazione dei mercati nazionali per i prodotti industriali standardizzati

Peso crescente della concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione (Sud-Est Asiatico)

Crisi energetica dovuta alla crescita del prezzo del petrolio

Fine degli accordi Bretton Woods e passaggio da un sistema finanziario a cambi fisso ad un sistema a cambi fluttuanti


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