152
ABSTRACT
the Byzantine loros, and then analysing two manu- scripts conserved
in the Venice’s Biblioteca nazionale marciana – the Homerus Venetus
A (Marc. gr. 454) and the Greek-Arabic Gospel (Marc. gr. 539) –
this article investigates the political use of art made during the
reign of Roger II and the ideological motives that influenced the
king’s decisions.
/Keywords/ Byzantine Illumination, Marciana Li- brary, Roger II,
Norman Sicily, Homerus Venetus A, Iliad, Skylitzes /Parole chiave/
miniatura bizantina, Biblioteca Mar- ciana, Ruggero II, Sicilia
normanna, Omero Vene- to A, Iliade, Skylitzes
Twelfth-century Palermo was a city animated by different languages,
cultures and religions, as is well described by the famous
miniature in the Liber ad honorem Augusti, which depicts the city
in mourning after the death of William II. The Hauteville rul- ers,
especially King Roger II, promoted a cultural program reflecting
this Mediterranean koiné. The rhetorical choice of using Arabic
artists to create the image of a luxurious and cosmopolitan court,
while Byzantine art emphasized Roger’s role as pius rex
christianus, sustained and legitimated his political as- pirations
and power. Starting with the mosaic panel in the Church of St. Mary
of the Admiral, in which the sovereign is shown being crowned by
Christ with
152
ABSTRACT
the Byzantine loros, and then analysing two manu- scripts conserved
in the Venice’s Biblioteca nazionale marciana – the Homerus Venetus
A (Marc. gr. 454) and the Greek-Arabic Gospel (Marc. gr. 539) –
this article investigates the political use of art made during the
reign of Roger II and the ideological motives that influenced the
king’s decisions.
/Keywords/ Byzantine Illumination, Marciana Li- brary, Roger II,
Norman Sicily, Homerus Venetus A, Iliad, Skylitzes /Parole chiave/
miniatura bizantina, Biblioteca Mar- ciana, Ruggero II, Sicilia
normanna, Omero Vene- to A, Iliade, Skylitzes
Twelfth-century Palermo was a city animated by different languages,
cultures and religions, as is well described by the famous
miniature in the Liber ad honorem Augusti, which depicts the city
in mourning after the death of William II. The Hauteville rul- ers,
especially King Roger II, promoted a cultural program reflecting
this Mediterranean koiné. The rhetorical choice of using Arabic
artists to create the image of a luxurious and cosmopolitan court,
while Byzantine art emphasized Roger’s role as pius rex
christianus, sustained and legitimated his political as- pirations
and power. Starting with the mosaic panel in the Church of St. Mary
of the Admiral, in which the sovereign is shown being crowned by
Christ with
153
L’immagine di una Sicilia cosmopolita, abitata e animata da popoli
e culture differenti, sembra – almeno a leggere i numerosi
contributi storiografici che fra Sette e Ottocento sono stati
dedicati alla storia dell’isola – che affondi le sue radici agli
albori della civiltà sicula. Edward August Freeman adduceva una
motivazione geografica alla peculiarità antro- pologica siciliana:
se Sardegna e Corsica, le altre due grandi isole del Mare Nostrum,
appartengono senza alcun dubbio al Mediterraneo occidentale, ed
entro quei limiti sviluppano una serie di rap- porti sociali
destinati a rimanere periferici, la Sicilia occupa una posizione
centrale, che la rende acces- sibile dalla Spagna come dalla Grecia
e dall’Africa. Proprio lungo queste due direttrici si dirama quella
che Freeman definisce “Eternal Question”1 dei destini della
Sicilia, e cioè la lotta fra la cultura europea-occi- dentale2
contro quella semitico-asiatica per esercitare il controllo
dell’isola: inaugurata con le guerre fra colonie fenicie e colonie
greche in Sicilia, nelle idee di Freeman, come pure degli storici
tedeschi Lothar von Heinemann3 e Erich Caspar4, la conquista nor-
manna della Sicilia doveva considerarsi come un nuovo
capovolgimento delle sorti della millenaria contesa, rinnovatasi in
una lotta religiosa fra cristia- nesimo e islam.
Tuttavia, per riallacciarsi ad un’interpretazione che data ormai
più di un secolo, il regno normanno – in particolare sotto Ruggero
II (†1154) – sembra delinearsi piuttosto come la sintesi, o
addirittura come la risposta all’”Eternal Question”: una nuova
entità politica, esigua in numero5, priva di tradizioni radicate6,
e dunque non in grado di attuare fin dal principio una massiccia
campagna di assimilazione amministrativa, legislativa e culturale
nel Mezzo- giorno italiano7. Per questo motivo, mentre la conqui-
sta dell’isola proseguiva, i Normanni si limitarono ad adottare
l’apparato amministrativo indigeno: l’isola
Considerazioni sopra due manoscritti della Biblioteca Marciana di
Venezia (Homerus Venetus A e Marc. gr. 539), alla luce della
politica artistica nella Palermo normanna Francesco Lovino
In verità, i re siciliani sono ben al di sopra degli altri per
potere, gloria e progetti ambiziosi. al-Idrs, Kitb nuzhat al-mushtq
f ikhtirq al-fq
1 Edward A. Freeman, The History of Sicily from the Earliest Time,
I. The Native Nations: The Phoenician and Greek Settlements, Oxford
1891, p. 45.
2 Erich Caspar parla esplicitamente di “arisch-europäische Kultur
gegen die semitisch-asiatische”; Erich Caspar, Roger II.
(1101–1154) und die Gründung der normannisch-sicilischen Monarchie,
Wagner, Innsbruck 1904, p. 1.
3 Lothar von Heinemann, Geschichte der Normannen in Unteritalien
und Sizilien bis zum Aussterben des normannischen Königshauses,
Leipzig 1894.
4 Caspar, Roger II (n. 2). 5 Houben ne stima appena qualche
migliaio attorno alla metà del XI
secolo in tutta l’Italia meridionale, e quasi esclusivamente
maschi; Houbert Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra
Oriente e Occidente, Bari 1999, p. 17.
6 Molto prosaicamente il vescovo di Alba Benzone († 1090 ca.) li
definisce “Normanni enim, qui melius dicuntur Nullimanni,
fetidissima scilicet stercora mundi”; cfr. Houben (n. 5), pp.
17–18, n. 8.
7 Joanna Drell, “The Aristocratic Family”, in The Society of Norman
Sicily, a cura di Graham A. Loud e Alex Metcalfe, Leida – Boston –
Colonia 2002, pp. 97–113, in part. p. 111. 153
L’immagine di una Sicilia cosmopolita, abitata e animata da popoli
e culture differenti, sembra – almeno a leggere i numerosi
contributi storiografici che fra Sette e Ottocento sono stati
dedicati alla storia dell’isola – che affondi le sue radici agli
albori della civiltà sicula. Edward August Freeman adduceva una
motivazione geografica alla peculiarità antro- pologica siciliana:
se Sardegna e Corsica, le altre due grandi isole del Mare Nostrum,
appartengono senza alcun dubbio al Mediterraneo occidentale, ed
entro quei limiti sviluppano una serie di rap- porti sociali
destinati a rimanere periferici, la Sicilia occupa una posizione
centrale, che la rende acces- sibile dalla Spagna come dalla Grecia
e dall’Africa. Proprio lungo queste due direttrici si dirama quella
che Freeman definisce “Eternal Question”1 dei destini della
Sicilia, e cioè la lotta fra la cultura europea-occi- dentale2
contro quella semitico-asiatica per esercitare il controllo
dell’isola: inaugurata con le guerre fra colonie fenicie e colonie
greche in Sicilia, nelle idee di Freeman, come pure degli storici
tedeschi Lothar von Heinemann3 e Erich Caspar4, la conquista nor-
manna della Sicilia doveva considerarsi come un nuovo
capovolgimento delle sorti della millenaria contesa, rinnovatasi in
una lotta religiosa fra cristia- nesimo e islam.
Tuttavia, per riallacciarsi ad un’interpretazione che data ormai
più di un secolo, il regno normanno – in particolare sotto Ruggero
II (†1154) – sembra delinearsi piuttosto come la sintesi, o
addirittura come la risposta all’”Eternal Question”: una nuova
entità politica, esigua in numero5, priva di tradizioni radicate6,
e dunque non in grado di attuare fin dal principio una massiccia
campagna di assimilazione amministrativa, legislativa e culturale
nel Mezzo- giorno italiano7. Per questo motivo, mentre la conqui-
sta dell’isola proseguiva, i Normanni si limitarono ad adottare
l’apparato amministrativo indigeno: l’isola
Considerazioni sopra due manoscritti della Biblioteca Marciana di
Venezia (Homerus Venetus A e Marc. gr. 539), alla luce della
politica artistica nella Palermo normanna Francesco Lovino
In verità, i re siciliani sono ben al di sopra degli altri per
potere, gloria e progetti ambiziosi. al-Idrs, Kitb nuzhat al-mushtq
f ikhtirq al-fq
1 Edward A. Freeman, The History of Sicily from the Earliest Time,
I. The Native Nations: The Phoenician and Greek Settlements, Oxford
1891, p. 45.
2 Erich Caspar parla esplicitamente di “arisch-europäische Kultur
gegen die semitisch-asiatische”; Erich Caspar, Roger II.
(1101–1154) und die Gründung der normannisch-sicilischen Monarchie,
Wagner, Innsbruck 1904, p. 1.
3 Lothar von Heinemann, Geschichte der Normannen in Unteritalien
und Sizilien bis zum Aussterben des normannischen Königshauses,
Leipzig 1894.
4 Caspar, Roger II (n. 2). 5 Houben ne stima appena qualche
migliaio attorno alla metà del XI
secolo in tutta l’Italia meridionale, e quasi esclusivamente
maschi; Houbert Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra
Oriente e Occidente, Bari 1999, p. 17.
6 Molto prosaicamente il vescovo di Alba Benzone († 1090 ca.) li
definisce “Normanni enim, qui melius dicuntur Nullimanni,
fetidissima scilicet stercora mundi”; cfr. Houben (n. 5), pp.
17–18, n. 8.
7 Joanna Drell, “The Aristocratic Family”, in The Society of Norman
Sicily, a cura di Graham A. Loud e Alex Metcalfe, Leida – Boston –
Colonia 2002, pp. 97–113, in part. p. 111.
continuò ad essere suddivisa in distretti che rical- cavano gli
iqlm kalbiti, e i funzionari arabi furono cooptati nella nascente
burocrazia normanna8.
Palermo, la Madnat Siqillyya, fu conquistata nei primi giorni del
1072; la conquista dell’isola proseguì fino al 1091, quando in
rapida successione caddero le ultime città ancora in mano
musulmana9: durante questo periodo, e per lunghi anni ancora,
Palermo rimase una città prevalentemente islamica, sotto il
controllo militare e politico normanno. Solo con la generazione
successiva, oramai pacificata tutta la Sicilia, i prodromi della
politica di Ruggero I10 rag- giunsero anche la sfera culturale del
neonato regno.
La notte di Natale del 1130 Ruggero II viene inco- ronato re.
