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Vario 76

Date post: 24-Mar-2016
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91
Sped. abb. postale Art.1 comma 1353/03 aut. n°12/87 25/11/87 Pescara CMP 76 novembre/dicembre 2011 n.76 • € 4.50 Sandro Visca L’arte è un grande cuore rosso Sangritana PROSSIMA FERMATA BOLOGNA Speciale ARCHITETTURA Personaggi ALFREDO PAGLIONE
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€ 4

.50

Sandro Visca L’arte è un grande cuore rosso

Sangritana prossima fermataBoLoGNa Speciale architetturaPersonaggiaLfredo paGLioNe

Il formaggio di Nunzio Marcelli

Un pecorino da OscarPan dell'Orso: dolci sapori / Rustichella d'Abruzzo: in tour tra le spighe

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PESCARA • Piazza Garibaldi • Galleria Auchan • Aeroportowww.fabriziocamplone.it

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VARIO

novembre/dicembre 2011

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XII

Rubrica BreVario

Sandro Visca L’arte è un grande cuore rosso

Giampaolo Colletti La sfida dei wwworkers

Mario Di Paolo Obiettivo creatività

So.Ha La cultura in festa

Questione di classe Un’estate da sei e mezzo

Alfredo Paglione Vissi d’arte e d’amore

Victoria e Dan Fante a Torricella

Sangritana Prossima fermata Bologna

Cciaa Pescara Uniti per ripartire

Economia I Poli d’innovazione

Ecologica Sangro Il sole, alternativa sostenibile

Speciale Architettura

Architettura Sarà Pescara

Architettura Orti urbani

Architettura I centri storici

Rubrica Ribalta

VARIOGUSTO

La Porta dei Parchi Un pecorino da Oscar

Pan dell’Orso Dolci sapori

Rustichella d’Abruzzo In tour tra le spighe

76 In copertina Sandro Viscafotografato daAlessio Di Brigida

Direttore Responsabile

Claudio Carella

Redazione

Fabrizio Gentile (testi), Enzo Alimonti (grafica), Alessio Di Brigida

Hanno collaborato a questo numero

Laura Antosa, Andrea Carella, Simone Ciglia, Annamaria Cirillo, Ales-

sio Di Brigida, Francesco Di Vincenzo, Giorgio D’Orazio,

Roberta D’Orazio, Renato Minore, Massimo Palladini, Alessio Romano

Stampa, fotolito e allestimento

AGP - Arti Grafiche Picene - Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP)

Claudio Carella Editore

Aut. Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87

Copia singola Euro 4,50

Abbonamento annuo (sei numeri) Euro 24, Vers. C/C Post. 13549654

Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana

Redazione: Via Puccini, 85/2 Pescara - Tel. 08527132 - [email protected]

www.vario.it

Page 4: Vario 76

vario.indd 1 02/09/11 15.47

Page 5: Vario 76

Pescara è di nuovo nel pallone, proprio come succedeva venti anni fa. L’Adriatico sempre pieno (mai meno di diecimila spet-tatori), la tifoseria, e non solo, in fermento, conquistata dalla squadra di calcio che regala gol, spettacolo ed emozioni, il so-gno bello e possibile che, dopo una lunga volata, potrebbe portare i biancazzurri dritti dritti in serie A. Tra i primi a crederci, affascinati dagli show di Insigne e soci, siamo stati noi di Vario, distribuendo il primo poster del Pescara proprio il giorno della fantastica cinquina rifilata al Cittadella. Un sabato di festa che ha aperto la strada a un boom di entusiasmo che,all’inizio de-gli anni 90 come oggi,ha messo in vetrina pure la citta. Allora era Galeone il motore di un effetto mediatico prorompente e dilagante, ora il ruolo è tutto di Zeman, personaggio carismati-co, sempre all’attacco, in campo e fuori, con la forza delle idee e del lavoro, giocando la sua partita in maniera pulita, senza

mai cedere alla banalità o al compromesso. Una mosca bianca in un mondo ormai prigioniero di affari e business e che forse proprio per questo ha cominciato a ridargli quella credibilità e quegli spazi che per troppo tempo gli erano stati tolti da chi giocava sporco. Zeman è di nuovo sinonimo di spettacolo e allegria ed è così che riporta la squadra e la città sulle prime pagine dei principali quotidiani e settimanali , non solo spor-tivi, gli dedicano servizi L’Espresso e Repubblica, la Gazzetta e il Corriere dello Sport, escono nuovi libri che raccontano la sua vita professionale e la sua filosofia di gioco, Fabio Fazio gli apre le porte di “Che tempo che fa”, strappandogli, tra pause e silenzi, ricordi, sorrisi e verità. Uno spot meritato, non solo per lui, ma anche per il calcio e pure per Pescara che, dopo venti anni appunto, torna ad essere isola felice, dove lo sport si può vivere anche senza stress ed eccessive tensioni.

VARIOSPORTe il Pescara vola

La nostra nuova iniziativa editoriale porta bene al Pescara Calcio: in conco-

mitanza con la prima uscita del poster la squadra sbaraglia con un secco

5-3 l’avversario; con la seconda edizione dedicata a Sansovini il capitano

realizza una tripletta, la prima della sua carriera.

di Antonio De Leonardis Era un ragazzino quando vide per la prima volta da vicino

Zdenek Zeman. Lui, Marco Sansovini, romano di Cinecittà,

giocava con la Primavera giallorossa, assieme a Daniele

Conti, De Vezze e Antonini, il boemo guidava la Roma di

Totti e Di Francesco, Cafu, Balbo e Aldair.

È da lì che comincia il nostro viaggio con il capitano bian-

cazzurro, alla scoperta di emozioni, speranze, ambizioni e

ricordi che, dopo una lunga gavetta, lo hanno portato a

recitare un ruolo di primo piano in riva all’Adriatico.

«Ero tifoso della Roma – ovviamente, vedere Zeman, per-

sonaggio di spicco soprattutto in quegli anni, alla guida

della propria squadra del cuore era un sogno, qualcosa che

ti dava una carica speciale anche solo a vedere la partita.

Io, di tanto in tanto, avevo anche il privilegio di affronta-

re in allenamento i titolari e, pur senza farsi mai eccessive

illusioni, già questo bastava quanto meno per sognare in

grande, come tifoso e come apprendista calciatore.

In realtà, all’epoca, non era facile per un giovane bruciare

le tappe: oggi sono tanti i Primavera che trovano spazio in

serie B, mentre allora, se ti andava bene, cominciavi la tua

carriera dalla C1».

E la sua lunga gavetta, che per dieci anni, prima di

approdare a Pescara, lo ha portato in giro per l’Italia,

è partita appunto da Foggia, proprio lì dove, qualche

tempo prima, era nata Zemanlandia...

«Fu per la verità un inizio traumatico visto che rimediai

due brutti infortuni che mi tennero lontano dal campo per

diversi mesi. Senz’altro il momento più brutto della mia

carriera che, tra l’altro, doveva ancora cominciare. Persi

in pratica due anni, visto che riuscii a disputare appena

quattro partite; per fortuna passò anche quello, ripartii

da Viareggio in C2, trovai subito un allenatore in gamba, Massimiliano Maddalo- ni, che poi sarebbe stato vice di Ferrara alla Juve. Segnai 8 gol, che certo

non erano pochi per un esordiente».

Da Viareggio a Sassari con la Torres, poi Tivoli e ancora Sardegna pri- ma di arrivare alla Pro Sesto, altra tappa deci- samente importante... «Sì, due stagioni che mi aiutarono a crescere e an- che a farmi apprezzare. Vincemmo il campionato

di C2, l’anno dopo in C1 se- gnai 11 gol: credo che pro- prio quell’esperienza abbia segnato la prima svolta im- portante nella mia carriera. Alla Pro Sesto, tra l’altro, ero arrivato con il morale

sotto i tacchi dopo l’ultima esperienza con la Torres. L’allena-

tore D’Adderio non mi vedeva proprio, spesso finivo in tribuna,

visto che portava tutti in ritiro ad eccezione del sottoscritto. Per

la prima volta, così, cominciai a vedere nero nel mio futuro. Con

la Pro Sesto ritrovai invece l’occasione giusta, andai al Grosseto

e mi trovai subito bene con Max Allegri. Ben presto però, con

l’arrivo di Cuccureddu, fui costretto di nuovo a fare le valigie,

direzione Manfredonia. A proposito di allenatori devo dire che,

a parte la parentesi Sassari, ho avuto un ottimo rapporto con

tutti: ricordo con piacere i due anni con Di Francesco, sto viven-

do con entusiasmo questa esperienza con Zeman. E dovunque

di Giovanni Tontodonati Di questi tempi è facile, quasi naturale, parlare di giova-

ni stelle biancazzurre. Il Pescara di Zeman vola sulle ali

dell’entusiasmo di ragazzi promettenti che l’allenatore

boemo ama valorizzare. Da Totti a Nesta, da Signori a Ba-

iano, da Di Biagio ad Hamsik. Pochi nomi per far capire a

molti quanto Zeman abbia già espresso in questo ambi-

to. Ora il compito di cavalcare l’onda giusta per sfondare

nel mondo del calcio tocca ai piccoli delfini. Si sa, nelle

società di livello medio piccolo, il settore giovanile rive-

ste un ruolo strategico per consentire all’intera struttura

di rimanere viva nel corso degli anni. Così accade anche

nel sodalizio guidato da Giuseppe De Cecco che ambi-

sce a potenziare la proprie capacità di ricerca continua di

piccoli Capuano e Verratti, per citare soltanto i nomi più

altisonanti. Il Consiglio di amministrazione della Pescara

calcio vede Pio Gizzi ricoprire la carica di dirigente dele-

gato al settore giovanile. Pescarese di nascita, sposato con

Paola, Gizzi entra in società nel settembre del 2010. Pochi

giorni dopo la sottoscrizione delle quote inizia a lavorare

per la bella gioventù biancazzurra: «Appena sono entrato

a far parte del sodalizio –afferma Pio Gizzi– ho richiesto

ai soci di poter ricoprire questa carica perché amo stare

con i ragazzi». Pio e Paola hanno due figli, Manuel e Davi-

de, ma soltanto quest’ultimo gioca a calcio, nella forma-

zione Berretti del Pescara: «Sì, Davide gioca a calcio ed ha

grande passione, Manuel ha praticato il nuoto e del pal-

lone non gliene importa nulla; ma non fa niente, ognuno

è libero di seguire le proprie aspirazioni». Per il dirigente

del Pescara l’impatto con il mondo del calcio è stato molto

soddisfacente: «Ho trovato una struttura ben collaudata

e persone con grande volontà, tecnici molto preparati, al

contrario di quanto pensa qualcuno. Certamente il settore

ha ampi margini di miglioramento. Dobbiamo puntare su

una maggior collaborazione tra le varie categorie, dai più

piccoli fino ad arrivare alla Primavera. È necessario che ci

sia un filo conduttore omogeneo che accompagni la cre-

scita dei nostri ragazzi». Gizzi indica con chiarezza la stra-

da che dovrà essere perseguita in futuro per potenziare il

settore giovanile e renderlo ancor più efficiente: «Il nostro

obiettivo è quello di continuare a preparare i nostri gio-

vani ad esordire in prima squadra e, magari, continuare a

fornire elementi validi per le varie rappresentative nazio-

nali. Le nostre squadre non devono lavorare con l’assillo

di far risultato, quell’aspetto ci interessa relativamente.

