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9.1 Vulvo-vaginiti - Doctor33 · calini o ricchi di coloranti, lavande vaginali, creme...

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198 DI NATURA NON INFETTIVA Epidemiologia. Le vulvo-vaginiti di natura non infettiva costituiscono un ampio capitolo della patologia flogistica vulvo-vaginale rappresentando, infatti, almeno il 40% del- le comuni affezioni del basso tratto genitale. Fattori di rischio ed eziopatogenesi. Le cause che possono determinare questo tipo di infiammazione sono numerose, spesso misconosciute e di norma quasi mai identificate con certezza. Spesso laddove viene riferita una sintomatologia vulvo-vaginale, quasi sempre è ipotizzata una noxa infettiva, cui segue la prescrizione di terapie, topi- che od orali, di regola ad ampio spettro antimicrobico che, non eliminando il fattore eziopatogenetico, non migliora- no il disturbo; anzi, tali trattamenti diventano responsabili di fenomeni di ipersensibilizzazione che tendono a perpe- tuare lo stato irritativo nel tempo. I fattori che incrementano il rischio di sviluppare vulvo-va- giniti di natura non infettiva sono molteplici: 1) i rapporti sessuali, in quanto la formazione di abrasioni microscopiche, dovute a un’inadeguata lubrificazione, favorirebbe la penetrazione di agenti esterni, possibile fonte di sensibilizzazione; 2) le abitudini igieniche: studi condotti su donne sessual- mente attive hanno dimostrato come l’uso eccessivo di detergenti intimi e lavande vaginali aumenti notevol- mente il rischio di contrarre vulvo-vaginiti su base irrita- tiva; 3) l’abbigliamento: l’abitudine a indossare indumenti mol- to attillati, soprattutto se costituiti da un materiale sinte- tico (nylon o lycra), contribuirebbe ad alterare l’ecosiste- ma vaginale, rendendolo più sensibile a molecole eso- gene; 4) fattori psicologici: è stato dimostrato che alcune donne affette da vulvo-vaginiti ricorrenti di natura non infetti- va, conducono una vita sessuale insoddisfacente o sot- tacciono spesso quadri depressivi. Clinica. Le manifestazioni cliniche sono del tutto aspeci- fiche e spesso indistinguibili dalle vulvo-vaginiti infettive, in quanto rappresentate perlopiù da bruciore e prurito, do- lore e senso di tensione.All’ispezione si possono osservare arrossamento ed edema vulvare (vulvite eritematosa) ac- compagnati da escoriazioni e fissurazioni. Più raramente, tali forme si possono associare alla comparsa di bolle, ve- scicole o ulcerazioni (reazione eritematoide), interessando talora anche la vagina. La leucorrea (secrezione mucosa definita spesso dalle donne come “perdita vaginale”) può essere presente ed è priva di alcun odore. Una corretta e approfondita valutazione della storia clinica e delle abitudini della donna rappresenta un approccio im- prescindibile quando si sospetta un processo infiammato- rio di natura non infettiva. Una volta esclusa la presenza dei principali agenti infettivi (Candida albicans, Trichomonas e Gardnerella vaginalis), diviene fondamentale porre una corretta diagnosi. Patologie sistemiche di natura dermato- logica (come psoriasi, lichen, penfigo, lupus, sindrome di Behçet, sindrome di Padget) possono determinare quadri vulvo-vaginali di difficile interpretazione per specialisti po- co esperti. La persistenza della sintomatologia accompagnata dalla presenza di particolari stili e abitudini di vita (uso di assor- benti interni, salvaslip ecc.) devono orientare l’attenzione sul fatto che possa trattarsi di una forma di ipersensibilità vaginale ad agenti esterni. Terapia e prevenzione. La terapia di tutte queste forme consiste nell’eliminare la causa irritativa, allergizzante, traumatica. Il primo presidio terapeutico, di importanza fondamentale, risulta essere l’educazione della paziente. Essa infatti, una volta messa a conoscenza della sua parti- colare sensibilità vaginale ad agenti esogeni, va informata rispetto ai comportamenti e alle abitudini di vita corretti che possono risolvere la sua sintomatologia. Rimosso l’a- gente sensibilizzante (quando riconosciuto) è fondamen- tale nelle donne “ipersensibili” evitare: 1) qualsiasi stimolo irritativo: applicazioni vaginali di deodoranti spray, profumi, saponi eccessivamente al- calini o ricchi di coloranti, lavande vaginali, creme de- pilatorie; 2) l’abitudine ad una eccessiva igiene intima: potrebbe al- terare le naturali difese immunitarie vaginali e la flora microbica saprofita; 3) l’utilizzo di assorbenti interni; questi dovranno essere sostituiti da quelli esterni, preferibilmente non dotati di “ali protettive” in quanto il materiale adesivo di cui so- no costituite è ricco di colla in grado di sciogliersi a con- tatto con le normali sudorazioni e capace, quindi, di ge- nerare prurito e fenomeni di sensibilizzazione. Inoltre è di importanza fondamentale informare la donna sulle più basilari nozioni di fisiologia vaginale (le funzioni della mucosa, il ruolo del pH e delle secrezioni in generale ecc.); ciò la rende spesso partecipe di un “percorso medi- co” di difficile gestione. GINECOLOGIA 9.1 Vulvo-vaginiti
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DI NATURA NON INFETTIVA

Epidemiologia. Le vulvo-vaginiti di natura non infettivacostituiscono un ampio capitolo della patologia flogisticavulvo-vaginale rappresentando, infatti, almeno il 40% del-le comuni affezioni del basso tratto genitale.

Fattori di rischio ed eziopatogenesi. Le cause chepossono determinare questo tipo di infiammazione sononumerose, spesso misconosciute e di norma quasi maiidentificate con certezza. Spesso laddove viene riferita unasintomatologia vulvo-vaginale, quasi sempre è ipotizzatauna noxa infettiva, cui segue la prescrizione di terapie, topi-che od orali, di regola ad ampio spettro antimicrobico che,non eliminando il fattore eziopatogenetico, non migliora-no il disturbo; anzi, tali trattamenti diventano responsabilidi fenomeni di ipersensibilizzazione che tendono a perpe-tuare lo stato irritativo nel tempo.I fattori che incrementano il rischio di sviluppare vulvo-va-giniti di natura non infettiva sono molteplici:

1) i rapporti sessuali, in quanto la formazione di abrasionimicroscopiche, dovute a un’inadeguata lubrificazione,favorirebbe la penetrazione di agenti esterni, possibilefonte di sensibilizzazione;

2) le abitudini igieniche: studi condotti su donne sessual-mente attive hanno dimostrato come l’uso eccessivo didetergenti intimi e lavande vaginali aumenti notevol-mente il rischio di contrarre vulvo-vaginiti su base irrita-tiva;

3) l’abbigliamento: l’abitudine a indossare indumenti mol-to attillati, soprattutto se costituiti da un materiale sinte-tico (nylon o lycra), contribuirebbe ad alterare l’ecosiste-ma vaginale, rendendolo più sensibile a molecole eso-gene;

4) fattori psicologici: è stato dimostrato che alcune donneaffette da vulvo-vaginiti ricorrenti di natura non infetti-va, conducono una vita sessuale insoddisfacente o sot-tacciono spesso quadri depressivi.

Clinica. Le manifestazioni cliniche sono del tutto aspeci-fiche e spesso indistinguibili dalle vulvo-vaginiti infettive,in quanto rappresentate perlopiù da bruciore e prurito, do-lore e senso di tensione. All’ispezione si possono osservarearrossamento ed edema vulvare (vulvite eritematosa) ac-compagnati da escoriazioni e fissurazioni. Più raramente,tali forme si possono associare alla comparsa di bolle, ve-scicole o ulcerazioni (reazione eritematoide), interessandotalora anche la vagina. La leucorrea (secrezione mucosa

definita spesso dalle donne come “perdita vaginale”) puòessere presente ed è priva di alcun odore.Una corretta e approfondita valutazione della storia clinicae delle abitudini della donna rappresenta un approccio im-prescindibile quando si sospetta un processo infiammato-rio di natura non infettiva. Una volta esclusa la presenzadei principali agenti infettivi (Candida albicans, Trichomonase Gardnerella vaginalis), diviene fondamentale porre unacorretta diagnosi. Patologie sistemiche di natura dermato-logica (come psoriasi, lichen, penfigo, lupus, sindrome diBehçet, sindrome di Padget) possono determinare quadrivulvo-vaginali di difficile interpretazione per specialisti po-co esperti.La persistenza della sintomatologia accompagnata dallapresenza di particolari stili e abitudini di vita (uso di assor-benti interni, salvaslip ecc.) devono orientare l’attenzionesul fatto che possa trattarsi di una forma di ipersensibilitàvaginale ad agenti esterni.

Terapia e prevenzione. La terapia di tutte queste formeconsiste nell’eliminare la causa irritativa, allergizzante,traumatica. Il primo presidio terapeutico, di importanzafondamentale, risulta essere l’educazione della paziente.Essa infatti, una volta messa a conoscenza della sua parti-colare sensibilità vaginale ad agenti esogeni, va informatarispetto ai comportamenti e alle abitudini di vita correttiche possono risolvere la sua sintomatologia. Rimosso l’a-gente sensibilizzante (quando riconosciuto) è fondamen-tale nelle donne “ipersensibili” evitare:

1) qualsiasi stimolo irritativo: applicazioni vaginali dideodoranti spray, profumi, saponi eccessivamente al-calini o ricchi di coloranti, lavande vaginali, creme de-pilatorie;

2) l’abitudine ad una eccessiva igiene intima: potrebbe al-terare le naturali difese immunitarie vaginali e la floramicrobica saprofita;

3) l’utilizzo di assorbenti interni; questi dovranno esseresostituiti da quelli esterni, preferibilmente non dotati di“ali protettive” in quanto il materiale adesivo di cui so-no costituite è ricco di colla in grado di sciogliersi a con-tatto con le normali sudorazioni e capace, quindi, di ge-nerare prurito e fenomeni di sensibilizzazione.

Inoltre è di importanza fondamentale informare la donnasulle più basilari nozioni di fisiologia vaginale (le funzionidella mucosa, il ruolo del pH e delle secrezioni in generaleecc.); ciò la rende spesso partecipe di un “percorso medi-co” di difficile gestione.

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Nelle reazioni più gravi, con sintomatologia intensa e do-lorosa, è consigliabile praticare impacchi con compresse ri-vestite da acido borico o soluzioni 1:20 di alluminio aceta-to. Anche l’applicazione locale di creme a base di cortico-steroidi può provocare una rapida regressione dei sintomi,specie se la forma ha una base allergica. Tali applicazionidevono essere protratte per 2-3 settimane se la pelle vulva-re presenta già fatti di lichenificazione. In alcuni casi, se ne-cessario, è possibile somministrare dei corticosteroidi an-che per via orale.Meno indicate sono le creme antistaminiche e a base disodio cromoglicato che dimostrano una certa efficacia nel-le reazioni vulvari al trattamento con antibiotici locali co-me la penicillina, ma hanno l’inconveniente, nelle formesu base irritativo-traumatica, di dare origine a reazioni al-lergiche.

Vaginosi battericaTra le infezioni del basso tratto genitale femminile, un ruo-lo di primaria importanza è rivestito dalla vaginosi batteri-ca (VB) che costituisce, insieme alla vulvo-vaginite micoti-ca (VVC), la causa più frequente di vaginiti nelle donne inetà fertile.

Eziopatogenesi. Il termine stesso “vaginosi” indica co-me non si tratti di una vera e propria infezione, bensì diun sovvertimento dell’ecosistema vaginale, caratterizzatoda una riduzione della normale flora latto-bacillare pro-duttrice di perossido di idrogeno, ad azione battericida neiconfronti dei batteri anaerobi. Come conseguenza si veri-fica un incremento di una flora patogena, composta daGardnerella vaginalis, anaerobi e micoplasmi (prevalente-mente Mycoplasma hominis), con produzione di aminearomatiche che si liberano dal loro metabolismo, quali laputrescina e la cadaverina. In particolare, la Gardnerella va-ginalis che possiede “adesina” di natura proteica, aderisceall’epitelio vaginale e determina la lisi desquamativa dellecellule intermedie e l’adesione dell’essudato alle pareti va-ginali.

Clinica. La VB si manifesta con la presenza di secrezioniabbondanti, dense e maleodoranti, aderenti alle pareti va-ginali; possono essere omogenee, grigio-verdastre, abba-stanza fluide e talora schiumose. La caratteristica che lerende uniche è, soprattutto, il cattivo odore a cui si accom-pagnano, un odore acre, simile a quello del pesce avariato,che deriva dai prodotti del metabolismo di questi micror-ganismi. Tale sgradevole odore si accentua specialmentedopo un rapporto sessuale non protetto e, tipicamente,non recede dopo ripetute toilettes igieniche; oltre alle per-dite è possibile riscontrare un rialzo del pH vaginale (> 4,5).

Raramente le perdite sono accompagnate da prurito, bru-ciore e dolore durante i rapporti sessuali.

Diagnosi. Si basa essenzialmente sui criteri di Amsel etal., che hanno proposto per la diagnosi clinica di questa pa-tologia la presenza di 3 dei seguenti requisiti:

1) leucorrea bianco-grigiastra omogenea e tendente adaderire alle pareti della vagina;

2) pH vaginale superiore a 4,5;3) sviluppo del fish-odor dopo alcalinizzazione con idrato

di potassio al 10% del secreto vaginale (Fishy-odor-testo ammino-test);

4) presenza di più del 20% di cellule di sfaldamento coper-te da cellule batteriche (clue cells) all’esame microscopi-co a fresco del secreto vaginale.

Sono inoltre utilizzabili a scopo diagnostico l’esame coltu-rale, la colorazione di Gram, ELISA (PCR).

