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storia della musica

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Conservatorio C. Pollini aa 20082009 Storia generale della musica 1 1 RIASSUNTI DI STORIA GENERALE DELLA MUSICA INTRODUZIONE Questi riassunti del programma di Storia generale della musica 1 sono presi dai capitoli trattati del libro Nuova storia della musica di Riccardo Allorto. Per facilitare la comprensione e lo studio per chi già usa questo libro tutti i capitoli, sottocapitoli e paragrafi hanno mantenuto il titolo originale del libro e sono ordinati secondo l’ordine del libro stesso. CAPITOLO I – LE ORIGINI L’ETNOMUSICOLOGIA Quando parliamo di storia della musica, intendiamo di solito la storia della musica colta dell’Europa. Rimangono fuori da questo ambito: Le musiche dei popoli primitivi; Le musiche dei popoli di civiltà mediterranee e orientali; Le musiche popolari dei popoli dell’occidente europeo. Un decisivo passo avanti per il superamento di questo ostacolo fu favorito dalla registrazione sonora, resa possibile dall’invenzione del fonografo meccanico da parte di T.A. Edison (1878) e dai suoi successivi perfezionamenti fino alla registrazione su nastro. La raccolta negli archivi di queste registrazioni ha agevolato lo sviluppo di una nuova disciplina, un settore della musicologia che studia le tradizioni musicali orali di tutti i popoli. Tale disciplina prende il nome di etnomusicologia o anche musicologia comparata, in quanto uno dei suoi fini è il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei fra loro e con quelle dei popoli occidentali. L’ORIGINE DELLA MUSICA Nella seconda metà del secolo XIX e all’inizio del presente un problema che appassionò studiosi di varie discipline fu quello dell’origine della musica. Le principali tesi furono sostenute da: Herbert Spencer, affermò che la musica deriva dal linguaggio parlato; Charles Darwin, affermò che il canto dell’uomo è imitazione dei gridi degli animali, soprattutto degli uccelli, in particolare nella stagione degli amori; Fausto Torrefranca, sostiene che i suoni vocali sono il risultato di “gesti sonori” prodotti dall’organo di fonazione; Carl Stumpf, sostiene che la musica nacque dalla necessità di produrre dei “segnali” con la voce. Le teorie citate partivano dal presupposto che si potesse prospettare l’origine della musica secondo un processo unico e uguale per tutti i popoli. Fu obbiettato che è da ritenere impossibile che una realtà ricca, varia e multiforme qual è la musica possa aver avuto origini monogenetiche. Lo studio dei fonogrammi e la loro comparazione ha consentito di formulare alcuni principi della musicologia comparata. Prevale la convinzione che non sia possibile individuare le epoche nelle quali nacque la musica e che perciò lo studio si debba rivolgere “allo stadio più antico ed embrionale che sia possibile individuare”. GLI STRUMENTI DEI POPOLI PRIMITIVI Il “linguaggiosuono” si riconosce anche dalle emissioni di alcuni strumenti primitivi, quali tamburi, corni, flauti. Uno studio approfondito degli strumenti dei popoli primitivi fu compiuto dal musicologo tedesco Curt Sachs. Egli classificò gli strumenti basandosi sui caratteri morfologici e ne illustrò la distribuzione geografica culturale:
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Conservatorio C. Pollini aa 2008‐2009 Storia generale della musica 1

 

RIASSUNTI DI STORIA GENERALE DELLA MUSICA 

INTRODUZIONE 

Questi  riassunti del programma di Storia generale della musica 1  sono presi dai capitoli  trattati del  libro 

Nuova  storia della musica di Riccardo Allorto. Per  facilitare  la  comprensione  e  lo  studio per  chi  già usa 

questo  libro  tutti  i  capitoli,  sottocapitoli e paragrafi hanno mantenuto  il  titolo originale del  libro e  sono 

ordinati secondo l’ordine del libro stesso. 

CAPITOLO I – LE ORIGINI 

L’ETNOMUSICOLOGIA 

Quando  parliamo  di  storia  della musica,  intendiamo  di  solito  la  storia  della musica  colta  dell’Europa. 

Rimangono fuori da questo ambito: 

Le musiche dei popoli primitivi; 

Le musiche dei popoli di civiltà mediterranee e orientali; 

Le musiche popolari dei popoli dell’occidente europeo. 

Un decisivo passo avanti per il superamento di questo ostacolo fu favorito dalla registrazione sonora, resa 

possibile  dall’invenzione  del  fonografo meccanico  da  parte  di  T.A.  Edison  (1878)  e  dai  suoi  successivi 

perfezionamenti  fino  alla  registrazione  su  nastro.  La  raccolta  negli  archivi  di  queste  registrazioni  ha 

agevolato lo sviluppo di una nuova disciplina, un settore della musicologia che studia le tradizioni musicali 

orali di tutti i popoli. Tale disciplina prende il nome di etnomusicologia o anche musicologia comparata, in 

quanto uno dei suoi fini è il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei fra loro e con quelle dei popoli 

occidentali. 

 

L’ORIGINE DELLA MUSICA 

Nella  seconda metà del  secolo XIX e all’inizio del presente un problema che appassionò  studiosi di varie 

discipline fu quello dell’origine della musica. Le principali tesi furono sostenute da: 

Herbert Spencer, affermò che la musica deriva dal linguaggio parlato; 

Charles Darwin, affermò che  il canto dell’uomo è  imitazione dei gridi degli animali,  soprattutto degli 

uccelli, in particolare nella stagione degli amori; 

Fausto Torrefranca, sostiene che i suoni vocali sono il risultato di “gesti sonori” prodotti dall’organo di 

fonazione; 

Carl Stumpf, sostiene che la musica nacque dalla necessità di produrre dei “segnali” con la voce. 

Le  teorie  citate partivano dal presupposto  che  si potesse prospettare  l’origine della musica  secondo un 

processo unico e uguale per tutti i popoli. Fu obbiettato che è da ritenere impossibile che una realtà ricca, 

varia e multiforme qual è la musica possa aver avuto origini monogenetiche. Lo studio dei fonogrammi e la 

loro  comparazione  ha  consentito  di  formulare  alcuni  principi  della  musicologia  comparata.  Prevale  la 

convinzione che non sia possibile individuare le epoche nelle quali nacque la musica e che perciò lo studio si 

debba rivolgere “allo stadio più antico ed embrionale che sia possibile individuare”. 

 

GLI STRUMENTI DEI POPOLI PRIMITIVI 

Il “linguaggio‐suono” si riconosce anche dalle emissioni di alcuni strumenti primitivi, quali  tamburi, corni, 

flauti. Uno studio approfondito degli strumenti dei popoli primitivi fu compiuto dal musicologo tedesco Curt 

Sachs. Egli classificò gli strumenti basandosi sui caratteri morfologici e ne illustrò la distribuzione geografica 

culturale: 

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Idiofoni: strumenti a percussione diretta; 

Membranofoni: strumenti a percussione di una membrana; 

Aerofoni: strumenti azionati ad aria o fiato; 

Cordofoni: strumenti a vibrazione di corde. 

Si pose presto il problema di accrescere l’intensità dei suoni prodotti dagli strumenti, e ciò diede origine ai 

risuonatori. 

 

MUSICA E MITOLOGIA 

Gli studi di antropologia consentono di affermare che nessuna convivenza umana ignorò la musica. Quanto, 

viceversa, essa fosse importante, lo si deduce dallo studio delle mitologie, dei riti e delle filosofie dei diversi 

popoli. La musica era presente nella mitologia di  tutti  i popoli primitivi.  I cantori,  i sacerdoti,  traevano  la 

loro natura di esseri superiori dal fatto che conoscevano le leggi arcane della materia sonora, che sapevano 

pronunciare le parole, le formule, le voci, i canti magici. In un campo di pensiero più elevato si pongono le 

speculazioni filosofiche che collocano  il suono al centro di un sistema cosmogonico, che coinvolge fatti ed 

eventi di svariata natura: il ritorno delle stagioni, i punti cardinali, i fenomeni naturali, i segni dello zodiaco, 

le classificazioni degli strumenti eccetera. 

 

CAPITOLO II – LA MUSICA DELLE CIVILTA’ MEDITERRANEE E DELL’ORIENTE 

ASIATICO  

LE CIVILTA’ MEDITERRANEE 

L’Egitto 

Fin dalle più antiche dinastie, nel terzo millennio a.c., gli egiziani collegarono gli strumenti alle divinità e alle 

manifestazioni  religiose.  Anche  la  musica  profana  dell’Egitto  raggiunse  presto  un  notevole  grado  di 

sviluppo;  le esecuzioni erano affidate a cantori e a strumentisti di sesso maschile; gli strumenti più diffusi 

erano le arpe e i flauti. Della musica egiziana conosciamo assai poco, se si eccettuano gli strumenti, che ci 

sono noti grazie agli esemplari conservati nelle tombe o raffigurati nelle pitture e  illustrazioni sulle pareti 

tombali, sui vasi e nei papiri. Uno strumento assai diffuso e antico era l’arpa, un altro cordofono molto noto 

e antico era la cetra. Gli egiziani utilizzavano scale pentafoniche discendenti. Altri espressero l’opinione che 

essi conoscessero anche la scala eptafonica. Tra gli strumenti a fiato il più comune era il flauto di legno. Tra 

gli  strumenti  a  percussione,  le  castagnette  costruite  con materiali  vari,  i  sistri,  i  crotali  eccetera. Nel  III 

secolo a.c. l’egiziano Ctesibio di Alessandria inventò l’hydraulos, o organo idraulico, funzionante ad aria, ma 

sulla base del principio fisico dei vasi comunicanti. 

 

La Mesopotamia 

Anche presso  i popoli della Mesopotamia,  la musica  fu  legata alle cerimonie  religiose e agli dei vennero 

assegnati strumenti o attributi musicali. Della musica e delle usanze musicali dei sumeri, degli assiri e dei 

babilonesi  conosciamo  soprattutto  gli  strumenti. Ne  sono  stati  conservati  alcuni  esemplari  e molti  sono 

raffigurati nei dipinti, graffiti e bassorilievi. Gli strumenti più diffusi e impiegati attraverso oltre due millenni 

di storia  furono anzitutto  l’arpa, che  i sumeri avevano già condotto a perfezione costruttiva, poi  la cetra. 