L’importante è che crescano serenamente e pratichino

lo sport che amano». Gizzi sottolinea questo ambito con

particolare convinzione: «Quando ci siamo incontrati per

il raduno, agli inizi di agosto, ho parlato con tutti gli al-

lenatori e i responsabili delle varie selezioni ribadendo

la nostra regola basilare: il fair play. Il nome Pescara non

dovrà mai e poi mai essere associato a episodi di violenza,

di reazioni in campo, di risse e quant’altro. I nostri tecnici

insegnano i principi di lealtà, l’esperienza sul campo deve

essere anche una scuola di vita». In ottica futura il Pescara

sta pensando di potenziare la rete degli osservatori: «Stia-

mo lavorando in questo senso. Tengo a precisare che una

società come il Pescara non può ricercare le giovani pro-

messe laddove sono già presenti emissari di società bla-

sonate di A che investono fior di milioni. Noi dobbiamo

essere abili a intravedere le qualità di qualche calciatore

giocando d’anticipo, intervenendo prima dell’arrivo dei

grandi club. Da tempo siamo a caccia di giovani promesse

che possono essere ricercate non solo all’estero, ma anche

all’interno del territorio regionale». La società ha messo su

un’iniziativa, chiamata Progetto Abruzzo, che si sviluppa

attraverso le affiliazioni dei club della regione: «Il proget-

to Abruzzo –chiarisce Gizzi– va avanti spedito. Abbiamo

trovato un’enorme disponibilità di squadre abruzzesi,

ma anche di altre regioni, come Lazio e Molise, pronte a

collaborare con la nostra società». A poco più di un anno

dal suo ingresso in società Gizzi indica un momento par-

ticolarmente emozionante: «Confesso di essermi quasi

commosso in occasione dell’esordio in B di Loris Bacchetti

contro l’Albinoleffe. L’ho visto prima della gara e so qua-

le fosse il suo stato d’animo. Se l’è cavata egregiamente,

tant’è che Zeman l’ha riproposto nelle due partite succes-

sive. Dopo Capuano e Verratti, senza dimenticare Perrotta

e altri, un’altra soddisfazione per il nostro staff. Anche Di

Francesco non aveva timore a lanciare i ragazzi, ma noto

che la presenza di Zeman rappresenta uno sprone per tut-

ti i piccoli calciatori del Pescara che vedono la possibilità

di avere una chance per mettersi in mostra. E poi lavorare

al Poggio degli Ulivi, che a breve diventerà il nostro fiore

all’occhiello, rende il nostro lavoro ancor più gratificante».

In futuro la ciliegina sulla torta potrebbe essere rappre-

sentata dall’iscrizione del Pescara al Torneo di Viareggio,

senza dubbio una vetrina prestigiosa per i giovani del cal-

cio mondiale: «Ci abbiamo pensato, se in futuro qualcuno

ci darà un supporto potremo far partecipare il Pescara ad

una rassegna così ambita». Marco Sansovini Il Capitano

Speciale 2 PESCARA CALCIO

Supplem

ento a Vario

n. 7

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ir. resp. Claudio C

arella • Aut. Tribunale di P

escara n° 12/87 del 25/11/87 • € 1,0

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Marco Sansovini

Pio Gizzi

“Grazie Pescara, voglio darti di più”

Il Pescara che verrà

sia andato comunque, anche di fronte alle difficoltà, non ho

mai perso nè la passione nè la voglia di fare al meglio delle mie

possibilità quello che è diventato il mio mestiere. Sì, tanta ga-

vetta, ma come penso sia capitato a gran parte dei calciatori. E,

alla lunga, credo che tutto questo abbia pagato».La Roma baby per partire, la Pro Sesto per cominciare a

crederci e poi, finalmente, Pescara...«E questo senz’altro è stato il mio trampolino di lancio prima

e il punto d’arrivo poi. Fantastica la stagione con Lerda, con i

play off persi putroppo per quel punto di penalizzazione; la

successiva parentesi di Grosseto servì soprattutto per con-

fermarmi e per darmi anche maggior fiducia. Fu un esame

importante visto che il presidente Camilli mi voleva cedere

ancor prima che cominciasse il campionato. Dovevo andare

al Taranto ma rifiutai proprio per la voglia di misurarmi per

la prima volta col campionato di serie B; con Gustinetti trovai

lo spazio che cercavo, segnai 15 gol e questo bastò per risve-

gliare di nuovo l’interesse del Pescara, che nel frattempo era

diventato solido e ambizioso grazie al cambiamento che c’era

stato in società. Lasciavo la B che avevo appena scoperto ma

ritrovavo un ambiente che avevo imparato ad amare e ad

apprezzare, nella scelta c’entrò poco anche il lungo contrat-

to che mi veniva offerto. Sapevo che avrei ritrovato affetto e

calore e certo non mi sono sbagliato, ne ho avuto anzi con-

ferma proprio nei momenti meno felici, quando non riuscivo

ad esprimermi al meglio o addirittura mi andava tutto storto.

Sì, qui mi sento a casa, sono sereno e vi garantisco che non è

poco per chi fa questo mestiere».

Pescara, ovvero la stabilità, trovata anche grazie alla

moglie Greta e alla piccola Annalisa che certo contribu-

iscono non poco a mantenere serenità. In più sei in una

squadra che gioca, diverte e ha dato una scossa a tutto

l’ambiente: te l’aspettavi? «All’inizio no, sinceramente. Certo, ritenevo che ci fossero le

premesse per far bene ma pensare che potessimo arrivare

tanto in alto così in fretta non sembrava ipotizzabile. Strada

facendo però, conoscendo i compagni e vedendo come lavo-

rava il mister ho preso consapevolezza di quella che poteva

essere la nostra forza. L’importante è crederci e continuare

a lavorare così come abbiamo fatto finora, con costanza e

determinazione. È la strada giusta, è quella che può darci le

maggiori soddisfazioni».Magari anche la convinzione che quel sogno che certo hai

nel cassetto si possa alla fine trasformare in realtà. Parlia-

mo, ovviamente di quella serie A che hai intravisto quan-

do eri ragazzino ma dai bordi del campo e che resta l’uni-

ca categoria che devi ancora scoprire da protagonista...

«Certo che ci penso, ma è uno stimolo più che un’illusione, al

momento del tutto fuori luogo. Penso che sarebbe il massimo

raggiungerla in questa città, con questa maglia e a ddirittura

con la fascia di capitano assieme a compagni che stimo. Per

adesso però dobbiamo solo cercare di giocar bene di partita in

partita, sarà il campo a dire se meritiamo le nostre ambizioni.

Parola di capitano».

Il dirigente del settore giovanile tra presente e futuro: con Capuano e Verratti

tanti biancazzurri in rampa di lancio grazie al Progetto Abruzzo, fair play e lealtà.

Il campo una scuola di vita

Pio Gizzi “cura” il vivaio biancazzurro.Con lui, da sinistra, Loris Bocchetti, Marco Perrotta, Marco Capuano e Daniele Sciarra

Da Cinecittà all’Adriatico,finalmente capitano e primattore:

Un lungo viaggio attraverso tutte le categorie sempre a caccia del gol

“Ero nella Primavera quando Zeman arrivò alla Roma. Il momento più brutto a Foggia

quando mi infortunai, con la Pro Sesto le prime soddisfazioni.

Mi manca solo la A, sarebbe il massimo arrivarci con questa maglia” La carriera di Marco Sansovini

Marco Sansovini è nato a Roma il 17 giugno del 1980. Inizia nelle giovanili della Roma.

Ecco i numeri e le tappe della sua carriera325 le partite disputate (Foggia, Esperia Viareggio, Torres Sassari, Tivoli, Pro Sesto,

Grosseto, Manfredonia, Pescara).

87 i gol segnati (8 col Viareggio, 3 con la Torres, 4 col Tivoli, 19 con la Pro Sesto, 3 col

Manfredonia, 15 col Grosseto, 36 col Pescara).

2 i campionati vinti (1 con la Pro Sesto, nella stagione 2004-2005 dalla C2 alla C1, 1

con il Pescara, nella stagione 2009-2010, dalla Prima divisione alla B).

Quello in corso è il quarto campionato con la maglia biancazzurra

112 le presenze con il Pescara (62 in C1 e Prima divisione, 50 in serie B)

I cannonieri biancazzurri 65 Federico GIAMPAOLO (1994-2005)

48 Ottavio PALLADINI (1992-2004)

47 Giuseppe RINALDI (1948-1955)

42 Mario TONTODONATI (1940-1955)

38 Bruno NOBILI (1974-1982)36 Marco SANSOVINI (2007-2011)

34 Stefano REBONATO (1983-1987)

29 Emanuele CALAIò (2003-2005)27 Rocco PAGANO (1985-1992)

25 Edi BIVI (1990-1994)24 Vincenzo ZUCCHINI (1973-1979)

Foto Max Schiazza

di Antonio De LeonardisEra un ragazzino quando vide per la prima volta da vicino

Zdenek Zeman. Lui, Marco Sansovini, romano di Cinecittà,

giocava con la Primavera giallorossa, assieme a Daniele

Conti, De Vezze e Antonini, il boemo guidava la Roma di

Totti e Di Francesco, Cafu, Balbo e Aldair.

È da lì che comincia il nostro viaggio con il capitano bian-

cazzurro, alla scoperta di emozioni, speranze, ambizioni e

ricordi che, dopo una lunga gavetta, lo hanno portato a

recitare un ruolo di primo piano in riva all’Adriatico.

«Ero tifoso della Roma – ovviamente, vedere Zeman, per-

sonaggio di spicco soprattutto in quegli anni, alla guida

della propria squadra del cuore era un sogno, qualcosa che

ti dava una carica speciale anche solo a vedere la partita.

Io, di tanto in tanto, avevo anche il privilegio di affronta-

re in allenamento i titolari e, pur senza farsi mai eccessive

illusioni, già questo bastava quanto meno per sognare in

grande, come tifoso e come apprendista calciatore.

In realtà, all’epoca, non era facile per un giovane bruciare

le tappe: oggi sono tanti i Primavera che trovano spazio in

serie B, mentre allora, se ti andava bene, cominciavi la tua

carriera dalla C1».

