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Speciale Economia

Date post: 22-Mar-2016
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Lo Speciale del numero di Dicembre '09 e Gennaio '10.
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Il 2009 è stato un anno senza dubbio complicato per l’imprenditoria mondiale e ancora di più ne hanno ri- sentito le piccole e medie imprese, che sono la spina dorsale, la colonna del sistema economico italiano. Ma, come quasi sempre accade, gli imprenditori di casa nostra stanno trovando energie e risorse per riu- scire a traghettarsi nella maggior parte dei casi fuori da questa tempesta. La fine dell’anno è un ottimo momento per fare un bilancio, per cercare di capire dove si è arrivati, che cosa è stato sbagliato e quali invece sono state le mosse corrette. E’ anche il tempo per guardare al fu- turo, per programmare gli investimenti dell’anno che sta per iniziare, per cercare di capire che cosa aspet- tarsi nel breve periodo. Un chiaro termometro dell’andamento di un’econo- mia è costituito dalla presenza di giovani imprendi- tori: è su questo terreno che su questo numero della Rivista intendiamo confrontarci. E il discorso finisce, inevitabilmente, ad esplorare un mondo, quello della formazione, che rappresenta il trampolino di lancio per il mondo delle professioni, dell’impresa, del lavoro. CONTROVOCE 48 MONDO LAVORO SPECIALE GIOVANI IMPRENDITORI, C’E’ POSTO PER VOI
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Page 1: Speciale Economia

Il 2009 è stato un anno senza dubbio complicato per

l’imprenditoria mondiale e ancora di più ne hanno ri-

sentito le piccole e medie imprese, che sono la spina

dorsale, la colonna del sistema economico italiano.

Ma, come quasi sempre accade, gli imprenditori di

casa nostra stanno trovando energie e risorse per riu-

scire a traghettarsi nella maggior parte dei casi fuori

da questa tempesta.

La fine dell’anno è un ottimo momento per fare un

bilancio, per cercare di capire dove si è arrivati, che

cosa è stato sbagliato e quali invece sono state le

mosse corrette. E’ anche il tempo per guardare al fu-

turo, per programmare gli investimenti dell’anno che

sta per iniziare, per cercare di capire che cosa aspet-

tarsi nel breve periodo.

Un chiaro termometro dell’andamento di un’econo-

mia è costituito dalla presenza di giovani imprendi-

tori: è su questo terreno che su questo numero della

rivista intendiamo confrontarci.

E il discorso finisce, inevitabilmente, ad esplorare un

mondo, quello della formazione, che rappresenta il

trampolino di lancio per il mondo delle professioni,

dell’impresa, del lavoro.

CONTROVOCE

48 Mondo Lavoro

speciale

giovani imprenditori,c’e’ posto per voi

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speciale

economia

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L ’imprenditoria giovanile in Italia è in crisi? dai numeri pare proprio di si. Le analisi statistiche formulate dal

Centro Studi Sintesi, oltre a quelle svolte appositamente per Mondo Lavoro dal Centro di ricerche EntEr dell’Università Bocconi e da Call World di ancona dimo-strano in ef fetti che sempre meno giovani under 30 scelgono di intraprendere un mestiere in proprio. Questa rivista - con l’ausilio di autorevoli esperti ed osserva-tori - ha dedicato ampio spazio all’analisi di tale tendenza, con il duplice obiettivo di inquadrare compiutamente il fenomeno e tentare, laddove possibile, di individua-re alcune proposte in grado, se non di in-vertire la rotta, almeno di fermare la cadu-ta. Come si noterà dai singoli interventi, l’ indice è puntato molto spesso sulla for-mazione, da sempre considerata inade-guata alle necessità del mondo del lavo-ro.

SPECIALE

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La rielaborazione dei dati InfoCa-mere effettuata dal Centro studi Sintesi mostra una sensibile fles-

sione dell’imprenditorialità giovanile nel 2008, sia quando il punto di riferi-mento sono i dati relativi all’anno 2007, sia quando il confronto è effettuato in base alla rilevazione del 2002. Il dato, come è stato messo più volte in evi-denza anche dalle associazioni di rap-presentanza (specialmente da Confapi che negli ultimi mesi non ha esitato ad evidenziare i segnali di “fuga dei giova-ni” dal manifatturiero) è indubbiamen-te preoccupante, ed ugualmente fanno riflettere i dati relativi alla distribuzione settoriale, di genere e geografica dei

“giovani imprenditori”. Esso si presta tuttavia a molteplici letture.Innanzitutto, per quanto riguarda la consistenza, assoluta e percentuale, dell’imprenditoria giovanile, bisogna rilevare che la flessione risulta meno netta se si prendono in considerazione i dati relativi alle sole ditte individuali, secondo l’elaborazione dei dati Info-Camere effettuata da EntER (Centro di ricerca Imprenditorialità e Imprenditori) dell’Università Bocconi. La scelta non è stata determinata dalla volontà di ridi-mensionare la preoccupazione, quan-do non allarme, scaturente da questa analisi, quanto dal fatto che i dati relativi alle ditte individuali sono indubbiamen-

te più “sicuri”, a scapito ovviamente di un’inevitabile restrizione del campione preso in esame, rispetto a quelli com-prendenti anche le informazioni sulle cariche ricoperte in azienda dagli under 30, presumibilmente invece conteggiati nell’analisi Sintesi. In altre parole, e sem-plificando, non è detto che ad un am-ministratore delegato under 30 corri-sponda sempre un’impresa “giovanile”.In questo caso, come mostra la Tabella 1, pur in presenza di forti flessioni (nel confronto 2002-2008 spesso a due cifre e in alcuni casi superiori al 20 per cen-to), le variazioni sono di consistenza inferiore. Soprattutto, le contrazioni evi-denziate risultano minori quando i dati

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SPECIALE

L’imprenditoria giovaniLe in itaLia: aLcuni datiospitiamo in queste pagine una ricerca relativa agli indici di imprenditoria giovanile nel nostro paese. L’analisi è stata effettuata per mondo Lavoro da due giovani ricercatori del centro di ricerca enter dell’università Bocconi – chiara casalino e Fabio Lavista - coordinati dal professor giuseppe Berta, direttore del centro ed editorialista de La Stampa in materie economiche

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relativi alle imprese under 30 vengano ponderati con i dati relativi alla popola-zione residente nelle regioni italiane e di età compresa tra i 18 e i 30 anni: la po-polazione che rientra in questa fascia di età ha subìto infatti anch’essa una sen-sibile flessione negli anni considerati, sebbene tale flessione resti indubitabil-mente inferiore a quella fatta registrare dalle imprese under 30.I dati presentati da entrambi i centri stu-di meriterebbero certamente una più approfondita analisi settoriale e trovano probabilmente delle spiegazioni che sono specifiche per ogni area territoria-le considerata. Qualche considerazione può comun-que essere avanzata: innanzitutto, è evi-dente che le imprese under 30, come era abbastanza ovvio aspettarsi, sono correlate con la distribuzione della po-polazione compresa tra i 18 e i 30 anni (in Campania, Lombardia e Sicilia si concentra la percentuale maggiore di imprese under 30 sul totale nazionale e lo stesso si può dire per la popolazione 18-30 anni). La situazione che fotografa la presenza dell’imprenditoria giovanile nel nostro Paese risulta però differente se si considerano congiuntamente i due indicatori, ossia guardando al rapporto tra le imprese under 30 e la popolazione residente compresa tra i 18 e i 30 anni: in questo modo la Lombardia presen-ta in realtà uno dei rapporti più bassi, mentre la Sicilia e la Campania concor-rono a determinare la media nazionale, decisamente superiore al dato lombar-do. In generale, le regioni che nel 2002 presentavano un valore del rapporto sopra menzionato superiore alla media erano principalmente quelle meridio-nali e quelle nelle quali era possibile registrare una maggiore presenza di distretti industriali, testimonianza pro-babilmente di due fenomeni differenti: da un lato, nelle regioni meridionali, il risultato era l’effetto congiunto della loro crescita relativa nel corso del de-cennio precedente, connessa però con la perdurante difficoltà di tale dinamica a tradursi in occasioni di occupazione

stabile per i giovani - come emerge da un recente volume di Gianfranco viesti (Mezzogiorno a Tra-dimento. Il nord, il Sud e la politica che non c’è, 2009) e dal rapporto della Ban-ca d’Italia L’econo-mia della regioni ita-liane nel 2008 (2009); nell’altro, era il frutto della progressiva tendenza dei distret-ti ad esternalizzare alcune porzioni dei processi produttivi. In entrambi i casi ri-sultava comunque incentivata la cre-scita del numero di aziende individuali e, in seno a queste, di imprese under 30. a spiegare i dati attuali contribuisce il fatto che proprio queste siano state le regioni che, nel corso degli anni successivi, hanno spe-rimentato un deterioramento maggiore del rapporto tra imprese under 30 e popolazione residente 18-30 anni. In so-stanza, non vi è dubbio che la decresci-ta sia generalizzata, a testimonianza del rallentamento complessivo del Paese nel corso dell’ultimo decennio, ma essa è accentuata nelle regioni meridionali – che hanno fatto registrare dati peggiori delle altre regioni a partire dal 2003 – e in quelle a forte presenza distrettuale. Il trend negativo nel complesso eviden-ziato trova probabilmente spiegazione, anche se in misura diversa a seconda del territorio di riferimento, nella pecu-liare specializzazione in settori manifat-turieri tradizionali che hanno risentito e risentono maggiormente della concor-renza internazionale - una configurazio-ne dell’assetto manifatturiero italiano efficacemente delineata nel recente studio dell’Istituto per la promozione industriale su I distretti individuati dalle Regioni (2009).

La decrescita delle imprese under 30, specie quando si tratti delle sole impre-se individuali, si inserisce dunque in un processo di lungo periodo che vede la progressiva diminuzione delle compa-gini di aziende caratterizzate da questa forma giuridica, come ben evidenziato dagli ultimi dati presentati da Unionca-mere sulla natalità e mortalità delle im-prese italiane nel terzo trimestre del 2009. Una tendenza che risulta quindi confermata, anzi accentuata, nell’ultimo anno, fortemente influenzato dal rove-scio della congiuntura internazionale e dal prolungarsi della crisi. In sé il dato potrebbe non essere così negativo, se si potesse tradurre nella costituzione di un maggior numero di imprese di altra e più solida natura, che negli ultimi anni hanno mostrato di saper meglio affron-tare periodi di turbolenza. allo stesso modo, suggerisce di pensare, accanto a provvedimenti che leniscano le ricadute sociali di questa contrazione, a politiche che favoriscano un ripensamento della specializzazione produttiva di molte aree del Paese. Chiara Casalino e Fabio Lavista

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REGIONE 2002 2007 2008 DifferenzaÊpercentuale

DifferenzaÊpercentualeÊ

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Dottor Caprarica, il suo ultimo saggio, appena uscito, s’inti-tola :”I Granduchi di

Soldonia “. Ma perché in una fase estremamente diff icile per l’economia mondiale ha voluto occuparsi di quelli che definisce “ i miliardari globali che se la ridono della crisi “ ?“Proprio per il fat to che ci tro-viamo nel bel mezzo di una crisi planetaria. Trovo singolare che di cer ti multimilionari ci pre-occupiamo soltanto d’estate, quando le riviste patinate li ritraggono trionfanti sui pon-ti dei loro panfili. Per il resto dell’anno, non c’è interesse, non c’è dibattito. Eppure, i loro comportamenti, i loro eccessi, i loro sprechi come i loro inve-stimenti hanno profondi rif lessi sull’economia globale, e quindi su tutti noi. Eccome, se li han-no.Ci sarebbe molto da rif let te-re sulla misura in cui questi si-gnori decidono i nostri destini”.Ma questi super ricchi non stanno pagando le conseguen-ze del collasso finanziario?“Stiamo parlando di 800 perso-ne al mondo, che possiedono complessivamente 2.200 miliar-di di dollari. Questo gruppetto di persone, una supercasta, una sor ta di padroni dell’universo, ci hanno purtroppo abituati alle loro follie, a capricci di ogni tipo, all’esibizione della loro ricchezza, che talvolta sfocia in un’ostentazione di pessimo gu-sto. La crisi ha appena sfiorato le loro for tune. non abbastanza da farli piangere, anzi. Sui guai degli altri, accrescono le loro

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SPECIALE

“gLi itaLiani La Sanno Lunga … o no?”

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ricchezze”.Nel Suo fortunato libro “Gli italiani la sanno lunga … o no?” Lei fa una divertente quanto veritiera fotografia degli abitanti del Bel Paese. Ma come ci vedono all’estero?“all’estero, ma soprattutto nel mondo anglosassone, sono stu-piti. Gli italiani vengono visti come persone piuttosto pit-toresche… Ma aldilà di que-ste osservazioni generali, nelle popolazioni di matrice cultu-rale protestante è for temente radicata una visione della cosa pubblica molto più rigorosa rispetto alla concezione che possono avere popoli tradi-zionalmente cattolici come gli italiani e i francesi. Per quan-to riguarda il nostro Paese, ad esempio,oltr’alpe si fa fatica a comprendere questa transizio-ne infinita. L’Italia sembra sot-toposta perennemente a sol-lecitazioni telluriche, sempre sull’orlo del collasso, che for tu-natamente non avviene mai. Per un popolo come quello britan-nico, che ha nel proprio dna “the rule of the law”, il governo della legge, come si fa a com-prendere la nostra cattiva abi-tudine di arrabattarci, di elude-re la legge, di farla franca?”.Eppure siamo un Paese con bellezze uniche, paesaggisti-che ed artistiche.

“Sia chiaro: gli stranieri amano l’Italia, considerata la culla del-la civiltà e della bellezza, come scriveva già nel Settecento il dottor Johnson. Ci viene sem-pre riconosciuto il possesso del senso della bellezza”.Accompagnato da un giudizio poco edificante su altri ver-santi, come accennava prima.“all’estero si ha la netta sen-sazione che le istituzioni eco-nomiche e politiche non sia-no assolutamente all’altezza. Considerano intollerabili la pe-santezza della burocrazia, l’ in-cer tezza delle regole e l’alta pressione fiscale”.Fisco, appunto: soltanto da noi c’è uno Stato così esoso?“anche in Francia la tassazione è molto elevata, però l ì la Pub-blica amministrazione raggiun-ge livelli di massima ef ficienza”.Parliamo della situazione eco-nomica: la crisi ha coinvolto tutte le economie avanzate, non soltanto la nostra.“Come si sa la crisi ha avuto una portata generale. Questo ca-rattere globale ha comportato una minor attenzione nei con-fronti della precaria situazione italiana, nel senso che il nostro handicap si vede meno perché tutte le economie sono entra-te in sof ferenza. Però le nostre dif ficoltà rimangono tutte: con un debito pubblico così pesan-

Antonio Caprarica, nato a Lec-ce nel 1951, si è laureato in Fi-losofia presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi su Adam Smith con Lucio Col-letti. Dopo aver lavorato presso il settimanale Mondo Nuovo e il quotidiano L’Unità, è stato con-direttore di Paese Sera. Passato alla Rai nel 1988, è stato inviato e corrispondente fisso del Tg1 in Medio Oriente, Mosca (1993), Londra (1997) e Parigi (2006). Dell’esperienza britannica par-la nel libro “Dio ci salvi dagli inglesi… o no!?”, vincitore del Premio Gaeta per la letteratura di viaggio e tra i best-seller del 2006. Dopo tre anni alla direzio-ne di Radio Uno e dei giornali radio Rai, è tornato a Londra come Editorialista europeo del-la RAI. Vincitore di molti premi di giornalismo tra i più presti-giosi (Ischia, Fregene, Val di Sole),collabora con quotidiani e periodici

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e’ il titolo di uno dei numerosi libri di successo scritti da antonio caprarica, un volto che tutti noi conosciamo come corrispondente rai da diverse parti del mondo (medio oriente, mosca, Londra

e parigi) nonché direttore di radio uno. da osservatore d’eccezione qual è, ci

fornisce una brillante fotografia dell’italia

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te - che nulla a che vedere con i deficit di Francia, Germania e Regno Unito – sul palcoscenico dei Paesi industrializzati rap-presentiamo un caso anomalo e specifico. Il debito pubblico rischia di diventare un fardello capace di schiacciare la cresci-ta”.In due parole è impossibile esplorare il problema, ma dal Suo privilegiato punto di os-servazione, perché tutto que-sto?“alla base vi sono ragioni sto-riche e culturali. non dimen-tichiamo che gli italiani sono stati sottomessi per secoli a potenze straniere, che l’Italia è uno Stato giovane: ha appena 150 anni! altrove in Europa gli Stati-nazione sono sor ti già da 500 anni. Il risultato in quei Pa-esi è un for te senso di coesione e di appartenenza nazionale “.Un’ultima domanda? La for-mazione in Italia come se la passa rispetto ad altri Paesi europei?“ E’ cer tamente il terreno su cui abbiamo meno da rallegrarci”.E’ la fuga dei cervelli a dover-ci preoccupare?“no, non è questo il problema. anzi: i nostri ragazzi devono

andare all’estero, prendere la valigia e varcare i confini nazio-nali : il confronto è sempre posi-tivo. Il vero nostro problema è il saldo tra dare e avere. Mi spie-go: 300.000 ricercatori italiani studiano e lavorano all’estero, mentre solo 50.000 stranieri vengono in Italia. Il fat to è che gran par te di questi ultimi si oc-cupa di materie ar tistiche, nelle quali noi, si sa, primeggiamo. Quando poi andiamo a vedere quanti sono i giovani ricercato-ri nelle discipline scientifiche che arrivano nel nostro Paese, il dato è allarmante”.Perché mancano centri di ri-cerca competitivi? “Le eccellenze ci sono: basti pensare al Politecnico di Tori-no o al Sant’anna di Pisa. Però, a par te queste rarissime ec-cezioni, le Università italiane sono troppo indietro. Se pren-diamo le classifiche internazio-nali delle università migliori al mondo, le nostre figurano nelle zone basse... Bisogna arrivare al 190esimo posto per trovare Bologna !In India e Cina si lau-reano ogni anno tre milioni di ragazzi,e in gran par te parlano f luentemente l’ inglese. Tra essi, 250.000 sono ingegneri, cioè il numero complessivo dei nostri laureati. del resto, non c’è da meravi-gliarsi se si vede quanto desti-na lo Stato alla ricerca”.Cioè? “ Meno dell’1 per cento del Pil : è ri-di-co-lo. Senza contare che da noi è irrilevante la presenza del settore privato nella ricer-ca: non si arriva al 6 per cento, contro il 26 per cento del Re-gno Unito e quasi il 20 per cen-to degli Usa. La par tecipazione delle aziende agli investimenti in Ricerca&Sviluppo, si sa, è un volano per l’economia”. di Paolo Duranti

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Dottor Birkner, da quanto tempo lavora come invia-to in Italia?

“Solo da due anni, però la mia esperienza italiana fortunatamente va ben oltre”.E’ stato Lei a scegliere di scrive-re del nostro Paese? E se sì, che cosa l’ha portata a fare questa scelta?“volevo assolutamente tornare qua. Quando avevo 23 anni, nel 1993, venni a Bologna per motivi … sentimentali: nel capoluogo emi-liano viveva una ragazza che avevo conosciuto in Germania. La storia finii presto, ma mi ero subito inna-morato della bellezza del vostro Paese. allora decisi di rimanere fino alla laurea, nel 1999. Per motivi di lavoro sono poi tornato in Ger-mania, però era difficile abituarsi di nuovo al modo di vita tedesco dopo sei anni italiani. Il mio scopo rimase già da allora di cogliere al volo la prima occasione per tornare in Italia. Ce l’ho fatta. ora sto feli-cemente a Firenze”.In linea generale, che idea si ha in Germania sull’Italia? “C’è un sentimento ambiguo: ti amo e ti odio, una relazione un po’ bizzarra. dopo la vittoria dell’Italia contro la Germania nella semifi-nale dei Mondiali 2006 è nata una tendenza di odio verso l’Italia che faccio fatica a ripercorrere. Sporti-vamente l’Italia ha quasi sostituito il rivale storico, l’olanda. Economicamente e politicamen-

te viene considerato come Paese poco affidabile, un Paese dove i furbi vincono sempre. Contempo-raneamente, però, l’Italia è sempre una delle mete di vacanza più ama-te dai tedeschi, tutti amano andare nei ristoranti italiani e, in fondo, in tanti vi invidiano il vostro stile di vita”.Secondo Lei quali sono i punti di debolezza della società italiana?“Un aspetto molto delicato è sicu-ramente il divario tra Centro-nord e Sud. Però ritengo che per com-prendere appieno il problema oc-corra essere nati e vissuti sempre qui. Poi ci si chiede anche come mai questa animosità, che si mani-festa in diversi ambiti, dal tifo spor-tivo alla politica. Sembra quasi che l’obiettivo non sia quello di cercare una soluzione ai problemi, ma di polemizzare contro e far cadere

l’avversario. Sono d’accordo con Luciano Ligabue, che in un’intervi-sta mi disse: “Mi chiedo come mai un Paese di così tanta bellezza sia capace di tante assurdità””.In che cosa la società tedesca si differenzia rispetto a quella ita-liana?“Parlando di stereotipi, le cose neppure in Germania funzionano sempre, ma funzionano meglio. ad esempio sono anche in grado di ot-tenere un documento burocratico in pochi giorni, invece di sei mesi. L’Italia è abitata da gente indubbia-mente più aperta e calorosa, però è altrettanto vero che la Germania si può vantare di una grande aper-tura verso il mondo, dove i giovani vanno presto a vivere da soli, si par-lano bene le lingue straniere, si è più disposti di viaggiare all’estero”. di Eleonora Baldi

ai tedeSchi coSa piace deLL’itaLia? iL Suo “caoS organizzato”e’ l’opinione di oliver Birkner, corrispondente dall’italia del quotidiano tedesco die Welt

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U n Paese che non fa r i -forme rappresenta un f reno per icoloso per

l ’economia. Specie in per iodi in cui i l t rend mondiale non è cer to dei migl ior i . Per r i spondere ad una s i tua-z ione come quel la ver i f icatas i nel l ’u l t imo anno, c ’è bisogno di f less ibi l i tà, d i col laborazio -ne t ra i var i at tor i del s is tema soc ia le ed economico, d i un contes to legis lat ivo, burocra-t ico e f inanziar io che sappia sos tenere gl i imprenditor i, soprat tut to i piccol i che av-ver tono in maniera più sensi -bi le l ’ar res to del le commesse s ia nazional i che internazio -nal i .Pur t roppo, però, l ’ I ta l ia non s i è mostrata in grado di assu-mere ques to at teggiamento e i r i sul tat i sono appars i chia -r i quando la Banca Mondia-le at t raverso l ’ Internat ional F inance Corporat ion – c ioè l ’area dedicata a l set tore pr i -vato – ha pubblicato l ’annua-le c lass i f ica doing Business. at t raverso ques to s t rumento vengono anal iz zate a lcune impor tant i var iabi l i r i spet to a tut t i i Paesi del mondo, che res t i tu iscono una fotograf ia

58 Mondo LavoRo

SPECIALE

Fare riForme per Fare impreSaLa situazione già difficile delle pmi italiane, anch’esse colpite dalla crisi, è aggravata dall’immobilismo del nostro paese in tema di riforme che sarebbero assolutamente necessarie per sbloccare la situazione

Nella classifica dei Paesi in cui sono maggiormente presenti le condizioni per “fare impresa”, siamo dietro Kirgikistan, Bielo-russia, Montenegro e Panama

Page 12: Speciale Economia

della salute del le var ie econo-mie, andando a c reare un ran-k ing mondiale.Le var iabi l i prese in esame iner iscono al peso e a l cos to del la Pubbl ica amminis t raz io -ne e del le prat iche burocra-t iche, a l la compless i tà del la normat iva re lat iva a l le impre-se – soprat tut to con r iguardo agl i adempiment i necessar i per av v iare o chiudere un’at-t iv i tà – a i rappor t i d i lavoro pubblic i e pr ivat i, a l le possi -bi l i tà d i accesso al c redi to, a l l i ve l lo d i imposte e agl i scam-bi commerc ia l i con l ’es tero. Prendere in esame tut t i que-s t i parametr i s igni f ica passa-re a l setacc io l ’economia di una nazione, andando a por-re luce tanto sui lat i posi t iv i quanto sul le c r i t ic i tà. La c lass i f ica che s i ot t iene conf rontando ques te var ia -bi l i , può quindi considerars i una fotograf ia assolutamente fedele del la s i tuaz ione. E d i s icuro l ’ I ta l ia non può esse -re fe l ice per la posiz ione oc-cupata in ques ta autorevole c lass i f ica.Rispet to a l la g ià pessima posi -z ione del l ’anno scorso, consi -derando i dat i del 20 09 l ’ I ta l ia sc ivola ancora indiet ro, po-

nendosi a l 78° pos to : ul t ima t ra i Paesi indus t r ia l i del l ’oc-se e davant i solo a l la Grec ia. a far ret rocedere l ’ I ta l ia sono s tat i i l K i rg ik is tan, la Bie lorus-s ia, i l Montenegro e Panama.Una s i tuazione già grave che dovrebbe immediatamente por tare i ver t ic i a r i f let tere sui perché e che è ancora di più resa pesante dal la sot tol inea-tura – sempre al l ’ interno del la g ià c i tata c lass i f ica – del fat-to che nel l ’u l t imo anno l ’ I ta l ia non ha prov veduto ad alcuna r i forma r iguardo ai temi ana-l iz zat i .I punt i debol i che maggior-mente vengono r improvera-t i a l nos t ro Paese r iguardano l ’ incapaci tà d i far r i spet tare i contrat t i in essere e la bu-rocraz ia t r ibutar ia, che ha as-sunto dimensioni spaventose. Se s i considerano infat t i par-t icolar i indicator i come que-s t i u l t imi due appena c i tat i , l ’ I ta l ia s i av v ic ina per icolosa-

mente agl i u l t imi pos t i del la c lass i f ica, che comprende in totale 183 Paesi.Riprendendo le due aree c r i -t iche di cui sopra, infat t i , t ro -v iamo i l nos t ro Bel Paese al 156esimo posto per c iò che concerne i l r i spet to dei con-t rat t i , soprat tut to a causa dei tempi inf ini t i del la g ius t iz ia c iv i le, del numero di cause aper te e del cos to dei pro -cediment i. E d i poco migl io -re è la s i tuaz ione se s i guarda al pagamento del le imposte : 135esima posiz ione s ia per i l peso “reale” del la press ione f i scale a car ico del le az iende - par i a quasi i l 69 per cento - che per le ore r ichies te per assolvere agl i adempiment i t r ibutar i, che sono veramente esorbi tant i.a l t r i punt i c r i t ic i mostrat i dal l ’anal is i del la Internat io -nal F inance Corporat ion sono quel l i r iguardant i le r ig id i tà del mercato del lavoro, la re -gis t raz ione degl i immobil i e l ’accesso al c redi to.dal le personal i tà in mater ia economica più impor tant i e t i to late come ad esempio i l diret tore del Fondo Moneta-r io dominique St rauss-Kahn ar r iva l ’ inv i to a l la c lasse dir i -gente i ta l iana a guardare al problema r i forme come pr io -r i tà, soprat tut to per tutelare gl i interess i del le piccole e medie imprese, prese t ra l ’ in -cudine – rappresentata dal la c r is i mondiale - e i l mar tel lo – la mancanza di f less ibi l i tà del s is tema i ta l iano. Esempi v i r tuosi a i qual i r i far s i ce ne sono: bas ta r ivolgere l ’at ten-z ione ai Paesi nordic i che han-no fat to del la leggerez za e t rasparenza del s is tema i l loro caval lo d i bat tagl ia.