Alessandro di Telese descrive una cerimo- nia sfarzosa: il re
raggiunse la cattedrale “scortato da un gran numero di cavalli,
disposti ordinatamente su due lati, con selle e freni fregiati in
oro e argento”; tutta Palermo “era adorna in modo inestimabile, ed
in essa erano solo gioia e luce”, mentre “la gloria e le ricchezze
nella reggia furono tali e tante che a tutti sembrò un gran
miracolo, e ne ebbero profondo stupore, così tanto da incutere
timore non modesto in chi veniva da lontano”11. Houben definisce la
ce- rimonia come una “consapevole dimostrazione di disponibilità
finanziaria pressoché inesauribile”12: il primo tassello, si
direbbe, di una politica di legitti- mazione regia che agì sia
all’interno che soprattutto all’esterno del neonato regno. Negli
anni successivi, infatti, Ruggero si impegnò a fondo per cancellare
l’etichetta di parvenus, di “Nullimanni”13, elevando la propria
dignità regale al fianco delle altre monarchie europee e,
soprattutto, dell’Impero bizantino. E lo fece anche attraverso un
uso “politico” dell’arte, della letteratura, delle scienze,
costruendo un’immagine cosmopolita e universale della corte
normanna di Palermo.
Divenuto re, Ruggero II si dotò anzitutto di una nuova
intitolazione, che ben manifestava i propositi universalistici del
nuovo corso del regno normanno: nel primo documento ufficiale
sopravvissuto dopo l’incoronazione, emesso nel febbraio 1131 dal
mona- stero di Cava14, egli è definito “Dei gratia Sicilie, Apulie
et Calabrie rex, adiutur Christianorum et clipeus, Rogerii magni
comitis heres et filius”15. Il mancato riferimento al popolo su cui
regnava, come accadeva invece nelle titolazioni dei sovrani
contemporanei a Ruggero (rex Francorum, rex Anglorum), nasconde un
duplice significato: da un lato la vocazione imperialista nor-
manna, inaugurata dal capostipite Altavilla Roberto
1 / Ruggero II incoronato da Cristo. Palermo, Chiesa di Santa Maria
dell’Ammiraglio. (da Ernst Kitzinger, The Mosaics of St. Mary’s of
the Admiral in Palermo)
continuò ad essere suddivisa in distretti che rical- cavano gli
iqlm kalbiti, e i funzionari arabi furono cooptati nella nascente
burocrazia normanna8.
Palermo, la Madnat Siqillyya, fu conquistata nei primi giorni del
1072; la conquista dell’isola proseguì fino al 1091, quando in
rapida successione caddero le ultime città ancora in mano
musulmana9: durante questo periodo, e per lunghi anni ancora,
Palermo rimase una città prevalentemente islamica, sotto il
controllo militare e politico normanno. Solo con la generazione
successiva, oramai pacificata tutta la Sicilia, i prodromi della
politica di Ruggero I10 rag- giunsero anche la sfera culturale del
neonato regno.
La notte di Natale del 1130 Ruggero II viene inco- ronato re.
Alessandro di Telese descrive una cerimo- nia sfarzosa: il re
raggiunse la cattedrale “scortato da un gran numero di cavalli,
disposti ordinatamente su due lati, con selle e freni fregiati in
oro e argento”; tutta Palermo “era adorna in modo inestimabile, ed
in essa erano solo gioia e luce”, mentre “la gloria e le ricchezze
nella reggia furono tali e tante che a tutti sembrò un gran
miracolo, e ne ebbero profondo stupore, così tanto da incutere
timore non modesto in chi veniva da lontano”11. Houben definisce la
ce- rimonia come una “consapevole dimostrazione di disponibilità
finanziaria pressoché inesauribile”12: il primo tassello, si
direbbe, di una politica di legitti- mazione regia che agì sia
all’interno che soprattutto all’esterno del neonato regno. Negli
anni successivi, infatti, Ruggero si impegnò a fondo per cancellare
l’etichetta di parvenus, di “Nullimanni”13, elevando la propria
dignità regale al fianco delle altre monarchie europee e,
soprattutto, dell’Impero bizantino. E lo fece anche attraverso un
uso “politico” dell’arte, della letteratura, delle scienze,
costruendo un’immagine cosmopolita e universale della corte
normanna di Palermo.
Divenuto re, Ruggero II si dotò anzitutto di una nuova
intitolazione, che ben manifestava i propositi universalistici del
nuovo corso del regno normanno: nel primo documento ufficiale
sopravvissuto dopo l’incoronazione, emesso nel febbraio 1131 dal
mona- stero di Cava14, egli è definito “Dei gratia Sicilie, Apulie
et Calabrie rex, adiutur Christianorum et clipeus, Rogerii magni
comitis heres et filius”15. Il mancato riferimento al popolo su cui
regnava, come accadeva invece nelle titolazioni dei sovrani
contemporanei a Ruggero (rex Francorum, rex Anglorum), nasconde un
duplice significato: da un lato la vocazione imperialista nor-
manna, inaugurata dal capostipite Altavilla Roberto
1 / Ruggero II incoronato da Cristo. Palermo, Chiesa di Santa Maria
dell’Ammiraglio. (da Ernst Kitzinger, The Mosaics of St. Mary’s of
the Admiral in Palermo)
155
il Guiscardo e perseguita dallo stesso Ruggero II; dall’altro una
verità palese, e cioè che Ruggero go- verna su uno stato
multietnico, privo di un’identità culturale e linguistica
condivisa.
L’Imitatio Byzantii non si limita al solo aspetto amministrativo:
il famoso pannello della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio16
vede Ruggero ri- tratto in abito imperiale bizantino, mentre riceve
la corona da Cristo /Fig. 1/. Reinhard Elze per primo interpretò
l’abbigliamento di Ruggero II come una esplicita dichiarazione di
sovranità, recuperando quanto Giovanni di Salisbury scrisse di
Ruggero II, “rex imperator in regno suo”17.
Non è un caso che un’immagine tanto forte e tanto importante, un
manifesto programmatico quasi della politica ruggeriana, campeggi
nella chiesa fon- data dal suo primo ministro, Giorgio d’Antiochia.
Greco antiocheno di nascita, formatosi nella Siria bizantina e poi
nella Ifriqya zirita, Giorgio era diven- tato primo ministro di
Ruggero nel 1126 e insieme al sovrano aveva condotto la transizione
politica verso la fondazione del Regno di Sicilia nel 113018. In
una fonte più tarda, il Kitb al-Muqaffà dell’egiziano al-Maqrz, si
legge che “sotto la gestione di Giorgio il regno di Ruggero crebbe
(…) vi emigrò una va- sta galassia di emiri, giudici, letterati e
poeti. Sia Giorgio sia Ruggero profusero grande magnanimità
nell’ospi tarli ed essi decisero di rimanere. Così l’isola fiorì
nel modo più splendido”19.
L’importanza rivestita da Giorgio20, che al-Maqrz delinea come il
vero artefice delle fortune del re, si
8 Hiroshi Takayama, The Administration of the Norman Kingdom of
Sicily, Leida – New York – Colonia 1993; Annaliese Nef, “Conquêtes
et recon- quêtes médiévales: la Sicile normande est-elle une terre
de réduction en servitude généralisée?”, Mélanges de l’École
française de Rome. Moyen Âge, 112 (2000), pp. 579–607; Jeremy
Johns, Arabic Administration in Norman Sicily: the Royal Diwn,
Cambridge 2002; Giuseppe Petralia, La “signoria” nella Sicilia
normanna e sveva: verso nuovi scenari?”, in La signoria rurale in
Italia nel medioevo, Atti del II Convegno di studi (Pisa 6–7
novembre 1998), a cura di Maria Luisa Ceccarelli Lemut e Cinzia
Violante, Pisa 2004, pp. 217–254.
9 Si tratta di Siracusa, Enna, Butera e Noto; cfr. Goffredo
Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et
Roberti Guiscardi ducis fratris eius, (Rerum Italicarum Scriptores.
5), IV, 1–2, a cura di Ernesto Pontieri, Bologna 1928, pp.
85–86.
10 Ruggero I trattò col fratello Roberto il Guiscardo la resa di
Palermo, la mattina dell’8 gennaio 1072: i due fratelli si
impegnavano a non abolire né violare le leggi in vigore, e dietro
il pagamento di una tassa permettevano ai musulmani di conservare
la propria fede, sull’esem- pio della jiza, una tassa “di
protezione” che durante la dominazione araba dell’isola i non
musulmani pagavano all’amministrazione. Cfr. Johns, Arabic
Administration (n. 8), pp. 34–35. Inoltre, al di là di alcuni
sporadici casi come per l’emiro di Enna ibn Hammd, Ruggero I non
dimostra alcun interesse nella conversione forzata dei musulmani;
addirittura la Vita Anselmi di Eadmero, la biografia
dell’arcivescovo di Canterbury Anselmo che visitò Ruggero durante
l’assedio di Capua del 1098, racconta come ai contingenti musulmani
che affiancavano
l’esercito normanno fosse addirittura proibito abbandonare la
propria religione per convertirsi al cristianesimo; Eadmero, Vita
S. Anselmi archiepiscopi Cantuariensis, a cura di Richard William
Southern, Londra 1962, p. 211.
11 Alessandro di Telese, Alexandri Telesini abbatis Ystoria Rogerii
regis Sicilie, Calabrie atque Apulie, (Istituto Storico Italiano
per il Medio Evo. Fonti per la Storia d’Italia. 112), II, 4–6, a
cura di Ludovica De Nava e Dione Clementi, Roma 1991, pp. 25–26
(trad. it. pp. 109–110).
12 Houben, Ruggero (nota 5), p. 73. 13 Supra, n.6. 14 Vera von
Falkenhausen, “I diplomi dei re normanni in lingua greca”,
in Documenti medievali greci e latini: studi comparativi, Atti del
Semi- nario (Erice, 23–29 ottobre 1995), a cura di Giuseppe de
Gregorio, Otto Kresten, Spoleto 1998, pp. 253–308, in part. pp.
293–298; Horst Enzensberger, “Chanceriers, Charters and
Administration in Norman Italy”, in The Society of Norman Italy, a
cura di Gragam A. Loud, Leiden 2002, pp. 117–150, in part. pp.
137–138.
15 “Per grazia di Dio re di Sicilia, Puglia e Calabria, sostegno e
protettore dei cristiani, erede e figlio del conte Ruggero il
vecchio”; traduzione italiana in Houben, Ruggero (n. 5), p.
168.
16 Sulla cronologia della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio si
riman- da agli studi di Augusta Acconcia Longo, che hanno
dimostrato, su base documentaria e delle iscrizioni presenti
all’interno della chiesa come questa fosse stata completata entro
il 1143. Augusta Acconcia Longo, “Considerazioni sulla chiesa di S.
Maria dell’Ammiraglio e sulla Cappella Palatina a Palermo”, Να μη.
Rivista di ricerche bizantinistiche. μπελοκπιον. Studi di amici e
colleghi in onore di Vera von Falkenhausen, 4 (2007), pp.
267–293.
17 Reinhard Elze, “Zum Königtum Rogers II. von Sizilien”, in
Festschrift Percy Ernst Schramm zu seinem 70. Geburstag von
Schülern und Freunden, 2 voll., a cura di Peter Classen, Peter
Scheibert, Percy Ernst Schramm, Wiesbaden 1964, pp. 102–116, in
part. p. 110; Mirko Vagnoni, “Problemi di legittimazione regia:
“Imitatio Byzantii”, in Il Papato e i Norman- ni. Temporale e
spirituale in età normanna, Atti del convegno di studi (Ariano
Irpino, 6–7 dicembre 2007), (Millennio medievale, 91), a cura di
Edoardo D’Angelo, Claudia Leonardi, Firenze 2011, pp. 175–190, in
part. p. 189. È invece da respingere l’ipotesi che Ruggero II
potesse indossare il loros in particolari occasioni: Ernst
Kitzinger, The Mosaics of St. Mary’s of the Admiral in Palermo,
(Dumbarton Oaks Studies, 27), Washington 1990, p. 192.
