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La Politica antitrust tra l’Italia e l’Europa* di Giuseppe Colangelo** e Gianmaria Martini*** 1. Introduzione
Recentemente sono stati introdotti numerosi importanti cambiamenti nella politica antitrust,
sia sul piano normativo che nella sua implementazione. Ci sembra utile fornire una ricostruzione
sistematica di quanto avvenuto al fine di valutare la capacità delle autorità antitrust, sia europea che
nazionale, di incidere sulla realtà economica spingendo verso assetti di mercato più competitivi.
L’utilità di questo obiettivo viene rafforzata dal fatto che sono relativamente pochi i lavori su questo
tema e che, a motivo di tali importanti recenti mutamenti, studi scritti solo pochi anni fa rischiano di
essere già poco aggiornati. Il recente libro di Bruzzone [2008] costituisce una eccezione ma più
concentrata sul versante giuridico. Infatti una ulteriore peculiarità del tema oggetto di studio è di
aver bisogno di una non sempre facile sintesi tra lo studio dell’apparato normativo secondo la
metodologia giuridica e l’analisi economica che, soprattutto a partire dagli anni Duemila, è entrata
più in profondità sia nell’esame dei casi specifici che nell’assetto normativo.
Considereremo la politica antitrust alla luce della contingente situazione economica: da un
lato la globalizzazione è andata molto avanti e vari mercati che prima erano segmentati sono ora
globali, avendo aumentato così in modo spontaneo la concorrenza (anche i progressi compiuti
dall’Unione Europea nella costruzione di un mercato unico e dell’unione monetaria hanno spinto in
questa direzione); dall’altro lato la crisi finanziaria partita negli USA dai mutui subprime si è estesa
in modo impressionante coinvolgendo anche l’Europa e aggravando la recessione verso cui ci
stavamo già muovendo. In questa nuova situazione, il ruolo della politica antitrust non può rimanere
più quello di prima ma è chiamato a ulteriori cambiamenti, in modo da divenire consistente con altri
tipi di intervento pubblico, a loro volta da modificare, in primis la politica industriale.
* Si ringraziano i curatori di questo volume e Enzo Pontarollo per utili commenti e suggerimenti. La responsabilità del lavoro rimane tuttavia nostra. ** Università dell’Insubria e Università Cattolica del Sacro Cuore *** Università degli Studi di Bergamo
2
La globalizzazione ha inoltre reso più importante la dimensione internazionale della politica
antitrust: molto più frequentemente di una volta oggi una concentrazione viene realizzata da
multinazionali che operano in tutto il mondo; diverse autorità antitrust hanno in tal caso
giurisdizione sull’operazione e dovranno esaminarla. E’ molto più conveniente, per un esame
appropriato del caso, che queste autorità si aprano alla mutua cooperazione e talvolta al
coordinamento. Solo con un deciso miglioramento nel coordinamento tra diverse autorità antitrust
del pianeta potremo avere un level playing field adeguato a mercati globali. La dimensione
internazionale della politica antitrust europea sarà oggetto di uno specifico paragrafo in questo
lavoro.
L’attuale grave situazione economica e finanziaria porta a ripensare i rapporti tra politica
antitrust e politica industriale, sia a livello europeo che nazionale. Gli stati membri vorrebbero avere
le mani più libere per aiutare le banche e/o le imprese non bancarie, specie quelle industriali. In
questa particolare contingenza, per ovviare a un progressivo circolo vizioso della grave crisi
depressiva dell’economia e per limitare le gravi conseguenze occupazionali, si assiste a un ritorno
di importanza della politica industriale. I provvedimenti adottati da diversi governi hanno portato a
nazionalizzazioni di diverse imprese per evitarne il fallimento, sia nel settore creditizio, in quello
assicurativo, che in quello industriale. Ma se da un lato questo è comprensibile, vista la criticità
della fase depressiva, dall’altro si corre il rischio che una sospensione de facto della normativa sugli
aiuti di stato, al fine di lasciare gli stati più liberi nella loro azione di politica industriale, possa
danneggiare seriamente il mercato comune europeo così faticosamente costruito. In tal caso
vincerebbe sul mercato in modo artificiale l’impresa più aiutata dal proprio stato e si
potrebbero determinare delle distorsioni alla concorrenza con effetto di lungo periodo.1
1 Durante la grave crisi del 1929 il governo degli Stati Uniti ha approvato il National Industrial Recovery Act (NIRA), che prevedeva per le imprese l’esenzione della legislazione antitrust in cambio dell’adozione di politiche di tutela dell’occupazione, come salario minimo e work sharing. Alexander (1994) ha mostrato che questo provvedimento ha reso più facile, anche vari anni dopo la reintroduzione della normativa suddetta, la realizzazione di intese collusive.
3
Mentre nel corso degli anni Novanta la normativa comunitaria in materia di concorrenza è
stata implementata con un rigore non riscontrato nei decenni precedenti e corrispondentemente una
enfasi molto minore di oggi veniva posta sulle politiche industriali (anche per i diversi casi di
fallimento a cui avevamo assistito), sembra ora che tale rapporto si sia capovolto. Si corre il rischio
di vedere non applicati a sufficienza i nuovi strumenti di tutela della concorrenza di cui l’Unione
Europea si è recentemente dotata. Il rapporto tra politica antitrust e politica industriale assume
quindi una grande importanza di questi tempi. Dedichiamo a questo tema uno specifico paragrafo:
queste due politiche potrebbero entrare in conflitto; molto dipenderà dalla Commissione Europea,
dai governi e dalle autorità antitrust nazionali. E’ da vedere se sapranno coniugare ad esempio un
minor rigore sulle intese che servono all’innovazione o una più attiva azione degli stati a favore di
alcuni settori strategici con il proseguimento dei processi di liberalizzazione ancora in corso e con la
garanzia di applicabilità delle importanti regole di concorrenza a tutela del mercato comune.
Un modo diverso di porre lo stesso problema si basa sulla distinzione tra tutela della
concorrenza e politica della concorrenza. Se l’obiettivo di un’autorità antitrust fosse quello di
garantire comunque la tutela della concorrenza, si dovrebbero applicare i principi cardine del diritto
antitrust in modo obiettivo e indipendente dal ciclo economico. Se invece l’obiettivo di un’autorità
fosse quello di garantire la tutela della concorrenza adattandola in misura significativa alla
situazione contingente dell’economia, verrebbe privilegiata una visione di politica della
concorrenza e non di mera tutela. Si tratta di un tema rilevante nell’attuale dibattito economico.
Il lavoro si compone di sette paragrafi. Nel paragrafo 2, descriviamo le riforme poste in essere
negli anni Duemila nel diritto antitrust europeo e nazionale, con particolare riguardo ai rapporti tra
Commissione Europea e autorità antitrust nazionale. Nel paragrafo 3, analizziamo e valutiamo
l’operato della Commissione Europea negli anni Duemila. Nel paragrafo 4, analizziamo e
valutiamo, anche sulla base dei dati statistici disponibili, l’intervento dell’autorità antitrust italiana
per lo stesso periodo. Nel paragrafo 5 studiamo la dimensione internazionale della politica europea
della concorrenza. Nel paragrafo 6 ci concentriamo sui rapporti tra politica antitrust e politica
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industriale che più facilmente in questi momenti di crisi potrebbero entrare in conflitto. Nel
paragrafo 7 svolgiamo alcune considerazioni conclusive.
2. Le recenti modifiche nel diritto antitrust europeo e italiano
Nell’ambito del consistente processo di sviluppo della tutela della concorrenza degli anni
Novanta2 avvenuto nell’Unione Europea e quindi anche in Italia, è emersa l’esigenza di modificare
in modo significativo la normativa per renderla più efficace. In questo paragrafo, tratteggiamo le
principali riforme introdotte nei primi anni Duemila, con particolare riguardo alle relazioni tra
Commissione Europea e autorità antitrust nazionale: si tratta della cosiddetta modernizzazione
dell’antitrust europeo; del nuovo Regolamento Concentrazioni; della nuova comunicazione sul
trattamento favorevole per le imprese che cooperano in materia di cartelli (la cosiddetta politica di
clemenza o leniency policy) e delle proposte presentate sul private enforcement del diritto europeo
della concorrenza.
La modernizzazione del diritto antitrust realizzatasi con il Regolamento n.1/2003, che ha
sostituito il Regolamento n.17/1962 entrando in vigore il 1 maggio 2004, ha profondamente
innovato i rapporti tra Commissione Europea da un lato e autorità antitrust e tribunali nazionali dei
Paesi membri dall’altro, introducendo altresì nuovi strumenti di enforcement o anche solo
potenziando strumenti già presenti nell’ordinamento. Tra questi strumenti assumono importanza
l’istituto degli impegni e le misure cautelari. Autorità antitrust nazionali e tribunali nazionali
possono ora affiancare la Commissione nell’applicare le regole del diritto antitrust comunitario,
anche in materia di esenzioni previste sulle intese ai sensi dell’art.81(3) del Trattato CE.