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Fare riForme per Fare impreSa

L’Italia occupa la 135esima po-sizione al mondo per quanto riguarda il peso “reale” della pressione fiscale a carico delle aziende, pari a quasi il 69 per cento

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Perché secondo Lei assi-stiamo a una riduzione del tasso di crescita dell’im-

prenditorialità giovanile?“L’argomento è estremamente complesso e meriterebbe un’ana-lisi approfondita, ma in linea ge-nerale ritengo che la risposta vada ravvisata nella mancanza di una cultura sul valore dell’im-prenditorialità. Sottolineo il con-cetto di “valore” della funzione imprenditoriale perché sta qui il nodo della questione”.Eppure, i dati ci mostrano che il declino del tasso di imprendi-torialità giovanile è un fenome-no tipico soltanto degli ultimi anni…“Il Welfare che ha caratterizzato gli ultimi decenni ha contribuito a creare una generazione caren-te da un punto di vista motiva-zionale, se con tale espressione ci riferiamo ad un sano spirito di intraprendenza. Insomma, lascia-temelo dire: nelle persone che hanno vissuto un’adolescenza difficile, di sacrificio, competitiva, l’indole alla reazione è senz’altro maggiormente stimolata”.Quindi una mancanza di stimo-lo individuale, a prescindere dalle condizioni ambientali?“assolutamente no. La famiglia, la scuola, la società, vivono pur-troppo un’obiettiva fase di decli-

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“potenziare iL vaLore “SociaLe” deLL’imprenditoriaLità”per Flavio guidi la figura dell’imprenditore è stata messa negli ultimi anni in cattiva luce, complice un atteggiamento sbagliato da parte delle istituzioni, ma non solo. e per arrestare il declino occorre partire dalla formazione

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no. Si ha quasi la sensazione, mi pare abbastanza diffusa, che per vivere e raggiungere il benesse-re si debba aspettare l’interven-to della lunga mano dello Stato e in generale dell’amministrazio-ne, piuttosto che fare leva sulle proprie energie, sulla propria in-telligenza, sulle proprie capacità organizzative. anzi, direi di più: l’insieme delle regole, il sistema legislativo pubblico, nonché le condizioni tecnologiche e di mer-cato inibiscono ogni pensiero di imprenditorialità”.

Lei punta l’indice contro un cer-to sistema assistenzialista ma-nifestatosi negli ultimi decenni, che ha penalizzato l’intrapren-denza.“Fare l’imprenditore oggi è più difficile che un tempo”.In che senso?“Il sacrificio in termini psicologici, di sforzo e di tempo impiegato è molto più elevato rispetto ad un rapporto di dipendenza, in parti-colare di natura pubblica. Un di-screto stipendio percepito presso un’amministrazione pubblica in senso lato, per orari di lavoro, im-pegno richiesto, grado di respon-sabilità, vale di più di un’attività d’impresa o professionale: non si rischia minimamente il patrimo-nio (se non ovviamente per atti illeciti), si può godere di molto tempo libero, anche per seguire la famiglia. non c’è dubbio che il sistema premia questa figura pro-fessionale, questo sistema di vita. Intraprendere, viceversa, viene spesso vissuto come speculativo, aggressivo, presuntuoso, inva-dente. Il sistema malversa l’im-prenditore come un furbacchione che specula sul lavoro, non paga le tasse e inquina l’ambiente. L’imprenditorialità non viene vis-suta come un valore”.Non ritiene che vi possano es-sere rimedi a tale visione?“Il contesto non fa nulla e non è nemmeno maturo e tecnologica-mente capace di stimolare pro-cessi di sviluppo imprenditoriale. Ma soprattutto andrebbe poten-ziato il valore dell’imprenditoria-lità, come comportamento che distingue ed eleva l’individuo al livello superiore nei confronti del-la massa in termini di coraggio di capacità organizzative nonché strategiche. andrebbe evidenzia-to il merito in termini sociali per il sacrificio e l’assunzione del ri-schio, il contenuto innovativo e/o

creativo che la professione com-porta, per le ricadute positive sull’economia e sul suo sviluppo, per il contributo in termini di mi-glioramento della competitività del sistema”.Insomma, una rivoluzione cultu-rale nel modo di “vedere” l’im-prenditore.“Un nuovo atteggiamento menta-le in questo senso non si può pe-raltro pretendere nell’immediato. necessiterebbero processi for-mativi capaci, una cultura del va-lore del “fare”, dell’”agire”, dell’intraprendenza, la predispo-sizione di un quadro normativo capace di agevolare e sostenere gli start-up, strutture di servizi di sostegno delle iniziative da af-fiancare nei processi di formazio-ne e consolidamento dell’organi-smo imprenditoriale, sostegno da parte degli altri attori del sistema economico: credito, pubblico, fi-scalità, mercato del lavoro”. di Paolo Duranti

CHI E’ FLAVIO GUIDIFondatore del Gruppo Sida, so-cietà tra le maggiori in Italia nei settori della consulenza e della formazione, con sede ad An-cona. Dottore commercialista, esperto di strategia ed organiz-zazione aziendale, progettista e formatore nell’ambito delle aree della Direzione azienda-le, ha promosso l’ISD – Istituto Studi Direzionali - e significative integrazioni territoriali e presti-giose joint-venture internazio-nali. Ad oggi ha formato più di 2.500 tra quadri, manager e diri-genti. Autore di numerose pub-blicazioni per prestigiosi editori ed articoli per Il Sole 24 Ore.

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Page 16: Speciale Economia

Dottor Rossi, in un bellissimo libro (si veda la scheda a fian-co…) Lei parla dell’esperienza

di dieci italiani che hanno cercato e trovato successo negli USA. Cosa ac-comuna questi personaggi?“non è difficile rispondere a questa do-manda. Si tratta di vite tutte accomunate da uno stesso filo conduttore: persone nate in Italia, formatesi nelle scuole e nelle università italiane che poi hanno scelto, per mancanza di lavoro o per maggiori possibilità di realizzazione pro-fessionale, di abbandonare il Belpaese alla volta degli Stati Uniti. Lì, soprattut-to in California, hanno trovato i capitali per realizzare le loro invenzioni e creare le proprie imprese, divenendo, talvolta, venture capitalist per incentivare le im-prese di altri ricercatori”. Ci vuole parlare di alcune di queste testimonianze? “Premettendo che le dieci storie sono tutte estremamente interessanti per capire bene ciò che spinge una perso-na brillante a cercare di realizzarsi negli Usa, tra le varie testimonianze mi han-no colpito le biografie di Roberto Crea, biochimico di fama internazionale, sco-pritore dell’insulina umana artificiale; di Federico Faggin, uno degli italiani più famosi negli Stati Uniti per essere il coin-ventore del microprocessore; di Pierluigi Zappacosta, perfezionatore del mou-se e fondatore della Logitech, azienda che produce strumenti per interfacciare

l’uomo al computer, come mouse, web-cam e quant’altro si collega al terminale. Si può tranquillamente affermare che il loro successo è dettato dalle “condizioni ambientali” che hanno trovato nella Sili-con valley: se hai una buona idea, lì trovi i soldi per realizzarla e non importa quan-to sei giovane o quali titoli accademici hai. In poche parole, ci si può affidare alla propria capacità e alla propria passione”.

Il fenomeno della migrazione scienti-fica, se possiamo chiamarla così, è un handicap per il nostro Paese: secon-

per gianfranco rossi, programmista e regista rai, nonché autore di numerosi programmi, le conseguenze di questa mancanza sono evidenti: l’italia non riesce a tenere il passo non solo degli usa, ma anche di molti altri Stati europei, come Finlandia, olanda, germa-nia e Svezia

“gLi itaLiani preFeriScono inveStire in titoLi puBBLici piuttoSto che riSchiare”

“Si possono fare molte cose im-portanti per il proprio Paese an-che stando all’estero”

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do Lei si può, in poche battute, indi-viduare i motivi principali di questa tendenza? Nepotismo, fragilità delle nostre aziende sul versante degli in-vestimenti e scarsa sensibilità da par-te delle istituzioni?“Se l’ambiente americano e, in particola-re, quello californiano possono definirsi ottimali per realizzare e far crescere una propria idea, ciò non può dirsi per il no-stro Paese. In Italia, come tutti sanno, bisogna confrontarsi con l’eccessiva bu-rocrazia e politicizzazione, con gli insuffi-cienti investimenti nella ricerca e con la scarsa propensione al rischio. Sono rima-sto particolarmente colpito da un’affer-mazione di alberto Sangiovanni vincen-telli, professore di Scienze dei calcolatori a Berkeley, il quale, spiegando il perché non fosse più tornato dal 1975 a lavorare per il Politecnico di Milano, ha dato una visione molto più cosmopolita e meno ortodossa delle opportunità che posso-no riscontrarsi all’estero. Sentendosi ‘cit-tadino del mondo’, ha sostenuto che per avere successo l’uomo debba trovarsi in giusta armonia con l’ambiente. non ne-cessariamente una persona sviluppa le proprie capacità stando in Italia: si pos-sono fare molte cose importanti per il proprio Paese anche stando all’estero. Certo, sarebbe stato meglio che molte scoperte fossero state fatte nel Belpae-se ma, non ritrovandosi nelle condizioni ottimali, l’italianità può esprimersi anche

stando fuori”. Alcuni mesi fa sulla nostra Rivista ci siamo occupati della crisi economica: autorevoli esperti, seppur da angola-ture diverse, hanno sottolineato l’in-sostenibilità del peso burocratico non soltanto per le aziende, ma anche per i lavoratori. E’ così difficile avere suc-cesso nel lavoro nel nostro Paese? “La burocrazia è senz’altro un freno per entrambe le realtà, imprese e lavoratori. Proprio per le imprese sono vitali la man-canza di strettoie burocratiche e la velo-cità della concessione del credito. due elementi che negli Usa rappresentano un punto di forza di quel sistema. a tale proposito mi permetto di citare, a solo titolo esplicativo, la mia esperienza per-sonale: sono titolare di alcune invenzioni industriali. Ebbene, per l’ultimo brevetto ho dovuto sostenere, come prassi, tutte le spese per la consulenza, la progetta-zione e la realizzazione dei prototipi, nonché quelle assai onerose per la ri-chiesta del brevetto europeo. Ed ora, ottenuto il sì dall’Ufficio Europeo Brevet-ti per passare alla fase dei depositi nazio-nali, ho difficoltà a trovare investimenti per portare in produzione il mio ritrovato tecnico. La mia esperienza, insieme alle tante testimonianze che ho ascoltato, mi fa arrivare alla conclusione che in Italia manca la propensione al rischio, sia da parte delle strutture bancarie che degli investitori privati. Infatti, se da un lato

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penso a quanto possa essere difficile ottenere un prestito da una banca per finanziare un’idea innovativa, dall’altro mi rendo conto di quanto sia assente la figura del venture capitalist. Infatti, gli italiani che dispongono di capitali pre-feriscono investire in Bot e Cct, accontentandosi quindi di una rendita sicura, anche se modesta, piuttosto che ri-schiare i propri soldi in progetti promettenti. Le conse-guenze di questa mancanza sono evidenti: l’Italia non rie-sce a tenere il passo non solo degli Usa, ma anche di molti altri Stati europei. Siamo indietro, per fare qualche esempio, alla piccola olanda che ha inventato il cambio automatico, l’audiocassetta, il Cd; alla Svezia, che ha avuto il merito di aver ideato il tetrapak e le attuali cinture auto-mobilistiche di sicurezza; alla Germania, che con il motore diesel e il servosterzo pose le basi per un futuro radioso nel campo automobilistico; alla Finlandia, che è la patria dei telefonini e sappiamo bene che rivoluzione, in ambito mondiale, ha portato questo aggeggio nel modo di co-municare. In Italia sappiamo bene quanto poco si investa in innovazione e le poche idee valide difficilmente riesco-no a sopravvivere e a trovare impiego in prodotti destinati al mercato mondiale. In questo scenario, in cui mancano sia le potenzialità economiche che l’organizzazione, le ca-pacità dei singoli subiscono un brusco ridimensionamen-to, tant’è che Faggin e Zappacosta sono riusciti ad impor-re i loro prodotti divenendo imprenditori di sé stessi, il primo con il sostegno della Intel, il secondo fondando la Logitech. Un’opinione, la mia, che trova conferma anche nella recensione che Fabio Ranchetti, giornalista del Cor-riere della Sera, fa dei dieci protagonisti del libro: ‘dalla loro esperienza, si ricava nettissima l’impressione che mai in Italia avrebbero potuto ottenere le scoperte e raggiun-gere i successi che li hanno resi famosi (e miliardari): oltre alla loro evidente formazione culturale, anche italiana, alla loro forza di volontà e, ovviamente, al loro talento, decisive sono state le condizioni «ambientali» che hanno trovato nella Silicon valley’”. di Paolo Duranti

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il Libro

i Leoni della Silicon valleyStorie geniali di italiani all’esteroKostoris Fiorellarossi giancarloeditore: guerini e associati

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Professor Ruozi, in Italia ci sono sempre meno giovani imprenditori.

Perché?“Il problema è complesso, ma ritengo che per inquadrarlo e per darvi una prima risposta si debbano fare tre ordini di con-siderazioni. Innanzitutto, c’è un fattore strutturale: stiamo attra-versando un periodo caratteriz-zato dal calo della popolazione

giovanile, che colpisce anche la fascia delle persone per le quali è giunto il momento di fare de-terminate scelte professionali. In secondo luogo, la società nel suo insieme è cambiata”.In che senso?“Molti giovani non se la sentono più di af frontare una vita di sa-crifici qual è quella dell’impren-ditore. E’ un fenomeno piuttosto dif fuso in alcune aree del Paese,

come ad esempio il veneto, che sta vivendo una crisi generazio-nale non trascurabile”.E il terzo motivo?“Siamo di fronte a un fatto con-giunturale palese: ci buttiamo alle spalle due anni di crisi pro-fonda. In questo periodo, senza dubbio, il rischio ha dimostrato il suo lato negativo, nel senso che abbiamo assistito ad una evidente drammatica caduta

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“L’incertezza generaLeconduce a una minore propenSione aL riSchio”per roberto ruozi, già rettore della Bocconi – presso la quale è ora professore emerito - ed ora presidente del touring club italiano, il calo del tasso di imprenditoria giovanile non deve allarmarci, essendo dovuto in massima parte a fattori strutturali

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della propensione al rischio”.Cosa ci possiamo aspettare per il futuro?“Io sono un ottimista per natu-ra: ciò mi porta a ritenere che il calo del tasso di imprenditoria giovanile sia un fatto tempora-neo, anche considerando che il nostro Paese ha da sempre una forte vocazione imprenditoria-le”.La leva fiscale, la semplifica-zione amministrativa, le facili-tazioni al credito possono aiu-tare ad invertire la rotta?“No. Il problema è a monte, e va intravisto a mio avviso nel-le considerazioni che ho svolto poc’anzi. Poi naturalmente, per i giovani che hanno superato la prima fase, cioè che hanno ope-rato una scelta imprenditoriale, è ovvio che questi tre fattori – fisco, burocrazia, credito – han-no un peso notevole. Però siamo già su di un piano diverso del problema. Si sa che l’aspetto burocratico in Italia non ha mai aiutato le persone, ma cerchia-mo di essere ottimisti: il mondo imprenditoriale tornerà ad esse-re abitato da numerosi giovani”.Nell’ambito di un rapporto molto spesso negativo tra cit-tadino e Pubblica Amministra-zione, al nostro Paese si impu-ta, anche all’estero, un’eterna incertezza normativa. Può es-sere una concausa della scarsa propensione al rischio?“Più che di incertezza normativa parlerei di un’incertezza in ge-nerale: nei consumi, nel merca-to, nel lavoro. Ne consegue cer-tamente una certa dif ficoltà ad assumere decisioni importanti, almeno in questo periodo”.Lei, da ottimista qual é, ma sta motivando in modo razionale una visione rosea del futuro. Però gli imprenditori non so se sono d’accordo…

“Vede, due anni fa le aziende predisponevano i budget, pur-troppo di l ì a poco scalzati dalla crisi economica. Nel 2008 l’in-certezza dif fusa ha indotto i più a non fare gli stessi errori, per cui si é per lo più scelto di non adottare budget periodici. Ora si sente che tira un’altra aria: si ritorna a programmare il futuro, talvolta anche con piani trienna-

li”.Parliamo di un tasto dolente: la formazione. In Italia ci sono anelli deboli nel ciclo formati-vo della persona o il malessere della nostra istruzione è gene-ralizzato, va dalle elementari ai corsi post-universitari?“Il problema è complicato e a mio avviso riguarda l’intero ci-clo della formazione individuale. Piuttosto, ritengo fare un’osser-vazione di questo tipo: una vol-ta la scuola secondaria italiana era caratterizzata da un forte orientamento verso la formazio-ne tecnica (ragionieri, geometri, periti, ecc.). Successivamente si è entrati in una seconda fase, che ha visto il predominio dei li-cei. Oggi ci si è accorti che vi è stato uno scollamento tra i due mondi, quello della scuola e quello del lavoro, con un conse-guente ritorno della consapevo-lezza che è necessario un loro riavvicinamento. Perciò ritengo che il ritorno dei tecnici sia un fatto positivo. La stessa cosa dev’essere detta per le Universi-tà”. di Paolo Duranti

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Roberto Ruozi, nato nel 1939, dal 1995 al 2000 è stato Retto-re dell’Università Bocconi e fino al 2002 Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari. Ora presso il mede-simo Ateneo è Professore eme-rito. Ha insegnato nelle Univer-sità di Ancona, Siena, Parma, Parigi (Sorbona) e al Politecnico di Milano. Presidente di nume-rosi Consigli di Amministrazione (tra i quali Palladio Finanziaria, Axa Assicurazioni, Touring Club Italiano, Touring Vacanze, Tou-ring Viaggi, Mediolanum), Pre-sidente del Collegio sindacale di Borsa Italiana Spa, Monte Titoli Spa, Mts Mercato Titoli di Stato Spa. Autore di numerose pubblicazioni di carattere scien-tifico-tecnico.