18 Sulla vita di Giorgio d’Antiochia si vedano: Leon Robert
Ménager, Amiratus – μηρς. L’Émirat et les Origines de l’Amirauté
(XI – XIII siècles), Parigi 1960; Vivien Prigent, “L’archonte
Georges, prôtos ou émir?”, Revue des études byzantines, 59 (2001),
pp. 193–207.
19 al-Maqrz, Kitb al-Muqaff al-Kabr, 8 voll., III, a cura di
Muhammad al-Yalw, Beirut 1991, p. 20; il passo qui riportato è
stato tradotto in italiano da Adalgisa De Simone; cfr. Adalgisa De
Simone, “Il Mezzo- giorno normanno-svevo visto dall’Islam
africano”, in Il Mezzogiorno normanno-svevo visto dall’Europa e dal
mondo mediterraneo, Atti delle tredicesime giornate normanno-sveve
(Bari, 21–24 ottobre 1997), a cura di Giosuè Musca, pp. 261–293, in
part. p. 278.
20 Beat Brenk e Jeremy Johns hanno proposto per l’emiro un ruolo
centrale anche nella definizione del programma decorativo della
Cappella Pa- latina: era probabilmente più adatto di Ruggero a
chiamare a Palermo dei maestri mosaicisti bizantini, ed allo stesso
tempo i suoi trascorsi alla corte zirita e le sue ambasciate al
Cairo lo rendevano l’interlocu- tore ideale per le maestranze arabe
al lavoro sulle muqarnas lignee del soffitto della Palatina. Beat
Brenk, “L’importanza e la funzione della Cappella Palatina di
Palermo nella storia dell’arte”, in La Cappella Palatina a Palermo.
Saggi, (Mirabilia Italiae, 17), a cura di idem, Modena 2010, pp.
27–78; Jeremy Johns, “Le pitture del soffitto della Cappella
Palatina a Palermo”, in La Cappella Palatina (n. 20), pp. 387–407,
in part. p. 406; Beat Brenk, “Nuove osservazioni e conclusioni
sulle tecniche dei mosaicisti nella Cappella Palatina di Palermo”,
Arte medievale, IV/3 (2013), pp. 237–255, in part. p. 240.
155
il Guiscardo e perseguita dallo stesso Ruggero II; dall’altro una
verità palese, e cioè che Ruggero go- verna su uno stato
multietnico, privo di un’identità culturale e linguistica
condivisa.
L’Imitatio Byzantii non si limita al solo aspetto amministrativo:
il famoso pannello della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio16
vede Ruggero ri- tratto in abito imperiale bizantino, mentre riceve
la corona da Cristo /Fig. 1/. Reinhard Elze per primo interpretò
l’abbigliamento di Ruggero II come una esplicita dichiarazione di
sovranità, recuperando quanto Giovanni di Salisbury scrisse di
Ruggero II, “rex imperator in regno suo”17.
Non è un caso che un’immagine tanto forte e tanto importante, un
manifesto programmatico quasi della politica ruggeriana, campeggi
nella chiesa fon- data dal suo primo ministro, Giorgio d’Antiochia.
Greco antiocheno di nascita, formatosi nella Siria bizantina e poi
nella Ifriqya zirita, Giorgio era diven- tato primo ministro di
Ruggero nel 1126 e insieme al sovrano aveva condotto la transizione
politica verso la fondazione del Regno di Sicilia nel 113018. In
una fonte più tarda, il Kitb al-Muqaffà dell’egiziano al-Maqrz, si
legge che “sotto la gestione di Giorgio il regno di Ruggero crebbe
(…) vi emigrò una va- sta galassia di emiri, giudici, letterati e
poeti. Sia Giorgio sia Ruggero profusero grande magnanimità
nell’ospitarli ed essi decisero di rimanere. Così l’isola fiorì nel
modo più splendido”19.
L’importanza rivestita da Giorgio20, che al-Maqrz delinea come il
vero artefice delle fortune del re, si
8 Hiroshi Takayama, The Administration of the Norman Kingdom of
Sicily, Leida – New York – Colonia 1993; Annaliese Nef, “Conquêtes
et recon- quêtes médiévales: la Sicile normande est-elle une terre
de réduction en servitude généralisée?”, Mélanges de l’École
française de Rome. Moyen Âge, 112 (2000), pp. 579–607; Jeremy
Johns, Arabic Administration in Norman Sicily: the Royal Diwn,
Cambridge 2002; Giuseppe Petralia, La “signoria” nella Sicilia
normanna e sveva: verso nuovi scenari?”, in La signoria rurale in
Italia nel medioevo, Atti del II Convegno di studi (Pisa 6–7
novembre 1998), a cura di Maria Luisa Ceccarelli Lemut e Cinzia
Violante, Pisa 2004, pp. 217–254.
9 Si tratta di Siracusa, Enna, Butera e Noto; cfr. Goffredo
Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et
Roberti Guiscardi ducis fratris eius, (Rerum Italicarum Scriptores.
5), IV, 1–2, a cura di Ernesto Pontieri, Bologna 1928, pp.
85–86.
10 Ruggero I trattò col fratello Roberto il Guiscardo la resa di
Palermo, la mattina dell’8 gennaio 1072: i due fratelli si
impegnavano a non abolire né violare le leggi in vigore, e dietro
il pagamento di una tassa permettevano ai musulmani di conservare
la propria fede, sull’esem- pio della jiza, una tassa “di
protezione” che durante la dominazione araba dell’isola i non
musulmani pagavano all’amministrazione. Cfr. Johns, Arabic
Administration (n. 8), pp. 34–35. Inoltre, al di là di alcuni
sporadici casi come per l’emiro di Enna ibn Hammd, Ruggero I non
dimostra alcun interesse nella conversione forzata dei musulmani;
addirittura la Vita Anselmi di Eadmero, la biografia
dell’arcivescovo di Canterbury Anselmo che visitò Ruggero durante
l’assedio di Capua del 1098, racconta come ai contingenti musulmani
che affiancavano
l’esercito normanno fosse addirittura proibito abbandonare la
propria religione per convertirsi al cristianesimo; Eadmero, Vita
S. Anselmi archiepiscopi Cantuariensis, a cura di Richard William
Southern, Londra 1962, p. 211.
11 Alessandro di Telese, Alexandri Telesini abbatis Ystoria Rogerii
regis Sicilie, Calabrie atque Apulie, (Istituto Storico Italiano
per il Medio Evo. Fonti per la Storia d’Italia. 112), II, 4–6, a
cura di Ludovica De Nava e Dione Clementi, Roma 1991, pp. 25–26
(trad. it. pp. 109–110).
12 Houben, Ruggero (nota 5), p. 73. 13 Supra, n.6. 14 Vera von
Falkenhausen, “I diplomi dei re normanni in lingua greca”,
in Documenti medievali greci e latini: studi comparativi, Atti del
Semi- nario (Erice, 23–29 ottobre 1995), a cura di Giuseppe de
Gregorio, Otto Kresten, Spoleto 1998, pp. 253–308, in part. pp.
293–298; Horst Enzensberger, “Chanceriers, Charters and
Administration in Norman Italy”, in The Society of Norman Italy, a
cura di Gragam A. Loud, Leiden 2002, pp. 117–150, in part. pp.
137–138.
15 “Per grazia di Dio re di Sicilia, Puglia e Calabria, sostegno e
protettore dei cristiani, erede e figlio del conte Ruggero il
vecchio”; traduzione italiana in Houben, Ruggero (n. 5), p.
168.
16 Sulla cronologia della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio si
riman- da agli studi di Augusta Acconcia Longo, che hanno
dimostrato, su base documentaria e delle iscrizioni presenti
all’interno della chiesa come questa fosse stata completata entro
il 1143. Augusta Acconcia Longo, “Considerazioni sulla chiesa di S.
Maria dell’Ammiraglio e sulla Cappella Palatina a Palermo”, Να μη.
Rivista di ricerche bizantinistiche. μπελοκπιον. Studi di amici e
colleghi in onore di Vera von Falkenhausen, 4 (2007), pp.
267–293.
17 Reinhard Elze, “Zum Königtum Rogers II. von Sizilien”, in
Festschrift Percy Ernst Schramm zu seinem 70. Geburstag von
Schülern und Freunden, 2 voll., a cura di Peter Classen, Peter
Scheibert, Percy Ernst Schramm, Wiesbaden 1964, pp. 102–116, in
part. p. 110; Mirko Vagnoni, “Problemi di legittimazione regia:
“Imitatio Byzantii”, in Il Papato e i Norman- ni. Temporale e
spirituale in età normanna, Atti del convegno di studi (Ariano
Irpino, 6–7 dicembre 2007), (Millennio medievale, 91), a cura di
Edoardo D’Angelo, Claudia Leonardi, Firenze 2011, pp. 175–190, in
part. p. 189. È invece da respingere l’ipotesi che Ruggero II
potesse indossare il loros in particolari occasioni: Ernst
Kitzinger, The Mosaics of St. Mary’s of the Admiral in Palermo,
(Dumbarton Oaks Studies, 27), Washington 1990, p. 192.
18 Sulla vita di Giorgio d’Antiochia si vedano: Leon Robert
Ménager, Amiratus – μηρς. L’Émirat et les Origines de l’Amirauté
(XI – XIII siècles), Parigi 1960; Vivien Prigent, “L’archonte
Georges, prôtos ou émir?”, Revue des études byzantines, 59 (2001),
pp. 193–207.
19 al-Maqrz, Kitb al-Muqaff al-Kabr, 8 voll., III, a cura di
Muhammad r al-Yalw, Beirut 1991, p. 20; il passo qui riportato è
stato tradotto in italiano da Adalgisa De Simone; cfr. Adalgisa De
Simone, “Il Mezzo- giorno normanno-svevo visto dall’Islam
africano”, in Il Mezzogiorno normanno-svevo visto dall’Europa e dal
mondo mediterraneo, Atti delle tredicesime giornate normanno-sveve
(Bari, 21–24 ottobre 1997), a cura di Giosuè Musca, pp. 261–293, in
part. p. 278.
20 Beat Brenk e Jeremy Johns hanno proposto per l’emiro un ruolo
centrale anche nella definizione del programma decorativo della
Cappella Pa- latina: era probabilmente più adatto di Ruggero a
chiamare a Palermo dei maestri mosaicisti bizantini, ed allo stesso
tempo i suoi trascorsi alla corte zirita e le sue ambasciate al
Cairo lo rendevano l’interlocu- tore ideale per le maestranze arabe
al lavoro sulle muqarnas lignee del soffitto della Palatina. Beat
Brenk, “L’importanza e la funzione della Cappella Palatina di
Palermo nella storia dell’arte”, in La Cappella Palatina a Palermo.
Saggi, (Mirabilia Italiae, 17), a cura di idem, Modena 2010, pp.
27–78; Jeremy Johns, “Le pitture del soffitto della Cappella
Palatina a Palermo”, in La Cappella Palatina (n. 20), pp. 387–407,
in part. p. 406; Beat Brenk, “Nuove osservazioni e conclusioni
sulle tecniche dei mosaicisti nella Cappella Palatina di Palermo”,
Arte medievale, IV/3 (2013), pp. 237–255, in part. p. 240.