E la sua lunga gavetta, che per dieci anni, prima di

approdare a Pescara, lo ha portato in giro per l’Italia,

è partita appunto da Foggia, proprio lì dove, qualche

tempo prima, era nata Zemanlandia...

«Fu per la verità un inizio traumatico visto che rimediai

due brutti infortuni che mi tennero lontano dal campo per

diversi mesi. Senz’altro il momento più brutto della mia

carriera che, tra l’altro, doveva ancora cominciare. Persi

in pratica due anni, visto che riuscii a disputare appena

quattro partite; per fortuna passò anche quello, ripartii

da Viareggio in C2, trovai subito un allenatore in gamba, Massimiliano Maddalo-ni, che poi sarebbe stato

vice di Ferrara alla Juve. Segnai 8 gol, che certo

non erano pochi per un esordiente».

Da Viareggio a Sassari con la Torres, poi Tivoli

e ancora Sardegna pri-ma di arrivare alla Pro Sesto, altra tappa deci-samente importante...«Sì, due stagioni che mi

aiutarono a crescere e an-che a farmi apprezzare. Vincemmo il campionato

di C2, l’anno dopo in C1 se-gnai 11 gol: credo che pro-prio quell’esperienza abbia segnato la prima svolta im-portante nella mia carriera.

Alla Pro Sesto, tra l’altro, ero arrivato con il morale

sotto i tacchi dopo l’ultima esperienza con la Torres. L’allena-

tore D’Adderio non mi vedeva proprio, spesso finivo in tribuna,

visto che portava tutti in ritiro ad eccezione del sottoscritto. Per

la prima volta, così, cominciai a vedere nero nel mio futuro. Con

la Pro Sesto ritrovai invece l’occasione giusta, andai al Grosseto

e mi trovai subito bene con Max Allegri. Ben presto però, con

l’arrivo di Cuccureddu, fui costretto di nuovo a fare le valigie,

direzione Manfredonia. A proposito di allenatori devo dire che,

a parte la parentesi Sassari, ho avuto un ottimo rapporto con

tutti: ricordo con piacere i due anni con Di Francesco, sto viven-

do con entusiasmo questa esperienza con Zeman. E dovunque

di Giovanni TontodonatiDi questi tempi è facile, quasi naturale, parlare di giova-

ni stelle biancazzurre. Il Pescara di Zeman vola sulle ali

dell’entusiasmo di ragazzi promettenti che l’allenatore

boemo ama valorizzare. Da Totti a Nesta, da Signori a Ba-

iano, da Di Biagio ad Hamsik. Pochi nomi per far capire a

molti quanto Zeman abbia già espresso in questo ambi-

to. Ora il compito di cavalcare l’onda giusta per sfondare

nel mondo del calcio tocca ai piccoli delfini. Si sa, nelle

società di livello medio piccolo, il settore giovanile rive-

ste un ruolo strategico per consentire all’intera struttura

di rimanere viva nel corso degli anni. Così accade anche

nel sodalizio guidato da Giuseppe De Cecco che ambi-

sce a potenziare la proprie capacità di ricerca continua di

piccoli Capuano e Verratti, per citare soltanto i nomi più

altisonanti. Il Consiglio di amministrazione della Pescara

calcio vede Pio Gizzi ricoprire la carica di dirigente dele-

gato al settore giovanile. Pescarese di nascita, sposato con

Paola, Gizzi entra in società nel settembre del 2010. Pochi

giorni dopo la sottoscrizione delle quote inizia a lavorare

per la bella gioventù biancazzurra: «Appena sono entrato

a far parte del sodalizio –afferma Pio Gizzi– ho richiesto

ai soci di poter ricoprire questa carica perché amo stare

con i ragazzi». Pio e Paola hanno due figli, Manuel e Davi-

de, ma soltanto quest’ultimo gioca a calcio, nella forma-

zione Berretti del Pescara: «Sì, Davide gioca a calcio ed ha

grande passione, Manuel ha praticato il nuoto e del pal-

lone non gliene importa nulla; ma non fa niente, ognuno

è libero di seguire le proprie aspirazioni». Per il dirigente

del Pescara l’impatto con il mondo del calcio è stato molto

soddisfacente: «Ho trovato una struttura ben collaudata

e persone con grande volontà, tecnici molto preparati, al

contrario di quanto pensa qualcuno. Certamente il settore

ha ampi margini di miglioramento. Dobbiamo puntare su

una maggior collaborazione tra le varie categorie, dai più

piccoli fino ad arrivare alla Primavera. È necessario che ci

sia un filo conduttore omogeneo che accompagni la cre-

scita dei nostri ragazzi». Gizzi indica con chiarezza la stra-

da che dovrà essere perseguita in futuro per potenziare il

settore giovanile e renderlo ancor più efficiente: «Il nostro

obiettivo è quello di continuare a preparare i nostri gio-

vani ad esordire in prima squadra e, magari, continuare a

fornire elementi validi per le varie rappresentative nazio-

nali. Le nostre squadre non devono lavorare con l’assillo

di far risultato, quell’aspetto ci interessa relativamente.

L’importante è che crescano serenamente e pratichino

lo sport che amano». Gizzi sottolinea questo ambito con

particolare convinzione: «Quando ci siamo incontrati per

il raduno, agli inizi di agosto, ho parlato con tutti gli al-

lenatori e i responsabili delle varie selezioni ribadendo

la nostra regola basilare: il fair play. Il nome Pescara non

dovrà mai e poi mai essere associato a episodi di violenza,

di reazioni in campo, di risse e quant’altro. I nostri tecnici

insegnano i principi di lealtà, l’esperienza sul campo deve

essere anche una scuola di vita». In ottica futura il Pescara

sta pensando di potenziare la rete degli osservatori: «Stia-

mo lavorando in questo senso. Tengo a precisare che una

società come il Pescara non può ricercare le giovani pro-

messe laddove sono già presenti emissari di società bla-

sonate di A che investono fior di milioni. Noi dobbiamo

essere abili a intravedere le qualità di qualche calciatore

giocando d’anticipo, intervenendo prima dell’arrivo dei

grandi club. Da tempo siamo a caccia di giovani promesse

che possono essere ricercate non solo all’estero, ma anche

all’interno del territorio regionale». La società ha messo su

un’iniziativa, chiamata Progetto Abruzzo, che si sviluppa

attraverso le affiliazioni dei club della regione: «Il proget-

to Abruzzo –chiarisce Gizzi– va avanti spedito. Abbiamo

trovato un’enorme disponibilità di squadre abruzzesi,

ma anche di altre regioni, come Lazio e Molise, pronte a

collaborare con la nostra società». A poco più di un anno

dal suo ingresso in società Gizzi indica un momento par-

ticolarmente emozionante: «Confesso di essermi quasi

commosso in occasione dell’esordio in B di Loris Bacchetti

contro l’Albinoleffe. L’ho visto prima della gara e so qua-

le fosse il suo stato d’animo. Se l’è cavata egregiamente,

tant’è che Zeman l’ha riproposto nelle due partite succes-

sive. Dopo Capuano e Verratti, senza dimenticare Perrotta

e altri, un’altra soddisfazione per il nostro staff. Anche Di

Francesco non aveva timore a lanciare i ragazzi, ma noto

che la presenza di Zeman rappresenta uno sprone per tut-

ti i piccoli calciatori del Pescara che vedono la possibilità

di avere una chance per mettersi in mostra. E poi lavorare

al Poggio degli Ulivi, che a breve diventerà il nostro fiore

all’occhiello, rende il nostro lavoro ancor più gratificante».

In futuro la ciliegina sulla torta potrebbe essere rappre-

sentata dall’iscrizione del Pescara al Torneo di Viareggio,

senza dubbio una vetrina prestigiosa per i giovani del cal-

cio mondiale: «Ci abbiamo pensato, se in futuro qualcuno

ci darà un supporto potremo far partecipare il Pescara ad

una rassegna così ambita».

Marco SansoviniIl Capitano

Speciale 2 PESCARA CALCIO

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Marco Sansovini

Pio Gizzi

“Grazie Pescara, voglio darti di più”

Il Pescara che verrà

sia andato comunque, anche di fronte alle difficoltà, non ho

mai perso nè la passione nè la voglia di fare al meglio delle mie

possibilità quello che è diventato il mio mestiere. Sì, tanta ga-

vetta, ma come penso sia capitato a gran parte dei calciatori. E,

alla lunga, credo che tutto questo abbia pagato».La Roma baby per partire, la Pro Sesto per cominciare a

crederci e poi, finalmente, Pescara...«E questo senz’altro è stato il mio trampolino di lancio prima

e il punto d’arrivo poi. Fantastica la stagione con Lerda, con i

play off persi putroppo per quel punto di penalizzazione; la

successiva parentesi di Grosseto servì soprattutto per con-

fermarmi e per darmi anche maggior fiducia. Fu un esame

importante visto che il presidente Camilli mi voleva cedere

ancor prima che cominciasse il campionato. Dovevo andare

al Taranto ma rifiutai proprio per la voglia di misurarmi per

la prima volta col campionato di serie B; con Gustinetti trovai

lo spazio che cercavo, segnai 15 gol e questo bastò per risve-

gliare di nuovo l’interesse del Pescara, che nel frattempo era

diventato solido e ambizioso grazie al cambiamento che c’era

stato in società. Lasciavo la B che avevo appena scoperto ma

ritrovavo un ambiente che avevo imparato ad amare e ad

apprezzare, nella scelta c’entrò poco anche il lungo contrat-

to che mi veniva offerto. Sapevo che avrei ritrovato affetto e

calore e certo non mi sono sbagliato, ne ho avuto anzi con-

ferma proprio nei momenti meno felici, quando non riuscivo

ad esprimermi al meglio o addirittura mi andava tutto storto.

Sì, qui mi sento a casa, sono sereno e vi garantisco che non è

poco per chi fa questo mestiere».

Pescara, ovvero la stabilità, trovata anche grazie alla

moglie Greta e alla piccola Annalisa che certo contribu-

iscono non poco a mantenere serenità. In più sei in una

squadra che gioca, diverte e ha dato una scossa a tutto

l’ambiente: te l’aspettavi?«All’inizio no, sinceramente. Certo, ritenevo che ci fossero le

premesse per far bene ma pensare che potessimo arrivare

tanto in alto così in fretta non sembrava ipotizzabile. Strada

facendo però, conoscendo i compagni e vedendo come lavo-

rava il mister ho preso consapevolezza di quella che poteva

essere la nostra forza. L’importante è crederci e continuare

a lavorare così come abbiamo fatto finora, con costanza e

determinazione. È la strada giusta, è quella che può darci le

maggiori soddisfazioni».Magari anche la convinzione che quel sogno che certo hai

nel cassetto si possa alla fine trasformare in realtà. Parlia-

mo, ovviamente di quella serie A che hai intravisto quan-

do eri ragazzino ma dai bordi del campo e che resta l’uni-

ca categoria che devi ancora scoprire da protagonista...