Vengono poi i flauti dritti, in legno e in metallo, le castagnette, i sistri e i piatti. 

 

La Palestina 

I libri dell’antico testamento raccolti nella Bibbia sono fonti importanti per la conoscenza della musica degli 

ebrei stanziati  in Palestina: sia per  la documentazione storica, sia per  i testi di molti canti sacri. La musica 

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 ebraica  toccò  il maggior  splendore nel periodo dei  re. Davide  era un provetto  arpista  e  compose molti 

salmi. Gli strumenti più usati dagli ebrei furono il kinnor, l’ugab, lo scrofa, antenato dello strumento tuttora 

di uso rituale nelle sinagoghe. Gli studi più recenti hanno confermato che la matrice dei primi canti cristiani 

si  trova  in modi  esecutivi  e  forme  che  erano  propri  della  tradizione  liturgica  ebraica  e  sconosciuti  alla 

musica greco‐romana. Essi sono la cantillazione, uno stile di recitazione intonata, regolata dal ritmo verbale 

dei testi sacri, la quale si muove su poche note contigue;  e lo jubilius, vocalizzo, a volte molto esteso, svolto 

sulle sillabe di parole rituali. Grande spazio occupava nel culto ebraico l’esecuzione dei salmi, guidata da un 

cantore solista a capo dell’assemblea dei fedeli, coinvolti in maniere diverse di partecipazione. 

 

L’ORIENTE ASIATICO 

La Cina 

Un elemento caratteristico della musica cinese è che essa non era solo un linguaggio, ma anche un aspetto 

di una concezione cosmologica unitaria.  I cinesi  inoltre attribuivano alla musica  la capacità di  influire  sui 

costumi. Già durante le prime dinastie i cinesi aveva adottato la scala pentafonica, ma nel III secolo a.c. la 

loro  teoria  contemplava  anche  una  scala  di  12  note,  formata  dall’unione  dei  6  liu  femminili  con  i  6  liu 

maschili. I cinesi  impiegarono un gran numero di strumenti, che venivano riuniti  in organismi paragonabili 

alle  nostre  orchestre.  Le  melodie  cinesi  più  antiche  a  noi  pervenute  risalgono  all’epoca  Tang.  Molto 

apprezzate erano le danze, che avevano caratteri simbolici e si svolgevano con movimenti assai lenti. 

 

Bali e Giava 

Particolare  importanza si riconosce alla musica degli  indigeni delle  isole malesi,  in particolare Bali e Giava. 

Essi  impiegavano  in prevalenza  scale pentafoniche, di  vari generi e modi, a  volte anche  con  intervalli di 

terza maggiore e semitoni, ma anche scale eptafoniche e con temperamento equabile. 

 

L’India 

Nessuno dei popoli extraeuropei può vantare una storia musicale così estesa nel tempo e varia nella teoria 

e nella pratica quanto gli indiani. La musica ebbe sempre una grande importanza nella loro cultura. I Veda 

contengono numerosi canti dello stadio più antico. Assai complesso è il sistema musicale indiano, che risale 

al  II  secolo  a.c.  e  si  basa  su  un  numero  grandissimo  di  scale.  Base  comune  a  tutte  le  scale  è  l’ottava, 

suddivisa, come nel sistema occidentale,  in sette tra toni e semitoni. Ma  l’organizzazione di questa ottava 

era molto  complessa,  in  quanto  ognuno  degli  intervalli  era  suddiviso  in  due,  in  tre  o  quattro  srutis  o 

elementi.  Questa  articolazione  consentiva  un  numero  notevolmente  alto  di  scale  modali.  Gli  indiani 

usarono  numerosi  strumenti,  che  i  testi  indiani  raggruppavano  in  quattro  categorie.  Uno  strumento 

moderno a corde pizzicate è la sitar, affine alla vina e fornito di corde di risonanza; lo strumento ad arco più 

importante è  il sarangi, di forma tozza e quadrata, munito di 4 corde, oltre a numerose altre che vibrano 

per simpatia. 

 

CAPITOLO III – L’ANTICA MUSICA GRECA  

L’EREDITA’ DEL MONDO CLASSICO 

La civiltà europea ebbe la culla nella Grecia antica. Lo stesso si può affermare anche della musica, ma con 

una notevole limitazione. Infatti, mentre conserviamo e leggiamo poemi di Omero, le tragedie di Sofocle e 

di Euripide,  i dialoghi di Platone; mentre  sono  sotto  gli occhi di  tutti  i  resti di  architetture e  le  sculture 

greche, non sappiamo nulla della loro musica. Il sistema diatonico, con le scale di sette suoni e gli intervalli 

di tono e di semitono che sono tuttora la base del nostro linguaggio musicale e della nostra teoria, è l’erede 

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 e  il  continuatore  del  sistema  greco. Di musica  si  parla  frequentemente  nelle  fonti  scritte,  in  prosa  e  in 

poesia,  perché  intensa  era  l’attività musicale  dei  greci.  Le  fonti  narrative  e  liriche  hanno  un  riscontro 

illustrativo nelle copiose raffigurazioni di scene musicali, di strumenti, di danze che decorano anfore, piatti, 

vasi eccetera e, meno numerose, nelle sculture e nei bassorilievi. 

 

Le musiche 

La musica  veniva  trasmessa  oralmente  insieme  alle  sue  parole.  La musica  greca  delle  epoche  arcaica  e 

classica  fu  trasmessa  oralmente  e  tramandata  attraverso  la  memoria.  Aveva  i  caratteri  di  variazioni 

improvvisate, ma queste si svolgevano sulla base di nuclei melodici che fungevano da moduli; ed erano noti 

con il nome di nomoi. 

 

La notazione 

L’esistenza della notazione, che  risale  solo al  IV secolo a.c., non contraddice  la condizione di documento 

orale comune al patrimonio di canti della Grecia antica. Una tradizione millenaria ha posto all’origine della 

trattatistica greca  il nome del  filosofo e matematico Pitagora di Samo. La nostra conoscenza della  teoria 

musicale  greca  si  basa  soprattutto  sull’opera  di  Aristosseno,  ripresa  e  integrata  dagli  apporti  dei  suoi 

seguaci, chiamati “armonisti”. 

 

LA POESIA E IL CANTO – GLI STRUMENTI 

Il nome “musica” non aveva per i greci il significato che assunse in seguito. Mousiké era aggettivo derivato 

da Moũsa, e conglobava insieme la musica, la poesia , la danza, elementi di una cultura nella quale il canto 

e il suono, la parola e il gesto erano riuniti. Gli strumenti usati dai greci erano molti, ma due primeggiavano: 

la lira e l’aulo. 

 

LA TEORIA 

Metrica e ritmica 

Nella poesia greca e  in quella  latina,  invece,  la metrica era governata dalla  successione,  secondo  schemi 

prefissati, di  sillabe  lunghe e di sillabe brevi. Da questi schemi derivavano  le alternanze  tra  tempi  forti e 

tempi deboli, e quindi  il tempo. Elemento  indivisibile della metrica greca era considerato  il tempo primo, 

misura della sillaba breve. Trascritta nella nostra semiografia, la breve corrisponde ad una croma, mentre la 

lunga corrisponde alla durata di due brevi e quindi corrisponde ad una semiminima. 

 

Il tetracordo – generi e modi  

L’elemento  primario  del  sistema  musicale  greco  era  il  tetracordo,  una  successione  di  quattro  suoni 

discendenti compresi nell’ambito di un  intervallo di quarta giusta.  I suoni estremi di un  tetracordo erano 

fissi,  quelli  interni  erano mobili.  Nei  tetracordi  di  genere  diatonico  la  collocazione  dell’unico  semitono 

distingueva i tre modi: dorico, frigio, lidio. I tetracordi erano di solito riuniti a due a due e potevano essere 

disgiunti o congiunti. L’unione di due tetracordi formava un’armonia. 

 

L’EDUCAZIONE MUSICALE 

Nelle antiche costituzioni di Atene e Sparta la musica era regolata dalle leggi. La pratica della musica era per 

Platone semplice educazione, cioè paideia. 

 

LA MUSICA DEI ROMANI 

Solo dopo la conquista della Grecia la musica occupò un posto di rilevo nella vita pubblica e nei divertimenti 

del popolo romano. 

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CAPITOLO IV – IL CANTO CRISTIANO IN OCCIDENTE  

IL PRIMO MILLENNIO DELL’ERA VOLGARE 

La storia della musica occidentale durante questi dieci secoli fu povera di vicende e di accadimenti. Questa 

povertà appare ancora maggiore se  la raffrontiamo alla varietà e alla qualità dei valori artistici accumulati 

nel millennio successivo (dall’XI all’XX secolo). 

 

IL CRISTIANESIMO IN ORIENTE E IN OCCIDENTE 

I  giudei  furono ostili  ai primi  seguaci di Cristo, ma non  si può  ignorare  il  fatto  che  furono  ebrei  i primi 

convertiti  alla  nuova  fede.  È  legittimo  dunque  affermare  che  l’ebraismo  giudaico  fu  la  matrice  del 

cristianesimo e quindi della sua dottrina, ma anche della sua liturgia, delle sue preghiere, dei suoi canti. 

 

LA CHIESA OCCIDENTALE LATINA 

Le manifestazioni del culto cristiano nei primi tempi derivavano da quelle della tradizione giudaica; nessuna 

influenza  esercitò  su  di  esse  la  musica  greco‐romana.  Nella  sua  irradiazione  tra  le  popolazioni 

mediterranee,  il nuovo culto venne a contatto con  le usanze religiose e musicali delle varie popolazioni, e 

parzialmente ne  fu  influenzato e  le assorbì. Si  spiega  in questo modo  la  formazione dei diversi  repertori 

vocali  che  caratterizzarono  i  primi  secoli  del  canto  cristiano  occidentale  e  che  vennero  poi  unificati 

attraverso una lunga azione omogeneizzante, la cui paternità fu attribuita al papa Gregorio I Magno. 

