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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE … · 2015. 7. 22. · romana. C’è da...

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TESI DI LAUREA Valorizzazione di un vitigno autoctono valtellinese: il caso della Brugnola RELATORE Chiarissimo Prof. Lucio Brancadoro CANDIDATO Debora Duico Matr. 782747 ________________________________________ Anno Accademico 2012/2013 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI Corso di Laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano
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TESI DI LAUREA

Valorizzazione di un vitigno autoctono valtellinese: il caso della Brugnola

RELATORE Chiarissimo Prof. Lucio Brancadoro

CANDIDATO Debora Duico

Matr. 782747

________________________________________ Anno Accademico 2012/2013

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANOFACOLTÀ DI SCIENZE AGRARIE E ALIMENTARI

Corso di Laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano

Ai miei genitori

INDICE pag.

Introduzione I

1 Storia della viticoltura valtellinese 1 1.1 Le origini della viticoltura 11.2 Le prime vie di diffusione 11.3 Gli albori dei siti vitati in Valtellina 31.4 Le “malattie” d’Oltreoceano 41.5 La documentazione sulle varietà dei vitigni locali 51.6 Nascita e sviluppo della tecnica vivaistica 71.7 Fase sperimentale per il miglioramento della viticoltura valtellinese 81.8 Istituzione dei marchi DOC e DOCG 91.9 Il progetto della Fondazione Fojanini di Sondrio 9 2 La Valtellina. Le sue caratteristiche e i suoi vini 11 2.1 Collocazione geografica della Valtellina 112.2 La geopedologia 122.3 Il clima 132.4 L’area vitata 132.5 Il paesaggio rurale 152.6 I sistemi di coltivazione e i costi economici 162.7 La dislocazione delle aziende agricole 162.8 I vitigni 172.9 Istituzione delle Denominazioni di Origine 192.9.1 I DOC 202.9.2 I DOCG 202.9.3 Gli IGT 22 3 La Brugnola 23 3.1 Introduzione e storia 233.2 Caratteristiche ampelografiche 243.3 Fenologia 253.4 Caratteristiche e attitudini colturali 263.5 Superficie di coltivazione 273.6 Utilizzo 28 4 Selezione clonale e vinificazioni 29 4.1 La selezione clonale della Brugnola 294.1.1 Introduzione e definizione 29

4.1.2 L’attività della Fondazione Fojanini 314.1.3 Selezione massale e identità genetica 314.1.4 Lo studio sulla Brugnola 324.1.5 Risultati dello studio 394.2 Vinificazioni e analisi 394.2.1 Vinificazione della Brugnola 404.2.2 Vinificazione dello Sforzato di Valtellina DOCG 424.2.3 Vinificazione del Passito di Brugnola 434.2.4 Confronto dei risultati ottenuti 46 Conclusioni 48 Allegato A

Ringraziamenti Bibliografia

I

Introduzione

Nel lavoro di tesi che si va a presentare, viene dato particolare risalto alla descrizione di

un tipico vitigno valtellinese, vale a dire la Brugnola, valorizzando quelle che sono le sue

peculiarità che, se adeguatamente “coltivate”, possono rappresentare potenzialità inedite

per questa varietà autoctona. La scelta di questo argomento di tesi prende le mosse

dall’esperienza di tirocinio effettuato presso la Fondazione Fojanini di Studi Superiori di

Sondrio, capoluogo della Provincia in cui vivo. La decisione di incentrare questa mia espe-

rienza nel campo della viticoltura deriva dal fatto che da sempre sono a stretto contatto con

questo ramo dell’agricoltura, in quanto la mia famiglia possiede degli appezzamenti vitati.

Per questo motivo, mi è sembrato molto interessante poter cogliere l’occasione di appro-

fondire questo settore dell’agricoltura valtellinese, ampliando così le mie conoscenze pres-

so il Centro Fojanini dove, accanto alle uscite sul “campo”, nelle quali avevo già delle

esperienze, ho potuto apprezzare la parte di laboratorio, a me fin’ora sconosciuta, dove mi

è stata data la possibilità di assistere alle varie analisi sui mosti e sui vini, nonché visionare

i vari procedimenti e macchinari utilizzati per questo tipo di esami.

Entrando nello specifico dell’elaborato, esso si articola su vari livelli. Partendo dal capi-

tolo 1, si illustra la storia della viticoltura valtellinese, sottolineando la particolarità di tale

territorio valligiano che, situato nel cuore delle Alpi, da sempre ha rappresentato un impor-

tante crocevia tra le popolazioni locali e quelle dei territori circostanti. Le sue numerose

vie di passaggio dislocate lungo tutta la Valtellina, infatti, l’hanno resa, nel corso dei seco-

li, un’importante via di comunicazione tra il Nord Italia e gli Stati confinanti, nonché un

luogo d’incontro tra numerose culture. A tale proposito, il caso emblematico della viticol-

tura trova qui la sua massima espressione; in effetti, l’introduzione della vite in questa val-

le alpina ha portato alla realizzazione, non solo di una specifica tecnica di allevamento del-

la stessa (l’archetto valtellinese), ma anche di un’opera meravigliosa e unica qual è

l’insieme dei terrazzamenti vitati che ornano la sponda retica della suddetta valle. Al IX

secolo, nel Codex Diplomaticus Langobardiae, risale la prima fonte documentaria della ra-

dicata coltivazione della vite in valle, che nei secoli successivi vede una progressiva espan-

sione fino al 1800, quando la comparsa dell’Oidio, Peronospora e Fillossera, patologie

americane sconosciute nel vecchio Continente, devastano buona parte dei vigneti valtelli-

nesi. Gli anni successivi impegnano il mondo rurale valligiano nella ricostituzione dei vi-

gneti su piede americano e, nel secolo scorso, la creazione di vigneti sperimentali permette

II

lo studio e l’introduzione di nuove varietà con l’intento di migliorare la produzione enolo-

gica locale. Grazie a ciò, si arriva a ottenere, nel 1968, la Denominazione di Origine Con-

trollata (DOC) vino Valtellina e vino Valtellina Superiore, alla quale segue, nel 1998, la

Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) per l’area di produzione del

vino Valtellina Superiore DOC. Tutto questo a sottolineare come in Valtellina, territorio

apparentemente austero e inadatto all’agricoltura, la viticoltura si sia fortemente radicata

grazie alla perseveranza e alla tenacia dei suoi abitanti che, da sempre, hanno saputo far

fronte a innumerevoli difficoltà, tanto da meritarsi l’appellativo di “viticoltura eroica”.

Dopo questo escursus sulle origini della viticoltura in Valtellina, si passa, nel capitolo 2,

alla descrizione morfologica del territorio locale, oltre che all’analisi del suolo e del clima i

quali, con le loro particolarità, determinano anche le tipiche caratteristiche dei vini ivi pro-

dotti. La particolare impostazione di questa valle, posta orizzontalmente da est a ovest, fa

sì che la viticoltura si sia sviluppata esclusivamente sul versante retico esposto a sud, il

quale è caratterizzato, a causa del maggior irraggiamento solare, da valori di temperatura

più elevati a parità di quota rispetto al versante orobico. Viene poi illustrata la superficie

vitata, pari a circa 1200 ettari e l’annesso paesaggio rurale, soffermandosi anche sulla ca-

ratteristica forma di allevamento, ovvero l’archetto valtellinese, e i principali vitigni colti-

vati. Infine, si fa un’ampia carrellata dei vari tipi di vini DOC e DOCG prodotti.

Nel capitolo 3, si entra nello specifico del soggetto principale di questo elaborato, vale a

dire la Brugnola, il vitigno valtellinese che partecipa all’uvaggio nella produzione dei vini

classici di Valtellina e al quale è riconosciuta la duplice attitudine di uva da tavola e da vi-

no. Di questa varietà, citata già nel 1700 come vitigno presente in valle, vengono, nello

specifico, analizzate le sue caratteristiche ampelografiche e l’area di diffusione, oltre che i

vari modi di impiego.

Andando oltre, si passa alla sezione (capitolo 4) in cui vengono descritti la selezione

clonale della Brugnola e le vinificazioni, con relative analisi di due vini, quello tradiziona-

le e il Passito, della suddetta varietà e dello Sforzato di Valtellina DOCG. Da più di un de-

cennio la Fondazione Fojanini di Sondrio si occupa con successo dello studio della piatta-

forma ampelografica provinciale; la localizzazione e l’individuazione dei vitigni di antica

coltivazione, resa possibile grazie ad un lavoro di riconoscimento a partire dai primi anni

‘90, costituisce il punto di partenza per il lavoro di qualificazione e valorizzazione di que-

sto prezioso patrimonio ampelografico legato al territorio e a rischio estinzione. È in questo

contesto che ha preso piede lo studio sulla Brugnola e, grazie alla collaborazione con la se-

III

zione Di.Pro.Ve. (Dipartimento di Produzione Vegetale) dell’Università degli Studi di Mi-

lano, è stato possibile, nell’ambito del suddetto progetto di selezione dei vitigni autoctoni

valtellinesi, confutare la tesi originaria che considerava tale vitigno equivalente alla Forta-

na.

Al termine di questa mia esperienza di tirocinio mi ritengo molto soddisfatta, in quanto

mi ha permesso di addentrarmi in un campo che molto spesso rimane sconosciuto ai più. Il

lavoro di ricerca svolto dalla Fondazione Fojanini sulla Brugnola e, più in generale, sui vi-

tigni autoctoni valtellinesi, dimostra quanto lavoro è stato fatto e in parte rimane ancora da

svolgere affinché vengano riportate alla luce antiche varietà che, altrimenti, andrebbero

purtroppo perse. Questo a testimonianza che la viticoltura valtellinese racchiude in sé un

importantissimo patrimonio storico e materiale, che, grazie a queste laboriose ricerche, po-

trà essere sfruttato negli anni a venire per ampliare il panorama vitivinicolo locale e, per-

ché no, anche il sapere collettivo della popolazione valtellinese che da sempre è legata,

traendone beneficio, alla viticoltura.

1

1. Storia della viticoltura valtellinese

1.1 Le origini della viticoltura

La coltura della vite in Valtellina ha origini antiche, che risalgono ai primi abitatori del-

la valle in epoca preromana.

I principali processi evolutivi genetici della

vite risalgono all’età Mesolitica e Neolitica

(6000-3000 a.C.), periodo caratterizzato per

l’ottimo momento climatico post-glaciale,

durante il quale si ha la progressiva tra-

sformazione della vite selvatica (Vitis vini-

fera ssp. sylvestris) in vite coltivata (Vitis

vinifera ssp. sativa) e il conseguente inizio

della domesticazione. Tuttavia, laddove vi

erano le civiltà più evolute, in particolare

nell’Oriente Asiatico, ritenuto il centro primario di origine della Vitis vinifera sativa, que-

sta evoluzione viticola avviene assai prima,

non avendo subito la glaciazione di Würm.

L’origine di alcuni vitigni Europei della

specie Vitis vinifera sativa trova, infatti, ra-

dici comuni in Asia Minore (Georgia) do-

ve, già nel 6000 a.C., venivano coltivati ed

erano stati selezionati molti vitigni; inoltre,

in quei luoghi e in quei tempi era già diffu-

sa, oltre alla pratica della potatura, la cono-

scenza della tecnica di vinificazione in sen-

so industriale.

1.2 Le prime vie di diffusione

Successivamente, la vite si diffonde in Europa attraverso due principali vie migratorie:

una, risalendo il corso del fiume Danubio verso i paesi del Nord Europa e l’altra via mare,

raggiungendo i paesi del bacino mediterraneo. All’epoca, nelle regioni alpine la vite cre-

Vitis vinifera ssp. sylvestris

Vitis vinifera ssp. sativa

2

sceva spontanea allo stato selvatico e le prime comunità indigene utilizzavano le sue bac-

che come frutto, fatto che porta l’uomo a utilizzare e selezionare le piante produttrici di

uva migliore, propagandole poi per seme. L’evoluzione umana e culturale dei gruppi au-

toctoni, nonché l’integrazione e gli scambi con le popolazioni esterne, favorisce il processo

di domesticazione della vite, con il consequenziale miglioramento delle tecniche della col-

tivazione e relativa vinificazione.

Dalla crescita spontanea in ambiente naturale boschivo, la vite viene, quindi, posta in fi-

lari alberati lungo i bordi dei campi, fino ad arrivare a piccole vigne intercalate tra semina-

tivi, prati e boschi. Per ciò che concerne la Valtellina, si ritiene che il ritmo del percorso

evolutivo della vite sia stato influenzato

dalla migrazione di popolazioni diverse

provenienti sia dal Nord Europa (Galli)

che dall’area mediterranea (Etruschi e Li-

guri), ancor prima della colonizzazione

romana. C’è da specificare che, mentre gli

Etruschi non avevano l’abitudine di potare

le viti, ma di affidarne la crescita a sostegni

vivi (vite maritata) come alberi di pioppo,

acero, olmo, gelso in coltura promiscua, i Liguri attuavano la potatura e l’innesto, allevan-

do le viti a ceppo basso in coltura pura. La romanizzazione ha poi contribuito

all’espansione della coltivazione della vite, tant’è che l’importanza della viticoltura e la

produzione del vino in questo periodo è do-

cumentata dagli autori classici latini, nelle cui

opere si trovano le prime testimonianze sui

principali vitigni coltivati.

Dall’età barbarica al primo Medioevo, con

l’insediamento in valle degli Ungari e succes-

sivamente dei Bizantini, Longobardi e Fran-

chi, pochi sono i riferimenti sulla vite. La pa-

storizia, infatti, diventa l’attività dominante e

la vite viene coltivata solo ai bordi dei campi,

con una produzione destinata all’autoconsumo e al commercio locale. È in epoca Carolin-

gia che iniziano i primi lavori di dissodamento degli incolti, in particolare nella bassa valle

Vite maritata

Vite a ceppo basso

3

e la realizzazione di piccole vigne a ordinamento promiscuo, intercalate a seminativi o as-

sociate a specie arboree. Questo periodo si caratterizza, inoltre, per un miglioramento della

fase climatica che perdura fino al 1200 d.C..