156
rivela anche nei consigli (o meglio nei limiti) che l’emiro impose
a Ruggero nelle sue manifestazioni pubbliche: fu Giorgio a tenere
il sovrano “lontano dai sudditi; fece sì che assumesse l’aspetto
esteriore [dei sovrani] musulmani e che non si mostrasse a cavallo
e non comparisse in pubblico se non in occasione delle feste, e
davanti a lui [avanzavano allora] i cavalli bardati con selle d’oro
e d’argento, e con gualdrappe incrostate di pietre preziose e con
portantine coperte, e [davanti a lui] i vessilli dorati e il
parasole e sul suo capo la corona”.21
E in veste di sovrano musulmano Ruggero II è dipinto sul soffitto
della Palatina: Johns22 – che, come già Ugo Monneret de Villard23,
aveva interpretato le raffigurazioni del sovrano che beve /Fig. 2/
come generiche personificazioni dell’autorità imperiale – è più
recentemente tornato sull’argomento, sotto- lineando le somiglianze
fra l’affresco della Palatina e il pannello musivo della Martorana:
la testa coro- nata del sovrano con la folta barba nera24 e i
lunghi capelli scuri che cadono sulle spalle, e l’idea che il
sovrano committente presieda l’assemblea regale che si dipana nelle
muqarnas del soffitto suggerirebbero un’identificazione più precisa
con Ruggero II.25
Il continuo oscillare fra elementi di tradizione bi- zantina e
quelli di tradizione musulmana, un tratto distintivo della politica
culturale normanna, non si circoscrive ai soli cantieri
monumentali, ma inve- ste anche la produzione manoscritta. Ad
eccezione del celebre Skylitzes26 della Biblioteca Nazionale di
Spagna (Matr. Vitr. 26–2), la produzione libraria sotto gli
Altavilla rimane ancora in gran parte da indagare; qui di seguito
si prenderanno in con- siderazione due manoscritti, entrambi
conserva- ti alla Biblioteca Marciana di Venezia, che pur da
prospettive differenti evidenziano come la varietas culturale nella
Sicilia normanna fu sottesa ad una rigida regolamentazione.
L’Homerus Venetus A (Marc. gr. 454) è un lus- suoso manoscritto di
X secolo, ideato durante la stagione culturale di Costantino VII
Porfirogenito; i colori “imperiali” utilizzati per la sua
decorazione suggeriscono una diretta committenza dell’impe- ratore,
o quanto meno il suo patrocinio27. Ad esso è preposto un fascicolo
contenente alcuni fram- menti dell’epitome di Eutichio Proclo
all’Iliade, la Crestomazia, dove sopravvive probabilmente l’unico
esempio conosciuto di miniatura siculo-araba28; trat- tandosi di un
singolo esemplare, non è nemmeno possibile stabilire con certezza
se a Palermo o in Sicilia fosse pratica diffusa affidare la
decorazione miniata di codici ad artisti di formazione araba. Kurt
Weitzmann, che per primo si occupò delle miniature, parla di uno
stile “crudo”, estraneo alla tradizione bizantina pur segnalandone
un certo carattere greco sotteso all’intera realizzazione29;
soprattutto, rinveniva qualche assonanza con lo Skylitzes di
Madrid, di cui accettava la tarda data- zione al XIV secolo di
Gabriel Millet30, e per questo riteneva le miniature dell’Homerus
Venetus A un’o- pera quattrocentesca. Muovendo dalle osservazioni
di Weitzmann su Skylitzes e Homerus Venetus A, Italo Furlan fu il
primo ad intuire la stretta relazione fra il ciclo troiano nel
manoscritto marciano e le immagini dipinte sul soffitto della
Cappella Pala- tina di Palermo31: uno stile grafico e lineare, in
cui
4 / Sovrano che beve, Palermo, Cappella Palatina
5 / Il bevitore, Il Cairo, Museum of Islamic Art
156
rivela anche nei consigli (o meglio nei limiti) che l’emiro impose
a Ruggero nelle sue manifestazioni pubbliche: fu Giorgio a tenere
il sovrano “lontano dai sudditi; fece sì che assumesse l’aspetto
esteriore [dei sovrani] musulmani e che non si mostrasse a cavallo
e non comparisse in pubblico se non in occasione delle feste, e
davanti a lui [avanzavano allora] i cavalli bardati con selle d’oro
e d’argento, e con gualdrappe incrostate di pietre preziose e con
portantine coperte, e [davanti a lui] i vessilli dorati e il
parasole e sul suo capo la corona”.21
E in veste di sovrano musulmano Ruggero II è dipinto sul soffitto
della Palatina: Johns22 – che, come già Ugo Monneret de Villard23,
aveva interpretato le raffigurazioni del sovrano che beve /Fig. 2/
come generiche personificazioni dell’autorità imperiale – è più
recentemente tornato sull’argomento, sotto- lineando le somiglianze
fra l’affresco della Palatina e il pannello musivo della Martorana:
la testa coro- nata del sovrano con la folta barba nera24 e i
lunghi capelli scuri che cadono sulle spalle, e l’idea che il
sovrano committente presieda l’assemblea regale che si dipana nelle
muqarnas del soffitto suggerirebbero un’identificazione più precisa
con Ruggero II.25
Il continuo oscillare fra elementi di tradizione bi- zantina e
quelli di tradizione musulmana, un tratto distintivo della politica
culturale normanna, non si circoscrive ai soli cantieri
monumentali, ma inve- ste anche la produzione manoscritta. Ad
eccezione del celebre Skylitzes26 della Biblioteca Nazionale di
Spagna (Matr. Vitr. 26–2), la produzione libraria sotto gli
Altavilla rimane ancora in gran parte da indagare; qui di seguito
si prenderanno in con- siderazione due manoscritti, entrambi
conserva- ti alla Biblioteca Marciana di Venezia, che pur da
prospettive differenti evidenziano come la varietas culturale nella
Sicilia normanna fu sottesa ad una rigida regolamentazione.
L’Homerus Venetus A (Marc. gr. 454) è un lus- suoso manoscritto di
X secolo, ideato durante la stagione culturale di Costantino VII
Porfirogenito; i colori “imperiali” utilizzati per la sua
decorazione suggeriscono una diretta committenza dell’impe- ratore,
o quanto meno il suo patrocinio27. Ad esso è preposto un fascicolo
contenente alcuni fram- menti dell’epitome di Eutichio Proclo
all’Iliade, la Crestomazia, dove sopravvive probabilmente l’unico
esempio conosciuto di miniatura siculo-araba28; trat- tandosi di un
singolo esemplare, non è nemmeno possibile stabilire con certezza
se a Palermo o in Sicilia fosse pratica diffusa affidare la
decorazione miniata di codici ad artisti di formazione araba. Kurt
Weitzmann, che per primo si occupò delle miniature, parla di uno
stile “crudo”, estraneo alla tradizione bizantina pur segnalandone
un certo carattere greco sotteso all’intera realizzazione29;
soprattutto, rinveniva qualche assonanza con lo Skylitzes di
Madrid, di cui accettava la tarda data- zione al XIV secolo di
Gabriel Millet30, e per questo riteneva le miniature dell’Homerus
Venetus A un’o- pera quattrocentesca. Muovendo dalle osservazioni
di Weitzmann su Skylitzes e Homerus Venetus A, Italo Furlan fu il
primo ad intuire la stretta relazione fra il ciclo troiano nel
manoscritto marciano e le immagini dipinte sul soffitto della
Cappella Pala- tina di Palermo31: uno stile grafico e lineare, in
cui
4 / Sovrano che beve, Palermo, Cappella Palatina
5 / Il bevitore, Il Cairo, Museum of Islamic Art
157
la struttura delle immagini è costruita attraverso un disegno
risolutivo nelle forme, impreziosito da alcuni elementi – la
palpebra tracciata in un colore differente, bruno o rosso, rispetto
al nero marcato delle sopracciglia e dell’arcata. Ernst Grube32 lo
ha definito “stile orientale classico”, uno stile che ri- troviamo
in pochi frammenti sopravvissuti in area nordafricana databili a XI
e XII secolo, come il pan- nello col Bevitore /Fig. 3/ conservato
al Museo di Arte Islamica del Cairo e proveniente dal santuario di
Abul Su’ud a Fustat, nell’Egitto Settentrionale. L’elemento arabo
non si limita al solo stile pitto- rico, ma appare in piccoli
dettagli che certificano la formazione araba del miniatore: nella
faretra di Apollo /Fig. 5/, dipinto sul margine destro del f. 4r,
la decorazione è autenticamente cufica, e vi si può leggere
“al-nar”33 (vittoria).
Se dunque, come scrisse Furlan, si possono verificare
“corrispondenze morelliane”34 nei ca- ratteri fisiono mici
dell’Homerus Venetus A e della Cappella Palatina, le figure del
ciclo troiano riman- gono comunque ancorate ad un milieu
bizantino,
strated Chronicle of Ioannes Skylitzes in Madrid, Leida 2002;
Elisabeth Piltz, Byzantium in the Mirror: The Message of Skylitzes
Matritensis and Hagia Sophia in Constantinople, (BAR International
Series, 1334), Oxford 2005; Boris L. Fonkic, “Sull’origine del
manoscritto dello Scilitze di Madrid”, Erytheia, 28 (2007), pp.
67–89; Santo Lucà, “Dalle collezioni manoscritte di Spagna: libri
originari o provenienti dall’Italia greca medievale”, Rivista di
studi bizantini e neoellenici, 44 (2008), pp. 39–96, in part. pp.
79–81; Elena N. Boeck, “The politics of visualizing an imperial
demise: transforming a Byzantine chronicle into a Sicilian visual
narrative”, Word & Image: A Journal of Verbal/Visual Enquiry,
25/3 (2009), pp. 243–257.
27 Carlo Maria Mazzucchi, “Venetus A e Ambr. B 114 sup.: due codici
del medesimo copista e la loro storia”, Aevum 86/2 (2012), pp.
417–456, in part. pp. 424, 440.
28 Ho volutamente escluso da questa sommaria definizione la copia
due- centesca del Liber de locis stellarum fixarum di al-Sf
(Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 1036): seppur esemplata su
un prototipo dell’età di Guglielmo II – per il cui volere era stata
approntata la traduzione latina del testo, le sue illustrazioni
ricalcano infatti fedelmente quelle di uno dei più antichi
manoscritti dell’originale di al-Sf, il Marsh 144 della Bodleian
Library di Oxford (XI secolo), di fatto negando un apporto
artistico legato alla Sicilia normanna; vedi cfr. Marie-Thérèse
Gousset, “Le Liber de locis stellarum fixarum d’Al Sûfi, ms. 1036
de la Bibliothèque de l’Arsenal à Paris: une réattribution, Arte
medievale, 2 (1985), pp. 93–106; Giulia Orofino, “Oriente
eccentrico: provincia greca e Islam nella miniatura
italomeridionale dell’alto Medioevo”, in Medioevo mediterraneo:
l’Occidente, Bisanzio e l’Islam, Atti del Convegno internazionale
di studi (Parma, 21–25 settembre 2004), a cura di Arturo Carlo
Quintavalle, Milano 2007, pp. 282–293, in part. p. 285.
29 Kurt Weitzmann, “The Survival of Mythological Representations in
Early Christian and Byzantine Art and their Impact on Christian
Ico- nography”, Dumbarton Oaks Papers, 14 (1960), pp. 43–68, in
part. p. 56.
30 Gabriel Millet, La Collection Chrétienn et Byzantine des Hautes
Études, Parigi 1903, p. 26 e pp. 54–55.
31 Italo Furlan, Codici greci illustrati della Biblioteca Marciana.
III, Milano 1980, pp. 42–48.
32 Ernst Grube, “La pittura islamica nella Sicilia normanna del XII
secolo”, in La Pittura in Italia. L’Altomedioevo, a cura di Carlo
Bertelli, Milano 1994, pp. 416–431, in part. p. 418.