La Commissione può ora concentrare i suoi sforzi sui casi più rilevanti, lasciando a livello
nazionale l’esame di casi che pur danneggiando il commercio tra Paesi membri e inficiando la
2 In questo decennio anche i Paesi membri della UE più in ritardo con lo sviluppo dell’antitrust si sono dotati di una simile normativa e hanno istituito un’autorità nazionale.
5
concorrenza sul mercato europeo non vengano considerati di primaria importanza.3 Il Regolamento
applica il principio di sussidiarietà secondo cui i casi da studiare vanno attribuiti all’autorità meglio
posizionata per svolgere l’indagine e porre fine all’infrazione. Il più delle volte sarà una sola
autorità a studiare il caso: può essere un’autorità nazionale, se il caso è circoscritto nel suo mercato,
o la Commissione, nel caso in cui il caso abbia effetti rilevanti sulla concorrenza in almeno tre Paesi
membri. E’ previsto l’obbligo di informativa a vantaggio dei membri della rete sia a carico della
Commissione che a carico di un’autorità nazionale.4 E’ evidente che la condivisione delle
informazioni, in qualsiasi momento e con una certa facilità, aumenta significativamente l’efficacia
della politica antitrust.
Un’innovazione del Regolamento n.1/2003 che ha avuto vasto utilizzo anche tra le autorità
antitrust nazionali è relativo allo strumento degli impegni. Come vedremo meglio in seguito, questo
strumento ha forti implicazioni in merito alla relazione tra tutela e politica della concorrenza. Ai
sensi dell’art.9 del suddetto Regolamento, la Commissione può accettare impegni obbligatori da
parte di imprese sotto procedimento che diano garanzia di porre fine al comportamento
anticompetitivo e chiudere in tal modo il procedimento. Si tratta di una nuova strada, da applicare ai
casi meno gravi, che rende più celere il conseguimento della fine del comportamento dannoso,
velocizzando la chiusura dei procedimenti. Allo stesso tempo essa è appetibile per le imprese che
evitano di essere riconosciute colpevoli con formale sentenza, di subire multe pecuniarie salate e di
esporsi a cause di risarcimento del danno. L’autorità garante italiana ha molto utilizzato questo
strumento negli ultimi mesi, dopo il suo recepimento a livello nazionale con la legge n.248/2006,
che ha modificato la legge istitutiva del 1990.
3 La rimozione dell’obbligo di notifica di qualsiasi intesa ha drasticamente ridotto il carico burocratico a cui si doveva far fronte ai sensi del Regolamento precedente. A quest’obiettivo ha contribuito in modo decisivo anche l’esenzione di categoria in materia di intese concessa a favore delle piccole e medie imprese (la legislazione europea considera piccole e medie imprese quelle con meno di 250 addetti e un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di euro). Si veda ad esempio la Comunicazione de minimis (2001/C 368/07), a cui però si aggiungono altre esenzioni in campi più circoscritti. Ad esempio il Regolamento 2658/2000 che disciplina le esenzioni per accordi di specializzazione, il Regolamento 2659/2000 per le esenzioni per accordi di R&S e il Regolamento 772/2004 che riguarda le esenzioni per accordi di trasferimento di tecnologia. La Commissione ha comunque il diritto di avocare a sé qualsiasi caso con l’apertura formale di un procedimento. Questo può avvenire anche allorché il caso sia già sotto studio da parte di un’autorità antitrust nazionale. 4 Ad esempio quest’ultima deve informare la Commissione di un caso su cui sta indagando almeno 30 giorni prima dell’adozione della decisione finale ai sensi dell’art.11(4).
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Il Regolamento di modernizzazione mette anche a disposizione della Commissione misure
cautelari. Ai sensi dell’art.8 infatti, la Commissione in casi di comprovata gravità può decidere di
ricorrere a tali misure. Esse non sono pre-specificate dal Regolamento ma tuttavia deve valere il
principio di proporzionalità tra le misure cautelari adottate e l’obiettivo di evitare un ingente danno
alla concorrenza. Possono rientrare tra tali misure ad esempio l’obbligo di sospensione di un
comportamento lesivo (come il refusal to deal) o di norme contrattuali in contrasto con i principi
della concorrenza. Sebbene le misure cautelari abbiano un’applicabilità limitata nel tempo, possono
tuttavia anche essere rinnovate.5
L’impostazione di lavoro congiunto e di reciproco scambio tra autorità di concorrenza è stata
recepita anche nel Regolamento n.139/2004 in materia di concentrazioni. Anche se rimane vigente
il principio già affermato sin dal 1989 che la Commissione ha una competenza esclusiva sulle
concentrazioni di dimensione comunitaria, cionondimeno è stato molto rafforzato il ruolo delle
autorità nazionali della concorrenza in aiuto e assistenza alla Commissione. Questo lascia spazio ad
una differenziazione nell’implementazione della politica della concorrenza tra autorità comunitaria
e le diverse autorità nazionali, basata su caratteristiche specifiche dell’economia nazionale oppure
su fattori specifici di determinati settori.6
5 A livello nazionale, oltre all’istituto degli impegni, la succitata legge n.248/2006 consente all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) di adottare misure cautelari e di svolgere programmi di clemenza. Per quanto riguarda le misure cautelari, l’Autorità ha anche emanato nel dicembre 2006 una comunicazione che precisa come la loro adozione possa avvenire solo quando sia accertata l’esistenza di una elevata probabilità di infrazione e vi sia idoneità dell’eventuale illecito a produrre un danno grave e irreparabile alla concorrenza. Le misure cautelari possono essere ordinarie, ossia disposte previo contradditorio con le parti, oppure eccezionali ossia disposte senza contradditorio. In merito al programma di clemenza, la normativa italiana è del tutto simile a quella comunitaria, con la sola eccezione relativa alla riduzione delle ammende: al contrario della normativa comunitaria che prevede una griglia di riduzione di ammende (v. nota 7), quella italiana prevede una riduzione del 50% per tutte le imprese che collaborano. Va inoltre ricordato che l’adozione di impegni vincolanti deve avvenire entro tre mesi dalla notifica dell’istruttoria. La comunicazione di AGCM dell’ottobre 2006 stabilisce che essi debbano essere pubblicati sul sito internet dell’Autorità prima dell’adozione, per permettere a terzi di formulare le proprie osservazioni scritte. 6 L’art.19 del Regolamento Concentrazioni attribuisce alla Commissione il dovere di fornire copia delle notifiche ricevute sulle concentrazioni e i documenti più importanti agli altri membri della rete. Le autorità nazionali possono trasmettere alla Commissione osservazioni sui procedimenti in corso e scambiare opinioni con personale della Commissione. Quest’ultima, ai sensi dell’art.4, può altresì rinviare il caso, interamente o in parte, a un’autorità nazionale allorché la concentrazione possa incidere in misura significativa sulla concorrenza di un mercato locale distinto da quello comunitario, che non costituisca parte sostanziale del mercato comune. In tal caso dovrebbe essere applicata la legislazione antitrust nazionale. Rimane però salvo il diritto dello Stato membro a esprimere previamente dissenso a tale trasferimento di competenza. E’ inoltre previsto dal Regolamento all’art.4(5) che in presenza di una concentrazione che non sia di dimensione comunitaria ma che incida sul commercio tra almeno 3 stati membri, gli stati membri coinvolti possano far richiesta alla Commissione di esaminare essa stessa il caso. Se nessuno dei suddetti stati esprime il suo dissenso, la concentrazione verrà esaminata direttamente dalla Commissione.
7
Nel merito delle concentrazioni orizzontali il nuovo regolamento delinea una potenziale
estensione dell’ambito di applicazione del divieto, non più vincolato dal necessario ancoraggio al
requisito della dominanza, ma relativo a tutte quelle operazioni che possono configurare un
impedimento alla concorrenza effettiva. Come corollario al Regolamento la Commissione ha
adottato, per la prima volta nella sua storia, delle Linee Guida sulle concentrazioni orizzontali. Esse
sono relative, in particolare, alle quote di mercato, ai possibili effetti anticoncorrenziali e alle
considerazioni di efficienza. Tale impostazione è in linea con gli studi compiuti in questa direzione
ad esempio da Roller et al. [2001] e ripresi anche da Motta [2004].
