+ All Categories
Home > Documents > SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643...

SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643...

Date post: 18-Oct-2020
Category:
Upload: others
View: 3 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
29
Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO MOTORE IMMOBILE Per gran parte della sua vita accademica, Enrico Berti ha fatto propria quella che egli chiama l’«interpretazione tradizionale» sulla causalità del primo motore immobile di Aristotele 1 . Secondo questa interpretazione, il primo motore immobile muove la prima sfera celeste – la sfera più distante dalla terra, alla quale sono attaccate le stelle fisse come la sua causa finale. Come dice Aristotele in Metafisica XII 7, il primo motore muove nel modo proprio all’«oggetto del desiderio e [all’]oggetto dell’intelligenza [che] muo- vono senza essere mossi»; oppure, come lo stesso Aristotele dice poche ri- ghe dopo, il primo motore muove la prima sfera «come oggetto d’amore, e per mezzo del mosso muove le altre cose» 2 . Berti ha ora respinto questa –––––––––––––––––– 1 E. Berti parla del contrasto tra la sua prima interpretazione e quella successiva, per esempio, nella Prefazione a Nuovi studi aristotelici . II. Fisica, antropologia, metafisica , Morcelliana, Brescia 2005, p. 8 e Id., Aristotele. Dalla dialettica alla filosofia prima, con saggi integrativi , Bompiani, Milano 2004, pp. 83-85. Altre opere (o luoghi) dove egli tratta il tema della causalità del primo motore immobile sono Id., Da chi è amato il Motore immo- bile? Su Aristotele, Metafisica XII 6-7, in «Méthexis» 10(1997), pp. 59-82; Id., Il movimento del cielo in Alessandro di Afrodisia, in A. Brancacci (ed.), La filosofia in età imperiale. Le scuole e le tradizioni filosofiche, Bibliopolis, Napoli 2000, pp. 227-243; Id., La causalità del Motore immobile secondo Aristotele, in «Gregorianum» 83(2002), pp. 637-654 (ora in Nuovi studi aristotelici. II. Fisica, antropologia e metafisica, cit., pp. 453-469); Id., Ancora sulla causalità del motore immobile, in «Méthexis» 20(2007), pp. 7-28; Id., Struttura e si- gnificato della Metafisica di Aristotele, EDUSC, Roma 2006, pp. 135-159. I due articoli dove la posizione di E. Berti è esposta in modo più significativo sono quello del 1997 e quello del 2002 (cfr. infra, nota 3); d’ora in poi, questi due articoli saranno denominati rispettivamente Berti, Da chi? e Berti, Causalità. 2 «E in questo modo muovono l’oggetto del desiderio e dell’intelligenza: muovono senza essere mossi» (kinei` de; w|de to; ojrekto;n kai; to; nohtovn: kinei` ouj kinouvmena, Metafi- sica XII 7, 1072a26-27); «Muove come oggetto d’amore, e per mezzo del mosso muove le altre cose» (kinei` de; wJ~ ejrwvmenon, kinoumevnw/ de; ta\lla kinei`, Metafisica XII 7, 1072b3-4; qui Ross, con nessun sostegno dai manoscritti, dà invece kinei` dh; wJ~ ejrwvmenon, kinouvmena de; ta\lla kinei` ). Questi «altri» sono presumibilmente le altre sfere celesti, che a sua volta influenzano gli eventi più in basso; e quindi l’interpretazione tradizionale (se non il Berti più giovanile) di solito riconosce un ordinamento teleologico del mondo naturale rispetto, in ultima analisi, al primo motore immobile. Ove possibile (come qui), utilizzo le traduzio- ni italiane di Aristotele fatte da Berti. Per il testo greco di 1072b3-4, Berti segue W. Jaeger (ed.), Aristotelis Metaphysica, Clarendon Press, Oxford 1957 anziché W.D. Ross (ed.), Aris-
Transcript
Page 1: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Humanitas 66(4/2011) 615-643

KEVIN L. FLANNERY

SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTIDELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO MOTORE IMMOBILE

Per gran parte della sua vita accademica, Enrico Berti ha fatto propriaquella che egli chiama l’«interpretazione tradizionale» sulla causalità delprimo motore immobile di Aristotele1. Secondo questa interpretazione, ilprimo motore immobile muove la prima sfera celeste – la sfera più distantedalla terra, alla quale sono attaccate le stelle fisse – come la sua causa finale.Come dice Aristotele in Metafisica XII 7, il primo motore muove nel modoproprio all’«oggetto del desiderio e [all’]oggetto dell’intelligenza [che] muo-vono senza essere mossi»; oppure, come lo stesso Aristotele dice poche ri-ghe dopo, il primo motore muove la prima sfera «come oggetto d’amore, eper mezzo del mosso muove le altre cose»2. Berti ha ora respinto questa

––––––––––––––––––1 E. Berti parla del contrasto tra la sua prima interpretazione e quella successiva, per

esempio, nella Prefazione a Nuovi studi aristotelici. II. Fisica, antropologia, metafisica,Morcelliana, Brescia 2005, p. 8 e Id., Aristotele. Dalla dialettica alla filosofia prima, consaggi integrativi, Bompiani, Milano 2004, pp. 83-85. Altre opere (o luoghi) dove egli trattail tema della causalità del primo motore immobile sono Id., Da chi è amato il Motore immo-bile? Su Aristotele, Metafisica XII 6-7, in «Méthexis» 10(1997), pp. 59-82; Id., Il movimentodel cielo in Alessandro di Afrodisia, in A. Brancacci (ed.), La filosofia in età imperiale. Lescuole e le tradizioni filosofiche, Bibliopolis, Napoli 2000, pp. 227-243; Id., La causalitàdel Motore immobile secondo Aristotele, in «Gregorianum» 83(2002), pp. 637-654 (ora inNuovi studi aristotelici. II. Fisica, antropologia e metafisica, cit., pp. 453-469); Id., Ancorasulla causalità del motore immobile, in «Méthexis» 20(2007), pp. 7-28; Id., Struttura e si-gnificato della Metafisica di Aristotele, EDUSC, Roma 2006, pp. 135-159. I due articoli dovela posizione di E. Berti è esposta in modo più significativo sono quello del 1997 e quello del2002 (cfr. infra, nota 3); d’ora in poi, questi due articoli saranno denominati rispettivamenteBerti, Da chi? e Berti, Causalità.

2 «E in questo modo muovono l’oggetto del desiderio e dell’intelligenza: muovonosenza essere mossi» (kinei` de; w|de to; ojrekto;n kai; to; nohtovn: kinei` ouj kinouvmena, Metafi-sica XII 7, 1072a26-27); «Muove come oggetto d’amore, e per mezzo del mosso muove lealtre cose» (kinei` de; wJ~ ejrwvmenon, kinoumevnw/ de; ta\lla kinei`, Metafisica XII 7, 1072b3-4;qui Ross, con nessun sostegno dai manoscritti, dà invece kinei` dh; wJ~ ejrwvmenon, kinouvmenade; ta\lla kinei`). Questi «altri» sono presumibilmente le altre sfere celesti, che a sua voltainfluenzano gli eventi più in basso; e quindi l’interpretazione tradizionale (se non il Bertipiù giovanile) di solito riconosce un ordinamento teleologico del mondo naturale rispetto,in ultima analisi, al primo motore immobile. Ove possibile (come qui), utilizzo le traduzio-ni italiane di Aristotele fatte da Berti. Per il testo greco di 1072b3-4, Berti segue W. Jaeger(ed.), Aristotelis Metaphysica, Clarendon Press, Oxford 1957 anziché W.D. Ross (ed.), Aris-

Page 2: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

616 Il Dio di Aristotele

interpretazione, sostenendo prima nel 1997 che il primo motore immobilenon è la causa finale della prima sfera celeste, ma solo di se stesso, e poinel 2007 che lo stesso motore finale non è causa finale per niente, ma solocausa efficiente.

In questo saggio intendo difendere l’interpretazione tradizionale, al-meno in relazione all’idea che il primo motore immobile è la causa finaledella prima sfera celeste. Nel par. 1 proporrò una sintesi della posizione diEnrico Berti, come viene presentata nell’articolo appena menzionato del1997 e in un altro del 20023. Nel par. 2, discuterò la comprensione di Ari-stotele del movimento circolare, come viene indicata in due passi nella Fi-sica. Per Berti, il movimento della sfera prima crea difficoltà per la nostracomprensione del suo rapporto con il primo motore immobile. Questi passidella Fisica suggeriscono che dobbiamo essere molto prudenti nell’attri-buire il movimento alla prima sfera celeste. Nel par. 3, considererò EticaEudemea I 8, dove Aristotele dice che nessuna cosa immobile può essere«pratica» (1218b5-6), un passo importante per l’argomento di Berti che ilprimo motore immobile è indipendente da tutto il movimento. Nel par. 4,considererò l’osservazione di Aristotele in Metafisica XII 7, 1072a30–b1quanto alle serie (o colonne) parallele, sostenendo che Berti ha trascuratoun brano di De sensu et sensibilibus che ci aiuta a interpretare questa os-servazione. Nel par. 5, sosterrò che De caelo II 12, che secondo Berti dàappoggio alla sua posizione secondo la quale (tra le altre cose) i fini ultimisono interni alla natura a cui appartengono, va contro detta posizione. In-fine, nel par. 6, presenterò alcune idee per quanto riguarda la connessionetra la causalità finale e la causalità efficiente del primo motore immobile.––––––––––––––––––

totle’s Metaphysics. A Revised Text with Introduction and Commentary, Clarendon Press,Oxford 1953.

3 I due articoli sono (in ordine) Berti, Da chi? e Berti, Causalità (cfr. supra, nota 1).Il secondo articolo riprende molti degli argomenti contenuti nel primo, ma ne aggiunge an-che alcuni altri. La mia sintesi della posizione di Enrico Berti considera in primo luogoquesti due articoli – e non l’articolo del 2007, Ancora sulla causalità del motore immobile(di cui supra, nota 1) – perché l’articolo più recente presuppone l’argomentazione dei dueprecedenti. Se i precedenti argomenti decadono (o sono indeboliti), decade anche l’argo-mento più recente (o si indebolisce). La lettura di Metafisica XII 7 nell’articolo del 2007 èfondamentalmente una radicalizzazione e una estensione dell’idea che, quando in 1072b3Aristotele apparentemente parla del primo motore immobile come un oggetto d’amore, eglista parlando in modo figurativo. La sezione in cui si presenta «una nuova interpretazione diMetafisica XII 7, 1072a26-b4» finisce con l’osservazione: «Quindi escluderei totalmente cheil motore immobile del cielo sia, oltre che causa efficiente, anche causa finale, eliminandoin questo modo l’ambiguità che restava nei miei precedenti scritti» (E. Berti, Ancora sullacausalità del motore immobile, cit., p. 21). Come si è già ricodato alla nota 1, Berti discuteil tema che ci interessa anche altrove.

Page 3: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 617

In De caelo II 12, 292a14-17, quando si prepara ad affrontare il pro-blema della complessità disparata dei vari moti dei corpi astronomici, Ari-stotele afferma che «di tutto questo in verità è bene che si cerchi di rendersiconto quanto più è possibile, benché noi non si disponga che di scarsi datida cui muovere, e una tale distanza ci separi dai fenomeni ad essi relativi»4.Lo stesso atteggiamento è raccomandato nel presente studio sulla compren-sione di Aristotele della causalità del primo motore immobile, in particolareper quanto si è espresso in Metafisica XII. Vale la pena studiare i testi inquestione perché, sia che riusciamo a capire Aristotele o meno, imparere-mo qualcosa su come funziona (o dovrebbe funzionare) la teologia naturale;ma, a causa del carattere recalcitrante del materiale con cui lavoriamo e, inparticolare, a causa dello stato corrotto del testo di Metafisica XII e dellaconcisione estrema della sua argomentazione, dobbiamo tutti riconoscereche sono possibili diverse interpretazioni dei dati.