Sequele. Dai primi anni ’80 è stato dimostrato un ruolo ezio-patogenetico della VB in alcune patologie ostetriche,quali l’a-borto nel primo trimestre, la rottura prematura delle membra-ne, la corionamionite, il parto pretermine, la nascita di neona-to di basso peso e l’endometrite puerperale.Attualmente si ri-tiene che una politica efficace di controllo della VB potrebbe ri-durre significativamente l’incidenza di parti pretermine, connotevole risparmio in termini di costi sociali ed economici.Le ipotesi sulla patogenesi del parto pretermine da causabatterica sono diverse: alcuni batteri, quali le prevotelle e ipeptostreptococchi, presenti in gran numero in caso di VB,producono ingenti quantitativi di un enzima, la fosfolipasiA2, che, come è noto, è in grado di liberare acido arachido-nico dalle cellule amnio-coriali e di innescare la cascataprostaglandinica; d’altra parte l’attivazione della sintesi diprostaglandine è favorita anche dall’aumentato rilascio diinterleuchina-1, conseguente alla presenza in vagina diun’elevata concentrazione di endotossine batteriche. Alte-razioni nella concentrazione vaginale di altre citochine (IL-6), chemochine (IL-8) e antagonisti di recettori formanoanche parte del quadro di equilibrio pro-/anti-infiammato-rio. Recenti studi sulla valutazione della risposta mucosaleall’infezione hanno permesso di evidenziare una certa va-riabilità nell’entità della risposta anticorpale contro l‘emo-lisina prodotta dalla Gardnerella vaginalis. È dimostrabile,infatti, l’esistenza di alcune forme di VB nelle quali unacompromissione immunologica locale (diminuzione delleIgA, degradazione delle catene delle IgM, aumento dellesialidasi ecc.) potrebbe essere responsabile della gravitàdelle conseguenze dell’infezione in gravidanza.Inoltre, in particolar modo, l’aumento del pH vaginale in cor-so di VB e i suoi effetti sulla risposta immune innata, appaio-no di fondamentale importanza. La letteratura di questi ulti-

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mi anni ha dimostrato un’associazione diretta tra valori ele-vati di pH vaginale, aumento del numero di neutrofili e par-to pretermine. Sebbene una diminuzione del numero di lat-tobacilli, organismi acidificanti vaginali, giustifichi l’aumentopatologico del pH, non è ancora stabilito se questo possa es-sere sufficiente per permettere la colonizzazione vaginale daparte di anaerobi, o invece ne sia una conseguenza. L’innal-zamento del pH avrebbe infatti un effetto diretto sulle fun-zioni delle cellule mucosali, e in particolare dei fagociti, coninibizione della chemiotassi, della fagocitosi e dell’attivitàbattericida e aumento della produzione di alcune citochine.

Terapia. La terapia, volta all’eradicazione dell’infezione eal ripristino della flora batterica vaginale normale, si basasull’uso di un antibiotico, il metronidazolo o, in alternativa,la clindamicina, assunti per via topica sotto forma di ovulio candelette vaginali, o per via orale.Date le evidenze cliniche e sperimentali e considerata altresìla relativa semplicità e il basso costo della diagnosi, in moltiPaesi viene raccomandato lo screening di tutte le gravide e iltrattamento antibiotico delle positive. Purtroppo non dispo-niamo ancora di trial clinici sufficientemente ampi per poteravere sicure conferme. Inoltre, non tutti gli Autori concorda-no sulla reale necessità di istituire un programma di scree-ning randomizzato. A tal proposito, il CDC raccomanda loscreening e l’eventuale trattamento nelle pazienti ad alto ri-schio di parto pretermine (in particolare nelle donne che pre-sentano pregressi episodi di parto pretermine e/o aborto tar-divo all’anamnesi), mentre per le pazienti a basso rischio, almomento, non sussiste l’indicazione allo screening.Trattandosi di un’alterazione dell’ecosistema vaginale piùche di un’infezione, non vi sono norme igieniche né com-portamentali da consigliare alla donna per prevenire talequadro clinico, alla base del quale si riconosce la presenzadi una riduzione quantitativa dei potenziali fattori di difesavaginali (lactobacilli). Elementi quali lo stress, le terapie an-tibiotiche ad ampio spettro e un’indole tendenzialmentedepressiva possono influire sulle difese immunitarie equindi predisporre alla vaginosi.

DI NATURA INFETTIVA E MALATTIESESSUALMENTE TRASMESSE (MST)

Epidemiologia. Le malattie sessualmente trasmesse rap-presentano un gruppo di patologie infettive emergenti,non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli in-dustrializzati, compresa l’Italia. Sono causate da diversiagenti patogeni, di cui se ne conoscono almeno una venti-na, tra cui virus, miceti, batteri, micoplasmi ecc. che hannoin comune la modalità di contagio (quasi esclusivamentesessuale) e il fatto di essere poco resistenti all’ambiente

esterno. Secondo i dati forniti dall’OMS, ogni anno vengo-no registrati 400 milioni di nuovi casi di MST nella fascia dietà compresa tra i 15 e i 45 anni (esclusi i casi legati al-l’HIV), distribuiti per lo più in Sudafrica e nel Sud-Estasiatico. Rispetto al secolo scorso, quando le più frequentierano le classiche “malattie veneree”, cioè sifilide e gonor-rea, oggi le più diffuse in Italia sono quelle da Chlamydia,micoplasmi, herpes e HPV, ma il quadro potrebbe modifi-carsi, sia per il cambiamento delle abitudini sessuali (pro-miscuità sessuale, tossico-dipendenza), sia per l’importa-zione di altri agenti patogeni dalle regioni tropicali. Per dipiù, i pazienti affetti da MST presentano soluzioni di con-tinuo e iperemia (maggiore vascolarizzazione) a livello del-le mucose genitali: in questo modo non sono solo piùesposti all’infezione da HIV, ma anche, se HIV +, sono fon-ti di contagio del/dei partner creando, a livello della popo-lazione, una “sinergia epidemiologica”.L’emergenza, quindi, di nuovi patogeni e di nuove malat-tie, la necessità di ridurre al minimo il periodo di contagioe di migliorare la compliance dei pazienti alla terapia, in-ducono lo specialista a scegliere le metodiche più validenella diagnosi e le terapie più efficaci per la rapida eradica-zione dell’infezione.L’obiettivo principale della prevenzione delle MST è quellodi ridurre il rischio di contagio, adottando misure compor-tamentali sessuali ben codificate: astinenza sessuale, piut-tosto che un rapporto a rischio; riduzione della promiscuitàsessuale; uso costante del condom.In caso di MST in atto o sospetta, va consigliata l’astensio-ne sempre e comunque dai rapporti sessuali; mentre in ca-so di comportamenti a rischio, vanno prescritti regolaricontrolli clinici e di laboratorio.La classificazione delle malattie sessualmente trasmesse èriassunta nella Tabella 9.1.

Malattie sessualmente trasmesse a eziologia batterica

SIFILIDE

La sifilide è una malattia cronica che si manifesta con unatipica sintomatologia cutaneo-mucosa e con interessa-mento degli organi interni.

Epidemiologia. Rara nei Paesi occidentali, colpisce piùfrequentemente la seconda-terza decade; il contagio av-viene per lo più attraverso i rapporti sessuali (sifilide ve-nerea), ma è possibile anche la trasmissione verticale-transplacentare (sifilide congenita o prenatale). Eccezio-nalmente viene descritto un contagio alla nascita, duran-te il passaggio attraverso il canale da parto, o da contattiinterpersonali.

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Eziopatogenesi. È causata dal Treponema pallidum, sub-specie pallidum, una spirocheta microaerofila patogena so-lo per l’uomo, dotata di breve vita al di fuori dell’organismoinfetto, essendo molto sensibile all’essiccamento, ai raggiUV ed ai blandi antisettici.

Clinica. Nel 50% decorre in modo asintomatico (sifilidelatente); negli altri casi la clinica dipende dalla modalità dicontagio.

1) Sifilide venerea: al periodo di incubazione di 7-40 giorni(media 3 settimane) dal contagio, fa seguito il periodo pri-mario, caratterizzato dalla comparsa del sifiloma o sifilo-sclerosi e di adenopatia satellite. Il sifiloma è un nodulounico, duro, rotondeggiante, del diametro di circa 1 cm, lo-calizzato nella sede di inoculazione della spirocheta; puòandare incontro a erosione, spontanea o secondaria a fat-ti traumatici, con fuoriuscita di liquido limpido; la risolu-zione è spontanea nel giro di 4-6 settimane. Il sifiloma puòmancare ed essere sostituito da una flogosi diffusa dellavulva (vulvite sifilitica di Follmann). Il periodo primario du-ra circa 2 mesi e lascia il posto al periodo secondario, chepuò protrarsi fino a 2-3 anni, pleiomorfo, in quanto, a fian-co della tipica eruzione sifilodermica, caratterizzata da ro-seole e papule, molto contagiose (sifilomi secondari), pos-sono comparire lesioni mucose o papulose, alterazioni cu-tanee pigmentarie (collare di Venere), alopecia diffusa oareolare, manifestazioni a carico degli organi interni (epa-tite, paralisi dei nervi cranici, meningite ecc.), poliadeno-patia generalizzata con o senza febbre. L’esantema evolvenel corso di 2-10 settimane verso la risoluzione clinica, mai segni sierologici (anticorpi specifici anti-Tp) di infezione

(fase latente siero-positiva) nel 60-70% dei casi persistonoper tutta la vita. Nel 30% dei casi non trattati, dopo alcunianni (5-15, in media 3-4 anni) compaiono le lesioni ter-ziarie (sifilodermi nodulari terziari e forme sifilitiche), le-sioni cutanee e/o mucose localizzate e persistenti in formadi noduli e gomme, con frequente coinvolgimento degliorgani interni (sifilide cardio-vascolare, neurosifilide, tabedorsale ecc.).Esiste inoltre una forma acefala, in cui,per ef-fetto di antibiotici assunti per altri motivi, possono manca-re il sifiloma e l’adenopatia satellite, e la forma maligna (ti-pica dei soggetti immuno-compromessi o defedati) che simanifesta con sifilodermi ulcerosi.

2) Sifilide congenita: manca il periodo primario, perché ilcontagio avviene attraverso il sangue del cordone om-belicale. Esistono tre forme:a) sifilide congenita latente: è la più frequente;b) sifilide congenita precoce: compare entro i primi 2 anni di

vita e si caratterizza per le lesioni cutanee (sifilodermipemfigoidi o papulosi), mucose, ossee (osteocondrite),epato- e splenomegalia, interessamento del SNC;

c) sifilide congenita tardiva: si manifesta dopo i 2 anni divita con cheratite interstiziale (cecità) e lesioni dell’o-recchio interno (sordità). Da ricordare le stigmate del-la sifilide congenita: naso a sella, cicatrici radiate pe-riorifiziali, tibia a sciabola, denti di Hutchinson (inci-sivi mediani superiori con obliquità verso il basso eorletto a semiluna).

Diagnosi. Oltre che obiettiva, viene posta attraverso l’iso-lamento del treponema nelle lesioni e/o la ricerca sierologi-ca di anticorpi antilipoidei o antireaginici (per valutare l’atti-

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Tabella 9.1 CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE (MST)

Malattie sessualmente trasmesse Agente eziologico

Batteriche Sifilide Treponema pallidumGonorrea Neisseria gonorrhoeaeUlcera venerea Haemophilus ducreyiDonovanosi Calymmatobacterium granulomatisInfezioni da micoplasmi genitali Mycoplasma hominis

Mycoplasma fermentansMycoplasma genitaliumUreaplasma urealyticum

Linfogranuloma venereo Chlamydia trachomatis L1-L2-L3Infezione da Chlamydia trachomatis Chlamydia trachomatis D e K

Micotiche Candidosi genitale Candida albicans, krusei, glabrata e tropicalis

Protozoarie Trichomoniasi genitale Trichomonas vaginalis

Virali Herpes simplex ano-genitale HSV tipo 1 e 2Papillomatosi-condilomatosi HPVMollusco contagioso Virus del mollusco contagiosoInfezioni da HIV HIV tipo 1 e 2

Parassitarie Scabbia Sarcoptes scabiei hominisPediculosi del pube Phtirius pubis

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vità della malattia: reazione di VDRL di microflocculazionealla cardiolipina) ed antitreponema (TPHA, ELISA IgG-IgM,FTA-ABS). Secondo i diversi quadri riscontrabili, gli accerta-menti diagnostici raccomandati dall’Istituto Superiore di Sa-nità sono di seguito elencati.

1) Sifilide acquisita recente: a) ricerca e isolamento microscopico del treponema al

paraboloide su essudato di lesione;b) ricerca anticorpi antitreponema nel sangue (TPHA,

ELISA IgG ed IgM anti-Tp);c) ricerca di anticorpi antilipoidei nel sangue e loro tito-

lazione con VDRL o RPR.2) Sifilide acquisita tardiva:

a) ricerca di anticorpi antitreponemici nel sangue(TPHA, ELISA IgG e IgM anti-Tp);

b) ricerca di anticorpi antilipoidei nel sangue e loro tito-lazione con VDRL o RPR;

c) accertamenti come per neurosifilide se sintomi neu-rologici e/o oftalmici, altri segni di sifilide attiva (gom-me, aortite) e/o titoli di RPR o VDRL > 1:32.

3) Neurosifilide:a) ricerca di anticorpi antilipoidei nel liquor e loro titola-

zione con VDRL o RPR;

b) determinazione dei livelli dell’albumina del liquor;c) citometria liquorale.

