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Storia industriale del Verbano Cusio OssolaImprenditorialità, innovazione tecnologica e declino

Proposte per nuove iniziative di sviluppo

Vi è pieno accordo sull’ini-zio dell’industrializzazionedel Verbano Cusio Ossola

con l’arrivo a Intra dei FratelliMüller nel 1808, originari delCantone svizzero dell’Argovia,che installarono il primo fila-toio meccanico per il cotone inItalia in un ex convento situatoai tempi nell’attuale Via Ceretti.Esso occupava 38 operai di cui24 provenienti dalla Svizzera.Vista l’importanza di questo fat-to vale la pena di soffermarciun momento. Si attribuisce nor-malmente questo trasferimentoa cause legate agli alti dazi do-ganali imposti dall’amministra-zione napoleonica ai manufattiimportati dalla Svizzera in Ita-lia, e alle relazioni già esistentitra il Verbano e la Svizzera co-me la sbianca di tessuti effet-tuata artigianalmente lungo iltorrente San Bernardino. Inrealtà vi è probabilmente unaspetto fortuito per questo av-venimento che si può desumeredalla lettura delle memorie diGiovanni Antonio Marcacci,notabile locarnese e rappresen-tante diplomatico della Confe-derazione Elvetica presso il go-verno napoleonico a Milano. Ineffetti nel novembre 1807 undecreto napoleonico proibivaogni importazione di manufattidi cotone in Italia. A questo de-creto si cercò una scappatoia eun ingegnoso fabbricante diLenzburg, dello stesso Cantonedei Müller, un certo Hünerwa-del, chiese di costruire in Lom-bardia una filanda di cotone euna fabbrica per la tessitura del

lino. Nonostante l’appoggio diMarcacci e del governo milane-se questa richiesta venne peròrespinta da Napoleone. L’acco-glimento della richiesta deiMüller nel 1808 può appariresorprendente e potrebbe esseredovuta al fatto che Napoleone,preso in quell’anno da proble-mi in Spagna e con l’Austria, ri-solti con difficoltà, non abbiavoluto occuparsene direttamen-te lasciando libertà di decisioneal Vice-Re d’Italia, favorevole aquesti trasferimenti di tecnolo-gia. Si potrebbe concluderequindi che l’industrializzazioneiniziale del Verbano si stata infondo resa possibile da una si-tuazione probabilmente fortuitaaccompagnata dall’arrivo diun’importante innovazione tec-nologica nel territorio.Caduto il regime napoleonico ilterritorio passa sotto l’ammini-strazione piemontese più apertae i trasferimenti tecnologici dal-la Svizzera riprendono conGiovanni Octiker di Landquartnei Grigioni con la realizzazio-ne di un’altra filanda di cotonenel 1838, mentre i Müller si tra-sferiscono in uno stabilimentopiù grande situato in localitàSan Bernardino, vicino alla fo-ce dell’omonimo torrente.L’arrivo di tecnologie dallaSvizzera stimolò anche vari im-prenditori locali a entrare comesoci o attivare industrie proprie,e tra questi possiamo ricordarecome importanti Guidotti-Paria-ni e in particolare Lorenzo Co-bianchi. La famiglia Cobianchiaveva già nel settecento attività

locali di sbianca nei tessuti enell’ottocento sviluppò attivitàdi filatura, tessitura e tintoria. Ilpiù importante membro di que-sta famiglia, Lorenzo Cobian-chi, è ricordato per il suo inte-resse per il territorio e la fonda-zione della Banca Popolare diIntra nel 1873, di cui fu il pri-mo presidente. Dopo la suamorte nel 1881, in ottemperan-za al suo testamento del 1874,venne creato nel 1882 l’EnteMorale “Istituto d’Arti e Mestie-ri Lorenzo Cobianchi” che rea-lizzò nel 1886 la Regia ScuolaProfessionale che diventerà piùtardi l’Istituto Tecnico Industria-le “Lorenzo Cobianchi”. Questascuola ha fornito al territorio,ma anche nel resto dell’Italia eperfino in Svizzera, un contri-buto importante nella prepara-zione tecnica di quadri per l’in-dustria. La filatura del cotone si svi-luppò in particolare nella se-conda metà dell’ottocento e nel1880 contava una quarantina diindustrie che occupavano oltrecinquemila persone su una po-polazione locale di poco menodi quindicimila abitanti. Questaindustria aveva tutte le caratteri-stiche di un distretto industria-le, analogo al distretto del casa-lingo nel Cusio che si formòpiù tardi dopo la seconda guer-ra mondiale, con i tipici feno-meni di trasferimento di perso-nale tra un’industria e l’altra,assicurando così la diffusionedelle migliori tecnologie, ope-rai che lasciavano un’aziendaper creare un’industria propria

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e che, in caso di insuccesso,venivano anche riassunti dal-l’industria che avevano lasciato.Durante questo periodo vi furo-no anche molti passaggi di pro-prietà, così i Müller cedettero leattività ai fratelli Sutermeister,sempre di origine svizzera, dicui si può ricordare l’Ing. CarloSutermeister per la sua attivitàinnovativa nei suoi stabilimentie, in particolare, per l’uso dienergia elettrica realizzandouna prima linea extra-urbanaper il trasporto di questa energianel suo stabilimento nel 1891. I Cobianchi, alla morte di Lo-renzo, cedettero le attività allafamiglia Casana che si occupòanche di gestire l’Ente Moralefondato alla sua morte. L’Oc-tiker cedette la società all’Ing.Muggiani che continuò le atti-vità come Ing. Muggiani & Co.,confluendo infine nell’UnioneManifatture. Dopo aver raggiun-to un massimo di attività a ca-vallo tra il XIX e il XX secolo,dopo la prima guerra mondialequesta industria iniziò un lentodeclino che si accelerò dopo laseconda guerra mondiale per laconcorrenza di paesi emergenti,nati dalla decolonizzazione, perscomparire tra gli anni ‘50 e ‘60del XX secolo. Il CotonificioVerbanese situato a San Bernar-dino, già dei Müller e poi deiSutermeister, fu uno degli ultimia conservare attività di filaturadel cotone fino agli anni ‘60, fa-cendo anche un tentativo di fi-lare fibre sintetiche. Lo stabili-mento esiste ancora con la suaciminiera di mattoni conservataper ricordo ma ha attualmentesolo attività commerciali. La presenza di macchine per lafilatura attirò sul territorio, giànell’ottocento, un’industriameccanica atta a riparare e co-struire queste macchine. Cosìnel 1850 si installò, presso la