1.3 Gli albori dei siti vitati in Valtellina

È dal Codex Diplomaticus Langobardiae che si ricavano le prime fonti documentarie

certe sulla coltivazione della vite in valle relative ad atti di compravendita e di locazione di

vigneti ubicati nella bassa valle; in particolare, il primo documento è datato Delebio 18 di-

cembre 837. Nei secoli XIII-XV si assiste ad un consistente sviluppo della coltura della vi-

te. Nel 1400, il commercio del vino si amplia, favorito da nuove vie di comunicazione

(passi Spluga, Maloja e Septimer), da accordi con i Grigioni e privilegi con il contado di

Bormio e Chiavenna così che il prodotto raggiunge zone d’oltralpe come Svizzera e Ger-

mania. Nel 1512, il distacco della Valtellina dal Ducato di Milano e il passaggio, con Bor-

mio e Chiavenna, alla dipendenza del dominio delle Tre Leghe (stato che diventerà

l’attuale Canton Grigioni in Svizzera), crea le condizioni favorevoli per lo sviluppo inten-

sivo della viticoltura. Dal 1500 al 1800 compreso, si assiste a un’ulteriore espansione della

superficie vitata e si verifica il massimo sfruttamento dei terreni disponibili grazie alla rea-

lizzazione dei terrazzamenti, opera che modifica profondamente la morfologia del territo-

rio e lo arricchisce di una struttura muraria monumentale, tutt’oggi pressoché unica nel pa-

norama europeo, tanto da porli candidati a far parte del patrimonio dell’Unesco.

Gottlieb Kypfeler in Delices de la Suisse (1714), riguardo alla Valtellina afferma che «il

vino è ciò che vi ha di più considerevole e la più grande entrata del paese, i filari vi portano

dei grappoli d’una grandezza prodigiosa e ve n’ha di tali grappoli che hanno fino 450 e 460

grani d’uva. Il vino è squisitissimo è assai stimato in tutto il paese all’intorno». Anche lo

storico Fortunat Sprecher Von Bernegg in Pallas Rhaetica armata et togata (1617), riporta

le stesse affermazioni e dichiara che «giornalmente si vendeva fuori paese più di cento so-

me», intendendo per soma quanto può portare un cavallo (circa 130 litri). Romegialli

(1614/1642?), parla di 14400 pertiche locali di vigneti e una produzione media annua di

35000 brente di vino, mentre lo storico Pietro Angelo Lavizzari, nel libro Delle Memorie

Istoriche della Valtellina (1716), parla di 45 miglia continue di vigneti terrazzati. Nel 1853

l’Imperial Regia Giunta del censimento, con la formazione delle tariffe d’estimo catastale

4

per l’attuazione del nuovo censo (imposta erariale), registrava in 54456 pertiche metriche

(79151 pertiche locali) il terreno vitato nella provincia di Sondrio.

1.4 Le “malattie” d’Oltreoceano

Questa fase estremamente favorevole per la viticoltura, si interrompe bruscamente con

la comparsa dell’Oidio (Uncinula necator)1,

patologia fino ad allora sconosciuta che, con

la sua azione virulenta incontrastata, porta,

nel decennio 1849-1859, alla devastazione di

buona parte dei vigneti, con la moria di oltre

metà delle viti e la caduta vertiginosa della

produzione vinicola provinciale. Questa ca-

lamità arreca un grosso danno all’economia

valtellinese, basata principalmente sulla pro-

duzione e il commercio del vino, tanto da in-

durre Luigi Torelli, governatore della Pro-

vincia, a fondare nel 1856 la Società Agraria

Valtellinese con lo scopo specifico di creare

vivai a Sondrio e Tirano per migliorare la

produzione di viti selezionate delle migliori

qualità locali, da distribuire per il rinnovo e

il ripristino dei vigneti distrutti

dall’infestazione fungina.

Sempre nello stesso periodo, si attiva la

Commissione Ampelografica2 Provinciale,

presieduta dal dr. Carlo Gerini, con il compito di censire e catalogare i vitigni coltivati nel-

1 L’Uncinula necator (forma conidica Oidium tuckeri) è un fungo fitopatogeno della famiglia delle Erysi-

phaceae, agente eziologico dell'Oidio o Mal bianco della vite. L'Oidio si manifesta con macchie pulverulente grigio-biancastre che ricoprono gli organi verdi della pianta, con una graduale decolorazione della foglia, che prima ingiallisce e successivamente si secca; a volte, il fungo colpisce solo il centro della foglia. L'umidità sommata al caldo e alla scarsa aerazione contribuisce, specialmente in primavera e in autunno, all'insorgere dell'Oidio, che si manifesta in una fascia di temperatura che va dagli 8°C fino ai 30°C.2 L'ampelografia [dal greco ������� (ampelos) = vite + ��� (grafia) = descrizione] è la disciplina che studia, identifica e classifica le varietà dei vitigni attraverso schede descriventi le caratteristiche dei vari or-gani della pianta nel corso delle diverse fasi di crescita. La terminologia e le modalità d’impiego sono stabili-te a livello internazionale e le misure trovate vengono poi convertite in indici biometrici.

Oidio (Uncinula necator)

Peronospora (Plasmopara viticola)

5

la valle dell’Adda. Questo lavoro porta alla stesura di un documento datato 18 dicembre

1882, parte integrante del fascicolo XVII° del bollettino ampelografico anno 1884. Tale

documento evidenzia che la vite era coltivata tan-

to in Valtellina, su entrambe le sponde (retica e

orobica) del territorio compreso tra il comune di

Grosio e quello di Delebio, quanto in Valchia-

venna, da Verceia a Villa di Chiavenna, interes-

sando in tutto 55 comuni, per un’estensione di

6489,5 ettari. Le varietà coltivate e censite sono

complessivamente 33, ma si annota anche la pre-

senza di altri vitigni, sia a bacca rossa che bianca

dei quali però non si riporta la denominazione. Il

vitigno maggiormente diffuso risulta essere la varietà Chiavennasca, che copre circa un

terzo della superficie totale con i tipi Comune, Piccola e Intagliata. Pochi anni dopo,

nell’agosto del 1880, la Peronospora (Plasmopara viticola)3 si diffonde sui vigneti nei din-

torni di Colico per espandersi rapidamente su tutta l’area vitata della Provincia; mentre più

tardi, nel 1906-1907, l’arrivo della Fillossera (Daktulosphaira vitifoliae)4, impegna il mon-

do rurale valtellinese nella ricostituzione dei vigneti su piede americano.

1.5 La documentazione sulle varietà dei vitigni locali

È Pietro Ligari che, nelle familiari annotazioni Ragionamenti di Agricoltura (1752), ha

il merito di descrivere, per la prima volta, le “sorti” (varietà) di Chiavennasca, oltre che

segnalare altri vitigni, tra cui la Rossola, la Brugnola, la Bresciana, la Balsamina, la Ram-

3 La Plasmopara viticola è un microrganismo appartenente alla classe degli Oomycota, originario dell’America e importato accidentalmente in Francia intorno al 1878, da cui si è poi diffuso in tutta Europa. La peronospora causa una tipica malattia a ciclo fortemente influenzato dalle condizioni climatiche e, ad og-gi, è una delle più pericolose malattie della vite, diffusa in molte regioni italiane ed europee. Le foglie mag-giormente colpite si necrotizzano e cadono precocemente. Le infiorescenze sono estremamente sensibili al patogeno, così come i “grappolini” che prima e durante la fase di fioritura se colpiti ingialliscono e assumono una tipica forma ad “S” per poi disseccare completamente. Nel grappolo, tra la fase di allegagione e chiusura dei grappoli e in condizioni di bassa umidità relativa, si ha l’imbrunimento e il disseccamento, parziale o to-tale, di acini e grappoli, i quali solitamente assumono una forma ad uncino. 4 La Daktulosphaira vitifoliae è un insetto della famiglia delle Phylloxeridae. Questo dannoso fitofago della vite, originario del Nord America, è comparso in Europa nella seconda metà dell’Ottocento e attualmente è diffuso in tutti i paesi viticoli del mondo. Tale insetto, che attacca le radici delle specie europee e l'apparato aereo di quelle americane (Rupestris, Berlandieri e Riparia) provoca, in breve tempo, la morte delle prime e gravi danni alle seconde.

Fillossera (Daktulosphaira vitifoliae)

6

pina, la Negriera, nonché altre “spezzie” (tipi) a bacca bianca, quali la Moscatellona, la

Moscatella e la Comune, così identificata perché la più diffusa. Un’analisi qualificata ci

proviene, inoltre, dallo studio di Heinrich Ludwig Lehmann, viaggiatore tedesco, in Die

Landschaft Veltlin (1797), che evidenzia oltre trenta varietà di uve coltivate e sostiene «che

la Chiavennasca sia la più eccellente e prelibata uva».

Giuseppe Filippo Massara, in Prodromo della Flora Valtellinese (1834), scrive inoltre:

gli agricoltori nostri chiamano vere vigne quelle che si trovano in pendio (ronchi) e fondi piantati a vi-te quelle altre vigne che sono in parte piana o quasi piana, sebbene poste sul fianco della montagna; e l’uva delle prime situazioni estimasi di un valore quasi doppio di quella delle altre. Poi le diverse sor-te di uve producono diversa sorte di vini; il migliore si ottiene dalla cosiddetta Chiavennasca o sola o mista alla Rossola od alla Brugnola. Le vigne di Sassella (Sondrio), di Grumello (Montagna), e dell’Inferno (Pendolasco), nel primo distretto, producono li più famosi vini, siccome quelle le di cui viti si trovano nelle situazioni ed esposizioni più sopra stabilite e la cui uva è quasi sempre la Chia-vennasca mista talvolta alla Rossola ed alla Brugnola.

In questi anni, si pensa anche di introdurre, nelle zone della Provincia messe a vigneto,

nuove varietà, presumibilmente resistenti all’Oidio, al fine di studiarne l’adattabilità alle

condizioni climatiche estremamente variabili del territorio alpino, oltre che per perfeziona-

re le caratteristiche organolettiche dei vini locali. Da questa sperimentazione, alle tradizio-

nali viti di paese (Chiavennasca, Pignola e Rossola) si affianca la coltivazione di numerose

viti forestiere, tra cui Anrè ortaieber, Auvergnat nero, Barbera, Bordeaux blanc e noir,

Bourgogne blanc e rouge, Bracchetto, Carì nero di Piemonte, Frontignano, Grignolino,

Madera, Malvasia d’Asti e bianca, Montepulciano, Nibiolo, Pinneau franc, Teinturier e

Uvarino.

Tuttavia, proseguendo nel riportare le fonti storiche, Barbieri in Lettere Agricole (1873),

non manca di raccomandare e consigliare ai viticoltori di limitare il numero dei vitigni col-

tivati alla sola Chiavennasca e Rossola, per la bontà superiore delle loro uve, allo scopo di

caratterizzare il vino locale ed essere meglio rispondente alle nuove esigenze di mercato,

come anche Carlo Gerini, che nella Monografia della Viticoltura in Valtellina (1883), così

recita: «il viticoltore valtellinese no ha fare grande studio per procedere nella scelta delle

varietà dei vitigni che meglio gli convengono. Egli sa infatti, ed è per lui principio indiscu-

tibile, che due sole sono le varietà di vitigni, il Chiavennasco ed il Rossolo, che gli convie-

ne coltivare nei vigneti e dove non solo si coltiva per la qualità, ma per la quantità ad un

tempo».

7

1.6 Nascita e sviluppo della tecnica vivaistica

Negli anni successivi, data la rapida diffusione del nuovo parassita, agente della Fillos-

sera, si propone l’impiego di ceppi americani come soggetti da innesto per formare viti

“bimembri”, cioè costituite da un apparato radicale

(portainnesto o piede) di vite americana resistente

alla Fillossera e da un apparato aereo (marza) di vi-

te europea; ha così origine la barbatella5 e da que-

sto momento si sviluppa l’attività e la tecnica vi-

vaistica. Carlo Gerini, nel 1879, in veste di delega-

to governativo per la sorveglianza della Fillossera,

iniziò le prime prove volte alla ricerca e

all’individuazione di ceppi americani più resistenti

e alla verifica dell’adattamento ai nostri terreni e

all’affinità con le diverse varietà. L’iniziativa viene

ripresa all’inizio del nuovo secolo dal Comizio

Agrario (costituitosi nel 1867 dalla Società Agra-

ria) e dalla Cattedra Ambulante dell’Agricoltura

(organismo di consulenza tecnico-scientifica costi-

tuitosi in Sondrio nel 1902).

Nel 1903 si realizza, sempre a Sondrio, un vivaio di piante madri americane con 40 va-

rietà diverse e, con la direzione del dr. Cinzio Campi, si dà avvio a un’attività vivaistica

istituendo vivai a Sondrio, Ponte, Tovo di Sant’Agata, Morbegno e Chiavenna, con una no-

tevole produzione di barbatelle per soddisfare e garantire le richieste dei viticoltori. Nel

1907 furono 50000 le nuove barbatelle, la maggior parte prodotte in seguito a prenotazione

da parte dei viticoltori. Da precisare, la differenziazione dei portainnesti a seconda del ter-

reno in cui vengono messi a dimora; nello specifico:

� Riparia Grand Glabre e Riparia Gloire per i terreni più freschi e profondi;

� Riparia per Rupestris 3309, Riparia per Rupestris 3306, Riparia per Rupestris

101-14, Rupestris du Lot per le condizioni ordinarie, purché non si verifichi ec-

cezionale deficienza di terra; 5 La barbatella, detta anche “talea” o “magliuolo”, è un frammento di germoglio gemmifero che viene stac-cato ad arte da un individuo vegetale e messo nel terreno o in altro composto adatto (sabbia, segatura, acqua) dove, se le condizioni sono favorevoli, sviluppa in vicinanza della base recisa, più o meno presto, radici av-ventizie e cresce quale individuo autonomo.

Barbatelle

8

� Berlandieri per Riparia 420A, Berlandieri per Riparia 420B, Berlandieri per

Riparia 34, Berlandieri per Riparia 157-11 per i terreni di minor profondità.

L’apertura di nuove vie di comunicazione (San Bernardino nel 1820 e traforo del Got-

tardo nel 1882) e il miglioramento della rete viaria interna su strada e rotaia, consente ai

nostri tradizionali clienti d’oltralpe di raggiungere nuovi mercati maggiormente concorren-

ziali, anche se con produzioni di qualità inferiore così che il mercato del vino valtellinese

ne risene pesantemente, in quanto il Canton Grigioni rimane l’unico sbocco di esportazione

del nostro prodotto. Sono queste le premesse che portano alla “crisi vinicola valtellinese”

che si acuisce nei primi decenni del secolo scorso (1930).

1.7 Fase sperimentale per il miglioramento della viticolture valtellinese

In tempi successivi (1953), la CCIAA (Camera di Commercio Industria Artigianato e

Agricoltura) di Sondrio e l’IPA (Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura), sensibili a que-

sto problema, istituiscono un vigneto sperimentale in località Fiorenza, nel comune di Tre-

sivio. La sperimentazione si orienta all’identificazione dei vitigni capaci di migliorare le

nostre produzioni enologiche e, quindi, di favorirne l’introduzione nei nuovi impianti. È in

tale fase che, accanto ai nostri vitigni classici già acclimatati, si avvia la coltivazione di

nuovi vitigni importati da altre regioni. La comparazione avviene infragruppo, nello speci-

fico per i vitigni locali a bacca rossa si ha l’insieme di Bressana, Chiavennasca, Pignola e

Rossola; per quelli d’importazione, sempre a bacca rossa, il gruppo è formato da Cabernet

franc e sauvignon, Ciliegiolo, Merlot, Pinot nero e Sangiovese; infine, per quelli a bacca

bianca vengono confrontati Pinot bianco e grigio e Riesling renano.