1. La posizione di Enrico Berti

L’interpretazione tradizionale di Metafisica XII 7, in base alla quale ilprimo motore immobile è la causa finale della prima sfera, è per Berti «incontrasto con quanto risulta da Metafisica XII 6, cioè che il Motore immo-bile è essenzialmente causa efficiente e non solo causa finale»5. Metafisica––––––––––––––––––

4 292a14-17; tr. O. Longo.5 Berti, Da chi?, p. 59. Il contrasto tra l’interpretazione tradizionale e quella non tra-

dizionale non è forse così chiaro come potremmo desiderare. Berti include tra gli interpretitradizionali sia Tommaso d’Aquino sia W.D. Ross (Aristotle’s Metaphysic, cit., pp. 68-71), iquali, pur insistendo sul fatto che il primo motore immobile è causa finale, non smentisconoche è anche causa efficiente – ed anzi, Tommaso d’Aquino è abbastanza insistente sul fattoche Dio è causa efficiente. Cfr. W.D. Ross, Aristotle’s Metaphysic, cit., vol. I, p. CXXXIV. InTommaso, si vedano Summa contra gentiles 1.13.33 (par. 113: «Ergo oportet ponere primamcausam efficientem esse: quae Deus est») e anche ibi, 1.6.2 (par. 879: «Ostensum est enimsupra [apud 1.13.33], per demonstrationem Aristotelis [Metafisica II 1, 993b23-31], essealiquam primam causam efficientem, quam dicimus Deum»), nonché Summa Theologiae1.3.4c («Deum dicimus esse primam causam efficientem»). D’altro canto, Carlo Giacon(1900-1984) e Pedro da Fonseca (1528-1599) – i due gesuiti con cui Enrico Berti associa ilrifiuto dell’interpretazione tradizionale – pur ponendo l’accento, come rileva Berti, sul pri-mo motore immobile come causa finale, non giungono al punto di dire che la sua causalitàfinale ha a che fare solo con se stesso. Per Giacon, la causalità finale del primo motore im-mobile non è isolata dalla sua causalità efficiente; la caratterizzazione di Aristotele in Meta-fisica XII 7 di ciò che è stato descritto in Metafisica XII 6 come la prima causa efficiente ecome causa finale è solo il suo modo di spiegare come «la prima causa efficiente, chemuove non mossa, sia, formalmente parlando, movente assolutamente immobile» (C. Gia-con, La causalità del motore immobile, Antenore, Padova 1969, p. 86). Giacon aggiunge:

Page 4: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

618 Il Dio di Aristotele

XII 6 contiene una critica delle Forme di Platone, che non possono servirecome il primo principio (o i primi princìpi) di tutto in quanto, anche se sipuò dire che sono capaci di «muovere e di fare» (kinhtiko;n h] poihtikovn,1071b12), essi avrebbero dovuto essere così sempre, come è il primo moto-re immobile, che è puro atto. Per questo stesso motivo, neanche «l’animamondo» può farcela, perché un’anima comporta potenza così come atto.Per definizione, la potenza potrebbe non essere in atto, ma l’attività delprincipio di tutto è (e deve essere) eterna6. Berti sa che nel primo libro dellaMetafisica Aristotele riconosce che Platone sostiene che le Forme sono lacausa attiva dell’essere e anche del divenire, ma sa anche che Aristotele so-stiene che l’affermazione di Platone è falsa: «le cose che partecipano diesse non vengono all’essere, a meno che non vi sia una causa motrice»7.Chiaramente, la forma del Bene, che – presupponendo che esista – è «per-seguita e amata per se stessa», non è sufficiente come primo principio ditutto, «perché non è attività»8.

Un altro problema nel riconciliare Metafisica XII 6 e XII 7, se si man-tiene l’interpretazione tradizionale, è che la prima sfera non si muove versoil primo motore immobile come verso un oggetto del desiderio, ma ruota equindi (secondo quesa interpretazione) imita il primo motore immobile, inquanto il movimento circolare è il tipo di movimento locale che più si av-vicina alla quiete. Se però la Forma platonica del Bene come amato per se––––––––––––––––––

«Il muovere però quale causa finale non esclude né sostituisce il muovere della causa effi-ciente: è per far sì che la causa efficiente compia la propria causazione che quella finalecompie la sua» (ibi, p. 87). Per Fonseca, il primo motore è il «primum movens ipsum quodest primum appetibile»; è «finis propter quem participatione quadam similitudinis imititivaeobtinendum, inferiori intelligentiae orbes coelestes movent» (P. Fonseca, Commentariorumin Metaphysicorum Aristotelis Stagiritae libros, Olms, Hildesheim 1964 [orig. Colonia,1615-1629], vol. IV, 106aD-E). Berti loda Fonseca perché non mette avanti l’interpretazionetradizionale: «Secondo [Fonseca] il Motore immobile non muove il cielo in quanto deside-rato da questo, perché tale desiderio non spiegherebbe il moto del cielo, ma indicherebbesolo a che cosa esso è simile, cioè farebbe del primo motore una causa solo finale, non ve-ramente efficiente» (E. Berti, Da chi?, cit., p. 69). Berti attribuisce una tale teoria a Ales-sandro di Afrodisia – e perciò lo critica (ibi, p. 67). Si veda anche C. Giacon, La causalitàdel motore immobile, cit., pp. 134-136.

6 Berti collega quest’argomento con Metafisica XII 6, 1071b17-20 (E. Berti, Da chi?,cit., p. 61).

7 Queste sono le parole di Berti (E. Berti, Da chi? cit., p. 60); fa riferimento però aMetafisica I 7, 991b3-5: «Ma nel Fedone viene affermato proprio questo: che le forme sonocausa dell’essere e del divenire delle cose. Eppure, posto anche che le forme esistano, lecose che di esse partecipano non si produrrebbero se non ci fosse la causa motrice...» (ejn de;tw/` Faivdwni ou{tw levgetai, wJ~ kai; tou` ei\nai kai; tou` givgnesqai ai[tia ta; ei[dh ejstivn: kaiv-toi tw`n eijdwn o[ntwn o{mw~ ouj givgnetai ta; metevconta a]n mh; h\/ to; kinh`son).

8 Berti, Da chi?, p. 61.

Page 5: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 619

stesso non fornisce l’attività richiesta da Metafisica XII 6, non lo può farecome «imitata», secondo un altro concetto platonico che connoterebbe laricezione statica di attenzione e niente di più. Seguendo questa linea di ra-gionamento, il principio più alto sarebbe, come osserva Berti, una causaesemplare e non finale, anche se in Metafisica XII 7 Aristotele dice chiara-mente che si tratta di una causa finale.

Secondo Aristotele, vi sono due tipi di causa finale: ciò per il beneficiodel quale qualcosa agisce e ciò con lo scopo del quale qualcosa agisce. Poi-ché è impossibile a Dio di beneficiare di qualcosa (altrimenti non sarebbeimmobile), non può essere causa finale nel primo senso9. Ma ci sono anchedue modi in cui qualcosa può essere un fine «con lo scopo del quale qualco-sa agisce»: ciò può avvenire alla fine di un movimento o può essere presentein tutto il movimento – o, meglio, in tutta la pra`xi~ (che non è un movimen-to)10. Il primo motore immobile è, secondo Berti, un fine in quest’ultimosenso, cioè un fine in sé, dato che non si muove verso niente. Tuttavia, anchese in questo senso un fine, il primo motore immobile non è un fine pratico,dal momento che, come dice Aristotele in Etica Eudemea I 8, 1218b5-6,niente di immobile può essere pratico: «la sorta di bene che è praticabile èun fine; non può trovarsi nelle realtà immobili (prakto;n de; to; toiouton ajga-qovn, to; ou| e{neka. oujk e[sti de; to; ejn toi~ ajkinhvtoi~)»11. Questa tesi di Ari-stotele è difficile da conciliare, sostiene Berti, con l’idea che il motore im-mobile è la causa finale del movimento della prima sfera, perché questa ideala renderebbe un fine pratico o il bene verso il quale tale movimento proce-derebbe12. Tutto questo suggerisce, dice Berti, che il confronto avanzato daAristotele in Metafisica XII 7, 1072a26-27 tra la causalità del primo motoreimmobile e quella di un oggetto di desiderio o pensiero è solo un «parago-ne». Di fatto, il brano del De anima da cui è tratta l’idea (III 10, 433b16)dice chiaramente che un tale immobile oggetto, che esso ha in mente, deveessere pratico (un prakto;n ajgaqovn, 433b17), esattamente ciò che è escluso(secondo Berti) per il primo motore immobile13.

Enrico Berti trova sostegno per il suo approccio anche in un’osserva-zione oscura di Metafisica XII 7, che segue a una serie di affermazioni daparte di Aristotele: che (1) il moto della prima sfera è circolare (1072a22),

––––––––––––––––––9 Berti, Da chi?, pp. 64-65 e Causalità, pp. 644-645.10 Metafisica XII 7, 1072b2-3; ma cfr. infra, nota 15.11 Questa traduzione è basata sulla parafrasi di Berti (Da chi?, p. 65).12 Berti, Da chi?, p. 65.13 Berti, Causalità, cit., pp. 641-642; si veda anche Id., Ancora sulla causalità del

motore immobile, cit., pp. 17-20.

Page 6: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

620 Il Dio di Aristotele

che (2) questa è mossa da qualcosa che muove ma non è mosso (1072a25),che (3) questo è il modo in cui gli oggetti del desiderio e dell’intelletto muo-vono (1072a26), e che (4), al livello più alto, l’oggetto del desiderio e l’og-getto di intelletto coincidono (1072a27), poiché a tale livello il desiderio delbene apparente non è un problema (1072a27-28). Cioè, dopo aver fatto tuttequeste affermazioni, Aristotele dice: «E l’intelletto è mosso dall’intelligibi-le, e una delle due serie è per sé (kaq∆ auJthvn) intelligibile» (1072a30-31)14.Aristotele parla spesso di tali serie o colonne parallele, che talvolta sonoassociate con le serie di opposti dei Pitagorici15; ma Berti vede in ciò unospostamento da parte di Aristotele alla considerazione di «oggetti intelli-gibili per sé stessi», come distinti da «oggetti intelligibili per noi»16. Questosarebbe una conferma della sua tesi che, quando Aristotele parla in Metafi-sica XII 7 del primo motore immobile, egli sta parlando di qualcosa che statotalmente al di fuori del pratico; sarebbe cioè una conferma della sua tesiche il parlare di Aristotele (entro poche righe) del moto del primo motoreimmobile come quello dell’«amato» (Metafisica XII 7, 1072b3) è «appuntoun’analogia, cioè un paragone»17. Il primo motore immobile non è un finepratico – vale a dire, non è un fine che completa un movimento – ma piut-tosto un fine a se stesso e in se stesso18.

In Berti tutto questo è collegato con le distinzioni fatte sopra quanto aimodi di essere una causa finale:

«Dunque l’interpretazione tradizionale, secondo la quale il Motore immobile sareb-be il fine del cielo e lo muoverebbe in quanto oggetto di desiderio da parte del cielo,non solo non trova in questo passo alcun fondamento, ma è esplicitamente esclusadall’affermazione che il Motore immobile non è fine “per qualcuno” (tiniv)»19.

––––––––––––––––––14 La mia traduzione è diversa da quella di Berti: «E l’intelletto è mosso dall’intelli-

gibile, e una delle due serie è intelligibile di per se stessa» (Metafisica XII 7, 1072a30-31).Cfr. E. Berti, Causalità, cit., p. 642.

15 H. Bonitz, Index Aristotelicus (vol. V di Aristotelis Opera), de Gruyter, Berlin1961, 736b33–737a19. Si veda anche W.D. Ross, Aristotle’s Metaphysic, cit., vol. II, p. 376.

16 Berti, Causalità, p. 643.17 Ibi, p. 644.18 Ibi, p. 64519 Ibidem. La parola tiniv viene da Metafisica XII 7, 1072b2. Secondo Jaeger e Ross il

testo di 1072b1-3 è il seguente: o{ti d∆ e[sti to; ou| e{neka ejn toi`~ ajkinhvtoi~, hJ diaivresi~dhloi`: e[sti ga;r tini; to; ou| e{neka kai; tinov~, w|n to; me;n e[sti to; d∆ oujk e[sti, ma è preferibilela lettura dei manoscritti E e J: o{ti d∆ e[sti to; ou| e{neka ejn toi`~ ajkinhvtoi~, hJ diaivresi~dhloi`: e[sti ga;r tini; to; ou| e{neka, w|n to; me;n e[sti to; d∆ oujk e[sti (che eliminano kai; tinov~).Questa lettura di Metafisica XII 7, 1072b1-3 è mantenuta anche da Berti (in Causalità, cit.,p. 645; Ancora sulla causalità del motore immobile, cit., p. 20; Il movimento del cielo inAlessandro di Afrodisia, cit., pp. 229-230). Il testo però non nega che il primo motore immo-

Page 7: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 621

L’attività del primo motore immobile non è per il proprio vantaggio(cioè il fine per qualcuno: tini; to; ou| e{neka), poiché non vi è alcuna cosacome il suo «vantaggio»; ma il primo motore immobile (o la sua attività)non è neanche per il vantaggio della prima sfera20.