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Dottor Zanella, qual è il futu-ro delle Pmi italiane?“Innanzitutto mi sia consen-

tito rivolgere un saluto particolare ai vostri Lettori marchigiani, che – dati sugli share alla mano - sono assidui telespettatori del nostro program-ma, sempre nelle zone alte delle classifiche per regioni. Passando alla sua domanda, ritengo sia prioritario procedere ad una rivoluzione che io chiamo “ristrutturazione del terzia-rio””.Ci può spiegare?“attualmente il terziario è qualun-quista, generico, direi senza futuro. Come mi diceva giustamente il pro-fessor Vaciago alcuni giorni fa, le crisi cicliche sono benefiche per l’econo-mia, perché impongono alle aziende di specializzarsi: chi non si adegua, muore”.Quindi secondo Lei in futuro avre-mo Pmi sempre più specializzate?“Il futuro premierà le piccole azien-de che sapranno specializzarsi ma al contempo “fare rete”. Una spinta alle aggregazioni tra imprese di pic-cole dimensioni sarà resa necessaria o quanto meno opportuna anche per accedere più facilmente al credito. Chi non si specializzerà e non con-tribuirà a creare reti di impresa, sarà penalizzato anche sul versante dei finanziamenti”.E chi non ce la fa, riduce il perso-nale…“Il nostro piccolo imprenditore è uno che stringe la cinghia piuttosto che licenziare. E questo sia per il legame

personale che spesso si instaura tra il datore di lavoro e il lavoratore, sia perché quest’ultimo è nella maggior parte dei casi un artigiano ad alto va-lore aggiunto. Se lo licenzio oggi, un domani che la ripresa mi permetterà di incrementare le commesse avrò grandi difficoltà a reperirne un altro con caratteristiche simili. Quindi il piccolo imprenditore tende semmai a riorganizzarsi, a razionalizzare la squadra, ma non a privarsi degli ele-menti migliori”.Dobbiamo ammettere che lo Stato da una quindicina d’anni a questa parte è molto sensibile alle esigen-ze delle Pmi (vedi aiuti a Ricerca & Sviluppo, premi di concentrazione, facilitazioni ai distretti industriali, moratorie sui crediti bancari).“La politica purtroppo dà risposte in-sufficienti. Un’efficace forma di tutela i piccoli imprenditori se la creano. Vi sono a questo proposito alcuni begli esempi, come ad esempio l’iniziativa messa in campo da numerose picco-le aziende che si può consultare al sito www.impresecheresistono.it. Ma ve ne sono anche altre”.Ad esempio, sul fronte del credi-to, l’impegno diretto da parte dei Confidi: nel Varesotto, ad esempio, hanno assunto un ruolo di pseudo-banche per le Pmi del territorio..“Esattamente. Questa è l’ennesima dimostrazione che vi è bisogno di una rete anche per resistere meglio sul quel fronte, cioè quello creditizio, che è un aspetto, si sa, delicatissimo”.I distretti possono avere un impor-

tante ruolo in questo senso? A me pare che la situazione dei distretti industriali, da nord a sud del Pae-se, sia un po’ a macchia di leopar-do: alcuni creano reali servizi per le aziende che vi appartengono, altri sono rimasti indietro…“Il problema è che anche i distretti devono essere alimentati: non è suffi-ciente il solo spontaneismo, perché altrimenti il loro successo dipende esclusivamente dalle persone che vi operano. Troppo poco per la situa-zione attuale. Inoltre l’Italia soffre di un problema in più, che si riflette an-che in campo economico: c’è troppo campanilismo, e anche i piccoli im-prenditori – se mi è permesso fare un’osservazione un pizzico acida – talvolta peccano di individualismo”. di Paolo Duranti

“OccOrre fare rete per un migliOr accessO al creditO”e’ uno dei suggerimenti di giancarlo Zanella, conduttore del programma economico di rai tre “i nostri soldi”, secondo il quale anche i piccoli imprenditori hanno peccato eccessivamente di campanilismo e di individualismo

“Chi non si specializzerà e non contribuirà a creare reti di im-presa, sarà penalizzato anche sul versante dei finanziamenti”

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I l problema della mancanza di meritocrazia in un’Italia da sempre soggetta ad un clien-

telismo dif fuso in tutti i settori e a tutti i livelli, rischia di essere una zavorra non più sostenibile per il nostro sistema, che non è stato in grado di supportare in maniera adeguata il passaggio da un’economia agricola ad una industriale, impedendo a giova-ni meritevoli di potersi conqui-stare il proprio posto favorendo così anche il rilancio del sistema economico generale, che pro-prio nel rinnovamento dovreb-be avere la propria linfa. Il peso di questo problema ha portato roger abravanel ad interrogarsi non solo sui danni causati dal-la mancanza di meritocrazia ma anche su proposte che possano concretamente contribuire a mi-gliorare lo status quo.Ingegner Abravanel, ci illustra la Sua idea sul problema della meritocrazia in Italia?“In realtà il concetto di meri-tocrazia è piuttosto semplice: i migliori salgono a prescindere dalla classe sociale di appar-tenenza, dal luogo del mon-do in cui sono nati, dal loro background. E’ solo la capacità, la competenza, a contare. In Ita-lia purtroppo questa semplice equazione non viene mai appli-cata come accade invece nei Pa-esi nordici o in america. Il caso Obama da noi non si sarebbe mai verificato. E questa impos-sibilità è legata all’incapacità

dello Stato di accompagnare il passaggio che si è avuto da un’economia di tipo agricolo ad una industriale. L’unità fonda-mentale dell’economia agricola era la famiglia; lo Stato avreb-be dovuto sostituirsi ad essa ma non garantendo semplicemente il passaggio della proprietà da padre in figlio come accadeva prima, al contrario creando un contesto di regole e di oppor-tunità create soprattutto attra-verso la scuola, che potessero attivare la meritocrazia. Ciò che è successo, invece, è che è an-dato aumentando sempre di più il problema della disuguaglian-za economica per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri, oltre a veder peggio-rare la propria situazione, han-no sempre meno possibilità di sovvertirla. L’Italia è il Paese più ineuguale del mondo, quello dove la mobilità sociale è pari a zero e dove i figli si trovano bloccati nelle professioni dei genitori. Questo problema è molto più grave di quanto non si creda, sta conducendo il Pae-se a un declino costante, ad un impoverimento graduale con un tasso di partecipazione dei gio-vani al mondo del lavoro e del sociale sempre minore. C’è bi-sogno di una netta inversione di tendenza”.Da queste considerazioni, l’idea del libro “Meritocra-zia: Quattro proposte concre-te per valorizzare il talento

e rendere il nostro Paese più ricco e più giusto” e del blog collegato. “Esattamente. Girando il mon-do mi sono accorto che noi ita-liani non abbiamo assolutamen-te nulla da invidiare a nessun altro Paese del mondo. Però se andiamo ad analizzare qualsiasi classifica in merito di sviluppo sociale, economico o scienti-fico, siamo sempre agli ultimi posti. Mi è venuto spontaneo domandarmi il perché di que-sta situazione. E la risposta l’ho trovata proprio nella mancanza di meritocrazia. Se poniamo a confronto due aziende che ab-biano la stessa base di partenza e mettiamo a capo dell’una un professionista competente che agisce nel rispetto delle regole e a guida dell’altra una persona poco capace che trova sempre il modo di eludere le normati-

ricOstruiamO la meritOcraZiae’ l’invito-monito di roger abravanel: il sistema italiano ha bisogno di una scossa per ripartire ed invertire la tendenza

“non è un caso se in paesi come la nor-vegia la presenza di donne nei consigli di amministrazione sia pari al 40 per cento e comunque la media in europa sia all’incir-ca del 20 per cento, a dispetto del 4 per cento italiano”

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ve, possiamo con suf ficiente sicurezza af fermare che dopo qualche anno la prima – quella vir tuosa – sarà in grado di com-prare l’altra. Questo perché alla fine il merito paga. Ma bisogna crederci, investire sulla creazio-ne di un sistema, appunto, vir-tuoso e meritocratico.L’uscita del mio libro ha destato molto interesse a tutti i livelli, tanto che sono stato sommer-so da inviti in trasmissioni tele-visive, conferenze, richieste di interviste. Non potendo essere presente e rispondere a tutti, ho deciso l’apertura di un blog gra-zie al quale poter essere comun-que in contatto costante con chiunque voglia lasciare le pro-prie rif lessioni, la propria storia, le proprie proposte. animare il dibattito su un tema tanto im-portante è fondamentale”.Lei però non si limita a far no-tare le storture del nostro si-stema, ma propone anche al-cune aree di intervento.“Ovviamente non ci si può limi-tare solamente a criticare. Ho cercato di analizzare il sistema italiano e vedere in quali set-tori fosse più necessario un in-tervento diretto ed immediato. Quattro sono quelli che ho trat-tato nel libro: la pubblica ammi-nistrazione, il settore educati-vo, la concorrenza in economia e la presenza femminile in ruoli di leadership. Credo per prima cosa che vi sia bisogno di una radicale trasformazione dello Stato, attraverso la creazione di unità di eccellenza, come ac-cade ad esempio in Inghilterra, che garantiscano miglioramenti concreti in capo ai cit tadini. Im-mediatamente si dovrebbe agi-re sulla giustizia, per garantire il rispetto della normativa soprat-tutto nel settore commerciale –

che è il vero fondamento della nostra società - e poi anche in quello penale. C’è bisogno di un intervento focalizzato, grazie al quale porre persone competenti e giovani nei posti chiave”. E relativamente alla formazio-ne?“altro settore fondamentale che dev’essere riformato è poi quel-lo del sistema scolastico. Ho proposto l’adozione di test da somministrare in tutti gli istituti scolastici per capire lo standard sul quale essi si attestano ed andare ad intervenire in manie-ra puntuale dove occorre. Nel nostro Paese non esistono pari opportunità: se prendiamo due ragazzi, uno residente al Nord e uno al Sud, sappiamo già con ragionevole sicurezza che il primo sarà più avvantaggiato del secondo perché può conta-re su un sistema scolastico mi-gliore, o meglio maggiormente razionalizzato. E’ stato avviato su questo tema un progetto im-portante: il Progetto “Qualità e Merito”, un progetto pilota che lavora sui programmi di mate-matica di 500 scuole italiane - 300 del Sud - per dimostrare come attraverso l’adozione di miglioramenti e test di valuta-zione specifici è possibile creare situazioni di meritocrazia”.La terza area di intervento è quella più strettamente colle-gata all’economia.“Esistono, è vero, un’infinità di norme che regolano il libero mercato; peccato che poi esse non vengano rispettate. C’è una folle corsa ad emanare sempre più leggi, sempre più severe. Si perde però di vista il fatto che a prescindere dalla severi-tà, il problema reale è che non vi è la cultura del rispetto delle norme. E la salute di un sistema

Chi è Roger Abravanel

Nato a Tripoli nel 1946, si è laure-ato nel 1968 in Ingegneria chimica a pieni voti al Politecnico di Mila-no, vincendo il premio di “più gio-vane ingegnere d’Italia”. Presso la stessa Università, fino al 1970, ha svolto l’attività di ricercatore pres-so l’Istituto di Fisica Tecnica. In seguito ha conseguito un Master in Business Administration presso la business school Insead, dove ha ricevuto la “High Distinction”. Ha lavorato per 35 anni per la società di consulenza McKinsey & Com-pany, raggiungendo le cariche di Principal nel 1979 e Director nel 1984, terminando la sua esperien-za nel 2006. Attualmente opera nel settore del private equity, svolgendo l’attività di advisor per i fondi di buyout Clessidra e per il fondo di venture capital Wanaka in Israele. E’ inoltre membro dei Consigli di amministrazione di Luxottica Group, Banca Nazionale del Lavoro, Teva Pharmaceutical Industries Ltd e dell’Istituto Ita-liano di Tecnologia. È presidente dell’Insead Council italiano.Dal 2008 è editorialista per il Cor-riere della Sera. Autore del libro “Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto”, edito da Garzanti nel 2008.

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economico si vede proprio da questo, da quanto si è capaci di muoversi all’interno dell’asset-to normativo. In Italia il rispet-to delle regole in economia è diventato quasi un disvalore. Si pensa a come evadere le tasse, non a come migliorare i profit ti della propria azienda. Ecco perché in un contesto come questo, l’impresa ha biso-gno di ottimi tributaristi piutto-sto che di eccellenti professio-nisti. Non c’è allora da stupirsi se la metà dei nostri giovani laureati non trova lavoro. Chi assume sono le grandi im-prese, e in un sistema come il nostro non si cresce, non c’è cultura, le piccole imprese re-steranno tali e non si of friranno nuove opportunità”.Infine, l’aspetto collegato al management femminile.“Quando ho proposto che nelle società quotate fosse obbliga-torio avere almeno due donne nel consiglio di amministrazio-ne, sono stato attaccato dalle femministe che mi tacciavano di voler replicare quanto già fatto con le quote rosa. Niente di più

lontano dalla mia idea. Io sono convinto che vi sia bisogno di donne alla guida delle grandi aziende, perché nella loro per-sonalità sono presenti lati che favoriscono la leadership, che aiutano a lavorare meglio. E lo so per esperienza personale, per avere accanto a me nei con-sigli di amministrazione di alcu-ne grandi realtà delle colleghe che dimostrano questa neces-sità. Non è un caso se in Paesi come la Norvegia la presenza di donne nei Cda sia pari al 40 per

cento e comunque la media in Europa sia all’incirca del 20 per cento, a dispetto del 4 per cen-to italiano”.Chiudiamo con un accenno alle Comunità del merito: cosa sono e quali sono?“In Italia c’è un forte bisogno di cambiamento, e non tutti sono restii. Ecco, chi crede nelle ne-cessità di guardare alla merito-crazia come leva attraverso la

quale rilanciare il nostro Paese e creare finalmente opportunità per i giovani, costituisce queste Comunità del merito. alcune che posso citare sono quelle dei giovani imprenditori di pri-ma generazione, le comunità delle donne leader, quella degli scienziati italiani all’estero, quella degli insegnanti, ma an-che quelle costituite da impren-ditori illuminati, che appoggia-no questa mia proposta di cambiamento”. di Eleonora Baldi

“nel nostro paese non esistono pari op-portunità: se prendia-mo due ragazzi, uno residente al nord e uno al sud, sappiamo già con ragionevole sicurezza che il primo sarà più avvantaggia-to del secondo per-ché può contare su un sistema scolastico migliore”

“l’italia è il paese più ineuguale del mondo, quello dove la mobi-lità sociale è pari a zero e dove i figli si trovano bloccati nelle professioni dei geni-tori”

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I l suo è quindi un osservatorio privilegiato per commentare i movimenti che si svolgono,

spesso sotto traccia, negli “ani-mal spirit” del made in Italy che ha “un livello di imprenditoria-lità generale invidiato da tutto il mondo e sottolineato dalle principali classifiche internazio-nali”, come spiega in questa in-tervista a Mondo Lavoro. Professor Vergnano, il tasso di imprenditorialità giovanile (under 30) è pari al 6 per cen-to, con un calo del 27 per cen-to rispetto al 2003. Secondo Lei perché? “Premetto che non conosco in dettaglio il rapporto e la sua metodologia di ricerca. Il dato merita però senza dubbio qual-che rif lessione di carattere più generale. Sul piano della norma-tiva negli anni vi è stato, alme-no sul piano teorico, un fiorire di iniziative. Inoltre le crescen-ti dif ficoltà occupazionali, il ri-corso sempre più frequente a forme contrattuali f lessibili do-vrebbe far scaturire nei nostri giovani la voglia (spesso legata al bisogno di un’occupazione e di un reddito conseguente) di intraprendere, come hanno fat-to i nostri padri”.Ma non siamo la patria delle Pmi, dei distretti e delle reti d’impresa? “E’ uno dei mille dualismi ita-liani. Oggi tra i giovani ci sono spesso dei problemi ad intra-

prendere, forse mancano anche alcuni stimoli, tra cui quello del bisogno. ricordo un “one to one” televisivo fra Prodi e una platea di giovani della fascia che può far ricorso alle agevolazioni per la imprenditoria giovanile dove uno solo dichiarò di voler gettare il cuore oltre l’ostacolo nel mondo della imprenditoria. Il che la dice lunga sulla dif fe-renza tra padri e figli...”.Troppe carte e bolli per creare un’impresa? “La overdose di burocrazia che nel nostro Paese grava sulle aziende sicuramente non aiu-ta”. Che cosa fare? “abbiamo anche un ministro per la semplificazione. Bisogne-rebbe snellire tutta una serie di procedure sulla scia di quanto avviene, ad esempio, con il re-gime dei contribuenti minimi. Il calo della “voglia d’impresa” segnalato dalla ricerca può in parte attribuirsi anche al mo-mento economico. da una parte quindi si deve lavorare sull’individuazione di settori per i quali vi sia un mercato che lasci intravvedere spazi di inserimento e crescita. dall’altra bisogna assicurare la possibilità di ricorrere al merca-to del credito con percorsi più veloci, agevolati, meno sotto-posti a lacci e lacciuoli, come disse appunto Guido Carli in un famoso discorso ai Giova-

ni imprenditori riuniti a Santa Margherita Ligure. Si tratta di due ingredienti chiave per far nascere e prosperare iniziative imprenditoriali che si reperisco-no con fatica in questo quadro che presenta, nonostante le di-chiarazioni o qualche segnale recente, ancora incertezze sul piano della crescita economica generale e dei consumi”. Altre cose da segnalare? “Un paio. La prima è che, co-munque e nonostante tutto, sia il tasso di natalità delle nuove imprese sia il saldo complessi-vo continua a rimanere positivo, come segnalano i periodici ed autorevoli rapporti di Unionca-mere. Il secondo è che cresco-no molto le microimprese degli extracomunitari. anche qui un segnale del mondo che cambia. Un messaggio di stimolo per le nuove generazioni che devono

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“fOrse mancanO alcuni stimOli, tra cui il BisOgnO”franco Vergnano è un economista, docente di cultura d’impresa al san raffaele di milano ed editorialista del sole 24 Ore e del mensile di management l’impresa

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sapersi riconquistare il benesse-re ereditato dai padri, magari a volte essere un po’ più proattivi, o forse meno “pigri”. Servono maggiori stimoli”. Uno dei tanti problemi connes-si é quello della formazione: in Italia è rimasta al palo rispet-to alle esigenze del mondo del lavoro? Prendiamo ad esempio scuola secondaria, università e post universitaria. Come van-no le cose su questo versante? “Il raccordo tra formazione sco-lastica e mondo del lavoro è sempre stato un aspetto critico nel nostro Paese. anche per-ché esiste il retro pensiero che la formazione professionale in ambito scolastico sia ancillare rispetto a una tradizione umani-stico-letteraria molto radicata.

La stessa che, portata alle estre-me conseguenze, ha prodotto nel tempo deficit di ingegneri e scarsa af fezione alle facoltà scientifiche. Inoltre anche infe-lici scelte lessicali hanno con-tribuito alla scarsa attenzione verso gli aspetti più pratici della formazione professionale: l’idea che tutti i corsi di studio della secondaria superiore venisse-ro definiti “liceo” la dice lunga quando una definizione chiara ed incontrovertibile come istitu-to tecnico poneva le premesse per un collegamento tra scuola, impresa e territorio”.Più in generale, il tasso di im-prenditorialità complessiva é due punti percentuali inferio-re rispetto alle altre econo-mie avanzate. Inoltre la Banca

mondiale ci posiziona al 78° posto quanto a possibilità di “fare impresa”. Anche qui, che tipo di considerazioni si pos-sono fare? “Premetto sempre che bisogne-rebbe andare a vedere in detta-glio la metodologia d’indagine e capire bene che cosa si va esattamente a misurare. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, devo dire che questo distacco non mi meraviglia. anzi, visti gli scarti che ci sono in genere tra noi e gli altri Paesi Ocse in altre graduatorie (efficienza e altro come dice molto bene la World Bank) mi sembra tutto sommato un risultato neanche malvagio. Perché in Italia la produttività si ferma ai cancelli della fabbrica”. di Odette Paesano

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Le imprese italiane hanno af-frontato la crisi cercando di fare appello a tutte quelle

caratteristiche che fanno parte del dna del nostro tessuto pro-duttivo. E grazie alle capacità imprenditoriali, alla qualità del la-voro e dei prodotti, alla professio-nalità, all’inventiva, sembra ormai che chi è riuscito a traghettarsi oltre il periodo peggiore, possa guardare al futuro con rinnovato ottimismo.Sul versante economico e finan-ziario, sulla base delle proiezioni dei più autorevoli organismi in-ternazionali, sembra ormai poter tornare il sereno – anche se ovvia-mente ci vorrà ancora del tempo prima di poter ripartire ai massimi regimi e tornare alla situazione pre-crisi – mentre cautela è anco-ra necessaria sul versante dell’oc-cupazione. Può essere allora interessante ve-dere, in questo momento di ritro-vata calma se così possiamo dire, qual è la situazione dei vari com-parti, quali sono stati quelli che hanno sofferto di più e perché.Caratteristica delle imprese ita-liane è quella di essere fortemen-te dipendenti dalle esportazioni, motivo per cui forse più degli altri Paesi questa crisi è stata avvertita nel nostro Paese: il calo della do-manda che ha pesato sulle indu-strie non è stato infatti solo quello relativo al mercato italiano ma an-che a quelli degli altri Paesi che si rivolgono alle nostre imprese pro-

duttrici. Il Made in Italy è molto ricercato all’estero; questo è sen-za dubbio motivo di orgoglio e di maggiore profitto, ma quando si ha a che fare con una crisi mon-diale come l’attuale, rappresenta anche un punto di forte criticità.Ovviamente poi non tutti i com-parti hanno reagito allo stesso modo.a sottrarsi alla situazione nega-tiva è stato soprattutto il settore alimentare, che poco risente di crisi congiunturali come questa. Nei primi sette mesi del 2009 la produzione in tale comparto è sì diminuita, ma soltanto del 3,4 per cento rispetto al 21,4 per cento che ha fatto registrare in media

l’industria manifatturiera. In par-ticolare, poi, la biscotteria ha se-gnato un incoraggiante +1,4 per cento. Più vicino ai valori medi, è stato invece il calo dell’export: 5,5 per cento contro il 5,9 per cento medio.Sul versante dell’occupazione, il comparto che si è comportato meglio è stato quello della mec-canica strumentale. Infatti, grazie agli ordini accumulati prima dello scoppio della crisi, nonostante il fermo quasi totale di nuove com-messe, si è riusciti a godere di buoni livelli di lavoro.Il problema degli ordini è stato avvertito fortemente anche nel settore dell’elettronica, dove nei

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made in italy e crisi: quali i settOri più cOlpiti?Ora si parla (anche se non tutti sono d’accordo) di ripresa: quali sono i settori della nostra industria che hanno retto meglio e dove invece sono emerse le difficoltà maggiori?

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primi sei mesi dell’anno è stato registrato un calo di ben il 32,4 per cento. Una percentuale, que-sta, imputabile in gran parte alla mancanza di commesse dal mer-cato estero oltre che allo stallo di quello interno.anche il settore della robotica, che negli ultimi anni era stato una miniera d’oro per progettisti e costruttori italiani, ha subìto una dura battuta d’arresto: il -34,9 per cento di domanda interna rende bene l’idea. Forte anche il calo dell’export, con valori sempre at-torno al 30 per cento.ad essere forse però più in dif-ficoltà di tutti gli altri, sono stati quei settori manifatturieri che da sempre rappresentano il porta-bandiera del Made in Italy nel mondo: calzaturiero, tessile, abbi-gliamento, arredamento.In molti dei distretti manifatturieri infatti, vi sono state ingenti perdi-te per le piccole e medie aziende, alcune delle quali sono anche sta-te costrette a chiudere. ad aggra-vare la situazione, oltre all’impos-sibilità di contare su una domanda all’altezza degli anni passati, la conseguente difficoltà a sanare i debiti contratti con gli istituti di credito.Per quanto riguarda, in modo

particolare, il settore della moda, il punto che ha permesso co-munque alla maggior parte delle aziende di rimanere in piedi è sta-to il poter contare sulla forza di un marchio, di un brand riconoscibi-le - o nel caso delle contoterziste, essere collegato a queste grandi aziende – che comunque ha sapu-to parare almeno in parte i colpi

della crisi. Tuttavia la situazione non è stata di certo rosea: un calo di produzione che si attesta attor-no al 19 per cento e una flessio-ne dell’export superiore al 20 per cento. E tutto ciò ha prodotto una perdita di ben 37mila posti di la-voro. anche in questo settore, si è avvertito pesantemente il proble-ma del credito, con ben 2,8 miliar-di di euro non rientrati nelle casse degli istituti di Credito.Come si accennava sopra, grande importanza per l’economia italia-na ha anche il settore legno-arre-damento, con oltre 77mila impre-se operanti, per un numero approssimativo di circa 400mila addetti impiegati. I primi sei mesi del 2009 sono stati senza dubbio difficili per questo comparto, con una perdita nell’export di oltre un miliardo e 500 milioni di euro – pari al 25 per cento. E le previsioni non parlano di una rapida ripresa, che si ipotizza solo per il 2010 inoltrato.