foce del torrente Selasca, l’offi-cina della Güller & Croft, diorigine svizzera, che nel 1858divenne Güller & Greuter. Nel1893 questa attività venne ce-duta all’Ing. Züst che l’orientòverso la fabbricazione di mac-chine utensili per la lavorazionedei metalli. Si noti come l’Ing.Züst abbia dato il nome alla lo-calità alla foce del torrente Se-lasca mentre la sua officinavenne poi trasformata in un Isti-tuto Magistrale ed ora in un re-sidence. In questa azienda feceesperienza Ettore Buzzi che nel1918 continuò questa attività inun suo stabilimento a Intra. LeOfficine Buzzi terminarono an-ch’esse le attività nel dopoguer-ra non resistendo alla concor-renza di altre aziende italiane,forse per la sua situazione iso-lata, in effetti le macchine uten-sili rappresentano in realtà unimportante settore della mecca-nica italiana.A margine delle attività di filatu-ra nacque anche un industria diproduzione di scardassi. Questisono particolari pettini utili percardare o sbrogliare le matassedi cotone o di lana. Nel 1879 losvizzero Giovanni Schellingcreò un’azienda per questa pro-duzione a Baveno. Presso que-sta azienda fece esperienzaGiovanni Biotti che poi fondòl’omonima ditta a Intra tuttorain attività. La fabbricazione discardassi è praticamente quasitutto quello che resta di mani-fatturiero dell’attività ottocente-sca di filatura del cotone e an-che la ditta Schelling risulta tut-tora in attività a Baveno.A lato dell’industria della filatu-ra del cotone si affiancò nell’ot-tocento anche un’attività diproduzione di cappelli di feltro.Nel 1876 risultavano presentigià sette cappellifici di cui l’Al-bertini era il più importante. In-

teressante è la storia della na-scita del conosciuto cappellifi-cio Panizza di Ghiffa, fondatoda Giovanni Panizza. Questi fe-ce la sua esperienza nel cap-pellificio Albertini, che lasciònel 1876 per fondare una suaazienda, che però fallì. Rias-sunto dall’Albertini nel 1878 fe-ce un altro tentativo nel 1880questa volta con successo. Icappellifici verbanesi non resi-stettero alla perdita di mercatodei cappelli di feltro entrati indisuso e alla concorrenza. Ilcappellificio Panizza fu l’ultimoa chiudere nel 1981.La radice dello sviluppo indu-striale del Verbano nell’ottocen-to è rappresentata sicuramentedall’innovazione tecnologicadella filatura meccanica del co-tone di origine svizzera. Nel-l’insieme tuttavia la filatura ver-banese non raggiunse mai risul-tati elevati di efficienza, infattirisultava nettamente inferioreall’efficienza degli stabilimentifrancesi e inglesi e, in una certamisura, anche di quelli piemon-tesi. D’altra parte non sviluppòmai attività a valle di tessituracome Biella o Como, néorientò le sue attività verso lemacchine tessili, come fece piùtardi la Svizzera. La diversifica-zione alternativa introdotta dal-lo Züst verso le macchine uten-sili non ebbe vita lunga e morìpoi nel dopoguerra con la Buz-zi. La filatura del cotone, con-dannata dallo sviluppo nei pae-si emergenti, non riuscì nean-che a collegarsi alle produzionidi fibre artificiali o sintetiche,che pur costituirono un’attivitàlocale importante nel novecen-to, e quindi non ebbe altra sor-te che scomparire. Vi fu però alla fine dell’ottocen-to un’innovazione tecnologicaimportante per il territorio do-vuta all’Ing. Carlo Sutermeister

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che abbiamo già citato e chemerita di essere descritta più indettaglio.Per il funzionamento dellemacchine di filatura si era uti-lizzato fin dall’inizio l’energiaidraulica con le acque convo-gliate in apposite rogge. Conl’ingrandimento degli stabili-menti la disponibilità di energiaidraulica segnò i suoi limiti el’alternativa dell’uso di macchi-ne a vapore era fortemente pe-nalizzata dal costo elevato delcarbone che doveva essere im-portato, raggiungendo il Verba-no da lunghe distanze. Lo svi-luppo verso la fine dell’ottocen-to di macchine produttrici dienergia elettrica da forze idrau-liche e di motori elettrici di po-tenza attirò subito l’attenzionedell’Ing. Carlo Sutermeister, chene vedeva una valida alternati-va all’energia idraulica e allemacchine a vapore. Attorno al1890 realizzò una piccola cen-trale di produzione di energiaidroelettrica a Cossogno, cen-trale che esiste ancora, e pensòdi trasferire questa energia alsuo stabilimento di San Bernar-dino con una linea extraurbanalunga 5 km. Per questo pre-sentò una domanda di conces-sione al Comune di Intra nelgennaio del 1891. E’ interes-sante notare l’efficienza dellarisposta dell’amministrazioneche potrebbe far invidia attual-mente. Il Comune nominò subi-to due esperti nel nome del-l’Ing. Züst e del Prof. Pozzi, al-lora Preside della Scuola Arti eMestieri del Cobianchi, e inol-trò richieste di informazioni adalcune città italiane che aveva-no già linee di distribuzione dienergia elettrica urbane. Avuterisposte e pareri il Comune do-po brevi discussioni con il Su-termeister firmò la concessionenel luglio del 1891 a soli sei

