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stefano roberto mazzatorta testo critico VAN STEENDAM · del pittore, possiamo considerare ... e...

Date post: 14-Feb-2019
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THECA GALLERY | Via Tadino, 22 – Milano – 20124 | ITALY www.theca-art.com | [email protected] [Stefano Roberto Mazzatorta | Consistenti meditazioni] www.theca-art.com | [email protected] Consistenti meditazioni / Stefano Roberto Mazzatorta Solitamente a confronto con una pittura di stesura cromatica (sia essa monocroma o policroma) losservatore avverte, dopo un eventuale iniziale scetticismo relativo alle capacità tecniche del pittore, un sentimento di certa rassicurazione: in fondo, quello che vede è una superficie definita, limitata, coperta dal colore che la invade totalmente o che ne condivide lo spazio con altri, dando vita a forme. Questa sicurezza, questa serena ovvietà, accentuata dalla piattezza del quadro, è solo parzialmente scossa quando la tela si presenta in una forma non canonica. Questo fare artistico ha numerosi antecedenti. Il concretismo novecentesco (dagli anni 30 in avanti, soprattutto quello di cui fu importante esponente Max Bill), che intendeva presentare una pittura impersonale sia dal punto di vista formale sia da quello dei contenuti, attento -soprattutto dalla metà degli anni 50- ai rapporti forma/colore, alle percezioni dello spettatore e al voler conferire allarte un valore conoscitivo razionale che le coeve esperienze informali, più votate ad esprimere una poetica rivolta a dare forma allassoluto (Newman) o a comunicare idee universali (Gottlieb, Rothko), sembravano aver messo in secondo piano; linformale, appunto, in particolare quello segnico, in cui il gesto pittorico è più meditato e riflessivo, piuttosto che impulsivo e irriflesso. Ed infine, questo tipo di pittura ha le sue radici cronologicamente più vicine nella cosiddetta pittura-pittura o pittura analitica che si sforzava di presentare -in una sorta di analisi empirica- latto stesso del dipingere e di portare in pittura lapproccio concettuale e minimalista. È con alle spalle questi illustri antecedenti, che, soprattutto negli ultimi anni, artisti di generazioni diverse stanno sviluppando una personale evoluzione; in particolare, dellultima corrente citata. Dunque, queste attuali ricerche, pur presentando stilemi tipici di momenti salienti della storia dellarte, li affrontano con un atteggiamento psicologico nuovo e li piegano a scopi diversi da quelli originari, perciò una lettura solo formale delle loro opere difficilmente potrebbe giustificare le eresiecon cui si troverebbe a fare i conti. Una di queste strade di ricerca è battuta da Stan Van Steendam, pittore belga classe 1985. Nelle opere dellautore, vive, insieme agli elementi tradizionali: la semplicità del colore e lattenzione per i materiali e per la forma, una disposizione intimistica, espressionistica la cui essenza si esterna attraverso il manufatto. Manufatto che si sforza di riportare la complessità e la vaghezza del sentire individuale a forme regolari e standard, coerentemente con una forma mentis contemporanea adusa alla scientificità. Ma è uno sforzo che non può ottenere un pieno successo: infatti, la regolarità e la perfezione delle forme è rotta da colature, dalla presenza disordinata di materiale vario e da altri accidenti che denunciano limpossibilità di una resa matematicadel proprio sentimento. In mostra sono presentate due serie di pitture scultoree: la prima, datata 2016-17 e caratterizzata da una superficie specchiante (dovuta alle resine epossidiche impiegate dallautore); la seconda, realizzata nel 2018, presenta una superficie più assorbente ed evanescente (grazie alluso della vernice). Nella prima serie, la base lignea (che costituisce il cuore dellopera e il sostegno) viene caricata di materiali vari, a cominciare dalla juta (fibra tessile che, analoga alla tela del pittore, possiamo considerare lultima rimanenza del mestiere del dipingere), e poi, via via di strati di gesso e di resina epossidica fino ad ottenere unopera liscia in superficie e ruvida ai lati, estremamente materica, capace dimporsi per una fisicità esuberante, pur con dimensioni non invadenti. Un effetto generale che invece la seconda serie, pur costituita da legno, gesso e pigmenti, e infine vernice (ma significativamente, nellottica decostruttiva che definisce queste opere, la juta non è più presente); la seconda serie -scrivevo- riesce a contenere leffetto materico, grazie al controllo che lartista ha sui materiali impiegati, dando vita ad opere ricondotte ad aspetti più minimali, più silenti e pulite; opere in cui la fisicità è meno sfacciata.
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Page 1: stefano roberto mazzatorta testo critico VAN STEENDAM · del pittore, possiamo considerare ... e sono contraltare di una parte frontale meno luminosa, ... dominato da una materia-passione,