 

CANTI AMBROSIANO, GALLICANO E MOZARABICO 

I primi e principali  repertori  locali del  canto  cristiano occidentale  furono  il  romano antico,  l’ambrosiano, 

l’aquileise e il beneventano in Italia; il mozarabico nella Spagna e il gallicano nella Gallia. 

 

La maturazione unitaria del canto cristiano 

Uguali e comuni a  tutte  le comunità cristiane dell’occidente che  riconoscevano  il primato del papa della 

chiesa romana avrebbero dovuto essere i riti, e quindi le preghiere e i canti. Il passaggio dai repertori locali 

ad un repertorio unico, cioè l’unificazione liturgica del canto sacro latino, richiese diversi secoli. Esso portò 

alla  formazione  di  quello  che,  dal  nome  del  grande  papa  S.  Gregorio  I  Magno,  fu  chiamato  canto 

gregoriano. 

 

IL CANTO GREGORIANO 

Un momento  importante  del  processo  di  unificazione  fu  l’incontro  tra  il  papato  romano  e  i  re  franchi 

avvenuto  nella  seconda metà  del VIII  secolo. Un  ruolo  importante  ebbe  la  schola  cantorum, ma  la  sua 

funzione primaria non  fu  la diffusione  in Europa del canto gregoriano ma servì da modello per organismi 

simili nelle principali sedi vescovili e nei maggiori monasteri. 

 

LA LITURGIA GREGORIANA 

Il nome  liturgia  indica  l’insieme dei  riti e delle cerimonie del culto cristiano, nelle  forme ufficiali stabilite 

dalla  chiesa.  Ne  sono  escluse  quindi  le manifestazioni  spontanee  e  locali  di  culto,  che  si  considerano 

paraliturgiche anche quando furono ammesse, approvate e accolte a fianco delle preghiere e delle funzioni 

“ufficiali”. Le principali cerimonie della liturgia romana sono due: la celebrazione eucaristica e gli uffici delle 

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 ore.  Sotto  l’aspetto musicale  e  liturgico,  i  brani  più  importanti  del  Proprium Missae  sono:  l’Introito,  il 

Graduale, l’Alleluja, l’Offertorio, il Communio. 

 

STILI, MODI DI ESECUZIONE E FORME MUSICALI 

La  civiltà musicale dell’occidente  incomincia  con  il  canto gregoriano. Apparentemente  le melodie  che  lo 

costituiscono  sono  molto  semplici:  in  stile  omofonico  e  prive  di  accompagnamento,  l’andamento 

rigorosamente diatonico. Nelle assemblee  sacre dei primi  secoli ebbe  largo  impiego  la declamazione dei 

salmi: 

Salmodia responsoriale; 

Salmodia allelujatica; 

Salmodia antifonica. 

Melodici sono i cinque canti dell’Ordinarium Missae, i quali presentano forme e stili diversi l’uno dall’altro. 

Le forme più importanti degli uffici delle ore sono i salmi e gli inni. Gli inni sono sillabici, melodici, strofici; 

essi rappresentano il genere di canto liturgico più popolare e più orecchiabile. 

 

LE SEQUENZE E I TROPI 

La sequenza nacque come accorgimento mnemonico costituito dall’aggiunta sillabica di un testo in prosa ai 

vocalizzi allelujatici.  I tropi  invece nacquero dalla sostituzione con testi sillabici dei melismi di alcuni canti 

della messa, in particolare del Kyrie e dell’Introito. 

 

LA TEORIA: I MODI (O TONI) ECCLESIASTICI 

Il  repertorio  gregoriano  si  basa  su  scale  eptafoniche  di  genere  diatonico  appartenenti  a  otto modi;  a 

differenza  di  quelle  greche,  le  scale  modali  ecclesiastiche  hanno  direzione  ascendente.  Ogni  modo 

autentico ha  in comune con  il suo plagale  la nota finalis, perciò ci sono quattro finali: re, mi, fa, sol. Oltre 

alla  finale, un’altra nota caratteristica è  la repercussio, o  tono di recitazione,  intorno alla quale muove  la 

melodia. La repercussio si trova di solito una quinta sopra  la finalis nei modi autentici, una terza sopra  la 

finalis nei modi plagali. 

 

I BENEDETTINI 

Per  i  benedettini  il  canto  liturgico,  insieme  alla  preghiera,  al  lavoro  e  all’insegnamento,  era  l’elemento 

fondamentale della vita della comunità. 

 

La restaurazione del canto gregoriano 

La nostra conoscenza della notazione neumatica, e quindi dei canti del  repertorio  liturgico gregoriano, è 

frutto dell’impegno nella  ricerca e nell’analisi dei  testi musicali medievali compiuta da alcuni benedettini 

che  si  raccolsero nell’antico convento di S. Pietro di Solesmes dell’età post‐gregoriana.  Il  riconoscimento 

ufficiale del lavoro dei benedettini di Solesmes fu il Motu proprio con il quale papa Pio X riconosceva, come 

privilegiati della liturgia cattolica, il canto gregoriano e la polifonia cinquecentesca. 

 

CAPITOLO V – LA POLIFONIA  

Il canto a più voci era sconosciuto ai primi cristiani. Il desiderio di rinnovare il canto liturgico senza alterare 

la purezza melodica favorì il diffondersi dell’uso di accompagnare con altre melodie il canto sacro. Nacque 

in tal modo la polifonia vocale, che fu una delle più importanti conquiste della musica medievale. 

 

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 GLI INIZI 

La prima  fase di  sviluppo della polifonia vocale va dal  secolo  IX alla metà del  secolo XII; durante questo 

periodo  il  contrappunto muove  i primi passi  e nascono  le prime  forme polifoniche.  La più  antica  forma 

polifonica  fu  l’organum  che  procedeva  parallela  a  distanza  di  una  quarta  o  di  una  quinta.  Le  due  voci 

potevano  anche  essere  raddoppiate  all’ottava.  In  un  altro  tipo  di  organum  la  vox  organalis  iniziava 

all’unisono con la vox principalis, poi si allontanava da essa fino ad una quarta, procedeva parallelamente a 

distanza di detto  intervallo,  infine  chiudeva  all’unisono. Nel  secolo XII  in  alcuni  centri di  vita  religiosa  si 

affermò una nuova  forma,  l’organum melismatico. Al  grave  si  collocava  la melodia originale  gregoriana, 

eseguita a valori  larghi, praticamente senza durate prestabilite; sopra di essa si muoveva  la vox organalis, 

con ricche melodiche fioriture. 

 

L’ARS ANTIQUA 

Con  l’ars antiqua  la polifonia vocale  sacra esce dalla  fase delle origini e degli esperimenti per affermarsi 

compiutamente. Due  furono  i  fattori  che  favorirono  la diffusione del  canto a più voci e  la  creazione del 

notevole numero di composizioni polifoniche che furono realizzate durante l’ars antiqua: 

L’affermazione della notazione sul rigo; 

L’assunzione di convenzioni o di regole che consentivano di determinare i valori di durata delle note e i 

rapporti relativi tra esse. 

 

La scuola di Notre‐Dame 

Tra il 1150 e il 1350 il più importante centro europeo di musica polifonica fu la cappella musicale di Notre‐

Dame a Parigi. La forma polifonica più importante coltivata dai maestri di Notre‐Dame fu l’organum, ma gli 

organa  di  Léonin  e  Pérotin  sono molto  diversi  da  quelli  del  periodo  precedente. Un  tipo  particolare  di 

composizione era la clausula, una sezione di organum costruita su un frammento melismatico di un tenor. 

Le clausulae non erano composizioni autonome: erano inserite in un organum e potevano, a piacere, essere 

sostituite  da  un’altra  clausula  sullo  stesso  tenor.  Nel  conductus  il  tenor  era  sempre  d’invenzione  e 

procedeva  con  lo  stesso  ritmo delle voci  superiori;  il  testo aveva  svolgimento  sillabico.  I  conductus  sacri 

erano impiegati soprattutto come canti processionali. 

 

Il mottetto 

La  forma musicale  che  sostituì quelle della  scuola di Notre‐Dame a partire dal 1250  ca.  fu  il motetto:  il 

maggior numero di composizioni di questo periodo e della  successiva ars nova  francese erano motetti o 

brani composti nello stile del motetto. 

 

CAPITOLO VI – LA NOTAZIONE MEDIEVALE  

L’ORIGINE 

La notazione è per la musica quello che la scrittura alfabetica è per le parole: un sistema coordinato di segni 

con  i quali  si  scrivono  sul  rigo musicale  gli  elementi del discorso musicale,  principalmente  l’altezza  e  la 

durata dei suoni. La notazione si definì con notevole ritardo rispetto alla nascita delle musiche e dei canti. 

La formazione della notazione avvenne nell’ambito della civiltà occidentale; la notazione che usiamo ormai 

da  quattro  secoli  è  il  risultato  di  un  lungo  processo  di  trasformazioni,  incominciate  alla  fine  del  primo 

millennio. L’altezza delle note  fu sviluppata con  la notazione neumatica all’epoca di Guido d’Arezzo  (sec. 

XI). Un secolo più tardi si cominciò ad avvertire l’esigenza di una notazione che definisse, oltre che l’altezza, 

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 la  durata  dei  suoni.  Nacque  così  la  notazione modale  che  impiegò  i  segni  della  notazione  neumatica 

quadrata; ad essa seguì la notazione mensurale. 

 

LA NOTAZIONE NEUMATICA 

I canti del repertorio gregoriano ci furono tramandati con un tipo di notazione chiamata neumatica. 

 

La scrittura chironomica 

Affinché i cantori potessero ricordare meglio le melodie del repertorio che dovevano eseguire durante i riti, 

si  tracciarono sulla pergamena dei  libri  liturgici, al di sopra delle sillabe da cantare, segni molto semplici. 

Essi erano derivati probabilmente dagli accenti grammaticali, soprattutto l’accento acuto e l’accento grave. 

Questa scrittura, stenografica e allusiva, fu chiamata chironomia;  la sua utilità era  limitata alla funzione di 

stimolo mnemonico. 