Nel 1958 viene effettuata la prima microvinificazione delle uve dei singoli vitigni sopra

menzionati presso la Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia di Conegliano Ve-

neto, sotto la direzione del Prof. Italo Cosmo; inoltre, vengono eseguite analisi chimiche e

organolettiche del vino mediante degustazione. I dati di cinque anni di lavoro vengono va-

lutati positivamente per i vitigni di Chiavennasca, Merlot, Pignola, Pinot nero, Pinot bian-

co e grigio e Riesling renano, dei quali si evidenzia la produzione di vini di qualità supe-

riore.

9

1.8 Istituzione dei marchi DOC e DOCG

Con l’istituzione della legge sulla tutela della denominazione dei vini (DPR 12/07/63

N° 930 G.U. N° 188 del 15/07/63) si ha il riconoscimento, nel 1968, della produzione viti-

vinicola Valtellinese con la Denominazione di Origine Controllata (DOC) vino Valtellina e

vino Valtellina Superiore. Questi disciplinari di produzione delimitano le zone tipiche per

la produzione del vino DOC e ne regolamentano la produzione a salvaguardia della qualità

e della tipicità del prodotto. L’area di produzione del vino Valtellina Superiore comprende

quattro sottozone con l’indicazione di Sassella, Grumello, Inferno e Vagella. Successiva-

mente, con il decreto del MiPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Fore-

stali) del 24 giugno 1998, si ottiene il riconoscimento qualitativo della Denominazione di

Origine Controllata e Garantita (DOCG) per l’area di produzione del vino Valtellina Supe-

riore DOC.

Per quanto riguarda, invece, le aree vitate poste fuori i confini delimitativi la zona a

DOC e DOCG, prendono la denominazione di Terrazze Retiche di Sondrio per la produ-

zione di vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT). Nel corso dell’anno 2002 si ottiene

il riconoscimento di una nuova sottozona denominata Maroggia DOCG, la modifica del

disciplinare di produzione vino Valtellina DOC in Rosso di Valtellina e l’introduzione di

un nuovo disciplinare di produzione del vino DOCG Sforzato di Valtellina. Questi vini so-

no ottenuti da uve Chiavennasca, alle quali concorrono altri vitigni a bacca rossa, apposi-

tamente indicati per la provincia di Sondrio, per una quota massima del 10%.

1.9 Il progetto della Fondazione Fojanini di Sondrio

Un oggettivo riscontro scientifico a supporto della validità della Chiavennasca ci viene

oggi riconosciuto a seguito di un importante progetto di sperimentazione viticola ed enolo-

gica di recente attuazione in Provincia. Il progetto, attuato dalla Fondazione Fojanini di

Studi Superiori di Sondrio, prende il nome di «Studio finalizzato all’aggiornamento e alla

qualificazione della piattaforma ampelografica nazionale e regionale». Partendo dal pre-

supposto che individua nel corretto uso del vitigno lo strumento fondamentale per elevare

la qualità dei vini, lo studio vuole valutare, per le diverse aree viticole italiane, i vitigni di

sicura qualità, sia tra quelli autoctoni che tra quelli d’importazione e di recente diffusione,

allo scopo anche di poter sfruttare l’eventuale complementarietà per produrre un vino di

maggiore completezza. È così che nella primavera 1992 si realizza, in località “La Priora”

10

nel comune di Berbenno di Valtellina, un vigneto nel quale si pone a confronto la Chia-

vennasca con altri venti tra i principali vitigni italiani, oltre che con vari vitigni di recente

diffusione a livello mondiale. A conclusione del lavoro, dopo cinque anni di sperimenta-

zione e vinificazione, il risultato è stato positivo per la Chiavennasca e il Nebbiolo partico-

larmente indicati per la produzione di vini di qualità superiore.

Tra i vitigni a bacca rossa di origine

nazionale, si sono distinti per caratteristi-

che agronomiche e colturali, nonché per

produzioni enologiche qualitative e com-

plementari con la Chivennasca, il Caber-

net sauvignon, la Croatina, il Merlot, il

Nero d’Avola e il Pinot nero. Il Char-

donnay, il Fiano, l’Incrocio Manzoni, il

Pinot bianco, il Sauvignon blanc e il Verdicchio sono i vitigni a bacca bianca che hanno

avuto una valutazione di merito finale positiva. In definitiva, i risultati e le valutazioni at-

tuali non fanno altro che confermare la validità delle scelte e degli orientamenti fatti nel

lontano passato e si dimostrano, una volta in più, corrette e lungimiranti, nonché di estrema

attualità.

Fondazione Fojanini di Studi Superiori di Sondrio

11

2. La Valtellina. Le sue caratteristiche e i suoi vini

2.1 Collocazione geografica della Valtellina

La Valtellina è una valle alpina situata all’estremo nord della Regione Lombardia; in

particolare, si identifica con la provincia di Sondrio, ricoprendo una superficie di 3212 km2

e corrisponde al bacino imbrifero dell’alto corso del fiume Adda, che dalla fonte sorgiva

presso il Monte Alpisella nella Valle di Fraele o Cancàno si snoda per un percorso lungo

120 km, fino a confluire nel Lago di Como.

La lunga e ampia valle, essendo geomor-

ficamente impostata sulla Linea Insubrica, si

presenta orientata in modo trasversale e,

quindi, si apre da est a ovest ed è posiziona-

ta al centro delle Alpi. È delimitata dalle due

catene alpine parallele: le Alpi Retiche1 a

nord e le Prealpi Orobie2 a sud che defini-

scono, rispettivamente, il confine con la

Confederazione Svizzera e la Provincia di Bergamo. Ad est confina, invece, con il Trenti-

no-Alto Adige e la Provincia di Brescia, mentre ad ovest con le Province di Como e Lecco;

nel suo complesso, il territorio dell’Adda si dipana dalla Valle di Livigno alla pianura allu-

vionale del Pian di Spagna, luogo in cui il fiume s’innesta nel Lario.

Data la localizzazione della valle, il territorio è, quindi, in gran parte montuoso; infatti,

ben 2255 km2, corrispondenti a circa il 67% della superficie provinciale, sono situati a quo-

te superiori ai 1500 m s.l.m.. Tra le sue numerose valli laterali, degne di nota sono, da est a

ovest, la Valle di Livigno percorsa dal torrente Spöl3, le Valli Viola e di Fraele, la Valle del

Braulio con il Passo dello Stelvio (via di comunicazione con la Provincia autonoma di Bol-

zano) e la Valfurva con il Passo Gavia (passo per la Provincia di Brescia). Scendendo ver-

1 Lungo la catena retica, da est verso ovest, compaiono i massicci dell’Ortles-Cevedale (3905/3764), Cima Piazzi (3439), Cima Redasco (3139), Scalino-Canciano (3323/3103), Bernina-Palù (con la massima quota della regione, 4050), Disgrazia (3678), Suretta-Emet-Stella (3027/3210/3163) e del Tambò (3275). 2 Lungo la catena orobica, sempre da est verso ovest, i principali massicci che si trovano sono quelli del Piz-zo del Diavolo (2926), Pizzo Coca (3052), Scais-Redorta (3037), Corno Stella (2620) e dei Tre Signori (2254).3 Lo Spöl (localmente Aqua Granda) nasce vicino alla Forcola di Livigno, scorre nell’omonima valle attra-versando Livigno in tutta la sua lunghezza e si immette nel Lago del Gallo, chiamato anche Lago di Livigno; da qui esce per entrare nel territorio elvetico del Canton Grigioni, dove percorre la Val dal Spöl all’interno del Parco nazionale Svizzero, confluendo da destra nell'Inn, a sua volta affluente del Danubio. Lo Spöl è l’unico torrente che nasce su suolo valtellinese, ma non confluisce nell’Adda.

Localizzazione della Valtellina

12

so la media Valtellina si trovano la Val Belviso, la Val Malenco delimitata dai monti Ber-

nina, Disgrazia, Palù e Scalino e percorsa dal torrente Mallero che si getta nell’Adda nei

pressi del capoluogo della Provincia; la Val Masino, dominata dalle cime granitiche del

Pizzo Badile e del Ferro e dei monti Sissone e Disgrazia. Infine, più a ovest si trovano sul

versante orobico le Valli del Bitto4 e, sulla sponda opposta, la Valchiavenna con annesse la

Val Bregaglia, percorsa dal torrente Mera e la Val San Giacomo, terminante con il Passo

Spluga (via di comunicazione con la Svizzera) e percorsa dal torrente Lirio.

2.2 La geopedologia

Il suolo valtellinese è di origine sia morenica che alluvionale e, quindi, presenta due tipi

di derivazione. Nel primo caso, deriva dal trasporto e dal deposito di materiale roccioso du-

rante la glaciazione di Würm5, fatto che ha portato il suolo ad essere terroso alla base e

lungo le pareti del versante retico; nel secondo caso, invece, deriva da materiale franoso

staccatosi in quota dalle pareti delle montagne. La matrice mineralogica di questi materiali

detritici, la cui alterazione ha originato il terreno naturale, è abbastanza eterogenea; in par-

ticolare, è rappresentata da vari tipi di quarzo, mica, felpati e anfiboli, derivati prevalente-

mente dal disfacimento, per azione del gelo, di rocce metamorfiche (filladi, gneiss, mica-

scisti, serpentini) e intrusive (graniti). Con il ritiro dei ghiacciai, questi substrati hanno su-

bito un lungo processo pedogenetico, sul quale ha notevolmente inciso la colonizzazione e

la messa in coltivazione dei luoghi da parte dell’uomo; tale processo ha, tuttavia, generato

terreni pedologicamente recenti, poco evoluti e con scarsa differenziazione del profilo.

L’attuale terreno agrario risulta poco profondo e poggiante sulla roccia, talvolta emergente

a cielo aperto; quanto alla composizione è di tipo sciolto, con tessitura sabbiosa e una ricca

dotazione di scheletro, drenante e con un pH a reazione acida con valori compresi tra 4 e

6,5.

4 Si parla di Valli del Bitto perché la valle si biforca dopo un piccolo tratto comune: la valle più occidentale sale a Gerola Alta, quella più orientale ad Albaredo per San Marco (passo per la Provincia di Bergamo). 5 La glaciazione di Würm rappresenta l'effetto prodotto dall'ultima glaciazione sulla zona specifica delle Alpi; per convenzione, tuttavia, viene estesa anche a livello globale come l'equivalente dell’ultimo periodo glacia-le, iniziato circa 110000 anni fa e terminato verso il 10000 a.C.. Entrando nello specifico, le glaciazioni di quest’ultimo periodo prendono nomi diversi a seconda della loro distribuzione geografica; in particolare, si parla di glaciazioni: Devensiana (Isole Britanniche), Fraser o Pinedale (Montagne Rocciose del Nord Ame-rica), Llanquihue (Cile), Merida (Ande venezuelane), Midland (Irlanda), Otira (Nuova Zelanda), Valdai (Eu-ropa orientale), Weichsel o Vistoliana (Scandinavia e Nord Europa), Wisconsin (centro Nord America), Würm (Alpi) e Zyryanka (Siberia).

13

2.3 Il clima

Per quanto riguarda il clima, la Valtellina presenta un clima tipicamente continentale e

caratteristico dell’area alpina interna, i cui tratti salienti sono le marcate escursioni termi-

che e la relativa scarsità di precipitazioni; la piovosità media annua è, infatti, dell’ordine

degli 850-1200 mm, i quali, a mano a mano si scende verso il Lario, si elevano progressi-

vamente. Il clima del fondovalle valtellinese è essenzialmente mite; gennaio risulta essere

il mese più freddo e luglio quello più caldo. Il versante retico, esposto a sud, è caratterizza-

to, a causa del maggior irraggiamento solare, da valori di temperatura più elevati a parità di

quota rispetto al versante orobico. In particolare, le temperature medie annue del versante

retico sono nell’ordine dei 14°C, beneficiando anche dell’esposizione e dell’accumulo di

calore da parte delle rocce presenti. La buona esposizione spiega anche i livelli di radiazio-

ne riscontrati nella fascia vitata con una PAR6 media annua di 2700-3200 MJ per metro

quadrato di terreno.

I venti predominanti si dispongono lungo l’asse principale della Valtellina e della Val-

chiavenna, dando luogo a una circolazione longitudinale prevalente. Nel periodo primave-

rile-estivo esiste un regime di brezze tipico delle valli alpine nel quale si alternano la

“brezza di monte”, che soffia dai versanti verso il fondovalle durante la notte e le prime ore

del giorno, con la “brezza di valle”, che soffia dal fondovalle verso l’alto dalla tarda matti-

nata fino al pomeriggio.

2.4 L’area vitata

La superficie vitata valtellinese si estende per una lunghezza di circa 70 km e per un to-

tale di circa 1200 ettari e si sviluppa dalla “Costiera dei Cech” nella zona di Morbegno-

Traona, fino al comune di Tirano; nello specifico, è posta sul versante retico, cioè quello

6 La PAR (Photosynthetically Active Radiation), ovvero Radiazione Fotosinteticamente Attiva, è la misura dell'energia della radiazione solare intercettata nelle piante dalle clorofille a e b. Più precisamente, corrispon-de all'energia effettivamente disponibile per lo svolgimento della fotosintesi, essendo minore dell'energia to-tale proveniente dal Sole, in quanto lo spettro di assorbimento della clorofilla è compreso tra i 430 e i 680 nm di lunghezza d’onda (radiazione visibile). Questo fa si che la PAR sia pari al 41% della radiazione solare to-tale, concentrandosi nelle bande del blu e del rosso.

14

Terrazzamenti vitati

esposto a sud, maggiormente soleggiato e sulla destra orografica del fiume Adda. L’area,

totalmente terrazzata, è compresa in una fascia altitudinale che va dai 270 ai 900 m s.l.m.;

in particolare, la superficie con altitudine superiore ai 500 m s.l.m. è pari a 420 ettari e

quella con pendenza del terreno superiore al 30% è pari a 1080 ettari. La fitta sequenza dei

terrazzamenti è di tanto in tanto interrotta da vari avvallamenti in cui scorrono piccoli tor-

renti che scendono dalle montagne circostanti.

Nella tabella seguente vengono riportati alcuni dati sulla superficie e la struttura produt-

tiva valtellinese.

Tab. 1

Voce 1864 1970 1982 1990 2001 2001

Superficie (ha) 5310 2781 2298 1772 1020* 1200**

N° aziende 58314 12537 9817 7329 3040* -

Resa media (hl/ha) 24 96 84 77 55 -

Resa max (hl/ha) - 105 95 84 60 -

(*) Dati relativi alla dichiarazione delle superfici vitate e forniti dall’ufficio del Catasto Viticolo provin-

ciale, dai quali si rileva che la superficie aziendale media è di 3350 m2.