Un altro passo importante nel processo di riforma istituzionale è stato compiuto attraverso la
adozione del trattamento favorevole delle imprese che sono disposte a cooperare con la
Commissione per far scoprire un cartello illegale, i cosiddetti programmi di clemenza o leniency
policy. La Comunicazione del 2002 (2002/C 45/03) ha puntualizzato una precedente
Comunicazione del 1996, chiarendo le condizioni di applicabilità di una immunità dall’ammenda
ovvero di una riduzione dell’importo dell’ammenda. Il principio fondamentale che viene applicato è
che l’immunità o la riduzione dell’ammenda devono essere correlate al valore aggiunto della
scoperta ottenuta tramite la cooperazione. In questa linea, si comprende quindi che solo alla prima
impresa che presenta elementi di prova decisivi si può concedere l’immunità o che il grado di
riduzione dell’ammenda dipenda dal valore degli elementi di prova emersi. Va comunque notato
che la concessione del trattamento favorevole non mette al riparo da un procedimento giudiziario
volto al risarcimento del danno per la partecipazione a un’infrazione in materia di intese.7
La politica di deciso sviluppo della leniency, che è stata poi ancora perfezionata con altra
Comunicazione successiva del 2006 (2006/C 298/11), ha prodotto un inequivocabile effetto positivo
nella lotta ai cartelli. Come riportato da Monti [2003], nei primi 21 mesi dalla comunicazione del
2002 ben 54 sono state le domande di applicazione della leniency. Un maggior dettaglio in merito
7 All’impresa che collabora per seconda con la Commissione e che fornisce un valore aggiunto in merito all’attività istruttoria può essere accordata una riduzione tra il 30% e il 50% dell’ammenda, alla seconda tra il 20% e il 30%, alla terza non superiore al 20%.
8
rispettivamente per l’Italia e la UE verrà fornito nei due paragrafi successivi. Anche sui programmi
di clemenza la rete europea della concorrenza sta funzionando: un recente progresso ha riguardato
la messa a punto di un programma-modello di trattamento favorevole comune all’intera rete.8
In ultimo, dobbiamo citare che, in linea con il più importante ruolo svolto dai giudici nazionali
nell’applicazione del diritto antitrust comunitario dopo la riforma del 2004, la Commissione ha
attivato negli ultimi anni una serie di studi sul suo private enforcement con l’obiettivo di rendere più
facile per i privati cittadini, sia singolarmente sia collettivamente, intentare cause per il risarcimento
del danno dovuto a infrazione relativa al diritto della concorrenza. Mentre tale canale è già molto
sviluppato in Usa, in Europa è pressoché inesistente. Esso potrebbe invece ricoprire un ruolo
importante sia come strumento di deterrenza per le imprese (e in un prossimo futuro anche per gli
stati) spingendole a non compiere azioni illegali in materia di antitrust, visto che potrebbe
successivamente essere molto costoso risarcire il danno a tutti i cittadini danneggiati, sia come
strumento di diffusione della cultura della concorrenza. Più cause vengono intentate su questa
materia, più se ne parlerà nell’intera società e quindi più si svilupperà la cultura economico-
giuridica della concorrenza. Ritenendo molto importante questo tema, la Commissione ha preparato
un Libro Verde alla fine del 2005 (COM 2005 672), individuando una serie di problematiche da
risolvere, a cui ha fatto seguito, dopo un periodo di discussione e di dibattito, un Libro Bianco
adottato nell’aprile 2008 (COM 2008 165) in cui sono contenute alcune proposte volte a facilitare il
private enforcement nell’Unione europea e avviarlo anche da noi come pratica diffusa.
Realizzazioni significative rimangono tuttavia ancora lontane.9
3. Gli interventi della Commissione Europea a tutela della concorrenza negli anni Duemila
8 Su questo tema si possono evidenziare alcuni possibili riflessi della letteratura economica sul diritto antitrust. Il contributo di Motta-Polo [2003] ad esempio, circolato a partire dal 1999, dimostra che l’introduzione di un programma di clemenza produce nel suo complesso un effetto netto positivo sul benessere sociale. 9 Tra i vari contributi della letteratura economica in merito agli effetti benefici di questo sviluppo privatistico possiamo citare Salant [1987] e Besanko-Spulber [1990].
9
Guardiamo ora all’attività degli ultimi anni svolta dalla Commissione Europea come autorità
di concorrenza; riserveremo particolare attenzione all’esame delle applicazioni delle novità
legislative descritte in precedenza: il programma di clemenza sulle intese orizzontali, il regime degli
impegni, le misure cautelari e il nuovo regolamento concentrazioni.
In merito al programma di clemenza, gli effetti delle novità introdotte sono stati molteplici: (1)
un aumento della percentuale di intese scoperte e sanzionate, specialmente a partire dal 2005; (2) un
aumento delle sanzioni medie; (3) la scoperta di intese in settori non sotto il mirino dell’opinione
pubblica. Esse riguardano, per il 2005, l’industria delle borse industriali di plastica (16 imprese
coinvolte, con sanzioni complessive pari a 290 milioni di euro) e il mercato dell’acido
monocloracetico (4 imprese coinvolte, sanzioni pari a 217 milioni di euro). Nel 2006 le intese
individuate con programmi di clemenza sono relative all’industria delle gomme sintetiche (5
imprese coinvolte, sanzioni per 519 milioni di euro), del perossido di idrogeno e perborato (7
imprese coinvolte, sanzioni per 388 milioni di euro), del vetro acrilico (5 imprese coinvolte,
sanzioni per 345 milioni di euro), dei raccordi in rame (30 imprese coinvolte, 315 milioni di euro di
sanzioni) e del bitume stradale in Olanda (14 imprese coinvolte, 267 milioni di euro di sanzioni).
Nel 2007 è stata scoperta un’intesa nel settore degli ascensori e delle scale mobili, per la quale
alle quattro imprese coinvolte è stata comminata la più elevata sanzione in assoluto mai comminata
per intesa da parte della Commissione pari a 990 milioni di euro; un’altra è stata scoperta nel settore
degli apparecchi per gas isolanti (11 imprese e sanzioni per 750 milioni di euro), delle chiusure
lampo (7 imprese per 328 milioni di euro di sanzioni), del mercato della birra in Olanda (4 imprese,
273 milioni di euro di sanzioni), della gomma cloroprene (6 imprese per sanzioni pari a 248 milioni
di euro) e del bitume stradale in Spagna (5 imprese per sanzioni pari a 183 milioni di euro).
L’ultima colonna della Tab.1 riporta la percentuale annua dei casi sanzionati grazie al
programma di clemenza rispetto al totale dei casi esaminati: è evidente che nel periodo 2005–2007
questa percentuale si attesta su valori decisamente elevati (non inferiori al 63%), mentre nel periodo
10
precedente essa è soggetta a maggiore variabilità. Anche la sanzione media è in deciso aumento
negli ultimi due anni considerati.
Tab.1. Le Intese Esaminate e Sanzionate nella UE, 2000–2007
Anno Totale casi
Sanzionati Sanzione Sanzione
media Numero medio
imprese %
Leniency 2000 6 6 € 203,6 € 33,9 6,5 17% 2001 13 12 € 1.937,5 € 161,5 6,7 54% 2002 10 10 € 1.112,7 € 111,3 5,5 70% 2003 3 3 € 157,7 € 52,6 5,0 33% 2004 8 8 € 391,7 € 49,0 4,2 25% 2005 7 6 € 731,4 € 121,9 7,8 71% 2006 8 5 € 1.834,0 € 366,8 13,2 63% 2007 11 9 € 3.344,0 € 371,6 4,9 64%
Fonte: Nostre Elaborazioni su Documenti DG Concorrenza della Commissione Europea
Per quanto riguarda la disciplina degli impegni, dai dati si evidenzia che negli ultimi anni si è
verificata una intensificazione nell’uso di questo istituto: nel 2006 la percentuale dei provvedimenti
conclusi mediante accettazione di impegni è stata del 25% e nel 2007 del 18%. Anche l’autorità
antitrust italiana, come vedremo, si è messa in luce per un intenso uso di questo istituto, ancora più
intenso di quanto non abbia fatto la Commissione Europea.
Sulle misure cautelari invece, non si ha ancora notizia di un loro utilizzo da parte della
Commissione Europea dopo il Regolamento sulla modernizzazione dell’antitrust. Tali misure
evidentemente vengono viste come da utilizzare esclusivamente in casi estremi.
Il nuovo Regolamento sulle operazioni di concentrazione ha avuto, a nostro parere, l’effetto di
incrementare il numero di integrazioni orizzontali autorizzate senza aprire una indagine specifica.