Enrico Berti trova un ulteriore sostegno per il suo approccio in De caeloII 12. L’argomento di questo capitolo è curioso, e anche divertente. Aristo-tele è perplesso per il fatto che il moto della prima sfera più distante da noie quindi delle «stelle fisse» è semplice, costituito da un unico movimento; ilmoto dei corpi «astronomici» più bassi è più complesso, costituito da moltimovimenti, che derivano dalle molte sfere celesti che effettuano il loro moto;ma, quando ci avviciniamo alla terra, il moto dei corpi astronomici diventadi nuovo semplice (291b28–292a9): il moto della luna e il moto del solesono uniformi e la terra stessa è assolutamente statica (292b20)21. La spie-gazione di Aristotele – una spiegazione alla quale egli riconosce, come ab-biamo notato, di essere basata sugli «scarsi dati» a sua disposizione (292a15-16) – è che i corpi astronomici sono come gli uomini che richiedono di-verse quantità di esercizio fisico allo scopo di rimanere in buona forma:

«L’uno è sano anche se non fa alcun esercizio, l’altro se appena compie brevi pas-seggiate, laddove un terzo ha bisogno della corsa, della lotta, e di altri esercizi atle-tici. Un altro infine, anche sottoposto a fatiche immani, non potrebbe mai conseguirequesto bene, ma solo uno diverso (e{terovn ti)»22.

Dunque, Aristotele dice che «colui che sta nel modo migliore non habisogno di nessuna azione: è lui stesso infatti il fine (e[sti ga;r aujto; to; ou|e{neka), mentre l’azione richiede sempre due cose, cioè sia il fine sia ciòche è in vista di questo»23.––––––––––––––––––

bile può essere fine «per qualcuno», come suggerisce E. Berti. Nel brano Aristotele sta di-cendo che non c’è difficoltà nel dire che le cose immobili sono fini, perché ci sono due modiin cui un fine può essere il fine per qualcosa (tiniv, 1072b2): può essere qualcosa che l’altracosa deve raggiungere (e che quindi non esiste ancora per essa) o può già esistere per essa.Nel secondo caso, dal punto di visto della cosa non immobile, il rapporto non è un rapportodi «cercare di raggiungere x», ma di contemplare una cosa che è già presente.

20 Berti, Causalità, p. 645 e Berti, Da chi?, p. 65.21 Chiamo tutti questi corpi «corpi astronomici» perché la terra non sarebbe, secondo

Aristotele, un corpo celeste (cioè un corpo che si trova nei cieli). Etimologicamente anche laparola «astronomico» suggerisce corpi che si trovano nei cieli (a[stron = stella); ma siccomel’astronomia contemporanea riconosce la terra come un pianeta, forse l’anomalia linguisticaè meno stridente.

22 De caelo II 12, 292a25-28; tr. di O. Longo.23 tw`/ d∆ wJ~ a[rista e[conti oujqe;n dei` pravxew~: e[sti ga;r aujto; to; ou| e{neka, hJ de;

pra`xi~ ajeiv ejstin ejn dusivn, o{tan kai; ou| e{neka h\/ kai; to; touvtou e{neka (De caelo II 12,292b4-7); tr. da Berti, Causalità, cit., p. 647.

Page 8: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

622 Il Dio di Aristotele

Tutto questo ha conseguenze non solo per la nostra comprensione delprimo motore immobile, ma anche per la nostra comprensione delle entitàcelesti, in particolare della prima sfera. Per quanto riguarda il primo motoreimmobile, a parere di Enrico Berti ciò significa che «anche in MetafisicaXII 7 – egli scrive –, quando si dice che il Motore immobile è un fine, nonsi intende dire che esso sia il fine “per qualcuno” diverso da lui stesso, per-ché in tal caso dovrebbe essere realizzato per mezzo di un’azione, ma cheegli è fine a se stesso, come si addice al bene supremo»24. All’altro estremodello schema, il sole e la luna si muovono davvero, ma i loro movimentisono minimi, «perché non giungono mai al termine ultimo, ma pervengonoal “principio più divino” (qeiotavth a[rchv) nella misura in cui possono»25.Ciò dimostra, dice Berti, che «il “principio più divino” non ha nulla a chefare col Motore immobile, ma è l’ottimo per ciascuno dei corpi astronomi-ci, cioè il suo fine, il bene da lui raggiungibile, come mostra eloquentementel’esempio della salute. Perciò anche il primo cielo ha come fine non il Mo-tore immobile, ma il suo proprio fine»26.

2. Il movimento circolare

Ovviamente, c’è molto da discutere in questa teoria della causalità delprimo motore immobile. Dobbiamo essere grati a Berti per aver aperto unaintera gamma di questioni che sono state trascurate negli ultimi anni27.

Al fine di ottenere una corretta comprensione della causalità finale delprimo motore immobile, è necessario comprendere come Aristotele capisceil movimento circolare del primo cielo (della prima sfera). Ci sono duefattori da tenere a mente: in primo luogo, la non-linearità del moto circolarein generale; in secondo luogo, lo status peculiare della prima sfera, che è la––––––––––––––––––

24 Berti, Causalità, cit., p. 647.25 Ibidem.26 Ibidem.27 L’interesse di Berti nei confronti di questi temi è condiviso da numerosi altri stu-

diosi recenti. Si vedano, ad esempio, T. De Koninck, La «pensée de la pensée» chez Aristote,in T. De Koninck - G. Planty-Bonjour (eds.), La question de Dieu selon Aristote et Hegel,PUF, Paris 1991, pp. 69-151; L. Judson, Heavenly Motion and the Unmoved Mover, in M.L.Gill - J.G. Lennox (eds.), Self-motion. From Aristotle to Newton, Princeton University Press,Princeton (New Jersey) 1994, pp. 155-171; M.L. Gill, Aristotle on Self-motion, ibi, pp. 15-34 e quindi anche in L. Judson (ed.), Aristotle’s Physics. A Collection of Essays, ClarendonPress, Oxford 1995, pp. 243-265; C. Natali, Cause motrice et cause finale dans le livreLambda de la Métaphysique d’Aristote, in M. Bastit - J. Follon (eds.), Essais sur la theologied’Aristote, Peeters, Louvain-la-Neuve 1998, pp. 29-50.

Page 9: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 623

più remota delle 49 sfere celesti ideate da Aristotele28. Per quanto riguardail primo fattore, il concetto fondamentale di Aristotele di un movimento (okivnhsi~) è quello di qualcosa che ha un inizio al punto A, passa attraversoil punto B, e finisce al punto C, in modo che (come egli stesso dice) qual-siasi movimento ha un inizio, un mezzo e una fine. Il movimento circolarenon corrisponde del tutto a questo modello, come Aristotele spiega in Fi-sica VIII 9, giacché il suo punto di partenza e il suo punto di arrivo sono in-determinati (ajovrista, 265a32):

«Perché sarà limite uno qualunque dei punti lungo la linea piuttosto che un qualun-que altro? Ciascuno di essi è infatti insieme principio, mezzo e fine, cosicché ognu-no sarà sempre al principio e alla fine – e anche non lo sarà giammai. Perciò, in certosenso, la sfera è in movimento e in riposo, poiché essa occupa lo stesso luogo»29.

Poiché ogni punto sulla periferia della sfera (o, in quanto a ciò, suqualsiasi superficie sferica all’interno della sfera) è «principio, mezzo, efine», non vi è un punto privilegiato che conta come il completamento delmovimento della sfera, con il risultato di essere sempre in movimento; etuttavia la sfera è anche sempre quieta, dato che essa (la sfera intera stessa)occupa sempre lo stesso posto.

Aristotele procede ad attribuire tutto questo, ma soprattutto la quiete,al centro della sfera, che è allo stesso tempo inizio, mezzo e fine della di-stanza trascorsa (tou` megevqou~, 265b4); il che, di fatto, non è distanza perniente, dal momento che il centro non va da nessuna parte. Dal momentoche il centro non si trova su qualsiasi superficie sferica teorica che fa partedella sfera (dia; to; e[xw ei\nai tou`to th`~ perifereiva~, 265b4-5), ma il mo-vimento della sfera è in relazione ad esso, un punto qualsiasi al di fuori delcentro si sposterà intorno ad esso, come al mezzo (peri; to; mevson), senza maiandare verso l’«estremo» (la fine) di un movimento (pro;~ to; e[scaton), inquanto che gli estremi (inizio e fine) sono il centro, intorno al quale – manon verso il quale – qualsiasi punto si muove30. E quindi, ripete Aristotele,

––––––––––––––––––28 Metafisica XII 8, 1074a13-14 (accettando di emendare eJptav con ejnneva, come pro-

posto dal Sosigenes).29 tiv ga;r ma`llon oJpoionou`n pevra~ tw`n ejpi; th`~ grammh`~… oJmoivw~ ga;r e{kaston kai;

ajrch; kai; mevson kai; tevlo~, w{st∆ ajeiv te ei\nai ejn ajrch`/ kai; ejn tevlei kai; mhdevpote. dio; kinei-taiv te kai; hjremei` pw~ hJ sfai`ra: to;n aujto;n ga;r katevcei tovpon (Fisica VIII 9, 265a32–b2).

30 Sembra che l’idea sia la seguente: presupponiamo che la fine del movimento è suqualche superficie sferica teoretica all’interno della sfera. Siccome il movimento è attornoal centro, sarebbe su una superficie verso il centro, piuttosto che verso la superficie esterna.Nel cercare una superficie sferica adeguata – cioè quella che contiene la fine o l’estremo delmovimento – le superfici sferiche che sarebbero candidate diventano sempre più piccole.

Page 10: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

624 Il Dio di Aristotele

in un certo senso l’intera sfera «sta sempre in riposo e si muove in modocontinuo»31. Il riposo della sfera è senz’altro attribuito al centro – cioè al-l’asse centrale – della sfera, che non si muove ma da cui esce (o, almenopotrebbe uscire) il potere che muove la sfera.

Possiamo dunque dire che la prima sfera non si muove verso il primomotore immobile perché (in un certo senso) non si muove. Questo significanon soltanto che la sfera intera non cambia posizione – da sinistra a destra,per esempio – ma che ciò che noi chiameremmo «movimento», in questocaso non è movimento perché mancano veri estremi, bensì un principio euna fine, elementi che definiscono il movimento. Inoltre, notiamo che laquiete della sfera è associata da Aristotele con il centro che muove senzaessere mosso.

Se questo argomento, secondo il quale ogni sfera rotante deve essereconsiderata sia a riposo che in movimento, è suscettibile di essere respintocome un argomento meramente linguistico (una risposta che sarebbe peròmeno convincente dal momento che la questione è proprio il significato dellinguaggio che Aristotele utilizza in riferimento all’attività della primasfera), un argomento affine, che si trova in Fisica IV 5 ed è pertinente solo(o soprattutto) allo status peculiare della prima sfera come la sfera più re-mota, è dimostrativo in modo più concreto – almeno, se ci si mette nellamentalità dell’astronomia greca antica, riconoscendo l’esistenza delle sferecelesti e di tutto il resto. Al fine di dire che qualcosa si muove, ci deve essereun complesso di coordinate più ampio rispetto al quale si dice che questoqualcosa si muove. Dato che, oltre l’universo, non ci sono le coordinate spa-ziali (in effetti, non c’è «oltre» oppure «là», poiché la stessa parola «oltre»già implica la presenza di coordinate), non ha senso parlare, per esempio,dello spostarsi dell’universo a sinistra o a destra. Ma, allo stesso modo, nonha senso parlare del moto rotatorio dell’universo, perché il moto rotatoriopresuppone un complesso di coordinate in relazione al quale qualsiasi puntosulla superficie di una sfera cambia posizione (in modo continuo).

Ciò tuttavia non significa che, in un altro senso, non possiamo attribuireun moto rotatorio all’universo. Quando una persona sta dentro l’universo e––––––––––––––––––

Fino a quando non si arriva al centro della sfera, non c’è un candidato totalmente soddisfa-cente – ma, a quel punto non vi può essere un vero o definitivo punto di fine, dal momentoche il centro è insieme inizio, medio e fine (Fisica VIII 9, 265b3-4).

31 ai[tion d∆ o{ti pavnta sumbevbhke tau'ta tw'/ kevntrw/: kai; ga;r ajrch; kai; mevson tou'megevqou~ kai; tevlo~ ejstivn, w{ste dia; to; e[xw ei\nai tou'to th'~ perifereiva~ oujk e[stin o{pouto; ferovmenon hjremhvsei wJ~ dielhluqov~ (ajei; ga;r fevretai peri; to; mevson, ajll∆ ouj pro;~ to;e[scaton), dia; de; to; tou'to mevnein ajeiv te hjremei' pw~ to; o{lon kai; kinei'tai sunecw'~ (Fi-sica VIII 9, 265b2-8).