33 L’iscrizione “al-nasr” appartiene al repertorio reale utilizzato
da Rug- gero II, ed è anzi il sostantivo più ricorrente nelle
iscrizioni arabo-nor- manne: lo ritroviamo infatti nella navata
centrale e nella navata destra della Cappella Palatina, nella
colonna realizzata ex-novo a Santa Maria dell’Ammiraglio come
contraltare della colonna di spoglio decorata con un versetto del
Corano, a San Giacomo la Mázara e nell’iscrizione del Manto di
Ruggero II; cfr. Jeremy Johns, “Le iscrizioni e le epigrafi in
arabo: una rilettura”, in Nobiles Officinae. Perle, filigrane e
trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalogo della mostra
(Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 – 10 marzo 2004;
Vienna, Alte Geistliche Schatzkammer, 30 marzo – 13 giugno 2004), 2
voll., II, a cura di Maria Andaloro, Catania 2006, pp. 47–67, in
part. p. 67, tav. III.
34 Furlan, Codici (n. 31), p. 47.
21 Adalgisa De Simone, “Il Mezzogiorno” (n. 19), p. 278. 22 Jeremy
Johns, “The Norman Kings of Sicily and the Fatimid caliphate,
Anglo-Norman Studies, 15 (1993), pp. 133–159, in part. pp. 153–157;
Jeremy Johns, “I re normanni e i califfi fatimiti. Nuove
prospettive su vecchi materiali”, in Del nuovo sulla Sicilia
normanna, a cura di Biancamaria Scarcia Amoretti, Roma 1995, pp.
1–50, in part. pp. 40–46.
23 Ugo Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della
Cappella Palatina in Palermo, Roma 1950, pp. 37–38.
24 Romualdo Salernitano descrive così il primo re normanno: “Fuit
autem Rex Rogerius (…) facie leonina”, dove l’enigmatico “facie
leonina” sem- brerebbe suggerire che Ruggero portasse la barba,
attributo tipico dell’imperatore bizantino piuttosto che dei re
occidentali. Romualdo Salernitano, Chronicon, (Rerum Italicarum
scriptores. 7), a cura di Carlo Alberto Garufi, Città di Castello
1909–1935, p. 236.
25 Johns, “Le pitture” (n. 20), p. 405. 26 Nigel Wilson, “The
Madrid Scylitzes”, Scrittura e civiltà, 2 (1978),
pp. 209–219; Ihor Ševenko, “The Madrid manuscript of the chronicles
of Skylitzes in the light of the new dating”, in Byzanz und der
Westen: Studien zur Kunst des Europäischen Mittelalters,
(Österreichische Akade- mie der Wissenschaften,
Philosophisch-historische Klasse, 432), a cura di Irmgard Hutter,
Vienna 1984, pp. 117–130; Santo Lucà, “I normanni e la “rinascita”
del sec. XII”, Archivio storico per la Calabria e la Lucania, 60
(1993), pp. 1–91, in part. pp. 36–63; Vasiliki Tsamakda, The Illu-
157
la struttura delle immagini è costruita attraverso un disegno
risolutivo nelle forme, impreziosito da alcuni elementi – la
palpebra tracciata in un colore differente, bruno o rosso, rispetto
al nero marcato delle sopracciglia e dell’arcata. Ernst Grube32 lo
ha definito “stile orientale classico”, uno stile che ri- troviamo
in pochi frammenti sopravvissuti in area nordafricana databili a XI
e XII secolo, come il pan- nello col Bevitore /Fig. 3/ conservato
al Museo di Arte Islamica del Cairo e proveniente dal santuario di
Abul Su’ud a Fustat, nell’Egitto Settentrionale. L’elemento arabo
non si limita al solo stile pitto- rico, ma appare in piccoli
dettagli che certificano la formazione araba del miniatore: nella
faretra di Apollo /Fig. 5/, dipinto sul margine destro del f. 4r,
la decorazione è autenticamente cufica, e vi si può leggere
“al-nar”33 (vittoria).
Se dunque, come scrisse Furlan, si possono verificare
“corrispondenze morelliane”34 nei ca- ratteri fisionomici
dell’Homerus Venetus A e della Cappella Palatina, le figure del
ciclo troiano riman- gono comunque ancorate ad un milieu
bizantino,
strated Chronicle of Ioannes Skylitzes in Madrid, Leida 2002;
Elisabeth Piltz, Byzantium in the Mirror: The Message of Skylitzes
Matritensis and Hagia Sophia in Constantinople, (BAR International
Series, 1334), Oxford 2005; Boris L. Fonkic, “Sull’origine del
manoscritto dello Scilitze di Madrid”, Erytheia, 28 (2007), pp.
67–89; Santo Lucà, “Dalle collezioni manoscritte di Spagna: libri
originari o provenienti dall’Italia greca medievale”, Rivista di
studi bizantini e neoellenici, 44 (2008), pp. 39–96, in part. pp.
79–81; Elena N. Boeck, “The politics of visualizing an imperial
demise: transforming a Byzantine chronicle into a Sicilian visual
narrative”, Word & Image: A Journal of Verbal/Visual Enquiry,
25/3 (2009), pp. 243–257.
27 Carlo Maria Mazzucchi, “Venetus A e Ambr. B 114 sup.: due codici
del medesimo copista e la loro storia”, Aevum 86/2 (2012), pp.
417–456, in part. pp. 424, 440.
28 Ho volutamente escluso da questa sommaria definizione la copia
due- centesca del Liber de locis stellarum fixarum di al-Sf
(Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 1036): seppur esemplata su
un prototipo dell’età di Guglielmo II – per il cui volere era stata
approntata la traduzione latina del testo, le sue illustrazioni
ricalcano infatti fedelmente quelle di uno dei più antichi
manoscritti dell’originale di al-Sf, il Marsh 144 della Bodleian
Library di Oxford (XI secolo), di fatto negando un apporto
artistico legato alla Sicilia normanna; vedi cfr. Marie-Thérèse
Gousset, “Le Liber de locis stellarum fixarum d’Al Sûfi, ms. 1036
de la Bibliothèque de l’Arsenal à Paris: une réattribution, Arte
medievale, 2 (1985), pp. 93–106; Giulia Orofino, “Oriente
eccentrico: provincia greca e Islam nella miniatura
italomeridionale dell’alto Medioevo”, in Medioevo mediterraneo:
l’Occidente, Bisanzio e l’Islam, Atti del Convegno internazionale
di studi (Parma, 21–25 settembre 2004), a cura di Arturo Carlo
Quintavalle, Milano 2007, pp. 282–293, in part. p. 285.
29 Kurt Weitzmann, “The Survival of Mythological Representations in
Early Christian and Byzantine Art and their Impact on Christian
Ico- nography”, Dumbarton Oaks Papers, 14 (1960), pp. 43–68, in
part. p. 56.
30 Gabriel Millet, La Collection Chrétienn et Byzantine des Hautes
Études, Parigi 1903, p. 26 e pp. 54–55.
31 Italo Furlan, Codici greci illustrati della Biblioteca Marciana.
III, MilanoI 1980, pp. 42–48.
32 Ernst Grube, “La pittura islamica nella Sicilia normanna del XII
secolo”, in La Pittura in Italia. L’Altomedioevo, a cura di Carlo
Bertelli, Milano 1994, pp. 416–431, in part. p. 418.
33 L’iscrizione “al-nasr” appartiene al repertorio reale utilizzato
da Rug- gero II, ed è anzi il sostantivo più ricorrente nelle
iscrizioni arabo-nor- manne: lo ritroviamo infatti nella navata
centrale e nella navata destra della Cappella Palatina, nella
colonna realizzata ex-novo a Santa Maria dell’Ammiraglio come
contraltare della colonna di spoglio decorata con un versetto del
Corano, a San Giacomo la Mázara e nell’iscrizione del Manto di
Ruggero II; cfr. Jeremy Johns, “Le iscrizioni e le epigrafi in
arabo: una rilettura”, in Nobiles Officinae. Perle, filigrane e
trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalogo della mostra
(Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 – 10 marzo 2004;
Vienna, Alte Geistliche Schatzkammer, 30 marzo – 13 giugno 2004), 2
voll., II, a cura di Maria Andaloro, Catania 2006, pp. 47–67, in
part. p. 67, tav. III.
34 Furlan, Codici (n. 31), p. 47.
21 Adalgisa De Simone, “Il Mezzogiorno” (n. 19), p. 278. 22 Jeremy
Johns, “The Norman Kings of Sicily and the Fatimid caliphate,
Anglo-Norman Studies, 15 (1993), pp. 133–159, in part. pp. 153–157;
Jeremy Johns, “I re normanni e i califfi fatimiti. Nuove
prospettive su vecchi materiali”, in Del nuovo sulla Sicilia
normanna, a cura di Biancamaria Scarcia Amoretti, Roma 1995, pp.
1–50, in part. pp. 40–46.
23 Ugo Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della
Cappella Palatina in Palermo, Roma 1950, pp. 37–38.
24 Romualdo Salernitano descrive così il primo re normanno: “Fuit
autem Rex Rogerius (…) facie leonina”, dove l’enigmatico “facie
leonina“ ” sem- brerebbe suggerire che Ruggero portasse la barba,
attributo tipico dell’imperatore bizantino piuttosto che dei re
occidentali. Romualdo Salernitano, Chronicon, (Rerum Italicarum
scriptores. 7), a cura di Carlo Alberto Garufi, Città di Castello
1909–1935, p. 236.
25 Johns, “Le pitture” (n. 20), p. 405. 26 Nigel Wilson, “The
Madrid Scylitzes”, Scrittura e civiltà, 2 (1978),
pp. 209–219; Ihor Ševenko, “The Madrid manuscript of the chronicles
of Skylitzes in the light of the new dating”, in Byzanz und der
Westen: Studien zur Kunst des Europäischen Mittelalters,
(Österreichische Akade- mie der Wissenschaften,
Philosophisch-historische Klasse, 432), a cura di Irmgard Hutter,
Vienna 1984, pp. 117–130; Santo Lucà, “I normanni e la “rinascita”
del sec. XII”, Archivio storico per la Calabria e la Lucania, 60
(1993), pp. 1–91, in part. pp. 36–63; Vasiliki Tsamakda, The
Illu-
158
evocato attraverso la citazione continua di arredi o abbigliamento
tipici del periodo medio-bizantino35, che ritroviamo anche nello
Skylitzes di Madrid.
La miniatura del Banchetto degli dei (f. 9r36, Fig.6) è un piccolo
compendio di questa varietas entro cui doveva muoversi l’artista
dell’Homerus Venetus A. Zeus, raffigurato mentre porge la mela
d’oro alle tre dee, rievoca l’immagine di Ruggero II nel pannello
della Martorana: la divinità indossa una veste blu riccamente
ricamata, con inserti in oro e un motivo ispirato al loros
imperiale, le scarpe pur- puree, e regge inoltre nella mano
sinistra un labaro imperiale. L’esempio del labaro è
particolarmente interessante: Ruggero II ricevette in dono dal
califfo fatimida al-Hafiz un parasole, che attorno al 1220 lo
storico arabo ibn-Hammd descrisse come un grosso scudo posto in
cima ad una lancia, ornato di pietre preziose, “sì che abbagliava
la vista e facea meravigliar chi lo guardasse”37. Il labaro di
Zeus, del tipo a tabella semplice, seppur decorato con
un’iscrizione pseudocufica, ricalca il modello già visto nella
cosiddetta Corona di Costantino IX Mo- nomaco38 (Budapest, Magyar
Nemzeti Muzeum). Di tipo diverso, quadrilobato, è il labaro nelle
mani di Agamennone ai ff. 6r e 6v e nella scena della Battaglia di
Troia (f. 8v), affine a quello di due miniature dello Skylitzes
(L’incoronazione di Mi- chele I, f. 10v39, e Michele III nella
scena di Basilio che cattura e riporta nelle scuderie il cavallo
predi- letto dell’imperatore40, f. 86r). E ancora, la merlatura
curvata delle mura di Troia nelle scene di Paride,
Elena e Afrodite che navigano verso la città (f. 1v) e della
Battaglia (f. 8v) evoca quella che caratterizza diverse città nello
Skylitzes, da Mopsuestia (f. 151v) a Messina (f. 214r) a Efeso (f.