Come mostra la Tab.2, il numero di concentrazioni autorizzate a condizione del rispetto di
impegni da parte delle imprese coinvolte è cresciuto notevolmente dal 2004 in poi, mentre il
numero di concentrazioni vietate è ormai ridotto a non più di un caso l’anno: si può affermare che la
maggiore chiarezza nell’implementazione della politica antitrust sulle operazioni di concentrazione
ha reso le imprese più fiduciose e più competenti spingendole a incrementare il numero di
operazioni proposte con cognizione di causa.
Tab.2. Operazioni di Concentrazione Esaminate nella UE, 2000–2007
Commento [g1]: Su questo paragrafo c’è un problema: diciamo che le guidelines hanno portato un incremento del numero di itegrazioni orizzontali senza aprite una indagine specifica. Ma di questo non abbiamo un dato. Poi attacchiamo il paragrafo dicendo: Come mostra la tab. 2… ma la tabella 2 parli di concentrazioni per cui E’ stata avviata un’istruttoria. Io inizierei così: “Per quanto riguarda invece i casi oggetto di una valutazione approfondita, come mostra la Tab. 2, il numero di …..
11
Anno Vietate Autorizzate a condizione
Autorizzate dopo indagine
2000 2 23 2 2001 5 7 4 2002 0 5 4 2003 0 6 2 2004 1 14 2 2005 0 17 2 2006 0 19 4 2007 1 23 4
Fonte: Nostre Elaborazioni su Documenti DG Concorrenza della Commissione Europea
Tra le concentrazioni vietate, segnaliamo nel 2004 l’acquisizione congiunta da parte di ENI e
Energias de Portugal (EDP) di Gás de Portugal (GDP) in quanto, a giudizio della Commissione,
essa avrebbe rafforzato la posizione dominante esistente nel mercato portoghese dell’energia
elettrica e del gas; nel 2007 è stata vietata l’acquisizione di Aer Lingus da parte di Ryanair, che
avrebbe ridotto sensibilmente la concorrenza nel settore del trasporto aereo passeggeri tra l’Irlanda
e la Gran Bretagna. Quest’ultimo diniego ha suscitato alcune proteste, anche nel corso del 2008, in
quanto un’operazione simile a quella proposta da Ryanair, cioè la fusione tra Alitalia e Air One
nell’ambito del progetto per il salvataggio della ex-compagnia di bandiera italiana ha avuto invece il
via libera da parte della Commissione Europea.
In merito ai casi di abuso di posizione dominante, il numero degli interventi non è variato
negli ultimi anni. La Tab. 3 mostra che negli ultimi anni ci si è stabilizzati su due casi esaminati per
anno di cui uno condannato. Se escludiamo l’anno 2004, l’anno della famosa sentenza di condanna
contro Microsoft Europe, che ha comportato una sanzione di 497 milioni di euro, la sanzione media
annua rimane su livelli contenuti. Solo nel 2007 essa ha nuovamente superato i 150 milioni di euro.
Tab. 3. I Casi di Abuso di Posizione Dominante nella UE, 2000–2007
Anno Totale casi Sanzionati Sanzione2000 1 1 € 33,0 2001 5 4 € 46,0 2002 0 0 € 0,0 2003 3 2 € 24,4 2004 3 2 € 500,4 2005 2 1 € 60,0 2006 2 1 € 24,0
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2007 2 1 € 152,0 Fonte: Nostre Elaborazioni su Documenti DG Concorrenza della Commissione Europea
L’ultima tipologia di attività della Commissione Europea riguarda gli aiuti di stato. Si tratta di un
intervento particolarmente complesso, con ricadute di natura generale nel contesto economico
attuale. Per limitare gli effetti distorsivi che si possono in tal modo creare sui mercati, la
Commissione Europea ha stabilito regole precise e dettagliate anche in merito alle esenzioni
concesse dal criterio generale della incompatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune.10
Nella Fig. 1, riportiamo l’ammontare degli aiuti di stato, distinti tra aiuti orizzontali e verticali, nel
periodo 1992–2007. Si osserva una riduzione del loro volume nel tempo: da più di 80 miliardi di
Euro nel 1992 (con una punta superiore ai 100 miliardi nel 1997) si è passati a poco più di 60
miliardi nel 2007. Dal 1998 gli aiuti di stato si sono sempre mantenuti intorno ai 65 miliardi di euro.
Sono diminuiti in modo particolare gli aiuti verticali, cioè quelli concessi a settori specifici
(carbone, servizi finanziari, manifatturiero, industriale non manifatturiero, altri servizi), mentre
sono leggermente cresciuti gli aiuti orizzontali. Di questi, nel 1992 il 56% erano aiuti regionali,
scesi nel 2007 al 25%. Gli aiuti alle PMI erano il 14% nel 1992, e sono scesi all’11% nel 2007. Una
crescita consistente si osserva in merito agli aiuti per la tutela dell’ambiente (dal 1% del 1992 al
29% del 2007) e per la R&S (dall’11% al 18%).
10 Un documento esaustivo in materia è il Vademecum “Regole comunitarie applicabili agli aiuti di stato”, continuamente aggiornato dalla Commissione, e scaricabile dal sito http://ec.europa.eu/competition/index_en.html.
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0,0
20000,0
40000,0
60000,0
80000,0
100000,0
120000,0
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
mil
ion
i di
Eu
ro
Totale Misure orizzontali Settori specifici Fig.1. Ammontare degli aiuti di stato, 1992-2007, milioni di euro a prezzi costanti Il tema degli aiuti di stato e di quanto stringente debba essere la corrispondente normativa europea
sull’azione dei governi è tornato d’attualità con la crisi economica in corso. La necessità di
procedere al salvataggio, anche tramite nazionalizzazione, di importanti istituzioni finanziarie e
creditizie da parte di alcuni Paesi membri ha imposto una riconsiderazione del tema. La
Commissione ha riconosciuto l’eccezionale gravità della crisi ed ha accettato di formulare giudizi in
merito all’ammissibilità dell’aiuto in un tempo estremamente limitato, anche un solo giorno. Ha
anche riconosciuto le pesanti conseguenze della crisi ed ha rivisto i criteri generali da seguire,
adattandoli alla situazione al fine di rendere possibile una maggiore flessibilità nelle decisioni dei
governi. La Commissione ha sottolineato l’importanza di aiutare anche le PMI, che rappresentano
l’ossatura fondamentale dell’economia dell’Unione Europea. Torneremo comunque in seguito sul
tema dei rapporti tra politica antitrust e politica industriale (spesso realizzata mediante gli aiuti di
stato). Veniamo ora all’esame dell’operato della nostra autorità antitrust nazionale.
14
4. Gli interventi dell’autorità antitrust italiana negli anni Duemila
In questo paragrafo viene analizzata l’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (AGCM), nel periodo più recente (2000–2007), alla luce delle modifiche normative
precedentemente discusse. Si mostra che nel corso del 2005 si è realizzato in Italia un cambiamento
significativo nella politica antitrust coincidente con il cambiamento intercorso nella composizione
del collegio dell’Autorità, e che presenta interessanti implicazioni per la distinzione tra tutela e
politica della concorrenza.
Il nostro lavoro si basa sull’analisi di statistiche descrittive in merito alle varie tipologie di
attività antitrust svolte: intese, abusi di posizione dominante, operazioni di concentrazione, attività
di segnalazione.
E’ interessante svolgere questa analisi alla luce di un passaggio sottolineato della Relazione
sull’attività svolta dall’antitrust nel 2000. In quell’ambito l’allora Presidente Tesauro affermava che
l’evoluzione complessiva del sistema economico italiano poneva l’Autorità di fronte a tre
importanti sfide. La prima, relativa alle intese, era legata alla loro identificazione diventata più
difficile per l’adozione da parte delle imprese di sofisticati strumenti di coordinamento. La seconda
sfida, legata agli abusi, derivava dall’emergere di nuovi mercati grazie sia al progresso tecnologico
che al processo di liberalizzazione, dove risultava necessario contrastare le pratiche escludenti
realizzate dagli operatori già insediati (incumbents). Infine, l’attività di contrasto alle pressioni
lobbistiche di varie corporazioni rappresentava la terza sfida cui era sottoposta l’Autorità,
specialmente nei confronti delle decisioni assunte dalle Amministrazioni locali, in conseguenza del
decentramento amministrativo avviato nel nostro assetto costituzionale.
Alla luce dello studio sull’attività svolta dall’AGCM negli anni Duemila i cui dati sul numero
di casi esaminati per tipologia di intervento vengono riportati in Fig. 2, è possibile trarre delle
indicazioni in merito a queste sfide. Per quanto riguarda la capacità dell’Autorità di identificare le
intese, i dati raccolti destano perplessità. Il numero delle intese esaminate è infatti diminuito
15
drasticamente dopo il picco del 2004. A nostro parere tale dato va collegato con una differente
implementazione della politica antitrust nei confronti delle intese, come verrà meglio esplicitato in
seguito e in linea con quanto espresso da Ghezzi [2008].