Interno di fabbrica metallurgica e laminatoio

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mesi dalla domanda. La con-cessione conteneva anche nu-merose regole di sicurezza qua-li l’altezza dei pali con gli iso-lanti, griglie e cartelli di ammo-nimento dei pericoli. La lineaextraurbana dell’Ing. Sutermei-ster è stata probabilmente laprima realizzata in Italia e que-sta tecnologia, unita alla dispo-nibilità bacini per la produzio-ne di energia elettrica, costi-tuirà uno dei fattori principalidell’industrializzazione del-l’Ossola nella prima metà delnovecento. E’ interessante nota-re come la presenza di linee ditrasmissione di energia elettricaabbia favorito la diffusione dellatelefonia che poteva usare glistessi pali per i fili telefonici conun’analogia attuale dove le lineetelefoniche sono diventate ilsupporto dei segnali di Internet.Questo spiega anche curiosa-mente il vecchio nome SIP perl’azienda telefonica italiana eche era all’origine l’acronimo diSocietà Idroelettrica Piemontese.Agli inizi del novecento il terri-torio conosce un ulteriore fortesviluppo industriale favoritodalla disponibilità di realizzarebacini idroelettrici e sfruttare inloco sorgenti importanti dienergia elettrica non ancora tra-sferibile lontano per la mancan-za allora delle necessarie tec-nologie per realizzare linee adalta tensione. Questa disponibi-lità energetica venne sfruttata indue settori importanti che furo-no la chimica e la siderurgia. Vifu così l’arrivo nel territorio, inparticolare nell’Ossola, di im-portanti nuove tecnologie dibase che sfruttavano l’energiaelettrica per l’elettrolisi o perforni ad arco di riduzione o fu-sione. Queste tecnologie attira-rono poi una cascata di nuovetecnologie minori necessarieper la trasformazione dei pro-

dotti primari ottenuti. Un’im-portante differenza tra questoarrivo di tecnologie a quantoavvenuto nell’ottocento è lapresenza di imprenditori e so-cietà esterne al territorio cheprendono iniziative e posseggo-no i grandi capitali necessariper queste produzioni. Ne na-sce in questo settore un’evolu-zione molto complessa concambi di proprietà e fusionimentre il fatto che le decisionisiano prese in ambienti esternial territorio giocherà poi unruolo importante nei processi dideindustrializzazione avvenutialla fine del novecento.La disponibilità di energiaidroelettrica ha permesso l’usosul territorio di due nuove tec-nologie chimiche che riguarda-vano da una parte la produzio-ne del carburo di calcio e dal-l’altra parte l’elettrolisi per pro-durre cloro, idrogeno e sodacaustica. Il carburo di calcioera ottenuto trattando una mi-scela di calce viva e carbone inun forno ad arco di riduzionedove ad alta temperatura si ot-teneva il carburo. Questo veni-va poi trattato con acqua perprodurre acetilene. Una parteminore di carburo veniva tratta-ta ad alta temperatura con azo-to ottenuto dall’aria e trasfor-mato in calciocianammide inte-ressante concime usato in agri-coltura. L’acetilene era usatoper produrre tutta una serie dicomposti chimici come acidoacetico, anidride acetica edacetone che saranno alla basedello sviluppo della chimicatessile avvenuta a partire daglianni trenta. Il primo impiantochimico produttore di carburodi calcio fu realizzato nel 1913a Varzo dalla Galtarossa, segui-to dalla nascita a Villadossoladi due industrie del carburo dicalcio nel 1915 costituite dalla

Società Italiana Prodotti Sinteti-ci (S.I.P.S.) e dalla Società Elet-trochimica del Toce (S.E.T). Unultimo impianto a carburo dicalcio venne realizzato a Do-modossola nel 1919 dalla So-cietà Agraria per la produzionedi calciocianamide che divenneproprietà della Montecatini conla S.E.T. nel 1924. Quest’ultimasocietà assumerà poi un ruoloimportante in collaborazionecon la francese Rhone Poulencper l’avvio dell’industria chimi-co-tessile a Pallanza negli annitrenta con il nome di Rhodiace-ta. La S.I.P.S. venne invece ce-duta nel 1925-1926 ed entrò afar parte del gruppo Chatillonfornendo anidride acetica perla produzione di rayon delgruppo in Val d’Aosta in con-correnza con la Rhodiaceta.Tutte queste industrie costituiro-no un importante settore inespansione fino agli anni ses-santa dove iniziarono un decli-no che portò all’arresto uno do-po l’altro dei vari forni a carbu-ro. La causa si può attribuire dauna parte alla perdita di interes-se della calciocianamide comeconcime ma soprattutto alla so-stituzione dell’acetilene con l’e-tilene, prodotto nelle grandi raf-finerie di petrolio, nella produ-zione di composti chimici e cherisultava molto più convenientesia tecnicamente che economi-camente. Nel 1942 la S.E.T. ve-niva incorporata nella Monteca-tini per quindi fondersi nellaRhodiaceta formando la Rho-diatoce. Oltre alla perdita dellaproduzione dell’acetilene per laconcorrenze dell’etilene, si eb-be negli anni ottanta un ultimotracollo dovuto alla ristruttura-zione di tutte le produzioni difibre sintetiche e artificiali in Ita-lia. Di tutte queste aziende sisalvò parte dell’impianto dellaRhodiatoce di Villadossola che

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aveva sviluppato nei suoi labo-ratori, già dagli anni quaranta,la produzione di acetato di vini-le, derivato dal carburo, e usatoper la fabbricazione di colle vi-niliche con il nome commercia-le di Vinavil. Questa innovazio-ne tecnologica, nata nel territo-rio, al momento delle ristruttu-razioni interessò il gruppo MA-PEI che ne acquistò gli impianticontinuando questa produzionecon la Società Vinavil.Accanto alla storia della chimi-ca del carburo di calcio nel ter-ritorio, vale la pena di esporresubito anche la storia della chi-mica tessile a cui è strettamentelegata. Come abbiamo già cita-to la S.E.T. di proprietà dellaMontecatini, fece un accordocon la società francese Rhone-Poulenc per produrre seta artifi-ciale, chiamata rayon, in unnuovo stabilimento, costruito