THECA GALLERY | Via Tadino, 22 – Milano – 20124 | ITALY www.theca-art.com | [email protected]  

[Stefano Roberto Mazzatorta | Consistenti meditazioni] www.theca-art.com | [email protected]  

Consistenti meditazioni / Stefano Roberto Mazzatorta Solitamente a confronto con una pittura di stesura cromatica (sia essa monocroma o policroma) l’osservatore avverte,

dopo un eventuale iniziale scetticismo relativo alle capacità tecniche del pittore, un sentimento di certa rassicurazione: in

fondo, quello che vede è una superficie definita, limitata, coperta dal colore che la invade totalmente o che ne condivide

lo spazio con altri, dando vita a forme. Questa sicurezza, questa serena ovvietà, accentuata dalla piattezza del quadro, è

solo parzialmente scossa quando la tela si presenta in una forma non canonica.

Questo fare artistico ha numerosi antecedenti. Il concretismo novecentesco (dagli anni ’30 in avanti, soprattutto quello di

cui fu importante esponente Max Bill), che intendeva presentare una pittura impersonale sia dal punto di vista formale sia

da quello dei contenuti, attento -soprattutto dalla metà degli anni ’50- ai rapporti forma/colore, alle percezioni dello

spettatore e al voler conferire all’arte un valore conoscitivo razionale che le coeve esperienze informali, più votate ad

esprimere una poetica rivolta a dare forma all’assoluto (Newman) o a comunicare idee universali (Gottlieb, Rothko),

sembravano aver messo in secondo piano; l’informale, appunto, in particolare quello “segnico”, in cui il gesto pittorico è

più meditato e riflessivo, piuttosto che impulsivo e irriflesso.

Ed infine, questo tipo di pittura ha le sue radici cronologicamente più vicine nella cosiddetta pittura-pittura o pittura

analitica che si sforzava di presentare -in una sorta di “analisi empirica”- l’atto stesso del dipingere e di portare in pittura

l’approccio concettuale e minimalista.

È con alle spalle questi illustri antecedenti, che, soprattutto negli ultimi anni, artisti di generazioni diverse stanno

sviluppando una personale evoluzione; in particolare, dell’ultima corrente citata. Dunque, queste attuali ricerche, pur

presentando stilemi tipici di momenti salienti della storia dell’arte, li affrontano con un atteggiamento psicologico nuovo e

li piegano a scopi diversi da quelli originari, perciò una lettura solo formale delle loro opere difficilmente potrebbe

giustificare le “eresie” con cui si troverebbe a fare i conti.

Una di queste strade di ricerca è battuta da Stan Van Steendam, pittore belga classe 1985.

Nelle opere dell’autore, vive, insieme agli elementi tradizionali: la semplicità del colore e l’attenzione per i materiali e per

la forma, una disposizione intimistica, espressionistica la cui essenza si esterna attraverso il manufatto. Manufatto che si

sforza di riportare la complessità e la vaghezza del sentire individuale a forme regolari e standard, coerentemente con

una forma mentis contemporanea adusa alla scientificità. Ma è uno sforzo che non può ottenere un pieno successo:

infatti, la regolarità e la perfezione delle forme è rotta da colature, dalla presenza disordinata di materiale vario e da altri

accidenti che denunciano l’impossibilità di una resa “matematica” del proprio sentimento.

In mostra sono presentate due serie di pitture scultoree: la prima, datata 2016-17 e caratterizzata da una superficie

specchiante (dovuta alle resine epossidiche impiegate dall’autore); la seconda, realizzata nel 2018, presenta una

superficie più assorbente ed evanescente (grazie all’uso della vernice). Nella prima serie, la base lignea (che costituisce

il cuore dell’opera e il sostegno) viene caricata di materiali vari, a cominciare dalla juta (fibra tessile che, analoga alla tela

del pittore, possiamo considerare l’ultima rimanenza del mestiere del dipingere), e poi, via via di strati di gesso e di

resina epossidica fino ad ottenere un’opera liscia in superficie e ruvida ai lati, estremamente materica, capace d’imporsi

per una fisicità esuberante, pur con dimensioni non invadenti. Un effetto generale che invece la seconda serie, pur

costituita da legno, gesso e pigmenti, e infine vernice (ma significativamente, nell’ottica decostruttiva che definisce

queste opere, la juta non è più presente); la seconda serie -scrivevo- riesce a contenere l’effetto materico, grazie al

controllo che l’artista ha sui materiali impiegati, dando vita ad opere ricondotte ad aspetti più minimali, più silenti e pulite;

opere in cui la fisicità è meno sfacciata.