(**) Superficie stimata calcolando gli ettari non denunciati al Catasto Viticolo.

Per quanto riguarda, invece, il rapporto azienda/superficie vitata, i dati esposti nella ta-

bella seguente indicano chiaramente che la maggior parte delle aziende stesse risulta di

piccole dimensioni; i dati sono ricavati dal censimento dell’anno 2000.

Tab. 2

Voce < 0,2 ha 0,2-1 ha 1-3 ha >3 ha

Aziende (%) 52 44 3 1

Superficie (%) 16 49 15 20

15

Esempio di viabilità

Caratteristici muri di pietra a secco

2.5 Il paesaggio rurale

Allo stato attuale, i vigneti valtellinesi non godono di particolari disposizioni ambientali

che ne tutelino il valore paesaggistico, anche se veicolano un indubbio significato culturale

e rappresentano un indiscusso patrimonio monumentale molto importante per la comunità

locale. Come già evidenziato, l’area vitata della media valle si presenta piuttosto disconti-

nua a causa dei solchi torrentizi che

l’attraversano; viceversa, la parte messa a vite

della bassa Valtellina risulta maggiormente

omogenea e compatta, separata di tanto in tan-

to da aree boschive e prati stabili.

Il terreno coltivo è costituito da un’ordinata

sequenza di terrazzamenti sostenuti da muri di

pietra a vista a secco, che si adagiano sul ver-

sante interrompendone la pendenza; si parte

dal fondovalle, a 270 m s.l.m., e ci si spinge in quota fino a raggiungere, a volte, il limite

climatico della coltura, verso i 900 m s.l.m.. Le piccole dimensioni aziendali con il conse-

guente frazionamento degli appezzamenti e la carenza di un’adeguata rete stradale ostaco-

lano la meccanizzazione della coltura, oltre che la conduzione e la manutenzione ordinaria

e straordinaria del vigneto terrazzato; il

ripristino dei muretti e il rinnovamento

dei vitigni richiedono, infatti, un elevato

carico di manodopera e non poco dispen-

dio di energie e risorse. In particolare, per

un ettaro di vigneto terrazzato le ore lavo-

rative necessarie per il governo variano da

1500 a 1800 il che comporta, per il solo

costo di produzione relativo alla condu-

zione, un onere di 15400 €, pari a 1,93

€/kg di uva prodotta, considerando una produzione di 80 q/ha.

Per facilitarne la coltivazione, sarebbe necessaria una radicale trasformazione dell’area

vitata; in particolare, l’accorpamento di più proprietà e la sistemazione del terreno a ciglio-

ne terrazzato trasversale permetterebbero la realizzazione di impianti produttivi adatti alla

16

Archetto valtellinese

piccola meccanizzazione (trattori cingolati, minicingolati, monorotaie). Ad onor del vero,

una messa a coltura del genere appena riportata, è già stata realizzata nella zona in prossi-

mità di Tresenda di Teglio, ad opera di una casa vinicola svizzera e in zona Berbenno di

Valtellina, su iniziativa della Fondazione Fojanini. Durante quest’ultimo decennio, sono

stati realizzati alcuni impianti meccanizzati con una riduzione delle ore lavorative fino a

650 h/ha annue.

2.6 I sistemi di coltivazione e i costi economici

La forma di allevamento predominante è il tradizionale archetto valtellinese, un tipo di

Guyot modificato in cui il capo a frutto, invece di essere disteso sul filo portante, viene

curvato e ripiegato sul filo, verso il basso e

all’indietro, verso la pianta. In generale la

carica di gemme per ceppo è in numero di

16-24, distribuite su 1 o 3 tralci a frutto a

cui si aggiunge uno sperone. Per ciò che

concerne il sesto di impianto, la distanza

intrafila è generalmente pari a m 1,70,

mentre quella interfila varia da 1,10 a 1,60

m; la densità dei ceppi è dell’ordine di

3500-3700 unità per ettaro.

In merito ai costi economici di reimpianto, si parla di 45560 €/ha per il metodo tradizio-

nale e di 59690 €/ha nel caso di sistemazione trasversale, compresa la realizzazione dei ci-

glioni. Il costo relativo al consolidamento dei terrazzi mediante il rifacimento del 50% dei

muretti in pietra e malta, con l’obiettivo di favorire la piccola meccanizzazione del vigneto,

è di 50355 €/ha.

2.7 La dislocazione delle aziende agricole

Per quanto riguarda le cantine dei piccoli agricoltori, esse sono generalmente localizzate

nei piccoli paesi a monte dei vigneti e lambiti nella parte inferiore dai terreni vitati; qua e

là, tra le aree messe a coltura, è anche possibile trovare cascinali adibiti alla vinificazione e

al primo stoccaggio del vino. Le grosse case vinicole, invece, sono dislocate nel fondoval-

le, in particolare nella zona compresa tra Sondrio e Tirano.

17

Chiavennasca

Per ciò che concerne l’assistenza tecnica e operativa ai viticoltori, alle porte di Sondrio

è ubicata la Fondazione Fojanini di Studi Superiori, centro tecnico didattico-sperimentale

per la vitifrutticoltura montana che svolge un’importante attività di consulenza del settore

agricolo provinciale nel suo complesso. Per facilitare l’attività dei vignaioli, si sono costi-

tuite in loco quattro cooperative di servizio (Berbenno di Valtellina, Albosaggia, Montagna

in Valtellina, Castelvetro di Teglio) che, accanto ai mezzi tecnici, forniscono ai loro soci

indicazioni in merito al monitoraggio e la lotta contro le infestazioni parassitarie. Su tutto il

territorio provinciale, esiste una sola cooperativa vitivinicola (Villa-Bianzone) e, di recen-

te, si è costituito un consorzio a Berbenno di Valtellina che raggruppa “I produttori di vino

Maroggia DOCG”.

2.8 I vitigni

Il vitigno tradizionale valtellinese è la Chiavennasca, la quale viene considerata una sot-

tovarietà del Nebbiolo. L’origine della parola Chiavennasca è ancora poco chiaro; in pas-

sato il termine veniva, infatti, accostato a

Chiavenna, ritenendo che il vitigno fosse

originario di quella valle e poi successiva-

mente introdotto in Valtellina. Un’altra tesi

vuole che il termine derivi da “ciü vena-

sca”, cioè vitigno con più vena e vigore,

mentre altri sostengono che derivi da “ciü

vinasca”, ossia più adatta alla trasforma-

zione in vino.

La Chiavennasca è caratterizzata da un

equilibrio vegeto-produttivo che risente molto delle condizioni ambientali (terreno e cli-

ma), delle pratiche colturali e delle scelte agronomiche; è, infatti, suscettibile ai freddi e al-

le piogge primaverili, manifestando fenomeni di filatura dell’infiorescenza e colatura dei

fiori, portando così, in queste annate, a un’alternanza di produzione. Per ottenere produzio-

ni di eccellente qualità è necessario, quindi, operare una scelta corretta delle aree di colti-

vazione, prediligendo le zone dove si raggiungono adeguate somme termiche e di lumino-

sità; tale accortezza, fa sì che detto vitigno viene considerato il più adatto alla produzione

di vini di grande robustezza e longevità. Da sottolineare che la Chiavennasca è un vitigno

18

Pignola valtellinese

Rossola nera

di antica coltivazione in Valtellina dove, grazie al perfetto

adattamento negli anni all’ambiente e al clima, rappresen-

ta ora più dei 4/5 delle viti coltivate e le sue uve caratte-

rizzano la produzione vinicola locale DOC e DOCG con

una percentuale attorno al 90%.

Nella tabella che segue vengono indicate, per raggrup-

pamento, le percentuali dei vitigni coltivati.

Tab. 3

Vitigno/i %

Chiavennasca (bacca rossa). 80

Brugnola, Pignola valtellinese e Rossola nera (bacca rossa). 15

Barbera, Cabernet sauvignon, Incrocio Terzi, Lagrein, Marzemino, Merlot, Moscato ro-

sa, Pinot Meunier e nero, Rebo, Syrah, Teroldego, Traminer aromatico (bacca rossa). Chardonnay, Corvina, Incrocio Manzoni, Kerner, Müller Thurgau, Pinot bianco e grigio,

Riesling renano, Sauvignon, Veltliner (bacca bianca).

1

Bellola, Berzamina, Biola, Bottagera, Bressana, Corvino o Paganone, Merlina, Negrello,

Negrera, Pezzè, Tintorello, Traonasca, Zinfandel (bacca rossa). Bianchera mora, Chiavennasca bianca, Montorfola (bacca bianca).

4

Infine, i vitigni Brugnola, Chiavennasca

bianca, Merlina, Nebbiolo-Chiavennasca, Pi-

gnola, Rossola e Zinfaldel, sono oggetto a lavori

di selezione clonale da parte della Fondazione

Fojanini di Studi Superiori di Sondrio. Analogo

lavoro, insieme al controllo dell’identità geneti-

ca, sarà rivolto alle altre varietà di antica colti-

vazione.

19

2.9 Istituzione delle Denominazioni di Origine

Come già riportato nel § 1.8, ma qui vale la pena riprendere, è che nel 1968 si ha il ri-

conoscimento della produzione vitivinicola Valtellinese con la Denominazione di Origine

Controllata (DOC) vino Valtellina e vino Valtellina Superiore; in particolare, l’area di pro-

duzione del vino Valtellina Superiore comprende quattro sottozone con l’indicazione di

Sassella, Grumello, Inferno e Vagella. Successivamente, nel 1998, si ottiene il riconosci-

mento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) per l’area di pro-

duzione del vino Valtellina Superiore DOC.

Per quanto riguarda, invece, le aree vitate poste fuori i confini delimitativi la zona a

DOC e DOCG, prendono la denominazione di Terrazze Retiche di Sondrio per la produ-

zione di vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT). Nel corso dell’anno 2002 si ottiene

il riconoscimento di una nuova sottozona denominata Maroggia DOCG, la modifica del

disciplinare di produzione vino Valtellina DOC in Rosso di Valtellina e l’introduzione di

un nuovo disciplinare di produzione del vino DOCG Sforzato di Valtellina. Questi vini so-

no ottenuti da uve Chiavennasca, alle quali concorrono altri vitigni a bacca rossa, apposi-

tamente indicati per la provincia di Sondrio, per una quota massima del 10%.

In particolare, la superficie vitata dichiarata dai produttori valtellinesi e registrata

all’Albo dei Vigneti DOC e IGT presso la CCIAA di Sondrio e la relativa denominazione

geografica riconosciuta dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, (dati aggiornati

al 31 dicembre 2001), è la seguente:

Tab. 4

Denominazione zone viticole Superficie (ha)

Rosso di Valtellina DOC 240

Valtellina Superiore DOCG 181

Valtellina Superiore DOCG – sottozona Maroggia 20

Valtellina Superiore DOCG – sottozona Sassella 130

Valtellina Superiore DOCG – sottozona Grumello 78

Valtellina Superiore DOCG – sottozona Inferno 55

Valtellina Superiore DOCG – sottozona Valgella 137

Sforzato di Valtellina DOCG -

Terrazze Retiche IGT 36

TOTALE 877

20

Carta delle Denominazioni di Origine

2.9.1 I DOC

Rosso di Valtellina DOC

È l’unico vino DOC prodotto in Valtellina, può essere imbottigliato dopo un periodo di

invecchiamento di un anno in botte di legno e deve avere una gradazione alcolica naturale

minima del 10,0% vol.

2.9.2 I DOCG

Valtellina Superiore

Questa denominazione fa riferimento ad un’area estesa da Berbenno di Valtellina a Ti-

rano, con una produzione massima di 8 tonnellate/ettaro. L’affinamento minimo è di 24

mesi, di cui almeno 12 in botti di rovere; il grado alcolico minimo al consumo è del 12,0%

vol. Come da disciplinare, si ha che la percentuale degli uvaggi è rappresentata dalla Chia-

vennasca per il 90% e dagli altri vitigni raccomandati ed autorizzati, non aromatici per il

restante 10%. La resa da uva fresca a vino finito è del 70%.

Maroggia

La località Maroggia rientra nel territorio del Comune di Berbenno di Valtellina e pre-

cede la zona del Sassella. Il vino prodotto con le uve di questo pendio soleggiato è di colo-

re rosso rubino con riflessi granati. Il sapore è armonico, asciutto e vellutato. Prodotto in

quantità limitata, il Maroggia è legato alla figura di Benigno De’ Medici che nella metà del

Quattrocento si fermò appunto a Maroggia dove trovò ospitalità e ristoro apprezzando in

21

particolare il vino locale definendolo firmum et dulce, ossia corposo e amabile. Come tutti i

Valtellina Superiore, ben si sposa con i piatti più saporiti della cucina locale, in particolare

con carni rosse e formaggi.

Sassella

Ottenuto per vinificazione di almeno il 90% di uve Chiavennasca e, per la parte rima-

nente, da Brugnola, Rossola e Pignola. È prodotto con uve della zona che si estende dal

Comune di Castione Andevenno fino al territorio a ovest di Sondrio; un’area impervia e

soleggiata che comprende la rupe del santuario mariano della Sassella. Il vino è di color

rosso rubino, tendente al granata, con un profumo intenso che si esalta con

l’invecchiamento. Armonico e secco al gusto, leggermente tannico, viene affinato per al-

meno 24 mesi e con gradazione alcolica minima del 12,0% vol. Raggiunge un’ottima ma-

turità dopo un invecchiamento di quattro-cinque anni e, se mantenuto in buone condizioni

di cantina, si può conservare in bottiglia per lungo tempo. Si abbina particolarmente con

piatti a base di carni rosse, selvaggina, formaggi e salumi di Valtellina.

Grumello

Viene prodotto nel versante a nord-est di Sondrio e prende il nome dall’omonimo ca-

stello che domina la vallata (fortezza del XIII secolo). Ha colore rosso rubino tendente al

granata; per le caratteristiche olfattive ha un profumo sottile e intenso conferitogli in parte

dalla Brugnola con una sfumatura che ricorda la mandorla; per le caratteristiche organolet-

tiche si presenta asciutto e vellutato. Il Grumello, ricco di fragranze, risulta maggiormente

sapido se ottenuto dalle uve della ben delimitata area detta dei “Dossi Salati”. Classico ros-

so per piatti saporiti, in particolare risotti, polenta taragna, sciatt, brasati e formaggi locali.