 

Dai neumi “in campo aperto” alla diastemanzia 

A partire dai secoli IX – X, nelle parti d’Europa nelle quali si diffuse il canto cristiano d’occidente, i neumi si 

vennero definendo  in segni grafici differenziati. Un notevole passo avanti fu compiuto con  l’introduzione, 

nello  spazio  disponibile  sopra  alle  parole  del  testo,  di  una  o  più  linee  aventi  un  preciso  valore  tonale. 

Decisiva fu  l’introduzione delle chiavi, che erano collocate davanti a una delle  linee e stabilivano  l’altezza 

precisa della nota posta su quella linea e conseguentemente anche delle altre note, sopra e sotto la linea. 

 

I neumi quadrati 

La diestemazia perfetta fu raggiunta quando si adottò il rigo di 4 linee nel quale, come avviene per il nostro 

pentagramma, i neumi si scrivevano sia sulle linee sia entro gli spazi. Il rigo di 4 linee o tetragramma portò 

al rapido declino delle grafie caratteristiche della varie famiglie neumatiche e all’unificazione della scrittura. 

Infatti, in tutti i libri corali posteriori all’XI secolo furono impiegati neumi di forma quadrata. 

 

IL NOME DELLE NOTE E LA NOTAZIONE ALFABETICA 

Boezio fu probabilmente il primo trattatista del medioevo che impiegò le lettere dell’alfabeto latino, da A a 

P, ma esclusivamente per segnare i punti di suddivisione del monocordo. Oddone di Cluny (sec. X) applicò la 

notazione alfabetica al sistema perfetto dei greci; differenziò graficamente le ottave, impiegando le lettere 

maiuscole per la prima ottava, le lettere minuscole per la seconda ottava, le doppie minuscole per la terza; 

distinse il suono B (si) in rotondo o molle (bemolle) e quadrato o duro (diesis), creando così la successione 

di suoni che Guido d’Arezzo pose poi alla base della sua teoria. 

 

LE NOTAZIONI POLIFONICHE NERA E BIANCA 

La  definizione  grafica  dell’altezza  delle  note  era  stata  risolta,  come  abbiamo  visto,  con  l’adozione  della 

notazione sul rigo di quattro linee e l’uso delle chiavi. Rimaneva da risolvere il problema della durata, cioè 

dei valori di tempo e i rapporti ritmici. La notazione della musica polifonica d’insieme evolvette insieme alle 

forme  contrappuntistiche,  dall’organum  primitivo  a  Palestrina,  e  queste  mutazioni  furono  frequenti  e 

incalzanti  fino  alla  fine del  secolo XIV.  Le  fasi più  importanti,  tra  la  fine del  secolo XII  e  la  fine del XIV, 

corrispondono  ad  alcuni  tipi  di  notazione  nera,  così  chiamata  perché  i  segni  delle  note  erano 

completamente anneriti, come  lo erano  i neumi dai quali derivavano:  la notazione modale e  le notazioni 

mensurali. La notazione nera  fu  in uso  fin verso  la metà del  secolo XV, quando  si diffuse  l’impiego della 

carta, che era meno spessa della pergamena, molto usata in precedenza. Sulla carta si scrivevano meglio e 

più  rapidamente  le  note  bianche,  limitate  ai  contorni. Questo  spiega  il  nome  di  notazione  bianca,  che 

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 differisce dalla precedente per la sostituzione delle note nere con le note bianche. Essa fu impiegata dalla 

metà del secolo XV fino alla fine del XVI. 

 

LA NOTAZIONE MODALE (I modi ritmici) 

I segni della notazione quadrata gregoriana furono impiegati, ma con funzioni metriche, nelle composizioni 

della scuola di Notre‐Dame. 

LE NOTAZIONI MENSURALI 

La notazione franconiana 

L’atto  di  nascita  della  moderna  notazione  ritmica  è  costituito  dal  trattato  Ars  cantus  mensurabilis  di 

Francone  di  Colonia.  L’importanza di  questo  trattato  è data  dalla  chiarezza  con  la quale  esso offre una 

sistematica giustificazione, al tempo stesso logica e ideale, delle innovazioni che i compositori della seconda 

metà del secolo XIII introducevano nelle loro opere. 

 

La notazione dell’Ars nova francese 

All’inizio del secolo XIV in Francia venne introdotto un nuovo valore, la semibrevis minima o, minima, di cui 

si trova notizia per la prima volta nello Speculum musicae di Jacobus di Liegi. 

 

La notazione dell’Ars nova italiana 

La notazione  italiana del Trecento, a differenza di quella coeva  francese che discendeva per  linea diretta 

dalla  notazione modale,  prefranconiana  e  franconiana,  sembra  sorgere  dal  nulla.  Le  regole  definite  nel 

Pomerium in arte musicae mensuratae di Marchetto da Padova non hanno antecedenti teorici in Italia. 

 

CAPITOLO VII – GUIDO D’AREZZO E LA TEORIA DELLA MUSICA  

TEORIA E PRATICA 

Le opere degli scrittori medioevali che  trattarono di musica si distinguono  in due gruppi, che per brevità 

chiameremo    dei  teorici  e  dei  trattatisti,  a  seconda  che  nei  loro  scritti  prevalga  l’aspetto  speculativo  o 

quello della pratica. La cultura ecclesiastica dell’alto medioevo pregiava solo  il momento speculativo,  l’Ars 

musica, erede e continuatrice delle tradizioni della teoria greca. Mediatore tra il mondo classico e il mondo 

medioevale  fu  Severino  Boezio.  Nelle  opere  dei  teorici  venivano  svolti  soprattutto  argomenti  che  noi 

definiremmo  filosofici, psicologici e matematico‐acustici; mancavano  invece  riferimenti alla pratica e alla 

musica del tempo. 

 

TEORICI E TRATTATISTI 

Secondo il pensiero di Boezio, tre sono i generi di musica e in ciascuno sono presenti i principi di ordine e di 

armonia che reggono l’universo: la musica mundana, la musica humana e la musica instrumentalis. Questa 

trattazione ebbe grande fortuna durante tutto il medioevo e improntò la speculazione teorica della musica 

fino al rinascimento. L’attività dei teorici e dei trattatisti ebbe uno sviluppo crescente dopo  l’XI secolo. Gli 

argomenti  che  essi  trattarono  con maggior  frequenza  ed  ampiezza  sono  il  contrappunto  e  la  notazione 

ritmica. 

 

GUIDO D’AREZZO 

Guido d’Arezzo  fu  il  trattatista  e didatta più  autorevole di  tutto  il medioevo;  la  sua opera mirò  a  scopi 

pratici;  l’impronta da  lui  lasciata nella didattica della musica  fu assai profonda e nei secoli successivi egli 

godette di tale fama che la voce popolare lo additò come creatore della musica. 

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L’esacordo 

Guido d’Arezzo, dopo aver contribuito a definire  le notazioni alfabetica e neumatica, elaborò un metodo 

per  facilitare  ai  cantori  l’apprendimento  delle  melodie  scritte  sul  rigo.  Questo  metodo,  chiamato 

solmisazione, si basa sopra  l’esacordo. Egli  lo derivò dalle sillabe e note  iniziali di ognuno dei sei emistichi 

che  compongono  la  prima  strofa  dell’Inno  di  San Giovanni.  La melodia  di  questo  inno  era  ben  nota  ai 

cantori perché S. Giovanni era  considerato  il  loro protettore.  L’esacordo  si dimostrò di grande utilità ed 

importanza nell’insegnamento ai  chierici perché aveva  la  funzione di modello  fisso della  successione dei 

toni e dei semitoni. 

 

La solmisazione 

Nella  pratica  musicale  esistevano  però  altri  due  semitoni.  Come  indicarli?  Guido  risolse  il  problema 

applicando  l’esacordo alla successione dei suoi  impegni nella pratica esecutiva dei suoi contemporanei. In 

tale modo tutti i semitoni venivano sempre indicati con mi‐fa. Si ebbero perciò 3 esacordi duri, 2 esacordi 

naturali e 2 esacordi molli. Questo procedimento fu chiamato solmisazione; esso rimase in vigore fino al XVI 

secolo ed anche oltre. 

 

La mutazione 

L’importanza della  solmisazione  consisteva nel  fatto  che essa  consentiva ai cantori di  leggere e  intonare 

canti nuovi o comunque sconosciuti. Trovandosi invece ad affrontare una melodia che superava l’ambito di 

un  esacordo,  essi  procedevano  nello  stesso modo, ma  applicavano  la mutazione  degli  esacordi. Questa 

veniva effettuata nei punti in cui si passava da un esacordo all’altro, sostituendo le sillabe dell’esacordo da 

cui proveniva con le sillabe del nuovo esacordo. 

 

La mano guidoniana 

La  pratica  della  mutazione  presentava  considerevoli  difficoltà,  e  pertanto  i  posteri  ne  agevolarono 

l’apprendimento  con  l’ingegnoso  sistema  della  mano  armonica  o  guidoniana,  secondo  il  quale  la 

successione dei suoni veniva fatta corrispondere alle falangi e alle punte delle dita. 

 

CAPITOLO VIII – CANTI SACRI E CANTI PROFANI  

Fino al  termine del primo millennio dell’era volgare  il  canto  sacro  latino ebbe  solo  funzioni  liturgiche, e 

l’impiego della musica era stabilito dall’organizzazione ecclesiale secondo le esigenze dei riti. La situazione 

mutò  a  partire  dal  secolo  X  quando,  a  fianco  del  repertorio  gregoriano,  incominciarono  ad  affermarsi 

monodie  sacre,  sia  in  latino  sia nelle  lingue volgari. Nella  stessa epoca apparvero  i primi canti profani  in 

latino, ma un maggior sviluppo ebbe successivamente  la  lirica profana nelle nuove  lingue d’oc e d’oil e  in 

alto‐tedesco. 