Page 11: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 625

guarda al cielo e, in particolare, alle stelle incastrate nella prima sfera, vedeun vero potere: il potere di locomozione. Aristotele parla del movimentodel cosmo come di un andare da destra a sinistra (presumibilmente perchéil potere umano di iniziare l’azione è di solito sulla destra)32. Ma questomovimento delle stelle fisse da destra a sinistra – cioè da est a ovest – nonpuò essere percepito da qualcuno fuori dell’universo. Infatti, dal momentoche nessuno può essere fuori dell’universo (nel senso di occupare uno spa-zio non incluso in esso, perché l’universo, per definizione, include tutto lospazio), tale movimento non esiste.

In Fisica IV 5 Aristotele paragona appunto l’universo nel suo insiemea una massa d’acqua che non è all’interno di un qualsiasi contenitore diqualsiasi forma: possono esserci vari movimenti dell’acqua all’interno dellagrande massa, ma la stessa massa d’acqua (che è presumibilmente sferica)non si muove:

«Quel corpo, al di fuori del quale esiste un corpo che lo circonda, è in un luogo; incaso contrario, non lo è. Perciò, anche se ciò divenisse acqua che non fosse circon-data, le sue parti si muoveranno – infatti le parti si circondano a vicenda; l’intero(to; de; pa`n), però, sarà in un senso mosso, in un altro senso no»33.

Poche righe dopo Aristotele dice che alcune cose sono di per sé «in unluogo», per esempio, qualsiasi corpo che si sposta localmente o quanto allesue dimensioni; e continua:

«Ma il cielo, come s’è detto, in quanto è l’intero (o{lo~), non ha un “dove”, né è inqualche luogo, dal momento che nessun corpo lo contiene. In quanto si muove,però, c’è un luogo per le sue parti – dal momento che ciascuna parte è contigua allealtre»34.

Questa concezione della sfera prima come qualcosa che si muove e nonsi muove – un’idea che appare due volte in Fisica VIII 9 e una volta qui in––––––––––––––––––

32 Si vedano De caelo II 2 (in part. 285b17-19: «Ma principio della rivoluzione delcielo è donde gli astri sorgono, cosicché questa sarà la destra, mentre dove essi tramontanosarà la sinistra» (tou` d∆ oujranou` ajrch; th~ perifora`~, o{qen aiJ ajnatolai; twn a[strwn, w{stetou`t∆ a]n ei[h dexiovn, ou| d∆ aiJ duvsei~, ajristerovn); Fisica III 5, 205b34; Historia animalium I15, 494a27–494b1; De incessu animalium 4, 705b33–706a1: «la parte destra è naturalmenteadatta a muovere, quella sinistra a venir mossa» (tr. di M. Vegetti, Utet, Torino 1996, p. 748)(kinei`n ga;r pevfuke to; dexiovn, kineisqai de; to; ajristerovn).

33 w/| me;n ou\n swvmati e[sti ti ejkto;~ sw`ma perievcon aujtov, tou`to e[stin ejn tovpw/, w|/ de;mhv, ou[. dio; ka]n u{dwr gevnhtai toiou`to, ta; me;n movria kinhvsetai aujtou` (perievcetai ga;ruJp∆ ajllhvlwn), to; de; pa`n e[sti me;n wJ~ kinhvsetai e[sti d∆ wJ~ ou[ (Fisica IV 5, 212a31-34).

34 oJ d∆ oujranov~, w{sper ei[rhtai, ou[ pou o{lo~ oujd∆ e[n tini tovpw/ ejstivn, ei[ ge mhde;naujto;n perievcei sw`ma: ejf∆ w|/ de; kinei`tai, tauvth/ kai; tovpo~ e[sti toi`~ morivoi~: e{teron ga;reJtevrou ejcovmenon twn morivwn ejstivn (Fisica IV 5, 212b8-11).

Page 12: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

626 Il Dio di Aristotele

Fisica IV 5 – ci fornisce essa stessa un modo di affrontare parecchie dellequestioni identificate da Berti e presentate in precedenza. A differenza delleIdee platoniche, sotto l’influenza del primo motore immobile la prima sferaè realmente attiva ed energica, anche se (come Aristotele richiede) in sensostretto si tratta di nessun movimento. Il moto circolare delle sfere celesti, ein particolare della prima sfera, non è un movimento (kivnhsi~) da un estre-mo all’altro, ma è piuttosto una pra`xi~, tale che ha il suo fine in ogni mo-mento di se stessa (Metafisica IX 6, 1048b18-35). Questo approccio risolveanche il problema dell’imitazione – cioè l’obiezione che l’imitazione è unarelazione statica che, in ogni caso, non può spiegare il movimento dellaprima sfera – mostrando come la prima sfera, in tutta la sua potenza, puòessere intesa come (in un certo senso) non in movimento e quindi facendola stessa cosa che fa il motore immobile che la regge35.

3. Quiete pratica: Etica Eudemea I 8, De anima III 10 e Metafisica XII 7

Come abbiamo visto, Enrico Berti sostiene che la prima sfera non puòavere il primo motore immobile come la sua causa finale perché ciò farebbesì che esso sia un fine pratico; il che è escluso dall’osservazione di Aristotelein Etica Eudemea I 8, 1218b5-6, per la quale nulla di immobile può esserepratico. Ovviamente, siamo adesso in grado di rispondere a questo argo-mento nella maniera già stabilita, sottolineando cioè che la prima sfera simuove e non si muove. Questa risposta sarebbe più che un semplice modoverbale per evitare le conclusioni di Berti, perché la prima sfera è davvero––––––––––––––––––

35 In una serie di lezioni pubblicate nel 2006, Enrico Berti tiene conto di un argomentoche sfrutta l’analisi fisica del movimento circolare; l’argomento respinto da Berti sostieneche il rapporto fra la prima sfera e il primo motore immobile è un rapporto di imitazione.Dice Berti: «Che il movimento circolare assomigli all’immobilità è vero, perché la rotazionedi una sfera su se stessa è movimento, però non è un cambiamento di luogo, perché la sferarimane sempre sullo stesso luogo, quindi, se ci deve essere un movimento che più di ognialtro assomiglia all’immobilità, si può dire che questo è il movimento rotatorio. Resta peròil fatto che, attraverso questo movimento, non si vede come il cielo possa raggiungere il suofine, realizzare il suo fine» (E. Berti, Struttura e significato della Metafisica di Aristotele,cit., p. 148). Gli argomenti proposti in questo saggio non sfruttano però il fatto che nel mo-vimento circolare non c’è un cambiamento di luogo (dalla sinistra alla destra, per esempio),ma che in un certo senso non viene coinvolto il vero movimento. È vero che il «movimento»così concepito non raggiunge il suo fine, ma questo è un punto a favore dell’interpretazione.Secondo tutti e due gli argomenti (quello di Fisica VIII 9 e quello di Fisica IV 5), non c’è iltentativo da parte della prima sfera di «ottenere» il primo motore immobile, perché (in uncerto senso) essa non si muove. In questo senso, la prima sfera imita il primo motore im-mobile o, piuttosto, fa la stessa cosa che fa il primo motore immobile: rimane immobile.

Page 13: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 627

immobile rispetto al suo motore. Ma la risposta lascia ancora in piedi unargomento che sembrerebbe interferire con una interpretazione non meta-forica dell’osservazione di Metafisica XII 7, per la quale il primo motoreimmobile muove «come oggetto d’amore» (1072b3).

Si ricorderà che l’osservazione di Etica Eudemea I 8 è utilizzata da Bertiper diminuire la forza dell’osservazione di Metafisica XII 7, per la quale ilprimo motore immobile muove nella maniera in cui ogni oggetto di desiderioo di pensiero (to; ojrekto;n kai; to; nohtovn, 1072a26) muove. Questo sembraessere un riferimento a De anima III 10, 433b13-18, dove il motore immobi-le, inteso come oggetto di desiderio o di pensiero, è descritto come un benepratico (to; prakto;n ajgaqovn, 433b16); ma, come sostiene Berti, in quantoAristotele dice in Etica Eudemea I 8 che le cose immobili non possono esserepratiche, il paragone di Metafisica XII 7 a oggetti quotidiani di desiderio o dipensiero è solo un paragone, come lo è il paragone a un oggetto d’amore.

Per quanto riguarda questa linea di argomentazione, la prima cosa dadire è quindi che l’osservazione di De anima III 10, per la quale un oggettodi desiderio o di pensiero è un bene pratico, è problematica per proprio di-ritto. Innanzitutto, non c’è dubbio che gli oggetti di desiderio e di pensierosono per Aristotele motori immobili: l’osservazione in Etica Eudemea I 8 èquindi in conflitto apparente con De anima III 10. Inoltre, anche in De animaIII 10, poche righe prima dell’osservazione quanto al bene pratico (433b16),Aristotele dice che il pratico è ciò che può essere diverso da ciò che è: «Benepratico è quello che ammette di essere anche altrimenti (prakto;n d∆ ejsti; to;ejndecovmenon kai; a[llw~ e[cein, 433a29-30)»36. Come può essere un motoreimmobile diverso da quello che è?

La soluzione di Trendelenburg a questo problema è ragionevole. Egliafferma che la definizione del pratico di 433a29-30 non contraddice l’ideache qui il motore è immobile:

«Infatti, nella misura in cui muove il desiderio, la cosa immobile è di per sé collo-cata al di là delle vicissitudini dell’anima; in quanto l’appetito tende verso di esso,esso ammette dei mutamenti»37.––––––––––––––––––

36 Tr. di R. Laurenti, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 185.37 «Si tov praktovn ita supra definiebatur, ut id esset, quod etiam aliter se habere pos-

set: quod nunc immotum dicitur, non repugnat. Quatenus enim cupidinem movet, ipsum im-motum est extra animi vicissitudines positum; quatenus appetitus ad id ipsum tendit, mutatio-nes admittit» (F.A. Trendelenburg [ed.], Aristotelis de anima libri tres, Sumptibus Walzii,Jena 1833, p. 534). Più avanti Trendelenburg cita non soltanto Metafisica XII 7, 1072a26-30ma anche De motu animalium 6, 700b35-701a2. È interessante che lo stesso problema di unmotore che subisce e non subisce si presenta in De anima III 5. In 430a12-13, Aristotele diceche l’arte «subisce» rispetto alla materia sulla quale lavora (oi|on hJ tevcnh pro;~ th;n u{lhn pev-

Page 14: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

628 Il Dio di Aristotele

Trendelenburg cita poi Metafisica XII 7, 1072a26-30, cioè il passo in cuiAristotele parla del primo motore immobile come «desiderabile e conoscibi-le», to; ojrekto;n kai; to; nohtovn. Ed è del tutto appropriato che Trendelenburgciti quest’ultimo passo, perché la sua soluzione al problema del bene immo-bile, ma pratico, dimostra che il concetto di un oggetto di desiderio e di pen-siero non comporta che esso sia essenzialmente pratico, neppure nel conte-sto di De anima III 10. La caratterizzazione di un motore immobile come pra-tico dipende dall’effetto che ha sulla cosa che è inclinata verso di esso. InDe anima III 10 i motori immobili chiaramente includono i beni umani comeil cibo o la bevanda, che sono cose verso le quali gli uomini si muovono. Inquanto questi motori immobili si trovano in relazioni variabili con gli uomi-ni, possono chiamarsi pratici. In Metafisica XII 7, 1072a26-30, l’oggetto deldesiderio e del pensiero muove invece non l’appetito dell’anima umana, mapiuttosto l’amore e l’ammirazione della prima sfera38. Il rapporto fra la pri-ma sfera e il suo motore immobile non coinvolge il movimento; quindi nondobbiamo – e non possiamo – chiamare pratico il primo motore immobile. La

––––––––––––––––––

ponqen). Qui l’arte, e non l’artista, è la causa efficiente (si veda Fisica II 3, 195a6) – e l’artenon si muove. Ma, poche righe dopo, Aristotele dirà che l’analogo dell’arte, oJ nou`~ che agi-sce («la causa e il principio produttivo», to; ai[tion kai; poihtikovn, tw'/ poiei'n pavnta), è «im-passibile», ajpaqhv~ (430a18). Nel suo commento, Trendelenburg ci consiglia di non metteretroppa enfasi sulla parola pevponqen: «ne premas pevponqen, perverteres enim rationem, quumars agat, arti materia subiecta sit. pevponqen, nihil aliud quam e[cei» (ibi, p. 488). Similmentea ciò che si vede in De anima III 10, la causa «subisce» soltanto nella misura in cui il suooggetto cambia.