Inferno

La sottozona, con un nome tanto singolare quanto affascinante, fa riferimento ai piccoli

terrazzamenti vitati situati tra il comune di Poggiridenti e quello di Tresivio, in anfratti

rocciosi non facili da raggiungere, allocati in porzioni di versante dove in estate le tempe-

rature sono particolarmente elevate. L’Inferno è la più piccola delle sottodenominazioni, si

colloca ad est del Grumello e ha un’estensione vitata di 55 ettari. Le uve di questa zona

danno un vino di carattere, adatto al lungo invecchiamento, di colore rosso rubino tendente

al granata. Con l’affinamento acquisisce particolari fragranze e si ammorbidisce. Il suo sa-

22

pore è asciutto, armonico e leggermente tannico. È ritenuto il più austero fra i Valtellina

Superiore, abbinandosi a carni rosse arrostite, selvaggina e formaggi stagionati.

Valgella

Con i suoi 137 ettari, situati esclusivamente nel Comune di Teglio, è la più vasta fra le

sottozone del Valtellina Superiore DOCG. Il nome deriva dal termine latino Vallicula, os-

sia vallicella dato alla relativa zona; in passato, tale vino, veniva in gran parte destinato

all’esportazione nella vicina Svizzera. Di primo acchito si differenzia dalle altre sottode-

nominazioni, pur mostrando un carattere ben deciso, per una certa morbidezza che comun-

que ne assicura un’identica tenuta per l’invecchiamento. Delicato all’olfatto, ha un sapore

secco, armonico e rotondo; fresche sensazioni floreali lo rendono apprezzabile anche gio-

vane. Ben si abbina ai piatti di carni rosse, ai formaggi stagionati e viene soprattutto propo-

sto con le specialità gastronomiche della valle: pizzoccheri, breasola e violino di capra.

Sforzato di Valtellina

Lo Sforzato o Sfursat di Valtellina è il primo passito rosso secco italiano che vanta la

“garantita”, ossia la DOCG, ottenuta nel 2003 dopo un laborioso iter. Lo Sforzato è il frutto

della selezione delle migliori uve Chiavennasca (grappoli spargoli e sani) che subito dopo

la vendemmia vengono stese su graticci in locali asciutti e ben areati detti “fruttai”, inimi-

tabile genius loci per la qualità dello Sforzato. L’appassimento dura mediamente 110 giorni

e, verso la fine di gennaio, dopo che l’uva ha perso circa il 40% del proprio peso, concen-

trato i succhi, sviluppato particolari fragranze aromatiche, è pronta per la pigiatura. Seguo-

no 24 mesi di maturazione e affinamento in legno e bottiglia; solo a questo punto il rosso

con grado alcolico minimo 14,0% vol è pronto per la degustazione; il colore è granato scu-

ro e i profumi molto intensi.

2.9.3 Gli IGT

Terrazze retiche IGT

È un vino che può essere imbottigliato dopo sei mesi dalla vinificazione nei diversi tipi

di vasi vinari con gradazione alcolica naturale minima di 10,0% vol. Oltre alla Chiavenna-

sca possono essere utilizzate le uve degli altri vitigni ammessi a coltivazione nella provin-

cia di Sondrio.

23

Viti di Brugnola

3. La Brugnola

3.1 Introduzione e storia

La Brugnola è uno dei vitigni che partecipa all’uvaggio nella produzione dei vini classi-

ci di Valtellina. Ammostata in purezza, permette di ottenere un vino caratterizzato da gra-

dazione alcolica e acidità moderate; tale caratteristica fa della Brugnola un’uva ideale per

la produzione di vino novello di pronto consumo. A questo vitigno viene anche riconosciu-

ta la duplice attitudine di uva da vinificazione e da tavola, tanto che in passato la sua pre-

senza nel vigneto era legata al piacere di gustarla allo stato fresco. Diffusa, inoltre, la con-

suetudine di far appassire i grappoli ancora legati a porzioni di tralcio (peset in dialetto tel-

lino), per poi consumarli nel periodo inverna-

le. La Brugnola si distingue per un ciclo ve-

getativo breve, segnato da un risveglio molto

tardivo; il vitigno è comunque piuttosto vigo-

roso, con tralci ingrossati e dagli internodi

mediamente allungati che ben si adatta a for-

me di allevamento espanso. Predilige

l’esposizione alla luce e alle temperature ele-

vate, anche se spesso è collocato sui terrazzi

pianeggianti o al piede della fascia vitata, do-

ve non teme i rigori invernali e le tardive gelate primaverili. Nella fase di maturazione, il

peduncolo assume una colorazione rosso-violacea.

Per quanto concerne le notizie storiche riguardanti la coltivazione di questa varietà in

Valtellina, poche sono le citazioni. Tra queste vi sono quella di Heinrich Ludwig Lehmann,

viaggiatore tedesco, che in Die Landschaft Veltlin (1797) afferma: «Brugnola o Burvia, la

migliore uva da mangiare» e quella di Pietro Ligari che, in Ragionamenti di Agricoltura

(1752), nell’elenco dei vitigni coltivati in Valtellina riporta: «Le viti Prugnole1 sono simili

nella robustezza del suo legname alle Balsamine2 e similmente nelle uve, ma di grani assai

grossi, dolcissimi e pieni di mosto, per lo che si è acquistato il nome di prugnola. Queste

1 Si può identificare nelle Prugnole il vitigno che attualmente viene chiamato Brugnola. La grossezza e la dolcezza degli acini suggerisce, per questa uva, anche l’utilizzo come uva da tavola. 2 Si può identificare nelle Balsamine il vitigno che attualmente viene chiamato Berzamina.

24

Germoglio

Foglia adulta

sono fertilissime e doppo provonate bene sussistono come le Balsamine e riescono assai

bene in opolati e pergole».

3.2 Caratteristiche ampelografiche

Di seguito si riportano le caratteristiche affe-

renti al vitigno oggetto del presente elaborato;

nello specifico, verranno illustrati i vari organi

della pianta nel corso delle diverse fasi di crescita.

Germoglio: apice aperto, abbondantemente la-

nuginoso3, di colore biancastro con marcata colo-

razione rosso-violacea agli orli. Le foglioline api-

cali (da 1 a 3) hanno una spiccata colorazione

bronzo-ramata diffusa su tutta la lamina fogliare,

ma in concentrazione diversa e più accentuata ai

margini; hanno orlature violacee evidenti anche

nella pagina inferiore che è abbondantemente ri-

coperta da lanugine. Le foglioline basali (4-5) sono verdi,

con sfumature bronzo-ramate, poco lanugionose inferior-

mente e con setolosità4 diffusa sulle nervature, anche di or-

dine inferiore.

Tralcio erbaceo alla fioritura: ha un contorno liscio di co-

lore verde leggermente striato di rosso e nodi rossi; il tratto

apicale è a pastorale5.

Foglia adulta: medio-grande o grande con forma tondeg-

giante, da pentagonale ad orbicolare6, quinquelobata o trilo-

bata. Il seno peziolare7 è poco aperto, a lira o ad U, ma an-

che chiuso e talora con i bordi sovrapposti.

3 Con il termine lanuginoso ci si riferisce alla presenza di peli lunghi, flessibili, striscianti e fitti, ma non ri-coprenti totalmente la superficie dell’organo. 4 Con setolosità si intende la presenza di peli corti, dritti e radi. 5 Fortemente ricurvo. 6 Con il termine orbicolare ci si riferisce alla forma tondeggiante della foglia, in particolare al fatto che essa è tanto larga quanto lunga. 7 Il seno peziolare è l’insenatura nella quale il lembo della foglia si attacca al picciolo; esso, in particolare, assume forme diverse a seconda del vitigno.

25

Grappolo a maturità

Infiorescenza: il fiore è ermafrodita, con un numero di infiorescenze da 1,1 a 2 per ger-

moglio.

Grappolo a maturità: grande, piramidale o cilindrico, allungato con ali assai sviluppate e

pendule (non infrequente un’ala molto pronunciata e lun-

gamente peduncolata), sovente composto. Il grappolo ha un

aspetto da mediamente spargolo a leggermente compatto,

mentre il peduncolo è sottile, allungato, molto resistente,

elastico e di colore verde giallastro.

Acino: grande (4,06 g) e sferoidale (d.e./d.l.8 = 0,97),

con una grossezza abbastanza uniforme. La sezione trasver-

sale è regolare e circolare, con fiocine pruinoso di colore

rosso-grigio in vicinanza del cercine9, che diviene rosso

scuro-violetto o blu-nero nella parte esposta al sole (in par-

ticolare, la colorazione è legata alla carica produttiva). La

polpa è lievemente croccante; il succo poco colorato e aci-

dulo, dai profumi e sapori fruttati. Il pedicello10 è allungato, sottile e di colore verde come

il cercine.

3.3 Fenologia

Epoca di germogliamento: tardiva, a metà aprile, in ritardo di 10-15 giorni rispetto alla

Chiavennasca.

Epoca di fioritura: nella prima decade di giugno, 5-7 giorni in ritardo rispetto alla Chia-

vennasca.

Epoca di maturazione: l’invaiatura11 si verifica ai primi giorni della seconda decade di

agosto, al pari della Chiavennasca della zona o, a volte, in lieve anticipo. Anche la succes-

siva colorazione e maturazione dei grappoli riflette lo stato della Chiavennasca.

8 Con d.e./d.l. si intende il rapporto tra il diametro equatoriale e quello longitudinale. 9 Il termine cercine si riferisce all’attaccatura tra l’acino e il pedicello. 10 Il pedicello è l’attaccatura dell’acino al raspo.11 L’invaiatura è una fase fenologica della maturazione dell’uva, e in generale di tutti i frutti, in corrispon-denza della quale avviene il viraggio di colore dell'epicarpo.

26

Brugnola dal peduncolo rosso

3.4 Caratteristiche e attitudini colturali

Vigoria: da buona a elevata.

Produzione: costante ed elevata.

Potatura: corta o di riduzione, lasciando 15-20 gemme per ceppo distribuite su 2-3 capi

a frutto.

Resistenza alle malattie: buona, anche nei riguardi della Muffa grigia (Botrytis cinerea)

e della Peronospora (Plasmopara viticola); sensibile, invece, agli attacchi tardivi

dell’Oidio (Uncinula necator).

Posizione del primo germoglio fruttifero: terzo nodo, talvolta anche il secondo.

Fertilità potenziale media delle gemme: 1,38.

Fertilità potenziale delle prime quattro gemme: 0,82.

Fertilità reale media delle gemme: 1,02.

Nell’ambito della varietà fin qui descritta, si è poi osservato un ulteriore biotipo, noto

con il nome di Brugnola dal peduncolo rosso, che si differenzia dal precedente per i se-

guenti caratteri.

Foglia adulta: di media grandezza, talvolta grande,

quinquelobata o trilobata. Il seno peziolare è a lira o chiu-

so, con i bordi sovrapposti, talora con dente sulla base; ca-

ratteristica è la forma a graffa ({) alla base dei seni laterali.

Il lembo è sottile, a superficie liscia e lucida, con profilo

piano o a coppa e con margini leggermente revoluti. La

pagina superiore è glabra, mentre quella inferiore aracnoi-

dea con setolosità rada sulle nervature. I denti sono poco

pronunciati a base media e con margini rettilinei o conca-

vi-convessi. La base delle nervature principali è di colore

verde, come anche il picciolo con ulteriori sfumature rosa-

violacee vicino al lembo.

Grappolo a maturità: medio-grande, conico allungato, irregolarmente alato, spesso con

ali sovrapposte e particolarmente spargolo all’estremità distale. Il peduncolo è allungato,

piuttosto sottile, ma resistente, elastico e di colore rosso-violaceo come sovente il rachide

nella parte distale.

27

Acinellatura dolce

Acino: medio-grande o grande (3,44 g), ellissoidale

corto (d.e./d.l. = 0,93) e di dimensione non uniforme,

anche a causa dell’acinellatura dolce12 che rappresenta

una caratteristica varietale. Il fiocine è molto pruinoso,

sottile, tenero e di colore blu-nero uniforme. La polpa è

colorata, croccante e succosa, leggermente acidula; il

succo leggermente colorato a sapore semplice o legger-

mente aromatico. Il pedicello sottile e di colore verde

con cercine verde o talvolta violaceo.

3.5 Superficie di coltivazione

Come a più riprese sottolineato, il vitigno maggiormente coltivato in Valtellina è la

Chiavennasca, che rappresenta, appunto, circa l’80% delle varietà. Antiche varietà e viti-

gni minori rappresentano il 5%, mentre il restante 15% è costituito da Brugnola, Pignola

valtellinese e Rossola nera, presenti in modo omogeneo nel vigneto valtellinese. È da nota-

re che la distribuzione di questi ultimi vitigni non è legata a determinate aree vitate o fondi

specificamente dedicati, bensì risulta frammista alla Chiavennasca; da qui l’impossibilità

nello stabilire, con esattezza, la superficie coltivata esclusivamente a Brugnola, alla quale

si può risalire solamente tramite una stima basata sulla percentuale di presenza in rapporto

agli ettari del vigneto valtellinese. Sapendo, infatti, che la superficie vitata globale è pari a

1200 ettari e stimando che Brugnola, Pignola e Rossola – presenti tra di loro in modo equo

nella misura del 5% – il dato che se ne ricava è pari a 60 ettari di superficie coltivata a

Brugnola.

È comunque bene ricordare, inoltre, che questo vitigno è presente nel vigneto in numero

di ceppi decisamente esiguo poiché, se in passato veniva messa a coltura dai vignaioli val-

tellinesi con lo scopo di aumentare la quantità di uva raccolta, trattandosi di un vitigno ad

elevata produzione, attualmente si tende a privilegiare l’impiego della Chiavennasca nei

reimpianti di nuovi vigneti.

Degno di nota è il raro, se non unico caso della presenza, nel Tiranese, di un vigneto di

proprietà di un viticoltore locale, che è costituito per l’80% circa di ceppi di Brugnola e per

la restante parte di Chiavennasca.

12 Con acinellatura dolce si intende la coesistenza sullo stesso grappolo di acini con dimensioni normali e di altri notevolmente più piccoli e dolci.

28

3.6 Utilizzo

La Brugnola, pur essendo una varietà che ben si presta ad essere utilizzata come uva da

tavola, in Valtellina viene impiegata quasi esclusivamente come uva da vino per la produ-

zione dei vini DOC e DOCG, dato che, secondo disciplinare, concorrono agli uvaggi la

Chiavennasca per il 90% e Brugnola, Pignola e Rossola per il restante 10%.

Da riportare, comunque, come detto appena sopra, il caso di un agricoltore Tiranese

che, come avveniva più frequentemente in passato, basa la sua attività di viticoltore nella

vendita della Brugnola come uva da tavola presso il locale mercato settimanale.

29

4. Selezione clonale e vinificazioni

4.1 La selezione clonale della Brugnola

4.1.1 Introduzione e definizione

La selezione clonale è, per definizione, l’isolamento e la moltiplicazione vegetativa di

individui, all’interno di una varietà, che manifestano determinati e specifici caratteri di

pregio. Numerose esperienze di selezione clonale hanno evidenziato l’esistenza di

un’elevata variabilità all’interno delle popolazioni dei vitigni coltivati; in particolare, le

differenze tra gli individui risultano molto marcate nel caso di vitigni molto antichi o colti-

vati da lungo tempo in ambienti climaticamente molto differenti.