4) Sifilide congenita neonatale:a) ricerca di anticorpi antitreponemici di classe IgM nel

sangue con 19S IgM FTA-ABS e/o 19S IgM TPHA e/oELISA IgM a cattura;

b) ricerca di anticorpi antipoidei nel sangue e loro titola-zione con VDRL o RPR;

c) accertamenti come per neurosifilide.5) Sifilide congenita postnatale:

a) ricerca di anticorpi antitreponemici nel sangue conTPHA e/o ELISA IgG ed IgM anti-Tp;

b) ricerca di anticorpi antilipoidei nel sangue e loro tito-lazione con VDRL o RPR;

c) accertamenti come per neurosifilide.

La determinazione dell’antigene treponemico con PCR(polymerase chain reaction) o la ricerca di anticorpi specificicon la metodica Western blot non costituiscono indagini diroutine. Si consiglia di sottoporre i pazienti con sospetta si-filide ad accertamenti per HIV.

Terapia. È fondamentalmente basata sull’uso della peni-cillina, secondo gli schemi della Tabella 9.2.

GINECOLOGIA

Tabella 9.2 SCHEMA TERAPEUTICO DELLA PENICILLINA NELLA SIFILIDE

Sifilide primaria o se-condaria o sieropositivalatente recente (< 1 an-no)

Sifilide latente sieropo-sitiva tardiva (> 1 anno)

Neurosifilide

Sifilide congenita neonatale

Sifilide congenita postnatale

Sifilide in corso di HIV

• Benzatin penicillina G 2.400.000 UI i.m. unica somministrazione• Se allergia: doxiciclina 100 mg per os 2/die per 2 settimane

oppure: tetraciclina 500 mg per os 4/die per 2 settimaneoppure: eritromicina 500 mg per os 4/die per 2 settimane

• Benzatin penicillina G 2.400.000 UI i.m. unica somministrazioneuna volta alla settimana per 3 settimane

• Se allergia: doxiciclina 100 mg per os 2/die per 4 settimaneoppure: tetraciclina 500 mg per os 4/die per 4 settimaneoppure: eritromicina 500 mg per os 4/die per 2 settimane

• Penicillina acquosa cristallina 12-24.000.000 UI/die e.v. per 10-14 giorni

• Se allergia: procedure di desensibilizzazione e poi terapia con pe-nicillina

• Penicillina acquosa cristallina 100.000-150.000 UI/kg/die per 10-14 giorni. Il trattamento va effettuato sempre in caso di dubbi, inmancanza del test IgM; se la madre è stata trattata con sola eri-tromicina; ha anticorpi anti-Tp senza anamnesi di sifilide; è statatrattata solo all’ultimo mese di gravidanza; il trattamento, puradeguato, è stato seguito da un follow-up troppo breve; o se ilneonato presenta segni clinici e/o radiologici di sifilide, o un titolosierico di anticorpi antilipoidei 4 volte superiori a quelli della ma-dre o positività liquorale

• Penicillina acquosa cristallina 200.000-300.000 UI/kg/die per 10-14 giorni

• Se allergia: procedure di desensibilizzazione e poi terapia con pe-nicillina

• Benzatin penicillina G 2.400.000 UI i.m. unica somministrazione,una volta alla settimana per 3 settimane

• Se presenti segni di neurosifilide: penicillina acquosa cristallina12-24.000.000 UI/die e.v. per 10-14 giorni

Controllo clinico e sierolo-gico a 3 e 6 mesi

Controllo clinico e sierolo-gico a 6 e a 12 mesi

Controllo del liquor ogni 6mesi per i primi 2 anni

Controllo clinico e sierolo-gico ogni 3 mesi; controllodel liquor a 6 mesi

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GONORREA

È la più comune delle MST, responsabile di uretrite ante-riore acuta o subacuta nel maschio, endocervicite nelladonna, anorettite nell’omosessuale maschio o nella donnae faringite in entrambi i sessi.

Epidemiologia. È più frequente nei Paesi poveri, in cui lecondizioni igieniche e socio-economiche sono scadenti;colpisce prevalentemente il sesso maschile, con contagiosessuale (eccezionale è il contagio indiretto).

Eziopatogenesi. L’agente etiologico è la Neisseria go-norrhoeae, o gonococco, un diplococco Gram-negativo, mi-croaerofilo, sensibile ai blandi antisettici e dotato di tropi-smo per gli epiteli cilindrici semplici: l’adesione delle cellu-le batteriche alle superfici mucose, decisivo per lo sviluppodella malattia, avviene infatti solo a livello degli epiteli ci-lindrici.

Clinica. Anche se spesso asintomatica, l’infezione si puòmanifestare con segni di flogosi nel punto di penetrazionedel germe, cui possono far seguito complicanze locali, ge-nerali e a distanza.Tipica dell’infezione gonococcica nel maschio è l’uretriteacuta, inizialmente solo della porzione anteriore dell’ure-tra, con essudazione catarrale e poi purulenta (scolo dalmeato uretrale di pus giallo-verdastro), che spesso si com-plica, a distanza di 3-4 settimane, con uretrite posteriore(restringimenti uretrali e disturbi minzionali), prostatite(disuria, erezioni notturne dolorose, dolore alla defecazio-ne), epididimite, cowperite.Nella donna l’infezione gonococcica può determinare bar-tolinite, endometrite, annessite, fino alla malattia infiam-matoria pelvica (PID) e conseguente sterilità.Se contratta in gravidanza, è frequente la congiuntivite go-nococcica del neonato acquisita durante il passaggio nelcanale del parto (ophtalmia neonatorum).Nella bambina, vittima di abuso sessuale o a seguito dicontagio ambientale, l’infezione si può manifestare con unquadro di vulvo-vaginite purulenta.Complicanze sistemiche, comuni ai due sessi, sono legatealla disseminazione ematogena (a partenza dalla prostatao dagli annessi) dell’infezione (infezione gonococcica dis-seminata) che a sua volta può dare origine a endocardite,meningite, artrite purulenta, alterazioni cutanee (petecchie,papule ecc.).L’infezione può avere andamento cronico, con periodicheriaccensioni, a seguito di abusi alimentari o sessuali, deca-dimento delle condizioni generali o altre infezioni.Possibili sequele sono da considerarsi la stenosi uretrale nelmaschio, la gravidanza extrauterina nella donna e l’inferti-lità o l’ipofertilità in entrambi i sessi.

Diagnosi. La diagnosi si basa sull’isolamento del germeattraverso:

1) ricerca microscopica diretta del secreto (da prelievo ure-trale nel maschio) previa colorazione Gram: il gonococ-co è visibile all’interno dei polimorfonucleati;

2) ricerca colturale su terreni all’agar sangue (Thayer-Mar-tin) e successiva identificazione con metodo Gram;

3) prova dell’ossidasi e fermentazione degli zuccheri;4) ricerca di DNA ed RNA batterico con sistemi di ibridiz-

zazione molecolare e amplificazione genica sui secreti.

Queste indagini dovrebbero essere completate con la ri-cerca di produzione della �-lattamasi (test alla cefalo-sporina cromogena) e l’antibiogramma, allo scopo di ac-certare eventuali resistenze plasmidiche o cromosomiche(E-TEST).

Terapia. La terapia si basa essenzialmente sull’uso dellaspectinomicina, soprattutto per le localizzazioni uretrali ecervicali, alla dose di 2 g in un’unica somministrazione pervia parenterale. Viene impiegato anche il ceftriaxone, 250mg in dose unica per via parenterale.Terapie alternative so-no: ofloxacina per os, 400 mg in unica somministrazione;azitromicina per os 1 g in unica somministrazione; cefixi-me per os 400 mg in unica somministrazione (controindi-cato in gravidanza, durante l’allattamento e nei pazienti dietà inferiore ai 18 anni).

ULCERA VENEREA O CANCROIDE

Malattia sessualmente trasmessa che si manifesta con le-sioni ulcerative della zona ano-genitale e linfadenite satel-lite a tendenza suppurativa (bubbone venereo).

Epidemiologia. Frequente nei Paesi in via di sviluppo, èendemica nei Paesi tropicali. Il contagio è esclusivamentesessuale, il sesso maggiormente colpito è quello maschile.

Eziopatogenesi. L’agente eziologico è l’Haemophilus du-creyi, bacillo Gram-negativo lungo 1-2 micron, a forma dibastoncello o navetta di tessitore, che si dispone nelle se-crezioni in catenelle giustapposte o in ammassi intra-extra-leucocitari.

Clinica. Dopo un periodo di incubazione di 3-10 giorni,nel punto di penetrazione compare una lesione papulo-pustolosa, vivamente dolente alla pressione, che rapida-mente si ulcera. Per fenomeni di autoinoculazione è fre-quente il riscontro di lesioni secondarie più piccole. Nel50% dei casi si associa una linfadenite regionale suppura-tiva, abitualmente monolaterale con febbre.Nel 75% dei casi si assiste a una risoluzione spontanea delquadro infettivo; nei rimanenti casi può recidivare o croni-cizzare.

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Diagnosi. La diagnosi di ulcera venerea si basa sull’isola-mento dell’Haemophilus dalle lesioni genitali mediante:

1) osservazione microscopica diretta, previa colorazioneGram o Giemsa;

2) coltura in terreni al sangue e siero fetale bovino e Isovi-talex e successiva identificazione mediante colorazioneGram e/o sonde DNA.

È raccomandata la ricerca di anticorpi anti-HIV, HSV e Tre-ponema pallidum, data la frequente coesistenza di questeinfezioni.

Terapia. Azitromicina 1 g per os in dose unica, oppureceftriaxone 250 mg i.m. in dose unica, oppure eritromicina500 mg per os per 4/die per 7 giorni.In alternativa si possono utilizzare: amoxicillina 500 mg piùacido clavulanico 125 mg per os per 3/die per 7 giorni o ci-profloxacina 500 mg per os per 2/die per 3 giorni.

DONOVANOSI O GRANULOMA INGUINALE

La donovanosi è una malattia autoinoculabile della cute edelle mucose anali e genitali, che provoca ulcerazioni tor-pide e non dolorose in sede inguinale, con tumefazione deitessuti molli, senza interessamento dei linfonodi.

Epidemiologia. Comune nei Paesi tropicali e subtropica-li, colpisce con uguale frequenza entrambi i sessi.

Eziopatogenesi. È causata dal Calymmatobacterium gra-nulomatis, batterio Gram-negativo che si riproduce all’in-terno di cellule istiocitarie e cellule polimorfonucleate.

Clinica. Dopo un breve periodo di incubazione (2-8 gior-ni) compaiono, nella sede di contatto, lesioni granulomato-se arrossate con cercine rilevato, ulcerate, poco profonde,non dolorose, del diametro di qualche centimetro. La le-sione superficiale è spesso sede di sovrainfezioni e le ulce-re non trattate durano per anni, chiudendosi al centro, maallargandosi alla periferia.

Diagnosi. La diagnosi si basa sull’obiettività clinica e sul-l’isolamento del germe mediante colorazione di Wright eGiemsa con la visualizzazione dei tipici corpi inclusi di Do-novan.

Terapia. Doxiciclina 100 mg per os 2 volte/die per almeno3 settimane e pomate di clortetraciclina.

MICOPLASMI

I micoplasmi sono i più piccoli organismi dotati di vita au-tonoma, responsabili di infezioni simil-gonococciche ses-sualmente trasmesse che si manifestano con segni di ure-trite nel maschio ed endocervicite nella femmina.

Epidemiologia. I micoplasmi sono distribuiti ubiquita-riamente. Le infezioni da micoplasmi sono malattie tipichedell’età riproduttiva: il neonato si può infettare nel passag-gio lungo il canale da parto; fino alla pubertà la frequenzadi isolamento del germe resta bassa, ma successivamenteaumenta parallelamente con l’età e più rapidamente nelsesso femminile. Esiste una forte correlazione tra frequen-za di isolamento, attività sessuale e numero di partner: fat-tori comportamentali (giovane età, inizio precoce dell’atti-vità sessuale, partner multipli nei precedenti 30 giorni) im-plicano una modalità di trasmissione per via sessuale, mal’infezione sembra anche associarsi a fattori che alteranol’ecoambiente vaginale: infatti, commensali delle basse viegenitali possono assumere un ruolo patogeno quando laloro concentrazione supera i 103/ml CFU.

Eziopatogenesi. I micoplasmi appartengono alla classedi Mollicutes, così definiti per la mancanza di una vera pa-rete cellulare (possiedono solo la membrana plasmatica,composta da uno strato lipoproteico) e sono i più piccoliprocarioti in grado di moltiplicarsi autonomamente: di di-mensioni molto ridotte (0,3-0,8 micron) e privi di nucleo, siriproducono per divisione binaria. Nel tratto genitale sonostate individuate quattro specie di micoplasmi: Ureaplasmaurealyticum, Mycoplasma hominis, Mycoplasma fermentans,Mycoplasma genitalium. La maggior parte dei micoplasmiaderisce al rivestimento mucoso, come parassiti di superfi-cie e tale adesione è il prerequisito per la colonizzazione el’infezione, ma è descritta anche una localizzazione intra-cellulare, che li proteggerebbe dall’aggressione del sistemaimmunitario e degli antibiotici, rendendoli difficili da era-dicare. Il meccanismo del danno nelle infezioni da mico-plasmi sarebbe legato maggiormente alla risposta immuni-taria (produzione di anticorpi sistemici e locali, stimolazio-ne della risposta cellulo-mediata, fagocitosi, soppressioneo stimolazione di cloni di linfociti B o T, produzione di cito-chine, attivazione della cascata del complemento ecc.) e in-fiammatoria, più che a effetti tossici diretti.

Clinica. L’Ureaplasma è responsabile di uretrite, talvoltaasintomatica, prostatite ed epididimite nel maschio, men-tre nella donna l’infezione può determinare vaginite, conleucorrea scarsa o assente, cervicite muco-purulenta, bar-tolinite, uretrite e, raramente, annessite. È stato isolato nel-le secrezioni spermatiche e cervicali di coppie con sterilitàad eziologia sconosciuta ed in gravidanza è responsabile diaborto tardivo, ritardo di crescita fetale, infezioni neonata-li. Il Mycoplasma hominis è causa di vaginosi batterica, sal-pingiti, PID, aborti settici, febbre puerperale.