«Certo che ci penso, ma è uno stimolo più che un’illusione, al

momento del tutto fuori luogo. Penso che sarebbe il massimo

raggiungerla in questa città, con questa maglia e a ddirittura

con la fascia di capitano assieme a compagni che stimo. Per

adesso però dobbiamo solo cercare di giocar bene di partita in

partita, sarà il campo a dire se meritiamo le nostre ambizioni.

Parola di capitano».

Il dirigente del settore giovanile tra presente e futuro: con Capuano e Verratti

tanti biancazzurri in rampa di lancio grazie al Progetto Abruzzo, fair play e lealtà.

Il campo una scuola di vita

Pio Gizzi “cura” il vivaio biancazzurro.Con lui, da sinistra, Loris Bocchetti, Marco Perrotta, Marco Capuano e Daniele Sciarra

Da Cinecittà all’Adriatico,finalmente capitano e primattore:

Un lungo viaggio attraverso tutte le categorie sempre a caccia del gol

“Ero nella Primavera quando Zeman arrivò alla Roma. Il momento più brutto a Foggia

quando mi infortunai, con la Pro Sesto le prime soddisfazioni.

Mi manca solo la A, sarebbe il massimo arrivarci con questa maglia” La carriera di Marco Sansovini

Marco Sansovini è nato a Roma il 17 giugno del 1980. Inizia nelle giovanili della Roma.

Ecco i numeri e le tappe della sua carriera325 le partite disputate (Foggia, Esperia Viareggio, Torres Sassari, Tivoli, Pro Sesto,

Grosseto, Manfredonia, Pescara).

87 i gol segnati (8 col Viareggio, 3 con la Torres, 4 col Tivoli, 19 con la Pro Sesto, 3 col

Manfredonia, 15 col Grosseto, 36 col Pescara).

2 i campionati vinti (1 con la Pro Sesto, nella stagione 2004-2005 dalla C2 alla C1, 1

con il Pescara, nella stagione 2009-2010, dalla Prima divisione alla B).

Quello in corso è il quarto campionato con la maglia biancazzurra

112 le presenze con il Pescara (62 in C1 e Prima divisione, 50 in serie B)

I cannonieribiancazzurri 65 Federico GIAMPAOLO (1994-2005)

48 Ottavio PALLADINI (1992-2004)

47 Giuseppe RINALDI (1948-1955)

42 Mario TONTODONATI (1940-1955)

38 Bruno NOBILI (1974-1982)36 Marco SANSOVINI (2007-2011)

34 Stefano REBONATO (1983-1987)

29 Emanuele CALAIò (2003-2005)27 Rocco PAGANO (1985-1992)

25 Edi BIVI (1990-1994)24 Vincenzo ZUCCHINI (1973-1979)

Foto Max Schiazza

In questo Pescara Daniele Sebastiani, amministra-

tore delegato, è una specie di ministro delle finanze:

trova soldi e soci, indica le linee programmatiche

e di sviluppo e sempre con il pieno consenso del

resto del gruppo che lui ha contributo a costruire

fin dall’inizio. Eccolo ripercorrere le tappe del nuovo

Pescara e anticipare le mosse sulle quali costruire

il futuro.

«Siamo partiti con tanto entusiasmo ma anche con

scarsa esperienza. Ovviamente ci ha aiutato l’aver

centrato subito la promozione: il successo ci ha

permesso di ammortizzare senza troppi problemi la

spesa di partenza che certo è stata rilevante per

una società giovane come la nostra. Poi, piano pia-

no, proprio l’esperienza maturata ci ha messo nelle

condizioni di affrontare la situazione in maniera di-

versa e oggi cominciamo a vedere la luce in fondo

al tunnel. Sostanzialmente andiamo sempre di più

verso quel pareggio di bilancio che non può che

essere il nostro primo obiettivo per dare continuità

e stabilità a questa avventura. E questo, sia chia-

ro, non è un problema solo nostro ma riguarda da

vicino tutte le società, non escluse quelle più bla-

sonate. In Lega ne stiamo già parlando, la direzione

comune non può essere che quella di puntare sui

giovani, sulla riduzione degli stipendi e, in generale,

dei costi».

Una società per certi versi rivoluzionaria che, al

posto del presidente-padrone alla Zamparini o

alla Cellino, per intenderci, ha cercato la sua lin-

fa e la sua solidità puntando su una base molto

larga. Una scelta che può essere esportata an-

che altrove?

«Io penso proprio di sì e penso che questo tipo di ge-

stione alla lunga diventerà imprescindibile per i piccoli

club e in genere per quelli delle città di provincia. Ci

può essere, è ovvio, anche il rovescio della medaglia:

quando ci sono troppi galli ci vuol poco a far saltare

l’equilibrio e a mandare tutto a rotoli. Questo da noi

non avviene e credo, soprattutto, perchè alla base c’è

un rapporto di amicizia e di stima. La gente, insomma,

la devi conoscere, prima di coinvolgerla in qualsiasi

tipo di impresa; credo che la nostra forza, in questo

momento, sia proprio il rapporto di fiducia che esiste

tra tutti i soci, cosa ovviamente che facilita il lavoro di

chi al momento, come il sottoscritto e il presidente,

ha il compito di gestire in maniera operativa la socie-

tà. Quando gli interessi comuni si mettono al di sopra

degli interessi del singolo diventa tutto più semplice».

Spese contenute e largo ai giovani, dunque: una

scelta obbligata?

«Certo che sì. Questa società, non dimentichiamolo,

sta ancora pagando l’acquisizione, particolarmente

onerosa, del fallimento ed è ovvio che non si può con-

tinuare a chiedere enormi sacrifici a chi ne fa parte.

Noi, nel momento in cui abbiamo preso il Pescara,

evitando che sparisse, ci siamo accollati una pesante

zavorra, fatta di contratti faraonici per la categoria, che

per forza di cose ha condizionato la nostra gestione

di partenza. Oggi, lo ripeto, cominciamo a vedere per

il nostro futuro una realtà diversa, per arrivarci non

possiamo che affidarci a scelte oculate e razionali che

poco spazio danno all’improvisazione o all’azzardo».

Il punto d’arrivo, o meglio, il sogno nel cassetto?

«Un modello, che temo però sia irraggiungibile visti

i tanti anni di lavoro che sono alla base del risulta-

to attuale, penso che sia l’Udinese. Non nascondo

invece che mi piacerebbe se il Pescara riuscisse a

seguire la strada che sta percorrendo il Novara, una

gran bella società che sta portando avanti i suoi pro-

grammi senza farsi prendere la mano dalle emozioni.

Ha raggiunto la serie A con pieno merito ma non per

questo ha cambiato le sue scelte di partenza, ha con-

tinuato anzi la sua politica di contenimento dei costi

restando perfettamente in linea con quelle che sono le

indicazioni del fair play finanziario. Il futuro non può che

essere questo, altrimenti società come le nostre sono

destinate a sparire. E sotto questo aspetto, impor-

tante, anzi irrinunciabile, è la politica dei giovani. Non

cerchiamo fenomeni ma giocatori di 18-20 anni che

abbiano qualità e temperamento per giocarsi un posto

in prima squadra. Fondamentale ovviamente, anche

in quest’ottica, il ruolo di Zeman che per noi non è un

totem ma un allenatore particolarmente capace e in

grado di tirar fuori il massimo e il meglio dall’organico

che gli viene messo a disposizione».

Programmi oculati, poco spazio alle illusioni: una

linea che potrà essere accettata dal pubblico pe-

scarese?

«Penso che l’accetterà nella misura in cui noi saremo

capaci di comunicarla. Io credo che essere chiari e

onesti paga sempre. E questo poi non significa non

avere ambizioni: io spero anzi che questi ragazzi sui

quali abbiamo puntato quest’anno riescano a raggiun-

gere un risultato molto importante. Spendere molto

non è garanzia di successo, le motivazioni e la voglia

di emergere spesso valgono molto di più».

Dici Pescara, pensi De Cecco. Lo ha voluto quando

stava per sparire, cancellando settant’anni di storia,

lo ha rimesso in piedi in fretta, alla guida di una so-

cietà che oggi appare solida e affidabile e proprio

per questo in grado di garantire quella continuità

buttata via dai vari Paterna e Pincione, ha addirit-

tura bruciato le tappe, facendo centro tre volte di

fila. Subito la salvezza in prima divisione, a seguire

la promozione in B e la permanenza tra i cadetti.

Lui è Giuseppe Adolfo De Cecco, Peppe per tutti,

tifoso biancazzurro, a prescindere, per consolidata

passione, presidente per carisma e diritto acquisito

sul campo. Quella appena iniziata è la sua quar-

ta stagione col Delfino, nelle sue attese quella che

potrebbe aprire un ciclo ancor più bello ed esal-

tante. Questione di feeling con quel tipo di calcio

che più gli piace, che propone gioco per divertire il

pubblico e arrivare al risultato, che tra gli interpreti

trova uno spazio adeguato soprattutto ai giovani,

possibilmente di qualità, sicuramente di notevoli

prospettive.

«E sì, lo sport, ad ogni livello, dovrebbe regalare

soprattutto emozioni, magari anche sogni ma cer-

to non illusioni, nè tanto meno incubi ed eccessive

tensioni. E, dal mio punto di vista, il pallone non

sfugge a questa regola che è poi alla base delle

scelte fatte in avvio di una stagione che dovrebbe

aprire un nuovo corso del progetto-Pescara».

Un calcio che diverte, un calcio che dia spazio

alla linea verde; certo non è un caso se al centro

del progetto c’è un allenatore come Zeman che

ha legato il suo nome non tanto a una formula –il

4-3-3– quanto alla ricerca del gioco per arriva-

re al risultato e al lavoro sul campo senza mai

chiudere la porta in faccia ai giovani...

«Non è proprio un caso, anzi vi confesso che fu

proprio il suo nome il primo che mi venne in mente

quando rilevammo il Pescara dal fallimento. Se non

ci provai è perchè pensai che quello non fosse il

momento giusto per una società giovane che dove-

va fare tutto e in fretta per recuperare quanto perso

dalle precedenti, sciagurate, gestioni. A distanza di

qualche mese Zeman tornò a Foggia e a quel punto

ritenni che il mio sogno fosse definitivamente sfu-

mato. Le cose invece sono andate diversamente,

Di Francesco ha scelto la A dopo averci regalato

una splendida salvezza, il boemo ha dato l’addio alla

Puglia e io, d’accordo con gli altri soci, ho puntato

tutto su di lui, ottenendo il sì che speravo, affidan-

dogli appunto il compito di gestire sul piano tecnico

questo nuovo corso biancazzurro. Perchè di nuovo

corso si tratta, come hanno spiegato fin dal primo

momento le scelte fatte in sede di mercato. Il primo

obiettivo era tagliare, o comunque contenere, i co-

sti di gestione, senza peraltro penalizzare l’aspetto

tecnico. Se ci siamo riusciti lo capiremo nel corso

della stagione ma intanto abbiamo gettato una base

importante, dando a spazio in organico a tanti gio-

vani di qualità che sono più di una scommessa. In-

tanto è uno spettacolo vedere come questi ragazzi

seguono l’allenatore durante la settimana.