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made in italy e crisi: quali i settOri più cOlpiti?

nei primi sei mesi del 2009 l’export di arre-damento ha registra-to un calo di oltre un miliardo e 500 milioni di euro

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crisi e OccupaZiOne secOndO le marche“stiamo attraversando un periodo congiunturale decisamente precario, ma la regione marche riesce a resistere e a reagire meglio di altri sistemi regionali”

tabella 1.1. Occupati per settore di attività economica, regione marche, anni 2006-ii trimestre 2009

fonte: elaborazione su dati istat

affermazione giusta ed aggressiva mossa dal Presidente della Giunta

della regione Marche Gian Ma-rio Spacca, secondo il quale, inoltre, “avevamo previsto per il 2009 un anno “horribilis”, e così è stato, in tut to il mondo. La crisi f inanziaria internazio-nale si è trasferita con riper-cussioni pesantissime sull’eco-nomia reale e sull’occupazione e anche questa regione non poteva sfuggire alla più gran-de crisi dell’economia reale dal dopoguerra” (set tembre 2009). Nonostante la crisi, a giugno 2009 gli occupati complessivi delle Marche rimangono so-stanzialmente gli stessi del giu-gno 2008: 657mila unità, con un valore stabile ( -0,1 per cento) rispetto al 2008 (658mila). Il set tore dei servizi è quello che constata una maggior perdita di occupati, ma sempre inferio-re alla media nazionale. L’’Istat rileva anche che dall’ inizio del-la crisi internazionale le Mar-che, l’Emilia romagna e il Tren-tino alto adige sono le uniche

regioni italiane a non aver su-bìto cali degli occupati rispetto all’anno precedente in ciascuno dei trimestri del periodo della recessione mondiale (a par tire dal quar to trimestre 2008 ). Il tasso di disoccupazione re-gionale nel secondo trimestre 2009 cresce al 6,3 per cento, ma resta sempre inferiore alla media nazionale (7,4 per cento). Secondo il Presidente Spacca, “il sistema-Marche reagisce a queste dif ficoltà con resisten-za e f lessibilità, impegnando-

si a mantenere il più possibile nel tessuto economico il gran-de patrimonio di risorse umane e professionali accumulato, e preparandosi a ripar tire appe-na le condizioni esterne lo con-sentiranno”.Lo scorso 1° dicembre l’Istat ha pubblicato anche dati nazionali sull’occupazione in riferimen-to al terzo trimestre 2009 (dati provvisori ) . Si può constatare che a livello nazionale il tasso di occupazione è at tualmen-te pari al 57,6 per cento ( -0,1 punti percentuali rispetto a set tembre e -0,9 rispetto a ot-tobre 2008 ). anche il tasso di disoccupazione è leggermente aumentato, raggiungendo l’8,0 per cento (+0,1 punti percen-tuali rispetto al mese prece-dente e +1,0 punti percentuali rispetto ad ottobre 2008 ). Poco confor tante è la situazione dei giovani italiani, il cui tasso di disoccupazione giovanile è pari al 26,9 per cento, segnando un aumento di 0,6 punti rispetto al mese precedente e di 4,5 punti percentuali rispetto a ot tobre 2008.dall’analisi della situazione con-giunturale sembra quasi che il peggio debba ancora venire. E’ questo l’allarme lanciato a set-tembre dall’Ocse (Organisation for Economic Cooperation and development) : infat ti, se in al-cuni Paesi si è registrato un for-te aumento della disoccupazio-

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ne a causa della crisi, “per altri, come Italia, Germania e Francia, la crescita della disoccupazione deve ancora arrivare”. L’Italia avrà alla fine del 2010 circa 1,1 milioni di disoccupati in più ri-spetto alla fine del 2007, con un tasso di disoccupazione nell’ul-timo trimestre del prossimo anno al 10,5 per cento, superio-

re al 9,9 per cento della media Ocse (rapporto Ocse, Giova-ni, set tembre 2009). anche le stime previste per la regione Marche non sono confor tanti : infat ti la ripresa sarà ancora più lenta che nel resto del Paese e soltanto nel biennio 2011-2012 la crescita si allineerà ai valori nazionali.

Le previsioni parlano di assun-zioni soprat tut to per gli operai specializzati e conduttori di im-pianti e macchine (35,6 per cen-to complessivamente) , seguito dalle professioni commerciali e nei servizi (20,8 per cento) , dal personale non qualificato (18 per cento) , dai dirigenti e dalle professioni specialistiche e tec-niche (14,9 per cento) e infine dagli impiegati (10,7 per cento). In rapporto alle professionalità in ingresso nel mercato del la-voro, la richiesta da par te delle imprese di giovani neo-diplo-mati registra un incremento di quasi 6 punti percentuali (45,9 per cento) rispetto al valore 2008. In f lessione risulta essere la richiesta di giovani con un li-vello di istruzione universitario, che scende dall’8,9 del 2008 (valore più alto registrato dal 2002) al 7,6 per cento.L’istruzione e la formazione

grafico 1.1 tasso di disoccupazione 2003-2009, regione marche

fonte: dati istat, elaborazione del sistema informativo statistico, regione marche  

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professionale inver tono il pas-so e scendono dal 15,4 per cen-to del 2008 al 10,3 per cento. La classe di età non è considerata rilevante dal 25,8 per cento del-le imprese marchigiane intervi-state, ma quelle che comunque hanno espresso un’indicazione, si sono indirizzate prevalente-mente verso la classe compre-sa tra i 25 e i 29 anni (41,4 per cento) , seguita da quella tra i 30 e i 44 anni (23,3 per cento) e da quella fino a 24 anni (6,9 per cento). Per gli over 45 anni il valore è pari a 2,6 per cento. In termini dimensionali, la clas-se tra 25 e 29 anni è quella più richiesta dalle piccole imprese (1-9 dipendenti ) e quelle con 50 e oltre dipendenti.a livello previsionale le pro-spettive di assorbimento nel

mercato del lavoro intravedono una richiesta soprat tut to nell’ambito dei servizi (48,1 per cento) , con un marcato 65 per cento nelle at tività ricet tive (stagionali e non) , quali alber-ghi, ristoranti, servizi turistici, e nei servizi alle persone e alle imprese.

Fabio Di GiulioCall World Srl

Divisione indagini e ricerche di mercato

[email protected]

SPECIALE

grafico 1.2. richieste di assunzioni previste per la regione marche - 2010

fonte: elaborazione su dati unioncamere, rapporto excelsior 2009

e la tradizione continuaVia Lago Maggiore 115

Villa Ceccolini (PU) Tel. 0721482285

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e la tradizione continuaVia Lago Maggiore 115

Villa Ceccolini (PU) Tel. 0721482285

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Investire di più in ricerca&Sviluppo è a detta di tutti una delle chiavi di volta per rilanciare la competitivi-

tà del nostro Paese a livello mondia-le. La nostra imprenditoria sembra essere piuttosto attenta a questo aspetto, e il nostro sistema universi-tario è stato per molto tempo, e lo è tuttora in alcuni casi, punto di riferi-mento per la qualità dei programmi didattici seguiti e per la competenza dei docenti. Tuttavia a questo quadro positivo fa da contraltare una realtà che vede una situazione precaria della ricer-ca nel nostro Paese. Manca infatti un programma definito e condiviso a più livelli che metta in campo una serie di misure atte non solo a fre-nare la ormai endemica fuga di cer-velli italiani all’estero, ma anche ad attirare ricercatori stranieri in Italia. Il problema infatti si pone su que-sto duplice fronte e produce come risultato una perdita enorme non solo dal punto di vista della capacità di proporre innovazione ma anche sotto il profilo del “fare formazione”: infatti, poter creare gruppi di lavoro nei quali giovani dottorandi e scien-ziati promettenti italiani vengono a contatto con colleghi provenienti da altre parti del mondo, è una ricchez-za sulla quale poco si riflette ma che invece rappresenta una miniera di creatività e di idee.Secondo taluni, il primo passo da fare sarebbe quello di costituire

un’agenzia con il compito di coor-dinare tutto il sistema della ricerca e dell’innovazione, stabilendo pro-tocolli precisi e “leggeri”, che cioè non debbano sottostare ad assurde lungaggini burocratiche. Inoltre ci si dovrebbe preoccupare di creare criteri meritocratici e trasparenti che spazzino via una volta per tutte il pessimo binomio tra Italia e clienteli-smo. Non si può poi prescindere an-che dall’affrontare un altro aspetto, sempre molto scomodo: quello dei finanziamenti. affinchè l’Italia possa veramente competere con i Paesi più avanzati al mondo, non fornendo loro menti intellettualmente dotate ma mantenendo le loro professiona-lità all’interno dei confini nazionali e attirando colleghi stranieri a lavorare qui, è necessario prevedere investi-menti e finanziamenti che vengano incontro ai giovani scienziati e che gli permettano di compiere tutte quelle attività che si rendano neces-sarie, anche se a volte prevedono l’impiego di tecniche e tecnologie molto costose. Sembra quindi fon-damentale procedere alla creazione di “sportelli di finanziamento” di pro-getti di ricerca, che possano affian-care le già esistenti agenzie private. Convincere gli scienziati italiani a non andarsene all’estero rappresenta soltanto la metà del problema: l’altra metà riguarda esattamente l’oppo-sto, cioè attrarre studiosi stranieri. L’autoreferenzialità del nostro siste-

ma di ricerca è infatti innegabile se si guardano alcuni dati forniti dall’Ocse (datati 2005): nel nostro Paese solo il 2 per cento degli studenti nell’istru-zione terziaria è straniero, contro il 10 per cento, ad esempio, della Francia. Inoltre vi è soltanto l’1,4 per cento di ricercatori esteri, contro il 15 per cen-to del regno Unito. Un altro miglioramento da introdurre allora nel nostro sistema potrebbe consistere la creazione di programmi ad hoc dedicati agli studiosi stranie-ri, con la previsione di borse di stu-dio o altri contratti simili. Importante anche favorire la permanenza di questi giovani scienziati nel nostro Paese, creando percorsi burocratici che evitino richieste assurde, che fi-niscono con il vessare l’individualità e conducono spesso a scegliere Pae-si meno “complicati” da questo pun-to di vista.

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internaZiOnaliZZiamO anche la ricerca spesso si addita la fuga di cervelli italiani all’estero come problematica maggiore per la ricerca e l’innovazione nelle nostre aziende. certo, questa è una grave perdita, ma altrettanto critica è la mancanza di collaborazione tra il sistema nazionale e il resto del mondo: aprire agli scienziati stranieri deve essere una priorità

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Una volta laureati, i ragazzi riescono più o meno facil-mente a trovare impiego e

soprattutto in un settore e posizio-ne professionale che rispecchi il ti-tolo di studio conseguito? Per dare risposta a questi importanti quesiti, ci viene in aiuto ancora una volta l’Istat con un indagine condotta nel 2007 atta proprio ad analizzare in ottica comparativa il rendimento dei diversi titoli di studio sul merca-to del lavoro. I risultati di questa in-dagine, che si propone di verificare quali siano le lauree che più spesso conducono a trovare occupazione, sono disponibili in un opuscolo on-line pubblicato il 18 maggio 2009. Nelle rilevazioni si è anche voluto mettere a confronto il rendimento delle lauree di corso lungo - laurea tradizionale del vecchio ordina-mento e laurea specialistica a ciclo unico – con quelle dei corsi di lau-rea triennali del nuovo ordinamen-to.L’universo di riferimento dell’inda-gine è costituito da 260.070 laure-ati, di cui 167.886 in corsi lunghi di durata 4-6 anni e 92.184 in corsi di durata triennale.differenziare le situazioni post lau-rea dei corsisti del vecchio ordina-mento – laurea quinquennale – e di quelli del nuovo, basato sulla concezione del 3+2 con tre anni per conseguire la laurea di primo livello e due per l’eventuale percor-so specialistico, si è reso necessa-

rio per confrontare la rispondenza del mercato del lavoro a questi due differenti modelli. Se infatti si ana-lizzano le prospettive lavorative dei due gruppi di laureati, si possono sottolineare delle differenze impor-tanti. Nel 2007, il 73 per cento dei laureati in corsi quinquennali e di quelli in possesso di una laurea di primo livello, dichiaravano di aver trovato lavoro nei tre anni successivi al conseguimento del titolo. Tra co-loro che non hanno un impiego, si nota come siano quelli provenienti dal vecchio ordinamento a cerca-re maggiormente lavoro (il 14 per cento all’incirca), rispetto a quelli delle triennali, che si attestano at-torno al 12 per cento. La variazione

di due punti percentuali è da attri-buire con molta probabilità al fatto che per i laureati di primo livello vi è anche la possibilità di continuare il proprio percorso di studi, aggiun-gendo i due anni di specialistica.Un dato in favore delle lauree “di lungo corso” riguarda la possibilità di trovare un impiego continuativo: 56 per cento dei laureati del vecchio ordinamento contro il 48 per cento dei laureti “brevi”. La considerazio-ne però che forse maggiormente interessa è connessa al rapporto tra titolo di studio e mercato del la-voro. In altre parole: quali sono le lauree che più delle altre sembrano favorire la ricerca di occupazione? anche per dare conto di questo

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l’inserimentO prOfessiOnale dei laureatiquanto conta possedere una laurea al momento di entrare nel mondo del lavoro? quali sono le tipologie di lauree maggiormente richieste? quale la percezione dei ragazzi rispetto al loro impiego? Basandoci su un’indagine istat, cerchiamo di rispondere a queste domande

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aspetto, è opportuno tenere sepa-rati i due modelli di conseguimen-to del titolo. Per quanto riguarda le lauree quinquennali, la Facoltà che più delle altre sembra garantire un ottimo peso nel mercato del lavoro è quella di Ingegneria: nei tre anni successivi alla laurea, l’89 per cento degli ingegneri meccanici risultano occupati, così come l’88 per cento dei laureati nel settore telecomuni-cazioni e l’85 per cento degli inge-gneri chimici. Subito dopo si posi-zionano Facoltà quali Farmacia con l’82 per cento, Economia aziendale con il suo 76 per cento ed Odonto-iatria col 75 per cento. L’altra faccia della medaglia riguarda invece i lau-reati del gruppo medico che svol-gono un lavoro continuativo solo in rapporto di 24 su 100, quelli di Giurisprudenza (e Facoltà correlate) con il 38 per cento, quelli di Educa-zione Fisica con il 45,8 per cento. Tra il 46 e il 49 per cento si collo-cano invece i laureati in discipline geo-biologiche o letterarie.Per quanto riguarda i corsi trienna-li, la percentuale più alta di giovani impegnati in un’attività lavorativa di tipo continuativo, dopo il con-seguimento del titolo di studio, riguarda soprattutto i laureati nei corsi attinenti al settore sanitario, in particolar modo per le professio-ni infermieristiche e ostetriche, che dichiarano di avere un’occupazione continuativa nel 72,4 per cento dei casi. a seguire, troviamo i laureati in Scienze e tecnologie farmaceutiche (67,3 per cento) e Scienze e tecno-logie informatiche (66,4 per cento). Buona anche la situazione dei lau-reati in Scienze della mediazione linguistica (62,4 per cento) e in di-segno industriale (61 per cento). al lato opposto troviamo ancora una volta – proprio come accade per i laureati del vecchio ordinamento - i laureati del gruppo giuridico con appena il 22 per cento di occupati, i laureati dei gruppi geo-biologico

(31,3 per cento, psicologico (32,2 per cento) e letterario (35,3 per cen-to).

Rapporto tra titolo di studio e la-voro svoltoLa maggior parte di chi decide di frequentare l’università ha come motivazione la volontà di trovare successivamente un’occupazione che possa rispondere alle proprie personali aspettative. Ecco allora che quando si sceglie una Facoltà piuttosto che un’altra, a questa decisione sarà legata l’idea di una professione che nel futuro si vorrebbe svolgere. Ma in quanti casi questo ideale viene poi rispet-tato una volta conseguita la laurea?La buona notizia che emerge dai dati Istat riguarda il fatto che la co-erenza tra il titolo di studio posse-duto e quello richiesto per lavorare, aumenta al crescere del livello di istruzione. Confrontando infatti le percentuali relative ai laureati in corsi di tre anni e quelle che si riferiscono ai laureati quinquennali, vediamo che i primi dichiarano di svolgere un lavoro per il quale era formalmente richiesto il titolo posseduto nel 65,8 per cento dei casi, mentre tra i secondi tale percentuale sale al 69 per cento. Scendendo più in profondità, pos-siamo ancora sottolineare come all’interno di questo 69 per cento, rilevino la maggiore coerenza le professioni attinenti al gruppo me-dico, a quello chimico-farmaceutico nonché a quello ingegneristico. Per quanto concerne i corsi triennali la quota di laureati impiegati in lavo-ri che richiedono lo specifico titolo di studio di cui sono in possesso è particolarmente alta soltanto per i laureati nelle professioni sanitarie, con ben il 94 per cento.riflettendo su questi dati, si potreb-be dire che non sempre la rispon-denza del mercato del lavoro alle professionalità implementate con

la laurea è a livelli ottimali. Tuttavia, buona parte dei laureati sembra esprimere una buona soddisfazione rispetto al proprio lavoro. In parti-colar modo gli aspetti che più degli altri contribuiscono a creare questo giudizio positivo riguardano il gra-do di autonomia concesso e la tipo-logia di incarichi affidati. aspetti in-vece che sono percepiti in maniera negativa riguardano la retribuzione economica e le prospettive di avan-zamento di carriera.Un altro aspetto dolente è quello delle tipologie contrattuali con le quali i ragazzi possono avvicinarsi al mondo del lavoro. Nel 2007, circa il 41 per cento dei laureati quinquen-nali e il 48 per cento dei laureati di primo livello affermava di essere impiegato con contratti a termine o in attività “parasubordinate”. Il tem-po indeterminato regolava invece i rapporti professionali per il 40,6 per cento dei laureati col vecchio ordi-namento, a fronte di una percen-tuale del 42,4 per cento che aveva-no seguito i corsi triennali. Queste percentuali però, riguardano una forbice di anni più ampia rispetto ai precedenti dati: sono infatti regi-strati tenendo conto di un periodo di tempo che vari dai quattro ai sei anni dopo la laurea.Infine, anche i dati di questa indagi-ne ci confermano la scarsa propen-sione ad intraprendere un’attività autonoma che riguarda i neolaurea-ti. Infatti solo il 19 per cento dei lau-reati di corso lungo fa propria que-sta scelta, e addirittura solo il 9 per cento di quelli frequentanti corsi triennali. di Eleonora Baldi

nei tre anni successi-vi alla laurea l’89 per cento degli ingegneri meccanici risultano occupati

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dopo gli anni della scuola dell’obbligo, si apre per i ragazzi una prima possibili-

tà di scelta: rivolgersi direttamente al mercato del lavoro oppure pro-seguire il proprio percorso di stu-di con l’intenzione di formarsi un bagaglio di conoscenze, compe-tenze ed esperienze che possano permettere maggiori opportunità professionali.Questo certo molto dipende dall’aspirazione personale e dalla maggiore o minore fiducia nelle istituzioni scolastiche, in quanto appunto produttrici di conoscenza – tanto teorica quanto pratica - che possano comunque essere utili.Per questo motivo l’Istat con il

preciso scopo di analizzare il per-corso di transizione scuola-lavoro ha realizzato delle indagini sull’ar-gomento intervistando i ragazzi e ponendo loro domande in merito ai risultati del percorso scolastico, alle opinioni sull’esperienza nel-la scuola, alla prosecuzione degli studi (universitari e non), all’inseri-mento nel mondo del lavoro.L’ultima indagine di questo tipo, della quale sono stati pubblicati i dati nel novembre di quest’anno, è quella realizzata nel 2007, per la quale sono stati presi come cam-pione rappresentativo gli studenti diplomatisi nel 2004.La statistica quindi illustra sinteti-camente le scelte dei diplomati del

2004 per quanto riguarda il loro in-gresso nel mercato del lavoro. dopo la scuola secondaria, si ri-propone ancora una volta la scelta per il ragazzo: proseguire gli studi – con un percorso universitario o altra tipologia di corso – oppure entrare nel mondo del lavoro.Secondo i dati Istat, a tre anni dal conseguimento del titolo, il 29,9

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SPECIALE

i diplOmati e il laVOrO: qual è la situaZiOne in italia?attraverso i dati istat riferiti al 2007 sui diplomati dell’anno 2004, è possibile analizzare in maniera esaustiva gli elementi critici che i gio-vani si trovano ad affrontare quando, usciti dagli istituti superiori, si affacciano al mercato del lavoro

   

percentuali di diplomati che lavorano, per area geografica

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83Mondo Lavoro

per cento dei 415.247 diplomati del 2004 era impegnato esclusivamen-te negli studi universitari, mentre il 67,4 per cento risultava attivo nel mercato del lavoro: oltre la metà dei diplomati si era dichiarata occupata (52,6 per cento) mentre il 14,8 per cento in cerca di un’occupazione.Questi dati devono sempre essere interpretati tenendo conto che a volte, terminati gli studi superiori, i ragazzi si concedono del tempo du-rante il quale di può parlare di “si-tuazioni miste”, in cui sperimentano sovrapposizioni tra studio, ricerca del lavoro ed occupazione, che ine-vitabilmente condizionano non solo le scelte occupazionali, ma anche le caratteristiche del lavoro svolto.

nel 2007, mentre il 29,9 per cento di ragazzi era impegnato unicamente negli studi universitari e il 39,3 per cento aveva scelto di lavorare sol-tanto, il 13,3 per cento riusciva a co-niugare studio e lavoro, mentre l’8 per cento è contemporaneamente iscritto all’università ed alla ricerca

di un lavoro.Una variabile che in Italia rileva co-stantemente, a causa delle grandi differenze di mentalità ed oppor-tunità che si possono riscontrare, è quella relativa all’area geografica di provenienza: la percentuale di chi si è già inserito nel mondo del lavoro diminuisce notevolmente da nord a

 

Percentuale di diplomati che hanno scelto di proseguire gli studi, per area geografica

 

   

 

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Sud, passando dal 62,6 per cento di occupati nell’Italia nord-occiden-tale a solo il 45 per cento del Sud e al 44,6 per cento delle Isole. In par-ticolare, le regioni che si contrad-distinguono per i tassi di occupa-zione più elevati sono la Lombardia (65,1 per cento), il veneto (63,4 per cento) e il Piemonte (61,5 per cen-to), mentre la Basilicata (35,6 per cento), il Molise (37,1 per cento) e la Calabria (37,4 per cento) sono i fanalini di coda. La decisione di continuare a studia-re piuttosto che lavorare, è spesso influenzata anche dalla difficoltà effettiva di inserirsi nel mercato del lavoro. non stupisce allora che nel Mezzogiorno la quota di diploma-ti in cerca di un’occupazione, a tre anni dal conseguimento del titolo, aumenti significativamente: il 21,5 per cento dei diplomati – con pic-chi del 24,7 per cento in Sardegna, del 23,7 per cento in Basilicata e del 23,4 per cento in Calabria – a fronte del 7,9 per cento registrato al nord.Per illustrare visivamente tale situa-zione, di può ricorrere alle figure di seguito riportate.altro fattore altamente impattan-te sulle possibilità di inserimento lavorativo dei giovani è quello ri-guardante la tipologia di scuola

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SPECIALE

 

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frequentata.Come si può vedere dai dati sopra esposti, la quota di occupati è mol-to più alta tra coloro che hanno se-guito percorsi di tipo professiona-lizzante, rispetto a chi ha intrapreso gli studi liceali.

Le caratteristiche dell’occupazio-ne Concentriamoci ora sulla situazio-ne di chi effettivamente ha trova-to lavoro immediatamente dopo il conseguimento del diploma: quali sono le caratteristiche di questi im-pieghi? Sempre prendendo i con-

siderazione i dati relativi all’anno 2007 – e riguardanti i diplomati del 2004 – si vede come il 19,7 per cen-to dei diplomati che hanno iniziato l’attività dopo l’ottenimento del ti-tolo, svolge un lavoro occasionale o stagionale. Percentuale confortan-te – pari all’80 per cento - è inve-ce quella di chi ha un’occupazione continuativa, che viene svolta con cadenza regolare anche se talvolta con contratti a termine.altra differenza che è possibile sottolineare, riguarda poi la scelta della tipologia di inquadramento professionale: lavoro dipendente, contratto a progetto, rapporto di lavoro autonomo. anche a que-sto proposito si possono proporre delle interpretazioni differenti dei dati a disposizione dell’Istat tenen-do conto di variabili come il tipo di scuola frequentato, il sesso e l’area geografica di provenienza.da questi dati possiamo vedere che il lavoro dipendente è ancora quel-lo più diffuso, seppure in presenza di percentuali differenti in connes-sione con le variabili di interpreta-zione introdotte. La propensione ad intraprendere un lavoro da libe-ro professionista è piuttosto bassa, soprattutto nella componente fem-minile. ad essere più intraprendenti sono comunque i ragazzi del Sud e delle Isole, che alzano leggermente la media.

I canali di accesso altra domanda alla quale è interes-sante rispondere è la seguente: in che modo si effettua l’accesso al mercato del lavoro? Sempre inter-pretando i dati forniti dall’indagi-ne Istat, tra i canali utili per trovare lavoro, quello che maggiormente sembra efficace è il contatto diretto con il datore di lavoro: infatti circa il 41 per cento dei diplomati afferma di aver trovato in questo modo l’at-tuale occupazione.