Diagnosi. La diagnosi di infezione da micoplasmi è basa-ta sull’isolamento dei patogeni dai liquidi biologici genita-

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li mediante esame colturale con terreni specifici. I micopla-smi, avendo grande affinità per le cellule delle mucose uro-genitali, vanno ricercati attraverso il grattamento della mu-cosa uretrale, lo strofinamento con tampone della mucosavaginale, nel primo mitto urinario o nello sperma. È utilesempre determinare la carica batterica e l’antibiogramma.

Terapia. Doxiciclina 100 mg per os 2/die per 7 giorni, op-pure eritromicina 500 mg per os 4/die per 7 giorni.

CHLAMYDIA

Le Chlamydie sono batteri molto piccoli a parassitismo intra-cellulare obbligato, che alla colorazione Giemsa appaiono co-me corpuscoli intracitoplasmatici di color rosso porpora. Co-me i virus non si riproducono nei terreni artificiali, ma solo sumonostrati cellulari, ma diversamente dai virus contengonoentrambi gli acidi nucleici, hanno una parete cellulare propriae si moltiplicano per divisione binaria nel corso di un com-plesso ciclo biologico. Questo comprende corpi elementari, aforma rotondeggiante, diametro di 0,35 micron, adatti alla vi-ta extracellulare e corpi reticolari, derivati dai precedenti, didiametro di 1 micron, con DNA distribuito diffusamente edin grado di riprodursi, presenti solo in sede intracellulare.La Chlamydia penetra per fagocitosi all’interno della cellulaospite come corpo elementare; la fusione fagosoma-lisosomaviene inibita da un costituente della parete batterica e lo svi-luppo successivo avviene all’interno del vacuolo così forma-tosi; alcune ore dopo la penetrazione, il corpo elementare sitrasforma in corpo reticolare: dopo 36-72 ore dall’infezione,la cellula ospita una popolazione di corpi elementari e retico-lari (inclusioni citoplasmatiche), la cui evoluzione porterà al-la rottura della cellula parassitata con liberazione di corpi ele-mentari in grado di infettare nuove cellule.Al genere Chlamydia appartengono tre specie: la Chlamy-dia psittaci, agente della psittacosi, la Chlamydia pneumo-niae, responsabile di polmoniti e la Chlamydia trachomatisresponsabile di tracoma endemico (sierotipi A, B, Ba e C),del linfogranuloma venereo (sierotipi L1, L2, L3) e dellacongiuntivite da corpi inclusi e malattie sessualmente tra-smesse (sierotipi da D a K).

LINFOGRANULOMA VENEREOO LINFOGRANULOMA INGUINALE

Il linfogranuloma venereo (o linfogranuloma inguinale omalattia di Nicolas Favre), è una malattia sessualmente tra-smessa caratterizzata da una lesione ulcerativa spesso fugaceed un’adenopatia cronica soggetta a fistolizzazioni multiple.

Epidemiologia. È frequente nelle regioni tropicali e sub-tropicali, eccezionale in Italia ed in Europa, dove si osservain immigrati o turisti che hanno soggiornato in aree ende-miche. Il contagio, nel 50-80% dei casi, può passare inos-

servato perché nel punto di penetrazione possono compa-rire solo delle piccole soluzioni di continuo delle mucosegenitali con una linfoadenopatia satellite.

Eziopatogenesi. È causata dai sierotipi L1, L2, L3 diChlamydia trachomatis, che mostrano un particolare tropi-smo per il sistema reticoloendoteliale e linfonodale.

Clinica. Dopo un periodo di incubazione, variabile da po-chi giorni a un mese (in media una settimana), compare nelpunto di penetrazione del germe una lesione, generalmen-te unica e fugace (ulcera adenogena) che può assumere unaspetto erpetiforme, nodulare simil-sifiloma, o ulcerativo.Più raro è l’esordio con un’uretrite acuta mucopurulenta o,negli omosessuali, con una proctite subacuta. A questa pri-ma fase fa seguito l’adenopatia satellite (generalmente insede inguinale, se la penetrazione è a livello genitale, ovve-ro a livello delle catene iliache e paraortiche, se la penetra-zione è a livello della mucosa ano-rettale): i linfonodi sonodapprima duro-elastici, mobili e non dolenti, ma ben pre-sto, per fenomeni di periadenite diventano confluenti e fi-stolizzano alla cute producendo materiale purulento filantesimil-caseoso. La propagazione sottocutanea per via linfati-ca con estensione perineale e le cicatrici deformanti, ac-compagnate a fistole, possono essere responsabili di elefan-tiasi linfogranulomatosa del pene e dello scroto e, nelladonna, di “estiomene”, cioè edema duro di tutta la zonaano-genitale, che, quando è associato ad ulcerazioni puòdeterminare fistole multiple vagino-rettali, vagino-vescicali,vagino-uretrali. L’infezione da Chlamydia può penetrare an-che, per erosione, nel torrente ematico e dare localizzazionisecondarie a carico del SNC e dell’apparato scheletrico.

Diagnosi. La diagnosi di linfogranuloma venereo si basasull’isolamento e il riconoscimento della Chlamydia dallelesioni sospette. Il riconoscimento può avvenire attraversol’osservazione microscopica diretta e dopo colorazioneGiemsa o con anticorpi monoclonali fluoresceinati anti-C.trachomatis, o con esame colturale su monostrato cellulare,successiva identificazione degli isolati con anticorpi mono-clonali fluoresceinati anti-C. trachomatis ed eventuale tipiz-zazione mediante test di microimmunofluorescenza o pre-feribilmente ELISA con anticorpi subspecie-specifici.

Terapia. Doxiciclina 100 mg per os 2/die per 3 settimane,oppure eritromicina 500 mg per os 4/die per 3 settimaneoppure trimetoprim più sulfametoxazolo 800 mg per os2/die per 3 settimane.

INFEZIONE DA CHLAMYDIA TRACHOMATIS

L’infezione da Chlamydia trachomatis è una malattia ses-sualmente trasmessa o acquisita durante il passaggio attra-

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verso il canale da parto, responsabile del 40% di uretritinon gonococciche o postgonococciche.

Epidemiologia. Molto diffusa, senza predilezione né dirazza, né di sesso, colpisce prevalentemente l’età adulta,dopo l’inizio dell’attività sessuale ed è responsabile dellamalattia a trasmissione sessuale con maggiore prevalen-za nei Paesi industrializzati e forse in tutto il mondo. Latrasmissione è pressoché esclusivamente per via sessualeo perinatale; l’età riflette i comportamenti sessuali (la pre-valenza diminuisce rapidamente nelle donne dopo i 25anni, sia per le modificazioni nel comportamento sia perl’acquisizione di immunità). L’infezione sembra essere piùfrequente nelle popolazioni a basso livello socio-econo-mico e scolastico; è rara tra gli omosessuali (maschi efemmine).

Eziopatogenesi. È causata dai sierotipi D e K, piccoli bat-teri a parassitismo intracellulare obbligato, non evidenzia-bili con la metodica Gram.

Clinica. La sintomatologia, rara, compare dopo un pe-riodo di incubazione da 1 a 3 settimane (media 15 gior-ni) ed è caratterizzata, nel maschio, da segni di uretrite su-bacuta che si manifesta con scarsa secrezione mucoide omucopurulenta e disuria; talvolta questa infezione puòestendersi alla prostata ed all’epididimo, dando luogo adun’epididimite o ad una prostatite secondaria. Nella don-na, la colonizzazione uretrale e/o endocervicale è spessoasintomatica o paucisintomatica (leucorrea scarsa, disuria,fastidio o bruciore vulvo-vaginale); più gravi sono invece,rispetto all’uomo, le complicazioni che consistono in bar-tolinite e, più frequentemente, nella malattia infiammato-ria pelvica (PID), dovuta all’estensione del processo infet-tivo alle salpingi, per via canalicolare ascendente, conpossibile esito in sterilità ed eccezionalmente in periepa-tite.In entrambi i sessi si possono osservare localizzazioni ana-li (anorettite) o faringee con scarsa sintomatologia infiam-matoria, o una congiuntivite da corpi inclusi secondaria afenomeni di autoinoculazione.Nel neonato da madre portatrice non trattata, durante ilpassaggio attraverso il canale da parto, è possibile il verifi-carsi di un’oftalmia (entro il primo mese di vita) con con-giuntivite da corpi inclusi e, tra il primo ed il terzo mese, dipolmoniti bilaterali apiretiche con tosse e segni di insuffi-cienza respiratoria.

Diagnosi. La diagnosi di infezione da Chlamydia si basasull’isolamento del germe dalle cellule endouretrali (nelmaschio) ed endocervicali (nella donna). L’identificazione

viene eseguita con tecniche di immunofluorescenza diret-ta ed immunoenzimatiche:

1) ricerca microscopica diretta dopo colorazione con anti-corpi monoclonali, fluoresceinati anti-CT;

2) ricerca immunoenzimatica dell’antigene con anticorpi mo-no o policlonali anti-CT,coniugati con enzima (ELISA);

3) coltura cellulare su monostrati cellulari HeLa o Mc Coye successiva identificazione ELISA;

4) PCR per ricerca del DNA di CT.

Sarebbe sempre opportuno proporre la sierologia per la si-filide e l’HIV.

Terapia. La terapia è basata sulla somministrazione di an-tibiotici in grado di raggiungere l’agente patogeno oltre-passando la membrana cellulare.

1) Nei quadri acuti e subacuti: doxiciclina 100 mg per os2/die per 7 giorni, oppure azitromicina 1 g per os, unicasomministrazione, oppure ofloxacina 300 mg per os2/die per 7 giorni (controindicata al di sotto dei 18 annidi età);

2) in gravidanza: eritromicina 500 mg per os 4/die per 7giorni o amoxicillina 500 mg per os 3/die, o azitromicina1 g per os, unica somministrazione;

3) nel neonato: eritromicina 50 mg/kg/die per os, suddivi-sa in 4 dosi, per 10-15 giorni;

4) in caso di PID: cefotixime i.m. 2 g probenecid 1 g per os,unica somministrazione, doxiciclina 100 mg per os 2/dieper 14 giorni; oppure (paziente ospedalizzata) cefotixi-me 2 g e.v. 4/die doxiciclina 100 mg per os 2/die.

Malattie sessualmente trasmesse a eziologia micotica: candidosi genitaleCausata da lieviti del genere Candida, la candidosi genitalenell’uomo è quasi sempre trasmessa attraverso i rapportisessuali, mentre nella donna abitualmente è legata a situa-zioni di alterazioni dell’ecosistema vaginale.

Epidemiologia. La candidosi genitale o vulvo-vaginitemicotica (VVC) nella donna è una malattia tipica dell’etàriproduttiva a diffusione praticamente ubiquitaria, piutto-sto debilitante, sul piano sia fisico sia psichico. Si calcolache circa il 75% delle donne manifesti almeno una voltanella vita un episodio di VVC; il 40-50% va incontro ad unsecondo episodio, mentre in un 5% dei casi si sviluppa unaforma di VVC recidivante.

Eziopatogenesi. I lieviti responsabili della candidosi genita-le appartengono al genere Candida,normale saprofita di vagi-na, intestino e cavo orale, che, in particolari condizioni, acqui-

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sisce potere patogeno. Le specie più frequentemente in causasono la C.albicans (80%), la kruzei, la glabrata e la tropicalis.

Clinica. L’infezione da Candida si può presentare in for-ma asintomatica, acuta o recidivante. La sintomatologia èquasi costantemente caratterizzata da intenso prurito vagi-nale e/o vulvare, leucorrea lattiginosa, sierosa o siero-puru-lenta, talora densa, con un tipico aspetto “a ricotta”, asso-ciata ad eritema vulvo-vaginale. Altri sintomi spesso pre-senti sono irritazione più o meno diffusa, bruciore vulvo-vaginale, dolore durante i rapporti sessuali, uretrite conbruciore urinario, particolarmente frequente durante laminzione a causa delle escoriazioni da grattamento. I sin-tomi, in genere, si accentuano una settimana prima dell’i-nizio della mestruazione e tendono poi ad esaurirsi conl’arrivo del flusso mestruale.Nel 20% circa dei partner di donne affette è possibile os-servare una balanopostite (prurito, eritema, macerazione emicrovescicolazione di glande e prepuzio) che insorge abreve distanza dal rapporto sessuale. Raramente compaio-no segni di uretrite.L’infezione da Candida, se contratta durante la gestazione,non comporta ripercussioni sul feto.

Diagnosi. Per la diagnosi ci si avvale dell’esame clinico,cui si associa la valutazione del pH (tendenzialmente nor-male, quindi < 4,5) e la ricerca microscopica a fresco del lie-vito nelle secrezioni. Se la ricerca è negativa, si procede al-la semina su terreni specifici per la coltura (Sabouraud),previa esecuzione di un tampone vaginale allo scopo diidentificare anche quelle forme di Candida non-albicans,oggi sempre più frequenti, che si possono manifestare cli-nicamente in modo atipico.