Non è solo questione di carisma ma direi piutto-

sto di capacità didattica. La partita poi, nel bene e

nel male, non è mai una noia mortale come capita

spesso nel panorama del calcio italiano, e non solo.

È chiaro che anche a me piace soprattutto vincere

ma provarci cercando di fare un gol in più dell’av-

versario piuttosto che alzando barricate dà senz’al-

tro una soddisfazione maggiore.

Questa squadra del resto ha notevoli margini di cre-

scita, il primo punto lo faremo a gennaio quando, se

sarà il caso e se il tecnico lo riterrà opportuno, qual-

che intervento sul mercato potremmo anche farlo.

Non nascondo che mi piacerebbe riaprire il discor-

so col Napoli che ha voluto darci Insigne solo in

prestito, il resto lo vedremo a tempo debito».

Il futuro, appunto: come lo immagina il presi-

dente?

«Con i conti a posto, che è poi la base per dare

continuità a un progetto, con un gran lavoro sui gio-

vani, che è poi imprescindibile per il calcio di oggi e

in particolare per una società di provincia.

Mi piace quello che sta facendo ormai da diversi

anni l’Empoli, che grazie a questa politica ha trova-

to anche la forza giusta per arrivare in serie A. Noi

ci stiamo strutturando per competere più o meno

nella stessa direzione. Con oculatezza, sia chiaro,

ma anche con la convinzione che questo progetto

avrebbe maggiore consistenza e solidità qualora,

strada facendo, riuscisse a coinvolgere l’interesse

di tanti imprenditori locali, anche giovani e appas-

sionati di calcio, che continuano a a restare alla fi-

nestra.

Pescara città e questo Pescara non solo lo merite-

rebbero ma ne potrebbero trarre solo vantaggi.

E questo è l’unico rimpianto, l’unico motivo di fa-

stidio o insoddisfazione tra i tanti momenti esaltanti

che hanno caratterizzato i miei primi anni in bian-

cazzurro».

Il Presidente Giuseppe De Cecco

L’amministratore delegato Daniele Sebastiani

“Il futuro è adesso”

“Un calcio alla noia”

Presidente: Giuseppe De Cecco

Amministratori delegati: Daniele Sebastiani, Danilo Iannascoli, Antonio Martino, Gianni Pagliarone,

Renato Fezia

Soci: Giuseppe De Cecco, Amerigo Pellegrini, Alessandro Acciavatti, Giacinto D’Onofrio

Gianni Pagliarone, Daniele Sebastiani, Adolfo M. De Cecco, Piero Di Luzio, Manfredo Acciavatti,

Renato Fezia, Danilo Iannascoli, Francesco Pirocchi, Vincenzo Serraiocco, Nicola Di Tieri, Gabriele

Bankowski, Manolo Santilli, Giacomo Vetta, Dino D’Antonio, Gabriele Ciarcelluti, Barbara Garofalo,

Antonio Martino, Pio Gizzi

Uff. stampa:Federica Rogato Logistica:Mimmo Ventura Magazzinieri:Luciano Palombi e Gabriele Colantonio

1981 È l’anno della sua prima panchina da allenatore professionsta. Il patentino lo ha avuto nel ‘79

a Coverciano. Il Palermo gli affida la Primavera, nel gruppo c’è Modica, diciottenne, oggi allenatore e ancora suo

allievo.

30 I gol subiti dal Licata, la squadra che gli regala il primo successo. Promozione in C1 dopo la

stagione dell’esordio, quelle 30 reti al passivo sono ancora oggi per lui un record, poi solo sfiorato, ma in serie A:

con il Foggia (33 nel ‘93-‘94) e con la Lazio (34 nel ‘94-‘95).

73 Le reti incassate dal Lecce (primato pure questo, ma negativo) nel campionato 2004-05,

chiuso comunque al decimo posto e dunque con una comoda salvezza, tra l’altro con una raffica di gol anche

all’attivo (66, appena uno in meno della Juve che vinse lo scudetto).

69 Il record di segnature (media di 2 a partita), raggiunto due volte, prima con la Lazio (‘94-‘95)

e poi con la Roma (‘98-‘99). Con la squadra biancoceleste di Signori e Rambaudi, con lui anche nel Foggia dei

miracoli, si piazzò al secondo posto, alle spalle della Juve, comunque battuta a Torino con un secco 3 a 0. Tra le

tante goleade il fragoroso 8 a 2 alla Fiorentina e l’impietoso 7 a 1 al Foggia.

0 Le uniche settimane senza gol quelle passate a Belgrado con la Stella Rossa (2008-09). Un

pareggio in bianco e 2 sconfitte prima dell’esonero, un piccolo buco nero, un’esperienza negativa come quella

del 2000 in Turchia alla guida del Fenerbahce (tre mesi e appena 3 vittorie).

2 I campionati vinti. Dopo Licata, l’inizio del boom con il Foggia. Promozione in serie A nel ‘90-‘91,

prime prove tecniche di Zemanlandia. Cinque stagioni da favola, 68 vittorie e 255 gol segnati, 3 campionati di A

ad alto livello per gioco e risultati: il nono posto conquistato prima mandando in orbita Signori e Baiano ma anche

Mancini e Codispoti, poi lanciando giocatori che arrivavano dalla C e dall’Interregionale come Di Biagio e Di Bari, Di

Vincenzo, Sciacca e Seno.

263 Le vittorie conquistate dalle sue squadre nelle 719 gare disputate (poco meno di un terzo). 203

sono i pareggi, 253 le sconfitte. Il saldo è attivo sia in serie A (115 successi e 94 ko in 300 gare) che in serie C (164

partite tra C1 e C2, 63 vittorie e 52 sconfitte), in B 85 gare da 3 punti, 63 pareggi e 107 in bianco, con la media rovina-

ta dalle ultime esperienze negative tra il 2002 e il 2006 alla guida di Salernitana, Avellino e Brescia (part time).

947 I gol subiti, dall’esordio col Licata alle prime col Pescara. Poco più di una rete a partita, ovvero

una media da under, per usare un termine caro agli scommettitori, che contrasta in parte con quella che è la

percezione comune del rendimento difensivo delle squadre del tecnico boemo.

1064 Le reti segnate nelle 719 gare disputate. Una macchina da gol in tutte le categorie: 505 in serie

A, 330 in B (più di 2 a partita), 133 in C1, 96 in C2, anche qui saldo largamente attivo in quasi tutti i campionati

(+91 in A, +14 in C1, +26 in C2), leggermente in rosso (-14) solo per la B. Ma questa è una storia ancora tutta

da scrivere e proprio sulla panchina biancazzurra. Il gol in più dell’avversario, appunto, l’ultimo sorpasso che tutta

una città aspetta per continuare a divertirsi come non capitava più da tanto, troppo tempo.

Allena da 30 anni, le sue squadre hanno segnato più di mille gol

in settecento partite, è il Pelè della panchina. O rey, il più grande

giocatore di tutti i tempi assieme a Maradona, con le sue prodezze

riuscì a far centro 1281 volte in 1363 gare (amichevoli comprese);

lui, Zdenek Zeman, boemo e cittadino italiano di 64 anni, percorre

la stessa strada puntando sul collettivo, sul gioco offensivo, sulla

voglia di fare comunque un gol più dell’avversario. Una carriera a

senso unico, con direzione obbligata verso la porta di chi gli sta

di fronte, anche a costo, spesso, di rischiare più del dovuto. Nel

bene e nel male uno spettacolo garantito, uno spot per il calcio

che più piace e diverte. Un personaggio di cui si è già detto di

tutto e di più; noi proviamo a scoprirlo anche attraverso i numeri

che hanno accompagnato fin qui la sua carriera.

Trent’anni in prima linea, tutti i numeri della sua carriera da allenatore

PESCARA CALCIO stagione 2011/2012

Le sue squadre hanno

segnato più di mille gol.

Da Licata a Pescara,

un lungo viaggio

sempre all’attacco

Zeman come Pelè

Una ricetta semplice e un obiettivo: bel gioco, emozioni e risultati

Dai giovani la spinta per continuare a far crescere società e squadra

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5

BREVario

Tra le firme di Io Donna, magazine al femminile

del Corriere della Sera, ce n’è una che parla abruz-zese: la pescarese Barbara Di Gregorio. Reduce dal fortunato esordio lette-rario con il romanzo Le giostre sono per gli scemi (Rizzoli 2011, vedi Vario n.74) la scrittrice, classe 1982, laureata in cinema al Dams di Bologna, ha re-censito per il settimanale il film francese Tomboy, storia di una adolescente alla ricerca della sua iden-tità sessuale.

LA ScRITTRIcE chE ScRIVE dI cInEmA

IL PAPILLOn FORTE E GEnTILEIl prossimo Primo ministro belga sarà, molto probabilmente, Elio Di Rupo, il figlio di immigrati abruzzesi grazie al cui lavoro il Belgio ha finalmente trovato l’accor-do per formare un nuovo governo, dopo ben 482 giorni di crisi istituzionale. Tra i numerosi articoli pubblicati al riguardo sul leader del Partito Socialista vallone, Luigi Offeddu sul Corriere della Sera scrive: “Di Rupo è tosto, sa negoziare, sa rinunciare quando il rischio non vale più la candela; e non deroga sui principi”. Un quotidiano italiano, nei giorni in cui gli veniva assegnato il mandato esplo-rativo, annunciava: «Il prossimo premier? Un gay italiano che odia gli italiani». Ma Di Rupo non dimentica le sue origini: “l’ ultima volta che Di Rupo tornò a San Valentino in Abruzzo Citeriore, il borgo di famiglia, era pronta una cerimonia per offrirgli le chiavi del Paese: lui arrivò con la sua moto, e prima si fermò per un po’ in un bar, a prendere una birra”.

mOLInARI È QUIL’uscita del suo nuovo disco (Tua, il suo terzo lavoro) è l’occasione per Simona Molinari di raccontarsi su Io Donna, il magazine femminile del Corriere della Sera del 22 ottobre. Nell’intervista la cantante na-poletana ma aquilana d’adozione parla delle donne di oggi (“troppe ragazze incapaci di ac-cettarsi”), del suo nuovo stile “electro-swing” (“ho trovato nuove forme per esprimermi, forse il jazz è troppo lontano dalla gente”), del suo passato (“cantavo chiusa nell’ar-madio in camera mia per non disturbare i vicini”) e del suo presente. Come nel servizio a lei dedicato nel n.73 di Va-rio, afferma di essere stata folgorata dalla Cina, dove ha svolto una tournée, e di ritenerla “l’America di tanti anni fa”.