Queste ricerche portano a considerare le cultivar tradizionali di vite da vino come popo-

lazioni di piante derivate da ortet1, concetto assimilabile a quello di piante madri di cloni.

La maggior parte delle varietà sono probabilmente il risultato della selezione operata sulle

varietà orientali importate in Europa, sulle popolazioni locali selvatiche e

dall’introgressione genica delle varietà importate in quelle locali. Ad aumentare la presente

variabilità hanno concorso, inoltre, lo stato sanitario delle popolazioni (virosi) e le muta-

zioni che insorgono in modo spontaneo.

Il rispetto e l’utilizzo della variabilità intravarietale, sebbene con maggiori difficoltà e

con tempi più lunghi, può rappresentare un’efficace strumento per soddisfare le esigenze di

una moderna viticoltura rispetto alle strategie di selezione clonale tradizionali. Tuttavia,

giovarsi delle potenzialità del patrimonio genetico delle singole varietà non significa, come

già accaduto in un recente passato, mescolare un certo numero di cloni in proporzioni va-

riabili a seconda del terroir2 o del vino che si vuole ottenere; nella maggioranza dei casi,

infatti, l’assemblaggio di cloni, che il più delle volte sono anche di diversa provenienza

geografica, non ha portato un reale e generalizzato miglioramento del vino. Le ragioni di

questi diffusi insuccessi risiedono nella constatazione che cloni isolati e selezionati per es-

sere utilizzati da soli, oltre che propagati in quanto rappresentanti un buon compromesso

tra produttività, grado zuccherino e acidità titolabile, non possono essere tra loro realmente

complementari. 1 Con il termine francese ortet si indica un individuo capostipite dal quale si ottiene poi una stirpe indefinita di individui (cloni). 2 Il terroir può essere definito come un'area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica e il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le carat-teristiche uniche della propria territorialità.

30

La rielaborazione delle basi teoriche della selezione per il miglioramento genetico delle

piante proposto da Gallais (1990) ha permesso di individuare una diversa strategia di mi-

glioramento genetico della vite per selezione clonale. Questa, definita “pressione selettiva

debole”, ha lo scopo di individuare gruppi di cloni e non più singoli genotipi, che nel loro

insieme sono in grado di apportare un progresso generalizzato rispetto alla popolazione di

partenza. I singoli individui che entrano a far parte di queste famiglie clonali sono selezio-

nati non solo in base alle performance che riescono a raggiungere, ma soprattutto in base

alla loro complementarietà. Questo è il motivo per il quale i cloni ottenuti mediante pres-

sione selettiva debole solo raramente possono essere utilizzati in purezza, ma forniscono i

migliori risultati solitamente come miscele, più o meno composite, di individui che per ca-

ratteristiche qualitative e produttive sono tra loro complementari. Operando in questo mo-

do, si intende preservare la variabilità, sia morfologica sia funzionale, delle varietà sotto-

poste a selezione clonale; la salvaguardia della base genetica dei vitigni permette, inoltre,

di raggiungere due scopi fondamentali, ovvero a) evitare la perdita di caratteri “deboli” o

di difficile determinazione, ma al contempo di indubbio valore – come, ad esempio, il con-

tenuto di antociani e le caratteristiche aromatiche particolari – e b) ridurre l’interazione tra

il vigneto e il sito di coltivazione, permettendo una maggior stabilità dei risultati nei diversi

ambienti e nel susseguirsi degli anni. È bene ricordare, a questo punto, che molte tra le va-

rietà coltivate si prestano all’attuazione di questo nuovo concetto di selezione.

La possibilità di partire da ampie basi genetiche consente l’individuazione, da parte dei

costitutori, di numerosi presunti cloni con caratteristiche morfologiche od organolettiche

dell’uva di particolare interesse; la ricerca di questo materiale viene condotta nei vigneti di

antica costituzione, dove la variabilità originaria non ha subito depauperamenti significati-

vi. Da questo materiale di partenza, dopo le necessarie indagini virologiche, si selezionano

i presunti cloni che vanno a costituire i campi di omologazione clonale. Questo approccio

permette, inoltre, di selezionare gruppi di presunti cloni che rappresentano la popolazione

di partenza; la variabilità non si riscontra naturalmente solo per gli aspetti morfologici del-

la pianta o per le caratteristiche macro qualitative come il contenuto zuccherino e acidico,

ma è rilevabile anche per quanto riguarda le caratteristiche di parametri fini come il patri-

monio polifenolico e i descrittori aromatici che caratterizzano il vino.

31

L’analisi organolettica, realizzata con panel3 di degustatori allenati per l’acquisizione di

informazioni sulle caratteristiche dei vini dei singoli cloni, risulta fondamentale nelle sele-

zioni clonali realizzate mediante pressione selettiva debole, dove la complementarietà dei

cloni deve riguardare anche le caratteristiche sensoriali dei vini.

4.1.2 L’attività della Fondazione Fojanini

Da più di un decennio la Fondazione Fojanini di Sondrio si occupa con successo dello

studio della piattaforma ampelografica provinciale. La localizzazione e l’individuazione

dei vitigni di antica coltivazione, resa possibile grazie ad un lavoro di riconoscimento a

partire dai primi anni ‘90, costituisce il punto di partenza per un lavoro di qualificazione e

valorizzazione di questo prezioso patrimonio ampelografico legato al territorio a rischio

estinzione. La realizzazione di un campo di conservazione e di confronto clonale ha con-

sentito, e consente tutt’ora, di indagare le caratteristiche colturali, agronomiche ed enologi-

che, nonché la verifica dell’identità genetica, la caratterizzazione ampelografica e il mi-

glioramento genetico e sanitario di questi vitigni, rappresentando tappe importanti per il lo-

ro recupero e la valorizzazione agronomica con finalità enologiche. Obbiettivo alla base di

questo lavoro di ricerca è l’eventuale reintroduzione di tali varietà in un ciclo produttivo

più ampio, utilizzando materiale vivaistico certificato sotto l’aspetto produttivo e sanitario,

con l’intento di diversificare la produzione vitivinicola tipica locale, oltre che migliorarne

le caratteristiche organolettiche sfruttando eventuali caratteristiche complementari.

4.1.3 Selezione massale e identità genetica

La Fondazione Fojanini ha avviato questo lavoro di selezione clonale a partire dal 2004,

tramite il metodo di selezione massale. Questo criterio si basa sull’individuazione e identi-

ficazione, all’interno di alcuni vigneti di interesse appartenenti a varie aziende, dei ceppi di

vite più significativi secondo i seguenti caratteri:

� stabile equilibrio vegeto-produttivo;

� migliore morfologia del grappolo e dell’acino;

� migliore tolleranza alle crittogame.

3 Con il termine panel ci si riferisce a un gruppo di esperti in grado di fornire informazioni riguardo a un de-terminato problema.

32

In base a tale procedimento, nelle annate 2004-2006 sono state effettuate, su queste

piante madri o capostipiti, le relative osservazioni ampelografiche; in particolare, sono sta-

te seguite le fasi fenologiche e raccolti i parametri agronomici, colturali (fertilità reale e

potenziale media delle gemme, sensibilità alle fitopatologie) e produttivi (produzione me-

dia per ceppo, peso medio del grappolo e dell’acino); durante la fase di maturazione, parti-

colare attenzione è stata dedicata alla maturità tecnologica e fenolica, oltre che alla deter-

minazione degli antociani e dei polifenoli totali. A seguito di queste osservazioni e rilievi è

stata predisposta una scheda ampelografica descrittiva per ciascun vitigno, comprensiva

dell’identità genetica volta a determinare la specificità del DNA individuale. Con “identità

genetica”, infatti, ci si riferisce allo studio che si basa sull’analisi del DNA, nello specifico

mediante la comparazione quantitativa dei microsatelliti. Il DNA è il materiale genetico

che si trova in tutti gli organismi ed è composto da due catene, avvolte a doppia elica, di

molecole formate dalle note quattro basi nucleotidiche (Adenina, Citosina, Guanina e Ti-

mina), le quali formano particolari e uniche sequenze. Lungo il DNA di un organismo, si

sa che ci sono alcune zone in cui si sviluppano determinate sequenze ripetitive di nucleoti-

di: sono queste le zone che prendono il nome di microsatelliti. Immaginando la seguente

catena CATGGACCTGACTCTCTCTCTCTCTCTCTCTCTGACCCTAAGTC, la serie

“CT” è un microsatellite e lungo il DNA di ogni individuo ce ne sono centinaia; questi pe-

rò tendono a localizzarsi nello stesso punto del genoma dei diversi individui, ma variano

nel numero di sequenze ripetute (un individuo potrebbe avere 140 ripetizioni di “CT” in

questo punto e un altro potrebbe averne 150). Tuttavia, esiste la possibilità che entrambi

abbiano lo stesso numero di sequenze in quel determinato punto, in questo caso per diffe-

renziarli occorre analizzare i due individui in più microsatelliti. Confrontando, quindi, due

soggetti in molti microsatelliti diversi l’eventualità che essi combacino in ogni sito diventa

sempre più remota, ma, in caso contrario, cioè nel momento in cui la discrepanza nelle se-

rie di microsatelliti è nulla, si può trarre la conclusione che si tratta di due individui identi-

ci.

4.1.4 Lo studio sulla Brugnola

Tra i vitigni di antica tradizione locale che sono stati scelti per questo lavoro di selezio-

ne clonale vi è la Brugnola. In particolare, per questo vitigno sono state identificate due

33

Vigneto di comparazione clonale “La Priora”

piante madri da due diverse aziende agricole, dalle quali sono poi stati ottenuti due cloni

come riportato nella tabella seguente.

Tab. 1

Azienda Comune Vigneto Clone

Tona Franco Villa di Tirano “Ragno” 12

De Campo Benedetto Tirano “Gere” 10

Entrando nello specifico dei lavori, dopo aver rilevato e osservato le due piante madri di

Brugnola, come detto appena sopra, nella primavera del 2007 prende avvio la selezione

clonale di questo vitigno, oltre che delle altre varietà, con la costituzione di un vigneto di

comparazione clonale di 1800 m2 in località “La Priora” nel comune di Berbenno di Valtel-

lina, a 350 m s.l.m. e contraddistinto in Catasto Terreni al mappale 122, Foglio 26,

nell’area viticola DOCG Valtellina Superiore. Nel mese di marzo sono iniziati i lavori di

preparazione del terreno, così che ad aprile

si è proceduto alla messa a dimora dei clo-

ni 10 e 12 della Brugnola, ognuno dei quali

è stato rappresentato da n° 25 barbatelle

innestate su due portainnesti, 420A e SO4,

per un totale di 50 barbatelle di Brugnola.

Nel periodo improduttivo 2007-2009 le

cure colturali attuate hanno riguardato la

legatura dei germogli ai sostegni, la potatu-

ra di allevamento delle giovani piantine, la

concimazione, la pulizia sulla fila e interfi-

la, i trattamenti anticrittogamici e gli interventi irrigui di soccorso.

Nella fase produttiva 2010-2012 sono state, invece, effettuate concimazione, potatura e

legatura dei tralci, spollonatura e scacchiatura, posizionamento dei germogli erbacei

all’interno delle coppie di doppi fili, cimatura e sfogliatura, trattamenti antiparassitari, con-

trollo delle erbe infestanti e raccolta dell’uva. I rilievi agronomici ed enologici effettuati

annualmente su ciascun vitigno e clone si sono focalizzati su:

� fasi fenologiche (germogliamento, fioritura, invaiatura e raccolta);

� carica di gemme per ceppo;

� fertilità reale e potenziale media delle gemme;

34

� peso medio del grappolo;

� peso medio dell’acino;

� produzione media per ceppo;

� peso del legno di potatura;

� caratteristiche e attitudini colturali;

� curva di maturazione;

� microvinificazione come da protocollo sperimentale;

� analisi chimica ed organolettica dei vini prodotti;

� profilo delle sostanze coloranti e aromatiche.

Al termine di questo periodo di studio, tra i due cloni di Brugnola in osservazione, si è

distinto il soggetto indicato con il numero 12, del quale di seguito vengono riportati i dati

riguardanti l’osservazione e l’identità genetica.

Denominazione Brugnola 12

Costitutori e

responsabili

della

conservazione

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Produzione, Territorio e Agroenergia dell’Università degli Studi di Milano; Fondazione Fojanini di Studi Superiori di Sondrio; Regione Lombardia; Riccagioia S.C.p.A..

Origine Il clone è stato selezionato nel 2001 in Valtellina presso l’Azienda Agricola Tona Franco nel Comune di Villa di Tirano nel vigneto “Ragno”.

Identità

genetica

Lo studio genetico effettuato sul clone di Brugnola 12 ha permesso di ottenere il seguente profilo allelico che, confrontato con quello vitigno Fortana nei medesimi microsatelliti ha permesso di escludere ogni tipo di parentela tra le due varietà e affermare con certezza che la Brugnola è una varietà autoctona valtellinese evidenziando, inoltre, la sua vicinanza genetica con la Chiavennasca.

Microsatelliti

VrZag62 VrZag79 VVIN16 VVMD32 VMC4F8 VVIB01 VVIH54

193-193 240-252 150-156 245-265 112-119 290-298 167-167

Descrizione ampelografica

Apice del germoglio di 10 cm: apice semiaperto, aracnoideo, di colore verde con sfuma-

ture rosso-granata ai lati.

Asse del germoglio a 10-15 cm: per lo più ricurvo.

35

Foglioline apicali (da 1 a 3): di colore verde-biancastro con orlatura rosso-granata la

prima e la seconda, verde chiaro lungo le nervature e colorazione da giallo ad aranciato in-

ternervale con orlatura rosso-granata la terza; inferiormente lanuginose.

Foglioline basali (4-5): lucide, verdi con sfumature da rosso-granato a ramato e bordi

rossi, inferiormente aracnoidee.

Tralcio erbaceo: a sezione quasi circolare e contorno liscio con tomento appena arac-

noideo nella parte apicale, poi glabro; di colore verde leggermente striato di rosso e nodi

rossi. Tratto apicale a pastorale.

Viticci: bi e trifidi, lunghi, intermittenti (formula: 0-1-2 0-1-2).

Infiorescenza: cilindrica, allungata, da 1,1 a 2 per germoglio.

Fiore: ermafrodita.

Foglia: di media grandezza, talvolta grande, pentagonale, quinquelobata o trilobata. Il

seno peziolare è a lira o chiuso con bordi sovrapposti, mentre i seni laterali inferiori più o

meno sviluppati, ad U o, nelle foglie trilobate, a V e appena accennati. I seni laterali supe-

riori sono ad U o a lira, talvolta chiusi con bordi sovrapposti e talora con dente sulla base.