Terapia. La terapia è basata sull’uso di antimicotici ed èsolo sistemica nell’uretrite, topica e/o sistemica nella vulvo-vaginite e nella balanopostite.Le terapie topiche consistono nella somministrazione delfarmaco sotto forma di candelette, crema o ovuli, applicabi-li la sera prima di coricarsi in modo tale da prolungare almassimo il tempo di contatto tra il farmaco e la mucosa va-ginale, per ottimizzarne l’assorbimento. Attualmente i far-maci più usati sono gli azoli, che presentano un ampio spet-tro di azione contro i miceti ed un’elevata attività antimico-tica. La somministrazione locale rende possibile il loro uti-lizzo anche durante la gravidanza, perché, unitamente al-l’ottima azione funghicida ed agli scarsi e poco frequenti ef-fetti collaterali (irritazione, senso di bruciore, reazioni aller-giche), il rapido metabolismo epatico riduce i livelli ematicidi farmaco a tal punto da non determinare un pericolo te-ratogeno per il feto.Anche la terapia orale, riservata alle for-me complicate e recidivanti, si basa sulla somministrazione

degli stessi (fluconazolo, itraconazolo ecc.). La terapia dellacandidosi vulvo-vaginale si pone come obiettivo la remis-sione di segni e sintomi di vaginite in 2-3 giorni e la guari-gione micologica in 7 giorni, prevenendo le recidive.La durata del trattamento è variabile (gravità dei sintomi,esperienza del medico, abitudini della donna, scelta farma-cologica, ecc.), da 1 solo giorno a 3-7 giorni.Alla via di som-ministrazione locale deve sempre essere abbinata quellaorale; è d’obbligo il trattamento contemporaneo del partner(sia per via topica, se sintomatico, sia per via generale).I farmaci orali più comunemente usati sono il fluconazolo150 mg: 1 cp unica somministrazione (eventualmente ripe-tuta dopo 3 giorni), l’itraconazolo 200 mg: 1 cp × 2 giorni; oil ketoconazolo 400 mg: 1 cp × due/die per 5 giorni (pocousato). Il fluconazolo può essere impiegato anche nella pre-venzione delle recidive secondo vari schemi terapeutici: 150mg alla settimana, per os, per 6 mesi, o una volta al meseper 4-12 mesi.La terapia locale si avvale di creme, ovuli, lavande a base diclotrimazolo, miconazolo, fluconazolo, tioconazolo, terco-nazolo, ecc. secondo schemi di trattamento di durata varia-bile a seconda del farmaco impiegato. Per l’eradicazionedell’infezione è necessario che vi sia anche l’eliminazione,dove possibile, o quantomeno il controllo, di tutti i fattoripredisponenti, fra i quali il diabete mellito, l’immunode-pressione o immunocompromissione, la terapia corticoste-roidea o antibiotica a largo spettro, l’assunzione di contrac-cettivi orali, la presenza di una concomitante malattia a tra-smissione sessuale.Abitualmente è consigliato il trattamento del partner an-che se asintomatico, specie nel caso in cui la donna sia sog-getta a una forma di candidosi recidivante.

Prevenzione. Esiste una serie di norme igieniche e diprofilassi delle reinfezioni che la donna affetta da plurimiepisodi è tenuta a seguire, quali:

1) cambiare frequentemente la biancheria intima; utilizza-re elevate temperature e disinfettanti specifici per il la-vaggio della biancheria; limitare l’uso di indumenti ade-renti e di tessuti sintetici;

2) evitare lavaggi troppo frequenti con abuso di saponi apH acido; praticare correttamente il nettoyage (lavaggioantero-posteriore); asciugare con estrema cura la cute ele mucose dopo la toilette;

3) limitare l’assunzione di carboidrati e zuccheri; inserire loyogurt o i fermenti lattici nell’alimentazione quotidiana;aumentare l’assunzione di fibre alimentari;

4) è consigliabile astenersi dai rapporti sessuali, oppureutilizzare il profilattico, fino ad accertata guarigione;

5) seguire scrupolosamente le modalità terapeutiche indi-cate dal ginecologo.

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Malattie sessualmente trasmesse ad eziologia protozoaria

TRICOMONIASI GENITALE

L’infezione da Trichomonas vaginalis è una malattia sessual-mente trasmessa responsabile di vulvo-vaginite nella donnae di balano-postite nell’uomo. Può aumentare il rischio ditrasmissione dell’HIV e,nelle gravide,predisporre alla rottu-ra prematura delle membrane e al travaglio pretermine.

Epidemiologia. La tricomoniasi è un’infezione sessual-mente trasmessacausata da un protozoo,il Trichomonas vagi-nalis. È frequente nelle donne di età compresa tra i 20 e i 40anni, più rara in età prepubere o postmenopausale. È consi-derata una delle più comuni malattie a trasmissione sessuale,anche se esiste la possibilità di contagio indiretto (asciuga-mani,accessori da bagno ecc.).Si ritiene che il maschio fungada vettore meccanico del parassita e che la reinfezione siapossibile solo dopo la colonizzazione delle vie genitali ma-schili, mentre nella donna la reinfezione endogena da partedei microrganismi che albergano nelle ghiandole di Skene enell’uretra è legata all’uso della sola terapia topica.Sono molte, infatti, le evidenze che supportano l’importan-za dell’acquisizione della tricomoniasi per contatto sessua-le: l’85% delle partner di maschi infetti risulta positivo ed il70% dei partner di donne infette è positivo nelle 48 oresuccessive all’ultimo rapporto.

Eziopatogenesi. Il Trichomonas vaginalis è un protozoopatogeno per l’uomo, un organismo unicellulare, anaero-bio facoltativo, lungo circa 30 micron, dotato di nucleoovale, di una membrana ondulante che circonda tutta lasua lunghezza e di tre o cinque flagelli, che fuoriesconoda una delle due zone apicali. Il protozoo è dotato di ve-loci movimenti a scatti, è sensibile all’essiccamento ed alcalore.Di fondamentale importanza nella proliferazione del mi-crorganismo è la presenza del glucosio derivante dal gli-cogeno cellulare, tipicamente presente nell’epitelio vagi-nale maturo. Il pH ottimale di crescita è intorno a 5,5, percui tutte le situazioni che lo elevano ne favoriscono lo svi-luppo. Il Trichomonas è un patogeno epiteliale-distruttivosia in quanto aderisce tenacemente, danneggiandoli, agliepiteli, sia in quanto capace di elaborare tossine necrotiz-zanti.

Clinica. La tricomoniasi si può presentare in forme diver-se e con sintomatologia varia: il 50-75% delle donne contricomoniasi lamenta perdite vaginali (leucorrea), descrittecome maleodoranti dal 10% di esse; di colore giallo-verda-stre e schiumose o grigie, liquide o cremose. Il prurito vul-vo-vaginale è descritto nel 25-50% dei casi ed è spesso se-

vero. Possono essere altresì riferite dispareunia, bruciori ospotting postcoitale, un’aumentata frequenza della min-zione e bruciore urinario. Le algie pelviche non sono parti-colarmente comuni, essendo riportate solo nel 5-12% deicasi. Data però la frequente associazione della tricomonia-si ad altri agenti a trasmissione sessuale, bisognerebbesempre sospettare una concomitante salpingite (infezionedelle tube uterine) o una cervicite, magari sostenute da pa-togeni quali il gonococco o la Chlamydia trachomatis. Nellamaggior parte dei casi, i sintomi si esacerbano durante oimmediatamente dopo il periodo mestruale. Obiettiva-mente il segno vulvare principale è l’eritema, di minore en-tità rispetto a quello della Candida; sono presenti escoria-zioni e lesioni da trattamento. Colposcopicamente è tipicala “cervicite a fragola”, dovuta alla presenza di focolai dis-seminati di citolisi dell’epitelio pavimentoso ed all’edemaed iperemia dello stroma. Se la flogosi è intensa, sulla por-tio si ha il quadro della colpite maculare: in questo caso altest di Shiller assume un aspetto caratteristico definito “apelle di leopardo”. Un quadro particolarmente raro è quel-lo della cervico-vaginite enfisematosa, caratterizzato dallapresenza di bolle nell’epitelio cervicale, secondarie alla pro-duzione di gas da parte di alcuni batteri. Nella forma cro-nica, la donna lamenta vulvo-vaginiti ricorrenti o fastidiovaginale, anche in assenza di Trichomonas.Nel maschio, il Trichomonas vaginalis è una delle cause diuretrite non gonococcica (UNG) con una prevalenza che vadal 5 al 15-20%. Perdite dall’uretra sono descritte nel 50-60% dei maschi sintomatici e sono in 1/3 dei casi franca-mente purulente, in un altro terzo mucopurulente e nel ri-manente terzo di aspetto mucoide.

Diagnosi. Sintomi e segni di infezione non bastano, dasoli, ad una sicura diagnosi di tricomoniasi; quest’ultima sibasa sull’isolamento del Trichomonas mediante l’esame mi-croscopico a fresco o l’esame colturale su terreni specifici(Kupfemberg). È facile identificarlo anche con il Pap-testdove è possibile evidenziare i segni indiretti della flogosi,con evidenti aloni perinucleari a carico delle cellule squa-mose e dove i protozoi appaiono di colore grigio-rosa pal-lido o lievemente azzurri (i filamenti si colorano raramen-te); attualmente sono in corso studi per l’evidenziazionetramite PCR.

Terapia. Il solo farmaco efficace contro il Trichomonas è ilmetronidazolo (2 g per os in un’unica dose o 400-500 mg× 2/die, per os per 5-7 gg) o i derivati 5-nitroimidazolici (ti-nidazolo: 2 g per os in unica dose; ornidazolo ecc.), attivinon solo sul protozoo, ma anche su tutti i microrganismianaerobi, sia di natura protozoaria (Entamoeba histolytica,Giardia lamblia) sia di natura batterica (Bacteroides, Clostri-dium, Gardnerella vaginalis). La terapia, che in questo caso

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deve assolutamente essere estesa anche al partner, è uni-camente orale, data l’elevata percentuale di fallimento te-rapeutico delle terapie locali (creme o candelette vaginali),che quindi devono essere riservate sempre e solo ai casi neiquali esista una controindicazione al trattamento sistemicocon tali farmaci.Essendo un’infezione a trasmissione sessuale l’unico me-todo preventivo è l’utilizzo, durante rapporti sessuali occa-sionali, di metodi contraccettivi barriera, quali il preservati-vo, che infatti è in grado non solo di prevenire tale patolo-gia, ma soprattutto di scongiurare la trasmissione di agen-ti infettivi potenzialmente mortali quali l’HIV.

Malattie sessualmente trasmesse a eziologia virale

HERPES SIMPLEX ANO-GENITALE (HSV)

L’herpes genitale è una malattia sessualmente trasmessa,di origine virale causata da HSV 2 e HSV1, virus caratteriz-zati da spiccato neurotropismo, che si manifesta abitual-mente con lesioni inizialmente vescicolari e poi erosive dibreve durata. L’HSV, nella specie umana, è responsabiledell’infezione genitale, di quella oro-faringea, di infezionineonatali e dell’encefalite erpetica.

Epidemiologia. La prevalenza dell’infezione non è nota,ma considerando che dal 2 al 10% dei soggetti adulti pre-senta manifestazioni cliniche, e che dal 10 al 50% della po-polazione sessualmente attiva ed asintomatica presentaanticorpi contro l’herpes simplex virus tipo 2, è presumibi-le che l’herpes simplex ano-genitale sia tra le più frequen-ti malattie a trasmissione sessuale. Il contagio è venereo esi verifica in circa il 90% dei soggetti che hanno avuto unrapporto con un partner sintomatico ed in meno dell’1% seil partner, infetto, è asintomatico. L’età media delle pazien-ti affette da prima infezione erpetica è di circa 20-24 anni.La maggior parte delle infezioni sarebbe acquisita da sog-getti che non ricordano episodi di malattia erpetica, data lafrequenza delle forme silenti, con eliminazione periodicadel virus. Il contagio indiretto è raro, mentre molto più im-portante è il rischio di trasmissione verticale, che può veri-ficarsi in utero, per via transplacentare, per via canalicolareascendente, in caso di lesioni cervicali o al momento delparto. Le infezioni per via transplacentare ed ascendentepossono causare aborto spontaneo o parto pretermine. Ilcontagio perinatale si osserva nel 50% in caso di infezioneprimaria materna al momento del parto, è invece inferioreal 5% in caso di herpes postprimario ed inferiore all’1% incaso di eliminazione asintomatica del virus: si manifestacon una grave forma di poliviscerite, encefalite erpetica, co-rioretinite o lesioni erpetiche cutanee o mucose.

Eziopatogenesi. L’herpes simplex virus (HSV) è un virusa DNA, di dimensioni variabili da 150 a 200 nm: la doppiaelica di DNA è contenuta in una struttura icosaedrica, ri-sultante dall’assemblaggio di capsomeri, a loro volta cir-condati da una envelope di natura glico-lipoproteica, deri-vante dalla membrana nucleare delle cellule infettate e ri-coperte da antigeni di superficie. Alla famiglia di HSV ap-partengono: l’HSV 1 (infezione erpetica oro-faringea);l’HSV 2 (infezione ano-genitale); il virus varicella zoster; ilvirus di Epstein-Barr; il citomegalovirus; l’HSV umano ditipo 6 (HHV6); l’HSV umano di tipo 7 (HHV7), l’HSVumano di tipo 8 (HHV8). L’HSV1 e l’HSV2 hanno in co-mune molti antigeni di superficie e il 40% delle sequenzedi basi di DNA.L’herpes simplex ano-genitale è provocato dall’herpes virusdi tipo 2, anche se in una parte dei casi l’infezione contrat-ta con rapporti oro-genitali è sostenuta dall’herpes simplexdi tipo 1.Il virus, penetrato attraverso una soluzione di continuo del-l’epitelio cutaneo o mucoso nei tessuti di un ospite mai in-fettato in precedenza, prolifera nei cheratinociti (malattiaprimaria) ed in seguito risale per via assonale retrogradalungo i nervi sensitivi fino ai neuroni dei gangli secondaridelle radici spinali corrispondenti alla zona cutanea o mu-cosa lesionata. Qui il virus persiste per tutta la vita in faselatente e può occasionalmente ridiscendere lungo la stessavia (assonale) alla cute o alle mucose della stessa sede del-l’infezione primaria, determinando una malattia postpri-maria o ricorrente, molto meno accentuata di quella pri-maria. La migrazione periferica del virus si verifica più fre-quentemente nei soggetti che hanno avuto una fase pri-maria sintomatica e spesso entro il primo anno dall’infe-zione. Condizione predisponente per la riacutizzazionedella malattia è il calo delle difese immunitarie (febbre,stress emotivi, esposizione al sole, mestruazioni, deficit im-munologici, scarsa alimentazione, uso di farmaci come cor-ticosteroidi oppure antiblastici). La ricorrenza può variareda una al mese, a quattro all’anno o una ogni 5-10 anni.L’infezione primaria è normalmente più grave di quella ri-corrente; è stata dimostrata inoltre un’oncogenicità cervi-cale dell’HSV 1 e 2.