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Intese Abusi Concentrazioni Fig. 2. Numero di casi esaminati da AGCM distinti per tipologia di intervento, 2000-2007 Fonte: Nostre Elaborazioni su Documenti AGCM
La stessa considerazione si può estendere all’attività di contrasto agli abusi di posizione
dominante: anche per questa tipologia di intervento si riscontra un ripido “gradino” discendente tra
il 2004 e il 2005. Sulle concentrazioni invece si osserva un trend opposto: il numero di casi rimane
più o meno stabile tra il 2000 e il 2005 mentre nel 2006 e nel 2007 si assiste a un forte incremento
dei casi studiati.
Sulle distorsioni alla concorrenza dovute a pressioni lobbistiche, si nota che le segnalazioni
inviate al Parlamento e agli enti locali e territoriali competenti sono più che triplicate nel periodo di
osservazione (come riportiamo in seguito nello specifico sottoparagrafo), a conferma di una
maggiore attenzione a questo compito. Sembra quindi che solo alcune delle sfide che si
16
prospettavano per la politica antitrust in Italia all’inizio del Duemila siano state colte.
Approfondiamo ora l’analisi per ogni tipologia di attività a tutela della concorrenza.
4.1. Le intese
Analizzando più in dettaglio la Fig. 2 relativamente alle istruttorie sulle intese, il gradino
discendente già rilevato tra 2004 e 2005 sul numero dei casi esaminati è veramente molto ripido: le
intese esaminate scendono infatti da più di 60 nel 2004 a poco più di 10 nel 2005, e anche se
risalgono a poco meno di 30 nel 2007 il numero rimane largamente al di sotto di quello di due anni
prima. In media nel sottoperiodo 2000–2004 sono stati esaminati 51 casi annuali, mentre nel
sottoperiodo 2005–2007 i casi annuali scendono a 18.
Esaminando gli esiti delle varie indagini avviate per verificare l’esistenza di intese illecite,
una elevata percentuale porta ad un giudizio di non violazione: il 57% delle intese esaminate nel
periodo considerato non è basato su un comportamento illecito per la non sussistenza dell’ipotesi
collusiva. Solo il 18% delle intese esaminate vengono considerate illecite. Il 25% delle intese
esaminate risultano invece non essere di competenza dell’Autorità, oppure fanno emergere aspetti
di non applicabilità della legge antitrust nazionale. Come mostra la Fig. 3, dal 2006 ha pesato su
questo risultato l’inizio di un estensivo utilizzo di una delle modifiche normative introdotte in
questo periodo, ossia l’istituto degli impegni obbligatori da parte dei soggetti indagati come
strumento di chiusura del procedimento. Si nota altresì una forte variabilità nel totale delle sanzioni
comminate da anno ad anno. A parte due anni particolari, il 2000 e il 2006, le sanzioni comminate
per intese sono state basse.
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Violazione con sanz Violaz senza sanz Non violaz per impegni Ritiro dopo rilievi AGCM Autorizzazione in deroga Sanzioni
Fig. 3. Tipologie di esito delle intese esaminate e sanzioni comminate, 2000–2007 Fonte: Nostre Elaborazioni su Documenti AGCM
Nel periodo considerato sono entrati in vigore i programmi di clemenza, a partire dal 2006. La
prima applicazione in Italia del programma di clemenza è avvenuta nel 2007 ed è stata relativa al
mercato del legno truciolare (caso I649). Il denunciante ha ottenuto l’immunità, mentre le sanzioni
complessive versate dalle altre 8 imprese partecipanti al cartello sono state pari a circa 31 milioni di
euro.
Delle intese esaminate ben 9 riguardano il settore petrolifero, di cui 4 sanzionate. Il numero
delle intese relative all’alimentare e al farmaceutico è pari a 6, di cui 2 sanzionate nell’alimentare e
ben 5 nel farmaceutico. Attività professionali (5 intese esaminate) e assicurazioni (4) sono altri due
settori con un elevato numero di intese esaminate. Nel 2000 il settore assicurativo ha visto
l’imposizione della più alta sanzione comminata dall’Autorità in questo campo di attività (362
milioni di Euro).
18
4.2. Gli abusi di dominanza
Anche per gli abusi di posizione dominante si registra una diminuzione del numero medio
annuale di casi oggetto di indagine da parte dell’AGCM nel secondo sottoperiodo, dal 2005 al 2007,
rispetto al primo sottoperiodo (si veda la Fig. 2). Da una media di 21 casi annuali nel periodo 2000–
2004 si è passati ad una media di 6 casi annuali nel 2005-2007. Valgono quindi le precedenti
considerazioni riportate nell’esame dell’attività relativa alle intese, e quindi al cambiamento
nell’implementazione dell’attività antitrust in Italia in corrispondenza del cambio nel collegio
dell’Autorità.
I casi di abuso di posizione dominante registrano comunque una maggiore percentuale di
sentenze di condanna rispetto ai casi indagati per sospetto di intesa: le violazioni sono infatti il 22%
dei casi trattati, contro il 18% delle intese.11 Dal 2005, ma ancor di più dal 2006, sono aumentati
notevolmente i casi di abuso esaminati e conclusi con una decisione di non violazione a fronte di
impegni assunti dalle parti nei confronti dell’Autorità (si veda la Fig. 4). Si osserva invece una
flessione nella media di casi terminati con una decisione di violazione e imposizione di sanzione dal
primo sottoperiodo al secondo: da una media pari a 1,8 per anno nel periodo 2000–2004, si passa ad
una media di 1,3 per anno nel 2005–2007. Per contro, occorre sottolineare un innalzamento delle
sanzioni nel secondo sottoperiodo, con un picco assoluto nel 2005.
11 Molto minori rispetto alle intese sono i casi di non competenza o di non applicabilità della legge antitrust italiana: solo il 10% dei casi, rispetto al 25% delle intese, e, di conseguenza, risulta essere superiore la percentuale di casi in cui non viene riscontrata una violazione (68% contro il 57%).
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Violazione con sanz Violaz senza sanz Non violaz per impegni Sanzioni Fig. 4. Gli abusi esaminati classificati per esito riscontrato e sanzioni comminate, 2000–2007 Fonte: nostre elaborazioni su documenti AGCM
I settori su cui si è più indagato sono i Trasporti (con 3 condanne su 8 indagini), l’Energia, il
Gas, l’Acqua (con 3 condanne su 6 indagini) e i Servizi Postali (con 2 condanne su 2 indagini).
4.3. Le operazioni di concentrazione
La modifica del Regolamento Concentrazioni avvenuta in sede europea nel 2004, che ha
anche portato all’adozione delle Linee Generali, non ha portato a cambiamenti normativi in Italia,
come forse ci si poteva aspettare.
La Fig.1 mostrava l’andamento delle operazioni di concentrazione nel periodo 2000–2007. Si
nota come esse siano cresciute notevolmente nel periodo 2005-2007. Da una media di circa 600 casi
annuali trattati nel periodo 2000–2004 si è passati ad una media di 725 casi annuali nel periodo
2005–2007 (+21% circa). La quasi totalità delle operazioni vengono autorizzate (92%) anche se a
volte sotto condizioni onerose. Una percentuale marginale di concentrazioni (1%) viene vietata. Il
20
7% dei casi notificati non è di competenza dell’Autorità oppure rientra nelle fattispecie di non
applicabilità della legge antitrust italiana. Negli ultimi cinque anni non si sono più verificati casi di
ritiro dell’operazione dopo i rilievi mossi dall’Autorità. I dati delle operazioni di concentrazione
distinte da settore a settore mostrano una netta predominanza del settore del commercio al dettaglio
relativo alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Quasi un terzo (30,6%) delle fusioni ed
acquisizioni di interesse per la politica antitrust in Italia sono relative a questo comparto. Il secondo
settore di interesse, Poste e Telecomunicazioni, si colloca a grande distanza: solo il 6,4% delle
operazioni di concentrazione lo riguardano. I dati settoriali cambiano se teniamo conto del valore
delle operazioni di concentrazione invece che del numero. Calcolando il valore medio delle
integrazioni valutate dall’Autorità a partire dal 2003 troviamo un valore di 6,55 milioni di Euro. Se
prendiamo esclusivamente quelle sottoposte all’Autorità dal settore del credito e delle assicurazioni
troviamo un valore medio più di 100 volte superiore (742 milioni di Euro)12. Operazioni molto
rilevanti in valore si verificano anche nel settore chimico, metallurgico e agricolo.