 

I DRAMMI LITURGICI LATINI 

Il  bisogno  di  teatro  si  fece  di  nuovo  avvertire  nel  clima  culturale  creato  dalla  cosiddetta  Rinascenza 

carolingia  (sec.  IX) e  si  realizzò nelle chiese con azioni  sacre.  Il passaggio dal mondo  liturgico al dramma 

sacro rappresentato si attuò gradualmente a partire dal secolo X  in alcune chiese della Francia.  I testi dei 

drammi  liturgici erano  in  latino:  in prosa, o  in versi, o  in prosa e versi mescolati. I materiali melodici con  i 

quali  sono  costituite  le parti musicali dei drammi  liturgici  sono  vari, pur derivando  tutti dall’unica  vasta 

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 matrice del repertorio gregoriano. In alcuni dei codici che ci hanno tramandato dei drammi liturgici, oltre al 

testo del dialogo e della musica (scritta in notazione neumatica), sono riportate minuziose didascalie, quasi 

note di regia, le quali prescrivono anche i movimenti che devono compiere gli attori. I molti drammi liturgici 

si diffusero soprattutto nei maggiori centri religiosi francesi, in Baviera e in alcune parti dell’Italia. 

 

I CANTI SACRI NELLE LINGUE NEOLATINE 

Le laude tosco‐umbre 

Il primo  testo poetico   della civiltà  letteraria  italiana  fu  il Cantico di  frate Sole che S. Francesco scrisse  in 

volgare umbro nel 1224. Dai movimenti di spiritualità collettiva ed itinerante di alcune confraternite laiche 

che,  intorno alla metà del  secolo,  si aggregarono  in  varie  città,  soprattutto dell’Umbria e della Toscana, 

ebbe origine  la produzione poetico‐musicale della  lauda. La struttura poetica della  lauda era quella della 

ballata, che si prestava all’esecuzione alternata fra solista e coro. 

 

Le cantìgas spagnole 

Coeve  alle  popolari  laude  tosco‐umbre  furono  le  Cantìgas  di  Santa Maria,  importante  documento  della 

pietà religiosa iberica. Le Cantìgas furono scritte in gallego perché questa era la lingua usata per la lirica. La 

forma poetica era affine a quella del virelai francese, formato da ritornello e strofe. 

 

I CANTI LATINI PROFANI 

Durante  l’alto medioevo nei giochi e negli  spettacoli dei mimi e dei giullari erano  certamente  impiegate 

musiche vocali e strumentali. Della loro musica, che sappiamo gradita tanto ai castellani che al popolo, non 

conosciamo nulla. Si conservano, invece, alcuni canti profani in latino dei secoli IX e X, che ci sono pervenuti 

in notazione neumatica, non  facilmente decifrabili. Nei secoli XI‐XIII si diffusero anche  i canti dei goliardi, 

studenti  nomadi  in  Francia,  in  Inghilterra  e  soprattutto  in  Germania.  Parecchi  di  questi  canti  sono 

conservati  nei  manoscritti  del  tempo;  scritti  in  latino  volgare  e  in  alto‐tedesco,  inneggiano  al  vino, 

all’amore, alla natura. 

 

LA LIRICA PROFANA: TROVATORI, TROVIERI E MINNESÄNGER 

Il primo movimento poetico‐musicale europeo 

A  partire  dall’anno Mille  si  diffusero  in  Europa  le  nuove  lingue  nazionali  le  quali  negli  usi  quotidiani 

soppiantarono  il  latino  volgare.  Dalla metà  del  secolo  XI  in  Francia  e  Germania  esse  trovarono  anche 

impiego  letterario  e  diedero  vita  a  produzioni  liriche  nella  quali  musica  e  poesia  si  univano.  Questo 

movimento artistico sorse nelle regioni meridionali della Francia ad opera dei trovatori; essi si esprimevano 

nella  lingua d’oc, o provenzale,  che  fu  la prima  lingua  letteraria dell’Europa dopo  il  greco  e  il  latino.  Si 

estese ai  trovieri che vivevano nella Francia settentrionale e usavano  la  lingua d’oïl e successivamente ai 

minnesänger  i quali, nella  fascia meridionale dei paesi germanici, poetavano nella  lingua medio – alta – 

tedesca.  La musica  procedeva  insieme  ai  versi,  sottolineandone  la  struttura, ma  non  era  strettamente 

legata  ad  essi.  Il  patrimonio  di  composizioni  che  ci  è  pervenuto  è  notevole.  Esse  sono  conservate  in 

manoscritti, a volte riccamente decorati, chiamati canzonieri. 

 

Poesia e musica nelle corti feudali 

Le  opere  dei  trovatori  –  trovieri  – minnesänger  sono  lo  specchio  fedele  dei  costumi  e  delle  gerarchie 

operanti  nella  società  cortese,  ed  essi  contribuirono  ad  esaltarli  e  a  difenderli.  I  poeti  – musicisti  che 

creavano  i  repertori  lirici  francesi  furono  chiamati  trovatori  e  trovieri,  nomi  che  rimandano  al  nostro 

trovare,  e  tutti  insieme  al  latino medioevale  tropare,  cioè  comporre  tropi. Molti  trovatori  –  trovieri  – 

minnesänger, oltre a comporre, eseguivano anche le loro canzoni, ma l’esecuzione e la diffusione delle loro 

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 liriche era più  frequentemente affidata ai menestrelli. Essi  cantavano,  suonavano e danzavano. Avevano 

esistenza per lo più nomade, e questo assicurava la diffusione delle composizioni trovadoriche. 

 

I trovatori 

La  lingua d’oc si diffuse nelle province meridionali della Francia. La  forma poetica più comune e solenne 

nella quale era celebrato l’amor cortese fu la cansò, composta di varie strofe o stanze, la cui struttura era 

simile a quella degli  inni. Altre  forme della poesia  trobadorica  furono:  i  sirventès, di  contenuto politico, 

morale e anche  religioso;  il planh,  in  cui  si  lamentava  la morte di un personaggio  illustre;  la  tenso o  joc 

parti,  dialogo  amoroso  tra  un  uomo  e  una  donna;  l’alba,  commiato  mattutino  di  due  innamorati;  la 

pastorella, corteggiamento di una pastorella da parte di un cavaliere; i ductia e le estampida, forme a ballo 

strumentali. I trovatori di cui conosciamo il nome sono circa 450 e di essi i canzonieri ci hanno tramandato 

oltre 2600 testi poetici, ma appena 350 melodie, conservate per la maggior parte in quattro codici. 

 

I trovieri 

Poeti – musicisti nella  lingua d’oïl,  i  trovieri  furono attivi nella Francia  settentrionale.  I generi della  lirica 

trovadorica, a cominciare dalla chanson, desunta dalla cansò, con la frase iniziale eseguita due volte ma con 

diversa  conclusione:  prima  aperta  e  poi  conclusiva.  Alla  scarsa  originalità  dei  circa  4000  componimenti 

poetici, scritti da circa 300 trovieri, corrisponde la relativa uniformità delle oltre 1700 melodie. Esse ci sono 

state tramandate da 24 manoscritti dei secoli XIII e XIV e da numerosi frammenti. 

 

I minnesänger 

I poeti  – musicisti  che,  a partire dal 1170  circa,  svolsero  in  alto  – medio  –  tedesco  i  concetti dell’amor 

cortese furono fortemente influenzati dai modelli ideali e formali francesi. Il modello artistico al quale essi 

diedero vita si chiamò Minnesang; minnesänger fu sinnonimo di trovatore e troviero. 

 

L’INTERPRETAZIONE RITMICA: DIFFICOLTA’ E IPOTESI 

I codici che conservavano le melodie sacre e profane sono scritti in notazione quadrata su righi di quattro 

linee. Tale scrittura, come sappiamo, indica l’esatta altezza dei suoni, e quindi lo svolgimento melodico dei 

canti, ma non definisce  il  ritmo e  la durata dei  suoni. Questo problema è  stato affrontato, da più di un 

secolo a questa parte, senza che siano state raggiunte soluzioni convincenti e accettabili. 

 

CAPITOLO IX – IL TRECENTO: L’ARS NOVA  

LA SECOLARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’ E DELLA CULTURA – LA MUSICA PROFANA 

Fino a tutto il secolo XIII la società medioevale era stata governata dai principi del primato della religione. 

Anche  la musica,  sia monodica  sia  polifonica,  era  destinata,  con  grande  prevalenza,  ai  riti  sacri  e  alle 

celebrazioni religiose. Il distacco dal passato fu più rapido ed evidente nei campi dell’espressione letteraria 

e  artistica.  Se  l’ispirazione  religiosa  aveva  animato  una  parte  notevole  delle  letterature  in  latino  e  nei 

volgari del Duecento, nelle opere del Trecento prevalse l’ispirazione profana. La produzione musicale sacra 

fu nel Trecento  inferiore e meno  importante delle  creazioni profane.  Influì  su questo  capovolgimento  la 

crisi politica e  religiosa. Notevole peso ebbero  le  critiche  che  si erano  levate all’interno della Chiesa nei 

confronti della pratica contrappuntistica applicata ai brani del repertorio liturgico. 

 

 

 

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 L’ARS NOVA FRANCESE 

Ars nova è da  intendere nel significato medioevale: ars non voleva dire arte, ma tecnica, sistema, e nova 

era l’opposto di antiqua, una contrapposizione familiare nella filosofia del tempo, che l’aveva derivata dalla 

distinzione della Bibbia  in Antico e Nuovo testamento. La novità della musica a più voci diffusa  in Francia 

all’inizio  del  secolo  XIV    riguardava  anzitutto  la  notazione:  la  pari  dignità  riconosciuta  alla  divisione 

imperfetta (binaria) dei valori rispetto alla divisione perfetta (ternaria), e l’aggiunta ai valori della notazione 

franconiana  di  quelli  della minima  e,  più  tardi,  della  semiminima.  La  forma  più  importante  fu  ancora  il 

mottetto, molto spesso elaborato secondo gli artifici del contrappunto. Il mottetto francese del Trecento e 

dell’inizio del Quattrocento ebbe  funzioni  celebrative, e  come  tale era eseguito  in  importanti  cerimonie 

pubbliche;  esprimeva  lodi  nei  confronti  di  personaggi  autorevoli  o  deplorazioni  nei  confronti  di  altri;  fu 

spesso  anche  un  documento  politico  o  di  denuncia morale.  I  testi  poetici  di molti mottetti  sono  a  tal 

proposito assai eloquenti. 