nel 1928 a Pallanza ed entratoin funzione nel 1929, di pro-prietà di una società chiamataRhodiaceta compartecipata siadalla S.E.T. che dalla RhonePoulenc. Questa nuova tecno-logia arrivata nel territorio con-sisteva nel trattamento dellacellulosa con anidride aceticaper formare acetato di cellulosache veniva sciolto in acetonepoi evaporato nelle filiere perprodurre il filo di rayon. Unaproduzione utilizzante compo-sti chimici prodotti dalla S.E.T.a Villadossola con la filiera car-buro di calcio/acetilene. Nel1941 la Rhone-Poulenc acqui-stò dalla Du Pont la tecnologiadi produzione di Nailon chevenne però utilizzata in unnuovo impianto a Pallanza solonel 1945, usando il polimerofabbricato negli impianti Mon-tecatini di Novara che poi era

fuso e filato a Pallanza. Neglistessi anni la S.E.T. veniva fusacon la Rhodiaceta formando laRhodiatoce, società sempre incompartecipazione tra la Mon-tecatini e la Rhone-Poulenc.Verso la fine degli anni sessantala Rhodiatoce raggiunse il mas-simo della sua espansione concirca 4200 persone impiegate aPallanza e circa 800 a Villados-sola diventando la realtà indu-striale di gran lunga più impor-tante nel V.C.O. Nel 1970 laRhone-Poulenc si ritirava dallasocietà mentre la chimica italia-na subiva profonde trasforma-zioni. La Montecatini, diventataMontedison, raccolse tutte lesue attività nel campo delle fi-bre in un’unica società chiama-ta Montefibre. Verso la fine de-gli anni settanta la produzionedi fibre entrò in crisi non soloin Italia ma in tutta Europa con

Verbania, industria chimica della Società Acetati (anche pag. 4)

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la nascita di produzioni in Asia.Questo provocò tutta una seriedi cambiamenti con la chiusurapraticamente di tutti gli stabili-menti di fibre in Italia e in Euro-pa. Gli stabilimenti di Pallanzae Villadossola ne subirono leconseguenze, con la loro chiu-sura definitiva nel 1983. La pro-duzione di acetato di cellulosaaveva però sviluppato un’appli-cazione anche come materiaplastica, in particolare per filmfotografici, e questo interessò ilGruppo Mossi & Ghisolfi chene continuò la produzione loca-le con la Società Acetati. Termi-na così la storia della chimicatessile nel VCO a cui possiamoaggiungere gli ultimi sviluppicostituiti dalla nascita vicino al-lo stabilimento degli Acetati diun nuovo impianto di produzio-ne di PET per le bottiglie di pla-stica con tecnologie giapponesie operato dalla Mossi & Ghisolfiattraverso la società Italpet. La produzione di acetato di cel-lulosa doveva poi subire ungrosso problema di mercato do-vuto alla forte riduzione dellaproduzione di pellicole fotogra-fiche con lo sviluppo della foto-grafia digitale. Era nata comun-que una nuova applicazione neifilm protettivi per schermi piattidi TV e monitor da cui la deci-sione di Mossi & Ghisolfi dichiudere l’impianto di Pallanzae trasferire le produzioni in Cinavicino alle grandi produzioni diapparecchi elettronici, cosa cheè avvenuta alla fine del 2010.Nel frattempo la Mossi & Ghi-solfi abbandonava definitiva-mente il territorio cedendo laItalpet alla multinazionale ame-ricana Plastipak. Questa, che haproduzioni soprattutto negliUSA, America Latina e in Euro-pa, ha poi scelto lo stabilimentodi Pallanza come sede delle sueattività europee.

L’altro tipo di industria chimicafavorita dalla disponibilità dienergia idroelettrica, e basatasull’elettrolisi, fu realizzato giànel 1915 con la fondazionedella Società Italiana ProdottiEsplosivi (S.I.P.E.) a Pieve Ver-gonte. L’elettrolisi delle soluzio-ni di cloruro di sodio, pratica-mente sale da cucina sciolto inacqua, produce cloro, idrogenoe soda caustica. La soda causti-ca ha un largo impiego indu-striale ma un basso valore ag-giunto, l’idrogeno è un gas uti-lizzato largamente ma di diffici-le trasporto verso i luoghi digrande uso ed è quindi il cloroche è economicamente impor-tante per questa produzione.Questo gas è difficilmente tra-sportabile ed è convenienteusarlo in loco per produrre icosiddetti cloroderivati, tra cuivi è stato il famigerato DDT.Questi sono importanti permolte produzioni chimichecompresi i prodotti farmaceuti-ci. Accanto all’elettrolisi venneiniziata anche una produzionedi acido solforico da pirite perun uso interno per varie fabbri-cazioni. Dopo la prima guerramondiale divennero disponibilivari processi per produrre am-moniaca, facendo reagire l’i-drogeno con l’azoto dell’aria, eutilizzata soprattutto nella pro-duzione di concimi. Questaproduzione venne aggiunta ne-gli impianti, anche come sboc-co per l’idrogeno prodotto, main seguito abbandonata neglianni settanta per la dimensionelimitata possibile per l’impiantoche non ne favoriva la sua eco-nomia. La S.I.P.E. ha subito ne-gli anni numerosi passaggi diproprietà. Nel 1920 divenneproprietà della SNIA e nel 1924cambiò il nome in Società Chi-mico-Mineraria Rumianca chedivenne nel 1941 semplice-

mente Rumianca. Nel 1967 di-venne proprietà del Gruppo SIRe, a seguito del tracollo delgruppo, venne incorporata nel-l’Enichem. A metà degli anninovanta vennero alla luce gravicasi di inquinamento con ilDDT presente sul fondo del La-go Maggiore e forti inquina-menti del suolo nello stabili-mento con metalli pesanti e al-tri prodotti nocivi. L’aziendasubì così una ristrutturazionenelle produzioni e venne cedu-ta al gruppo belga Tessenderlo.La produzione di cloroderivatirimane in ogni caso la baseeconomica dello stabilimento ela sua economia dipende forte-mente dal costo dell’energiaelettrica che usa. La tecnologiadi elettrolisi utilizzata, che sibasa sull’uso del mercurio, nonè la migliore disponibile e sa-rebbe preferibile utilizzare latecnologia a membrana che ri-chiede però grossi investimentiper la sua realizzazione. Anchese la contaminazione di mercu-rio è tenuta ben al di sotto deivalori ammessi rimane comun-que aperto il problema di cosapuò avvenire in caso di inci-dente maggiore o grande cata-strofe naturale per lo stabili-mento. La chimica derivata dal-l’elettrolisi nel V.C.O. non haassunto mai l’importanza diquella derivata dalla filiera car-buro/acetilene ma ha creatoproblemi di inquinamento benmaggiori rispetto alla montagnadi calce spenta che si è accu-mulata nello stabilimento diVilladossola nel tempo con laproduzione di acetilene dalcarburo.L’ultima importante industrializ-zazione favorita dalla disponi-bilità di energia idroelettrica ri-guarda la siderurgia con i forniad arco di fusione. L’attività si-derurgica del V.C.O. risale già