Clinica. Nel corso della prima infezione, dopo un perio-do prodromico di 1-2 giorni caratterizzato da una sintoma-tologia locale parestesica più o meno accentuata, a livellodei genitali compaiono numerose vescicole sia isolate siariunite a grappolo, del diametro di pochi millimetri, chetendono progressivamente alla conglutinazione ed all’ero-sione; spesso può coesistere sovrainfezione da parte di ger-mi opportunisti ed edema delle mucose (Figura 9.1). Inquesti casi il dolore prevale sulla dispareunia e la disuria. Èpresente linfoadenopatia satellite. Nella donna le zone in-

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Figura 9.1 Infezioni da herpes simplex. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rightsreserved.)

Herpes genitale

Linfoadenopatia regionale, comunein caso di herpes genitale

Cospicuo edema e formazione di vescicolein casi di herpes primario

Lesione ulcerativa dei genitali Lesioni da autoinoculazione

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teressate sono le piccole e le grandi labbra, la cute periana-le, il monte di Venere, l’uretra ed il clitoride; nel maschio,analogamente, si possono avere le stesse manifestazioni acarico del glande, del prepuzio, dell’asta del pene, fino alloscroto ed all’ano.Possono esistere infezioni subcliniche, con periodiche di-smissioni di particelle virali da aree genitali apparentemen-te sane (asymptomatic shedding): tale fenomeno è caratteri-stico della cervice uterina, da cui è possibile isolare il virusanche in assenza di lesioni visibili.

Diagnosi. La diagnosi si basa sul riscontro delle vescico-le e/o erosioni ed è selettivamente clinica. Indagini citolo-giche e di biologia molecolare sono utili nelle forme dub-bie o estesamente ulcerative. In questi casi, utilizzando unprelievo effettuato sulla lesione (scraping mucoso, cutaneoo della cervice) è possibile con:

1) l’impiego di anticorpi monoclonali;2) la coltura per HSV1 e 2 su monostrati cellulari;3) l’esame citodiagnostico di Tzank (evidenziazione della

degenerazione balloniforme indotta dal virus nei chera-tinociti infetti);

4) la ricerca del DNA virale in sezioni istologiche con tec-niche di ibridizzazione in situ o PCR.

Terapia. Nessun farmaco è in grado di eradicare l’infezio-ne erpetica, ma il trattamento risulta utile per abbreviare ildecorso delle forme primarie e ridurre le complicanze, perprevenire le recidive e diminuire le possibilità di trasmis-sione.La terapia dell’herpes è basata essenzialmente sull’uso del-l’aciclovir per os o endovena a seconda della gravità dell’e-pisodio erpetico:

1) herpes primario o iniziale genitale: acyclovir 200 mg peros 5/die per 7 giorni; oppure acyclovir 400 mg per os5/die per 7-10 giorni; oppure acyclovir 800 mg per os2/die per 7 giorni o fino a risoluzione clinica;

2) herpes primario o iniziale ano-rettale: acyclovir 400-800mg per os 5/die per 7-10 giorni o fino a risoluzione cli-nica;

3) herpes recidivante: acyclovir 400 mg per os 2/die perlunghi periodi (fino a 1 anno);

4) infezione disseminata: acyclovir 5-10 mg/kg e.v. ogni 8ore per 7 giorni o fino a risoluzione clinica;

5) prevenzione dell’herpes neonatale: TC a membrane in-tegre o entro 4 ore dalla loro rottura.

PAPILLOMAVIRUS (HPV)

Diversi tipi dell’HPV hanno tropismo mucoso e possonocausare a livello ano-genitale lesioni papulose e/o vegetan-ti che si moltiplicano per autoinoculazione.

Epidemiologia. L’infezione è molto frequente, dal mo-mento che indagini di biologia molecolare hanno permes-so di evidenziare il virus nel 15-40% delle persone adulte;peraltro solo nell’1% di esse, in età compresa tra i 20 ed i30 anni, indipendentemente dal sesso, si osservano mani-festazioni cliniche. Il contagio è di solito venereo, dovuto arapporti con persone infette nel 50% dei casi, mentre nonè nota la contagiosità delle forme subcliniche o mute. Nonè raro un contagio indiretto, tramite i servizi igienici o altrioggetti usati in comune; l’infezione può essere trasmessaanche dalla madre al feto durante la gravidanza o al mo-mento del parto (juvenile onset recurrent respiratory papillo-matosis: papillomatosi recidivante del bambino; frequenza1/400 nati da madre infetta).

Eziopatogenesi. Lo Human Papilloma Virus (HPV) ap-partiene ad una famiglia di virus a DNA di cui fino ad oggisi conoscono almeno 100 sottotipi, 30 dei quali presentanouno spiccato tropismo per l’area ano-genitale. Si tratta divirus a singola elica, privi di involucro glicoproteico, note-volmente resistenti all’essiccamento, in grado di infettaregli epiteli di superficie integrandosi nel materiale geneticodell’ospite e di riprodursi sia come coppie di DNA circolaresia come virioni maturi. I sottotipi 6, 11, 42, 43, 44, 54, 55 so-no generalmente associati ai condilomi acuminati o a lesio-ni intraepiteliali di basso grado; a rischio intermedio sono isottotipi 30, 34, 39, 40, 56, 57, 61, 62, 72, 83, 84 che sono tal-volta associati alla CIN; mentre ad alto rischio sono i sotto-tipi 4,16,18,31,33,35,45,51,52,58,59 riscontrabili in un’e-levata percentuale di CIN ed in molte patologie maligne,quali la malattia di Bowen o il sarcoma bowenoide dellavulva. La differenza strutturale e funzionale dei vari sottoti-pi virali risiede nel genoma virale e precisamente nei siti ditrascrizione denominati ORFs (Open Reading Frames) checodificano diverse proteine trasformanti, capaci di distur-bare il fisiologico controllo del ciclo cellulare.

Clinica. Nei casi sintomatici, dopo un periodo di incuba-zione da 3 settimane a 8 mesi (media 3 mesi) a livello ano-genitale, la malattia esordisce con la comparsa di piccolepapule di forma rotonda ed appena rilevate sul piano cir-costante, di colorito grigiastro sulla cute e roseo a livellodelle mucose (condilomi piatti). Nel maschio la condilo-matosi genitale interessa il pene (glande solco balano-prepuziale, asta) e la zona perianale, fino all’inguine; nelladonna la vulva (frequenti a livello della forchetta, della zo-na periclitoridea, della faccia interna delle piccole labbra) ela zona perianale, oltre alla cervice ed alla vagina. Si posso-no distinguere tre forme di condilomatosi genitale:

1) la condilomatosi florida o acuminata, visibile ad occhionudo come escrescenze singole o multiple ad aspetto

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vegetante, di dimensioni variabili da alcuni millimetri fi-no a masse a cavolfiore di alcuni centimetri;

2) la condilomatosi subclinica o piatta, diagnosticabile colpo-scopicamente con l’acido acetico al 3% o al 5% come areeaceto bianche a bordi netti e superfici micropapillari;

3) la condilomatosi latente, distinguibile solo attraverso l’i-bridizzazione molecolare.

La condilomatosi subclinica non va confusa con la papillo-matosi vulvare o l’hirsutismus penis, condizioni parafisiolo-giche caratterizzate da micropapille uniformi e regolari di-stribuite sulla faccia interna delle piccole labbra o a coronaintorno al glande. Le lesioni hanno comportamento moltovariabile, potendo regredire spontaneamente, stabilizzarsio moltiplicarsi per autoinoculazione. In alcuni soggetti,particolarmente immunocompromessi, l’andamento puòessere particolarmente aggressivo.

Diagnosi. La diagnosi è basata sul riscontro di lesioni ve-getanti a livello della mucosa o della cute dei genitali e loroeventuale conferma istologica. Nei casi dubbi è possibilecondurre indagini di biologia molecolare come ricerca delDNA HPV con metodiche di ibridizzazione o con PCR.

Terapia. Pur non esistendo alcun trattamento in grado dieradicare completamente l’infezione, la terapia risulta utileper controllare la sintomatologia, ottenere prolungati pe-riodi di assenza di malattia e ridurre il contagio. Si basa es-senzialmente sull’escissione delle lesioni attraverso meto-diche di terapia fisica: crioterapia con azoto liquido, DTC-laserterapia, o terapie topiche, come podofillina al 20% intintura composta di benzoino per 1-4 ore una volta alla set-timana, interferone e retinoidi (tretinoina, isotretinoina,acitretin ed etretinato), acido tricloroacetico o BCA 80-90%una volta alla settimana, o imiquimod crema al 5%, 3 vol-te alla settimana (immunomodulante topico).Non esistono indicazioni uniformi rispetto alla modalitàdel parto in gravide affette da condilomatosi florida: il ta-glio cesareo può essere indicato, ma è obbligatorio nel ca-so in cui la condilomatosi genitale sia così estesa da creareuna distocia meccanica.

MOLLUSCO CONTAGIOSO

Il mollusco contagioso è una virosi cutanea che si manife-sta con uno o più elementi papulo-nodulari con caratteri-stica ombelicatura centrale.

Epidemiologia. Ha una frequenza che varia da Paese aPaese; l’infezione avviene per contatto diretto o per autoi-noculazione. Sono spesso colpiti i bambini ed i soggetti chevivono in comunità, dato che il contagio, oltre che sessua-le, è interumano.

Eziopatogenesi. La malattia è causata dal virus del mol-lusco contagioso (MCV) appartenente alla famiglia deiPoxvirus, che comprende anche quello del vaiolo. È un vi-rus a DNA, di 200-300 nm, che non si riproduce in colturaed è specifico della specie umana. Il virus induce prolifera-zione epiteliale e si replica nel citoplasma dei cheratinocitifino a riempirli completamente. La disseminazione avvie-ne per autoinoculazione: frequenti le recidive in condizio-ni di immunocompromissione dell’ospite.

Clinica. Il mollusco contagioso si presenta all’inizio comeuna piccola papula emisferica di 2-3 mm di diametro, du-ra, indolore, di colorito roseo o biancastro, a superficie lisciae tesa; successivamente aumenta di diametro fino a rag-giungere le dimensioni di un pisello, si deprime al centroper la comparsa di un’ombelicatura da cui fuoriesce liqui-do biancastro costituito da un insieme di cellule ripiene divirus. Per fenomeni di autoinoculazione la lesione si molti-plica rapidamente (fino a 10-20 o centinaia) estendendosidai genitali esterni fino alle cosce ed al tronco. La malattiapuò regredire spontaneamente dopo 6 o 9 mesi o può as-sumere un andamento cronico con comparsa di nuove le-sioni, specie nei soggetti immunocompromessi.

Diagnosi. La diagnosi è clinica. Possono rivelarsi utili, inalcuni casi, l’esame istologico e quello ultrastrutturale.

Terapia. La terapia è escissionale (curettage o ablazionechirurgica con sutura); eventualmente può essere impiega-to l’azoto liquido o la laser-terapia.

INFEZIONE DA HIV E SINDROME DA IMMUNODEFICIENZAACQUISITA

L’infezione da HIV è una malattia a trasmissione sessualecaratterizzata da una fase iniziale, raramente sintomatica,da un periodo più o meno lungo di latenza clinica e da ma-nifestazioni tardive con compromissione neurologica, im-munitaria, complicanze infettive opportunistiche e neopla-stiche che configurano il quadro della sindrome dell’im-munodeficienza acquisita (AIDS).

Epidemiologia. L’epidemia da HIV è originata dall’Afri-ca equatoriale, zona in cui il virus era endemico fin daglianni ’50; da qui alla fine degli anni ’70 si è diffusa nei Ca-raibi, in alcune aree metropolitane degli Stati Uniti ed in al-cuni Paesi europei, e negli anni ’80 ha preso piede dappri-ma in Canada, nell’America del Sud ed in Europa Occi-dentale, poi in Australia, Europa Orientale ed EstremoOriente. Nei Paesi in via di sviluppo, ed in particolare nel-l’Africa subsahariana, questa epidemia ha assunto propor-zioni tali da avere implicazioni di tipo demografico, econo-mico e politico considerevoli.

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L’HIV si trasmette attraverso tre vie:

1) parenterale: trasfusioni di sangue o emoderivati infetti(rischio: 90%), inoculazione di piccole quantità di san-gue contaminato mediante scambio di siringhe tra tos-sico-dipendenti (rischio: 10%) o contatto accidentalecon aghi o strumenti infetti (rischio: 0,3%);

2) sessuale: il virus contenuto nelle secrezioni spermaticheo vaginali può contagiare cellule suscettibili della muco-sa vaginale o rettale oppure raggiungere, attraverso so-luzioni di continuo delle mucose, direttamente le abi-tuali cellule bersaglio; a questo va aggiunto il potenteruolo di potenziamento del rischio di contagio svoltodalle MST. Le donne appaiono molto più suscettibili deimaschi all’infezione, per la maggior superficie di esposi-zione della mucosa vaginale, rispetto a quella uretrale;

3) verticale: una donna siero-positiva può trasmettere l’in-fezione al figlio durante la gravidanza, al momento delparto o durante l’allattamento.