38 Aristotele suggerisce – ma non in modo apodittico – che le sfere celesti abbianoanime: si veda De caelo II 2, 285a29-30: «ma il cielo è animato e ha un principio di movi-mento» (oJ d∆ oujrano;~ e[myuco~ kai; e[cei kinhvsew~ ajrchvn); II 12, 292a20-22: «invece biso-gna concepirli come partecipi di attività e di vita. Considerati in tale ottica, i fatti che si veri-ficano non appariranno più assurdi» (tr. di A. Jori, Rusconi, Milano 1999, p. 287) (dei` d∆ wJ~metecovntwn uJpolambavnein pravxew~ kai; zwh~: ou{tw ga;r oujqe;n dovxei paravlogon ei\nai to;sumbainon); 292b1-2: «si deve pensare che l’attività degli astri sia dello stesso tipo di quelladegli animali e delle piante» (dei` nomivzein kai; th;n tw`n a[strwn pra`xin ei\nai toiauvthn oi{aper hJ tw`n zwv/wn kai; futw`n). Qualunque sia la ragione per l’esitazione, è evidente che inquesti brani Aristotele vede le sfere celesti come capaci di iniziare movimento (kivnhsi~) eazione (pra`xi~). Una parte dell’argomentazione di E. Berti, per il quale il primo motoreimmobile non è l’oggetto (la causa) del movimento della prima sfera, è l’affermazione chein Metafisica XII Aristotele non dice mai che le sfere celesti sono animate. Ma questa è unapetitio principii: egli sta utilizzando la conclusione della sua argomentazione come premes-sa. Come Berti riconosce, secondo la maggior parte delle interpretazioni Aristotele davveropresume in Metafisica XII 7 che la prima sfera è in qualche modo animata (come dovrebbeessere se ha un ojrekto;n nohtovn). Vi sono certamente più evidenze in Aristotele per la tesiche le sfere celesti sono in qualche modo animate che per la sua negazione. Si veda C. Nata-li, Cosmo e divinità. La struttura logica della teologia aristotelica, Japadre, l’Aquila 1974,p. 83, e anche W.D. Ross, Aristotle’s Metaphysic, cit., vol. I, p. CXXXVI.

Page 15: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 629

ragione di ciò non è però il fatto che esso non è causa finale come gli ogget-ti di De anima III 10, ma che la cosa che lo ama non si muove verso di lui.

In Metafisica XII 7, Aristotele non dice che il primo motore immobile èbuono, ma che è bello (kalovn, 1072a28); il rapporto fra qualcosa che è belloe ciò che lo ama non è un rapporto di movimento – ma ciò non fa sì che nonsia un rapporto di causalità finale. In Metafisica XIII 3 (cioè nella sua filoso-fia della matematica) Aristotele afferma che «il bene e il bello sono diversi:infatti, il primo è sempre in un’azione, ma il bello è anche nelle cose immo-bili»39 (e nell’osservazione di Etica Eudemea I 8, dove Aristotele dice che ilpratico non si trova nelle cose immobili – oujk e[sti de; to; ejn toi`~ ajkinhvtoi~,1218b5-6 –, egli parla anche del bello, distinguendolo dal bene40). La suaposizione in Metafisica XIII 3 è che è ben possibile amare i numeri, anche senessuno «va verso» di loro come si va verso gli alimenti o le bevande. Simil-mente, l’atteggiamento della prima sfera rispetto al primo motore immobilenon è quello di un’anima umana verso un bene pratico, ma non c’è alcunaragione per cui dobbiamo assimilare ogni desiderio a quel modello, perchéil desiderio (o[rexi~) per Aristotele comprende non solo le voglie più basse(come la brama, ejpiqumiva), ma anche bouvlhsi~ o volontà41. Aristotele parla

––––––––––––––––––39 to; ajgaqo;n kai; to; kalo;n e{teron (to; me;n ga;r ajei; ejn pravxei, to; de; kalo;n kai; ejn

toi`~ ajkinhvtoi~) (1078a31-32).40 «Ma il bene si predica in molti modi e una parte di esso è bello, l’uno è pratico,

l’altro non lo è. Pratico è quel tipo di bene che è un fine; non lo è quello che si trova nellecose immobili», ajlla; pollacw`~ to; ajgaqovn, kai; e[sti ti aujtou` kalovn, kai; to; me;n prakto;nto; d∆ ouj praktovn. prakto;n de; to; toiou`ton ajgaqovn, to; ou| e{neka. oujk e[sti de; to; ejn toi`~ajkinhvtoi~ (Etica Eudemea I 8, 1218b4-6].

41 Cfr. De anima II 3, 414b2: «Difatti la tendenza (o[rexi~) può essere desiderio (ejpi-qumiva), impulso (qumov~) e volontà (bouvlhsi~)» e III 10, 433a23-36: «Ora, mentre risulta chel’intelletto (nou`~) non muove senza la tendenza (poiché la volontà (bouvlhsi~) è una tendenza(o[rexi~), e quando ci si muove in conformità alla ragione (kata; to;n logismovn), ci si muoveanche in conformità alla volontà), la tendenza muove invece anche contro la ragione, giacchéil desiderio (ejpiqumiva) è una forma di tendenza. L’intelletto dunque è sempre retto, mentrela tendenza e l’immaginazione (fantasiva) possono essere rette e non rette. Perciò è semprel’oggetto della tendenza che muove (to; ojrektovn), ma questo o è il bene o è ciò che apparecome bene (to; fainovmenon ajgaqovn), non però ogni bene, ma il bene che è oggetto dell’azio-ne (to; praktovn ajgaqovn). Oggetto dell’azione è ciò che può essere anche altrimenti»). Questaseconda traduzione è di Giancarlo Movia (Aristotele, l’Anima. Traduzione, introduzione ecommento, Loffredo, Napoli 1979) e ha il vantaggio di non utilizzare «desiderio» per o[rexi~,il che, a sua volta, rende più plausibile l’idea che il primo motore immobile può essere l’og-getto della o[rexi~ (cioè dell’ojrektovn) della prima sfera. In Metafisica XII 7, 1072a27-30 Ari-stotele dice che, nel caso dalla prima sfera, o[rexi~ («tendenza») non è ejpiqumiva (desiderio)ma bouvlhsi~ (volontà). Nel testo principale, uso «oggetto del desiderio» come traduzione diojrektovn perché Berti utilizza questa traduzione; per ejpiqumiva uso la traduzione «brama».Per quanto riguarda la questione se le sfere celesti sono animate, si veda supra, nota 38.

Page 16: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

630 Il Dio di Aristotele

del motore immobile non soltanto come bello ma anche come oggetto dellavolontà: boulhto;n de; prwton to; o]n kalovn (Metafisica XII 7, 1072a28).

Sarei quindi d’accordo con Berti che il riferimento di Aristotele in Me-tafisica XII 7 a De anima III 10 non può essere interpretato come se dicesseche il rapporto tra la prima sfera celeste e il primo motore immobile èesattamente quello che esiste tra l’anima umana e (per esempio) il cibo e labevanda42; ma ciò non significa che non vi possa essere un rapporto di cau-salità finale tra la sfera e il suo primo motore immobile o, in ultima analisi,che tutta la causalità finale del primo motore immobile deve concernere sestessa. Aristotele ha un buon motivo per fare riferimento in Metafisica XII 7ai motori immobili che sono beni umani (come in De anima III 10), poichéegli vuole individuare un rapporto tra un motore immobile e qualcosa distin-to da esso. La cosa che il primo motore immobile muove è molto diversaper condizione e atteggiamento dall’anima umana, quando quest’ultima de-sidera il cibo o una bevanda; ma è rivolta verso un oggetto di desiderio e dipensiero (to; ojrekto;n kai; to; nohtovn, 1072a26). L’attività delle sfere celestinon comporta movimento (kivnhsi~) nel senso stretto del termine; ma, ciònonostante, l’oggetto della loro attenzione le riempie con un tipo di poteretranquillo e stabile: il potere dell’amore della bellezza.

4. Serie parallele: Metafisica XII 7 e De sensu et sensibilibus 7

Come abbiamo visto, Enrico Berti sostiene anche che l’osservazione diAristotele in Metafisica XII 7, 1072 a30-31, per la quale «l’intelletto è mossodall’intelligibile, e una delle due serie è per sé intelligibile (nohth; [...] kaq∆auJthvn)» – è questo un passo che segue le osservazioni che abbiamo appenatrattato riguardo al modo in cui la prima sfera è mossa dal primo motoreimmobile come l’anima umana è mossa dagli oggetti di desiderio e di intel-letto –, è in effetti uno spostamento del discorso dal campo del pratico a unaconsiderazione della vita interiore del primo motore immobile stesso, che(là) ama e non è amato da nessun altro che da se stesso43.

Vale la pena di esaminare il brano in questione punto per punto, tenendoconto in particolare del modo in cui l’argomento fluisce. Aristotele comincia––––––––––––––––––

42 La rassomiglianza fra gli oggetti di De anima III 10 e il primo motore immobile di-venta più stretta quando l’oggetto dell’anima umana è la bellezza. Aristotele associa il movi-mento circolare con l’anima umana: Fisica IV 5, 212b12; cfr. anche De anima I 3, 407b59.Questo non sarebbe un andare verso oggetti pratici (come cibo e bevanda), ma qualcosa dipiù vicino alla contemplazione filosofica.

43 Berti, Causalità, p. 643.

Page 17: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 631

(in 1072a21) dicendo che il moto della prima sfera è circolare ed eterno,ma anche che, dal momento che muove e si muove, non può essere l’ultimaspiegazione del proprio movimento: «deve esserci, per conseguenza, qual-cosa che muova senza essere mosso e che sia sostanza eterna e atto» (1072a25-26). Egli si riferisce, ovviamente, al primo motore immobile. Subito do-po viene l’osservazione di cui siamo ora a conoscenza: «E in questo modomuovono l’oggetto del desiderio e dell’intelligenza: muovono senza esseremossi» (1072a26-27). Aristotele poi inserisce un argomento secondo il qua-le, nel caso in specie, non abbiamo bisogno di distinguere l’oggetto del desi-derio dall’oggetto dell’intelletto, dal momento che la prima sfera non puòscambiare il proprio motore immobile per qualche altro oggetto d’amore,come possiamo fare noi quando predomina la brama piuttosto che la volon-tà44; infatti, come abbiamo visto, il desiderio (o[rexi~) della prima sfera èvolontà (bouvlhsi~) e non brama (ejpiqumiva)45. Ed è a questo punto che En-rico Berti discerne uno spostamento. Aristotele scrive:

«E l’intelletto è mosso dall’intelligibile, e una delle due serie è per sé intelligibile.In questa serie, la sostanza è prima, e, nell’àmbito della sostanza, è prima quella cheè semplice ed è in atto»46.

Che cosa vuol mai dire questo? L’oscurità della stessa osservazione dàsostegno alla tesi di Berti, per il quale qui siamo di fronte a un cambiamentodi prospettiva. Come egli osserva, i commentatori parlano delle colonnepitagoriche secondo le quali «la realtà tutta si divide in due serie di opposti,i termini positivi e quelli negativi»47. Chiaramente ciò non ci soddisfa, ancheperché Berti suggerisce che Aristotele qui introduce una distinzione tra lecose conosciute da noi esseri umani e le cose che sono note «in sé» (o persé) – e favorisce le ultime:

«A me sembra più verosimile che Aristotele avendo menzionato ciò che è intelli-gibile per l’uomo, alluda a due serie di intelligibili, l’una intelligibile per l’uomo el’altra intelligibile per sé. In tal caso si tratta della distinzione, da lui più volte pro-fessata, tra le cose più chiare, o più note, per noi e le cose più chiare, o più note,per se stesse»48.––––––––––––––––––

44 «Infatti oggetto del desiderio è ciò che appare a noi bello e oggetto primo dellavolontà razionale è ciò che è oggettivamente bello», ejpiqumhto;n me;n ga;r to; fainovmenonkalovn, boulhto;n de; prw`ton to; o]n kalovn (Metafisica XII 7, 1072a27-28).

45 Si veda supra, nota 39.46 nou`~ de; uJpo; tou` nohtou` kinei`tai, nohth; de; hJ eJtevra sustoiciva kaq∆ auJthvn: kai;

tauvth~ hJ oujsiva prwvth, kai; tauvth~ hJ aJplh kai; kat∆ ejnevrgeian (Metafisica XII 7, 1072a30-32).47 Berti, Causalità, p. 642.48 Ibidem.