 

Guillaume de Machaut 

Diplomatico, poeta e musicista, Guillaume de Machaut fu il più importante compositore del secolo XIV e il 

primo della storia della musica europea. Machaut  lasciò un’imponente produzione  letteraria,  in versi e  in 

prosa, e 142 composizioni musicali, raccolte in 6 manoscritti elegantemente redatti e illustrati. Si ritiene che 

le composizioni musicali siano tutte posteriori al 1340. 

 

L’ARS NOVA ITALIANA 

In Italia e in altre parti d’Europa la tecnica di elaborazione del contrappunto e della notazione si era fermata 

ad un grado di  sviluppo elementare. Studi  recenti hanno messo  in  luce che nelle  cappelle musicali delle 

nostre cattedrali pa pratica polifonica sacra durante il secolo XIII consisteva nel cantus planus binatim: una 

melodia del repertorio  liturgico era accompagnata da un’altra melodia,  improvvisata o scritta. Le due voci 

procedevano nota  contro nota,  a  ritmo  libero.  Si  ritiene  che  verso  la  fine del  secolo  XIII  l’influsso della 

cultura  francese nell’Italia  settentrionale abbia  contribuito a  sviluppare  la  creazione polifonica. L’influsso 

francese  si  rivela  anche  nelle  composizioni  dei  pochi  mottetti  latini  aventi  intento  celebrativo.  La 

produzione polifonica sacra  fu assai scarsa durante  la nostra Ars nova. La quasi totalità della produzione, 

infatti,  è  profana,  e  ciò  nonostante  che  la  maggior  parte  dei  compositori  appartenesse  ad  ordini 

ecclesiastici. Le principali fonti musicali dell’Ars nova italiana sono sei codici, tra cui il Panciatichiano 26, che 

contiene 151 composizioni e il Reina 6771, che contiene 104 composizioni. 

 

L’ambiente culturale 

L’Ars nova italiana crebbe al di fuori delle cattedrali e delle istituzioni ecclesiastiche. L’ambiente nel quale si 

formò e  crebbe  l’Ars nova  italiana  fu quello della nuova  cultura,  la  cultura  cioè  che aveva dato evidenti 

segnali con la poesia del Dolce stil novo e con la pittura di Giotto. 

 

Le forme e i compositori 

Lo  stile delle  composizioni dell’Ars nova  italiana differisce nettamente da quello della  coeva produzione 

francese.  Nelle musiche  d’oltralpe  è  sempre  presente  un  disegno  costruttivo  che  governa  gli  elementi 

strutturali.  Invece  nelle  composizioni  italiane  c’è  maggior  libertà,  distesa  scansione  melodica,  fluidità 

ritmica. Questi tratti sono comuni ai madrigali, alle cacce, alle ballate. Con il ritorno del papato da Avignone 

a Roma e negli anni dello scisma d’Occidente  furono  frequenti gli arrivi  in  Italia di cantori stranieri, e ciò 

favorì l’espandersi dello stile manierista francese, a fianco delle ultime affermazioni dello stile italiano. 

 

 

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 GLI STRUMENTI DEL MEDIOEVO E LA MUSICA STRUMENTALE 

Le testimonianze a partire dal secolo XII abbondano di riferimenti, descrizioni e raffigurazioni di strumenti 

musicali. Una  parte  notevole  delle musiche  del  tempo,  nella  pratica  quotidiana,  erano  eseguite  sia  dai 

cantori sia da strumentisti. Un musicista, quando scriveva una composizione,  la pensava per  l’esecuzione 

vocale  e  in  rapporto  al  testo  che  la  accompagnava, ma  riteneva  legittimo  e pacifico  che  la  si  eseguisse 

altrimenti.  Così  si  spiega  perché,  prima  del  secolo  XVI,  fossero  pochissimi  i  manoscritti  contenenti 

composizioni destinate all’esecuzione strumentale. L’elenco dei principali codici è assai breve. Lo strumento 

più  importante  fu  l’organo. Reintrodotto  in Europa da Bisanzio nel 757 d.c., dal  IX  secolo  fu usato nelle 

chiese, e divenne lo strumento liturgico per eccellenza. 

 

CAPITOLO X – IL QUATTROCENTO: LE SCUOLE NORDICHE DEL CONTRAPPUNTO  

LO SVILUPPO DEL CONTRAPPUNTO 

Le  conseguenze  della  lunga  guerra  si  ripercossero  con  l’economia  e  sulla  cultura  francese;  e  anche  la 

creazione musicale, dopo alcuni secoli di primato, subì una lunga eclissi. Contemporaneamente era giunto a 

naturale conclusione in Italia il movimento poetico ‐ musicale che ave a prodotto l’Ars nova. 

Il baricentro dell’arte musicale si spostò più a nord; in Inghilterra, ma specialmente in Borgogna e poi nella 

Fiandra. Crebbe nuovamente l’importanza della produzione sacra; si affermarono le cappelle musicali che a 

poco a poco sostituirono le scholae anche nell’usuale pratica del canto gregoriano. 

 

Le cappelle musicali e i cantori 

L’esecuzione delle composizioni a più voci presentava ormai difficoltà rilevanti che solo i complessi formati 

da cantori professionisti erano in grado di affrontare. Questa nuova esigenza favorì l’istituzione di cappelle 

musicali nelle basiliche e nelle cattedrali di molte città della cristianità. 

Sembra che uno dei primi modelli sia stata la cappella fondata ad Avignone verso metà del secolo XIV per il 

servizio del culto del papa; dopo il ritorno in Italia della curia papale, la cappella fu trasferita a Roma dove 

ebbe nuovo rigoglio a partire dal 1420. 

Centri  di  formazione  famosi  per  la  bravura  dei  loro  cantori  furono,  dalla  seconda metà  del  secolo,  le 

cappelle musicali di Borgogna e della Fiandra. 

 

STILI E FORME 

L’affermazione del contrappunto imitato 

La  tecnica  della  composizione  contrappuntistica  che  fu  poi  adottata  dai massimi maestri  della  polifonia 

rinascimentale, barocca e del nostro  secolo  fu definita durante  il  secolo XV. Essa  si basa  sul principio di 

imitazione. 

Il  contrappunto  imitato  consiste  in  questo:  in  una  parte  o  voce  di  una  composizione  viene  esposto  un 

motivo o soggetto, chiamato dux o antecedente; lo stesso motivo o soggetto risponde, più o meno variato 

in un’altra parte o voce. 

L’imitazione è tuttora il principale artificio del contrappunto, e ne prevede diversi tipi. I principali sono: gli 

andamenti  per moto  retto  o  per moto  contrario;  retrogrado  per moto  retto  o  per moto  contrario;  per 

aumentazione o per diminuzione. 

I maestri del secolo XV chiamavano l’imitazione canone. 

Nel canone mensurale una stessa melodia era eseguita simultaneamente da più cantori, con ritmi e durate 

diversi, prescritti da differenti segni mensurali. 

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 Nei  canoni  enigmatici  si  esponeva  solo  il  soggetto  o  il motivo musicale  che  aveva  funzione  di  dux  o 

antecedente, mentre  la  risposta  non  era  espressa  dalla  notazione, ma  celata  sotto  un  indovinello  da 

risolvere. 

 

Messe, mottetti, chansons 

Si è detto che nel secolo XIV era cresciuta, in Francia e in Italia, l’importanza delle composizioni polifoniche 

profane. Lo sviluppo di cappelle musicali nelle cattedrali di molte città dell’Europa occidentale durante  il 

secolo  XV  portò  alla  crescita,  di  numero  e  di  importanza,  delle  composizioni  sacre,  particolarmente  le 

messe e  i mottetti, mentre nelle chansons confluirono tutti o quasi  i generi profani. Nacque così  il tipo di 

composizione a 4 parti vocali. 

La messa si affermò definitivamente come  la forma più ampia e articolata di composizione polifonica per 

merito di Dufay e dei maestri delle generazioni successive alla sua. 

All’inizio del secolo XV il mottetto era una forma comune alla produzione sacra e profana a 3 o 4 voci. Sotto 

l’aspetto formale, il mottetto era organizzato come una successione di più brani concatenati, in ogniuno dei 

quali era sviluppata una frase del testo letterario. 

Nella  chanson  confluirono  le  precedenti  forme  profane  di  contenuto  amoroso  e  con  il  testo  in  lingua 

francese: il rondeau, le ballade, il virelai. Di solito la chanson era a 3 voci: cantus, contratenor e tenor. 

 

LA SCUOLA POLIFONICA INGLESE 

A  partire  dal  secolo  XII  in  Inghilterra  si  era  venuta  affermando  una  scuola  che  adottava  procedimenti 

contrappuntistici  differenti  da  quelli  continentali;  essi  si  caratterizzavano  per  l’impiego  di  procedimenti 

paralleli di terze e seste. 

Furono  i  teorici  inglesi dell’inizio del  secolo XIV  a  riconoscere  come  consonanti  gli  intervalli di  terza,  gli 

stessi che erano impiegati in uno dei più antichi monumenti della polifonia inglese. 

Nel  secolo XIV  le composizioni  inglesi erano per  lo più a  tre parti e muovevano per  intervalli paralleli di 

terze e di seste intercalati, soprattutto nelle cadenze, da intervalli di ottava. 

Il compositore inglese più famoso fu John Dunstable. 

Dunstable  esercitò un profondo  e duraturo  influsso  sui  compositori della  sua  epoca  tanto  che  alcuni  lo 

considerarono il primo musicista del Rinascimento. 

 

LA SCUOLA I BORGOGNA 

Nei decenni intorno alla metà del secolo acquistarono importanza alcuni compositori che si è soliti indicare 

con  il nome collettivo di Scuola di borgogna perché  il centro,  reale ed  ideale, della  loro attività erano  le 

cappelle musicali dei duchi di Borgogna. 