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all’ottocento e riguarda soprat-tutto i territori dell’Ossola e delCusio ruotando attorno a treimportanti acciaierie conosciu-te nel novecento come la Co-bianchi di Omegna, la Ceretti ela S.I.S.M.A. di Villadossola.Queste aziende si svilupparononel novecento usando il fornoelettrico ad arco per la fusionedel rottame e produzione di ac-ciaio usando energia idroelettri-ca locale. La storia dell’attività siderurgicainizia nel 1859 con realizza-zione a Villadossola dello stabi-limento delle Acciaierie PietroMaria Ceretti dal nome del fon-datore. Nel 1892 Vittore ed En-rico Ceretti, figli di Ignazio suc-ceduto al fondatore, si stacca-rono dall’azienda familiare efondarono una piccola bullone-ria con il nome di Società Indu-striale Siderurgica Meccanica eAffini che si svilupperà in ac-ciaieria nel novecento con ilnome di S.I.S.M.A. Nel 1969l’acciaieria Pietro Maria Cerettisi trasferì nel nuovo stabilimen-to di Pallanzeno installando unnuovo forno con un sistema dipreriscaldo del rottame con glistessi fumi del forno sviluppatoin collaborazione con la sviz-zera Brown Boveri. Purtroppoun grave incidente avvenutocon questo sistema di preriscal-do ne comprometteva il suouso. La società in difficoltà do-veva continuare poi con le soleattività di laminazione per lasua produzione particolare diputrelle e grossi travi in acciaio,e veniva infine ripresa dallaDuferdofin, un gruppo siderur-gico con sede a Lugano, dive-nuto poi Duferco nel 1996, einfine ceduta al gruppo france-se ACELOR che continua le atti-vità con la società Travi e Profi-lati di Pallanzeno.La S.I.S.M.A, che doveva diven-

tare una delle più grandi ac-ciaierie del territorio con 1600dipendenti nel dopoguerra,specializzandosi in acciai spe-ciali per la meccanica, subì apartire dagli anni sessanta varipassaggi di proprietà alla Mon-tedison, poi all’EGAM e nel1977 dopo la scomparsa dell’E-GAM, all’IRI senza però essereintegrata nel gruppo Finsiderdella holding. A questo si ag-giunse la distruzione delle pro-prie centrali idroelettriche acausa di un’alluvione e chenon furono mai ricostruite. Ingrandi difficoltà subì ulterioripassaggi di mano, dapprima nelgruppo bresciano Leali e infinenel gruppo Beltrami, anch’essobresciano, che ne continua l’at-tività con i soli laminatoi con ilnome di Ferriera Sider Scal.La fondazione dell’acciaieria diOmegna come Metallurgica Vit-torio Cobianchi, nome dal suofondatore, risale anch’essa al-l’ottocento. Nel 1933 il figlioGiuseppe ne passava la pro-prietà al gruppo Alliata, cono-sciuto anche per aver fondatol’acciaieria Monteforno a Gior-nico nel Canton Ticino, scom-parsa nel 1996. L’acciaieria Co-bianchi venne conosciuta an-che per la produzione di ghisadal nome Ferrital, avvenuta nelperiodo autarchico durante laguerra, e ottenuta riducendo alforno elettrico con carbone leceneri di pirite italiane. Conquesta produzione l’acciaierianel 1942 raggiunse il numerodi circa 1400 dipendenti. Ilgruppo Alliata negli anni 70 ab-bandonò tutte le attività side-rurgiche e l’acciaieria di Ome-gna venne ceduta al gruppobresciano Pietra, da cui prese ilnome, continuando la produ-zione di acciai correnti ma contecnologie ormai obsolete chela condannarono alla chiusura.

Per comprendere come la side-rurgia del V.C.O. si sia ridotta apochi laminatoi, abbandonan-do la produzione di acciaio perfusione al forno ad arco, è utiledescrivere gli importanti cam-biamenti tecnologici e di mer-cato avvenuti negli anni ‘70. Inquesti anni iniziava la diffusio-ne di due nuove tecnologie im-portanti rappresentate dalla co-lata continua dell’acciaio e ilforno ad arco ad alta potenza.Queste due tecnologie permet-tevano importanti guadagni diproduttività e riduzione di costirispetto alle tecnologie tradizio-nali. L’acciaieria elettrica bre-sciana, produttrice essenzial-mente di tondino per cementoarmato, ne afferrò subito l’im-portanza installando impianticon le tecnologie italiane dellaTagliaferri, per il forno, e lemacchine di colata continuadella Danieli. In questo modoqueste industrie, chiamate co-munemente i ”bresciani”, si im-posero sul mercato mondialearrivando a far chiudere molteacciaierie estere che usavanotecnologie più tradizionali e ac-cumulando profitti che, una de-cina d’anni più tardi, gli permi-sero di acquistare la siderurgiadi stato italiana della Finsider.Questa innovazione tecnologi-ca non fu percepita dalla side-rurgia del V.C.O. e la Cobianchirimase senza forni ad alta po-tenza e colata continua, laS.I.S.M.A. ottenne la colatacontinua ma non i forni ad altapotenza, situazione peggioratacome citato dalla perdita dellapropria sorgente di energia elet-trica per la distruzione dellecentrali. I gruppi bresciani chepoi ne ebbero la proprietà nonfecero nessun nuovo investi-mento in questa direzione de-terminando la sorte di questedue acciaierie. Per la Nuova