All’inizio degli anni ’80 l’infezione riconosceva due patterndi trasmissione: quella legata alle abitudini sessuali (omo-sessuali) o alle trasfusioni di sangue infetto, nei Paesi indu-strializzati, e quella da contatto eterosessuale o da trasmis-sione materno-fetale (gravidanza, parto, allattamento) neiPaesi poveri.Attualmente, nei Paesi industrializzati, blocca-ta la trasmissione tramite il sangue ed i suoi derivati con gliopportuni controlli sierologici e ridottasi grandemente latrasmissione nei tossico-dipendenti e negli omosessualimaschi, l’HIV si diffonde principalmente attraverso i rap-porti etero-sessuali.Il rischio di infezione varia in relazione a fattori biologici,qua-li l’alta viremia nelle fasi avanzate della malattia, la presenzadi forti concentrazioni virali a livello spermatico e la coesi-stenza di altre MST, ed è correlato a fattori demografici (età,titolo di studio ecc.) e comportamentali (numero di partner,tipo di rapporto, utilizzo del condom ecc.). In particolare, re-lativamente alle MST, è stato dimostrato che la presenza dimalattie ulcerative genitali si associa ad un rischio maggiore(2-5 volte) di trasmissione dell’HIV,per la presenza di erosio-ni delle barriere protettive della mucosa genitale,così come leinfezioni da Chlamydia trachomatis e Neisseria gonorrhoeaeaumentano l’infettività dell’HIV, potenziando la carica viralea livello delle secrezioni genitali. Le MST infatti aumentanonon solo la produzione locale di citochine,che a loro volta re-golano la replicazione e quindi la disseminazione virale, mapossono causare anche infezioni sistemiche (ad es. sifilide)che possono aumentare la carica virale plasmatica e quindi laprogressione della malattia.Da questo consegue che il tratta-mento di queste infezioni genitali riduce l’infettività dell’HIV.

Eziopatogenesi. L’HIV appartiene alla famiglia Retroviri-dae, sottofamiglia Lentivirus, virus a RNA, di forma roton-

deggiante, con diametro di 100-120 nm, core centrale edinvolucro glicoproteico (envelope) costituito da una protei-na (p 17) rivestita da uno strato lipidico che incorpora unaglicoproteina (gp 41). La gp 41 è strutturalmente legata aduna proteina gp 120 che riconosce ed aderisce alla superfi-cie del recettore dei linfociti CD4+, presente anche nei ma-crofagi e nei linfociti B. Il materiale genetico è contenuto inuna proteina del core, denominata p 24. Strettamente cor-relati al genoma ad RNA sono tre enzimi virali:

1) la trascrittasi inversa, che trascrive il DNA dall’RNA do-po che il virus è penetrato nel citoplasma di una cellulapermissiva umana;

2) l’integrasi, che permette l’inserimento del materiale ge-netico virale all’interno del DNA della cellula infettata;

3) la proteasi che codifica per le proteine dell’involucro.

Una volta penetrato nell’organismo, il virus si fissa ai recet-tori CD4 e, per endocitosi, viene inglobato nel citoplasmacellulare; il core virale viene trasportato all’interno e la mo-lecola di RNA viene esposta all’azione della trascrittasi in-versa, che determina la sintesi di DNA virale: quest’ultimo,attraversando la membrana nucleare, può essere integratonel genoma cellulare (provirus) o venire trascritto in unamolecola di mRNA che codifica per le specifiche compo-nenti virali.La produzione di nuove particelle virali generalmente av-viene in modo sporadico, ma diviene esplosiva quando lacellula infetta viene stimolata immunologicamente o non,perché vengono attivate contemporaneamente sequenzenucleotidiche comuni al virus ed alle cellule. Si produconoallora virioni maturi che si legano alla molecola CD4, ven-gono assemblati nel citoplasma cellulare e fuoriescono dal-la cellula infetta per gemmazione. In questa fase il linfocitapuò essere distrutto, sia perché la sua membrana cellularerisulta danneggiata dal virus, sia perché l’espressione, sullasua superficie, degli antigeni virali viene riconosciuta dal si-stema immunitario come estranea all’organismo, con con-seguente intervento dei linfociti T citotossici e delle cellulenatural killer. Per questo motivo i linfociti T vanno incontroa progressiva riduzione, determinando una deficienza im-munitaria sempre più marcata, mentre i monociti-macro-fagi, che contengono minori recettori CD4 non vengonodistrutti, costituendo così una riserva permanente del virus.I monociti-macrofagi, inoltre, veicolano il virus a livello delSNC, vi formano sincizi e liberano citochine ad attività de-mielinizzante e neurotossica.

Clinica. Nei giorni successivi al contatto con l’HIV si veri-fica, nei tessuti linfatici, un’intensa replicazione virale, a cuisegue la fase di viremia: il 50-70% dei soggetti, a distanza di3-6 settimane dal contagio, presenta una sintomatologia si-mil-mononucleosica (infezione acuta da HIV), caratterizzata

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da febbre, dolori osteo-articolari, astenia intensa, faringite,linfoadenopatia generalizzata, della durata variabile da 1-2settimane a 1-2 mesi.Talvolta sono presenti sintomi gastro-intestinali (nausea, vomito, diarrea) o neurologici (cefalea,meningite asettica, neuropatia periferica o radicoliti, sindro-me di Guillain-Barré, neurite brachiale, disturbi cognitivicon psicosi ed encefalite acuta); più spesso compaiono ul-cerazioni del cavo orale, dell’esofago e dei genitali e un fineesantema maculo-papulare (prevalentemente alla faccia eal tronco, raramente coinvolgente le estremità compresi ilpalmo delle mani e la pianta dei piedi) ad evoluzione spon-tanea nel giro di 1-2 giorni. Durante la fase acuta della ma-lattia si verifica la comparsa di anticorpi specifici di classeIgG (siero-conversione).Da 6 a 12 mesi dopo l’infezione acuta si stabilisce un equi-librio immunovirologico (set point), definito dalla carica vi-rale plasmatica di HIV, che ha un valore predittivo del tem-po di evoluzione verso l’AIDS.All’infezione acuta segue lo stadio della latenza clinica, manon virologica, della durata di anni (in media 10) che corri-sponde alla fase asintomatica, e si accompagna ad un pro-gressivo peggioramento delle condizioni immunitarie, acausa dell’intensa replicazione virale plasmatica e linfono-dale. L’infezione virale porta ad un progressivo esaurimen-to della risposta immunitaria per la distruzione dei linfocitiT CD4+ e la sostituzione dei centri germinativi linfonodalicon tessuto fibroso (linfoadenopatia sistemica o LAS).Col tempo, possono comparire sindromi legate al progres-sivo deterioramento del sistema immunitario (candidosiorali, dermatite seborroica, herpes zoster multimetamerico,

leucoplachia orale, mollusco contagioso) fino alla compar-sa di infezioni opportunistiche o neoplasie caratteristiche.Il tempo necessario per l’evoluzione in AIDS conclamato,in assenza di terapia, varia da 3-4 a 8-12 anni ed è minorenei bambini rispetto agli adulti. Dal 1993 è stata adottata lanuova classificazione dell’AIDS proposta dai CDC nel1991, secondo cui la definizione di malattia viene estesa atutti i pazienti HIV positivi con conta assoluta dei linfociti TCD4+ inferiore a 200/mmc o in valore percentuale inferio-re al 14%, e che presentino almeno una delle patologieelencate nella Tabella 9.3.

Diagnosi. Il sospetto anamnestico e/o clinico dell’infezio-ne da HIV deve essere sempre confermato mediante l’i-dentificazione di anticorpi contro il virus (ELISA e/o We-stern Blot), o dell’acido nucleico di HIV (PCR, RT-PCR, b-DNA, NASBA) o attraverso la coltura diretta del virus (ot-tenuto dalle cellule mononucleate di individui infetti).

1) Il test HIV viene eseguito con tecnica immunoenzimati-ca ELISA ed ha una sensibilità ed una specificità supe-riore al 95%: gli anticorpi (IgG rivolti verso specifici anti-geni virali) compaiono mediamente 8-12 settimane do-po il contagio, con estremi che vanno da 2 settimane a 6mesi; a questo proposito va tenuto presente che il perio-do cosiddetto di “finestra immunologica” in cui il sog-getto, pur essendo infetto, è negativo al test per HIV, nonpuò superare i 6 mesi. La sieropositività rappresenta l’e-spressione della presenza del virus nell’organismo. Falsepositività sono frequenti nei soggetti politrasfusi o nelle

GINECOLOGIA

Tabella 9.3 INFEZIONI OPPORTUNISTICHE E NEOPLASIE AIDS-CORRELATE SECONDO CENTERS OF DISEASECONTROL AND PREVENTION DI ATLANTA 1993 (PATOLOGIE INCLUSE NELLA DEFINIZIONE DI CASO DI AIDS)

• Candidosi bronchiale, tracheale, polmonare, esofagea• Carcinoma invasivo della cervice dell’utero• Coccidiomicosi disseminata o extrapolmonare• Criptococcosi extrapolmonare• Criptosporidiosi intestinale cronica (più di 1 mese)• CMV, eccetto localizzazione epatica, splenica e linfonodale• Encefalopatia HIV-correlata• Herpes simplex: ulcere croniche (più di 1 mese), bronchite, polmonite o esofagite• Istoplasmosi disseminata o polmonare• Isosporiasi intestinale cronica (più di 1 mese)• Sarcoma di Kaposi• Linfoma di Burkitt• Linfoma immunoblastico• Linfoma primitivo del cervello• Mycobacterium avium complex o M. kansassi, disseminati o extrapolmonari• Mycobacterium tubercolosis a localizzazione polmonare o extrapolmonare• Polmonite da Pneumocistis carinii• Polmoniti batteriche ricorrenti (più di 2 all’anno)• Leucoencefalite multifocale progressiva• Setticemia ricorrente da salmonella• Toxoplasmosi cerebrale• Wasting sindrome da HIV

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multipare (reazioni crociate verso anticorpi diretti versoantigeni di istocompatibilità di classe seconda) e nei pa-zienti con malattie autoimmuni (presenza di autoanti-corpi antinucleo o antimitocondri). Viene effettuato, co-me test di conferma, il Western Blot (WB), dotato di spe-cificità e sensibilità del 99% verso tutti gli antigeni virali;

2) L’identificazione del materiale genetico del virus con tec-nica polimerasica a catena (PCR) consente di rilevare lapresenza del DNA provirale nel citoplasma cellulare o del-l’RNA virale nel plasma. La PCR qualitativa viene impie-gata nei neonati di madri siero-positive o nei soggetti a ri-schio durante il periodo di “finestra immunologica”. Pos-sono essere impiegate anche altre tecniche di biologia mo-lecolare (RT-PCR, NASBA, b-DNA) per titolare, sulla basedella quantità di acido nucleico presente nel plasma, la ca-rica virale e, quindi, monitorare i risultati della terapia;

3) L’isolamento virale, da coltura di cellule mononucleate disangue periferico di individui infetti, viene utilizzato perstudiare le caratteristiche biologiche degli isolati virali.

Terapia. La terapia dell’HIV, oggetto di continui studi edaggiornamenti, esula dalla nostra trattatazione, per cui sirimanda a testi specialistici. In questa sede necessita sotto-lineare quanto segue:

1) nessun trattamento risulta attualmente in grado di era-dicare l’infezione da HIV, anche se i farmaci antiretrovi-rali sono efficaci nel rallentare in modo significativo l’e-voluzione della malattia;

2) i livelli di RNA plasmatico sono il più importante ele-mento prognostico ed i livelli di CD4 rappresentano ildanno immunitario HIV indotto;

3) la progressione della malattia differisce tra i diversi indi-vidui, quindi i trattamenti devono essere individualizza-ti in base all’entità del rischio (RNA e CD4);

4) l’uso di una terapia efficace sopprime la replicazione vi-rale, riduce la selezione di mutanti resistenti ed impedi-sce la progressione della malattia;

5) la maniera più efficace per ottenere la massima soppres-sione è quella di iniziare contemporaneamente i farma-ci efficaci, a dosaggio ottimale e rispettando gli interval-li opportuni di somministrazione;

6) le donne devono praticare la terapia anche in gravidanza.

Gli obiettivi della terapia sono di seguito elencati.

1) obiettivo clinico: prolungamento della vita e migliora-mento della sua qualità;

2) obiettivo virologico: riduzione della carica virale (preferi-bilmente < 50 copie/ml), per il maggior tempo possibile,allo scopo di bloccare la progressione della malattia eprevenire/ridurre la selezione di ceppi virali resistenti;

3) obiettivo immunologico: promuovere la ricostituzione im-munologica sia quantitativa (conta dei CD4 tendente ai

valori normali), sia qualitativa (adeguata risposta immu-nitaria nei confronti dei patogeni);

4) obiettivo terapeutico: razionalizzare l’esposizione ai far-maci, conservando opzioni terapeutiche alternative, conscarsi effetti collaterali e buona compliance da parte delpaziente;

5) obiettivo epidemiologico: ridurre la trasmissione dell’HIV.

Attualmente sono tre i gruppi di farmaci utilizzati contro ilvirus:

1) inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NucleosideReverse Transcriptase Inhibitor, NRTI), farmaci in grado dibloccare la replicazione virale interrompendo la forma-zione della nuova catena di DNA virale. I principali so-no a base di zidovudina o azitodimina (AZT), didanosi-na (DDI), zalcitabina (ddC), lamivudina (3TC), d4T edabacavir (ABC);

2) inibitori della trascrittasi inversa non nucleosidici (NonNucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor, NNRTI), agi-scono legandosi direttamente al sito attivo dell’enzima,bloccandone l’azione ed impedendo che si formi il DNAprovirale. I principali sono nevirapina (NVP), delavirdi-na (DLV), efavirenz (EFV);

3) inibitori delle proteasi (IP), farmaci in grado di bloccarela proteasi virale, enzima che permette la maturazionedelle nuove particelle virali rendendole a loro volta in-fettanti. I principali sono saquinavir (SQV), indinavir(IDV), ritonavir (RTV) e nelfinavir (NFV).