4.4. Le segnalazioni
L’attività di contrasto alle pressioni lobbistiche che tentano di modificare in senso
anticoncorrenziale l’assetto dei mercati agendo sui policy makers ha registrato una forte espansione
soprattutto nel secondo sottoperiodo. Si è infatti passati da una media di 18 segnalazioni annuali nel
periodo 2000–2004 a quasi tre volte tanto, 49 segnalazioni annuali, nel periodo 2005–2007.
L’Autorità sta quindi intensificando la sorveglianza relativa alle decisioni amministrative sia del
governo centrale sia degli enti locali.
Se consideriamo la distribuzione delle segnalazioni per settore, emerge che il 16% delle
segnalazioni riguarda il settore delle telecomunicazioni; il 10% è relativo al settore dei servizi,
12 La legge 28/XII/2005 n. 262 ha eliminato l’anomalia italiana per cui la Banca d’Italia era sia responsabile per la politica di stabilità e garanzia nel settore del credito che anche autorità antitrust per il settore. La legge ha attribuito quest’ultima competenza ad AGCM. Per le operazioni di concentrazione tra banche tuttavia, la legge prevede un meccanismo di autorizzazione congiunta sia da parte dell’AGCM che della Banca d’Italia.
21
specialmente in connessione con provvedimenti di organizzazione di servizi pubblici locali; il 9% è
relativo alle attività professionali (ordini) e anche ai trasporti; l’8% a energia elettrica, acqua e gas.
Altri settori oggetto di intensa segnalazione sono il settore assicurativo, quello delle attività
ricreative culturali e sportive e quello farmaceutico.
4.5. La distinzione tra tutela e politica della concorrenza
Abbiamo già visto in sede introduttiva come la distinzione tra tutela e politica della
concorrenza sia essenziale per comprendere il tipo di intervento che una certa autorità di
concorrenza conduce. Per tutela della concorrenza si intende una impostazione orientata al
raggiungimento del massimo benessere sociale, inteso à la Marshall come semplice somma del
benessere dei produttori e dei consumatori. Seguendo questa impostazione, soltanto il
conseguimento di più efficienza da un punto di vista economico giustifica una decisione
dell’autorità. Si richiede una decisa azione di contrasto dei comportamenti anticompetitivi, sia per
eliminare le inefficienze allocative che ne conseguono, sia come strumento di deterrenza per
eventuali futuri nuovi illeciti.
Per politica della concorrenza si può intendere invece (cfr.Motta [2004]) un’azione
dell’autorità più orientata alle politiche pubbliche e quindi più in grado di tener conto del ruolo
svolto da fattori esterni quali specifiche condizioni sociali o settoriali, contingenze economiche,
fattori ambientali, necessità di coordinamento con altre politiche pubbliche tra cui la politica
industriale. Questa seconda impostazione si avvicina di più alla filosofia regolatoria e lascia più
spazio alla discrezionalità dell’autorità. L’istituto degli impegni, messo a punto con il pacchetto
modernizzazione, si presta particolarmente bene a una impostazione dell’antitrust in termini di
politica piuttosto che di tutela della concorrenza.
La variazione nell’azione di contrasto alle intese avvenuta in Italia a partire dal 2005 può
essere ricollegata, a nostro avviso, a un cambiamento nell’implementazione della politica antitrust
22
nell’ottica della distinzione che stiamo discutendo. Esso, tra l’altro, coincide con la variazione
intercorsa nella composizione del collegio dell’Autorità (vedi tabella 4). All’inizio del 2005 infatti
si conclude la Presidenza Tesauro e inizia la Presidenza Catricalà (esattamente il 18 febbraio 2005).
Tab. 4. Composizione dell’AGCM, 2000–2007
Periodo Presidente Componenti 1998 – 2000 Tesauro Bernini, D’Alberti, Grillo, Palmerio 2000 – 2005 Tesauro D’Alberti, Grillo, Occhiocupo, Santagata de Castro 2005 – 2007 Catricalà Guazzaloca, Occhiocupo, Pilati, Santagata de Castro 2007 - Catricalà Barucci, Guazzaloca, Pilati, Rabitti Bedogni
Fonte: Nostre Elaborazioni su Documenti AGCM La nuova composizione di AGCM avvia progressivamente un cambiamento di
implementazione, documentato statisticamente in precedenza. Per comprendere la natura del
cambiamento avvenuto, è a questo proposito significativo confrontare due passaggi di due Relazioni
annuali: l’ultima della Presidenza Tesauro relativa all’anno 2003 (letta nel giugno 2004) e la prima
del presidente Catricalà dell’anno successivo (letta nel giugno 2005). Nella relazione 2003 (pag.12)
si affermava:
“In materia di intese, l’Autorità ha registrato un’evoluzione nei comportamenti delle imprese che si accompagna ad una maggiore complessità degli illeciti antitrust posti in essere. Accanto alle classiche ipotesi di intese aventi ad oggetto la formalizzazione di accordi sui prezzi … mediante riunioni organizzate e sistematiche fra concorrenti … si sono accertate forme di collusione sempre più sofisticate.”
È evidente l’atteggiamento di forte contrasto all’attività collusiva delle imprese, manifestato
dalla presa di coscienza che le pratiche concordate assumono forme sempre più complesse e non
facilmente identificabili. Diversamente nella relazione 2004 (pag. 6) viene riportato questo
passaggio significativo:
“L’Autorità intende … mantenere un atteggiamento cooperativo con le imprese al fine di facilitarle nel rispetto delle normative … e avviare tavoli di confronto, al fine di individuare soluzioni più favorevoli allo sviluppo della concorrenza a beneficio dei consumatori.”
Viene quindi meno nelle intenzioni l’azione di deciso contrasto ex post alle attività
anticompetitive delle imprese, il tradizionale law enforcement, per lasciare spazio allo sviluppo di
relazioni con le stesse al fine di prevenire ex ante tali comportamenti. Da questo punto di vista la
23
filosofia dell’intervento antitrust cambia e si avvicina a quella della regolazione. L’approccio
diventa meno coercitivo, meno improntato alle funzioni di arbitro e di giudice, e assume
caratteristiche più di indirizzo, coinvolgendo direttamente le imprese nel definire gli assetti
competitivi dei mercati.
Questo nuovo approccio potrebbe essere più favorevole per le imprese, soprattutto in un
periodo di crisi economica. E’ tuttavia doveroso sottolinearne il trade-off: infatti se da un lato
permetterebbe più facilmente una considerazione di istanze sociali, legate ai territori e/o alle
industrie, dall’altro può portare altrettanto più facilmente a effetti distorsivi non giustificabili dal
punto di vista dell’efficienza nel funzionamento dei mercati, anche per la forte riduzione dell’effetto
di deterrenza svolto dall’autorità e per la maggiore discrezionalità cui viene sottoposto l’intervento
antitrust, che lo rende più soggetto a pressioni lobbistiche o politiche.
Bisogna anche considerare che il nuovo approccio permette di ottenere alcuni risultati
nell’immediato, risparmiando risorse ed evitando un lungo contenzioso nei successivi gradi di
giudizio, in cui più volte i giudici hanno assunto decisioni opposte rispetto a quelle dell’Autorità,
vanificando così gli sforzi di quest’ultima.
Non siamo in grado di esprimere una valutazione definitiva sull’analisi costi-benefici delle
due impostazioni possibili dell’intervento antitrust. Rimangono tuttavia dubbi che l’approccio
regolatorio riesca effettivamente a migliorare il benessere sociale rispetto al più tradizionale law
enforcement, pur riconoscendone alcuni aspetti positivi.
5. La dimensione internazionale nella politica antitrust europea
Il recente forte sviluppo della globalizzazione dei mercati ha dato rilevanza ai rapporti esterni
della rete europea delle autorità di concorrenza.13 Infatti si sono molto intensificate le operazioni
notificate in cui gli attori sono imprese multinazionali operative su scala globale. Diventa quindi più
24
probabile in un mercato globale che una stessa operazione debba essere studiata da più autorità di
concorrenza che hanno simultaneamente giurisdizione su quella operazione. In mancanza di
cooperazione, aumenta il rischio di divergenze di trattamento tra un’autorità e l’altra che potrebbero
provocare esse stesse distorsioni importanti alla libera concorrenza sul mercato globale. In questo
contesto, non ha più senso che le autorità di concorrenza rimangano isolate: è invece vitale che si
muovano in una logica sistemica. Solo in questo modo, con continui scambi di informazione, di
opinioni, di documenti, sarà possibile studiare un’operazione su scala globale con il necessario
approfondimento e colpire i comportamenti anticoncorrenziali posti in essere sul mercato globale.