Page 18: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

632 Il Dio di Aristotele

Molto ragionevolmente Berti respinge l’idea che Aristotele stia par-lando in 1072a30-31 delle serie pitagoriche dei termini positivi e negativi,ma vi è un’alternativa più probabile di quello che lui propone. In De sensuet sensibilibus 7 Aristotele discute serie (o colonne) parallele, nella primadelle quali si trova una facoltà (un senso) e nella seconda il suo oggetto:

«Voglio dire: lo stesso senso discerne ugualmente il bianco e il nero, che sono diffe-renti specificamente; anche il senso che discerne il dolce e l’amaro è identico nei ri-guardi di se stesso, ma diverso dal precedente. Ora in modo diverso ciascuno deidue sensi discerne l’uno e l’altro dei contrari, e tuttavia i vari membri di una colon-na si comportano nello stesso modo, per esempio, come il gusto verso il dolce, cosìla vista verso il bianco; come la vista verso il nero, così il gusto verso l’amaro»49.

Aristotele chiaramente ha qui in mente due colonne, una delle qualicontiene le facoltà, l’altra i loro oggetti. L’idea generale è che, sebbene levarie facoltà hanno ovviamente le proprie operazioni (la vista vede, il gustogusta), i loro rapporti verso i propri oggetti sono analoghi: come sta la vistarispetto al visibile, così sta il gusto rispetto al gustabile. Non è affatto dif-ficile immaginare che Aristotele inserisce in questo schema la facoltà quasi-mentale della prima sfera e il proprio oggetto, il primo motore immobile.

L’unica cosa in Metafisica XII 7, 1072a30-31 di cui De sensu et sensi-bilibus 7 non fornisce una spiegazione esplicita è l’idea che «una delle dueserie è per sé intelligibile». Una possibile spiegazione è però derivabile pro-prio da quest’ultimo passo aristotelico. Nel capitolo 6, Aristotele stava di-scutendo la percezione degli oggetti misti: per esempio, la percezione, attra-verso il senso del gusto, di qualcosa che è tra il dolce e l’amaro. Gli elementiopponenti che entrano in combinazione non sono di per sé percepiti, eglisostiene, giacché altrimenti il senso stesso dovrebbe essere diviso; ciò che èpercepito è piuttosto un’unità: la miscela. Ma «ognuno [oggetto] è percepitomeglio quando è semplice che quando è mescolato, per esempio, vino prettopiuttosto che vino mescolato» (De sensu et sensibilibus 7, 447a17-19)50.––––––––––––––––––

49 levgw de; tou`to, o{ti i[sw~ to; leuko;n kai; to; mevlan, e{teron tw`/ ei[dei o[n, hJ aujth;krivnei, kai; to; gluku; kai; to; pikro;n hJ aujth; me;n eJauth`/, ejkeivnh~ d∆ a[llh, ajll∆ eJtevrw~ eJkav-teron tw`n ejnantivwn, wJ~ d∆ au[tw~ eJautai`~ ta; suvstoica, oi|on wJ~ hJ geu`si~ to; glukuv, ou{tw~hJ o[yi~ to; leukovn, wJ~ d∆ au{th to; mevlan, ou{tw~ ejkeivnh to; pikrovn (De sensu et sensibilibus7, 447b26–448a1).

50 In De generatione et corruptione I 3, 319a14-17, Aristotele parla anche di una co-lonna che include poteri o facoltà, l’altra i loro oggetti: «Ciononostante, in tutte le categoriesi parla similmente di generazione quando si intende indicare una delle due serie di contrari,ad esempio, nella categoria della sostanza se si genera fuoco e non terra, e nella categoria del-la qualità se un tale diventa conoscitore e non già se diventa ignorante», ouj mh;n ajll∆ oJmoivw~ejn pa`si gevnesi~ me;n kata; ta; ejn th`/ eJtevra/ sustoiciva/ levgetai, oi|on ejn me;n oujsiva/ eja;n pu`r

Page 19: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 633

Qui Aristotele non usa l’espressione «per sé», ma non sembra improbabileche, se avesse esteso in questo capitolo la sua descrizione delle due colonne,egli avrebbe potuto specificare che nella seconda colonna vengono trovatigli oggetti che sono semplici e quindi di per sé percettibili dai rispettivi sen-si: non come parte di una miscela, ma in sé (o per sé). Si nota che, in Meta-fisica XII 7, 1072a32, nella seconda colonna Aristotele parla dell’oggettocome «semplice» (aJplh`).

Una spiegazione alternativa – tenendo conto della scarsità dei «dati dacui muovere» ricordata all’inizio di questo saggio e della grande distanzadai fatti in questione – potrebbe essere che davvero Aristotele ha in mentein 1072a31 una seconda colonna che contiene solo gli oggetti che sono notiper sé, nel senso usato, per esempio, in Analitici secondi I 2, 72a1-4, doveAristotele scrive: «Chiamo anteriori e più note rispetto a noi le cose chesono più vicine alla percezione, anteriori e più note in senso assoluto quelleche sono più lontane»51. Le cose che sono «più note» non solo «rispettoa noi» (pro;~ hJma`~) ma «in senso assoluto» (aJplw`~) non sono, dopo tutto,inaccessibili a noi esseri umani; è solo che dobbiamo lavorare di più perraggiungere tali conoscenze: dobbiamo diventare «scienziati», nel senso ari-stotelico. Ma proprio come la prima sfera (al pari, presumibilmente, di ognisfera celeste) non è turbata da errori a causa della percezione di beni appa-renti, così anche non ha bisogno di passare attraverso un processo per diven-tare scientifica: il suo oggetto, come l’oggetto proprio di ogni vero scienzia-to, è di per sé intelligibile. Non c’è alcun motivo per dire che, menzionandouna seconda colonna (Metafisica XII 7, 1072a31), Aristotele stia implicandoche – da quel momento in poi – è interessato solo a ciò che è oggetto per sestesso (e anche per sé noto). Gli oggetti propri di qualsiasi conoscitoreautentico sono cose che sono di per sé intelligibili.

Ha buon senso quindi che Aristotele, dopo aver stabilito il parallelo inMetafisica XII 7 con il modo in cui ci troviamo di fronte agli oggetti deldesiderio e del pensiero (to; ojrekto;n kai; to; nohtovn), dica che «l’intellettoè mosso dall’intelligibile, e una delle due serie è per sé intelligibile». Nellaprima colonna è l’intelletto, nell’altra l’intelligibile. Ciò che è capito (intel-lectum, to; nohtovn) non è un qualsiasi intelligibile, ma quel che è di per séintelligibile.––––––––––––––––––

ajll∆ oujk eja;n gh`, ejn de; tw`/ poiw`/ eja;n ejpisth`mon ajll∆ oujc o{tan ajnepisth`mon. Qui è chiaroche l’oggetto proprio dell’intelletto sarebbe (come è detto in Metafisica XII 7, 1072a30) l’in-telligibile e non l’inintelligibile.

51 Tr. da Aristotele, Analitici secondi, a cura di M. Mignucci, Laterza, Roma-Bari2007.

Page 20: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

634 Il Dio di Aristotele

Questa interpretazione generale non interrompe il flusso del discorsodi Metafisica XII 7, dove Aristotele sta semplicemente continuando la suaanalisi del rapporto tra la prima sfera e il primo motore immobile, utiliz-zando lo stesso schema generale che utilizzava per analizzare come o[rexi~(«desiderio») e novhsi~ («pensiero») vengono intesi in De anima III 10. Il di-scorso non si è infatti spostato in direzione di un esame di ciò che è di persé comprensibile, lasciando alle spalle il «paragone» dell’anima (o dell’intel-letto) di fronte al suo oggetto, ma continua a trattare il rapporto tra l’anima(o qualcosa di simile a un’anima) della prima sfera e la sua causa finale: ilprimo motore immobile.

Vale anche la pena di ricordare che, in Metafisica XII 7, 1072b1, Ari-stotele si riferisce all’oggetto di ciò che, a mio avviso, deve essere la primasfera celeste come a un analogo (ajnavlogon). Ciò sarebbe coerente con lesue osservazioni di De sensu et sensibilibus 7 in merito alle facoltà e ai lorooggetti. Come abbiamo visto, ogni facoltà ha il proprio carattere ma, quandofacoltà e oggetto sono messi nelle rispettive colonne, è evidente che una fa-coltà è l’analogo di qualsiasi altra, come lo sono anche i loro oggetti52.

5. De caelo II 12

Come abbiamo visto, Enrico Berti utilizza come prova anche De caeloII 12, il capitolo in cui Aristotele fa un paragone fra l’attività dei cieli e gliuomini che fanno, alcuni più, alcuni meno, esercizio fisico. Alcuni uominisembrano essere sempre, e senza sforzo, in buona forma; alcuni devono solocontrollare il peso; alcuni necessitano non solo di controllare il peso ma dicorrere. Alcuni, infine, non hanno alcuna speranza di raggiungere la saluteperfetta, ma sono soddisfatti se arrivano al punto di poter correre e quindi,forse, di essere più o meno sani. Per questi ultimi, il correre diventa il sosti-tuto dell’essere perfettamente sani – cioè dell’essere nella condizione miglio-re: to; a[riston (De caelo II 12, 292b10.12.18.19). Le persone, che non han-––––––––––––––––––

52 Il commento di Siwek a De sensu et sensibilibus 7 è il seguente: «Modus, quo visusdiscernit colores contrarios (e.g. album et nigrum) utique differt a modo, quo gustatus distin-guit contrarios sapores (dulce et amarum). At exsistit certissime – ait Aristoteles – inter duoshos modos similitudo proportionis seu analogia: colorem album sentit visus simili modo,quo saporem dulcem sentit gustatus. Colorem nigrum simili modo, quo saporem amarum»(P. Siwek [ed. e tr.], Aristotelis Parva Naturalia graece et latine, Desclée, Roma 1963, p.120, nota 308). La traduzione di Siwek di 447a29–448a1 parla anche dell’analogia: «Certealiter [ambo sensus discernunt] utrumque contrariorum, attamen eodem analogice modo am-bo procedunt in discernendis rebus ad se pertinentibus: puta, sicut gustatus discernit dulce,ita visus album; et e contra, sicut visus nigrum ita gustatus amarum».

Page 21: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 635

no alcuna speranza di raggiungere la vera salute, sono come la terra, la lunae il sole, che non si muovono (o corrono) per niente (come nel caso dellaterra) o si muovono molto poco (come nel caso della luna e del sole). Gliuomini che controllano il peso e anche corrono (e raggiungono la salute per-fetta) sono come i pianeti, i cui movimenti sono più numerosi e più compli-cati dei movimenti della terra, della luna o del sole. Gli uomini che hannobisogno semplicemente di controllare il peso sono come le stelle fisse. Infi-ne, coloro che non hanno bisogno di preoccuparsi del peso per niente e che(a maggior ragione) non devono correre, sono come il primo motore immo-bile (e gli altri motori immobili): il primo motore immobile non esercita alcu-no sforzo (che sarebbe l’essere in movimento), ma è semplicemente e sem-pre nella forma migliore. Questo parallelo tra gli uomini e il moto dei corpicelesti e sotto-celesti spiega, secondo Aristotele, il fatto curioso che sia alcentro del cosmo sia ai suoi estremi c’è relativamente poco movimento, men-tre ci aspetteremmo un aumento progressivo in una direzione o l’altra53.

Da questo capitolo del De caelo Berti sceglie due osservazioni che egliconsidera di sostegno alla propria interpretazione di Metafisica XII 7. Laprima è l’esplicazione da parte di Aristotele dell’analogia tra uomini irri-mediabilmente non-sani e i corpi astronomici più bassi:

«È per questa ragione che la terra non si muove affatto, e le cose vicine ad essahanno pochi movimenti. Infatti, questi corpi non raggiungono il fine ultimo, mapossono arrivare fino a qualcosa del divino principio»54.

Egli interpreta questo passo come se implicasse che nessuna creaturache cerca un fine remoto cerca il fine ultimo; la prima sfera celeste non haquindi un tale fine, ma mira al proprio fine interno, così come lo fa il primomotore immobile stesso. La seconda osservazione viene un po’ prima diquesta in De caelo II 12, laddove Aristotele dice che un ente, che non ha bi-sogno di nessun tipo di movimento, è «lui stesso [...] il fine, mentre l’azionerichiede sempre due cose, cioè sia il fine sia ciò che è in vista di questo»55.Berti intende questo come un riferimento, almeno per analogia, al primo mo-tore immobile, che (per ripetere) è separato da qualsiasi attività pratica ed èfine solo a se stesso56.––––––––––––––––––

53 Si veda l’Appendice.54 kai; dia; tou`to hJ me;n gh` o{lw~ ouj kinei`tai, ta; d∆ ejggu;~ ojlivga~ kinhvsei~: ouj ga;r

ajfiknei`tai pro;~ to; e[scaton, ajlla; mevcri o{tou duvnatai tucei`n th`~ qeiotavth~ ajrch`~ (Decaelo II 12, 292b19-22).