Il mecenatismo di  Filippo  il Buono,  tra  il 1420 e  il 1467,  fece della  cappella musicale borgognana  la più 

splendida e ammirata d’Europa. I suoi principali esponenti furono Guillaume Dufay e Gilles Binchois. 

 

Guillaume Dufay 

Formatosi  in una delle cappelle più celebrate della sua epoca, arricchitosi a contatto con  lo stile musicale 

italiano,  nutrito  di  vaste  esperienze  culturali,  nella  musica  del  suo  secolo  Dufay  occupò  il  posto  di 

protagonista. 

La forza della sua personalità si rivela  in tutti  i generi trattati, ma  la sua personalità  innovatrice si  impose 

soprattutto nelle messe. 

Dufay  fu  il primo  compositore  che  superò  le angolosità e  le asprezze  “gotiche” del  contrappunto  tardo‐

medioevale, esprimendosi in uno stile di maggior naturalezza melodica. 

 

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 I MAESTRI FIAMMINGHI, DA OCKEGHEM A FOSQUIN DES PREZ 

I compositori e i cantori fiamminghi 

Con  il nome di  “fiamminghi”  si  indicano genericamente  i musicisti dei  secoli XV e XVI  che nacquero e  si 

formarono nelle cappelle musicali delle città della Fiandra, regione che corrisponde alle provincie centro‐

meriodionali dell’Olanda e del Belgio di oggi e ad alcune province settentrionali della Francia. 

La favorevole condizione finanziaria d quelle città si specchiò nella costruzione delle cattedrali e, all’interno 

di esse, delle cappelle musicali al cui mantenimento provvedevano i più abbienti cittadini. 

Le  cappelle musicali  della  Fiandra  divennero  a  culla  e  il  vivaio  dei  più  ricercati  cantori  e  dei maggiori 

compositori. 

Durante  questo  periodo  le  cappelle  musicali  papale  e  delle  principali  cattedrali,  al  pari  di  quelle 

dell’imperatore,  del  re  di  Francia,  dei  più  nobili  signori  d’Italia,  erano  dirette  dai maestri  fiamminghi  e 

formate  in massima parte da  cantori  fiamminghi;  ed  erano opera di  compositor  fiamminghi  le messe,  i 

mottetti, le chansons che si eseguivano. 

 

Johannes Ockeghem 

Il primo importante compositore dopo Guillaume Dufay fi Johannes Ockeghem, nato intorno al 1420 nella 

Fiandra orientale. 

Ockeghem è ricordato come il più esperto dei compositori fiamminghi che svilupparono i più sottili artifici 

della scrittura canonica. Questa abilità egli manifestò in modi esemplari nella Missa prolationum nella quale 

sono variamente combinate le indicazioni di tempo, e nella Missa. 

I valori musicali della sua opera fanno però passare  in secondo piano  la sua abilità di contrappuntista, ed 

essi sono oggi valutati più giustamente che in passato. 

 

Josquin des Prèz 

Josquin des Prèz  fu una personalità centrale della musica polifonica vocale del Rinascimento.  I  teorici da 

Gaffurio  al  Glareano,  gli  scrittori  dal  Castiglione  a  Cosimo  Bartoli  gli  riconobbero  una  posizione  di 

preminenza  che  andò  ben  al  di  là  della  notorietà  conseguita  dalle  sue  composizioni,  anche  dopo  che 

l’invenzione della stampa musicale ebbe loro assicurato ampia diffusione. 

Le sue composizioni si distinguono da quelle dei predecessori e dei contemporanei per la cura con la quale 

egli perseguì l’equilibrio delle strutture compositive, ottenuto anche variando l’articolazione dei vari episodi 

nelle singole opere. 

Ma  il merito  storico di  Josquin  è  l’attenzione da  lui posta, per  la prima  volta nella  storia musicale, nell 

stabilire rapporti di coerenza espressiva tra il testo poetico o letterario e l’invenzione musicale. 

Per  questi  meriti  Josquin  des  Prèz  è  considerato  il  primo  musicista  del  Rinascimento;  l’integrazione 

espressiva  tra  la parola e  il canto che egli per primo perseguì  fu un principio al quale,  in modi diversi, si 

rifecero i compositori europei della successiva generazione. 

 

I loro contemporanei 

Tra i compositori fiamminghi contemporanei di Ockeghem e fi Josquin des Prèz emersero Obrecht, Isaac e 

Pierre de la Rue. 

 

 

 

 

 

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CAPITOLO XI – LA POLIFONIA SACRA NEL CINQUECENTO  

IL CULMINE DEL RINASCIMENTO 

Il vocabolo Rinascimento fu coniato intorno alle metà del secolo scorso da due grandi storici, Jules Michelet 

e  Jacob Burckhardt, per  indicare  la  civiltà artistica e  il pensiero  fioriti, prima  in  Italia e poi  in altre parti 

d’Europa, nei secoli XV e XVI. 

 

La musica e la civiltà rinascimentale 

Adottato inizialmente per la storia dell’arte, il rinascimento fu successivamente esteso ad altri settori della 

cultura, e quindi anche alla musica. Ma  che  cosa  si  intende,  con precisione, per musica  rinascimentale? 

Musica composta nel periodo rinascimentale o musica ispirata alle idealità e alla cultura del Rinascimento? 

La musica e  la  cultura musicali erano presenti  in  tutte  le manifestazioni della  vita politica e  sociale: nei 

luoghi pubblici e in privato, nelle chiese, nei palazzi e all’aperto, non c’era aspetto della vita quotidiana che 

non fosse accompagnato dalla musica. 

Ma un’importanza non minore ebbe la musica nei diversi contesti liturgici creati dalle confessioni riformate, 

soprattutto quella luterana. 

Nella società profana, la musica fruì di uno spazio ancora più ampio. La crescita della musica strumentale è, 

in piccola parte, legata alla fortuna e alla diffusione della danza, ma composizioni per voci e per strumenti 

avevano un ruolo importante in tutte le manifestazioni, ufficiali e di rappresentanza dei potenti. 

Un  aspetto  nuovo  della  civiltà  musicale  del  Rinascimento  fu  il  bisogno  diffuso  di  “fare  musica”  per 

intrattenimento da parte degli amatori. 

 

La stampa musicale 

Nel Rinascimento non  si  sarebbe avuta  l’ampia diffusione  che  la musica  conobbe,  se nel  frattempo non 

fosse stata inventata la stampa musicale, che rapidamente sostituì l’attività degli amanuensi. 

Il  fossombronese Ottaviano  Petrucci  diede  inizio  alla  storia  dell’edizione musicale  stampando  a Venezia 

l’Harmonice musices Odhecaton, una raccola di 96 chansons a 3‐4 voci di compositori fiamminghi. 

Più pratico si rivelò  il sistema di stampa  in un’unica  impressione adottato dal parigino Pierre Attaingnant 

per pubblicare, a partire dal 1528, raccolte di musiche vocali e di musiche per strumenti a tastiera. 

 

LA TRADIZIONE FIAMMINGA 

Nel Cinquecento  le maggiori cantorie della Fiandra continuarono a  formare cantori che venivano assunti 

nelle cappelle d’Italia, di Francia, di Germania e di Spagna e ne costituivano l’ossatura. Anche i compositori 

fiamminghi conservarono il primato, segnatamente nel genere sacro, per tutta la prima metà del secolo, e 

alcuni mantennero una notevole autorità e influenza anche dopo quel termine. 

Fedeltà  alle  concezioni  tradizionali  della  scuola  fiamminga,  soprattutto  nello  stile  mottettistico, 

contrassegna la produzione Ludwig Senfl, Nicolas Gombert e Jacobus Clement. 

Maggiore e più complessa fu la personalità del loro coetaneo Adriano Willaert, nato forse a Bruges nel 1490 

ca. e morto a Venezia nel 1562. 

Il maggior musicista fiammingo e uno dei più importanti compositori del secolo fu Orlando di Lasso, nato a 

Mons nell’Hainaut nel 1532, morto a Monaco di Baviera nel 1594. 

La produzione musicale di Orlando di Lasso si  impone all’ammirazione per  la sua vastità, unita alla varietà 

dei generi trattati. Essa riassume l’esperienza dell’intera musica polifonica continentale della seconda metà 

del secolo XVI. 

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 Nelle messe  Lasso non  toccò  la profondità di Palestrina.  L’aspetto  religioso della  sua personalità  si  fece 

valere soprattutto nei mottetti, che si impongono per il ben modellato profilo dei temi e la rispondenza del 

componimento musicale agli stimoli e suggerimenti del testo. Analoghi caratteri mostra la sua produzione 

profana. 

Tra i musicisti fiamminghi della generazione di Lasso sono da ricordare Filippo de Monte e Giaches de Wert. 

 

L’APICE DELLA POLIFONIA SACRA 

Intorno alla chiesa di Roma, nella seconda metà del Cinquecento la polifonia sacra toccò gli esiti artistici più 

alti. 

La solida tradizione del contrappunto fiammingo diede vita al nuovo stile polifonico europeo. 

La  semplificazione del contrappunto vocale  si attuò nello  stile a cappella, cioè per  sole voci:  il  raggiunto 

equilibrio  e  la  pari  dignità  e  importanza  delle  voci,  fondate  sul  quartetto  portò  a  quella  purificazione 

espressiva che è il carattere peculiare di questa civiltà artistica. 

Definitasi  in  Italia,  soprattutto entro  la  scuola  romana e  intorno a Palestrina,  la polifonia  sacra  cattolica 

nello stile a cappella si sviluppò nelle cattedrali delle altre città italiane ed in altri paesi. 

 

La scuola romana 

Dalla seconda metà del secolo XV  i papi avevano dedicato assidue cure allo sviluppo e al potenziamento 

delle cappelle musicali costituite presso le basiliche romane. 

Intorno a Palestrina i più affermati musicisti della scuola romana, maestri delle maggiori cappelle e autori di 

composizioni polifoniche  liturgiche  furono: Costanzo  Festa, Giovanni Animuccia, Giovanni Maria Nanino, 

Felice Aniero. 