I requisiti di accesso al lavoro Ultima riflessione, sulla percezio-ne che del proprio lavoro hanno i giovani. non sempre infatti l’oc-cupazione trovata dal diplomato si dimostra adeguata al percorso sco-lastico effettuato. Una completa coerenza tra lavoro svolto e livello di istruzione conse-guito viene dichiarata comunque dal 45 per cento dei ragazzi; in que-sti casi, il titolo di studio è stato ef-fettivamente richiesto al momento dell’assunzione e le competenze acquisite vengono utilizzate nell’at-tività svolta. ad essere inquadrati in posizioni per cui non è stato richie-sto il diploma, sotto il profilo né for-male né sostanziale, è il 15 per cento dei diplomati. Quasi un diplomato su tre dichiara invece di utilizzare nel proprio lavoro la formazione ricevuta, nonostante il titolo non abbia costitu-ito un requisito di accesso, mentre il 7,7 per cento dei ragazzi, pur avendo ottenuto il lavoro in quanto diploma-to, non utilizza le competenze acqui-site. Il quadro restituitoci da questi dati merita una riflessione: sarebbe forse il caso che vi fosse una maggio-re interrelazione tra il mondo della scuola e quello del lavoro, in modo tale che le competenze formate nel momento del percorso di studio sia-no poi effettivamente utili al momen-to della loro applicazione pratica. Sa-rebbe forse possibile in questo modo ottenere una maggiore soddisfazio-ne dei datori di lavoro e anche dei giovani, che potrebbero operare sfruttando competenze già acquisite. Se in generale, infatti, i diplomati oc-cupati esprimono giudizi sostanzial-mente positivi del proprio lavoro, gli aspetti più critici appaiono proprio l’utilizzo delle conoscenze acquisite nella scuola secondaria di secondo grado - 4 diplomati su 10 si dichiara-no poco o del tutto insoddisfatti - e le possibilità di carriera, con ben il 32 per cento di insoddisfatti.

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86 Mondo Lavoro

SPECIALE

TuTelare il risParmiaTore e gesTire il rischioQuesti gli obiettivi dello studio cogliandro raparo, che a macerata svolge attività di analisi e consulenza finanziaria indipendente, fondato e diretto da riccardo cogliandro e da massimo raparo

nel recente passato si è assi-stito a una perdita di effica-cia nell’offerta di consulenza

finanziaria, spesso ricondotta a una mera vendita di strumenti e di pro-dotti a danno della clientela più in-consapevole o dell’azienda non suf-ficientemente preparata dal punto di vista della finanza d’impresa. Basti pensare ai bond Parmalat, Cirio o Le-hman Brothers, venduti dalle banche quando tali aziende erano già prossi-me al default, o le numerose ipotesi di vendita di strumenti derivati, pro-posti e ceduti ad imprenditori total-mente ignari di ciò che acquistavano. Ciò ha prodotto una profonda per-dita di fiducia nei confronti del mer-cato e delle istituzioni finanziarie. Il recupero di valore aggiunto può es-sere perseguito soltanto attraverso la progressiva separazione dell’attivi-tà di consulenza dalla vendita di pro-dotti finanziari; processo che con-duce a un’allocazione ottimale delle risorse della clientela verso strumenti più efficaci, con la creazione di valo-re aggiunto tangibile per l’azienda e per il cliente privato.Il cliente, privato o azienda, dev’es-sere messo in grado di approcciare il mercato finanziario con modalità più trasparenti rispetto al passato. I prodotti messi a disposizione dagli intermediari finanziari devono esse-re preventivamente selezionati dal consulente in fase di pianificazione. ottenere un mutuo, allocare il rispar-mio in prodotti finanziari efficaci e poco costosi, costituire una rendita pensionistica, coprirsi dal rischio fi-

nanziario attraverso la corretta va-lutazione di un contratto derivato, sono attività da affrontare con un approccio professionale.Il cliente beneficia di un servizio pro-fessionale ed imparziale basato su valutazioni analitiche e non commer-ciali. Questo determina l’assenza di commissioni implicite nei prodotti acquistati presso la propria banca, il mantenimento di un livello di ren-dimento e rischio appropriato e l’ac-cesso agli strumenti finanziari in con-dizioni di parità informativa rispetto alla banca che li propone e li vende. La parcella che retribuisce l’attività dello Studio è sempre ampiamente ripagata dal risparmio di costi e dal recupero di efficienza dei prodotti in portafoglio. nei confronti dell’im-presa lo Studio propone un servizio di consulenza in materia di gestione dei rischi finanziari. Questa tematica

consente di monitorare e coprire i rischi derivanti dall’inevitabile espo-sizione del bilancio a variabili finan-ziarie come tassi di interesse, tassi di cambio, costo delle materie prime. La gestione di tali variabili permette di fissare preventivamente il tasso massimo pagato sui finanziamenti a tasso variabile o di abbassare il co-sto del passivo a tasso fisso. Consen-te inoltre alle aziende importatrici o esportatrici in valuta di fissare o gestire, secondo i propri budget, il margine di profitto o di costo delle operazioni con l’estero. Questo per-mette all’imprenditore di concentrar-si sull’attività caratteristica, fissando i listini, programmando il fatturato o i costi a prescindere dall’andamento dei mercati finanziari.L’attività di risk Management con-sente di intervenire anche sulla varia-bilità del prezzo delle materie prime per quelle aziende particolarmente esposte alla volatilità di tali variabili. di Raffaella Scortichini

Lo Studio Cogliandro Raparo ha la propria sede a Macerata, in Via Trento. Per ulteriori informazioni è possibile contattare il numero 0733.260961 o scrivere alla mail [email protected].

www.studiocogliandroraparo.it

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87Mondo Lavoro

SPECIALE

Ponendosi come “cuscinetto” tra banche e imprese, il siste-ma dei Confidi si è ritagliato

un nuovo ruolo tra gli strumenti anticiclici di politica economica a disposizione dei Governi. ne sono testimonianza i dati di sintesi del lavoro di Eurofidi nel 2009: con proiezione al 31 dicembre, la socie-tà ha garantito un flusso di finan-ziamenti bancari di quasi 2,5 miliar-di di euro, arrivando a uno stock complessivo di finanziamenti ga-rantiti di quasi 8,5 miliardi. Questi numeri impattano in modo incisivo sull’accesso al credito delle impre-se garantite da Eurofidi - ormai più di 40mila, presenti in buon numero anche nelle Marche, in Umbria e in abruzzo, regioni dove la società è attiva dal 2004.I Confidi accordano il proprio inter-vento secondo logiche istruttorie vicine alle esigenze delle imprese e liberano da impegni i patrimoni imprenditoriali, rendendo così più flessibile e più agevole l’accesso al credito. anche a tale modello, tut-tavia, viene chiesta un’evoluzione in termini di efficienza e di ulterio-re efficacia, al fine di assicurare alle imprese un sostegno ancora più qualificato. Eurofidi ha adeguato il suo modello organizzativo e di compliance e ha proseguito ver-so l’iscrizione tra gli intermediari vigilati da Banca d’Italia (articolo 107 del Testo unico bancario): il 29 gennaio scorso Eurofidi ha ufficial-mente presentato la domanda e sta procedendo con l’invio di alcu-

ne integrazioni richieste dall’Istitu-to Centrale.Il 26 novembre scorso, il Consiglio di amministrazione ha approvato il piano di sviluppo 2010/2012, che si è incentrato sul ruolo anticicli-co di Eurofidi quale supporto alle Pmi. ruolo che può essere svolto soltanto da strutture ben patrimo-nializzate: l’indice di solvibilità di Eurofidi è del 12,15 per cento, va-lore doppio rispetto al 6 per cento richiesto dalla Banca d’Italia.Per rafforzare ancora la struttura, il Consiglio di amministrazione ha anche deliberato un aumento di capitale di 50 milioni di euro da at-tuarsi nel primo semestre 2010. “Proprio in questi giorni stiamo procedendo con l’invio a Banca d’Italia delle integrazioni richieste e confidiamo che il processo possa concludersi positivamente a breve anche grazie alle imprese del Cen-tro nord che ci hanno dato, e con-tinuano a farlo, la loro fiducia”, commenta Giuseppe Pezzetto, Presidente Eurofidi, che aggiunge: “non ritengo che i Confidi siano la soluzione a tutte le incomprensioni che talvolta si generano nel rap-porto tra banca e impresa, ma sono, e saranno sempre più, un va-lido “strumento di compensazio-ne”, grazie anche alla prossimità con il territorio”.

eurofidi, un “cuscineTTo” Tra banche e imPresereggendo l’onda d’urto della crisi, eurofidi - una delle maggiori confidi italiane - si sta rivelando sempre più un concreto supporto per l’accesso al credito per le imprese. in crescita il suo ruolo nel centro nord

sede centrale | Via Perugia, 56 | 10152 Torino | T +39 011 24191 | [email protected] | www.eurogroup.it

fi liale di Ancona | Via I Maggio, 150 | 60131 Ancona | T +39 071 2868147 | [email protected] liale di Pesaro | Via degli Abeti, 152 | 61100 Pesaro | T +39 0721 405443 | [email protected]

fi liale di Perugia | Via Bruno Simonucci, 3 | 06135 Perugia Ponte San Giovanni (PG) | T +39 075 7920880 | [email protected] liale di Pescara | Viale Vittoria Colonna, 97 | 65127 Pescara | T +39 085 6922802 | [email protected]

Noi ci siamo. Per condividere gli obiettivi. Per darvi le soluzioni.

Crescere insieme, fare della nostra esperienza la vostra forza. Questo

l’impegno di Eurogroup. Sappiamo che sono le persone a fare la

differenza. Persone sempre al vostro fi anco, pronte ad ascoltarvi, a capire,

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L’intesa comprende un coordina-mento e un’integrazione funzio-nale tra le Università di Came-

rino e di Macerata, al fine di dotare la provincia e l’intera area centro-meridionale delle Marche - grazie anche alla presenza consolidata dei due atenei nel fermano e nell’asco-lano - di un polo universitario forte e competitivo, a livello nazionale ed europeo, all’interno del quale due Università storiche siano in grado di giocare un ruolo fondamentale a sostegno della vitalità economica e sociale del territorio. L’accordo disciplina l’integrazione dei servizi, la qualificazione e la razio-nalizzazione dell’offerta formativa, il contenimento e il consolidamento delle sedi collegate, la promozione unitaria dell’Istruzione Tecnica Su-periore. da parte sua il Ministero si impegna ad erogare annualmente ai due atenei un contributo economico da dividere in parti uguali e ad asse-gnargli, per il quadriennio 2010-2013, un Fondo di Finanziamento ordina-rio non inferiore a quello consolidato del 2009. La Provincia di Macerata, oltre a so-stenere economicamente l’accordo, si impegna a coinvolgere nel soste-gno delle attività universitarie nelle Marche centro-meridionali le altre amministrazioni (regione, altre Pro-vince, Comuni) e gli attori economici del territorio.

nessuna fusione tra i due atenei, dunque, ma solo “un’occasione irri-petibile, direi storica – ha commen-tato il rettore Esposito – per mettere in sinergia le competenze e le poten-zialità delle Università di Camerino e di Macerata, attraverso l’attivazione di percorsi differenziati ed integrati per coprire tutte le esigenze del mer-cato, e poter essere quindi sempre di più al servizio del territorio regionale e nazionale”. anche i Presidenti degli spin-off Uni-Cam, infatti, accolgono con estremo interesse e positività l’accordo di programma, che potrà aprire l’op-portunità ad iniziative imprenditoriali multidisciplinari in settori ritenuti strategici dai piani di sviluppo terri-toriale, nonché quella di sostenere il territorio con una innovazione più coordinata e sistematica avendo a

disposizione un più ampio partena-riato di conoscenze e competenze non in competizione tra loro. Tutto ciò permetterà infatti di accelerare il processo di innovazione del territo-rio regionale e nazionale, così da ren-derlo più competitivo alla sfida glo-bale, favorirà lo sviluppo del sistema produttivo locale e valorizzerà la cul-tura imprenditoriale dell’innovazione e della creatività quale fattore di cre-scita economica e sociale.

miur, Provincia, unicam e unimc insieme Per far crescere il TerriTorio

Ufficio stampa e ComunicazionePalazzo ducale – Piazza Cavour 62032 Camerino (Mc)Tel. 0737/402762-2755 - Fax 0737/402100e-mail: [email protected] site www.unicam.info

si è concluso positivamente l’accordo di programma quinquennale tra il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, la Provincia di macerata, l’università di camerino e l’università di macerata

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SPECIALE

Page 42: Speciale Economia

nelle linee di programma che Confindustria Macera-ta ha presentato nel luglio

scorso, in occasione della sua an-nuale assemblea, veniva sottoli-neato, tra l’altro, quanto un solido sistema universitario sia fonda-mentale per la crescita socio-eco-nomico a medio e lungo termine. Ebbene, Confindustria ritiene che, per il territorio maceratese e per le Marche, il 2009 si chiuda con buone prospettive su questo fron-te. L’accordo di programma che la Provincia ha promosso, portan-do le due Università del territo-rio a confrontarsi e a collaborare tra loro, è un fatto estremamente positivo che va nella direzione di un rafforzamento della formazio-ne universitaria nella nostra real-tà. Fare “squadra” e mettersi in “rete” significa utilizzare al mas-simo le singole potenzialità ed ottimizzare le risorse disponibili. Questa associazione di catego-ria, che auspica continuamente la sinergia tra realtà produttive, non può che plaudire alla rapidità e alla previdente concretezza con cui enti pubblici, quali la Provincia e le Università di Camerino e di Macerata, hanno saputo interpre-tare una necessità del territorio e un bisogno delle istituzioni acca-demiche. altro aspetto positivo è dato dalla piena approvazione del Ministero dell’Università e della ricerca, che è parte dell’accordo e che lo sostiene anche finanzia-riamente. Una volta tanto Macerata, intesa come comunità socio-economica e come entità territoriale a livello provinciale, si muove in anticipo, evitando così di rimanere indietro.

Le Università di Camerino e Mace-rata compiono oggi un passo a cui tra qualche anno sarebbero state obbligate. In quel caso, però, gli effetti si sarebbero forse potuti rivelare tardivi e quindi inefficaci. Lungimirante, pertanto, è stato il presidente della Provincia, Cap-poni, il quale si è fatto carico della soluzione di un problema che nes-suno sembrava avesse il coraggio di affrontare per primo. Ed altret-tanto avveduti e responsabili sono stati i due rettori, Esposito e Sani, nel comprendere la non rinviabi-lità di un intervento capace di ri-dare vigore ai due atenei. Entram-be le Università sono patrimonio scientifico della nostra comunità e

il sistema produttivo locale guar-da ad esse anche come una fonte della propria crescita.Confindustria si era dichiarata sempre pronta ad ampliare ed in-tensificare il rapporto con le uni-versità e gli istituti di ricerca. oggi, dopo questo accordo in grado di prospettare un futuro di concreto sviluppo ad entrambi gli atenei, la nostra associazione è ancora più convinta dell’opportu-nità di essere parte di uno sforzo comune di tutte le istituzioni, af-finché il sistema universitario mar-chigiano sia maggiormente capa-ce di creare ogni condizione utile alle aziende per crescere ed inno-varsi.

il Parere PosiTivodi confindusTria maceraTa

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Page 43: Speciale Economia

Presidente, perché ha vo-luto fortemente questo accordo?

“La sua sottoscrizione è un pas-so fondamentale nel processo di rinnovamento e miglioramen-to dell’offerta didattica dei due atenei marchigiani. Il modello territoriale al quale si ispira l’ac-cordo non soltanto prevede la collaborazione tra i due atenei, nella volontà di rilanciarsi sul piano della didattica, ma con-sente anche una maggiore inter-relazione a livello territoriale che senza dubbio sarà positiva per tutta la provincia di Macerata”.E un bell’esempio per tutta Ita-lia…“Questo modello di collabora-zione intrapreso dalle due più antiche ed importanti Univer-sità marchigiane costituisce un esempio che presto molte altre strutture in Italia dovranno adot-tare, una volta che le direttive della riforma Gelmini saranno effettivamente applicate”.L’idea iniziale fu avanzata da Lei, che colse prima di altri la necessità di recepire in an-ticipo le direttive della Rifor-ma Gelmini, anche per evita-re quei tagli che si sarebbero resi necessari all’interno delle strutture universitarie. “Gran parte del merito va senz’altro ai due rettori - Fulvio Esposito per l’Università di Ca-

il nuovo corso dell’universiTà marchigianal’accordo che permetterà agli atenei di camerino e macerata di rilanciarsi sul piano didattico è stato approvato dal consiglio Provinciale di macerata. sentiamo al riguardo il Presidente della Provincia franco capponi

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merino, e roberto Sani per l’Uni-versità di Macerata – che hanno condiviso l’idea iniziale. E’ stato così possibile dare effettivamen-te avvio ai vari passi che hanno condotto fino alla stesura finale dell’accordo, approvato il 30 no-vembre 2009, con votazione che ha visto l’unanimità all’interno del Consiglio Provinciale di Ma-cerata”.Cosa prevede l’accordo?“Il testo del documento preve-de che i due atenei, mantenen-do intatta la propria autonomia, daranno corso ad una azione di razionalizzazione dei servizi, al fine di dedicare, allo stesso tem-po, maggiori risorse al poten-ziamento dell’offerta didattico-formativa.Caratteristica che entrambe le Università condividono e che sarà potenziata grazie a questa nuova collaborazione, riguarda il forte radicamento nell’area fermana ed ascolana: grazie a questo importante passo, sarà

possibile creare un sistema uni-versitario radicato nel territorio centro-sud delle Marche, ancora più qualificato. Le richieste alle quali si risponde, grazie a que-sto accordo, si riferiscono princi-palmente ad una maggiore orga-nizzazione degli atenei nonché a una loro penetrazione sul ter-ritorio che faciliti anche l’inse-rimento lavorativo dei laureati. raggiungendo questi obietti-vi, sarà molto più facile arrivare agli standard fissati dalla rifor-ma Gelmini e confermare ancora una volta l’eccellenza delle Uni-versità di Macerata e Camerino”.Si parla spesso della necessità di “fare sistema”, di costituire reti tra differenti attori ope-ranti nel medesimo territorio. Mi pare che questo ne sia pro-prio un esempio.“Un esempio forte e concreto di una collaborazione che cer-tamente migliorerà l’offerta di-dattica e in termini di servizi per gli studenti e allo stesso tempo

restituirà un’immagine ancora più affidabile ed efficiente dei due atenei coinvolti. Farsi con-correnza, per due atenei che si trovano a soli 25 chilometri di di-stanza, non ha alcun senso; col-laborare, invece, rappresenta la scelta più intelligente”.L’accordo raggiunto è aperto ad altre adesioni?“La costituzione del C.U.M. – Comitato per l’Università nelle Marche -, prevista sempre dal testo dell’accordo, di cui faran-no parte la Provincia di Macera-ta, l’Università di Camerino e l’Università di Macerata in quan-to soci fondatori, rappresenta la base di partenza per la forma-zione di una vera e propria rete sul territorio marchigiano tra tutti gli enti e le istituzioni che sono coinvolte nei vari progetti formativi. Il Comitato infatti sarà immediatamente aperto per ul-teriori adesioni da parte di enti quali i Comuni di Camerino, Ma-cerata, Civitanova Marche, Fer-mo, ascoli Piceno, le Province di ascoli Piceno e Fermo, la regio-ne Marche, ma anche istituzioni territoriali come le Camere di Commercio e le varie Fondazioni presenti in regione. In altre pa-role: questo accordo rappresen-ta solo il punto di partenza di un percorso che deve condurre a potenziare il settore della forma-zione universitaria marchigiana, che gode già di attenzione e prestigio in tutta Italia ma che ha ancora ampi margini di mi-glioramento”. di Raffaella Scor-tichini

www.provincia.mc.it

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Si sente spesso parlare di “co-aching”, ma cosa è in realtà? “Per rispondere in modo com-

prensibile diciamo innanzitutto chi è il coach. Il coach è il professionista che “tira fuori il meglio dall’individuo e dall’organizzazione”, grazie ad uno specifico metodo di sviluppo: il co-aching, appunto. Il coaching, attra-verso l’allenamento delle potenzialità personali è dunque un metodo che accompagna il cliente (detto an-che coachee) nel raggiungimento di obiettivi concreti e misurabili”.E il coaching in ambito aziendale, come si sviluppa?“non sono forse concretezza e risulta-ti le cose di cui hanno bisogno le no-stre aziende? nel Business Coaching, il coach attraverso sessioni individuali o di gruppo, segue e stimola il cliente (imprenditore, manager o dipenden-te) affinché tutte le sue potenzialità umane e professionali emergano, aiu-tandolo a sviluppare la sua capacità di analisi del problema, e rafforzando la creatività e l’autonomia operativa. L’obiettivo strategico del Business Coaching consiste nel coniugare la valorizzazione della persona, attraver-so la massima espressione delle pro-prie potenzialità, con le esigenze di competitività e sviluppo dell’azienda. Questa nuova ottica pone l’accento sulla formazione di manager e di-pendenti in azione, superando così il concetto più classico di formazio-ne frontale, la quale, pur fornendo il know-how teorico necessario, spesso non riesce ad attivare concretamente

il cambiamento e la crescita auspicati. Il coaching si presenta oggi come il metodo formativo ideale per rispon-dere alle esigenze di formazione effi-cace, veloce e personalizzata, e lo si può affiancare con successo a percor-si formativi e processi consulenziali già esistenti”.Quali sono i benefici effettivamen-te riscontrabili?“attraverso la tecnica del goal set-ting system, ossia l’individuazione di obiettivi e la conseguente definizione di piani di azione concreti, un inter-vento di coaching in un’organizzazio-ne porta ad effettivi miglioramenti, per esempio, nelle seguenti aree: • nella leadership e nella capacità de-cisionale• nel pensiero creativo e strategico

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SPECIALE

il coaching nelle marcheun metodo di sviluppo delle potenzialità individuali e di gruppo,a disposizione delle imprese marchigiane per migliorare la qualità e il management, realizzare cambiamenti strategici, motivare e trattenere talenti. a questo proposito ospitiamo l’intervista a franco rossi e alessandro Pannitti

Chi é Franco RossiLaureato in scienze motorie, consulente e formatore azien-dale. Coach specializzato in Business Coaching – Sport Coaching – Life Coaching con un’esperienza ultradecennale sia nel mondo aziendale che sportivo

Chi è Alessandro PannittiLaureato in psicologia, forma-tore aziendale. Coach specializ-zato in Business Coaching – Life Coaching – Team Coaching con una lunga esperienza commer-ciale anche internazionale nel settore dell’abbigliamento

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• nella gestione del tempo e delle priorità operative• nella comunicazione interpersonale e nelle relazioni• nella gestione di situazioni di diffi-coltà e di cambiamento• nella capacità di gestione dello stress”.Qual’è la situazione del coaching in Italia?“recenti studi hanno rilevato che il

coaching in Italia sta già uscendo dal ristretto ambito delle grandi società multinazionali (le corporate), per dif-fondersi nel mondo delle PMI e, più in generale, nella società civile”.A chi rivolgersi per un intervento di coaching professionale? “Molte sono le società che si propon-gono alle imprese, ma non tutte svol-gono un vero intervento di coaching. Spesso tale competenza viene im-provvisata e/o mascherata sotto le ve-sti di un’attività di tipo consulenziale. Il coaching, al contrario, prevede un metodo e un percorso specifici su cui basa la propria efficacia”.Esistono società di coaching specia-lizzate nelle Marche?“In CoaCHInG, società che si pre-senta come il punto di riferimento del coaching nelle Marche, nasce dal no-stro incontro. Siamo entrambi coach professionisti, co-fondatori dell’aICP (associazione Italiana Coach Profes-sionisti), di cui alessandro Pannitti ne è vice Presidente”.Nello specifico, quali attività propo-ne IN COACHING?“In sintesi, i nostri servizi coprono tutti gli ambiti di intervento del Business Coaching, cioè:• Executive Coaching, percorso for-mativo altamente personalizzato destinato allo sviluppo personale di imprenditori, manager, professionisti, ecc… • Corporate Coaching, rivolto all’or-ganizzazione nel suo insieme, rappre-senta un intervento ideale per raffor-zare la cultura aziendale e la creazione di valori condivisi coerenti con la cul-tura stessa. • Team Coaching, rivolto ai gruppi di lavoro per sviluppare ed integrare le potenzialità della squadra e portare al massimo livello di efficienza l’intero sistema. • Scuola di Coaching, attraverso per-corsi formativi progettati ad hoc per formare nuovi manager-coach all’in-terno delle organizzazioni. di Raffaella Scortichini

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Un caso di coaching in azienda

“Pensavamo che questo tipo di promozione fosse ormai supe-rata e invece abbiamo più che raddoppiato il risultato dello scorso anno… Come è possi-bile?”Questa domanda ci è stata po-sta dopo un percorso di coa-ching effettuato con i responsa-bili di area di una nota azienda commerciale. In effetti, i risul-tati ottenuti sono eclatanti, ma in realtà sorprendono solo chi non conosce ancora le vere po-tenzialità del coaching. Il nostro intervento è stato focalizza-to sulla presa di coscienza, da parte dei capi area, di quanto determinante fosse al fine dei risultati dei propri collaborato-ri commerciali, il passaggio da un’interpretazione passiva del proprio ruolo di manager a un approccio attivo.Abbiamo così costruito un nuo-vo atteggiamento manageriale sviluppando il senso di auto-efficacia e una leadership po-sitiva. È stata introdotta una nuova e maggiore consapevo-lezza nella gestione degli obiet-tivi ed è stata attivata la cultura del riconoscimento individuale e dell’autonomia espressiva nell’ambito delle diverse fun-zioni operative. Assieme ai capi area si sono progettate inizia-tive volte alla costruzione di una visione comune e alla con-seguente condivisione degli obiettivi, dinamiche tipiche pre-senti nelle squadre di successo.A livello metodologico, infine, il lavoro è stato svolto integran-do momenti di formazione ma-nageriale a programmi di coa-ching sia individuali che di team.