La Commissione Europea si è fatta promotrice, a partire dagli anni Novanta, di una buona
rete di relazioni con altre autorità di concorrenza extra-europee, sia su base bilaterale che
multilaterale.
Su base bilaterale, sono stati stipulati dalla Comunità Europea tre accordi di cooperazione in
materia di concorrenza, che sono tuttora vigenti: il primo con gli Usa è stato firmato nel 1991 ma è
entrato in vigore solamente nel 1995, dopo aver superato una diatriba giuridica relativa al titolo
della Commissione Europea di procedere da sola alla firma di un simile accordo; il secondo accordo
è stato firmato con il Canada nel 1999 e il terzo con il Giappone nel 2003. Vi sono inoltre buoni
rapporti informali di cooperazione con l’autorità della concorrenza della Corea del Sud, con cui si
sono aperti recentemente negoziati per giungere a un accordo di cooperazione bilaterale in materia
di concorrenza. In tutti i casi questi accordi bilaterali si limitano al diritto antitrust e non si
applicano alla normativa contro gli aiuti di stato, visto che solo la Comunità Europea è dotata di una
normativa di questo tipo.14
13 Tralasciamo qui la cooperazione della Commissione in materia di concorrenza con i Paesi candidati all’ingresso nella UE. 14 I principi fondamentali su cui si fondano i tre accordi bilaterali sono gli stessi: il principio di cortesia attiva e passiva (nel 1998 è stato firmato anche uno specifico accordo sulla cortesia attiva tra Unione Europea e USA che specifica meglio le regole in materia contenute nell’accordo del 1991); l’obbligo di incontrarsi per discutere almeno due volte l’anno (una volta l’anno con il Giappone); l’obbligo di notifica sollecita all’altra autorità per i casi che la interessano; il principio di scambio di informazioni, che richiede il consenso delle terze parti eventualmente coinvolte, e che comunque trova un limite nella trasmissione di informazioni riservate; l’obbligo di riservatezza sulle informazioni ricevute, che però fa salvo il diritto della Commissione Europea di passare le informazioni ricevute a un’autorità antitrust nazionale di un paese membro quando competente; la facoltà attribuita alle autorità di concorrenza di decidere di coordinare la propria attività e di fornirsi reciproca assistenza.Il principio di cortesia passiva prevede che ciascuna autorità debba prendere in considerazione l’interesse dell’altra autorità legata da accordo; questo tuttavia non vuol dire che quando le due autorità debbano pronunciarsi sulla stessa operazione non possano poi assumere posizioni divergenti. Il principio di
25
Monti [2001, 2003] ha valutato molto positivamente l’esperienza di cooperazione svolta
sulla base di questi accordi bilaterali, soprattutto nel caso di concentrazioni e soprattutto con gli
USA. Con la cooperazione internazionale è stato possibile studiare le concentrazioni in modo più
approfondito e inoltre è stato possibile rendere più uniforme l’enforcement del diritto della
concorrenza sulle due sponde dell’Atlantico. Con gli USA, in quasi tutti i casi di concentrazione
studiati le due autorità sono arrivate a conclusioni simili. Solo in un caso, però rilevante, quello
della fusione General Electric/Honeywell, affrontato negli USA e in Europa tra il 1998 e il 2001, le
due autorità hanno raggiunto conclusioni contrastanti: l’operazione è stata permessa negli USA ma
è stata vietata dalla UE. Negli altri campi del diritto antitrust, principalmente nella lotta contro i
cartelli globali, i limiti relativi alla mancata circolazione delle informazioni riservate pesano.
Nonostante questo, non possiamo dimenticare che anche in questo ambito alcuni importanti
successi sono stati ottenuti: ad esempio le prove raccolte dall’autorità antitrust americana contro il
cartello delle vitamine alla fine degli anni Novanta sono state decisive per arrivare alla condanna di
quel cartello anche in Europa qualche anno più tardi.
Sono inoltre diverse le forme di collaborazione e cooperazione su base bilaterale poste in
essere dalla Commissione Europea anche al di fuori degli accordi bilaterali. Un importante recente
esempio è quello relativo all’assistenza fornita alla Cina per dotarsi di una legge a tutela della
concorrenza per la prima volta nella sua storia (2007) e alla conseguente nascita della sua autorità
antitrust solo pochi mesi fa, proprio nel periodo di svolgimento delle Olimpiadi di Pechino.
Su base multilaterale, il maggior successo degli ultimi anni è stato raggiunto con la nascita
dell’International Competition Network (ICN) nel 2001. Esso costituisce un forum informale di
discussione e un’occasione di incontro e di dibattito tra numerose autorità della concorrenza (circa
un’ottantina) sia di paesi sviluppati che emergenti. Sono diversi i gruppi di lavoro operativi in sede
ICN; spicca tuttavia l’interesse per le concentrazioni e i cartelli globali, su cui viene organizzato un
cortesia attiva prevede che un’autorità possa richiedere all’altra autorità che, sulla base della sua legislazione, intervenga anche con attività esecutiva allorché nella sua giurisdizione si realizzi attività anticompetitiva lesiva dei propri interessi. Ad esempio una
26
workshop annuale per ciascun argomento. Anche in sede OCSE è operativo un comitato per la
concorrenza a cui partecipano varie autorità; così come si parla di concorrenza tra diverse autorità
anche in sede UNCTAD. E’ invece fallito il disegno di sviluppare nel contesto del WTO un accordo
multilaterale centrato sulla concorrenza. La Commissione Europea, fervente sostenitrice della
proposta, voleva portare l’esperienza europea, in cui è stato essenziale per una maggiore apertura
del mercato lo sviluppo di una attiva politica della concorrenza, come modello anche in sede di
relazioni multilaterali ma non ha trovato sufficiente sostegno.
6. Politica industriale e politica antitrust
Nel corso degli anni Novanta, sono state portate a termine le prime liberalizzazioni per alcuni
servizi essenziali avviate da Delors in qualità di Presidente della Commissione Europea (si
ricordano in particolare quelle del trasporto aereo, delle telecomunicazioni e del settore bancario). Il
mercato comune europeo è stato in tal modo completato e la concorrenza in Europa è notevolmente
aumentata a tutto beneficio dei consumatori. Il successo dell’Unione Monetaria Europea,
comportando una sostanziale apertura dei mercati finanziari europei e lo sviluppo di una maggiore
concorrenza tra le banche, ha ulteriormente rafforzato tale processo.
Nel corso degli anni Duemila tuttavia, in corrispondenza di una insoddisfacente crescita della
produttività del lavoro nell’Unione Europea, sia nell’attività manifatturiera che in vari settori del
terziario, si sono intensificati gli sforzi e gli studi della Commissione sulla politica industriale,
anche a seguito della maggiore attenzione data alla competitività dell’industria europea.15 Tale
attenzione è stata acuita dall’accentuarsi della delocalizzazione di varie attività manifatturiere
decisa dalle imprese europee. Questo fenomeno riduce le opportunità di lavoro in Europa,
riunione di un cartello che si svolge in USA (Europa) ma che opera in Europa (USA) potrebbe essere l’occasione per l’applicazione di questo principio. Nella realtà tuttavia sono stati pochissimi i casi in cui tale principio è stato invocato. 15 Ad esempio è stata costituita una nuova composizione del Consiglio dei Ministri competente sulla Competitività, che ha raggruppato i Consigli “Mercato Interno”,”Ricerca” e “Industria”.
27
soprattutto per la manodopera non qualificata, accelerando il fenomeno della riduzione della quota
di attività manifatturiera svolta nella UE.
Tra il 2002 e il 2007, la Commissione Europea ha prodotto ben sei comunicazioni su questi
temi,16 venendo anche a ridefinire l’impostazione della politica industriale nel senso di una
maggiore integrazione delle sue parti e con le altre politiche comunitarie. Continua a essere vero
che la politica industriale europea si compone di un insieme di interventi orizzontali, con il fine di
creare il miglior contesto possibile perché la creatività e la capacità imprenditoriale dei cittadini
europei si estrinsechi, e di una serie di interventi settoriali specifici. Tuttavia, a partire dal 2005
viene privilegiata una sua impostazione più integrata che dopo l’approvazione del Consiglio
Competitività e del Parlamento Europeo è divenuta operativa. Nell’ambito degli interventi
orizzontali, vanno ricordati gli interventi volti alla semplificazione, al miglioramento del contesto
normativo e alla riduzione degli oneri amministrativi per le imprese; la promozione dell’approccio
del mercato guida e norme volte a facilitare l’accesso al mercato dei nuovi output ottenuti grazie
all’investimento in R&S. Tra gli interventi settoriali, oltre a quelli già in corso nell’industria
spaziale, nell’industria della difesa e in quella farmaceutica, nel corso del 2007 la Commissione ha
preso l’iniziativa di lanciare due nuovi interventi: uno nell’ambito dell’industria alimentare e uno su
quella elettrica, su cui stanno ora per essere individuate le linee di intervento.