ALFREdO PAGLIOnE,Un mOSAIcO PER WOYTJLAUn mosaico raffigurante Giovanni Paolo II, ope-ra del pittore Luca Vernizzi, è stato collocato lo scorso 22 ottobre in una nicchia davanti al San-tuario del Divino Amore in Roma, nel punto in cui il I maggio 1979 l’allora pontefice, fresco di nomina, scese dall’elicottero per compiere la prima delle sue tre visite alla Madonna del Divi-no Amore. L’opera dal titolo “Roccia della Chie-sa” è stata realizzata da Marco Santi del gruppo mosaicisti di Ravenna, ed è uno dei tanti doni di Teresita Olivares Paglione e di suo marito Al-fredo (protagonista del nostro servizio di pag. 20), uno dei più importanti collezionisti d’arte del nostro tempo. Paglione ha da anni concen-trato la sua attenzione sui mosaici, per i quali ha anche istituito il premio “Un mosaico per Tornareccio”: un’iniziativa che da sei anni ani-ma le strade del piccolo Comune del Chietino diventato un vero e proprio museo a cielo aper

to, con oltre 40 mosaici distribuiti lungo le vie del centro. Lo scorso 28 agosto è stato premia-to Stefano Piali, vincitore dell’edizione 2010, il cui bozzetto è stato trasformato in mosaico dal Gruppo Mosaicisti di Ravenna; sono poi stati presentati, durante la serata introdotta da Giu-lio Borrelli, i 15 bozzetti delle stazioni della Via Crucis, che diventeranno mosaici nel 2012. Per l’occasione è stato presentato anche un ulterio-re straordinario mosaico raffigurante Giovanni Paolo II in preghiera: “L’adorazione della croce” di Maurizio Bottoni. Un mosaico per Tornarec-cio è patrocinata dalla Regione Abruzzo, dalla Provincia di Chieti, dal Comune di Tornareccio, dalla Fondazione Carichieti, dalla BCC Sangro Teatina, dalla Università “D’Annunzio” di Chieti-Pescara, dalla Crocevia-Fondazione Alfredo e Teresita Paglione e dall’associazione “La Città del Miele”.

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7

BREVario

ARTE dA mAREOriginali lampade realizzate con materiali di recupero, raccolti durante lunghe passeggiate sul litorale dell’Adriatico: essenzialmente pietre e legni di mare, ciottoli e corde con cui Franco e Ileana Giacintucci, padre e figlia, hanno stregato i visitatori del loro studio-laboratorio durante le due settimane estive di “Dall’Etna al Gran Sasso” a Città Sant’Angelo. Oltre mille i biglietti da visita finiti nelle mani degli ammiratori delle originalissime creazioni artistiche siglate Art Mare, e quasi tutti i “pezzi” esposti sono stati venduti. Insomma, un successo oltre ogni aspettativa, secondo i due artisti, invitati successivamente ad esporre le loro opere a Porto Cervo (dove han-no fatto da cornice alla sfilata della nuova collezione di Valeria Marini), a Milano e in altre pre-stigiose location. Per chi volesse saperne di più il loro indirizzo e-mail è [email protected].

PEScARA 1943: cARIchIETI ESPOnE, dI LAURO RAccOnTAI terribili bombardamenti dell’agosto-settembre 1943 sul capoluogo adriatico raccontati dal bel quadro “Pescara 31 agosto 1943” di Fran-cesco Di Lauro, in mostra nei locali della Carichieti di di Piazza Salotto fino al prossimo 31 dicembre. Quello dell’Istituto di credito è un duplice omaggio: alla città nell’anniversario dei tragici eventi pre e post armisti-zio, nel contesto delle commemorazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, e all’arte di uno dei più illustri figli d’Abruzzo, al quale solo tardivamente la sua regione sta tributando i doverosi riconoscimenti. L’iniziativa rap-presenta un modo per coniugare il mondo del lavoro, del risparmio e dell’economia, all’universo dell’arte intesa quale bene da tutelare ed al contempo da valorizzare, diffondendone la conoscenza e la fruizione. Roberto Sbrolli, direttore generale della Carichieti: «Abbiamo volu-to esporre questo dipinto per permettere ai nostri clienti ed a tutti gli amanti dell’arte e della cultura, di fruirne in un contesto inusuale, nella convinzione che la documentazione della produzione artistica del terri-torio nel quale la banca opera, contribuisca alla crescita culturale dello stesso, favorendo una migliore qualità della vita di chi vi opera».

A ScUOLA cOn I QUAdERnI dEL PARcO Il Lupo, il Cervo, il Camoscio, il Gufo, l’Aquila reale, ma anche specie floreali ed un imponente Corno Grande sullo sfondo di Campo Imperatore sono le immagini scelte per appari-re sui quaderni e i quadernoni del nuovo anno scolastico 2011/12. I quaderni, stampati dalle Cartiere Pigna, sono personalizzati con il logo del Parco e, all’interno, presenta-no schede conoscitive ed informazioni sull’area protetta e sullo stato di conservazione delle specie e degli ecosistemi. «L’iniziativa –ha commentato il Direttore dell’Ente, Marcello Maranella– ha senz’altro centrato l’obiettivo di far conosce-re e apprezzare il nostro Parco e di stimolare, soprattutto la sensibilità dei ragazzi, nei confronti della natura e della ne-cessità di tutelarla responsabilmente. Auspico, visto il gran-de successo dell’idea, che le collaborazioni avviate, tanto con le Cartiere Pigna quanto, per una capillare diffusione, con le Librerie La Nuova Editrice, possano positivamente riproporsi nel futuro».

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VVViaggiamoda un secolo!

Di Febo - Capuani

www.difebocapuani.com

ARPA SEDICESIMO 3 V.65 OK 15-12-2010 16:44 Pagina 5

Autolinee E. di Febo capuani

www.difebocapuani.com

Orario Roseto - Pescara - Chieti scalo - Roma no stop

FR feriale - FS festivo - GI giornaliero - FS+VEN festivo e venerdì - FS EST festivo estivo (dal 15/6 al 15/9)

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BREVariodAnIELA QUIETIdOnnA dELL’AnnOÈ Daniela Quieti la “Donna dell’Anno” 2011. La poetessa e scrittrice pescarese ha rice-vuto a Lugano presso il Centro Conferenze La Piazzetta di Loreto, il prestigioso Premio Internazionale promosso dall’Università della Pace della Svizzera Italiana, sotto l’Alto Patrocinio della Universum Academy, del Parlamento Europeo e della Regione Lom-bardia, trionfando tra 264 segnalazioni per-

venute al Comitato organizzatore del Pre-mio Internazionale “Città di Penne – Mosca – Università D’Annunzio” in ambito cultura-le. La Quieti si aggiunge così alle altre grandi personalità che negli anni hanno ricevuto la prestigiosa onorificenza in questa e altre se-zioni, come Mariapia Fanfani, già Presidente del Comitato Nazionale Croce Rossa, Anna-maria Monti, vice Presidente Nazionale Uni-cef e Lea Pericoli, ex campionessa mondiale di tennis. Alla cerimonia erano presenti Ele-

na Sel-ler (As-sessore alla Cul-tura del C o m u -ne di Pescara e delegata alle Pari Opportunità) e Nicolet-ta Di Gregorio (Presidente dell’Associazione Editori Abruzzesi e delle Edizioni Tracce).

L’AQUILA, UnIVERSITÀ Ed EnERGIE RInnOVABILITra le fonti energetiche rinnovabili quella degli impianti a biomasse è «una importante opportunità di sviluppo per l’Abruzzo, Regione verde d’Europa, e i ricercatori dell’Università dell’Aquila da tempo sono im-pegnati in attività di ricerca e sviluppo in questo settore, nell’ambito di progetti europei e nazionali». Parola di Pier Ugo Foscolo, preside della Facoltà di Ingegneria dell’Aquila, che con Futuris Aquilana –la società che gestirà e realizzerà l’impianto di produzione energetica a biomasse vergini a Bazzano (AQ)– ha organizzato un convegno dedicato allo svi-luppo della produzione di energia da biomasse. Nell’ambito del conve-gno è stata presentata la ricerca di Nomisma Energia “Impatto economi-co sul territorio aquilano dell’impianto di Bazzano”, che ha approfondito le ricadute occupazionali ed economiche indotte dalla realizzazione del progetto Futuris Aquilana. Il convegno, al quale ha partecipato anche l’On. Stefano Saglia, Sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico con delega all’Energia, è stato occasione di confronto con le istituzioni, gli esperti, le imprese e i residenti dell’Aquila sull’utilizzo delle biomasse a scopi energetici, previsto nel piano energetico della Regione Abruzzo nell’ambito del ricorso alle fonti rinnovabili.

LAUREA OnLInE, L’OFFERTA dI E-cAmPUS Laurearsi online è un metodo sempre più diffuso per ottenere un titolo professionale seguendo un percorso di studio innovativo e flessibile. E-Campus è un’università online, che dà quindi l’opportunità di segui-re le lezioni dove e quando si vuole, e allo stesso tempo, grazie a una recente convenzione, di usufruire dell’assistenza e della guida di tutor esperti e qualificati nel centro studio Cepu di Pescara, a garanzia di una preparazione completa. Alla libertà di poter seguire le lezioni dal proprio computer in qualsiasi momento, si aggiunge quindi la sicu-rezza e l’appoggio del centro studio Cepu che diventa in questo modo anche un solido punto di riferimento. L’offerta formativa di E-Campus è la seguente: Facoltà di Ingegneria: corsi di laurea in Ingegneria In-dustriale (indirizzo Gestionale e Energetico), Ingegneria informatica e dell’automazione, Ingegneria civile e ambientale; Facoltà di Psico-logia: corso di laurea in Scienze e tecniche psicologiche; Facoltà di Giurisprudenza: corso di laurea in Servizi giuridici per l’impresa, laurea magistrale in Giurisprudenza; Facoltà di Economia: corso di laurea in Economia (indirizzo Economia e commercio, Psicoeconomia, Scienze bancarie e assicurative); Facoltà di Lettere: corsi di laurea in Letteratu-ra, musica e spettacolo, Design e discipline della moda.

cOnFIndUSTRIA E BLS cOnTRO LA cRISIUn Protocollo d’intesa che prevede, in favore delle imprese asso-ciate, una serie di strumenti e prodotti finalizzati a sostenere pro-cessi di crescita, sviluppo e rilancio del sistema produttivo locale.È quanto sottoscritto da Confindustria Pescara e Banca popolare di Lanciano e Sulmona (Bls) lo scorso settembre, per facilitare l’ac-cesso al credito delle imprese e snellire i processi, spesso burocra-tici, che impediscono corrette sinergie tra gli istituti di credito e le aziende. Il sostegno riguar-da in particolare gli investimenti per l’acquisto di macchi-nari ed attrezzature, la capitalizzazione, il consolidamento delle passività, l’este-ro, l’innovazione e i contributi di finanza straordinaria. I soci di Confindustria Pescara potranno accedere al pacchetto di misure tramite l’associazione che farà da trait d’union con l’Istituto di cre-dito. L’accordo ha validità fino al 31 dicembre 2012.