214v).
Già Nigel Wilson41 aveva proposto per lo Skylitzes la committenza
della corte normanna, poiché l’e- secuzione del ricchissimo
apparato iconografico necessitava di ingenti risorse economiche e
soprat- tutto della capacità di procurarsi antigrafi da cui copiare
il testo42; il candidato più probabile al ruolo di mediatore
potrebbe essere l’ammiraglio Euge- nio da Palermo (ca. 1130–1202),
“virum tam graece quam arabice linguae peritissimum, latine quoque
non ignarum”43, autore di alcuni versi44 sul cimitero del monastero
di San Salvatore in lingua phari a Messina dove lo Skylitzes fu
probabilmente eseguito durante il terzo quarto del XII secolo45.
Allo stesso modo, mi sembra ipotizzabile che le miniature
dell’Homerus Venetus A siano frutto del medesimo milieu di corte:
il lessico formale arabo è contaminato da citazioni bizantine, dal
loros di Zeus agli abiti aristocratici e al turbante schiacciato
con inserti dorati delle eroine femminili (come quello di Elena, f.
1v, Fig. 6), simili a modelli mediobizantini come quello delle
fanciulle ebree della Danza di Miriam del Vat. gr. 752 (a. 1056,
Fig. 7)46 o di Medea nei Cynegetica di Oppiano nel manoscritto
veneziano Marc. gr. 47947 (ed è interessante notare come questa
sofisticata tunica non appaia mai nel Matr. 26–2), fino al tavolo
imbandito nel Banchetto degli dei, dove appaiono anche delle
forchette.
6 / Apollo arciere. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. 454
(Homerus Venetus A), f. 4r
7 / Bachetto degli dei. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr.
454 (Homerus Venetus A), f. 9r
8 / Elena e le ancelle. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr.
454 (Homerus Venetus A), f. 1v
158
evocato attraverso la citazione continua di arredi o abbigliamento
tipici del periodo medio-bizantino35, che ritroviamo anche nello
Skylitzes di Madrid.
La miniatura del Banchetto degli dei (f. 9r36, Fig.6) è un piccolo
compendio di questa varietas entro cui doveva muoversi l’artista
dell’Homerus Venetus A. Zeus, raffigurato mentre porge la mela
d’oro alle tre dee, rievoca l’immagine di Ruggero II nel pannello
della Martorana: la divinità indossa una veste blu riccamente
ricamata, con inserti in oro e un motivo ispirato al loros
imperiale, le scarpe pur- puree, e regge inoltre nella mano
sinistra un labaro imperiale. L’esempio del labaro è
particolarmente interessante: Ruggero II ricevette in dono dal
califfo fatimida al-Hafiz un parasole, che attorno al 1220 lo
storico arabo ibn-Hammd descrisse come un grosso scudo posto in
cima ad una lancia, ornato di pietre preziose, “sì che abbagliava
la vista e facea meravigliar chi lo guardasse”37. Il labaro di
Zeus, del tipo a tabella semplice, seppur decorato con
un’iscrizione pseudocufica, ricalca il modello già visto nella
cosiddetta Corona di Costantino IX Mo- nomaco38 (Budapest, Magyar
Nemzeti Muzeum). Di tipo diverso, quadrilobato, è il labaro nelle
mani di Agamennone ai ff. 6r e 6v e nella scena della Battaglia di
Troia (f. 8v), affine a quello di due miniature dello Skylitzes
(L’incoronazione di Mi- chele I, f.I 10v39, e Michele III nella
scena di Basilio che cattura e riporta nelle scuderie il cavallo
predi- letto dell’imperatore40, f. 86r). E ancora, la merlatura
curvata delle mura di Troia nelle scene di Paride,
Elena e Afrodite che navigano verso la città (f. 1v) e della
Battaglia (f. 8v) evoca quella che caratterizza diverse città nello
Skylitzes, da Mopsuestia (f. 151v) a Messina (f. 214r) a Efeso (f.
214v).
Già Nigel Wilson41 aveva proposto per lo Skylitzes la committenza
della corte normanna, poiché l’e- secuzione del ricchissimo
apparato iconografico necessitava di ingenti risorse economiche e
soprat- tutto della capacità di procurarsi antigrafi da cui copiare
il testo42; il candidato più probabile al ruolo di mediatore
potrebbe essere l’ammiraglio Euge- nio da Palermo (ca. 1130–1202),
“virum tam graece quam arabice linguae peritissimum, latine quoque
non ignarum”43, autore di alcuni versi44 sul cimitero del monastero
di San Salvatore in lingua phari a Messina dove lo Skylitzes fu
probabilmente eseguito durante il terzo quarto del XII secolo45.
Allo stesso modo, mi sembra ipotizzabile che le miniature
dell’Homerus Venetus A siano frutto del medesimo milieu di corte:
il lessico formale arabo è contaminato da citazioni bizantine, dal
loros di Zeus agli abiti aristocratici e al turbante schiacciato
con inserti dorati delle eroine femminili (come quello di Elena, f.
1v, Fig. 6), simili a modelli mediobizantini come quello delle
fanciulle ebree della Danza di Miriam del Vat. gr. 752 (a. 1056,
Fig. 7)46 o di Medea nei Cynegetica di Oppiano nel manoscritto
veneziano Marc. gr. 47947
(ed è interessante notare come questa sofisticata tunica non appaia
mai nel Matr. 26–2), fino al tavolo imbandito nel Banchetto degli
dei, dove appaiono anche delle forchette.
6 / Apollo arciere. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. 454
(Homerus Venetus A), f. 4r
7 / Bachetto degli dei. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr.
454 (Homerus Venetus A), f. 9r
8 / Elena e le ancelle. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr.
454 (Homerus Venetus A), f. 1v
159
A queste suggestioni formali arabe e bizantine se ne aggiungono
altre di carattere più generale, congiunzioni che potrebbero
quantomeno aver su- scitato interesse per il poema omerico nella
Sicilia normanna. La prima, e più diretta, riguarda l’Ilias picta
Ambrosiana (Ambr. F 205 inf), l’unico codice greco miniato di un
poema epico. Nonostante non vi sia alcuna concordanza fra le
miniature del codice milanese e quelle dell’Homerus Venetus A48,
l’Iliade Ambrosiana49 in epoca medioevale fu smembrata, e
cinquantuno miniature furono tagliate e incollate su fogli di carta
bombicina, corredate da didascalie e nomi dei personaggi ritratti:
la trasformazione del lussuoso codice in un “manualetto” con
finalità didattica e divulgativa è stato ricondotto proprio
38 Cecile J. Hilsdale, “The Social Life of the Byzantine Gift; the
Royal Crown of Hungary Re-Invented”, Art History 31/5 (2008), pp.
602–631, in part. pp. 609–613.
39 Sull’interpretazione iconografica di questa scena, vedi
Tsamakda, The Illustrated Chronicle (n. 26), pp. 43–46, con
bibliografia precedente.
40 È interessante notare come in un’altra miniatura dello stesso
foglio Michele III è invece ritratto a cavallo mentre regge
un’insegna simile al parasole di origine araba.
41 Wilson, “The Madrid” (n. 26), p. 217. 42 La selezione delle
scene miniate nel codice è invece da attribuire in toto
ad un iconografo siciliano, come ha dimostrato Elena N. Boeck; vedi
Boeck, “The politics” (n. 26).
43 La definizione si deve all’anonimo traduttore in latino
dell’Almage- sto di Tolomeo, che si servì dell’aiuto di Eugenio per
completare il lavoro, ed è citata in: Charles Homer Haskins,
Studies of Mediaeval Science, Cambridge (MA) 1924, pp. 191–193.
Sulla figura di Eugenio da Palermo, che accanto alla carriera
militare si distinse come valente studioso e traduttore, vedi:
Evelyn Jamison, Admiral Eugenius of Sicily. His Life and Work and
the Authorship of the Epistola ad Petrum and the Historia Hugonis
Falcandi Siculi, Londra 1956; Vera von Falkenhausen, “Eugenio di
Palermo”, in Dizionario biografico degli italiani, XLIII, Roma
1993, pp. 502–505.
44 Eugenii Panormitani versus iambici, (Istituto siciliano di studi
bizantini e neoellenici. Testi. 10), a cura di Marcello Gigante,
Palermo 1964, pp. 17–19.
45 Tsamakda, The Illustrated Chronicle (n. 26), p. 393. 46 Furlan,
Codici greci (n. 31), p. 45. 47 Gavazzoli Tomea, “Miniature di
confine” (n. 35), p. 462. 48 Weitzmann scrisse che l’ispirazione
del miniatore dell’Homerus Venetus
A non derivava da un’Iliade miniata, ma piuttosto da una cronaca
profana com’era avvenuto per lo Skylitzes; Weitzmann, “The
Survival” (n. 29), p. 56.
49 La cui origine è stata fissata ad Alessandria, fra la fine del V
secolo e l’inizio del VI. Ranuccio Bianchi Bandinelli, “Recensione
e ricostruzione del codice dell’Iliade Ambrosiana”, Rendiconti
dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e
filologiche, 8 (1953), pp. 466–483; Idem, Hellenistic-Byzantine
Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana), Olten 1955; Guglielmo
Cavallo, “Considerazioni di un paleografo sulla data e l’origine
dell’Iliade Ambrosiana”, Dialoghi di archeologia, 7 (1973), pp.
70–85; Ranuccio Bianchi Bandinelli, “Conclusioni di uno storico
dell’arte antica sull’origine e la composizione dell’Iliade
Ambrosiana”, Dialoghi di archeologia, 7 (1973), pp. 86–96.
35 Maria Laura Gavazzoli Tomea, “Miniature di confine: il ciclo
troia- no dell’Homerus Venetus A (Marc. gr. 454)”, Aevum, 86/2
(2012), pp. 457–492, in part. p. 462.
36 Si tratta in realtà della prima miniatura del ciclo: il bifoglio
di guardia e il primo quaternio furono reitegrati e ricomposti in
un momento successivo; Elpidio Mioni, “Note sull’Homerus Venetus A
(= Marc. Gr. 454)”, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Università di Padova, 1 (1976), pp. 185–193; Myriam Hecquet, “An
Initial Codicological and Paleographical Investigation of the
Venetus A Manuscript of the Iliad”, in Recapturing a Homeric
Legacy: Images and Insights from the Venetus, A Manuscript of the
Iliad, a cura di Due Casey, Cambridge (MA) 2009, pp. 57–87, in
part. p. 73. A Mioni si deve anche una prima ricostruzione
dell’assetto originario dei fogli miniati, recentemente riproposta
alla luce di nuovi accertamenti da Gavazzoli Tomea: 9r-9v /
1r-1v-x-6r, 4r-4v, x-x-x-8v (dove x indica i fogli mancanti):
Gavazzoli Tomea, “Miniature di confine” (n. 35), p. 45.