55 e[sti ga;r aujto; to; ou| e{neka, hJ de; praxi~ ajeiv ejstin ejn dusivn, o{tan kai; ou| e{neka h\/kai; to; touvtou e{neka (De caelo II 12, 292b5-7; tr. da Berti, Causalità, p. 647).

56 Dato che ora Berti sostiene che il primo motore immobile non è affatto una causa fi-

Page 22: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

636 Il Dio di Aristotele

Consideriamo anzitutto la prima delle due osservazioni. Come si dimo-strerà nell’appendice al presente saggio, De caelo II 12 si compone di una se-rie di cinque liste parallele; due di loro parlano dei corpi astronomici, le altretre di cose più mondane (o almeno di cose legate alle cose più mondane): icorpi umani, gli animali, le anime umane e le loro parti. In generale, le listecontengono quattro elementi, che io chiamo «divisioni» dal momento cheognuna segna un settore o una divisione del dominio rappresentato dalla listaa cui appartiene. Talvolta Aristotele devia dal modello delle quattro divisio-ni, ma in modo tale che è chiaro che ha sempre in mente lo stesso modellogenerale (ad esempio, una volta omette di specificare la quarta divisione euna volta suddivide in due la quarta divisione). In ogni lista, la divisione piùin basso (la quarta, se specificata) contiene le cose che non cercano il beneultimo («il migliore», to; a[riston), ma qualche sostituto, come gli uominiche non potranno mai raggiungere la salute perfetta, ma fanno poche cose –in quanto non sono attivi come gli uomini atletici – al fine di correre piutto-sto che al fine di essere perfettamente sani. La terza divisione contiene lecose che arrivano al bene ultimo ma per mezzo di molti movimenti; la se-conda divisione contiene le cose che arrivano al bene ultimo per mezzo dipochi movimenti (in effetti, solo un movimento); la divisione più in altocontiene le cose che non richiedono o non coinvolgono nessun movimento.

Allora, anche se è vero che i membri delle varie divisioni quarte delleliste «non raggiungono il fine ultimo», essi non possono certo essere para-gonati ai membri delle divisioni più in alto nelle varie liste. In particolare,il fatto supposto che il sole, la luna e la terra sono simili ai relativamenteinattivi non-atleti non significa che la prima sfera celeste – che ha un movi-mento semplice e, quindi, appartiene alla divisione 2 della propria lista57 –sia altrettanto handicappata, perché il vero scopo delle liste (e del capitolo)è quello di dimostrare che i membri delle varie divisioni quarte sono diversidai membri delle divisioni più alte. La semplicità delle seconde divisioni ela semplicità delle quarte divisioni sono dovute a cause molto diverse58.

Vale anche la pena di notare che, come dice Aristotele, sono membridi una delle divisioni quarte «in cammino» verso «il migliore»: pro; oJdou`

––––––––––––––––––

nale (cfr. Ancora sulla causalità del motore immobile, cit., per il quale si veda supra, nota 3)è possibile che il suo punto di vista quanto a questo passo sia cambiato. Vale però la pena diprendere in considerazione questo passo per i suoi meriti propri, dal momento che vi si dannoalcune informazioni riguardo alla comprensione di Aristotele del rapporto tra la prima sferae il suo motore immobile.

57 O, più precisamente, liste: (a) e (d). Si veda l’Appendice.58 Si veda l’Appendice, in part. il commento a 292a28-30.

Page 23: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 637

[...] pro;~ to; a[riston (292b9-10)59. Siccome le liste di De caelo II 12 sonoliste parallele, il riferimento di Aristotele al «divino principio» (th~ qeiotav-th~ ajrch`~) nella ultima lista («questi corpi non raggiungono il fine ultimo,ma possono arrivare fino a qualcosa del divino principio», 292b21-22) nondeve fare riferimento al fine proprio e interno dei membri di questa quartadivisione, come sostiene Berti, ma al principio più alto o al primo moto-re immobile (to; a[riston) – che, tuttavia, essi non possono raggiungeremai. L’idea sarebbe che essi non possono arrivare al divino principio, ma aqualcosa di connesso a lui: «possono arrivare fino a qualcosa del divinoprincipio».

La seconda osservazione scelta da Berti da De caelo II 12 fa parte delladiscussione di Aristotele sugli animali e sulle piante. Naturalmente, questadiscussione riguarda una lista (la terza in De caelo II 12), e l’osservazionein questione – «è lui stesso infatti il fine, mentre l’azione richiede sempredue cose, cioè sia il fine sia ciò che è in vista di questo» – appartiene allaprima e alla seconda divisione della lista60. Questa osservazione non dà ap-poggio all’idea che il primo motore immobile non serve come causa finaledella prima sfera, ma piuttosto al contrario. La posizione di Aristotele è che,sebbene l’intelletto attivo non comporti alcuna azione (oujqe;n dei` pravxew~,292b5), ogni membro della seconda divisione (vale a dire, ogni intellettopassivo) comporterà l’azione (hJ de; pra`xi~ ajeiv ejstin ejn dusivn, 292b6), ecioè un’azione che ha due poli, il primo dei quali è l’intelletto passivo stesso,mentre il secondo è un membro della prima divisione (o un intelletto attivo).Dal momento che le liste di De caelo II 12 sono liste parallele, dobbiamoconcludere che c’è un rapporto fra qualsiasi sfera celeste e il suo motoreimmobile, e dunque che c’è un tale rapporto anche fra la prima sfera e ilprimo motore immobile.

6. La causalità efficiente

Per la maggior parte di questo saggio, ci siamo occupati della causalitàfinale del primo motore immobile; ma, dal momento che la tesi di EnricoBerti è che il primo motore è in primo luogo – o addirittura esclusivamente –causa efficiente, è opportuno concludere con qualche parola sulla causalitàefficiente dello stesso motore e sulla sua connessione, secondo Aristotele,con la sua causalità finale. Infatti, questo tema ci permette di riprendere la––––––––––––––––––

59 Questo è detto in riferimento alla quarta divisione della lista (c); si veda l’Appendice.60 Nell’Appendice, (c) 1 e 2.

Page 24: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

638 Il Dio di Aristotele

tesi principale del presente saggio, cioè l’idea che la prima sfera può esseredetta in un certo senso sia in movimento, sia indipendente dal movimento.

In Fisica II 3, Aristotele ci offre una definizione della causa efficiente:«ciò donde (o{qen) è il primo inizio del cambiamento e della quiete: chi deli-berò, per esempio, è causa, e il padre è causa del suo figlio, e in generale ciòche fa lo è del fatto e ciò che cambia lo è del cambiamento»61. La parolao{qen («donde») segna un punto di origine spaziale del cambiamento (meta-bolh~) o della quiete (hjremhvsew~), anche se il rapporto tra la causa effi-ciente e il suo effetto non è necessariamente un rapporto fisico. Il rapportotra chi delibera, nella misura in cui delibera, e ciò che effettua, non com-porta il contatto fisico tra la causa efficiente e il suo effetto: una cosa intel-lettuale come la deliberazione non può avere contatto fisico con niente. Inquel senso il rapporto non è fisico. Ma la causalità efficiente anche di chidelibera non è del tutto indipendente dal fisico: produce l’effetto a un certopunto spaziale (e temporale) – o almeno può farlo, quando la deliberazionetratta di un’azione fisica62. Questa capacità da parte dell’azione deliberatadi cavalcare i due settori – fisico e non fisico – è ciò che permette ad Aristo-tele di concepire la prima sfera celeste come in movimento ma anche indi-––––––––––––––––––

61 o{qen hJ ajrch; th`~ metabolh`~ hJ prwvth h] th`~ hjremhvsew~, oi|on oJ bouleuvsa~ ai[tio~,kai; oJ path;r tou` tevknou, kai; o{lw~ to; poiou`n tou` poioumevnou kai; to; metabavllon tou` me-taballomevnou (Fisica II 3, 194b29-33).

62 C. Giacon lamenta il fatto che la comprensione di Tommaso d’Aquino della causa-lità del primo motore si basa su una lettura erronea platonica di Metafisica II 1 (C. Giacon,La causalità del motore immobile, cit., pp. 113-125), ma l’analisi di Tommaso non è basataesclusivamente su questo brano. In Sent. 1.37.1.1c, Tommaso spiega come capisce il rappor-to tra causalità efficiente naturale e divina. Egli raccomanda la comprensione di Avicennadella differenza e della somiglianza tra le due: «[...] agens naturale est tantum causa motus,et agens divinum est causa esse. Unde, secundum [Avicennam], qualibet causa efficiente re-mota, removetur effectus suus, sed non esse rei; et ideo remoto aedificatore, non tollitur essedomus, cujus causa est gravitas lapidum quae manet, sed fieri domus cujus causa erat; etsimiliter remota causa essendi, tollitur esse». Un po’ prima, Tommaso osserva che la causa-lità efficiente si differenzia in entità materiali e immateriali. Siccome due entità materialinon possono essere nello stesso luogo, la causalità efficiente ha bisogno di contatto fisico;ma le entità spirituali non hanno tale restrizione: «ubi est quod movetur, ibi est ipsum mo-vens; sicut anima est in corpore, et sicut virtus movens caelum dicitur esse in dextra parteorbis quem movet, unde incipit motus, ut habetur in Phys. VIII» (Sent. 1.37.1.1c) (cfr. La cau-salità del motore immobile, cit., p. 7). A quanto pare, il riferimento è a Fisica VIII 5, 258a21-22 (cfr. Tommaso, in Phys. 8.9.3, par. 1064), ma Tommaso chiaramente ha in mente ancheDe caelo II 2 (285a27–286a2, e soprattutto 285b16-19). In quest’ultimo passo, Aristoteleparla della causalità efficiente; come suggerisce Tommaso in Sent. 1.37.1.1c, egli considerala sfera in questione come animata: oJ d∆ oujrano;~ e[myuco~ kai; e[cei kinhvsew~ ajrchvn (Decaelo II 2, 285a29-30; cfr. anche Tommaso d’Aquino, In Aristotelis libros de caelo et mundo,de generatione et corruptione, meteorologicorum expositio, a cura di R.M. Spiazzi, Marietti,Torino 1952, 2.3, par. 313-329).

Page 25: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 639

pendente dal movimento. L’intenzione di fare qualcosa non è un cambia-mento fisico: è un semplice guardare verso un fine. Ma non è neanche se-parata dall’azione fisica a cui corrisponde.

Come abbiamo affermato nel par. 2, la causalità finale tra la prima sferae il primo motore immobile può essere descritta come senza moto; la causa-lità efficiente fra gli stessi comporta invece il movimento. Che Aristotelevoglia associare la causalità finale e la causalità efficiente diventa chiaroverso la fine della Fisica. Poco prima del passo che ci interessa, Aristoteleha sostenuto, in modo specifico, che ogni serie di cose mosse e moventi siarresterà (sthvsetai, 267b1) a qualcosa di immobile. Quest’ultimo, dice Ari-stotele, non prova nessun cambiamento (metabolhvn, 267b4-5). E continua:

«È necessario che ciò che è mosso non abbia alcun cambiamento rispetto ad esso,affinché il movimento sia simile. È dunque necessario che esso sia o al centro, onella circonferenza; infatti questi sono i princìpi. Ma le cose che sono mosse piùvelocemente sono quelle mosse più vicine al motore; e tale è il movimento dellacirconferenza. Il motore, dunque, si trova là»63.

C’è un paradosso in questa osservazione, in particolare quando Aristo-tele dice che necessariamente la cosa mossa non prova nessun cambia-mento «affinché il movimento sia simile» (i{na oJmoiva h/\ hJ kivnhsi~, 267b6).Aristotele sta parlando proprio del problema che sconvolgerà i suoi seguacinegli anni (e secoli) successivi: come un movimento, anche molto regolare,può essere un’imitazione dell’assenza di movimento?64 Nel passo appenacitato ci dà una risposta a questo problema. Dato che si tratta della combina-zione di non-cambiamento e cambiamento (o movimento), è «dunque neces-sario» che il motore immobile «sia o al centro, o nella circonferenza» (267b6-7; questa osservazione ci fa pensare, naturalmente, ai due passi della Fisi-ca da noi sopra esaminati: Fisica VIII 9, 265a32-b2 e IV 5, 212a31–b11).Mettere il motore o al centro o nella circonferenza risolve il problema, per-ché sia nell’una che nell’altra posizione esso si trova nello stato di quiete:

––––––––––––––––––63 dei de; oujde; to; kinouvmenon pro;~ ejkeino e[cein metabolhvn, i{na oJmoiva h\/ hJ kivnhsi~.

ajnavgkh dh; h] ejn mevsw/ h] ejn kuvklw/ ei\nai: au|tai ga;r aiJ ajrcaiv. ajlla; tavcista kinei`tai ta;ejgguvtata tou` kinou`nto~. toiauvth d∆ hJ tou` kuvklou kivnhsi~: ejkei` a[ra to; kinou`n (FisicaVIII 10, 267b5-9).