APTA, ASSOcIATI PER LO SVILUPPOFiocco rosa ad Atri: è nata l’A.P.T.A., Associazione Professionisti Tecnici Atriani, un’esperienza innovativa e pilota nell’ambito della promozione e valorizzazione dello sviluppo locale attra-verso l’attività e la competenza dei professionisti tecnici (Inge-gneri, Architetti e Geometri). La neonata associazione intende “costituire uno spazio dinamico e permanente circa lo scambio di esperienze e di buone pratiche delle diverse competenze tecniche non solo tra professionisti ma intende rappresentare e dare lettura delle esigenze della collettività in ambito tecnico. Il nucleo è attualmente di oltre 30 elementi, la quasi totalità dei professionisti che realmente opera nel territorio atriano, ma l’associazione è aperta all’accoglimento di altri soci, idee e ogni tipo di apporto positivo.

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L’arte è un grandecuore rosso

Sandro Visca

L’ispirazione? Non esiste.

L’Aquila? Era asfissiante.

Pescara? Un deserto culturale.

Il Sessantotto? Distruttivo.

Guttuso? Meglio Fulvio Muzi.

Il grande artista abruzzese

parla delle sue idee,

della sua vita e delle “sue” città.

Senza peli sulla lingua.

di Francesco Di Vincenzo foto Claudio Carella

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• Sandro Visca

a Santo Stefano di Sessanio

durante la proiezione del suo film

“Un cuore rosso sul Gran Sasso”.

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Pedone senza patente per scel-ta antica, Sandro Visca solca i marciapiedi di Pescara col passo

lungo e saldo dell’aquilano tonificato da decenni di escursioni sul Gran Sasso. La lunga e dritta figura sembra resistere senza sforzo all’incurvatura del tempo. «È solo un’impressione, purtroppo: di re-cente ho scoperto di essere alto centot-tanta centimetri». Beato lei. «Già, ma da giovane ero un metro e ot-tantaquattro». Consumato dall’arte…«Lei lo dice con ironia ma è proprio così». Il travaglio creativo…«No, il travaglio fisico, lo stare ore e ore chino sul proprio lavoro. Io ho sessan-tasette anni e almeno cinquanta li ho trascorsi a tagliare e cucire stoffe, pelli, pellicce, sagomare e saldare lamiere, plasmare plastica, segare legno, forgiare ferro e bronzo, assemblare chiodi, paglia, stracci, stagnola, metacrilato, oro, argen-to e tanti altri materiali che ho utilizzato nelle mie opere. Io non sono un pittore da tela e cavalletto. La componente arti-gianale, la tecnica, la manualità, lavorare i materiali più disparati, la fatica fisica in-somma, sono componenti essenziali del mio lavoro d’artista».E l’ispirazione? «Mah. Che cos’è l’ispirazione? Io so che mi sveglio una mattina ed ho voglia di cucire una pupazza o un arazzo, un al-tro ancora di costruire una struttura in legno e stoffe… È ispirazione, questa? Forse, ma io non gli do questo nome»Goethe diceva: “La creatività è al cin-que per cento ispirazione, per il no-vantacinque traspirazione”.

«Perfetto».Insomma, chiunque abbia la tecnica necessaria e sia capace di lavorare sodo può dar vita ad un’opera d’arte... «Direi proprio di no. Ciò che distingue l’artista non è l’ispirazione né la sola tecnica, pure indispensabile, ma la voca-zione naturale, innata, a rimanere fuori dagli schemi, a portare nel mondo, non solo in quello dell’arte, uno sguardo di-verso, la capacità di essere differente, di non conformarsi ai percorsi prestabiliti, alle mode, al mercato. È lo scarto dalla norma, dalle mode, dal conformismo, che fa l’artista». Eppure lei, negli anni Sessanta, a Mi-lano, era sotto contratto con un im-portante gallerista…«Appunto, conosco ciò di cui parlo. Quel gallerista l’ho mollato dopo un anno, rinunciando a un bel po’ di soldi e sce-gliendo di venirmene a Pescara a vivere con il modesto stipendio di insegnante del Liceo Artistico». Masochismo o superbia?«No, semplicemente voglia, anzi biso-gno, di sentirmi libero, di essere me stes-so, di seguire un mio percorso artistico, e di conseguenza esistenziale, assolu-tamente personale. Nessuno può dirmi che cosa devo o non devo fare. Il for-mato delle mie opere lo scelgo io, non il gallerista che conosce i gusti o sempli-cemente le pareti di casa del suo cliente. Se dopo una serie di opere su tela rea-lizzo un’opera con chiodi e materiali vari su tavole da imballaggio, il gallerista non può dirmi che così “spiazzo” i suoi clienti. In quel caso io dico, come ho detto: “Ok, è stato un piacere. Arrivederci e grazie”». Prima di Milano, lei ha operato anche

• Nelle foto, la presentazione del film a Santo Stefano di Sessanio come ”evento speciale” della Biennale di Venezia. Si riconoscono: Vittorio Sgarbi, direttore del Padiglione Italia della Biennale, il critico Umberto Palestini, Sandro Visca e Daniele Kihlgren, ideatore dell’ “albergo diffuso” che ha rilanciato l’antico borgo montano.

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a Roma per due-tre anni… «Un’esperienza il cui solo ricordo mi provo-ca ancora oggi disagio. Mentre a Milano ho conosciuto la durezza del mercato, a Roma ho conosciuto la mollezza dei costumi. Non sono un moralista né sono partico-larmente pudico, ma in quegli anni a Roma la strada del successo passava soprattutto per le camere da letto. E a me non stava bene». E così, dopo le delusioni di Roma e Mi-lano, l’aquilano Sandro Visca appro-da a Pescara, chiamato da Giuseppe Misticoni, singolare figura d’artista, fondatore e preside a vita del Liceo Artistico. È il 1968, il mitico Sessan-totto. Visca ha ventiquattro anni, l’età giusta, anche per un docente, per sentirsi parte del tumultuoso movi-mento di protesta che dai campus americani è giunto, radicalizzandosi, nei paesi europei. All’Aquila, già da adolescente Visca s’era battuto per cambiare l’antiquata didattica della Scuola d’Arte da lui frequentata, e si era scontrato con l’establishment cul-turale della città. Il Sessantotto, inve-ce, lo vede spettatore ostile.«Non l’ho condiviso in toto. Vedevo prevalere la componente distruttiva, negativa e non vedevo, invece, la parte propositiva. In più, non mi piacevano certi metodi. Non ho mai condiviso, ad esempio, l’uso dei picchetti, talvolta duri fino alla violenza, per impedire di entrare a scuola a chi voleva seguire le lezioni. I sessantottini si dicevano libertari ma del-la libertà altrui avevano scarso rispetto». L’Aquila, Pescara, il terremoto.«Sono nato e cresciuto all’Aquila, vivo a Pescara da più di quarant’anni e ci sto

benissimo. L’Aquila è nel mio cuore, l’ho amata e odiata come capita con ogni grande passione. Il terremoto ha distrut-to una città di straordinaria bellezza e ar-monia. La mia casa e quella paterna non ci sono più. Mio padre s’è visto crollare un muro addosso e non è sopravvissuto a lungo. Io per un anno e mezzo non sono più riuscito a dormire la notte. Non credo che il centro storico sarà mai ricostruito come prima, mi sembra un’impresa quasi impossibile. Mi auguro, naturalmente, di sbagliarmi. E poi, c’è un’altra questione: come ricostruire L’Aquila, esattamente com’era? Che senso avrebbe una città finto-antica?». Ha detto di trovarsi benissimo a Pe-scara. Nessuna critica?«Altroché. Pescara mi piace molto come città: l’ampiezza degli spazi, la gradevo-lezza del centro, a parte l’incomprensibile follia del calice di Toyo Ito, il mare, la cucina di pesce, la sfacciata modernità senza me-moria… Pescara mi piace soprattutto per-ché mi fa sentire libero, non sorvegliato».Non sorvegliato?«Vede, all’Aquila, gran parte della vita sociale si svolgeva nei duecento metri di corso che vanno da piazza Duomo ai Quattro Cantoni. Era una sorta di tragitto-esame, dove tutti avevano qualcosa da dire e ridire su tutti e ognuno sapeva tut-to di tutti. Un sottile ma asfissiante con-trollo sociale che a Pescara, per fortuna, non c’è o, quanto meno, io non avverto». Le critiche?«La vita culturale di Pescara oggi è, a dir poco, vergognosamente inadeguata ad una città del genere. Nel primo decennio della mia vita pescarese c’erano fermenti, idee, luoghi d’incontro, personaggi intel-

• 1975: il “cuore rosso” di Sandro Visca trasportato a spalla verso il Gran Sasso, in una foto di scena di Giuseppe Iammarone.

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lettualmente vivaci e generosi che non esitavano a mettere in comune progetti ed esperienze. Per rimanere nel mio cam-po, personaggi come Peppino D’Emilio, Elio Di Blasio e Alfredo Del Greco, gallerie come Convergenze o Pieroni, facevano di Pescara una città culturalmente viva, per certi aspetti all’avanguardia, comunque con un suo ruolo, piccolo ma significativo, nel mondo delle arti figurative italiane».Oggi, invece, Pescara…«È un deserto, almeno dal punto di vista culturale». Si parla di un rilancio di “Fuori uso”. Una buona notizia, no?«Buona per chi?».Insomma, lei non salva niente e nes-suno...«A Pescara non mancano intelligenze e talenti, mancano iniziative per metterli in comunicazione, per dimostrare la va-cuità di certo esasperato individualismo, di chi pensa di risolvere chissà che cosa coltivando il proprio orticello e piscian-do in quello degli altri. C’è una mentalità sbagliata da cambiare e rifondare, pren-dendo esempio dalle migliori esperien-ze del passato».C’è un pittore, un artista abruzzese contemporaneo che lei apprezza in modo particolare?«Giuseppe Fiducia, purtroppo scompar-so pochi mesi fa. Peppino era un grande».E tra i pittori abruzzesi del Novecento, qual è il suo preferito?«Fulvio Muzi, nel suo genere, era di no-tevolissima statura. Per me, sicuramente meglio di Guttuso».