37 ibn-Hammd, Kitb Nabdat al Muhtah, in Michele Amari, Biblioteca
arabo sicula. Versione italiana, 2 voll., I, Torino 1888–1889
(rist. Sala Bolognese 1982), pp. 508–509. Si deve ipotizzare che il
parasole di Ruggero II assomigliasse ai khalkan dei mosaici coi
Santi Guerrieri a Hosios Loukas, in Focide (XI secolo). 159
A queste suggestioni formali arabe e bizantine se ne aggiungono
altre di carattere più generale, congiunzioni che potrebbero
quantomeno aver su- scitato interesse per il poema omerico nella
Sicilia normanna. La prima, e più diretta, riguarda l’Ilias picta
Ambrosiana (Ambr. F 205 inf), l’unico codice greco miniato di un
poema epico. Nonostante non vi sia alcuna concordanza fra le
miniature del codice milanese e quelle dell’Homerus Venetus A48,
l’Iliade Ambrosiana49 in epoca medioevale fu smembrata, e
cinquantuno miniature furono tagliate e incollate su fogli di carta
bombicina, corredate da didascalie e nomi dei personaggi ritratti:
la trasformazione del lussuoso codice in un “manualetto” con
finalità didattica e divulgativa è stato ricondotto proprio
38 Cecile J. Hilsdale, “The Social Life of the Byzantine Gift; the
Royal Crown of Hungary Re-Invented”, Art History 31/5 (2008), pp.
602–631, in part. pp. 609–613.
39 Sull’interpretazione iconografica di questa scena, vedi
Tsamakda, The Illustrated Chronicle (n. 26), pp. 43–46, con
bibliografia precedente.
40 È interessante notare come in un’altra miniatura dello stesso
foglio Michele III è invece ritratto a cavallo mentre regge
un’insegna simile al parasole di origine araba.
41 Wilson, “The Madrid” (n. 26), p. 217. 42 La selezione delle
scene miniate nel codice è invece da attribuire in toto
ad un iconografo siciliano, come ha dimostrato Elena N. Boeck; vedi
Boeck, “The politics” (n. 26).
43 La definizione si deve all’anonimo traduttore in latino
dell’Almage- sto di Tolomeo, che si servì dell’aiuto di Eugenio per
completare il lavoro, ed è citata in: Charles Homer Haskins,
Studies of Mediaeval Science, Cambridge (MA) 1924, pp. 191–193.
Sulla figura di Eugenio da Palermo, che accanto alla carriera
militare si distinse come valente studioso e traduttore, vedi:
Evelyn Jamison, Admiral Eugenius of Sicily. His Life and Work and
the Authorship of the Epistola ad Petrum and the Historia Hugonis
Falcandi Siculi, Londra 1956; Vera von Falkenhausen, “Eugenio di
Palermo”, in Dizionario biografico degli italiani, XLIII, Roma i
1993, pp. 502–505.
44 Eugenii Panormitani versus iambici, (Istituto siciliano di studi
bizantini e neoellenici. Testi. 10), a cura di Marcello Gigante,
Palermo 1964, pp. 17–19.
45 Tsamakda, The Illustrated Chronicle (n. 26), p. 393. 46 Furlan,
Codici greci (n. 31), p. 45. 47 Gavazzoli Tomea, “Miniature di
confine” (n. 35), p. 462. 48 Weitzmann scrisse che l’ispirazione
del miniatore dell’Homerus Venetus
A non derivava da un’Iliade miniata, ma piuttosto da una cronaca
profana com’era avvenuto per lo Skylitzes; Weitzmann, “The
Survival” (n. 29), p. 56.
49 La cui origine è stata fissata ad Alessandria, fra la fine del V
secolo e l’inizio del VI. Ranuccio Bianchi Bandinelli, “Recensione
e ricostruzione del codice dell’Iliade Ambrosiana”, Rendiconti
dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e
filologiche, 8 (1953), pp. 466–483; Idem, Hellenistic-Byzantine
Miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana), Olten 1955; Guglielmo
Cavallo, “Considerazioni di un paleografo sulla data e l’origine
dell’Iliade Ambrosiana”, Dialoghi di archeologia, 7 (1973), pp.
70–85; Ranuccio Bianchi Bandinelli, “Conclusioni di uno storico
dell’arte antica sull’origine e la composizione dell’Iliade
Ambrosiana”, Dialoghi di archeologia, 7 (1973), pp. 86–96.
35 Maria Laura Gavazzoli Tomea, “Miniature di confine: il ciclo
troia- no dell’Homerus Venetus A (Marc. gr. 454)”, Aevum, 86/2
(2012), pp. 457–492, in part. p. 462.
36 Si tratta in realtà della prima miniatura del ciclo: il bifoglio
di guardia e il primo quaternio furono reitegrati e ricomposti in
un momento successivo; Elpidio Mioni, “Note sull’Homerus Venetus A
(= Marc. Gr. 454)”, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Università di Padova, 1 (1976), pp. 185–193; Myriam Hecquet, “An
Initial Codicological and Paleographical Investigation of the
Venetus A Manuscript of the Iliad”, in Recapturing a Homeric
Legacy: Images and Insights from the Venetus, A Manuscript of the
Iliad, a cura di Due Casey, Cambridge (MA) 2009, pp. 57–87, in
part. p. 73. A Mioni si deve anche una prima ricostruzione
dell’assetto originario dei fogli miniati, recentemente riproposta
alla luce di nuovi accertamenti da Gavazzoli Tomea: 9r-9v /
1r-1v-x-6r, 4r-4v, x-x-x-8v (dove x indica i fogli mancanti):
Gavazzoli Tomea, “Miniature di confine” (n. 35), p. 45.
37 ibn-Hammd, Kitb Nabdat al Muhtah, in Michele Amari, Biblioteca
arabo sicula. Versione italiana, 2 voll., I, Torino 1888–1889
(rist. Sala Bolognese 1982), pp. 508–509. Si deve ipotizzare che il
parasole di Ruggero II assomigliasse ai khalkan dei mosaici coi
Santi Guerrieri a Hosios Loukas, in Focide (XI secolo).
160
alla Sicilia del XII secolo50. Una nuova fascinazione per il ciclo
troiano sembra percorrere le due sponde del Mediterraneo in quegli
anni: se a Costantinopoli Manuele Comneno istituisce nel 1161 un
concorso di bellezza per scegliere la sua seconda moglie51, epi-
sodio che secondo Carlo Maria Mazzucchi potrebbe aver favorito la
reviviscenza del mito52, in Francia il chierico benedettino Benoît
de Saint-Maure scrive il Roman de Troie fra il 1160 e il 117053 e
qualche anno prima, nel lungo carme che descrive la camera da letto
della contessa Adele, Baudri de Bourgueil racconta che fra gli
arazzi che adornano le pareti ve ne sono alcuni che ritraggono
scene della guerra di Troia54.
Torniamo in Sicilia: sotto i Normanni si assiste dunque ad una
selezione retorica di stili e linguaggi artistici: le opere a
soggetto profano, che dovevano veicolare l’immagine di una Palermo
lussureggiante e di una corte normanna ricca e mondana, furono
affidate ad artisti di formazione araba, in completo sprezzo di
quella che era la reale situazione dei musulmani nell’isola55; per
quanto riguarda invece la sfera religiosa, ci si rifugiò nella
tradizione bizan- tina, che garantiva immediato prestigio e contem-
poraneamente rafforzava i propositi ruggeriani di una Chiesa
siciliana emancipata da Roma e legata strettamente alla monarchia
normanna56.
Se questa dicotomia è evidente soprattutto nei grandi cantieri
religiosi, dove in un progetto archi- tettonico intriso di elementi
islamici si innesta un
apparato figurativo di tipo bizantino57, è possibile comunque
ritrovarla anche in manufatti di com- mittenza più modesta, come i
manoscritto bilingue Marc. gr. 539, un Tetravangelo in greco e
arabo re- alizzato probabilmente per la comunità cristiana
arabofona58. Realizzato da due scribi, uno di ori- gine greca e
l’altro nordafricano, che lavorarono contemporaneamente come
suggerisce l’uso dei medesimi inchiostri nero e rosso usati per la
stesura del testo, il codice è vergato sulla colonna di sinistra in
un’elegante minuscola di tipo Perlschrift59 mentre sulla destra la
grafia araba è riconducibile all’area nordafricana60. Al f. 1r,
ampiamente rovinato, e so- prattutto al f. 76r /Fig. 7/
sopravvivono due testate ornamentali in “Blütenblatt ornamentik”61,
ognuna con i rispettivi Evangelisti Matteo e Marco ritratti entro
riquadri. L’artista si mostra aggiornato sui più recenti sviluppi
della miniatura costantinopolitana: i panneggi e la posa
dell’evangelista Marco richia- mano gli esempi più alti
dell’atelier del Maestro di Kokkinobaphos, come ad esempio
nell’Ottateuco del Serraglio (Topkap Saray Müz., 8), opera
riccamente miniata commissionata dal sebastokrátor Isacco
Comneno62, ma il suo volto elegante si discosta dal tipo
triangolare largamente in uso nell’atelier di Kokkinobaphos
avvicinandosi piuttosto allo stile degli artisti legati al
monastero di San Giovanni Prodromo di Petra, autori del
Tetravangelo Marc. gr. 540 63e del Vangelo Ms. Felton 710/5 della
Na- tional Gallery of Victoria a Melbourne64.
9 / Danza di Miriam, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, Vat. gr. 752, f. 449v
10 / San Marco. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Marc. gr.
539, f. 76r
160
alla Sicilia del XII secolo50. Una nuova fascinazione per il ciclo
troiano sembra percorrere le due sponde del Mediterraneo in quegli
anni: se a Costantinopoli Manuele Comneno istituisce nel 1161 un
concorso di bellezza per scegliere la sua seconda moglie51, epi-
sodio che secondo Carlo Maria Mazzucchi potrebbe aver favorito la
reviviscenza del mito52, in Francia il chierico benedettino Benoît
de Saint-Maure scrive il Roman de Troie fra il 1160 e il 117053 e
qualche anno prima, nel lungo carme che descrive la camera da letto
della contessa Adele, Baudri de Bourgueil racconta che fra gli
arazzi che adornano le pareti ve ne sono alcuni che ritraggono
scene della guerra di Troia54.
Torniamo in Sicilia: sotto i Normanni si assiste dunque ad una
selezione retorica di stili e linguaggi artistici: le opere a
soggetto profano, che dovevano veicolare l’immagine di una Palermo
lussureggiante e di una corte normanna ricca e mondana, furono
affidate ad artisti di formazione araba, in completo sprezzo di
quella che era la reale situazione dei musulmani nell’isola55; per
quanto riguarda invece la sfera religiosa, ci si rifugiò nella
tradizione bizan- tina, che garantiva immediato prestigio e contem-
poraneamente rafforzava i propositi ruggeriani di una Chiesa
siciliana emancipata da Roma e legata strettamente alla monarchia
normanna56.
Se questa dicotomia è evidente soprattutto nei grandi cantieri
religiosi, dove in un progetto archi- tettonico intriso di elementi
islamici si innesta un
apparato figurativo di tipo bizantino57, è possibile 7
comunque ritrovarla anche in manufatti di com- mittenza più
modesta, come i manoscritto bilingue Marc. gr. 539, un Tetravangelo
in greco e arabo re- alizzato probabilmente per la comunità
cristiana arabofona58. Realizzato da due scribi, uno di ori- gine
greca e l’altro nordafricano, che lavorarono contemporaneamente
come suggerisce l’uso dei medesimi inchiostri nero e rosso usati
per la stesura del testo, il codice è vergato sulla colonna di
sinistra in un’elegante minuscola di tipo Perlschrift59 mentre
sulla destra la grafia araba è riconducibile all’area
nordafricana60. Al f. 1r, ampiamente rovinato, e so- prattutto al
f. 76r /Fig. 7/ sopravvivono due testate ornamentali in
“Blütenblatt ornamentik”61, ognuna con i rispettivi Evangelisti
Matteo e Marco ritratti entro riquadri. L’artista si mostra
aggiornato sui più recenti sviluppi della miniatura
costantinopolitana: i panneggi e la posa dell’evangelista Marco
richia- mano gli esempi più alti dell’atelier del Maestro di
Kokkinobaphos, come ad esempio nell’Ottateuco del Serraglio (Topkap
Saray Müz., 8), opera riccamente miniata commissionata dal
sebastokrátor Isacco Comneno62, ma il suo volto elegante si
discosta dal tipo triangolare largamente in uso nell’atelier di
Kokkinobaphos avvicinandosi piuttosto allo stile degli artisti
legati al monastero di San Giovanni Prodromo di Petra, autori del
Tetravangelo Marc. gr. 540 63e del Vangelo Ms. Felton 710/5 della
Na- tional Gallery of Victoria a Melbourne64.