È in fase di sperimentazione un quarto gruppo, gli inibito-ri della fusione, che agiscono nella fase durante la quale ilvirus si lega alla cellula che poi andrà a infettare.Gli schemi terapeutici propongono una terapia di combi-nazione variabile, che consiste di:

1) due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa e di uninibitore della proteasi;

2) due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa ed uninibitore della trascrittasi inversa non nucleosidico;

3) due inibitori della trascrittasi inversa e due inibitori del-la proteasi;

4) tre inibitori della trascrittasi inversa (se bassa viremia);

e che prende il nome di HAART (Highly Active Antiretrovi-ral Therapy), allo scopo di aumentarne la potenza farmaco-logica e ridurre i fenomeni di resistenza.

Malattie sessualmente trasmesse a eziologia parassitaria

SCABBIA

È una malattia parassitaria, caratterizzata da vivo prurito,specie alla sera, trasmessa per via sessuale, per contatto in-

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terumano o attraverso letti infetti, caratterizzata da lesionispecifiche elementari, cunicoli e con lesioni da grattamento.

Epidemiologia. La malattia è presente in tutto il mondo,ma molto meno frequente nei Paesi ad elevato tenore di vi-ta. La trasmissione può avvenire per via sessuale o per con-tatto interumano, ma più spesso per contagio indiretto, at-traverso i letti, in quanto l’acaro adulto sopravvive nell’am-biente per 1-2 giorni, mentre la ninfa fino a 5 giorni.

Eziopatogenesi. La scabbia è causata da un artropode, ilSarcoptes scabiei hominis, parassita solo dell’uomo. La fem-mina ha forma ovalare ed è dotata di quattro paia di arti;quando è gravida scava all’interno dello strato corneo finoallo strato malpighiano un tragitto sinuoso lungo 0,5-1,5cm, detto cunicolo, alla cui estremità distale (eminenzaacarica o vescicola perlacea) depone da 10 a 50 uova. Leuova si schiudono dopo 3-4 giorni lasciando fuoriuscire lelarve che successivamente (15-18 giorni) si trasformano inninfe e poi in acari adulti.

Clinica. La patologia è caratterizzata da lesioni papulariescoriate e cunicoli (lesioni lineari o serpiginose di colori-to grigiastro) localizzati sui genitali (pene, scroto), sull’a-reola mammaria, sui fianchi, sulle regioni glutee e sotto-glutee, sugli spazi interdigitali delle mani, sulle superficiflessorie dei polsi e dei gomiti, sul cavo ascellare ecc. Ilprurito è diffuso e si accentua durante le ore notturne. Senon trattata, la malattia ha decorso cronico e può compli-carsi con infezioni batteriche, ma generalmente il numerodegli acari rimane limitato e diminuisce col tempo per imeccanismi di difesa dell’ospite immunocompetente. Insoggetti immunocompromessi o mentalmente ritardati, lamalattia può evolvere in una dermatosi generalizzata iper-cheratosica e squamo-crostosa con interessamento preva-lente delle mani e dei piedi e distrofie ungueali (scabbiacrostosa o norvegese): in questi casi, nonostante la pre-senza di migliaia di parassiti, il prurito è spesso assente(Figura 9.2).

Diagnosi. La diagnosi è basata sul riscontro del parassitao delle lesioni cunicolari cutanee. Può essere effettuata, inaggiunta, un’indagine microscopica su materiale corneoprelevato con curette a livello del cunicolo e dopo chiarifi-cazione con KOH al 10%.

Terapia. La terapia è topica con pomate insetticide conte-nenti zolfo o benzoato di benzile, applicate su tutta la superficie corporea. Andranno ovviamente disinfestati labiancheria personale ed i letti, così come verrà consigliatala disinfestazione a tutti i conviventi o a tutti coloro che ab-biano avuto contatti intimi con la persona infetta.

PEDICULOSI DEL PUBE

È una malattia parassitaria caratterizzata da prurito, gene-ralmente ai genitali ed al pube (ma anche a livello ascella-re), e dal riscontro delle uova e dell’insetto adulto nelle areecolpite.

Epidemiologia. La malattia è molto frequente e diffusain tutto il mondo. Si trasmette per contatto interpersonaleo durante i rapporti sessuali; è possibile e comune un con-tagio indiretto attraverso i servizi igienici.

Eziopatogenesi. È causata dal Phthirus pubis, o piattola,insetto ematofago ovalare, di colorito grigio cenere, dotatodi un corpo più tozzo rispetto al pidocchio del capo, delledimensioni di 2-3 mm, e tre paia di arti, terminanti ad un-cino, con cui il parassita si fissa alla base del pelo, dove de-pone le uova, che si schiudono dopo circa una settimana. Ilprurito è causato dalla puntura del pidocchio, mentre le ra-re manifestazioni esantematiche sono legate al passaggioin circolo di sostanze tossiche.

Clinica. La malattia si manifesta con prurito, inizialmenteal pube, e secrezioni siero-ematiche sugli indumenti. Sonosempre evidenti lesioni da trattamento,come sono frequen-ti le sovrainfezioni batteriche.Sulla parte bassa dell’addome,sui fianchi ed, a volte, sulla radice delle cosce, possono com-parire delle macchie lenticolari a limiti indistinti, di coloritoblu ardesico (macule cerulee) legate a sostanze emoliticheinoculate dalla puntura dell’insetto. Obiettivamente sonovisibili i parassiti grigiastri, facilmente asportabili, mentre leuova restano saldamente ancorate alla radice dei peli.

Diagnosi. La diagnosi è clinica: riscontro del parassita edelle uova sulle zone pilifere.

Terapia. La terapia è basata sull’impiego di polveri oemulsioni insetticide contenenti piretrina, piperonil-butos-sido o propoxur, mantenute in situ per 12 ore ed eliminatesuccessivamente con accurato lavaggio. Andranno ovvia-mente disinfestati la biancheria personale ed i letti, così co-me verrà raccomandata la disinfestazione a tutti i convi-venti o a tutti coloro che abbiano avuto contatti intimi conla persona infetta (Figura 9.2).

BARTOLINITE

Epidemiologia. Con tale termine si designa l’infiamma-zione delle ghiandole di Bartolini, o ghiandole vestibolarimaggiori. Tale fenomeno, più tipico dell’età fertile, si puòverificare nel contesto di una cisti ghiandolare o in assenzadi lesioni preesistenti a tale livello.

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Figura 9.2 Malattie sessualmente trasmesse a eziologia parassitaria. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Pu-blished by Elsevier Inc. All rights reserved.)

Intenso prurito in areapubica (spesso notturno)è segno di infezione daparassiti. Le escoriazioni sono comuni

Segni clinici

Sexually Transmitted Disease: Parasite s

Management

Macchie bluastre cutaneespesso presenti con infestazione pubica daPhthirus pubis

Infezione secondaria conlesioni eczematoidida escoriazioni o morsi

Esame dell’area pubicae peli pubici possonorivelare uova e parassiti

Phthirus pubis Uova di Phthirus pubis nei peli pubici

Sarcoptes scabiei

Insetticida

Incrementare igiene generale e trattamentodei membri familiari e di tutti partner sessualicon shampoos insetticidi e creme

Pulizia generale domesticacon particolare attenzione alla disinfezionee al lavaggio di indumenti intimi e lenzuola

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Figura 9.3 Infiammazione delle ghiandole di Bartolini: bartolinite. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Publi-shed by Elsevier Inc. All rights reserved.)

Bartholin ’s Cyst

Cisti di Bartolini a ore 5

7:00 5:00

Le ghiandole di Bartolini(dagli orifizi posizionati a ore 5 e ore 7)dovrebbero essere ispezionatiperché sorgenti di lesioni

Zona di incisionemucosale peril drenaggio dellacisti del Bartolini

Parete mucosa

Cisti aperta

Ghiandola aperta

Marsupializzazionedella cisti

with

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Eziopatogenesi. I patogeni più frequentemente respon-sabili sono i piogeni (streptococchi ed anaerobi); in secon-do luogo il gonococco, la Chlamydia trachomatis ed il My-coplasma. All’interno della ghiandola coinvolta si sviluppauna raccolta di pus che può fuoriuscire dal dotto escreto-re, oppure, se ostruito, verso la faccia interna delle grandilabbra.

Clinica. I sintomi principali sono dolore, tensione e gon-fiore dell’area colpita, che si presenta coperta da cute ede-matosa ed arrossata. La paziente spesso lamenta difficol-tà alla deambulazione e nell’assumere la posizione sedu-ta. È possibile riscontrare un rialzo della temperatura cor-porea. Tendenzialmente la tumefazione, entro pochi gior-ni, assume la forma di un ascesso che, se non drenatochirurgicamente, si apre spontaneamente all’esterno (Fi-gura 9.3).

Terapia. L’intervento terapeutico consiste nella sommini-strazione di antibiotici a largo spettro, nel tentativo di far re-gredire l’infezione; se ciò non dovesse riuscire, si consiglial’utilizzo di impacchi caldo-umidi per favorire il drenaggiospontaneo del pus; in alternativa, è indicata l’incisione del-la formazione ascessuale in anestesia generale, associata aldrenaggio. L’eventuale asportazione della ghiandola va ef-fettuata quando non siano più presenti segni di flogosi (ve-di Capitolo 35).

ENDOMETRITE

Epidemiologia ed eziopatogenesi. Si definisce endo-metrite un processo infettivo a carico della mucosa o delladecidua endometriale che si può estendere fino ad interes-sare il miometrio e i parametri. Nella gran parte dei casi ta-le infezione è sostenuta da diversi ceppi batterici, che deri-vano dalla normale flora microbica saprofita dell’ambientevaginale: Ureaplasma urealyticum, Peptostreptococcus, Gard-nerella vaginalis, Bacteroides e streptococchi di gruppo B (Fi-gura 9.4).La contaminazione della cavità endometriale da parte dimicrorganismi patogeni è un evento frequente soprattut-to dopo un parto spontaneo. Circa il 70-80% delle puer-pere presenta colture endometriali positive per la crescitadi almeno un ceppo batterico ed in particolare questa po-sitività aumenta con il passare del tempo; infatti mentresolo 1 su 10 colture endometriali risulta positiva nelle pri-me 2 ore dal parto, tutte lo diventano a distanza di 24 oree lo restano per circa 5 giorni. Tuttavia, di tutte le donnecon colture endometriali positive (dopo parto spontaneoavvenuto senza traumatismi ostetrici), solo l’1-2% svilup-pa un’endometrite.

La contaminazione della cavità endometriale da parte dipatogeni avverrebbe anche durante la fase mestruale ed inseguito a rapporti sessuali in determinate fasi del ciclo. Ta-le fenomeno transitorio appare tuttavia di scarsa rilevanzagrazie all’azione di specifici meccanismi di difesa uteriniossido-riduttivi e propulsivi.Un’altra causa di contaminazione microbica endometrialesarebbe data dall’inserzione di un dispositivo intra-uterino(IUD): subito dopo l’inserzione dello IUD, infatti, è possi-bile isolare in cavità numerosi batteri, tuttavia, dopo circa24-72 ore, la cavità tornerebbe di nuovo sterile, in quantola mucosa endometriale, nella maggior parte dei casi, gra-zie al suo potenziale ossido-riduttivo è in grado di contra-stare l’azione dei patogeni.

Clinica. I sintomi principali con cui si manifesta l’endo-metrite sono: dolorabilità spontanea e provocata ai qua-dranti addominali inferiori, rialzo febbrile (< 38,5 °C, entro36 ore dal parto), tachicardia, profonda astenia e perditeematiche purulente. Nel caso di contaminazione da partedi streptococchi �-emolitici di gruppo A e di infezione daNeisseria gonorrhoeae la sintomatologia dell’endometriteacuta sarà caratterizzata da febbre superiore a 39 °C, algieaddomino-pelviche, perdite profuse e maleodoranti,profondo peggioramento della cenestesi, fino ad un vero eproprio quadro di shock settico.La diffusione per contiguità e, probabilmente, per via linfa-tica dell’endometrite può generare un quadro di metrite: inrari casi si possono formare all’interno dello spessore mio-metriale delle cavità ascessuali, il cui contenuto necroticopuò essere eliminato attraverso la cavità uterina. General-mente l’insorgenza della metrite si verifica nel corso dellaseconda settimana del puerperio, confermando così l’ipo-tesi eziopatogenetica che la vedrebbe come una malattiasecondaria all’endometrite, con un quadro clinico affine aquest’ultima per la sintomatologia, ma gravato da unamaggiore severità.

Diagnosi. La diagnosi si basa essenzialmente sul repertoobiettivo, sulla clinica e sull’alterazione di determinati pa-rametri ematochimici: leucocitosi neutrofila, emocolturepositive e colture di materiale endometriale.Altri presidi diagnostici (ecografia transvaginale, TAC pel-vica) vengono solitamente riservati alle pazienti che non ri-spondono alla terapia antibiotica entro le prime 48-72 oree/o nel caso in cui si voglia escludere un coinvolgimentodei parametri, una tromboflebite settica, una trombosi del-le vene ovariche.

Terapia. Il trattamento dell’endometrite si basa sull’utiliz-zo di antibiotici a largo spettro o in combinazione.

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GINECOLOGIA

Figura 9.4 Endometrite. (Da R.P. Smith, Netter’s Obstetrics, Gynecology and Women’s Health. Published by Elsevier Inc. All rights reserved.)

Vie di diffusionedell’infezionegonococcicae non gonococcica

Parametrite

Parametritecon ascessi(diffusioneretrograda)

Gonorrea

Infezione non gonococcica(generalmente puerperale,postabortiva o traumatica)

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