Page 2: stefano roberto mazzatorta testo critico VAN STEENDAM · del pittore, possiamo considerare ... e sono contraltare di una parte frontale meno luminosa, ... dominato da una materia-passione,

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[Stefano Roberto Mazzatorta | Consistenti meditazioni] www.theca-art.com | [email protected]  

Con le sue realizzazioni Van Steendam manifesta la volontà di esprimere il proprio intimo, la propria esperienza

attraverso una plasticità che alle correnti succitate si rifà, ma caricandola di altri intenti.

Forse, soprattutto nella prima serie, è rappresentato anche l’incontro tra la razionalità dello strato superiore (indicata

tramite l’effetto liscio) e l’emozionalità del supporto increspato, metafora dell’uomo attuale, il quale, avvertendo che la

sola conoscenza scientifica non basta a giustificare la vita umana intuisce di doversi (ri-)aprire ad una dimensione più

emotiva; dimensione che però non può fare a meno di provare ad esprimere attraverso un linguaggio di tipo analitico-

scientifico che ne permetta una diffusione, e forse una comprensione, più ampia.

Abbiamo la necessità di segnalare un altro importante e immediato aspetto perché esibisce una peculiarità che assicura

la piena intelligenza delle opere: tramite esse l’artista belga vuole portare alla luce le proprie emozioni più profonde, la

sua anima più recondita.

Le serie sono state concepite dall’artista in due momenti differenti, che hanno rappresentato (e rappresentano) due

periodi diversi della sua vita.

Concentrandosi e facendo fluire all’esterno i suoi sentimenti, in un periodo di evidenti apprensioni e angosce, l’artista ha

dato vita a opere molto materiche e costruite, cariche di tensione, paure e ruvidità; le quali, a dispetto della loro

brillantezza, potremmo definire solipsistiche. La superficie specchiante, infatti, “respinge” la luce, come si può respingere

una relazione, lasciandola solo sulla superficie (lo spettatore quasi si vede riflesso -respinto- dall’opera). Della seconda

serie fanno parte opere liberate dalla dirompente fisicità, scabrosità e timori di quelle antecedenti; i lati hanno un aspetto

più scorrevole rispetto a quelle, e sono contraltare di una parte frontale meno luminosa, capace di assorbire la luce, di

entrare in relazione con essa, assorbendola per metabolizzarla e rilasciarla dolcemente: emblema di una relazione che

arricchisce, che cambia l’esistenza. Opere dunque come testimonianza di una liberazione da fardelli opprimenti, che si

palesa anche con l’impiego di colori chiari -che mai sono bianchi puri (nella certezza che una totale purezza, pur nello

sforzo di cercarla, rimane al di là del risultato che può essere umanamente raggiunto), ma piuttosto grigi molto schiariti. I

lavori sono più leggeri, sembrano allusivamente lasciare le sponde del linguaggio pittorico, della sua materialità (la juta

non è più tra gli strati), quasi proclamandone l’impossibilità di farsi carico della ricerca dell’essenza invisibile. Queste

opere appaiono meno tormentate, garantiscono il passaggio ad un momento della vita in cui l’oscurità si è rarefatta, il

passaggio verso una luce positiva che libera.

In entrambi i casi, comunque, lo spettatore partecipa dell’opera.

Il lavoro che l’artista va compiendo è evidentemente una necessità interiore: Van Steendam realizza opere in sintonia

con il suo stato d’animo. Nelle sue opere, infatti, è inserito un consistente residuo emozionale e biografico, che consegue

una sorta di “riscaldamento” delle poetiche minimaliste e analitiche; un approccio che, per certi aspetti, ricorda la

partecipazione di artisti informali come Rothko o Motherwell.

La palese presenza del gesto manuale, lasciata dall'artista sui suoi manufatti, non ha la funzione di mettere in luce il

processo fattuale con cui le opere sono realizzate ma ha l’intento di trasferire in esse, rendendoli tangibili, i suoi stati

d’animo e, attraverso questo passaggio, invitare noi che guardiamo ad andare oltre lo spazio superficiale per scendere

nei precordi dell’opera stessa.

I lavori di Stan Van Steendam sono un invito rivolto ad entrare in uno spazio estetico-emozionale, dominato da una

materia-passione, di volta in volta creato grazie a vive impressioni plastiche.


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