64 Si veda Teofrasto, Metafisica, cap. 2, ma in part. 5a23-27 e anche il commento divan Raalte (M. van Raalte [ed.], Theophrastus. Metaphysics, with an introduction, transla-tion, and commentary, Brill, Leiden-New York 1993, pp. 179-183). Si veda anche E. Berti,Teofrasto e gli Accademici sul moto dei cieli, in M. Migliori (ed.), Gigantomachia. Conver-genze e divergenze tra Platone e Aristotele, Morcelliana, Brescia 2002, pp. 339-356 e Id., Ilmovimento del cielo in Alessandro di Afrodisia, cit.

Page 26: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

640 Il Dio di Aristotele

al centro in modo abbastanza ovvio; sulla circonferenza (o periferia) per leragioni che abbiamo visto in Fisica IV 5, 212a31-34. Che Aristotele scelgadi «collocare» il primo motore immobile nella parte della periferia mostrache egli vuole una chiara spiegazione della causalità efficiente di quel mo-tore: è là, e non al centro, che si vede movimento, il movimento delle stellefisse da est a ovest65. Ma Aristotele vuole anche che questa causalità effi-ciente abbia la sua origine nella quiete, cioè nell’indipendenza da ognicoordinata spaziale che ci può permettere di parlare del movimento.

Il paradosso che abbiamo identificato in Fisica VIII 10, 267b5-6 – ildire cioè che è necessario che la cosa mossa non provi alcun cambiamentoaffinché il suo movimento abbia una certa caratteristica – non indica unacontraddizione nella posizione di Aristotele perché nella prima frase dellacitazione precedente, egli specifica l’aspetto che toglie l’ambiguità: «È ne-cessario che ciò che è mosso non abbia alcun cambiamento rispetto ad esso,affinché il movimento sia simile». La prima sfera è in movimento – anzi,questo movimento è più veloce di ogni altro movimento nei cieli66; ma ri-spetto al suo motore immobile (pro;~ ejkei`no, 267b5), non si muove. Que-sto fa sì che il movimento della prima sfera è «simile» (oJmoiva) a quello delprimo motore immobile – non la sua regolarità, come suggerisce forse Ales-sandro di Afrodisia67. È simile perché rispetto al primo motore immobilenon comporta nessun movimento; «eppure si muove», in relazione al restodell’universo.

Ecco dunque l’intersezione dei due tipi di causalità. Nel suo guardareal primo motore immobile (il suo «oggetto del desiderio» e «oggetto dell’in-telligenza»), la prima sfera è quieta e innamorata. Il suo rapporto con ilprimo motore immobile è un movimento, in un certo senso, anche se nonpossiamo chiamarlo così e parlare in modo ragionevole, dal momento chenon ci sono le coordinate esterne che permettono che tale parlare abbia sen-so. Tuttavia il suo amore per il primo motore immobile è il suo movimento

––––––––––––––––––65 Non vogliamo dire che il primo motore immobile sia letteralmente «collocato» alla

periferia dell’universo, giacché – come l’intelletto umano – non essendo una cosa fisica nonpuò essere in un luogo; ma è «là» nel senso che là ha il suo effetto, come l’intelletto umanoha il suo effetto dove si trova il corpo a cui appartiene.

66 Non c’è alcuna contraddizione tra questa idea e l’idea che abbiamo già considerato,cioè che la prima sfera abbia un solo movimento e che i corpi astronomici più in basso neabbiano molti. L’unico movimento della prima sfera (e quindi delle stelle fisse) è più velocedegli altri movimenti molteplici.

67 E. Berti, Il movimento del cielo in Alessandro di Afrodisia, cit., pp. 231-233; Ales-sandro di Afrodisia, Quaestiones, a cura di I. Bruns, Reimer, Berlin 1892, vol. II/2 <suppl.>di Commentaria in Aristotelem Graeca, 62.15–63.7.

Page 27: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 641

in relazione alle coordinate dentro l’universo, al di sotto di sé. In altre pa-role, quest’ultimo movimento è la stessa cosa dell’amore verso il motoreimmobile, vista ora da una prospettiva diversa, una prospettiva a partiredalla quale possiamo parlare in modo ragionevole di movimento.

Alla fine di Etica Nicomachea VII, appena prima di passare al libroVIII per parlare della filiva, Aristotele dice che il piacere di Dio è unico esemplice – eppure è potente: «Infatti c’è attività (ejnevrgeia) non solo delmovimento ma anche dell’immobilità, e il piacere si trova più nella quieteche nel movimento»68. La prima sfera partecipa di questo potere e lo tra-manda alle parti inferiori dell’universo.

Appendice: Le liste parallele di De caelo II 12

In De caelo II 12, Aristotele ci dà cinque liste, tre delle quali conten-gono quattro divisioni, mentre le altre due – (a) e (c) – riflettono le quattrodivisioni delle altre tre. Le divisioni in ogni lista hanno analoghi o analoghiimpliciti nelle altre. Le liste sono le seguenti:

(a) Corpi astronomici (292a22-24):

1. Non c’è bisogno di movimento (uJpavrcein to; eu\ a[neu pravxew~)2. c’è bisogno di poco movimento, vale a dire, di un solo movimento (dia;ojlivgh~ kai; mia`~)3. c’è bisogno di molti movimenti (dia; pleiovnwn)4. (non specificato)

(b) Corpi umani (292a25-28):1. Non c’è bisogno della ginnastica (oujde; gumnazovmenon eu\ e[cei)2. C’è bisogno di una breve passeggiata (mikra; peripathsan)3. È necessario correre, il pugilato, ecc. (kai; drovmou dei kai; pavlh~ kai; ko-nivsew~)4. Non è possibile mai raggiungere la salute ma solo qualche sostituto (e{te-rovn ti)

(c) Gli animali e le piante (292b2-10):

1. Non c’è bisogno di nessuna azione (oujqe;n dei` pravxew~) (l’intelletto at-tivo umano)––––––––––––––––––

68 ouj ga;r movnon kinhvsewv~ ejstin ejnevrgeia ajlla; kai; ajkinhsiva~, kai; hJdonh; ma`llonejn hjremiva/ ejsti;n h] ejn kinhvsei (Etica Nicomachea VII 14, 1154b26-28).

Page 28: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

642 Il Dio di Aristotele

2. C’è bisogno di una sola azione, vale a dire, dell’intelletto passivo rispettoa quello attivo (hJ de; pra`xi~ ajeiv ejstin ejn dusivn, o{tan kai; ou| e{neka h\/ kai;to; touvtou e{neka)3. Gli uomini, in quanto capaci di molte azioni (pleistai pravxei~)4. Le altre cose. (a) i meri animali, come capaci di poche azioni (tw`n a[l-lwn zwv/wn ejlavttou~), e (b) le piante, come capaci forse di una sola azione(tw`n futwn mikrav ti~ kai; miva i[sw~)

(d) Corpi astronomici (292b10-13):

1. Già hanno il migliore o ne partecipano (e[cei kai; metevcei tou ajrivstou)2. Raggiungono lo stato migliore con poche azioni (ejggu;~ di∆ ojlivgwn)3. Raggiungono lo stato migliore con molte azioni (dia; pollwn)4. Possono solo avvicinarsi allo stato migliore (iJkano;n eij~ to; ejggu;~ tou`ejscavtou ejlqein)

(e) Cose in cerca della salute (292b13-17);

1. Sono sempre sane (ajei; uJgiaivnei)2. C’è bisogno di dimagrire (e quindi saranno sane) (ijscnanqevn)3. C’è bisogno di dimagrire e di correre (e quindi saranno sane) (dramo;nkai; ijscnanqevn)4. Fanno qualcos’altro al fine di correre (a[llo ti pra`xan tou` dramein e{neka)

Nella lista (a) la quarta divisione non è specificata, probabilmente per-ché Aristotele non ha ancora spiegato la ragione perché i suoi membri (ilsole, la luna e la terra) eseguono un numero minore di movimenti; quellaspiegazione inizia solo dopo, nell’estesa analogia che inizia con la lista (b).Subito dopo aver dato la lista (b), Aristotele dice (292a28-30) che è abba-stanza facile a dadi tirare una o due volte «gli occhi del serpente» (vale adire il getto di Chio, quello più cattivo nel gioco degli astragali), ma che èmolto difficile farlo migliaia di volte. Così, la ragione della semplicità ca-ratteristica della divisione 4 è molto diversa da quella della semplicità delladivisione 1: l’attività dei membri della divisione 4 è semplice a causa delmancato coinvolgimento di impegno e di controllo intelligente; un membrodella divisione 1 è semplice, perché solo un unico e semplice principio puòcomprendere e controllare tutti i movimenti che dipendono da essa.

La lista (c) è la più difficile – ma anche la più interessante – delle cin-que. Le divisioni non sono presentate nello stesso ordine come nelle altreliste; le distinzioni tra le divisioni non sono segnalate in modo così chiaro; laquarta divisione è infatti suddivisa in due parti. Aristotele aggiunge anche

Page 29: SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ …€¦ · Humanitas 66(4/2011) 615-643 KEVIN L. FLANNERY SULL’INTERPRETAZIONE DI ENRICO BERTI DELLA CAUSALITÀ DEL PRIMO

Flannery – Enrico Berti e la causalità del primo motore immobile 643

un’osservazione esplicativa (292b8-10) a questa lista che ha portato delledifficoltà interpretative. La divisione 3 è messa al primo posto (292b3-4);poi vengono le divisioni 1 e 2, come se fossero una parentesi (almeno nel-l’edizione di Allan, ma non in quella di Bekker): 1 in 292b4-6 e 2 in 292b6-7.In queste righe, Aristotele non parla esplicitamente dell’intelletto e dellesue «parti», ma è evidente che egli ha in mente proprio questo69. Anche seAristotele parla dell’azione (pra`xi~) della divisione 2 coinvolgendo duefattori (ejn dusivn, 292b6), l’azione è unica.

La divisione 4 è riportata in 292b7-8 ed è suddivisa in animali (zw/vwn)e piante (futwvn). La successiva osservazione esplicativa (292b8-10) è unriassunto sia di tutta la sezione precedente (cioè di 292b2-8) sia dell’osser-vazione appena compiuta sugli animali e sulle piante (divisione 4). In essa,Aristotele riconosce di aver fatto una distinzione tra gli uomini e le altre cose(i meri animali e le piante) – e si noti la costruzione grammaticale «o ... o»:«o è uno solo come è per l’uomo o, se ne consideriamo molti, hanno tutticome mèta ultima il sommo bene» (h] ga;r e{n tiv ejstin ou| tuvcoi a[n, w{sperkai; a[nqrwpo~, h] kai; ta; polla; pavnta pro; oJdou` ejsti pro;~ to; a[riston).

L’uomo riesce a raggiungere uno stato migliore unico (e{n tiv ejstin ou|tuvcoi); le altre cose sono solo sulla strada verso lo stato migliore; cioè,come nella quarta divisione di (b), (d) e (e), devono essere soddisfatte di unsostituto per lo stato migliore.

Che la distinzione sia qui tra gli uomini e tutti gli altri esseri viventi(cioè i meri animali e le piante) risulta più chiaro se si seguono i mano-scritti M, F o H, ciascuno dei quali – in qualche forma – include in 292b9la parola a[lla: a[lla sarebbe un’eco dell’a[llwn della lin. 292b7, anche sea[llwn sembra riferirsi solo agli animali, cioè agli animali non umani70.

––––––––––––––––––69 Simplicio parla dell’intelletto in questo contesto generale, pur non facendo riferi-

mento specifico a 292b10 (to; me;n ou\n e[cei kai; metevcei tou` ajrivstou); cfr. in Cael. 485.16-22. Questo brano include un frammento di Aristotele, in cui si dice che Dio è intelletto oqualcosa di superiore all’intelletto: nou`~ ejstin h] kai; ejpevkeinav ti tou` nou (V. Rose [ed.],Aristotelis qui ferebantur librorum fragmenta, Teubner, Leipzig 1886, fr. 49).

70 Desidero ringraziare Enrico Berti, Stephen Brock, Ignazio Ferreli, Andrea Oppo eMarina Cianconi per il loro aiuto nella realizzazione di questo saggio.


Recommended