La scuola polifonica romana protrasse la sua attività anche nella prima parte del secolo XVII, distinguendosi 

per la policoralità di gusto barocco. L’esponente più noto di questa tendenza fu Orazio Benevoli, il quale nel 

1628 compose per il duomo di Salisburgo una messa a 53 voci. 

 

Giovanni Pierluigi da Palestrina 

Palestrina fu molto apprezzato e imitato dai contemporanei. 

Durante l’epoca barocca si chiamò “stile alla Palestrina” l’insieme dei caratteri che contrasegnavano il suo 

contrappunto. Esso fu adottato dai contemporanei nella composizione sacra e preso a modello dai maestri 

delle successive generazioni. 

Il  culto  di  Palestrina  crebbe  notevolmente  durante  il  Romanticismo.  Fu  anche  alimentato  da  alcuni 

compositori romantici, che riconobbero nella sua opera la più alta perfezione congiuntamente raggiunta dal 

sentimento religioso e della polifonia vocale. 

L’opera di Pelestrina è costituita quasi  interamente da composizioni polifoniche su testo  latino, destinate 

alle cantorie per i servizi sacri cattolici. 

Il vasto catalogo si apre con le 102 messe, in prevalenza a 4 e 5 voci, in minor numero a 6, solo quattro ad 8 

voci. 

Le  messe  sono  ritenute  il  momento  più  alto  della  produzione  palestriniana;  in  esse  si  esprimono 

compiutamente il senso della costruzione ampia, l’abilità contrappuntistica, la duttilità espressiva. 

Vicino alle messe una posizione di rilievo occupano i mottetti. 

Destinati  all’esecuzione  in  tutte  le  ricorrenze  dell’anno  liturgico,  pur  nella  stretta  osservanza  dello  stile 

polifonico a cappella,  i mottetti di Palestrina sottolineano  la varietà degli atteggiamenti espressivi evocati 

dai testi. 

La musica di Palestrina incarnò per i contemporanei il sentimento religioso della controriforma romana, ma 

per i posteri costituì uno degli ideali più puri ed armoniosi del canto sacro cattolico. 

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 Il  suo  stile  è  sobrio,  composto,  sereno, ma mai  uniforme. Uno  dei  pregi maggiori  relativi  alle  creazioni 

palestriniane è  la semplicità dei mezzi  impiegati, a cominciare dalle melodie che si combinano nel tessuto 

polifonico. 

Le  melodie  palestriniane  si  sviluppano  nell’ambito  massimo  di  una  nona,  con  morbidi  movimenti 

ascendenti‐discendenti che di  rado  superano  i  salti di  terza, mentre prevalgono  i procedimenti per gradi 

congiunti e a note ribattute. 

La  semplicità  dei  mezzi  impiegati  si  manifesta  anche  se  si  esaminano  le  creazioni  palestriniane  sotto 

l’aspetto  armonico.  Esse  rivelano  semplici  successioni di  triadi,  variate da note di passaggio  e da  ritardi 

preparati e indotti dal movimento delle parti. 

Il discorso polifonico, infine, è fluido per merito di una magistrale condotta contrappuntistica delle parti e di 

combinazioni tra le voci continuamente variate. 

 

La scuola veneziana 

La  scuola  romana  espresse  un  modello  di  polifonia  sacra  che  manifestava  i  sentimenti  di  pietà  e  di 

devozione attraverso lo stile a cappella. 

Questo modello si diffuse in tutta l’Europa cattolica con una importante eccezione: la basilica di S. Marco a 

Venezia. Qui si formò un repertorio sacro molto diverso: erano apprezzate  le composizioni nelle quali alle 

voci  si mescolavano gli  strumenti,  che potevano essere  sia  i due organi di  cui era  fornita  la basilica,  sia 

strumenti a corda e a fiato. Inoltre l’esecuzione a doppi cori divisi si realizzò in composizioni policorali, nelle 

quali  due,  tre,  quattro  gruppi  cantavano  e  suonavano  insieme, ma  su  cantorie  contrapposte  e  in  spazi 

distanziati all’interno nella chiesa. 

Tra  la basilica e  il palazzo ducale, eretti uno di fianco all’altra, tra  la chiesa veneziana e  il potere dogale  i 

rapporti erano strettissimi; la cappella musicale dipendeva, anche finanziariamente, dal doge. 

L’usanza dei mottetti  celebrativi del Trecento a Venezia era  stata  conservata e  si era accentuata; era  la 

cappella musicale che, in S. Marco, ma anche fuori, quando ne era richiesta, celebrava gli avvenimenti che 

riguardavano  la  vita  della  Repubblica,  i  suoi  successi,  le  sue  ricorrenze,  e  rendeva  onore  alle  visite  di 

regnanti stranieri. 

Anche per questo di dogi riservavano premurose cure alla cappella di S. Marco. 

Le espressioni più  complete e  tipiche della polifonia  sacra  veneziana  si  trovano nelle opere di Andrea e 

Giovanni Gabrieli. 

 

Andrea Gabrieli 

Fu  compositore  versatile  e  trattò  tutti  i  generi,  vocale  sacro  e  profano  e  strumentale, ma  segnò  la  più 

profonda impronta nel primo, nel quale si incontrarono alcune delle più genuine manifestazioni dello stile 

veneziano. 

Le composizioni a due o più cori danno risalto alle opposizioni fra  i distinti gruppi e alle  loro  integrazioni, 

con effetti timbrici accresciuti dall’impegno degli strumenti, in appoggio o in sostituzione alle voci. 

Fu  tra  i primi a comporre madrigali a 3 voci, secondo  la  tecnica del contrappunti  imitato e non nei modi 

omoritmici  impiegati  dalle  forme  popolaresche,  come  fece  invece  con  la  Greghesche  e  Justiniane,  in 

dialetto veneziano mescolato alla  lingua greca, che contengono anche riferimenti realistici a personaggi e 

situazioni della Commedia dell’Arte. 

Importanti nella storia della letteratura organistica, le composizioni strumentali sono meno significative di 

quelle vocali, in particolare quelle sacre. 

Andrea Gabrieli fu certamente il compositore maggiormente apprezzato dai suoi contemporanei veneziani. 

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 Nel genere vocale sacro sviluppò  l’eredità della musica veneziana espressa da Willaert nel  lungo periodo 

della  sua  conduzione  della  cappella,  e  nella  tradizione  fiamminga  innestò  con  libertà  apporti  stilistici 

italiani. 

Nei Conserti  infatti  la sua opera toccò effetti  inediti di grandiosità corale e di varietà coloristica, ottenute 

con la grande varietà dei raggruppamenti di voci e di strumenti. 

 

Giovanni Gabrieli 

La maggior parte delle opere vocali a noi pervenute è di destinazione sacra e di struttura policorale. Egli 

prediligeva la mescolanza di voci e strumenti all’interno di ogni “coro” già attuata da Andrea Gabrieli; fece 

proprio quel procedimento, lo intensificò e lo sviluppò ulteriormente. 

Giovanni Gabrieli proseguì l’indirizzo grandiosamente pittorico inaugurato da Andrea e lo rese più vario. 

La sua concezione musicale appartiene già ala barocco, la sua policoralità mista di voci e di strumenti è già 

un compiuto esempio di “stile concertante”. 

Sulla  strada  aperta  alla  musica  sacra  da  Andrea  e  Giovanni  Gabrieli  proseguirono  gli  italiani  Claudio 

Monteverdi e Francesco Cavalli e, tra i tedeschi, Heinrich Schütz. 

 

LA RIFORMA. LA MUSICA NELLE CHIESE PROTESTANTI 

Per tutto il Medioevo il cristianesimo aveva mantenuto l’unità religiosa dell’Europa occidentale. 

L’unità religiosa si spezzò all’inizio del secolo XVI e in pochi decenni si imposero in Europa vari movimenti di 

Riforma. Comune alle Chiese riformate fu da una parte la fedeltà all’insegnamento di Gesù Cristo trasmesso 

dalla Bibbia, dall’altra difformi  interpretazioni dei contenuti dottrinali e  il rifiuto di riconoscere  il primato 

del papa. 

I fondatori delle Chiese riformate furono Lutero, Calvino ed Enrico VIII. 

Nelle  Chiese  riformate  alle  innovazioni  in  campo  dottrinale  corrisposero  sostanziali  cambiamenti  nelle 

cerimonie di culto e di conseguenza nel ruolo e nella forma della musica sacra. Un elemento comune a riti 

delle Chiese riformate fu la sostituzione del latino con le lingue nazionali. 

 

La confessione luterana e il corale 

Nella Chiesa luterana alla musica fu riservato un ruolo più importante di quello che le fu riconosciuto dalle 

altre confessioni riformate. 

La messa luterana, ordinata dallo stesso Lutero, si basava sui testi delle Sacre Scritture da lui tradotte nella 

lingua tedesca perché fossero compresi da tutti. La partecipazione dei fedeli era invece affidata al canto dei 

corali, canti assembleari di facile semplicità melodica, di struttura strofica e procedimento sillabico. 

Il corale ebbe nel canto sacro  luterano una funzione che si può paragonare a quella del canto gregoriano 

durante il Medioevo cattolico. 

 

Gli ugonotti e il canto dei salmi 

Secondo il pensiero di Giovanni Calvino, le manifestazioni del culto dovevano essere severe e austere, e ciò 

lasciava uno spazio limitato alla musica. Soppressi o distrutti gli organi, fu ammesso solo il canto dei salmi 

da parte dei fedeli, e il problema pratico da affrontare fu la preparazione del repertorio. 

 

Il canto anglicano e gli anthems 

Il rinnovamento liturgico della Chiesa anglicana fu meno radicale di quello di altre confessioni riformate. Le 

innovazioni principali  furono  sancite nel Prayer Book pubblicato nel 1549 dall’arcivescovo di Canterbury. 

Sulla base di questo  testo della  liturgia ufficiale,  l’anno  seguente  il compositore  John Marbeck  stampò  il 

Book of Common Prayer Noted contenente canti per le preghiere mattutine e serali. 

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 La  forma  di  canto  sacro  specifico  della  Chiesa  anglicana  fu  l’anthem,  una  forma  corale  a  più  voci  non 

dissimile dal mottetto. 


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