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Ceretti invece fu una scelta tec-nologica sbagliata a determina-re l’abbandono degli impiantidi fusione. Il preriscaldo delrottame, realizzato anche in al-tre acciaierie, fu alla fine ab-bandonato per le difficoltà dicontrollare adeguatamente ilrottame onde evitare la presen-za di materiali pericolosi.L’ultimo settore industriale im-portante nella storia del V.C.O.è rappresentato dal casalingo,diffuso in particolare nel Cusio,e che si sviluppò soprattutto ne-gli anni ‘50-’70 del dopoguerraformando un vero e proprio di-stretto industriale per poi subireun lento declino a partire daglianni ‘80. Il casalingo cusiano,rivolto soprattutto alla fabbrica-zione di pentolame, posateria eutensili da cucina in acciaioinossidabile, ha anch’esso radi-ci che risalgono all’ottocentocon la fondazione della Calde-roni & Fratelli a Casale CorteCerro nel 1851, azienda cheesiste ancora anche se ridimen-sionata rispetto agli anni ‘60-’70 di massima espansione,mentre la Lagostina, che dove-va diventare una delle più im-portanti realtà in questo settore,venne fondata ad Omegna nel1901 da Carlo Lagostina e dalfiglio Emilio per la produzionedi posateria stagnata. In lineagenerale le aziende del casalin-go del V.C.O. sono nate comeevoluzione di attività artigiana-li, ritorni di emigrazione conapporto di nuove tecnologie eanche immigrazione di impren-ditori che si stabilirono in loco.Lo sviluppo del casalingo neldopoguerra può essere facil-mente attribuito all’introduzio-ne di alcune innovazioni tecno-logiche fondamentali che sonostate la lavorazione dell’acciaioinossidabile, un nuovo concettodi caffettiera con una nuova

Varzo, stabilimenti della Galtarossa; Pieve Vergonte, stabilimenti della Rumianca

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tecnologia di fabbricazione, el’introduzione del motore elet-trico nell’utensileria da cucinatrasformandola in piccoli elet-trodomestici.L’acciaio inossidabile è una le-ga sviluppata dalle acciaierieKrupp in Germania negli anni30 che divenne facilmente di-sponibile nel dopoguerra in for-ma di lamiera e tondino utileper la fabbricazione di pentola-me e posateria. La disponibilitàdi questo materiale non mancòdi attirare l’attenzione di alcuneaziende del casalingo del Cusioche iniziarono a sviluppare lasua lavorazione imitate poi damolte altre. L’acciaio inossida-bile sostituì largamente il ramee il ferro utilizzati fino alloraapprofittando delle sue caratte-ristiche di resistere a corrosionied evitare la ruggine mantenen-do un aspetto sempre lucente.Attualmente l’acciaio inossida-bile è diventato il materiale dieccellenza per il casalingo, inconcorrenza per certe applica-zioni solo con l’alluminio,mentre il rame, e in una certamisura il ferro e la ghisa, resta-no utilizzati solo per prodotti dinicchia che sfruttano la loro mi-gliore conducibilità termica ri-spetto all’acciaio inossidabile.Lo sviluppo di un nuovo con-cetto e nuova tecnologia di caf-fettiera è dovuto all’opera diAlfonso Bialetti che già nel1918 apre a Crusinallo una pic-cola officina con una produzio-ne di pezzi in alluminio con latecnica della fusione in conchi-glia che egli stesso aveva impa-rato durante un suo periodo diemigrazione in Francia. Neglianni trenta Bialetti sviluppa ebrevetta una nuova concezionedi caffettiera in alluminio, pro-dotta con la tecnica della pres-sofusione, che rivoluzionerà ilcampo delle caffettiere sosti-

Omegna, la ferriera Cobianchi; Villadossola, stabilimenti Sisma, Ceretti, Vinavil, ora Mapei

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tuendo la tradizionale “Napole-tana”. La produzione di questacaffettiera rimane piuttosto li-mitata fino alla fine della guerraper poi esplodere nel dopo-guerra sotto la direzione del fi-glio Renato che aveva compre-so e sfruttato appieno il fattorepubblicità per questo prodotto,chiamato Moka Express, e chetravolse la concorrenza trasfor-mando un’officina in un’indu-stria importante. Il successodella Bialetti non continuò persempre e, come altre industriedel casalingo, entrò in difficoltànegli anni 80 passando di ma-no alla FAEMA nel 1986 e infi-ne al gruppo bresciano Rondi-ne Italia nel 1993, che assunsepoi il nome in Bialetti Industrienel 1999, chiudendo però defi-nitivamente lo stabilimento diCrusinallo pochi anni fa.L’introduzione pioneristica delmotore elettrico nell’utensileriacasalinga è dovuta a un’indu-stria omegnese, conosciuta conil nome di Girmi, anch’essa diantica data poiché fondata co-me Cooperativa La Subalpinagià nel 1919. Con lo sviluppodelle sue attività dovute all’intro-duzione del motore elettriconell’utensileria da cucina, cam-biò il nome diventando Girminel 1961. Anche questa aziendaentrò in crisi negli anni ottanta evenne ceduta alla Moulinex,azienda francese concorrente, lostabilimento di Omegna vennechiuso e il marchio venne infineacquisito anch’esso dalla BialettiIndustrie nel 2004.La crisi del settore casalingo,divenuta manifesta negli anni80, ne iniziò un declino cheperdura tuttora con la scompar-sa di molte ditte e ridimensio-namento delle più grandi. An-che la Lagostina, che ne era lamaggior rappresentante, dovet-te alla fine essere ceduta alla