è un marchio di Rossi & Co. Sas

Via Manzoni, 12 - 60019 Senigallia (An)Franco Rossi - 333.8032223

Alessandro Pannitti - 335.5492298 [email protected] - www.incoaching.it

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dopo una breve introduzione sull’attuale fenomeno for-mativo dei “Master”, finaliz-

zata a chiarirne la storia ed alcuni concetti base, parliamo in questo numero di come chi fa selezione del personale da numerosi anni per importanti aziende riconosce questo tipo di percorsi post laure-am. Intervistiamo dunque un per-sonaggio di spicco nell’economia marchigiana (ma non solo): il dott. Piero agostini, che dal 2005 è con-sulente aziendale e collabora con il Gruppo Sida nella selezione e for-mazione del personale e nell’orga-nizzazione aziendale. In relazione alla Sua esperienza professionale cosa pensa che rappresenti un Master oggi, nell’attuale contesto economico?”Il contesto economico-industriale derivante della globalizzazione dei mercati è profondamente diverso da quello di alcuni anni fa. oggi un neo-laureato ha molte difficoltà a trovare lavoro, si sente rispondere sempre più spesso “la tua laurea non è in linea con la nostra attività … dobbiamo ridurre il personale … abbiamo necessità di persone che abbiano già maturato esperienza, ecc.”. Cosa fare allora? reagire con determinazione ed intelligenza, cercando la strada più adeguata a soddisfare le proprie aspirazioni e rispondere alle difficoltà svilup-

pando il “marketing di se stessi”, con l’obiettivo di valorizzare le proprie capacità e competenze, i propri valori personali e culturali. I ragazzi devono imparare a con-frontarsi in maniera molto realistica con il mercato del lavoro e capire quanto il loro profilo sia appetibile. anche nel mercato del lavoro biso-gna battere la concorrenza eviden-ziando le proprie caratteristiche distintive e valorizzando le proprie risorse e i propri punti di forza.Per lo sviluppo del “marketing di se stessi”, il Master rappresenta certamente un percorso molto uti-

le per riflettere su chi si è, su come si è, sugli obiettivi e sugli strumenti per raggiungere tali obiettivi, per confrontarsi con gli altri”. Dopo la Sua lunga esperienza di

i masTer visTi dall’alTra ParTe della barricaTacosa ne pensa chi fa selezione del personale? siamo andati a sentire Piero agostini che, con oltre vent’anni di esperienza come responsabile della selezione, formazione, sviluppo risorse umane di indesit company, ha organizzato e gestito numerosi programmi formativi per neo-laureati e per professionals

“Per assicurarsi il vantaggio competitivo le aziende devo-no innovarsi continuamente e per questo motivo, anche per coloro che sono già in azien-da, un master rappresenta l’innovazione e l’acquisizione di nuove competenze”

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selezionatore presso importanti aziende, quali differenze ha no-tato tra coloro che hanno affron-tato un Master e coloro che non l’hanno effettuato? ”Mi vengono subito in mente gli obiettivi prioritari di un Master post-universitario, che sono quelli di completare il percorso formativo della persona in termini globali e di trasmettere valori che nelle Univer-sità non sempre vengono adegua-tamente sviluppati, quali la fiducia in sé stessi, la responsabilizzazione, il lavoro in team, lo sviluppo delle capacità decisionali, la flessibilità, la creatività e la capacità di vivere ed affrontare il cambiamento in ma-niera positiva e costruttiva. Queste sono le capacità oggi richieste ad un neo-laureato dal mercato del la-voro e la partecipazione ad un Ma-ster ne favorisce l’apprendimento. I Master, inoltre, in molti casi aiutano da un lato a sviluppare una propria visione personale e a capire meglio cosa si voglia realmente, dall’altro supportano i giovani laureati nel-la scelta dei percorsi formativi più idonei per la ricerca di un lavoro in linea con i propri obiettivi”.Secondo Lei, le aziende come valutano un ragazzo che ha fre-quentato un Master? Può fare la differenza?”Le aziende, per quanto detto pre-cedentemente e per le esperienze vissute, considerano di grande in-teresse le competenze acquisite attraverso la partecipazione ad un buon Master post-universitario; conosco delle aziende che non prendono in considerazione i gio-vani laureati se non in possesso di un’esperienza di questo tipo. oggi la velocità di cambiamento è talmente rapida che servono per-sone pronte subito, in linea con le esigenze imposte dal mercato glo-bale e capaci di gestirsi autonoma-mente in azienda”.

Ritiene che un Master possa es-sere utile anche al personale già inserito in azienda? In quale modo?”La formazione continua è di fonda-mentale importanza per tutti. Guai a fermarsi! Le risorse umane sono la chiave di successo delle aziende, di tutte le aziende. La globalizza-zione e le grandi sfide competitive ad essa collegate impongono lo sviluppo di competenze diffuse e la crescita costante del capitale intel-lettuale dell’azienda. Per assicurarsi il vantaggio competitivo le aziende devono innovarsi continuamente e per questo motivo, anche per coloro che sono già in azienda, un Master rappresenta l’innovazione e l’ac-quisizione di nuove competenze, la verifica dei propri punti di forza e di debolezza e costituisce una grande occasione in termini formativi e mo-tivazionali”.Secondo Lei sulla base di quali cri-teri andrebbe scelto un Master af-finché abbia un reale riscontro in ambito aziendale?”I criteri attraverso i quali individua-re il Master da frequentare sono legati ad importanti obiettivi: faci-litare l’inserimento nel mondo del lavoro, acquisire know how e com-petenze tali da favorire il successo in ambito professionale ed adeguare il percorso universitario effettuato alle proprie aspirazioni e capacità”.Partiamo dal primo obiettivo: faci-litare l’inserimento nel mondo del lavoro.“Certamente una più ampia ed ap-

profondita preparazione culturale e professionale offre maggiori op-portunità di farsi conoscere ed ap-prezzare dalle aziende. attraverso lo strumento dello stage, affiancato ad un valido percorso in aula dal taglio concreto ed operativo, il Master rap-presenta il trait d’union, altrimenti difficile da raggiungere, tra il giova-ne e l’azienda”.Perché Lei parla di acquisizione di know how?”Il secondo obiettivo, come dicevo, inerisce alla possibilità di acquisire know how e competenze che favo-riscano il successo professionale. a questo proposito vorrei consigliare i giovani neo-laureati in questo pe-riodo di stasi occupazionale di con-tinuare ad investire nella loro forma-zione per prepararsi in maniera più adeguata alle future opportunità professionali che la ripresa offrirà, anche per effetto della riduzione di professionals che in questo momen-to si sta verificando in tutte le azien-de”.Infine, il terzo obiettivo: adeguare il percorso universitario alle pro-prie aspirazioni e capacità.“La mia esperienza di selezionatore mi ha fatto notare come molti laure-ati non abbiano scelto facoltà in li-nea con le proprie capacità o reali aspirazioni professionali. Il Master, in questo senso, può rappresentare un efficace correttivo, e, se scelto attentamente, permette di riequili-brare le conoscenze e ridare moti-vazione ed entusiasmo, offrendo una preparazione più idonea ad af-frontare il mercato del lavoro con maggiori possibilità di successo”. di Lucia Belardinelli

“anche nel mercato del lavo-ro bisogna battere la concor-renza evidenziando le pro-prie caratteristiche distintive e valorizzando le proprie ri-sorse e i propri punti di for-za”

[email protected]

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formazione grazie ai fondi PariTeTici inTerProfessionaliintervista a sergio carbone, responsabile area fondiinterprofessionali e certificazioni di irsa (istituto per la ricerca e lo sviluppo delle assicurazioni)

Dottor Carbone, cosa sono i Fondi Interprofessionali?“I Fondi Paritetici Interpro-

fessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa promossi dalle organiz-zazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei sindacati attraverso specifici accordi interconfederali. Tali fondi finanziano piani formativi indivi-duali, aziendali, settoriali e territoriali

che le imprese possono realizzare per i propri dipendenti in varie for-me. Il meccanismo di finanziamento si fonda sul versamento volontario da parte delle imprese di una quo-ta di contributi all’Inps che vengono destinati alla formazione presso un fondo indicato dall’impresa stessa. Fondi di analoga natura sono pre-senti in altri Paesi europei già da alcuni decenni. nel nostro Paese ne sono stati ad oggi costituiti diciotto”.Perché oggi è importante parlare di Fondi Interprofessionali?“In primo luogo perché si tratta di un canale di finanziamento della forma-zione continua a tutt’oggi poco co-nosciuto dalle imprese, nonostante la normativa istitutiva risalga al 2001 e i fondi per primi costituiti operino

da più di cinque anni. C’è poi da por-re in evidenza una ragione di natura congiunturale legata alla crisi, che rende il ricorso ai Fondi Interpro-fessionali strategicamente rilevante. In periodi come questo, in cui le ri-sorse finanziare a disposizione delle imprese tendono a comprimersi, la formazione rientra tra gli investimen-ti con il rischio maggiore di venire ri-dotti o eliminati del tutto. Tuttavia, è

proprio durante i periodi di crisi che vanno mantenuti se non potenzia-ti gli investimenti in formazione per affrontare con successo gli inevita-bili cambiamenti che la crisi porta con sé e guidare il rilancio post-crisi. d’altro canto, i Fondi Interprofessio-nali sono nati come punto di sintesi tra l’esigenza di aumentare la com-petitività delle imprese e favorire il mantenimento dell’occupabilità dei

“Le imprese, soprattutto quelle piccole, da sole non riescono né ad effettuare l’analisi del fabbisogno formativo, né conseguentemente ad attivare il processo di richiesta, gestione e rendicontazione delle ri-sorse”

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lavoratori”.Ci faccia un esempio di come una Pmi potrebbe trovare utile l’utiliz-zo dei Fondi.“In questo ambito occorre precisare, in via preliminare, che ogni Fondo eroga le risorse in base a regole dif-ferenti. E’ consigliabile, quindi, prima di aderire ad un fondo, richiedere supporto ad un consulente esper-to in grado di indirizzare adeguata-mente l’impresa. Tornando all’esem-pio, è ovvio che gli investimenti in formazione producono valore sia per l’impresa, sia per il lavoratore. Una Pmi ha sempre convenienza ad iscri-versi ad un fondo per incrementare le risorse da destinare alla formazio-ne. La convenienza è maggiore poi quando l’impresa, soprattutto se medio-piccola, decide di aderire ad un Fondo che eroga risorse in base

ad un meccanismo di tipo mutuali-stico, ossia prescindendo dalla sua capacità di contribuire. In questo modo può concorrere all’assegna-zione di risorse per finanziare intera-mente anche gli interventi formativi più ambiziosi. Molti fondi, poi, mettono a dispo-sizione risorse per finanziare anche attività diverse dalla formazione tout court, come, per esempio, indagini di mercato, analisi di fabbisogno, attività di assessment, coaching ed altri strumenti molto utili ai fini for-mativi ma che il più delle volte non sono alla portata di talune Pmi”.Ma perché molti Fondi non riesco-no ad utilizzare interamente le ri-sorse di cui dispongono?“Le ragioni sono varie e differiscono da fondo a fondo. In termini generali, possiamo innanzitutto considerare il fatto che la relativa novità dei fondi li rende ancora poco conosciuti alla grande platea delle grandi imprese e delle Pmi, paradossalmente anche di quelle che vi hanno aderito. alcuni

fondi, poi, non sono ancora attrez-zati per sopperire alla mancanza di strutture di formazione interne alle imprese, soprattutto in quelle pic-cole, che da sole non riescono né ad effettuare l’analisi del fabbisogno formativo, né conseguentemente ad attivare il processo di richiesta, gestione e rendicontazione delle ri-sorse il cui impiego è peraltro assog-gettato alla vigilanza da parte del Mi-nistero del Lavoro. In generale, poi, non è ancora del tutto chiaro che i Fondi Interprofessionali differiscono in maniera sostanziale dai classici ca-nali di finanziamento della formazio-ne di tipo pubblicistico e che il loro funzionamento è più in linea con le esigenze organizzative e gestionali delle imprese”.Ci può spiegare i principali vantag-gi per le imprese nell’utilizzo dei Fondi Interprofessionali rispetto ai fondi pubblici “tout court” (Fse, Legge 236, altre linee di finanzia-mento pubblico)?“dal mio punto di vista, uno dei van-taggi principali dei Fondi Interpro-fessionali - non di tutti per la verità - è il fatto che operano a livello nazio-nale e in base a poche e semplici re-gole. Ciò comporta per le aziende il vantaggio di potersi muovere in ma-niera più agevole senza doversi fare carico di oneri amministrativi ecces-sivamente rilevanti. I fondi pubblici che lei ha segnalato vengono gestiti di norma a livello regionale e in alcu-ni casi anche a livello provinciale. Ciò significa, per esempio, per una media impresa che abbia la sede principale in Lombardia e due strut-ture produttive in regioni limitrofe, dover programmare il finanziamento della formazione facendo riferimen-to almeno a tre distinti interlocutori pubblici, con differenti tempistiche di pubblicazione dei bandi, diverse scadenze, differenti regole di gestio-ne e di rendicontazione, diversi tem-pi e regole di erogazione dei finan-ziamenti”. di Agnese Ausili

Sergio Carbone è il Responsabi-le Area Fondi Interprofessionali e Certificazioni di Irsa (Istituto per la Ricerca e lo Sviluppo delle Assicura-zioni). Si occupa di consulenza per compagnie di assicurazioni e banche nell’area dei fondi interprofessionali, del project management, dell’ana-lisi e sviluppo organizzativo, della standardizzazione e certificazione di processo di reti distributive. Saggista di Global Business (Victor Uckmar e Maurizio Guandalini), col-labora come commentatore di Ict, sviluppo economico e consulenza con radio e televisioni nazionali e straniere. Autore di numerose ri-cerche e pubblicazioni sul divario digitale, il mobile business, l’e-con-sulting, il commercio internazionale, l’euro, l’internazionalizzazione del sistema bancario ed assicurativo. E’ autore, con Maurizio Guandalini, di “Vendo capre su Internet”, testo sul divario digitale.

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ospitiamo in questo nume-ro la testimonianza del network “Fior di risor-

se” che vede coinvolti i decision makers delle aziende del Centro Italia (romagna, Marche, Toscana ed Umbria). nato circa un anno fa, dall’idea di osvaldo danzi e Luca Battistini, la community conta già 1.600 iscritti ed è considerata il primo Business Club Italiano del Centro Italia che innova il concet-to di “risorse Umane” attraverso il più importante social network professionale “LinkedIn”.L’occasione della presenza in que-sto numero è offerta dall’evento che si è svolto lo scorso 13 no-vembre a Loreto, presso il Centro “Giovanni Paolo II”, il battesimo del fuoco per “Fior di risorse area Marche”. La realizzazione dell’evento mar-chigiano è scaturita a seguito di una profonda riflessione del con-testo nel quale ad oggi tutti i ma-nager sono portati ad operare: momenti difficili in azienda, team da supportare e gestire soprat-tutto nelle situazioni più critiche, reazioni ed azioni nei contesti in cui prendere una decisione diven-ta veramente difficile; è così che nasce “Manager 2010: sangue freddo!”. “Se la paura e il panico prendono il sopravvento, il cervel-

lo non è più in grado di prende-re decisioni. Si attiva la parte più emotiva a scapito di quella razio-nale. Un buon leader deve mante-nere la calma per prendere deci-sioni efficaci” (daniel Goleman).Silvia Cingolani (regional Mana-ger Marche) e roberto Lautizi hanno realizzato il progetto ren-dendo il concetto un vero e pro-prio workshop: grazie all’inter-vento di relatori coinvolgenti e d’eccezione la serata è così diven-tata un vero e proprio momento di riflessione e formazione: sono intervenuti roberto oreficini (di-rigente della Protezione Civile re-gionale delle Marche e coordina-tore per gli aiuti delle regioni), Enrico Loccioni (Presidente del Gruppo Loccioni e responsabile della Formazione in Confindu-stria), rinaldo Cataluffi (ammini-stratore delegato Berloni Holding Spa) e Matteo dell’aira (Coordi-

natore Emergency del Centro Chirurgico per le vittime di guerra nell’ospedale di Lashkar-Gah in afghanistan). Quest’ultimo ospi-te, in particolare, è riuscito a farci leggere con occhi diversi i mo-menti di ansia e stress in azienda, che sembrano quasi un “nulla” se confrontati con sei lunghi mesi di vita in afghanistan a salvare corpi e cuori delle vittime. Come sem-pre genuini ed altamente profes-sionali i contributi di Loccioni e Cataluffi che hanno contribuito negli anni della loro lunga espe-rienza a rendere migliori le azien-de e le persone che sono potute crescere al loro fianco. Sorpren-dente il contributo di oreficini, che ci ha trasmesso concetti or-ganizzativi, umani e di gestione del gruppo nell’emergenza che da domani potremo sicuramente portare con noi in azienda e met-tere immediatamente in pratica.

Silvia CingolaniHR Manager – SGI Srl Gruppo CONADRegional Manager Fior di Risorsewww.fiordirisorse.eu

fior di risorse area marche: “manager 2010: sangue freddo!”nel numero precedente abbiamo presentato lo spazio periodico che dedicheremo alla formazione manageriale come riflessione ed ascolto delle necessità del mercato e come opportunità per redistribuire la conoscenza in una modalità sistematica ed organizzata

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SPECIALE

La crisi economica mondiale ha messo a dura prova i mercati nazionali ed internazionali. Ed

ovviamente a soffrire di più è sta-ta l’occupazione. Ma se si vanno ad analizzare più in profondità dati e proiezioni, come quelli messi a dispo-sizione da Unioncamere nell’indagine Excelsior - realizzata in collaborazione con il Ministero del Lavoro -, si notano delle strane anomalie: c’è una richie-sta di fondo di professionalità molto elevata che non trova risposte nell’of-ferta. In altre parole, si offre lavoro ma non si trova chi sia in grado di garanti-re determinate competenze.non è un segreto che sempre di più negli anni ci si sia concentrati a “sfor-nare” laureati, certo importantissimi per la crescita del Paese. L’errore è stato però dimenticarsi che sono al-trettanto fondamentali le competen-

ze di tipo pratico, manuale: non è ne-cessario solo pensare ad un progetto, bisogna poi realizzarlo e non tutto si può fare tramite pc o macchine a controllo elettronico; non basta ave-re un’idea rivoluzionaria in qualsiasi campo se poi non si hanno a disposi-zione le risorse umane per farne qual-cosa di tangibile.Ecco allora che professionalità come il commesso, il cameriere, il cuoco, il muratore, il falegname, il sarto, l’ope-raio specializzato – soprattutto del settore calzaturiero – l’elettricista, il contabile o l’infermiere, sono forte-mente richieste ma non trovano can-didati che possano rispondere alla domanda. Qualcosa di quanto meno curioso quando ci si lamenta che una delle più grosse piaghe economiche del nostro Paese sia proprio la suppo-sta mancanza di lavoro. Stesso discor-

so vale poi anche per professionisti maggiormente specializzati come i disegnatori industriali o i fisioterapisti.Insomma, c’è una sorta di ignoran-za rispetto ai fabbisogni effettivi del territorio e questo crea problemi da entrambi i punti di vista: tanti giovani laureati non riescono a trovare l’ago-gnato impiego e allo stesso tempo le aziende vanno in difficoltà perché mancano di figure chiave.I dati fornitici dall’indagine Excelsior indicano infatti che a fronte di una ri-chiesta di 2.890 operai specializzati, ben il 33,8 per cento è considerato di “difficile reperimento” dalle aziende. E le percentuali salgono vertiginosa-mente se si parla di muratori, per i quali il 53,6 per cento delle aziende dichiara di essere in difficoltà, e per i falegnami, caso in cui la percentuale sale addirittura al 75,5 per cento.

Marche, cercasi falegnaMi e Muratoriil problema occupazione è stato una nota dolente dell’ultimo anno in tutta italia e quindi anche nella nostra regione. Qual è stata la situazione nel 2009? e quali le figure professionali comunque richieste?