Caratteristica è la forma a graffa ({) della base dei seni laterali. Il lembo è sottile, a superfi-

cie liscia e lucida, a profilo piano o a coppa e con margini leggermente revoluti. La pagina

superiore è glabra, mentre quella inferiore aracnoidea con setolosità rada sulle nervature.

Denti poco pronunciati a base media e margini rettilinei o concavi-convessi. La base delle

nervature principali è di colore verde come anche il picciolo che presenta, inoltre, delle

sfumature rosa-violacee vicino al lembo.

Portamento della vegetazione: tendenzialmente assurgente.

Grappolo a maturità industriale: medio-grande, cilindrico allungato, con 1-2 ali poco

sviluppate, leggermente compatto. Il peduncolo è sottile, poco allungato, molto resistente e

legnoso nel primo tratto.

Acino a maturità industriale: medio-grande, da ellissoidale corto a sferoidale e grossez-

za abbastanza uniforme. La buccia è pruinosa, di colore rosso-grigio vicino al cercine che

diviene rosso scuro-violetto o blu-nero nella parte esposta al sole. Polpa un poco croccante

e acidula dai profumi e sapori fruttati. Pedicello allungato, sottile e verde come il cercine.

Tralcio legnoso: lungo, legno tenero, elastico. Corteccia ben aderente, di colore castano

chiaro con striature brune, liscia e un poco lucida; sezione circolare, nodi con gemme svi-

luppate, coniche. Internodi allungati (12-14 cm).

Tronco: robusto e ingrossato con scorza arricciata.

36

Caratteristiche distintive rispetto alla popolazione

Le differenze morfologiche rilevate sono risultate di scarso rilievo e hanno consentito di

classificare con sicurezza il clone nell’ambito del vitigno Brugnola. Le differenze principa-

li rilevate riguardano, invece, la produttività che risulta essere maggiore rispetto alla media

della popolazione in osservazione e la capacità di accumulare zuccheri, particolarmente

elevata rispetto alla media degli individui indagati.

Epoche fenologiche

Germogliamento: medio-precoce, per lo più nella prima metà di aprile.

Fioritura: media, generalmente nella prima decade di giugno.

Allegagione: seconda decade di giugno.

Invaiatura: media, per lo più verso la metà di agosto.

Maturazione: III epoca, per lo più ai primi di ottobre.

Filloptosi: per lo più verso la metà di novembre.

Condizioni di osservazione

Tab. 2

TEMPERATURE MEDIE MENSILI TRIENNIO 2009-2011 (°C)*

T** Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.

Min. 5,28 2,45 2,45 7,20 10,70 14,55 15,88 15,76 12,82 6,20 1,81 3,81

Max. 3,59 8,41 13,77 20,19 23,66 26,37 29,00 27,65 24,34 17,11 10,61 3,73

* Rilevamento effettuato presso la stazione meteorologica della Fondazione Fojanini di Sondrio.**Temperatura: i numeri in rosso indicano valori negativi (-).

-10-505

101520253035

TEMPERATURE MEDIE MENSILI

Minime

Massime

37

Parametri produttivi e qualitativi (valori medi)

I valori qui riportati sono stati ottenuti presso il vigneto di comparazione clonale “La

Priora” nel Comune di Berbenno di Valtellina. In particolare: anno di impianto 2007, con

sesto d’impianto 1,80 m tra le file e 1,00 m sulla fila, forma di allevamento a Guyot classi-

co.

Tab. 3

PARAMETRI PRODUTTIVI

Parametri 2009 2010 2011 Media Clone B10

Produzione/ceppo (g) 1740 4730 2580 3016,67 3540

Media n° grappoli/ceppo 7,00 16,00 16,50 13,16 12,40

Peso medio del grappolo (g) 250,55 293,27 162,40 235,41 276,18

Media n° germogli/ceppo 9,00 11,83 9,67 10,16 10,70

Fertilità 0,84 1,31 1,50 1,21 1,12

Tab. 4

PARAMETRI QUALITATIVI

Parametri 2009 2010 2011 Media Clone B10

Mos

to

Zuccheri (°Brix) 18,75 20,28 21,20 20,09 19,67

pH 3,09 3,47 3,30 3,27 3,31

Acidità tit. (g/l) 8,84 6,90 3,10 6,28 7,67

Buc

cia Indice antociani totali a

maturazione (mg/l)462,70 1202,90 1049,97 905,20 776,70

Polifenoli totali (mg/l) 1617,50 2341,00 2282,26 2080,30 1931,10

38

Parametri analitici del vino

I valori qui riportati sono stati ottenuti tramite microvinificazioni annuali di circa 55 kg

di uva in media proveniente dai due cloni (B12, B10) e realizzate presso la cantina della

Fondazione Fojanini di Sondrio.

Tab. 5

PARAMETRI ANALITICI

Parametri 2009 2010 Media Clone B10

Alcool totale (%vol.) 11,00 10,70 10,85 10,50

pH 3,07 2,98 3,03 3,42

Acidità totale (g/l) 7,50 8,06 7,78 6,34

Acidità volatile (g/l) 0,49 0,39 0,44 -

Antociani totali (mg/l) 462,66 952,02 707,34 -

Polifenoli totali (mg/l) 1617,51 1618,88 1618,20 -

Analisi organolettica

Il vino ottenuto è risultato

di colore rosso cupo con

riflessi violacei. Le

componenti olfattive si sono

distinte soprattutto per i

sentori di confettura, vegetale

secco e frutti rossi. Gli altri

sentori presentano livelli

medio-alti, conferendo al

vino un profilo ampio e complesso. Al gusto, i vini del triennio sono risultati con buoni

livelli sia di morbidezza che di acidità.

Caratteristiche e attitudini colturali

Clone che predilige luoghi ben esposti e non troppo fertili, dato il buon vigore e la ma-

turazione medio-tardiva. Buona resistenza alle principali malattie crittogamiche, in partico-

lare alla Muffa grigia (Botrytis cinerea). Fruttificazione costante ed elevata.

39

Utilizzazione

Clone adatto per uvaggi e vinificazione in purezza; vino con buona struttura acidica.

4.1.5 Risultati dello studio

Per questi vitigni e cloni di Brugnola è terminato l’iter di indagine sanitaria, agronomica

ed enologica e, essendo questo vitigno caratterizzato da un patrimonio genetico unico, si

sta dando corso alla richiesta di omologazione e all’iscrizione al “Registro Nazionale delle

Varietà di Vite”, come varietà nuova da vino, autoctona valtellinese e non come ecotipo di

Fortana, come del resto finora erroneamente veniva identificata. In particolare, il biotipo

selezionato viene siglato Brugnola 12.

4.2 Vinificazioni e analisi

Nell’ambito del progetto di selezione clonale la Fondazione Fojanini di Sondrio ha ef-

fettuato microvinificazioni annuali della Brugnola oggetto di studio; in seguito, nel 2012,

un viticoltore di Chiuro (SO) ha avviato una sperimentazione, che è continuata nel 2013, di

vinificazione di uve 100% Brugnola, seguendo il metodo di produzione del tradizionale e

affermato Sforzato di Valtellina DOCG, ottenendo così un Passito di Brugnola.

Di seguito vengono riportati i procedimenti delle vinificazioni della Brugnola e del Pas-

sito di Brugnola relative all’annata 2012, nonché quelle riguardanti lo Sforzato (annata

2011), con le relative analisi chimiche e organolettiche. È bene precisare che il richiamo

della vinificazione e delle analisi dello Sforzato servono come parametri di comparazione

con il Passito di Brugnola, essendo lo Sforzato stesso un vino già ampiamente affermato e

noto. Un’ulteriore precisazione: le analisi chimiche sono state effettuate secondo il metodo

tradizionale che impiega il titolatore automatico e il rifrattometro digitale.

Per le analisi organolettiche, sono stati chiamati a confronto quattro assaggiatori me-

diante la compilazione della scheda di degustazione (Metodo combinato centesimale e a

parametri liberi quantitativi – vedasi Allegato A) proposta dall’ONAV (Organizzazione

Nazionale Assaggiatori di Vino). Mediante la compilazione di suddetta griglia, è stato pos-

sibile far emergere le seguenti caratteristiche raggruppabili in tre aree, ovvero:

� visiva (limpidezza, tonalità, intensità);

� olfattiva (franchezza, intensità, finezza, armonia);

� gustativa (franchezza, intensità, corpo, armonia, persistenza, retrogusto).

40

Al termine della classificazione individuale del prodotto, vengono sommati i punteggi

attribuiti alle singole voci e stabilita la qualità del prodotto stesso a seconda del range

d’appartenenza, così come specificato nella seguente tabella.

Tab. 6

Punteggio Valutazione

� 91/100 Grande vino, eccellenza

86 ÷ 90/100 Vino molto buono, ottimo se di denominazione non blasonata

81 ÷ 85/100 Vino da buono a più che buono, buono per i vini e le denominazioni celebri

76 ÷ 80/100 Vino piacevole e discreto

70 ÷ 75/100 Vino di medio compiacimento

4.2.1 Vinificazione della Brugnola

Come citato sopra, durante questi anni di studio sulla selezione dei cloni di Brugnola, la

Fondazione Fojanini di Sondrio ha effettuato microvinificazioni annuali delle uve Brugno-

la, seguendo il tradizionale metodo di vinificazione. Nell’annata 2012, si è partiti da un

quantitativo iniziale di uva pari a circa 75 kg; durante la pigia-diraspatura è stata effettuata

l’aggiunta di 7,5 g di metabisolfito di potassio (K2S2O5) secondo la proporzione di 10 g/q

di uva; a seguito di questa prima fase, è avvenuto il periodo di macerazione-fermentazione

con due frollature e rimontaggi giornalieri. Trascorsi una decina di giorni, è stata effettuata

la torchiatura e la seguente sistemazione in damigiane; infine, dopo tre travasi (dicembre,

febbraio-marzo, maggio) è stato imbottigliato. Il quantitativo finale di vino ottenuto è stato

pari a 55 litri, con una resa, quindi, di circa il 75%.

Per miglior chiarezza espositiva, di seguito vengono esposte le sole analisi organoletti-

che relative alla Brugnola, e questo anche per le successive due vinificazioni, rinviando ad

una tabella finale l’illustrazione delle analisi chimiche dei tre vini.

NB: Legenda propedeutica alla lettura dei grafici di seguito riportati

Legenda: E = Eccellente, O = Ottimo, B = Buono, S = Sufficiente; da sottolineare che, poiché i vari pa-rametri analizzati non sono stati classificati con le medesime scale (es.: Tonalità con scala 0÷6 dove 0 = ne-gativo e 6 = eccellente e Finezza con scala 0÷8 dove 0 = negativo e 8 = eccellente) i valori attribuiti alle sin-gole caratteristiche sono stati riparametrati e uniformati con una scala 0÷24 così che il valore 6 e 8 corrispon-dano al massimo sia per la Tonalità che per la Finezza.

41

ANALISI ORGANOLETTICA Tab. 7

Nome degustatore

VISTA OLFATTO GUSTO G./O.

giud

izio

com

ples

sivo

valo

ri to

tali

lim

pide

zza

tona

lità

inte

nsit

à

fran

chez

za

inte

nsit

à

fine

zza

arm

onia

fran

chez

za

inte

nsit

à

corp

o

arm

onia

pers

iste

nza

retr

ogus

to

Balgera L. E O B B O B O O B O B O B B 80

Balgera P. O O B O B O O O B B B B O O 80

Bongiolatti N. E O O O B O O O B B B B B B 80

Folini F. E B B O O O O O O B B O B O 82

Media E O B O B/O O O O B B B B/O B B/O 80,5

Il vino ottenuto è risultato essere di colore rosso rubino, con componenti olfattive legate

al fruttato-floreale (mora, lampone-viola), speziato (pepe) e leggero erbaceo, riportando in

questi due campi (vista, olfatto) i punteggi migliori. Al gusto è risultato un vino poco sapi-

do, con un’acidità abbastanza spiccata, ma con tannino “dolce” (poco astringente) e sentore

fruttato-speziato (lampone-liquirizia, zafferano). Nel complesso, ha ottenuto un giudizio

finale medio pari 80,5 punti, che lo colloca come vino piacevole e discreto.

02468

1012141618202224

VISTA limpidezza

VISTA tonalità

VISTA intensità

OLFATTO franchezza

OLFATTO intensità

OLFATTO finezza

OLFATTO armonia

GUSTO franchezza

GUSTO intensità

GUSTO corpo

GUST./OLF. armonia

GUST./OLF.persistenza

GUST./OLF.retrogusto

GIUDIZIOCOMPLESSIVO

BRUGNOLA 2012

Balgera Luca

Balgera Paolo

Bongiolatti Nello

Folini Francesco

42

4.2.2 Vinificazione dello Sforzato di Valtellina DOCG

Lo Sforzato o Sfursat di Valtellina è il primo passito rosso secco italiano che vanta la

“garantita”, ossia la DOCG, ottenuta nel 2003 dopo un laborioso iter. Lo Sforzato viene

prodotto secondo un preciso disciplinare che ne regola tutti i procedimenti; questo proces-

so, estremamente delicato e lungo, prevede la raccolta (varia in base alle annate, nel 2011

verso la seconda decade di settembre) dei grappoli di uva Chiavennasca in cassette che,

dopo un’accurata selezione volta ad escludere gli acini danneggiati o non perfettamente

maturi, vengono accatastate e messe a dimora in appositi locali, detti “fruttai”, nei quali

l’uva va incontro, durante un periodo di quasi quattro mesi, ad appassimento naturale. Suc-

cessivamente, l’uva viene pigiata; secondo il disciplinare, la pigiatura non può mai avveni-

re prima del 10 dicembre dell’anno di raccolta, anche se, generalmente, avviene a gennaio,

dopo che l’uva ha perso circa il 40% del proprio peso, concentrato i succhi e sviluppato

particolari fragranze aromatiche. Successivamente al periodo di fermentazione si esegue la

torchiatura. A fronte delle varie fasi di lavorazione del vino, seguono 24 mesi di matura-

zione e affinamento, dei quali almeno 12 in botti di legno; infine, il prodotto viene com-

mercializzato con un titolo alcolometrico volumico naturale minimo pari al 14,0% vol.

Di seguito viene riportata l’analisi organolettica del vino ottenuto, che nello specifico è

stato prodotto dalla Casa Vinicola “Balgera” di Chiuro, dell’annata 2011.