Anche se l’art.157 del Trattato di Roma prevede il coordinamento in materia di politica
industriale tra l’Unione europea e i governi nazionali dei Paesi membri, entrambi abilitati a svolgere
questo tipo di politica, questo aspetto continua a rimanere un punto debole. Gli interventi decisi a
livello nazionale rimangono tra di loro scoordinati e non coordinati neanche con l’azione della
Commissione. Anzi in momenti di crisi economica come quello attuale, vi è una tendenza da parte
dei governi nazionali a reclamare più gradi di libertà per il proprio intervento, cercando di sottrarsi
16 Si tratta della COM 262/2002 “Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee”; della COM 714/2002 “La politica industriale in una Europa allargata”; della COM 704/2003 “Alcune questioni fondamentali in tema di competitività europea: verso un approccio integrato”; della COM 274/2004 “Accompagnare le trasformazioni strutturali:una politica industriale per l’Europa allargata”; della COM 474/2005 “Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l’industria manifatturiera dell’UE, verso una impostazione più integrata della politica industriale” e infine della COM 374/2007 “Un contributo alla strategia della Unione Europea per la crescita e l’occupazione”.
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ancora di più al coordinamento con l’istituzione sovranazionale. Questo atteggiamento produce
anche degli effetti sulla politica antitrust europea, soprattutto in materia di aiuti di stato: si registra
una più elevata insofferenza dei governi nazionali nei loro confronti e una sotterranea azione volta a
neutralizzarli o quanto meno a rendere l’intervento della Commissione in questo campo più
benevolo. Si può dunque affermare che nei momenti di crisi, aumenta il desiderio di fare politica
industriale sia in sede nazionale che in sede comunitaria, mentre la politica antitrust diventa più
impopolare. E’ quanto sembra avvenire anche in Europa in questi ultimi mesi. Se negli anni
Novanta la politica antitrust era in voga, mentre quella industriale non era percepita come
particolarmente utile, ai nostri giorni questo rapporto si è capovolto. Si acuisce il rischio che
politica industriale e politica della concorrenza entrino in conflitto. Ad esempio un eccessivo rigore
sulle intese potrebbe far perdere alle imprese europee occasioni di ampliamento della propria rete di
collaborazioni e di cooperazione con altre imprese e questo potrebbe inficiare la loro capacità di
innovazione; d’altro canto un eccessivo permissivismo dell’antitrust potrebbe spingere le imprese
che hanno avuto successo nell’innovazione ad approfittarne e abusare della loro posizione di
dominanza. E’ inoltre ben noto che molte operazioni di concentrazione configurano sia risparmi di
costo dovuti a sinergie o a economie di scala sia un maggiore potere di mercato; è spesso difficile
per le autorità antitrust discernere quale dei due effetti contrastanti sia prevalente e quindi decidere
se permettere o vietare una concentrazione. A tal proposito l’idea ritornata in auge di questi tempi di
favorire i propri campioni nazionali si porrebbe in conflitto con l’approccio della politica della
concorrenza di esaminare con oggettività un’operazione di concentrazione difendendo anzitutto gli
interessi dei consumatori. Mentre non è possibile a nostro avviso risolvere un simile potenziale
conflitto solo per via normativa, una grande responsabilità rimane in capo alla Commissione
Europea, al Consiglio, ai governi nazionali e anche alle autorità antitrust nazionali,
nell’individuazione del giusto equilibrio tra politica industriale e politica antitrust sia
nell’impostazione generale che nell’analisi caso per caso.
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7. Conclusioni
Numerosi cambiamenti sono stati introdotti recentemente nella politica antitrust europea. In
particolare, molto importanti sono stati i provvedimenti legislativi che hanno permesso una
maggiore collaborazione tra Commissione Europea e autorità nazionali, grazie a una migliore
applicazione del principio di sussidiarietà. Nuovi o potenziati strumenti giuridici sono stati
assegnati alla Commissione Europea e conseguentemente alle autorità antitrust nazionali (il sistema
degli impegni obbligatori, le misure cautelari, i programmi di clemenza) che hanno prodotto effetti
positivi nell’attività di contrasto alle operazioni restrittive della concorrenza. Numerosi nuovi casi
di cartello sono stati individuati e puniti, anche in settori sconosciuti all’opinione pubblica. Gli
effetti del miglioramento normativo sono stati avvertiti anche in Italia, anche se permangono dubbi
sull’effetto complessivo della diversa impostazione data dalla Presidenza Catricalà.
Si può sostenere che l’intervento antitrust in Italia dal 2005 sia stato reso più simile all’attività
di regolazione, soprattutto con l’uso estensivo dell’istituto degli impegni e con una ricerca estesa di
maggiore collaborazione preventiva con le imprese. La tradizionale attività di controllo ex post
dell’operato delle imprese è rimasta più in ombra.
Abbiamo notato la preminenza della Commissione europea nell’organizzare migliori relazioni
internazionali con le altre autorità antitrust del mondo; essa si è manifestata nel 2001 con la spinta
propulsiva nell’istituire l’International Competition Network e si manifesta ancora oggi nella sua
gestione. Tale iniziativa ha rappresentato un buon successo. E’ molto importante che anche nei
Paesi emergenti non europei (Cina, India, Brasile tra gli altri) si sviluppi rapidamente una cultura
della concorrenza.
In momenti di crisi come quello attuale, si acuisce il dilemma tra mera tutela della
concorrenza e politica della concorrenza, necessariamente più discrezionale. Un altro modo di
vedere questo problema è relativo ai rapporti tra politica antitrust e politica industriale, sia a livello
europeo che nazionale. Questo rapporto diventa più problematico in periodi di crisi economica
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come quello attuale: c’è infatti il rischio che, per lasciare più spazio ai governi nazionali per
impostare la propria politica industriale a difesa della competitività delle imprese, si sospendano de
facto alcune importanti norme di tutela della concorrenza che sono però essenziali per la
sopravvivenza del mercato unico europeo. Allo stesso tempo, occorre sottolineare che le gravi
conseguenze sociali connesse alla crisi economica attuale possono richiedere un’applicazione meno
rigida dei principi della concorrenza. Occorre però non esagerare e essere consapevoli dei rischi di
questo approccio: ad esempio, Alexander (1994) ha mostrato che l’abolizione dell’antitrust
avvenuto subito dopo la crisi del 1929 ha avuto un effetto negativo nel lungo periodo, ovvero la
maggiore facilità a dar luogo a intese collusive tra le imprese, sia tacite che esplicite. Mentre prima
della crisi si stimava nel 60% la quota minima di concentrazione necessaria a dar luogo a un’intesa
collusiva di successo, tale dato era sceso al 38% ancora alcuni anni dopo il ripristino della
normativa antitrust.
Nella speranza che questo non accada, sarebbe ugualmente indesiderabile implementare una
politica della concorrenza troppo rigorista che limiti seriamente le capacità delle imprese di
sviluppare reti di relazioni e collaborazioni al fine di ottenere una maggiore capacità di innovazione.
Sta alla Commissione Europea, ai governi nazionali, alle autorità antitrust nazionali, il difficile
compito di trovare e applicare il giusto equilibrio tra politica antitrust e politica industriale.
Da questo punto di vista ci sembra opportuno, a conclusione del lavoro, tentare di sintetizzare
il trado off esistente tra queste due forme di intervento, di cui le istituzioni dovranno tenere conto.
Da un lato, la politica antitrust consente una riduzione delle inefficienze allocative e produttive, e
permette dunque di ottenere minori prezzi e maggiori opportunità imprenditoriali (grazie ad una
maggiore libertà di accesso ai mercati). Un’economia più competitiva è capace di produrre una
crescita maggiore a livello di sistema, e quindi di garantire un benessere maggiore e più diffuso.
Una decisa azione di contrasto in grado di incrementare la deterrenza dal compiere restrizioni alla
concorrenza sembra necessaria per raggiungere tali scopi. Dall’altro lato, la politica industriale può
contribuire a sua volta al benessere collettivo, agendo sui tipici obiettivi delle politiche pubbliche
31
(riduzione delle tensioni sociali e correzione delle imperfezioni dei mercati) a condizione sia
implementata in modo efficace. In tal senso, trasparenza, rapidità e orizzontalità (ossia limitata
discrezionalità) dovrebbero costituirne i pilastri.
Bibliografia
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