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Dottor Ziemacki, perché in Italia sempre meno giova-ni diventano imprendito-

ri?“Il calo del tasso di imprenditoriali-tà giovanile deriva secondo me da un fattore culturale: è la scuola a dover essere ripensata, direi riposi-zionata sulla base delle esigenze e delle caratteristiche del mondo del lavoro. Prendiamo ad esempio un Paese come gli Stati Uniti: rispetto a loro il nostro modello formativo è del tutto carente sotto il profilo dell’accompagnamento dei giovani al lavoro. Coloro che si accingeran-no a varcare le soglie di un’azienda si troveranno del tutto imprepara-ti”.Nel nostro panorama imprendi-toriale, dominato da realtà me-dio-piccole, assume quindi ancor più importanza il passaggio ge-nerazionale?“E’ vero: è senz’altro un aspetto molto delicato, che richiederebbe un serio approfondimento”.Ma tornando al rapporto tra for-mazione ed impresa, le colpe di questa situazione sono da rin-tracciare esclusivamente all’in-terno del comparto formativo?“assolutamente no: le istituzioni, e per esse intendo in primis lo Stato, hanno una grande responsabilità al riguardo. Si deve puntare di più su tutte quelle forme che agevola-

no lo sviluppo dei giovani. Come accade, ad esempio, in Gran Bre-tagna, il cui Governo sta andando incontro efficacemente alle nuove generazioni”.Restringiamo il campo: cosa non va nella formazione?“ritengo che il difetto principale sia rappresentato dal fatto che è ancora troppo impostata su ragio-namenti teorici. Questo giudizio negativo non risparmia neppure le strutture private, comprese le uni-versità: anch’esse da questo punto di vista risultano purtroppo defici-tarie. In altre parole: è un fenome-no piuttosto generalizzato, che at-traversa quasi tutte – se non tutte – le aree e le discipline”.Con un effetto che rischia di pe-nalizzare fortemente il diploma-to, il laureato o il masterizzato per molti anni.“Mi chiedo poi con quale spirito un giovane pensi di intraprendere un’attività imprenditoriale! La veri-tà è che coloro che hanno conse-guito un titolo sono poi costretti a “mendicare” – se mi è permesso utilizzare questa espressione - un posto di lavoro, anche sottopagato e per il quale si è disposti a svol-gere mansioni più che operative…. Invece, un master dovrebbe garan-tire lunghi periodi di permanen-za in azienda, dando la possibilità di “assaggiare” la vita all’interno

dell’impresa, con tutte le sue com-ponenti”.Vi sono alcune aree del Paese in cui il fenomeno è più generaliz-zato?“In linea di massima penso che quanto detto rispecchi la realtà in tutto il Paese, da nord a sud”. di Agnese Ausili

SPECIALE

“la cattiva forMazione è un’uMiliazione per il giovane”per il consulente aziendale giorgio ziemacki, lo stato non fa abbastanza per preparare i giovani ad affrontare la sfida del lavoro. e quindi anche un’idea imprenditoriale può apparire troppo rischiosa…

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La nascita di ogni attività di lavo-ro autonomo può disorientare e scoraggiare l’aspirante impren-

ditore, a causa dei numerosi adem-pimenti burocratici e delle difficoltà legate alla delicata fase di start up. Se dovessimo stilare un elenco del-le cause che possono scoraggiare slanci imprenditoriali, suggerendo l’abbandono di propositi coltivati magari per molto tempo, potremmo riempire decine di pagine: tanto si è detto a questo proposito. Sicu-ramente un fattore determinante è rappresentato dalle criticità pre-senti sia nell’individuazione del set-tore e dell’idea imprenditoriale cui puntare, sia nella valutazione delle competenze e delle conoscenze ri-chieste per svolgere le varie attività conseguenti. del pari, spesso è la mancata informazione sulle possibili fonti di finanziamento - pur presenti sul mercato ed indirizzate specifica-mente a rendere più agevole l’avvio di nuove attività – a far desistere gli interessati. a ciò si aggiungano altre cause, come la complessità dei mer-cati di riferimento, la forte concor-renza oppure la presenza di “barrie-re all’entrata” in specifici settori.Per accrescere la cultura impren-ditoriale e valorizzare il potenziale imprenditoriale, il Gruppo Sida si è fatto promotore ed è stato parteci-pe di numerose iniziative indirizzate ad agevolare l’avvio di nuove impre-

se, non soltanto a livello regionale. L’esperienza del Prestito d’onore regionale e di altre iniziative realiz-zate, hanno evidenziato la necessità di dotare di strumenti adeguati tutti coloro che hanno in mente un’inizia-tiva imprenditoriale ma che non san-no da che parte iniziare, o, peggio, ignorano gli elementi basilari del mettersi in proprio. Ciò è ancora più importante se pensiamo che sem-pre di più il lavoro autonomo e la microimpresa sono oggi considerati i principali mezzi per combattere la disoccupazione e per favorire il rein-serimento lavorativo.La scarsa “propensione imprendito-riale” degli under 30 è proprio dovu-ta a una limitata conoscenza della natura dei problemi che si potreb-bero presentare non solo nella fase

di avvio, ma anche nella gestione di un’attività imprenditoriale e, soprat-tutto, alla mancanza di metodologie che possano supportare il neo im-prenditore nella corretta individua-zione e risoluzione di tali difficoltà. da qui l’importanza di prevedere dei percorsi formativi ad hoc, delle attività di valutazione dell’attitudine imprenditoriale, dei supporti con-creti nella ricerca di adeguati finan-ziamenti che possano non soltanto favorire la creazione di nuove impre-se, ma - cosa ancor più importante - siano promotrici di iniziative impren-ditoriali di successo. Cristina Panara – Coordinatrice del progetto Prestito d’Onore Regiona-le (bando 2006-2008), Responsabile del servizio di tutoraggio - Start Up Banca Marche

Marche, un forte sostegno alle idee iMprenditorialinella nostra regione sono state realizzate importanti iniziative dirette ad incoraggiare la creazione di nuove imprese, grazie ad una efficace collaborazione tra pubblico e privato. in queste due pagine ospitiamo quindi un intervento di cristina panara, del gruppo sida di ancona, e un’intervista ad antonio secchi, funzionario della regione Marche

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Dottor Secchi, qual è stata la linea adottata dall’ente regionale ri-

spetto alla crisi?“In tale contesto molto dif ficile la regione Marche si è mossa tempestivamente sia sul fronte, per così dire, difensivo, sia sul terreno delle politiche per lo sviluppo”. In che senso difensivo?“Tutelando il più possibile i posti di lavoro esistenti, at tra-verso un ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali. Tut-te misure, queste, che vanno ad aggiungersi agli interventi adottati a roma. Ma, a par te questo lato, siamo stati presenti sin da subito per quanto riguarda gli stimoli allo sviluppo. La regione da questo punto di vista ha messo in cam-po tut te quelle misure strategi-che di sostegno alla creazione di impresa. abbiamo in sostanza persegui-to una politica di sviluppo che in un territorio come il nostro – a for te vocazione imprendito-riale – era ed è assolutamente necessario”. Scendendo nel particolare, quali sono state le iniziative intraprese?“Un anno fa furono adottate le linee-guida per il sostegno all’occupazione, nell’ambito

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e la regione? avanti con il sostegno alla creazione di iMpresela regione Marche sta dispiegando le sue forze a tutela delle aziende e dei lavoratori, come ci spiega antonio secchi, funzionario responsabile del servizio politiche del lavoro

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degli stanziamenti previsti dal Fondo Sociale Europeo (Pro-gramma 2007-2013 ). In at tuazio-ne a tale decisione, le Province hanno at tuato i principi così de-lineati dalla regione, finanzian-do la creazione di nuove impre-se. Si è in tal modo attuato un utilizzo diretto dei fondi Fse, in quanto centinaia di nuove pic-cole aziende hanno potuto be-neficiare - ed altre lo faranno nel corso del 2010 – di finanziamenti a fondo perduto”. Chi può usufruire del finanzia-mento?“In linea generale inoccupati, disoccupati e, in taluni casi, an-che lavoratori occupati che però versino in situazioni di grave dif-ficoltà, ad esempio perché posti in Cassa integrazione, sempre-ché creino una nuova impresa oppure ne rilevino una già esi-stente. a tut te queste impor-tanti iniziative si deve aggiun-gere la riedizione del Prestito d’onore regionale”.

L’edizione 2006-2007 del Pre-stito d’Onore fu un grande successo, che vide un valido sostegno, non soltanto econo-mico, a circa 500 nuove picco-le aziende. E’ possibile secon-do Lei ipotizzarne una replica, in termini di numero di bene-

ficiari?“Il nuovo Prestito d’onore, che sarà at tuato nel 2010-2011, è stato pensato e studiato pro-prio sulla base della sperimen-tazione avvenuta nella versione precedente. da par te nostra vi è stato un grosso impegno, fi-duciosi della necessità di un intervento di questo tipo che, come ha giustamente anticipa-to lei, non ha soltanto un carat-tere di tipo finanziario”.Possiamo approfondire que-sto aspetto, che fa del Presti-to d’Onore una misura in un certo senso originale?“L’obiet tivo è quello di inter-venire a beneficio di chi ha vo-glia di fare impresa, con stru-menti non soltanto finanziari ma anche in termini di servizi. Guardi che l’erogazione di ser-vizi e consulenze per un aspi-rante imprenditore o un neo-imprenditore rappresenta una fase delicatissima. Basti pen-sare che l’ insieme di queste at-tività – che prendono il nome di tutoraggio – servono anche a comprendere la fat tibilità di un’idea imprenditoriale, a ca-librare il tiro, sulla base di una serie di circostanze – temporali, spaziali, ecc. – e di conoscenze che molto spesso l’ interessato non possiede. Soltanto se ac-compagnato da esper ti nelle varie discipline egli è in grado di valutare at tentamente tut-ti gli aspetti connessi al lancio dell’ iniziativa”.Secondo Lei arriveranno a beneficiarne altre 500 nuove aziende?“Il primo finanziamento preve-de un obiet tivo di 400 aziende, però posso anticipare che vi è la volontà di rif inanziare il pro-getto. Quindi penso che alla fine il numero sarà maggiore”. di Paolo Duranti

e la regione? avanti con il sostegno alla creazione di iMprese

“grazie ad un effi-cace utilizzo delle somme messe a di-sposizione dal fondo sociale europeo, e ad una corretta collabo-razione tra regione e province, centinaia di aziende hanno po-tuto beneficiare di fi-nanziamenti a fondo perduto”

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perché i treni sono seMpre sporchi?alla tavola delle ferrovie italiane c’è da mangiare per tutti: politici, manager, intermediari, sindacalisti, grandi aziende. prima d’ora nessuno aveva avuto modo di provarlo. claudio gatti si

La pulizia dei treni? no problem. Stiamo per risolvere tutto. nell’in-tervista concessa a “Il riformista”

il 21 agosto 2008, il presidente delle Fs Innocenzo Cipolletta non aveva usato mezzi termini. non si era trince-rato dietro a un linguaggio ambiguo. aveva parlato come un manager che prende i problemi di petto e offre soluzioni con chiarezza. Sia per quel che riguardava l’esecuzione sia per la tempistica: “abbiamo svolto una serie di controlli accurati a partire dall’au-tunno scorso che hanno confermato che i servizi offerti da molte ditte delle pulizie non erano conformi alle richie-ste. Ma con loro siamo stati duri: non è stato rinnovato il contratto e a giu-gno è partita una nuova gara, stavolta europea. addirittura, controllando le ditte abbiamo scoperto che soltanto seimila lavoratori su diecimilaerano effettivi. Un fatto gravissimo”.Il giornalista gli aveva poi rivolto la do-manda più ovvia, chiedendo che cosa lo portasse a pensare che stavolta la situazione sarebbe migliorata vera-mente. Cipolletta aveva risposto con risolutezza: “Primo, perché è una gara europea e quindi la competizione è su scala più ampia. Secondo, perché è cambiato il criterio di aggiudicazione: invece che sull’offerta al ribasso, ora la scelta avviene in base alla qualità della proposta. aggiungo che i vecchi lavo-ratori saranno tutelati da una clausola sociale. noi imponiamo a chi vincerà le gare di prendersi in carico i vecchi lavoratori. E sui treni ci saranno certi-ficatori che verificheranno che chi ha

vinto l’appalto offra un servizio ade-guato. nel 2009 avremo risolto anche il problema dei treni sporchi”.Quell’ultima risposta era rimasta senza replica, ma chiunque si sia occupato seriamente del problema delle pulizie sui treni italiani avrebbe potuto antici-pare che quello descritto da Cipolletta non era un pacchetto di provvedimen-ti risolutivi. nessuna di quelle misure sarebbe bastata a portare una volta per tutte i treni italiani a un livello di decoro degno del mondo occidenta-le. al contrario, era un compendio di procedure già tentate. E fallite misera-mente.La dimostrazione più evidente che il ciclo “treni sporchi - nuova gara per le pulizie - treni ancora più sporchi” continua ininterrotto da oltre 15 anni è

venuta nell’estate del 2009, con i pro-blemi creati dall’avvicendamento tra ditte di pulizia dopo il cambio di rotta imposto dalle Fs per le “gravi inadem-pienze” riscontrate.

La soluzione? Una gara europeaIniziamo da un concetto che Cipolletta ha presentato a “Il riformista” come una panacea, e cioè la gara europea. Innanzitutto una correzione: il presi-dente disse che era partita a giugno del 2008. In realtà si era trattato di una falsa partenza. Un annuncio pubblica-to da Trenitalia Spa sul “Corriere della Sera” agli inizi di agosto di quell’an-no spiegava infatti che in seguito a “disguidi in fase di pubblicazione, il bando di gara era stato differito alle ore 13.00 del 26 settembre 2008”. In secondo luogo, il lancio di una gara europea non costituiva affatto una no-vità. Era già stata fatta nel 2001. E nel 2005. Ma non aveva prodotto alcun risultato. non un singolo operatore straniero aveva presentato un’offerta. Come mai? Per gli stessi motivi che da un decennio impediscono la soluzione del problema pulizia sui treni italiani. Che più in generale sono i motivi che rendono il nostro Paese uno dei meno attraenti per gli investitori stranieri. Perché la burocrazia è inefficiente, per-ché ci sono enormi carenze infrastrut-turali, perché ci sono imprenditori che riescono a vincere con la competizione drogata dai correttivi in corso d’opera o dagli ammortizzatori sociali. E infine, anche perché ci sono sindacati che proteggono chi abusa dei propri di-

“Prima del 2001 i servizi di pu-lizia nel settore ferroviario sono stati, per circa dieci anni, ap-pannaggio di quattro consor-zi tra loro collegati in virtù di contratti di appalto conclusi a trattativa privata nel 1992. Tale periodo è stato caratterizzato da qualità scadente e da costi decisamente superiori a quelli di mercato […]. In vista della scadenza dei contratti di appal-to, nel 2001, le società del grup-po Ferrovie dello Stato hanno proceduto a un’approfondita revisione, aggiornamento e mo-dernizzazione dei capitolati di appalto”.

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ritti.ad aiutarmi a mettere a fuoco il pro-blema sono stati, come sempre, i documenti interni del gruppo Fs. a partire dal settembre 2001 sono state indette (per la prima volta) procedu-re di gara europee, secondo quanto prescritto dalla normativa di derivazio-ne comunitaria. In realtà già l’appalto precedente, quello del 1993, era sta-to presentato al pubblico come una piccola rivoluzione: da 400 contratti si era infatti passati a 32, con quattro consorzi creati su base geografica che coordinavano il tutto. Un centinaio di imprese e 65 cooperative avrebbero dovuto garantire la pulizia di stazioni e carrozze. Ma l’affidamento era stato fatto in trattativa privata. E aveva avu-to una durata spropositata: otto anni. In più era stato concesso un contrat-to di lavoro che parificava i lavoratori delle pulizie ai dipendenti delle ferro-vie. Cosa che però non aveva turbato gli imprenditori del settore. “In quegli anni si riusciva a fare dei profitti veri” aveva spiegato in un’intervista a “Il Sole 24 ore” Giovanni Gorla, presi-dente del Consorzio nordest e del Fise, la Federazione imprese di servizi. I risultati erano stati del tutto insoddi-

sfacenti. E di fronte alle insofferenze dei passeggeri, le Fs avevano com-minato multe a valanga: negli ultimi tre anni del contratto ne erano state fatte per 47 miliardi. ovviamente tutte impugnate dalle aziende. La gara del 2001 aveva introdotto tre novità con un duplice obiettivo: ridurre i costi e migliorare la qualità. dei due obiettivi, la gara permise alle Fs di raggiungere solo il primo: la riduzione dei costi. La qualità però rimase drammaticamente inalterata. Forse anche perché i con-correnti europei non si fecero mai ve-dere. dopo aver studiato il mercato, le procedure e le normative, gli stranieri disertarono la gara. Furono rimpiccio-liti i lotti, ma le assegnazioni andarono di fatto solo a un paio di ditte e ai loro

rispettivi consorzi, cioè i gruppi Maz-zoni e di Stasio.

Nuove gare, stessa sporciziaSi arrivò alla gara del 2005. anch’essa formalmente aperta alla concorrenza europea, ma con due importanti inver-sioni di rotta: si tornava ad aggregare i lotti, che da un centinaio passavano a diciassette, e si dava meno peso al taglio dei costi e più alla qualità. Si introduceva inoltre il principio della “clausola sociale”, cioè l’obbligo per il nuovo appaltatore di assumere il personale impiegato dall’appaltatore uscente. La nuova gara fu indetta il 29 aprile 2005. E anche questa volta la fase di transizione fu disastrosa. Tra giugno e luglio 2005, l’”emergenza cimici” costrinse Trenitalia a togliere dalla circolazione quasi mille carrozze. Le aggiudicazioni definitive vennero annunciate da Trenitalia il 14 novembre 2005. E a partire da quella data, i nuovi appalti partirono in maniera scagliona-ta, salvo rarissime eccezioni.

Insetti a bordoPosto di fronte a una vera e propria emergenza pulizia, il vertice di Treni-talia decise di riaprire il portafoglio. Sebbene gli accordi quadro firmati soli pochi mesi prima non prevedessero la possibilità di riconoscere alcun corri-spettivo alle imprese appaltatrici se non a “prestazione resa”, nel consiglio di amministrazionedel 29 marzo 2006 roberto Testore, amministratore delegato di Trenita-lia, propose – e il consiglio deliberò all’unanimità – di stipulare un atto modificativo che permettesse il paga-mento anticipato. E in più la possibilità di subappaltare integralmente i cosiddetti “servizi ac-cessori” che, secondo l’accordo qua-dro, non avrebbero invece dovuto superare il limite massimo del 15 % dell’importo annuo. Ma era una china difficile da risalire. Il 20 aprile Testore convocò nel suo ufficio una riunione d’urgenza sul tema “situazione paras-

Claudio Gatti (Roma, 1955) ri-siede dal 1978 negli Stati Uniti. Inviato speciale de “Il Sole 24 Ore”, collabora con il “New York Times” e l’“International Herald Tribune”. Nel 2005 è stato il pri-mo giornalista a denunciare lo scandalo Oil for Food. È autore di altre inchieste sul terrorismo islamico, le economie illegali e la recente crisi finanziaria.

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siti e insetti a bordo treno”. In quell’oc-casione, la responsabile del Customer care, l’ingegner Maria Luisa Grilletta, riportò che nel primo trimestre dell’an-no erano stati segnalati 57 possibili casi di insetti a bordo, 17 dei quali effettiva-mente accertati. Si disse che una delle

possibili cause era il cosiddetto “baro-naggio”. E a questo proposito, il capo della sicurezza Biagianti riferì che su 84 siti di stazionamento dei treni, 22 ripor-tavano fenomeni episodici di presenza di barboni, e un paio, come Milano e napoli, di presenza costante.

A sporcare sono le ditte di puliziaCercando le radici del problema della pulizia dei treni si va al di là delle colpe e delle inadeguatezze delle imprese appaltatrici. E si scoprono le colpe e le inadeguatezze di tutto il resto: del

sistema contrattuale, dei lavoratori e soprattutto delle stesse Ferrovie dello Stato. vediamole insieme, attraverso la documentazione dell’epoca.Cominciamo dalle possibili responsa-bilità dei lavoratori, come si evince da una lettera inviata a Trenitalia il 20 giu-gno 2006 da Saes, una ditta di pulizie del gruppo di Stasio.Il grido di allarme lanciato dalla Saes spiega l’inadeguatezza della “clausola sociale”, in base alla quale un’azienda che subentra in un appalto non può portare con sé le sue maestranze, rischiando di essere ostaggio di la-voratori improduttivi della gestione precedente. La Saes, infatti, aveva “ereditato” il personale della Sofas, la ditta che l’aveva preceduta.Molti ex dirigenti delle Fs riferiscono di episodi di boicottaggio messi in atto allo scopo di creare allarme tra i viag-giatori e di suscitare clamore sui mezzi di informazione. Si scopre infatti che, mentre i manager di Trenitalia, coadiu-vati daesperti e consulenti di ogni genere, si spremevano il cervello su come fare in modo che i treni fossero puliti meglio dalle ditte appaltatrici, a napoli (ma forse anche altrove) a sporcare erano gli stessi dipendenti delle pulizie.

Da Nord a Sud, stesse contraddizio-niveniamo ora al punto più dolente: le colpe e le inadeguatezze del gruppo

SCHEDA DEL LIBROCollana: Principio AttivoEditore: ChiareletterePagine: 256Euro: 15

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Fs. È infatti noto a tutti gli addetti ai lavori che nelle stazioni e nei deposi-ti ferroviari le imprese appaltatrici e i loro dipendenti spesso non sono posti nelle condizioni di fare il proprio lavoro come dovrebbero.Lo dimostra un rapporto della Efm, società di consulenza ingaggiata da Trenitalia per svolgere attività ispet-tive nelle stazioni e a bordo dei treni. In seguito a una visita condotta il 10 e l’11 aprile 2006 negli impianti milanesi di Parco Farini, Milano San rocco, Sta-zione di Porta Garibaldi e altri dodici cantieri satellite, Efm segnala che “il corretto svolgimento delle attività di pulizia è reso difficile dalla inadegua-tezza delle infrastrutture (…). In tutte le platee [basi su cui poggiano i binari, nda] l’acqua è presente, ma è a bassa pressione (…). Esiste un impianto per il lavaggio cassa, pienamente funzio-nante, ma non ci sono né il personale né la macchina per la manovra”.Possibile che Milano fosse un caso particolarmente disgraziato? Per ap-purarlo mi sono procurato una decina

di rapporti della società Efm sulle visite fatte tra l’autunno 2005 e la primavera 2006 in impianti sparsi in tutto il Pae-se. ovunque si segnalano bocchette idriche e prese elettriche insufficienti o non funzionanti. I dettagli su tutte queste carenze – dall’acqua alle prese elettriche, dagli scarichi all’illuminazione – non sono il risultato di un’eccessiva pignoleria: sono tasselli fondamentali per com-prendere l’annoso problema delle pu-lizie.E non si può neppure dire che esista un nord efficiente e un Sud lassista: stesse contraddizioni e problemi irri-solti di un unico sistema. ai limiti e alle disfunzioni degli impianti si sommano poi errori organizzativi e manageriali. Ma forse ancor più grave è il mancato coordinamento tra Treni-talia e le ditte appaltatrici, sottolineato dall’ennesimo rapporto di Efm: “Treni che non giungono nell’impianto pre-visto e non vengono puliti, treni che arrivano in ritardo e per i quali non c’è tempo per erogare le previste opera-zioni di pulizia, imprevisto accumulo di treni da pulire in uno stesso arco tem-porale, con conseguente mancanza di operatori concomitanti”. I problemi di programmazione, continua il docu-mento, creano “un forte disequilibrio tra la domanda di servizio e l’alloca-zione dei diversi fattori produttivi: per-ché il fornitore dovrebbe prevedere un turno di dieci persone quando c’è lavoro per cinque a causa di cambia-menti nella programmazione imputa-bili a ritardi?”. Ci sono poi cause legate alle stesse operazioni di competenza di Trenitalia, prima tra tutte la “mano-vra” dei treni: “Le operazioni di puli-zia principali e approfondite vengono programmate in orari in cui il materia-le rotabile è a disposizione, spesso in orari notturni. Ciò è in disaccordo con la disponibilità di personale addetto alla manovra dei treni, che opera in turni nell’arco della giornata”.Insomma, sulla pulizia colpe e inade-guatezze erano diffuse e attribuibili a

tutti i soggetti interessati: a Trenitalia, alle ditte e ai lavoratori delle pulizie. Con un risultato cumulativo che si ri-fletteva sulla pulizia dei treni italiani. Ho dei dati precisi anche su questo. a fornirli è un Mystery Client report, uno dei rapporti settimanali della società di consulenza ingaggiata da Trenitalia per fare visite a sorpresa sui treni e ve-rificarne lo stato di pulizia e di manu-tenzione.nel rapporto dell’8 settembre 2006, in cui venivano presentati i risultati del-le ispezioni fatte sui treni nei mesi di giugno, luglio e agosto di quell’anno, emergeva che negli 80 Eurostar mo-nitorati la percentuale di carrozze con presenza di sporcizia “stagionata” era del 35 %. E gli Eurostar erano i gioielli di famiglia! Sugli altri treni la situazio-ne era decisamente peggiore. Sui 68 Intercity monitorati, la percentuale era del 52 %. Lo stesso nei treni regionali: praticamente la metà dei 1.155 convo-gli monitorati aveva segni di sporcizia stagionata.

la situazione oggiQuesta la situazione nel 2006. Ma da allora non è cambiato molto. La pulizia continua a lasciare a desiderare, e sul fronte contrattuale, come ha impru-dentemente sottolineato lo stesso presidente Cipolletta, la cosiddetta “clausola sociale”, ossia la tutela del posto di lavoro per gli addetti della gestione precedente, marine un ba-luardo indiscusso. di Claudio Gatti

“Fino al 1999, quando i dati della puntualità erano inseriti manualmente, era tutto taroc-cato. Adesso non è più così. Ma in assenza di controlli esterni, lo spazio per l’abuso permane. Nel 2008 ben 1.754 Eurostar sono arrivati in ritardo ma regi-strati come puntuali”.Testimonianza, documenti alla mano, di un ex dirigente del gruppo Fs

“A febbraio 140 lavoratori su 459 erano in cassa integrazione a rota-zione con conseguenze negative sulla produzione (…) perché a se-guito di accordi sindacali si erano determinati turni di lavoro che ve-nivano incontro a esigenze di (…) lavoratori, variamente sponsoriz-zati, senza che tutto ciò incontras-se le esigenze della produzione. (…)Come ampiamente preventi-vato, i primi giorni sono stati diffici-li, specialmente in alcuni impianti, come quello di Salerno, dove tutti i lavoratori si sono dichiarati amma-lati (…). Le attuali difficoltà sono per lo più connesse alla non volon-tà di rientro dalla Cigs dei lavora-tori, molti dei quali ricorrono alla malattia. È inutile dire che in questi giorni i dirigenti di queste società sono stati sottoposti a pressioni, minacce, ingiurie e si sonoverificati fatti anomali, regolar-mente segnalati alla Polfer (…).