SEB, gruppo francese proprieta-rio di importanti marchi comeTefal, Rowenta e Moulinex. Oc-corre notare come il casalingo,dopo le importanti innovazionitecnologiche iniziali, non svi-luppò ulteriori innovazioni ve-ramente competitive da poterdare un nuovo forte impulso alsettore. Molte innovazioni po-tenziali, come l’uso del titanio,nuovi materiali compositi onuovi trattamenti di superficierestarono allo stadio di ideepreliminari senza sviluppo. Notabile invece è stato il casodell’Alessi che è diventato im-portante basandosi non tantosull’innovazione tecnologicama piuttosto sul design del pro-dotto, trasformando il casalingoin un oggetto d’arte, innovazio-ne che è stata alla base del suosviluppo. Attualmente l’Alessipersegue una strategia di sfrut-tamento del successo del suomarchio anche per altri prodottie non si considera più vera-mente una ditta del casalingo.La storia industriale del V.C.O.comprende naturalmente altreattività industriali che comun-que non hanno mai raggiuntol’importanza sociale ed econo-mica di quelle descritte. Possia-mo citare soprattutto il settorelapideo che, pur avendo un’at-tività prevalentemente artigia-nale, ha generato comunqueindustrie di trasformazione eanche industrie di macchineper la lavorazione della pietracome la GMM e la sua filialeTerzago Brevetti. Le dimensionie numero di cave del lapideonel V.C.O. non è comparabilead esempio con quelle del gra-nito sardo, nè il V.C.O. ha potu-to diventare un centro commer-ciale della pietra e delle mac-chine di lavorazione come av-venuto a Verona e a Carrara. Nel campo alimentare non pos-

siamo non ricordare la fabbricadi cioccolato della Nestlé a In-tra che risale al 1927, e che èpassata alla Barry Callibaut, unaltro gruppo alimentare belgadel cioccolato, nel 1990. Nel territorio abbiamo avutoanche cartiere già nell’ottocen-to con gli stabilimenti impor-tanti di Crusinallo e Posaccio,quest’ultimo chiuso già da mol-ti anni ma l’altro della Favini,che produce carte speciali, ètuttora in attività. Il resto della piccola e mediaindustria del V.C.O. è prevalen-temente meccanica e l’insedia-mento di industrie con nuovetecnologie come l’informatica,le telecomunicazioni, le biotec-nologie e le nanotecnologie èquasi assente nonostante la pre-senza del Tecnoparco del LagoMaggiore realizzato nel 1994per questo scopo. Uno studiodel CERIS del 2008 ha identifi-cato ben 300 aziende di questotipo in Piemonte ma solo 9 nelVCO prevalentemente di infor-matica e automazione. Negli anni Ottanta la crisi indu-striale del V.C.O. raggiungeva ilculmine con la chiusura delleattività chimico-tessili e il forteridimensionamento della chimi-ca e della siderurgia unitamen-te alla crisi nel casalingo. LaProvincia di Novara, che ammi-nistrava a quel tempo il territo-rio, incaricò nel 1984 la Scuoladi Direzione Aziendale dell’U-niversità Bocconi di Milano perun’indagine sul recupero del-l’imprenditorialità, le cause del-la crisi e ipotesi di soluzioni.Questo studio rappresenta ilmiglior lavoro fatto su questotema e le cui conclusioni sonotuttora valide. Basato su ungran numero di interviste congli attori del territorio, e non suinutili studi statistici, conclude-va che la crisi era sicuramente

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causata da una forte perdita diimprenditorialità e carenze ma-nageriali nella piccola e mediaimpresa salvo alcune eccezioni.Non entrava invece in meritoagli aspetti di innovazione tec-nologica anche per mancanzadelle necessarie competenzeper affrontare questo tema. Aseguito di questo studio venne-ro fatti un certo numero di in-terventi, soprattutto per pro-muovere l’imprenditorialità el’innovazione tecnologica, pur-troppo con scarsi risultati. Il pri-mo intervento, e anche il piùimportante, è stato la realizza-zione nel 1994 del Tecnoparcodel Lago Maggiore, con inclusoanche un laboratorio chiamatoTecnolab, con lo scopo di met-tere a disposizione spazi per at-tività industriali innovative edare un supporto con un labo-ratorio a queste come anche al-le industrie locali. Dopo uncerto successo iniziale nell’arri-vo di nuove imprese, il Tecno-parco entrava in difficoltà siaper le imprese insediatasi confallimenti ed abbandoni cheper il suo importante program-ma di espansione non seguitoda altrettanti insediamenti. Unostudio dell’Università di Pavia,pubblicato nel 2008, ne preve-deva il fallimento che solo lavendita del corpo centrale allaProvincia ha probabilmente poipotuto evitare. L’errore di ge-stione del Tecnoparco è statonel considerare che sempliciaiuti finanziari, come il leasingagevolato, fossero sufficienti afar partire attività nel campodelle nuove tecnologie mentreinvece queste attività necessita-no anche di un supporto di co-noscenze e relazioni. Vi è stataquindi una carenza di profes-sionalità in questa azione an-che per la mancanza di espe-rienza nel territorio in questo

campo. Anche il Tecnolab, pen-sato per l’innovazione tecnolo-gica per il territorio, non ha po-tuto perseguire questo obietti-vo, sia per il tipo di attrezzaturache per il personale con cui si èdotato, e si è quindi orientatoverso un’attività di prove e cer-tificazioni per l’industria, sicu-ramente utile per la qualità deiprodotti e l’efficienza delle pro-duzioni, ma non generativa diinnovazione. Occorrerà aspet-tare fino al 2007 perché nelTecnoparco si insedi un vero eproprio laboratorio di ricerca, ilNISLabVCO, con la direzionescientifica dell’Università di To-rino, perché nel territorio vi siala possibilità di condurre veri epropri progetti di ricerca & svi-luppo. Purtroppo questo labo-ratorio si è confrontato con ladebole struttura tecnico-scienti-fica dell’industria del territorioche non gli ha permesso di svi-lupparsi anche per il mezzi li-mitati che ha a disposizione perstudi e preparazione di progettida proporre all’industria. Un’altra iniziativa in questosenso è stata la creazione nel2000 della Ars.Uni.VCO, perpromuovere corsi universitarilocali, avendo un certo succes-so in campo medico ma non inquello tecnico-scientifico dovel’esperienza nella chimica enell’ingegneria ha dovuto esse-re interrotta. Possiamo anchecitare le iniziative della Cameradi Commercio del V.C.O. con lamessa in rete dei vari laboratoridel V.C.O. di cui però solo ilNISLabVCO è in grado di farericerca e sviluppo, mentre glialtri si occupano essenzialmen-te di prove a controlli analitici.Inoltre ha promosso e gestiscel’associazione temporanea discopo detta ATS Fedora che riu-nisce una decina di piccoleaziende del casalingo per una