9 / Danza di Miriam, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, Vat. gr. 752, f. 449v
10 / San Marco. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Marc. gr.
539, f. 76r
161
La soluzione originale proposta da Ruggero II e dalla sua corte
viene dunque accolta anche a livelli più modesti di produzione
artistica, alimentando il progetto normanno. Burbank e Cooper hanno
re- centemente sostenuto che ideologia e pratica impe- riale si
connotano come “politica delle differenze”65, e Ruggero II perseguì
quest’ideale anche attraverso un uso strumentale dell’arte: ne è un
esempio quan- tomai emblematico il vaso in cristallo di rocca
inviato come dono a Teobaldo II, conte di Champagne, ed oggi
conservato al Louvre. La brocca, di chiara ori- gine fatimide, fu
impreziosita da un coperchio in oro con decorazione “a vermicelli”
tipica dell’ore- ficeria palermitana, connotandosi dunque come
un
(2012) 2, pp. 95–120, in part. p. 108. 57 Ingamaj Beck lo definì
appunto “The Sicilian Dilemma”, e cioè “the clash
between Byzantine mosaic decoration and Arab architectural
tradition”; cfr, Idem, “The Sicilian Dilemma. The clash between
Byzantine mosaic decoration and Arab architectural tradition”, in
Actes du XIV Congrès International des Etudes Byzantines,
(Bucarest, 6–12 settembre 1971), 3 voll., III, Bucarest 1976, pp.
285–287.
58 Italo Furlan, Codici greci illustrati della Biblioteca Marciana.
IV, Milano 1981, pp. 20–22; Francesco Lovino, “The case of the
Greek-Arabic Gospel (Marc. Gr. 539)”, in Multilingual and
multigraphic documents and manuscripts of East and West, a cura di
Giuseppe Mandalà e Inmaculada Pérez Martin (in corso di
stampa).
59 Santo Lucà e Sebastiano Venezia, “Frustuli di manoscritti greci
a Troina in Sicilia”, Erytheia, 31 (2010), pp. 75–132, in part. p.
87.
60 Angelo Michele Piemontese, “Codici greco-latino-arabi in Italia
fra XI e XV secolo”, in Libri, documenti, epigrafi medievali:
possibilità di studi com- parativi, Atti del convegno
internazionale di studio dell’Associazione italiana di Paleografi e
Diplomatisti (Bari, 2–5 ottobre 2000), a cura di Francesco
Magistrale, Corina Drago Tedeschini, Paolo Fioretti, Spoleto 2002,
pp. 445–466, in part. p. 460.
61 Kurt Weitzmann, Die byzantinische Buchmalerei des 9. und 10.
Jahrhun- derts, Berlino 1935 (rist. Vienna 1996), pp. 22–24.
62 Jeffrey C. Anderson, “The Seraglio Ochtateuch and the Kokkino-
baphos Master’, Dumbarton Oaks Papers, 36 (1982), pp. 83–114, in
part. pp. 101–102; Irmgard Hutter e Paul Canart, Das Marienhomiliar
des Mönchs Jakobos von Kokkinobaphos: Codex vaticanus graecus 1162,
Zürich 1991, p. 17; Kalliroe Linardou, “The Kokkinobaphos
Manuscripts Re- visited: the internal evidence of the books”,
Scriptorium, LXI/2 (2007), pp. 384–407, in part. pp. 384–387.
63 Italo Furlan, Codici greci illustrati della Biblioteca Marciana.
II, Padova 1979, pp. 13–18.
64 Hugo Buchtal, “An Illuminated Byzantine Gospel Book of About
1100”, Special Bulletin of the National Gallery of Victoria, 1961,
pp. 1–12; Robert S. Nelson, “Theoktistos and Associates in
Twelfth-Century Constantinople: An Illustrated New Testamente of
a.d. 1133”, The J. Paul Getty Museum Journal, 15 (1987), pp. 53–78,
in part. pp. 63–64; Margaret M. Manion, The Felton Illuminated
Manuscripts in the National Gallery of Victoria, Melbourne 2005,
pp. 25–97.
65 Jane Burbank e Frederick Cooper, Empires in World History. Power
and the Politics of Difference, Princeton – Oxford 2010.
50 Luisa Palla, “Folia antiquissima, quibus Ilias obtegebatur.
Materiali per una storia dell’«Ilias picta» ambrosiana”, in Nuove
ricerche sui manoscritti greci dell’Ambrosiana, Atti del convegno
(Milano, 5–6 giugno 2003), (Bibliotheca erudita. Studi e documenti
di storia e filologia, 24), a cura di Carlo Maria Mazzucchi, Cesare
Pasini, Milano 2004, pp. 315–352.
51 L’episodio è narrato nel Χρονικ διγησις di Niceta Coniata; vedi
Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio (Narrazione
cronolog- ica), 2 voll., I, IV, 6, a cura di Anna Pontani et al.,
Milano 1994–1999, pp. 260–263.
52 Mazzucchi, “Venetus A” (n. 27), p. 428, n. 67. Mazzucchi
sottolinea inol- tre come il concorso fu vinto dalla figlia di
Raimondo di Poitiers, Maria, che attraverso la madre Costanza era
imparentata con gli Altavilla.
53 David Rollo, “Benoît de Sainte-Maure’s Roman de Troie: Historio-
graphy, Forgery, and Fiction”, Comparative Literature Studies, 32/2
(1995), pp. 191–225.
54 Baudri de Bourgeil, Adele Comitissae, in Poèmes, 2 voll., II, a
cura di Jean-Yves Tilliette, Parigi 1998–2002, carmen 134, pp.
2–43.
55 Alex Metcalfe, Muslims and Christians in Norman Sicily. Arabic
Speakers and the End of Islam, London – New York 2003, pp.
34–39.
56 Umberto Bongianino, “Al-Hadra ar-Ruriyya. Arabismo e propa-
ganda politica alla corte di Ruggero II di Sicilia”, Arte
Medievale, IV 161
La soluzione originale proposta da Ruggero II e dalla sua corte
viene dunque accolta anche a livelli più modesti di produzione
artistica, alimentando il progetto normanno. Burbank e Cooper hanno
re- centemente sostenuto che ideologia e pratica impe- riale si
connotano come “politica delle differenze”65, e Ruggero II perseguì
quest’ideale anche attraverso un uso strumentale dell’arte: ne è un
esempio quan- tomai emblematico il vaso in cristallo di rocca
inviato come dono a Teobaldo II, conte di Champagne, ed oggi
conservato al Louvre. La brocca, di chiara ori- gine fatimide, fu
impreziosita da un coperchio in oro con decorazione “a vermicelli”
tipica dell’ore- ficeria palermitana, connotandosi dunque come
un
(2012) 2, pp. 95–120, in part. p. 108. 57 Ingamaj Beck lo definì
appunto “The Sicilian Dilemma”, e cioè “the clash
between Byzantine mosaic decoration and Arab architectural
tradition”; cfr, Idem, “The Sicilian Dilemma. The clash between
Byzantine mosaic decoration and Arab architectural tradition”, in
Actes du XIV Congrès International des Etudes Byzantines,
(Bucarest, 6–12 settembre 1971), 3 voll., III, Bucarest 1976, pp.
285–287.
58 Italo Furlan, Codici greci illustrati della Biblioteca Marciana.
IV, MilanoVV 1981, pp. 20–22; Francesco Lovino, “The case of the
Greek-Arabic Gospel (Marc. Gr. 539)”, in Multilingual and
multigraphic documents and manuscripts of East and West, a cura di
Giuseppe Mandalà e Inmaculadat Pérez Martin (in corso di
stampa).
59 Santo Lucà e Sebastiano Venezia, “Frustuli di manoscritti greci
a Troina in Sicilia”, Erytheia, 31 (2010), pp. 75–132, in part. p.
87.
60 Angelo Michele Piemontese, “Codici greco-latino-arabi in Italia
fra XI e XV secolo”, in Libri, documenti, epigrafi medievali:
possibilità di studi com- parativi, Atti del convegno
internazionale di studio dell’Associazione italiana di Paleografi e
Diplomatisti (Bari, 2–5 ottobre 2000), a cura di Francesco
Magistrale, Corina Drago Tedeschini, Paolo Fioretti, Spoleto 2002,
pp. 445–466, in part. p. 460.
61 Kurt Weitzmann, Die byzantinische Buchmalerei des 9. und 10.
Jahrhun- derts, Berlino 1935 (rist. Vienna 1996), pp. 22–24.
62 Jeffrey C. Anderson, “The Seraglio Ochtateuch and the Kokkino-
baphos Master’, Dumbarton Oaks Papers, 36 (1982), pp. 83–114, in
part. pp. 101–102; Irmgard Hutter e Paul Canart, Das Marienhomiliar
des Mönchs Jakobos von Kokkinobaphos: Codex vaticanus graecus 1162,
Zürich 1991, p. 17; Kalliroe Linardou, “The Kokkinobaphos
Manuscripts Re- visited: the internal evidence of the books”,
Scriptorium, LXI/2 (2007), pp. 384–407, in part. pp. 384–387.
63 Italo Furlan, Codici greci illustrati della Biblioteca Marciana.
II, PadovaI 1979, pp. 13–18.
64 Hugo Buchtal, “An Illuminated Byzantine Gospel Book of About
1100”, Special Bulletin of the National Gallery of Victoria, 1961,
pp. 1–12; Robert S. Nelson, “Theoktistos and Associates in
Twelfth-Century Constantinople: An Illustrated New Testamente of
a.d. 1133”, The J. Paul Getty Museum Journal, 15 (1987), pp. 53–78,
in part. pp. 63–64; Margaret M. Manion, The Felton Illuminated
Manuscripts in the National Gallery of Victoria, Melbourne 2005,
pp. 25–97.
65 Jane Burbank e Frederick Cooper, Empires in World History. Power
and the Politics of Difference, Princeton – Oxford 2010.
50 Luisa Palla, “Folia antiquissima, quibus Ilias obtegebatur.
Materiali per una storia dell’«Ilias picta» ambrosiana”, in Nuove
ricerche sui manoscritti greci dell’Ambrosiana, Atti del convegno
(Milano, 5–6 giugno 2003), (Bibliotheca erudita. Studi e documenti
di storia e filologia, 24), a cura di Carlo Maria Mazzucchi, Cesare
Pasini, Milano 2004, pp. 315–352.
51 L’episodio è narrato nel Χρονικ διγησις di Niceta Coniata; vedi
Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio (Narrazione
cronolog- ica), 2 voll., I, IV, 6, a cura di Anna Pontani et al.,
Milano 1994–1999, pp. 260–263.
52 Mazzucchi, “Venetus A” (n. 27), p. 428, n. 67. Mazzucchi
sottolinea inol- tre come il concorso fu vinto dalla figlia di
Raimondo di Poitiers, Maria, che attraverso la madre Costanza era
imparentata con gli Altavilla.
53 David Rollo, “Benoît de Sainte-Maure’s Roman de Troie: Historio-
graphy, Forgery, and Fiction”, Comparative Literature Studies, 32/2