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a partire dal 1° gennaio 2010 entreranno infatti in vigore regole più strin-

genti, che hanno l’obiettivo di contrastare gli abusi mediante il raf forzamento del sistema di controllo. di fatto, però, una larga platea di imprese si tro-veranno di fronte ad una mag-giore dif ficoltà ad esercitare un dirit to del tutto legittimo, quel-lo di utilizzare un credito vanta-to nei confronti dell’Erario per compensare il debito derivante da altre imposte. dal prossimo anno, per poter utilizzare in compensazione “orizzontale” il credito Iva dell’anno preceden-te per importi superiori a 10.000 euro si dovrà aspettare il 16 del mese successivo alla presenta-zione della dichiarazione Iva. dichiarazione per la quale è sta-to quindi previsto l’invio in ma-niera autonoma rispetto alla di-chiarazione dei redditi ma non prima del 1° febbraio. Ciò significa che non sarà pos-sibile utilizzare il credito Iva del 2009 fino al 15 marzo per com-pensazioni esterne. Sarà invece ancora possibile continuare ad utilizzare il credito 2008 presen-

te nella dichiarazione Iva 2009. discorso diverso per coloro che pensano di utilizzare il credito 2009 per importi inferiori alla soglia di 10.000 euro. Per que-ste imprese poco cambia ma iniziare ad utilizzare il credito prima della presentazione della dichiarazione significa dichia-

rare al Fisco che non si intende superare il limite di 10.000 euro nel corso dell’anno (fatte salve le possibili sanzioni previste per non aver atteso il termine sta-bilito). L’ar ticolo 10 del decreto-leg-ge n. 78 del 2009 (cosiddetto “decreto anticrisi”) pone però

crediti iva, stretta alle coMpensazionile scadenze di fine anno costituiranno una delle ultime opportunità per poter compensare con altre imposte i crediti iva senza particolari restrizioni

In alternativa al visto di confor-mità la dichiarazione può essere firmata dal soggetto che eser-cita il controllo contabile, ove presente

COMUNICAZIONE D’IMPRESA

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COMUNICAZIONE D’IMPRESA

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ulteriori paletti. Il primo consi-ste nelle modalità di compen-sazione dei crediti, che saranno esclusivamente telematiche. Il secondo, ben più importante, consiste nell’obbligo di appor-re un sigillo di garanzia sulle dichiarazioni Iva se si vuole uti-lizzare il credito per importi su-periori ai 15.000 euro. In alter-

nativa al visto di conformità la dichiarazione può essere firmata dal soggetto che esercita il con-trollo contabile, ove presente. I soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità sono i pro-fessionisti intermediari iscrit ti all’albo dei dottori Commercia-

listi ed Esperti Contabili e all’al-bo dei Consulenti del Lavoro, i responsabili dei Caf e i soggetti che alla data del 30 settembre 1993 risultavano iscrit ti nei ruo-li camerali dei Periti ed esperti tributari. I professionisti incaricati di ap-porre il visto dovranno verifica-re la regolare tenuta e conser-vazione delle scrit ture contabili obbligatorie e la corrisponden-za dei dati esposti nella dichia-razione con le risultanze delle scrit ture contabili. I contorni che dovrà assumere questo con-trollo sono ancora tutti da de-finire e al riguardo sono attesi chiarimenti. Ulteriori questioni ancora aperte riguardano le sanzioni applica-bili in caso di mancato rispetto della norma (compensazione di crediti oltre la soglia consentita in presenza di una dichiarazio-ne non vistata): quelle ordinarie del 30 per cento dell’importo o quelle introdotte proprio dallo stesso d.l. 78 del 2009 per l’uti-lizzo dei crediti inesistenti (dal 100 al 200 per cento del credito

utilizzato)? altro dubbio riguarda la possi-bilità di ravvedere una dichiara-zione Iva non vistata mediante una tardiva apposizione del vi-sto di conformità. Lo spirito del-la norma non sembra comunque deporre per un’interpretazione favorevole al contribuente. È evidente come il Legislatore ab-bia voluto rendere meno disin-volto l’utilizzo dei crediti Iva al fine di limitare gli abusi che si possono verificare in questo campo ai danni delle casse dell’Erario, ma la rubrica del ri-chiamato articolo 10 del d.l. 78 del 2009 recitava: “Incremento delle compensazioni dei crediti fiscali”. La dicitura potrebbe sembrare, oltre che beffarda, anche ingiustificata, sennonché la lettera b) del primo comma prevede che, tenuto conto delle esigenze di bilancio, il tetto massimo dei crediti e dei contri-buti compensabili possa essere elevato fino a 700.000 euro. Roberto AntonellaArea Fiscale Gruppo [email protected]

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verso una rivoluzione nella pubblica illuMinazionela santini impianti di senigallia è ormai un sicuro punto di riferimento nel settore degli impianti elettrici. con un’esperienza di mezzo secolo può vantare importanti commesse in tutto il centro italia. ed ora sta vincendo la sfida della riqualificazione degli impianti pubblici…

Signor Santini, quali sono le origini della Sua azien-da?

“La Santini Impianti Srl fu fonda-ta negli anni Cinquanta da Fer-nando Santini come ditta indi-viduale, con lo scopo di coprire le richieste di mercato relative all’espansione delle reti di distri-buzione di energia elettrica. Ini-zialmente il suo principale clien-te era la società U.n.E.S. (oggi Enel). Poi, nel 1990, l’azienda subì un’importante ristruttura-zione commerciale a seguito del-la quale nacque quella che oggi è la Santini Impianti Srl”.Quindi ad oggi quali sono le attività principali della Santini Impianti?“Con il tempo e l’esperienza ma-turata nei diversi settori, la nostra società spazia dalla progettazio-ne alla installazione e manuten-zione delle reti di distribuzione elettrica interrata ed aerea di li-nee elettriche di bassa, media ed alta tensione, di impianti elettri-ci, industriali, semaforici, nonché impianti di illuminazione di qual-siasi tipologia, cavidotti per linee elettriche e telefoniche, cablag-gi strutturati, reti wireless Lan/Wan, impianti eolici, fotovoltaici stand alone e grid connected. ogni lavoro viene fatto curando sempre ogni dettaglio, dal so-pralluogo alla installazione, al

collaudo dei prodotti. Cerchia-mo di offrire ai nostri Clienti un servizio impeccabile; non è un caso che il Comune di Senigallia ci abbia affidato i servizi manu-tentivi degli impianti di pubblica illuminazione per più di 25 anni. Mi preme sottolineare una carat-teristica che ci ha sempre con-traddistinto: mettiamo sempre la stessa dedizione e lo stesso im-pegno in ogni lavoro svolto”.Come riuscite a far fronte a tut-to ciò?“non è un caso che la maggior parte del nostro staff abbia un’età compresa tra i 25 e i 35 anni: sono infatti giovani moti-vati e dinamici, che credono in quello che fanno, ed è questa la nostra forza. Possiamo inoltre contare, come supporto logisti-co, su una struttura coperta di 2.000 metri quadrati e un parco mezzi che ci permette di assolve-re qualsiasi tipo di commessa in tutto il Centro Italia. Credo inol-tre che il nostro approccio, all’in-segna della serietà e del rigore, della professionalità, dell’assolu-ta attenzione all’Utente e alle sue esigenze, siano le qualità che ci contraddistinguono. del resto, il poter offrire a tutti i nostri Clienti un servizio di manutenzione ordi-naria e straordinaria sulle attività svolte rappresenti la prova tangi-bile della nostra serietà”.

Dal vostro sito risultano vari cantieri, tra i quali impianti eolici e fotovoltaici. In parti-colare, abbiamo notato la ri-qualificazione degli impianti di pubblica illuminazione del Comune di Apecchio. Di cosa si tratta?“È un lavoro concluso a maggio 2009. dopo Torraca, prima led city al mondo, apecchio - pic-colo centro di 2.100 abitanti in provincia di Pesaro - è stata la seconda città ad aderire al pro-gramma Led City® di Cree, con-tribuendo inoltre all’applicazione della normativa regionale che, com’è noto, è diretta a ridurre l’inquinamento luminoso. In tale contesto si è inserito il nostro intervento, che ha visto la sosti-tuzione di 365 corpi illuminanti che utilizzavano le vecchie ed inquinanti lampade a vapori di mercurio, con nuovi apparecchi

COMUNICAZIONE D’IMPRESA

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COMUNICAZIONE D’IMPRESA

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per illuminazione stradale ad alta efficienza energetica a Led”.Con una riduzione notevole dei consumi energetici…“non soltanto energetici ma an-che manutentivi, per non parlare dell’abbattimento dell’inquina-mento luminoso e degli effetti migliorativi in termini di sicu-rezza dei cittadini, derivanti da un’illuminazione di migliore qua-lità. I risultati ottenuti con l’intro-duzione della tecnologia a Led sono stati impressionanti: è stata stimata una riduzione fino al 70 per cento dei costi dell’energia associata ad una diminuzione fino al 66 per cento del consumo, con un conseguente calo delle emissioni di carbonio di circa 73 kg l’anno. Credo che l’importan-te progetto di riqualificazione re-alizzato ad apecchio, riconosciu-to a livello mondiale, rappresenti un esempio di successo per la

stessa città, e che sia da seguire anche da altri Comuni”.In tema di illuminazione pubbli-ca com’è la situazione in Italia e all’estero?“al momento le città che si sono “completamente rivoluziona-te” sono solo due, Torraca ed apecchio, poi… ci sono Toronto e Welland in ontario (Canada), Tianjian (Cina), Gwangju (Corea del Sud), Fairview e austin (Te-xas), raleigh e Chapel Hill (Ca-rolina del nord), ann arbor (Mi-chigan), anchorage, ala e India Wells (California): speriamo che siano soltanto le prime di una lunga serie”.Quali sono gli obiettivi futuri?“Come avrà capito teniamo mol-to all’ambiente, quindi il nostro obiettivo primario è quello di sensibilizzare i nostri Clienti all’impiego delle energie rinno-vabili. avremmo il piacere di la-

vorare insieme ad altri Comuni marchigiani nell’intento di ripro-porre quanto fatto ad apecchio. non le nascondo che stiamo prendendo anche in considera-zione la possibilità di lavorare con aziende che stanno imple-mentando nuove tecnologie nell’ambito del telecontrollo dei si-stemi di pubblica illuminazione. al momento, oltre al completamento della posa in opera di una rete in fi-bra ottica a servizio di alcuni Comuni della valle dell’Esino, stiamo ultiman-do un impianto fotovoltaico e la ri-conversione a LEd degli impianti di illuminazione di alcune vie del terri-torio comunale di Jesi. Per questo motivo crediamo molto nella possi-bilità di fare sinergia con altre aziende locali con cui stiamo cer-cando di instaurare collaborazio-ni che portino valore al nostro lavoro quotidiano”. di Agnese Ausili

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OFFERTE DI LAVORO

Gli interessati sono pregati di inviare dettagliato curriculum, con consenso al trattamento dei dati, citando in busta il riferimento a: SIDA S.r.l. Via I° Maggio • 60131 Ancona - Fax 071/2852245 • [email protected] • www.sidasrl.itConsenso: richieste di autorizzazione provvisioria alla Ricerca e Selezione del personale in corso, ai sensi del D.Lgs. 276/03. I candidati ambosessi (L. 903/77) sono invitati a leggere sul nostro sito l’informativa sulla Privacy (D. Lgs. 196/03).

Primario Tour operator di rilevanza nazionale ricerca per il proprio organico:

rif: WM/01 Web MarKeting Manager

Il nuovo collaboratore si occuperà dello studio, della valutazione e dell’attua-zione dei progetti innovativi legati allo sviluppo commerciale sul canale web; oggetto delle sue attività saranno quindi piani di marketing finalizzato a comple-tare l’approccio commerciale dell’azien-da (tradizionale) con soluzioni innovative legate al web.Il candidato ideale è un giovane pro-fessionista che ha maturato esperienze nel ruolo in oggetto o ha partecipato a percorsi formativi specifici per sviluppa-re le seguenti competenze: conoscenza e sensibilità verso le opportunità di svi-luppo commerciale legate al mondo in-ternet, capacità di valutare ed implemen-tare soluzioni e progetti con il supporto di professionisti (tecnici informatici, re-sponsabili marketing, product manager, responsabili di comunicazione ecc.).Completano il profilo creatività, una cer-ta propensione e curiosità verso l’innova-zione, passione per il mondo web e per il marketing.La sede di lavoro è nelle Marche

Primario Tour operator di rilevanza nazionale ricerca per il proprio organico:

rif: al/01 assistenti in loco L’assistente turistico avrà il compito di facilitare la prima accoglienza dei turi-sti nell’ambito dei viaggi e nel corso dei soggiorni presso Hotel e/o i villaggi.L’attività lavorativa comprende:-occuparsi dell’ accoglienza e dell’ orien-tamento degli ospiti in loco-risolvere i problemi più immediati degli ospiti (gestione delle emergenze e di ogni altra problematica del cliente)-fornire informazioni (briefing) e chiari-menti sull’organizzazione dei programmi di lavoro e di intrattenimento, sull’itinera-rio e le località da visitare in caso di viag-gi ed escursion-gestire i rapporti con tutto il personale, in modo da poter soddisfare le più dispa-rate richieste del cliente-preparare programmi, gestire il materia-le e la reportistica di contatto con la sede centraleI candidati ideale sono giovani brillanti e

dinamici, motivati ad ricoprire un ruolo particolarmente complesso di natura ge-stionale e di relazione con i clienti.Tra le competenze trasversali è impor-tante quella riferita alle lingue straniere, (indispensabile quando gli ospiti da ac-cogliere sono di differente nazionalità). altre doti e attitudini personali che si dovrebbero possedere sono buona pre-senza, comportamento educato e cor-retto, la cortesia nell’accogliere gli ospiti, la pazienza nel risolvere i loro eventuali problemi e la disponibilità a rispondere sempre alle possibili critiche.Le sedi di lavoro sono legate alle desti-nazioni turistiche di necessità; è richiesta quindi la disponibilità a frequenti trasfer-te e/o trasferimenti all’estero.

Call World l’azienda del Gruppo Sida specializzata in servizi di direct marke-ting e costumer care. Per il progetto che la vede impegnata nella gestione del Servizio di assistenza e Supporto Com-merciale al Tour operator Eden viaggi ricerca:

rif: ob/01 operatore booKing front office /Mid office Il candidato prescelto, dopo un apposito periodo di formazione in sede, al termine del quale riceverà l’attestato per la par-tecipazione al corso “ MarKETInG oPE-raTIvo: Gli Strumenti a disposizione per il marketing nel settore turismo”, sarà in-serito in gruppo di lavoro che si occupa di dare assistenza telefonica e mediante web nella vendita e nella gestione dei pacchetti turistici da parte dei principali tour operator nazionali.nello specifico ci si interfaccerà con le adv (agenzie di viaggi).Il candidato ideale, di età compresa tra i 20 e i 29 anni, diplomato e/o laureato, ha maturato esperienze similari, meglio se nell’ambito turistico (agenzie di viaggi, tour operator, call center, uffici informa-zioni ecc). Sono richieste inoltre: doti comunicative, utilizzo del pc, orientamento al cliente e precisione.La sede di lavoro è ancona.

La Sida nasce nel 1985 e da allora si oc-cupa di strategia, consulenza e formazio-ne nell’assistenza direzionale d’impresa. nell’ambito di un progetto di amplia-mento e di specializzazione dei servizi ricerca:

rif: cs/02 consulente senior-specializzazione in area turismo

Il nuovo collaboratore sarà inserito nel Gruppo di lavoro che si compone ad oggi di oltre 100 professionisti curando in autonomia e responsabilità un asset specifico di servizi destinati alle aziende del settore.Saranno quindi di sua competenza le se-guenti attività:- Studio del settore e dei servizi più sen-titi dalle aziende- Studio e analisi della concorrenza- Sviluppo del prodotto- Supervisione delle azioni di marketing e di sviluppo commerciale- Supervisione dei progetti e delle atti-vità consulenziali maturate e sviluppateIl candidato ideale è un giovane e dina-mico professionista di età compresa tra i 30 e i 40 anni, ha maturato solida espe-rienza nel settore Turismo, preferibilmen-te all’interno di Tour operator o agenzie di viaggi Strutturati (es. Sales e Marke-ting Manager, responsabile apertura – Gestione Filiali, responsabile sviluppo e gestione reti vendita). Si richiede inoltre interesse e forte moti-vazione ad operare in un contesto consu-lenziale altamente dinamico e fortemen-te orientato al lavorare per obiettivi.disponibilità a trasferte e ad incarichi flessibili completano il profilo.La sede aziendale è ancona.

Importante azienda alimentare ricerca:

RIF: PG/01 DIRETTORE VENDITE ITA-LIA Il quale, in accordo con le direttive azien-dali, sarà incaricato di collaborare con la Proprietà alla definizione delle strategie commerciali, determinando le politiche di vendita e le attività promozionali. In particolare sarà chiamato a coordinare e motivare la forza vendita al raggiun-gimento degli obiettivi di volume e fat-turato concordati. Gestirà in persona le trattative con i clienti più importanti, stabilendo i livelli di listing fee e di scon-tistica.Il candidato ideale è un manager di età compresa tra i 35 e i 45 anni, con espe-rienza pluriennale nella gestione della rete di vendita di aziende modernamen-te organizzate del settore alimentare. Una profonda conoscenza della Gdo e

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del Canale Ho.re,ca è strumento necessa-rio alla copertura del ruolo. La sede aziendale è nel Centro Italia.

Sida Group, primaria società di consu-lenza in Italia con sedi a Los angeles, du-bai e romania, ricerca:

rif: vM/14 proJect leader assistant

Il nuovo collaboratore lavorerà in affianca-mento al responsabile/coordinatore dei progetti comunitari attualmente in esse-re e curerà, seguendo tutto l’iter, l’analisi, la progettazione e la rendicontazione dei bandi europei in ambito formazione, con un focus particolare sulla romania.Il candidato ideale è un laureato preferi-bilmente in materie economiche o giuridi-che di età compresa tra i 25 e i 35 anni. Sa-ranno presi in considerazione anche altri percorsi di studio, purché accompagnati da una breve esperienza nella progetta-zione di corsi di formazione in ambito FSE e/o comunitario. Ha un’ottima padronan-za della lingua inglese e preferibilmente del rumeno.La persona che stiamo cercando è dispo-nibile a frequenti trasferte internazionali: stimiamo che dovrà trascorrere circa il 50% del tempo presso la sede in romania.determinazione, precisione, capacità di analisi e di ragionamento critico unite ad una buona attitudine al problem solving completano il profilo.Quando in Italia, il nuovo collaboratore la-vorerà presso la sede di ancona.La ricerca ha carattere di urgenza.

La Sida nasce nel 1985 e da allora si oc-cupa di strategia, consulenza e formazio-ne nell’assistenza direzionale d’impresa. nell’ ambito di un progetto di ampliamen-to e di specializzazione dei servizi ricerca:

rif: cr/10 consulente - specia-lizzazione ambito commerciale/retail Il nuovo collaboratore sarà inserito nel Gruppo di lavoro che si compone ad oggi di oltre 100 professionisti curando in auto-nomia e responsabilità un asset specifico di servizi destinati alle aziende del settore.Saranno quindi di sua competenza le se-guenti attività:- Studio del settore e dei servizi più sentiti dalle aziende- Studio e analisi della concorrenza- Sviluppo del prodotto- Supervisione delle azioni di marketing e di sviluppo commerciale- Supervisione dei progetti e delle attività consulenziali maturate e sviluppateIl candidato ideale è un professionista che ha maturato solida esperienza nel Settore commerciale - retail (es. ottica, elettroni-ca di consumo, cosmetica, servizi) curan-

do apertura e gestione di punti vendita di proprietà e/o franchising.Si richiede inoltre interesse e forte moti-vazione ad operare in un contesto consu-lenziale altamente dinamico e fortemente orientato al lavorare per obiettivi.disponibilità a trasferte e ad incarichi fles-sibili completano il profilo.La sede aziendale è ancona.

Gruppo Industriale di Grandi dimensio-ni, appartenente ad una multinazionale e con 6 stabilimenti produttivi, ricerca:

rif: ro/01 operation Manager di gruppo Il nuovo collaboratore assicurerà la com-petitività dell’assetto produttivo del grup-po,sovrintendendo per tutti gli stabilimenti collocati in Italia e all’estero le aree Tec-nico .Industriali, Produzione, Tecnica, Logistica in bound, ricerca e Sviluppo,Manutenzione e Qualità.attività:- Fisserà, in collaborazione con la direzio-ne Generale, gli obiettivi per la realizza-zione del budget di produzione e svilup-perà con i piani di implementazione per il raggiungimento degli stessi.- Collaborerà con L’area Tecnica – ricerca e Sviluppo alla realizzazione di nuovi pro-getti indicando le scelte per ottimizzare le risorse aziendali- assicurerà l’aggiornamento tecnologico degli impianti, dei processi produttivi e delle risorse utilizzate.Il candidato ideale è un professionista, di circa 35 – 45 anni che ha già ricoperto in modo significativo ruoli di alta responsa-bilità in contesti industriali complessi e strutturati, preferibilmente coordinando l’attività di molteplici siti produttivi. Prefe-ribile la provenienza da aziende operanti nel settore metalmeccanico.Sono richieste inoltre la conoscenza della lingua inglese e la disponibilità a frequen-ti trasferte sul territorio nazionale e inter-nazionale.L’azienda è in grado di offrire condizioni economiche e contrattuali che possano valorizzare anche candidature di spesso-re. Saranno prese in considerazione can-didature provenienti da tutto il territorio nazionale, purchè disponibili ad un trasfe-rimento nella regione MarcheLa sede di lavoro è nella regione Marche.La selezione ha carattere di urgenza.

azienda distributrice di prodotti semi-durevoli, ci ha incaricato di ricercare :

rif: ad/00 responsabile logistica di gruppo

Il quale dovrà garantire l’efficienza di tutti

i flussi logistici-distributivi in arrivo ed in uscita verso i clienti ed intra-gruppo, at-traverso la gestione ed il coordinamento delle risorse impiegate.dovrà inoltre occuparsi direttamente del-la programmazione della produzione e supervisionare gli aspetti inerenti la ge-stione dell’ordine.Il candidato ideale ha un età indicativa di 35 - 45 anni, con un’esperienza professio-nale nello stesso ruolo di almeno 5 anni maturata in aziende strutturate e moder-namente organizzate, preferibilmente del settore trasporti od alimentare.Costituisce titolo di preferenza la residen-za in provincia di Pesaro Urbino o zone limitrofe o comunque la disponibilità al trasferimento nell’area.Capacità di relazione e comunicazione, le-adership, forte orientamento al risultato, doti organizzative completano il profilo ricercato.La sede di lavoro è in Pesaro.

Gruppo aziendale produttore di mate-riali e prodotti per l’edilizia della provincia di Pesaro - Urbino, per il potenziamento della propria struttura ricerca:

rif: ad/97 eXport area Mana-ger settore Materiali / prodotti per edilizia

il quale, riportando all’Export Manager, dovrà occuparsi di assicurare il raggiungi-mento degli obiettivi di vendita e di profit-tabilità nell’area di competenza attraverso un costante monitoraggio del mercato e della concorrenza, selezionando e coordi-nando distributori e/o agenzie esistenti e gestendo in prima persona le trattative di vendita più importanti oltre a dover svol-gere attività di promozione verso i princi-pali studi tecnici e/o di architettura.Il candidato ideale, con età compresa tra i 30 ed i 40 anni, ha maturato un’espe-rienza di almeno 3 anni nella gestione di reti distributive estere, possiede ottima conoscenza della lingua inglese e preferi-bilmente di quella tedesca, è laureato e/o diplomato in materie economiche o con cultura equivalente ed ha buona cono-scenza degli strumenti informatici.Completano il profilo dinamismo, energia, grinta, determinazione e forte orienta-mento agli obiettivi, buono standing, ot-time capacità relazionale e comunicative e capacità di problem solvinge disponibilità a frequenti trasferte sul ter-ritorio internazionale.Costituisce requisito di preferenza la pro-venienza da aziende del settore prodotti / materiali per edilizia così come la residen-za in provincia di Pesaro - Urbino, ancona od in romagna.

La sede di lavoro (quando in azienda) è in provincia di Pesaro - Urbino.

OFFERTE DI LAVORO

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