promozione soprattutto com-merciale con aiuti della Regio-ne Piemonte. Infine possiamocitare il Programma di rilancioproduttivo del V.C.O. promossodalla Provincia, ma che per lasua realizzazione necessita unaiuto pubblico molto importan-te dell’ordine di 15 milioni diEuro. Un’osservazione che puòessere fatta a questo program-ma, come anche all’ATS Fedo-ra, è lo scarso interesse versoazioni per l’innovazione tecno-logica locale. Queste iniziativepossono avere ricadute favore-voli a corto termine ma nonsono in grado di aumentaresensibilmente la competitivitàdell’industria in maniera dure-vole a fronte del fenomeno del-la globalizzazione.Nell’esporre la storia industrialedel VCO abbiamo sottolineatocome l’innovazione tecnologi-ca sia stata alla radice di tutto ilsuo sviluppo e come il suo ar-resto sia una causa importantedel declino industriale del terri-torio. Vi sono stati tanti tipi diinnovazione tecnologica: daquella importata ma i cui im-prenditori si sono stabiliti nelterritorio, come nel caso dellafilatura ottocentesca, quella co-stituita da nuove tecnologie perproduzioni, gestite però da so-cietà esterne al territorio comenel caso della filieracarburo/acetilene e chimica tes-sile, ma anche nuove tecnolo-gie nate nel territorio comequelle che hanno sviluppato ilcasalingo o nei laboratori di ri-cerca locali di grandi industriecome le colle viniliche dellostabilimento di Villadossola. Apartire dagli anni ‘70 non vi èpiù stata alcuna innovazionetecnologica importante nè nuo-va tecnologia importata ad ec-cezione della produzione diPET per bottiglie di plastica,

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troppo poco per compensare legrandi perdite in campo chimi-co e siderurgico. Se si guarda-no altri casi italiani di territoriche hanno subito gravi crisi in-dustriali, come l’industria tessi-le del Biellese negli anni ‘60 oil Canavese negli anni Duemilacon il forte ridimensionamentodell’Olivetti, si nota come que-sti territori siano riusciti ad af-frontare la crisi conservando lecompetenze e diversificando leattività, formando un distrettotessile nel Biellese e un insie-me di industrie meccaniche emeccatroniche di subfornituranel Canavese. Nel V.C.O. alcu-ni tipi di industria come la chi-mica di base del carburo o lasiderurgia dei forni fusori eranocertamente difficili da diversifi-care attraverso una nuova im-

prenditoria di minore dimen-sione, ma alcune competenze,in particolare nella chimicatessile, non hanno potuto esse-re conservate, sia per l’abban-dono totale di questo settoreda parte della Montefibre, ilcui laboratorio di ricerca vennechiuso già anni prima dellostabilimento, sia per la man-canza di iniziative locali e col-laborazioni imprenditoriali cheavrebbero potuto trovare formedi continuazione di questa atti-vità come fornitrice di tecnolo-gia se non di produzione.Possiamo chiederci a questopunto cosa si può veramentefare per arrestare il declino eridare sviluppo. Forse è venutoil momento di cambiare radi-calmente l’approccio utilizzatofinora, che è stato di tipo top

down, e cioè si sono createstrutture, come il Tecnoparco,ma che poi si è avuto difficoltàa far veramente funzionare, ostabilito programmi di inter-vento la cui applicazione diffi-cilmente porta a risultati dura-turi. Un approccio differente èquello bottom up che consistenel generare strutture o progettiattraverso discussioni in collo-qui, riunioni e studi con gli at-tori stessi coinvolti nell’inter-vento e che contribuiscono essistessi a far emergere le soluzio-ni più adatte. Si tratta di un ap-proccio che ha già avuto suc-cesso nel caso di Ruvaris, nataproprio nel Tecnoparco neglianni 1996-1998, e che ha avu-to come attori le aziende dellarubinetteria dei distretti di Bre-scia e del Basso Cusio. Essa si

Villadossola, recupero ambientale del Villaggio Sisma

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è formata dapprima come so-cietà composta da sei aziendeper lo sviluppo di una nuovatecnologia, per poi trasformarsiin un Consorzio di una ventinadi aziende che persegue unaserie di importanti progetti in-novativi per il settore. I proble-mi che affliggono l’industria delVCO, come già segnalato dallostudio della Bocconi anni fa, ri-guardano la perdita di impren-ditorialità e le carenze nel ma-nagement d’impresa a cui sipuò aggiungere un ristagno nel-l’innovazione tecnologica chenon genera più competitività. Nell’affrontare questi problemiun approccio bottom up portaa favorire la formazione di retitra aziende in grado di generarenuove idee e cooperare per stu-di e progetti specifici anche

aprendosi a contatti esterni alterritorio necessari per lo svi-luppo. Un’altra importanteazione riguarda la promozionedi nuove iniziative industriali,in particolare importando nuo-ve tecnologie, da cui l’impor-tanza di attivare il Tecnoparco.Si tratta in questo caso non tan-to, come si è fatto finora conscarso successo, di attirareaziende sulla base di soli aiutifinanziari, ma anche fornendoconoscenze e relazioni per leattività delle nuove aziende. Sitratta di una strategia di suc-cesso applicata in altri paesicome la Svizzera e e nel Can-ton Ticino esistono strutture at-tive per questo scopo che me-riterebbero di essere studiateper vedere cosa è trasferibilenel caso del V.C.O.

Infine per la formazione, oltrealla promozione del manage-ment, sarebbe molto utile se sipotesse creare una Scuola Tec-nica Universitaria, destinata na-turalmente ad un più ampio ba-cino che il V.C.O., ispirandosialle idee di Lorenzo Cobianchisui bisogni formativi per l’indu-stria della fine ottocento, eadattandoli ai bisogni attualidell’industria del XXI secolo,dove argomenti come il mana-gement delle tecnologie e l’in-novazione tecnologica sono di-venuti altrettanto importantiche la formazione tecnica escientifica ma presi raramentein considerazione nel campodella formazione.

Angelo Bonomi

Verbania, il Tecnoparco, sede della Provincia del Verbano Cusio Ossola

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