ANALISI ORGANOLETTICA Tab. 8

Nome degustatore

VISTA OLFATTO GUSTO G./O.

giud

izio

com

ples

sivo

valo

ri to

tali

lim

pide

zza

tona

lità

inte

nsit

à

fran

chez

za

inte

nsit

à

fine

zza

arm

onia

fran

chez

za

inte

nsit

à

corp

o

arm

onia

pers

iste

nza

retr

ogus

to

Balgera L. E O O O B O O B O O O O O O 85

Balgera P. E O O O B O B B O O O B O O 83

Bongiolatti N. E O O E O O E O O O O O O O 89

Folini F. E O O O O E O O O O O O O O 87

Media E O O O B/O O O B/O O O O O O O 86

43

Il vino ottenuto è risultato essere di colore rosso rubino, con componenti olfattive legate

al fruttato (prugna essiccata, lampone, mora) e avere un andamento globale lineare. Nel

complesso, ha ottenuto un giudizio finale medio pari 86 punti, che lo colloca come vino

molto buono.

4.2.3 Vinificazione del Passito di Brugnola

Come già ampiamente detto, questo particolare tipo di vino è frutto di una sperimenta-

zione cominciata nel 2012 da Renato Folini, viticoltore di Chiuro e titolare dell’omonima

Azienda Agricola, il quale ha vinificato uve 100% Brugnola seguendo il metodo di produ-

zione del tradizionale Sforzato. È bene specificare che la zona di produzione rientra nella

fascia a DOCG Valgella e Valtellina Superiore, in particolare “Dos Bell” e “Fracia” e che

le viti di Brugnola non sono collocate in un unico vigneto, ma dislocate in varie parti di più

fondi. La metodica di produzione è, come già accennato, quella dello Sforzato; in particola-

re, per l’annata presa in considerazione (2012) la raccolta è stata verso il 20 di settembre e,

dopo un periodo di appassimento di circa quattro mesi in luogo ben aerato e naturale senza

ventilatori, a fine gennaio l’uva è stata sottoposta a pigia-diraspatura. Dopo 3-4 giorni è

iniziata la fermentazione naturale senza l’aggiunta di lieviti che si è protratta per circa 15-

02468

1012141618202224

VISTA limpidezza

VISTA tonalità

VISTA intensità

OLFATTO franchezza

OLFATTO intensità

OLFATTO finezza

OLFATTO armonia

GUSTO franchezza

GUSTO intensità

GUSTO corpo

GUST./OLF. armonia

GUST./OLF.persistenza

GUST./OLF.retrogusto

GIUDIZIOCOMPLESSIVO

SFORZATO 2011

Balgera Luca

Balgera Paolo

Bongiolatti Nello

Folini Francesco

44

20 giorni, al termine della quale è stata effettuata una torchiatura soffice con l’aggiunta di 5

g di Noxitan (combinazione di metabisolfito di potassio e di tannini ellagici con un'elevata

attività antisettica e antiossidante). Passati 10-15 giorni è stato fatto il primo travaso e poi

collocato il vino in botte di acciaio. Partendo da un quantitativo iniziale di uva pari a circa

4 quintali, il risultato finale è stato pari a 160 litri di vino, con una resa del circa 40%.

Di seguito viene riportata l’analisi organolettica del vino ottenuto.

ANALISI ORGANOLETTICA Tab. 9

Nome degustatore

VISTA OLFATTO GUSTO G./O.

giud

izio

com

ples

sivo

valo

ri to

tali

lim

pide

zza

tona

lità

inte

nsit

à

fran

chez

za

inte

nsit

à

fine

zza

arm

onia

fran

chez

za

inte

nsit

à

corp

o

arm

onia

pers

iste

nza

retr

ogus

to

Balgera L. E O O O B O O O O B O O O O 85

Balgera P. E E O O O O B B O O S O O O 84

Bongiolatti N. E E O B B O O O O B B O B O 83

Folini F. E E E E O O O O O O B O O O 89

Media E E O O B/O

O O O O B/O

B O O O 85,25

02468

1012141618202224

VISTA limpidezza

VISTA tonalità

VISTA intensità

OLFATTO franchezza

OLFATTO intensità

OLFATTO finezza

OLFATTO armonia

GUSTO franchezza

GUSTO intensità

GUSTO corpo

GUST./OLF. armonia

GUST./OLF.persistenza

GUST./OLF.retrogusto

GIUDIZIOCOMPLESSIVO

PASSITO DI BRUGNOLA 2012

Balgera Luca

Balgera Paolo

Bongiolatti Nello

Folini Francesco

45

Il vino ottenuto è risultato essere di colore rosso rubino, con componenti olfattive legate

al fungoso (funghi, muffa verde), anche se risulta essere piuttosto chiuso (ancora acerbo).

Al gusto risulta essere acerbo, con un tannino evidente, anche se “nobile” e sentore fruttato

(lampone). Nel complesso, ha ottenuto un giudizio finale medio pari 85,25 punti, che lo

colloca come vino da buono a più che buono. Rispetto al vino di Brugnola presenta una

maggiore struttura e colore, anche se più spigoloso, fatto dovuto all’essere ancora acerbo.

Di seguito si riporta la tabella aggregativa dei dati chimici dei tre vini precedentemente

illustrati.

ANALISI CHIMICHE Tab. 10

Parametri Brugnola

2012 Sforzato

2011 Passito

2012

Grado alcolico (%vol) 12,52 16,05 13,56

Acidità totale (g/l) 4,71 7,43 7,82

Acidità fissa (g/l) 4,07 6,83 7,29

Acidità volatile (g/l) 0,51 0,48 0,42

pH 3,77 3,62 3,45

Rifrattometro (°Brix) 8,10 11,60 7,00

SO2 libera (mg/l) 10,00 9,00 -

SO2 totale (mg/l) 34,00 80,00 -

AC Malico (g/l) 0,10 2,99 -

Antociani totali (mg/l) - - 204,71

Polifenoli totali (mg/l) - - 2069,45

Tonalità (Assorbanza 420/520) - - 0,744

Intensità (Assorbanza 420+520+620) - - 0,643

46

4.2.4 Confronto dei risultati ottenuti

Di seguito vengono esposte le tabelle riassuntive del confronto delle analisi ottenute dai

tre vini; in particolare per le analisi organolettiche vengono riportati i valori medi ottenuti

per ogni vino, mentre per le analisi chimiche viene fatto un confronto diretto.

Nella seguente tabella vengono riportate, per ogni vino, le medie dei giudizi dei quattro

assaggiatori.

ANALISI ORGANOLETTICHE Tab. 11

Vino

VISTA OLFATTO GUSTO G./O.

giud

izio

com

ples

sivo

valo

ri to

tali

lim

pide

zza

tona

lità

inte

nsit

à

fran

chez

za

inte

nsit

à

fine

zza

arm

onia

fran

chez

za

inte

nsit

à

corp

o

arm

onia

pers

iste

nza

retr

ogus

to

Brugnola E O B O B/O

O O O B B B B/O

B B/O

80,5

Sforzato E O O O B/O

O O B/O

O O O O O O 86

Passito di

Brugnola E E O O

B/O

O O O O B/O

B O O O 85,25

02468

1012141618202224

VISTA limpidezza

VISTA tonalità

VISTA intensità

OLFATTOfranchezza

OLFATTO intensità

OLFATTO finezza

OLFATTO armonia

GUSTO franchezza

GUSTO intensità

GUSTO corpo

GUST./OLF. armonia

GUST./OLF.persistenza

GUST./OLF.retrogusto

GIUDIZIOCOMPLESSIVO

MEDIE

Brugnola

Sforzato

Passito di Brugnola

47

ANALISI CHIMICHE

Alla luce delle analisi effettuate e tramite metodo comparativo, si può affermare che i

vini realizzati con la Brugnola, pur presentando un buon profilo aromatico, risultano avere

caratteristiche cromatiche e di struttura ordinarie. La tecnica dell’appassimento delle uve

per la produzione di vini con caratteristiche qualitative superiori sembra, invece, essere la

trafila enologica più interessante per questo vitigno; in particolare, l’appassimento permet-

te di ottenere vini di Brugnola con maggiore struttura e con un colore adeguato ad un vino

rosso di una certa struttura, mantenendo ed esaltando le caratteristiche del bouquet del vi-

no. Il confronto del vino ottenuto dall’appassimento delle uve Brugnola con quello dello

Sforzato, ottenuto da uve Chiavennasca, evidenzia come il prodotto della Brugnola sia, per

caratteristiche chimiche ed organolettiche, non sovrapponibile al più conosciuto Sforzato,

delineando così interessanti possibilità di un mercato per questo nuovo prodotto.

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

CONFRONTO DEI PARAMETRI COMUNI

Brugnola

Sforzato

Passito di Brugnola

48

Conclusioni

In questo lavoro di tesi si è voluto presentare il panorama vitivinicolo valtellinese con

particolare riguardo al vitigno Brugnola. Da tempo, la Fondazione Fojanini di Sondrio si

occupa dello studio delle varietà presenti in Valle, in specie di antiche varietà; questo, se

interpretato con una chiave di lettura moderna – che dà particolare risalto alla conservazio-

ne della biodiversità – risulta essere un’importante punto di partenza per il miglioramento e

l’ampliamento, negli anni a venire, del patrimonio enologico, nonché della viticoltura val-

tellinese in generale.

La Brugnola rientra, infatti, nel progetto di selezione dei vitigni autoctoni valtellinesi e

la scoperta che non esiste nessun tipo di parentela tra questo vitigno e la Fortana, è sicu-

ramente un aspetto positivo per il panorama vitivinicolo locale; l’aver appurato che la Bru-

gnola non ha nulla a che vedere con la Fortana apre la possibilità che la Brugnola stessa

venga iscritta al “Registro Nazionale delle Varietà di Vite” come nuova varietà da vino. In

un panorama più ampio, tale riconoscimento potrebbe incentivare la viticoltura valtellinese

che, come sappiamo, costa di ardue fatiche e scarsa redditività, vista la parziale meccaniz-

zazione degli impianti vitati e la loro frammentazione. Un altro elemento che può essere

addotto a sottolineare l’importanza dello studio qui trattato riguarda il fatto che, grazie ai

suoi risultati, viene salvaguardata l’unicità della Brugnola.

Nel quadro fin qui tratteggiato, si inserisce a pieno titolo il lodevole progetto sperimen-

tale messo in atto dall’Azienda Agricola Folini di Chiuro; l’idea di realizzare il Passito di

Brugnola rappresenta una sfida audace in quanto, se i risultati ottenuti daranno ragione

dell’impegno profuso, potranno essere il punto d’avvio di una nuova produzione che valo-

rizzi il territorio montano e ne riscatti la sua austerità.

A suffragare la bontà dell’iniziativa della famiglia Folini concorrono, specie in questi

ultimi anni, le grandi organizzazioni mondiali che stanno dando sempre più peso alla so-

stenibilità ambientale e alla biodiversità, concetti fino a poco tempo fa sconosciuti ai più.

Non a caso, il decennio 2011-2020 è stato proclamato “Decennio della Biodiversità” e il

2014 dichiarato dall’ONU “Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare”. In particola-

re, quest’ultimo riconoscimento sottolinea una volta in più la necessità, soprattutto per

quanto riguarda le zone rurali, di preservare i prodotti tradizionali; è in quest’ottica, infatti,

che viene tutelata e garantita l’agro-biodiversità, nonché incrementata l’economia locale, a

fronte di un mercato globale sempre più anonimo e spersonalizzato.

49

Personalmente questo tirocinio mi ha permesso di allargare le mie conoscenze in tale

settore; in particolare, ritengo molto interessante il metodo di selezione clonale tramite

l’analisi dei microsatelliti, che permette di individuare rapporti di parentela tra i vari viti-

gni. In questo caso ha permesso di confutare una tesi da tempo consolidata di sinonimia tra

due varietà, che, ad un’analisi maggiormente approfondita, si sono invece rivelate tutt’altro

che affini. A tale proposito, è possibile – e auspicabile – presupporre che, alla luce del pro-

getto portato avanti dalla Fondazione Fojanini sui vitigni autoctoni e sulle vecchie varietà,

si possa giungere, nei prossimi anni, a inedite e sorprendenti scoperte, così come si è rive-

lato il caso della Brugnola.

A mio avviso, è sorprendente constatare come, di volta in volta, il progresso tecnologico

permetta di poter sfruttare al meglio le potenzialità di uno specifico settore, in questo caso

quello viticolo. Da sempre, infatti, la vite accompagna l’uomo lungo il corso della sua sto-

ria e il suo prodotto rappresenta, fin dagli albori della civiltà, un elemento sacrale e di cul-

to, nonché utilizzato come collante sociale nelle feste e nei momenti di convivialità. Non si

dimentichi, infine, il potere straordinario del vino che ben recita il detto latino: in vino veri-

tas.

Un’ultima considerazione personale. Il percorso di studi fin qui intrapreso mi ha condot-

to su passi per certi aspetti a me nuovi e, attraverso lo studio delle varie discipline, ha sapu-

to dotarmi di chiavi di lettura specifiche nell’accostarmi al mondo naturale che mi circon-

da; ha accresciuto la mia consapevolezza che il progresso tecnologico legato all’agricoltura

può serbare in sé sorprese inaspettate e mi ha portato ad apprezzare e valorizzare ancor più

la mia terra d’origine.

Allegato A

Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito durante questo mio percorso di studi, in particolare:

Il relatore Prof. Lucio Brancadoro, per la pazienza dedicatami e la sua cortese premura durante la stesura dell’elaborato.

Il correlatore Dott. Nello Bongiolatti della Fondazione Fojanini di Sondrio, per avermi affiancato durante il tirocinio, per i preziosi consigli elargiti e per il materiale fornitomi du-rante la stesura della tesi.

La famiglia Folini, in particolare Renato e Francesco, per avermi permesso di riportare il loro progetto sperimentale sul Passito di Brugnola e per il tempo dedicatomi con estrema disponibilità e cordialità.

L’enologo Paolo Balgera, per avermi dedicato tempo prezioso, con professionalità e saggezza, permettendomi di effettuare le analisi organolettiche.

Il personale della Fondazione Fojanini di Sondrio, per l’accorata disponibilità e la spon-tanea gentilezza accordatami.

Mio zio Ivano, per il suo contributo nell’impostazione e stesura dell’elaborato.

Un ringraziamento speciale va, infine, alla mia famiglia, in particolare i miei genitori, per avermi sostenuto durante questi anni di studi.

Bibliografia

Bongiolatti N. (1996), Il vigneto valtellinese. Indagine sui vitigni presenti, Tipografia

Bettini, Sondrio

Bongiolatti N., Storia della viticoltura valtellinese, File personale word

Brancadoro L. (2013), Viticoltura, Dispense corso

Lehmann H. L. (1797), Die Landschaft Veltlin, Georg Christian Heil, Magdeburg

Ligari P. (1988), Ragionamenti di agricoltura, B.P.S. Stampa Litografica Mitta, Sondrio

Tamai G., Villa P. (a cura di) (2001), Risultati della selezione clonale in Lombardia,

Grafiche Endi

Sitografia

http://www.lavinium.com


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