Un Cuore Rosso sul Gran Sasso. Una storica performance del 1975 di cui per anni s’è parlato e favoleggiato an-che se pochi ne furono protagonisti o testimoni. Un evento quasi mitizzato, nel ricordo e nel racconto, per certi suoi caratteri “epici”: un grande cuore rosso di pezza portato a spalla su una lettiga in una faticosa marcia fin sul Gran Sasso, lasciato lì per tre giorni e poi riportato indietro con i segni la-ceranti delle intemperie d’alta quota. Oggi, grazie al film che Visca realizzò in quell’occasione, presentato lo scor-so agosto a Santo Stefano di Sessanio come “evento speciale” della Biennale

di Venezia, tutti possono finalmente assistere a quella sua lontana iniziati-va. Trentasei anni per montare un film sono davvero tanti… «Le risparmio il racconto delle tante traversìe e difficoltà incontrate all’Aqui-la. L’importante è che oggi il film ci sia. Voglio solo dire che senza l’aiuto di tanti e disinteressati amici non ce l’avrei mai fatta, sia a realizzare la performance del ’75, sia a girare e montare il film». Che cosa rappresenta il Cuore Rosso nella sua produzione artistica?«Molte cose. Il mio grande amore per la montagna, per il Gran Sasso in parti-colare, allora minacciato da demenziali progetti, come ad esempio la strada in alta quota che, per fortuna, s’è rivela-ta così poco frequentata e così spes-so chiusa al traffico per la neve, che ha provocato danni del tutto irrilevanti. La mia consonanza con le tracce ormai in-visibili, e già allora minute, di una cultura contadino-pastorale fatta di religiosità, superstizioni, riti esoterici, credenze ma-giche. Il mio “cuore rosso”, infatti, vuole anche essere una “citazione” del breve. Per quanto riguarda la sua collocazione nella mia produzione artistica, il cuore è stato figura e tema presente, sicura-mente per un certo periodo. In fondo, il cuore è simbolo arcaico, potente e pe-renne della vita e dell’amore ma anche, inevitabilmente, della morte e dell’odio. Esattamente come l’arte».

• In alto, Sandro Visca con il critico Umberto Palestini a Santo Stefano di Sessanio; a lato, l’artista fotografato da Giuseppe Jammarrone nella fase preparatoria del film.

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UN CUORE ROSSO SUL GRAN SASSO 1975-2011

La prima proiezione pubblica del film è avvenuta il 5 agosto nella sala Sextantio di Daniele Kilgren a Santo Stefano di

Sessanio, lo stesso luogo dove 36 anni prima erano iniziate le riprese e dove nel corso dell’estate molti visitatori hanno po-tuto visionare la pellicola sui televisori sistemati nelle antiche stanze del borgo. Se il mezzo moderno e tecnologico, schermi ad alta definizione, potevano far pensare ad una videoinstal-lazione, ad una sperimentazione di Sandro Visca convertito ai nuovi mezzi espressivi tanto di moda oggi, basta vedere il film per capire che non si sta assistendo ad un video ma a un film d’arte. Una performance che nel 1975 anticipava le attuali modalità artistiche correnti. “Un cuore rosso sul Gran Sasso - scrive Visca sul bel catalogo delle edizioni Textus - è solo il tentativo di indicare un luogo da vivere fuori dalle mode, da amare non da conquistare, da proteggere non da possedere. Un luogo da salvare dalla su-perficialità, dall’indifferenza e dalla distrazione della nostra contemporaneità.”Basta vedere i luoghi, i volti, l’abbigliamento (pantaloni alla zuava di velluto, calzettoni di lana e scarponi di cuoio) gli oggetti (legno e corde di iuta), i mezzi (cinepresa arriflex per pellicola a 16 mm su cavalletto Cartoni in legno), per intuire l’impegno e la fatica profusi per realizzare e dare corpo a que-sta impresa.Lo spirito del documento è poi testimoniato dall’entusiasmo dei tanti protagonisti che hanno permesso la realizzazione fi-nale del film. Dagli alpinisti a quelli che hanno portato sulle spalle il grande cuore fino in vetta, dalla troupe che ha girato il film agli organizzatori, dagli operatori in postproduzione per finire con il musicista Michele Di Toro, autore della colonna sonora, che ha composto e suonato al pianoforte sottolinea-do e rendendo ancora più poetiche e suggestive le immagini dell’azione.

Evento Speciale – Padiglione Italia

LA BIENNALE DI VENEZIA. 54

Produzione: Scuola di cultura Drammatica dell’AquilaProduttore esecutivo e organizzazione: Federico FiorenzaProgetto e direzione artistica: Sandro ViscaDiretto da: Mario Di IorioOperatore: Fausto GiacconeAiuto operatore: Dario BelliniFoto di scena: Giuseppe IammarroneMezzi tecnici: Cinecittà - RomaSviluppo e stampa: Istituto Luce - RomaRiversamento da pellicola in digitale: Studio Luce - PescaraMontaggio a cura di: Giancarlo Gentilucci – L’AquilaRevisione al montaggio: Andrea Carella – PescaraMixaggio: Protosound Polyproject di Paolo Tocco – Chieti Sc.VFX Post produzione: Marco Carlini - Pescara

Il brano originale “ECHOLOCATION” per la colonna sonora è stato composto ed eseguito da: Michele Di Toro

Si ringrazia per la collaborazione:il Teatro Stabile dell’Aquila, il Comune di Santo Stefano di Sessaniola Casa Editrice Textus dell’Aquila

Si ringrazia per la partecipazione: Andreassi Ugo, Antonetti Fausto, Bandini Dino,Barone Domenico, Bassanin Patrizio, Berardi Camillo,Cavallucci Carmine, Castri Roberto, Fiorenza Claudio, Fiorenza Gabriele, Galeota Francesco,Giancarlo Gentilucci, Grimaldi Luigi, Iafrate Roberto, Imprescia Mario, Minenna Sandro, Properzi Anna Maria, Properzi Gianni, Rubei Paolo, Scaramella Gianfranco, Sordini Giuseppe, Spennati Marco, Torlone Maurizio, Vivio Alfredo, Vivio Carlo

Un pensiero è rivolto alla memoria dell’ingegnere Claudio Santini che nel 1975, Presidente della Scuola di Cultu-ra Drammatica dell’Aquila, fu il promotore dell’iniziativa

Il film d’arte “Un cuore rosso sul Gran Sasso” girato in pellicola a 16 mm nell’anno 1975, per una serie di inenarrabili accadi-menti è stato ultimato nel mese di luglio del 2011.

• Michele Di Toro e Sandro Visca durante l’incisione della colonna sonora del film. In alto foto di scena di Giuseppe Iammarrone

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Gen

erac

tion

Creatività, intraprendenza

e un pizzico di incoscienza:

la ricetta per lasciare il “posto fisso”

e lavorare con le proprie idee.

In un libro il segreto del successo

di chi ha scelto la via del web

di Fabrizio Gentile

La storia di Julie Powell, aspirante scrittrice che –senza lavoro e senza prospettive– decide di aprire un blog e di realizzare, in 365 giorni, le 524 ricette pubblicate da

Julia Child nel suo libro di cucina (Mastering the Art of French Cooking, la bibbia per qualunque americano voglia imparare a destreggiarsi sui fornelli) non è solo un buon film (Julie & Julia, 2009) ma anche una storia esemplare. Che Giampaolo Colletti, trentenne pescarese, giornalista ed esperto di nuovi media e comunicazione, ha preso a modello per descrivere una generazione di lavoratori tutta italiana, che abbandona l’idea (e a volte la realtà) del posto fisso e si dedica a una nuova professione in rete. E ci sopravvive, spiega Colletti, autore di WWWorkers - i nuovi lavoratori della rete, libro nato dalla ricerca partita all’inizio dello scorso anno e durata, come l’impresa di Julie, 365 giorni, durante i quali Colletti ha raccolto le testimonianze di questi personaggi, a volte stravaganti, a volte intraprendenti e creativi, che hanno dato un senso alla propria vita lavorativa dedicandosi a ciò che più gli piace. Un fenomeno, quello dei wwworkers (termine frutto di una sintesi tra www, acronimo della rete, e workers, parola inglese che indica i lavoratori) che sta a cuore anche a Confindustria, come dimostra la partecipazione all’incontro di presentazione del libro (alla Feltrinelli di Pescara lo scorso giugno) di Silvano Pagliuca del Comitato di presidenza di Confindustria Pescara con delega alla ricerca e innovazione.

«Nel mio immaginario –spiega Colletti– la parola avrebbe de-finito i nuovi lavoratori decisi ad abbandonare il posto fisso e il lavoro dipendente per imprenditorializzarsi e al contempo dare respiro alla propria passione di una vita, facendola di-ventare una professione». In Abruzzo Giampaolo ha raccolto diverse esperienze, tre delle quali sono finite anche nel suo libro. Come quella di Monica Maggi, trentanovenne architetto che da Pescara svolge attività di micro catering attraverso il suo sito Pocodesign.it: cucina a domicilio, per eventi come la festa dei bambini organizzata dai genitori o l’inaugurazione di uno studio di architettura. «Quando preparo gli allestimen-ti di piatti di ogni tipo li penso come paesaggi della tavola. Ho sempre amato cucinare e lavorare con le mani, ho unito queste due passioni e ora per me Pocodesign.it è diventato una professione». O come Corrado Di Donato, 28 anni, ex informatore farmaceutico e oggi nutrizionista on line: il suo sito dietepersonalizzate.com vende diete in tutta Italia, ma lui lavora nella sua città natale, Teramo. «La città mi ha conosciu-to grazie alla rete, e ora ho aperto anche il mio studio perso-nale». E infine quella di Luca Gianotti, 49 anni, ex funzionario in un Comune emiliano, che oggi fa la guida escursionistica grazie ai siti da lui fondati Boscaglia.it, Deepwalking.org e Cammini.eu: ha una newsletter con oltre 17mila iscritti e ha anche aperto un B&B biologico a Tagliacozzo, ovviamente raggiungibile anche online su www.casalelecrete.it.

Giampaolo colletti

La sfida deiwwworkers

• Giampaolo Colletti con Carlo Freccero.

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Ma lo stesso Giampaolo Colletti è un wwworker: dopo aver studiato i nuovi media all’università di Bologna ha lavorato per dieci anni come dipendente per due grosse compagnie, prima Vodafone e poi Technogym, per le quali curava le rispettive Web tv: «Ho timbrato un cartellino per anni, quattro volte al giorno, sei giorni a settimana. Poi mi sono detto che si vive una volta sola e che era il momento di provare quest’av-ventura». L’avventura in questione è il sito da lui fondato, www.altratv.tv, che segue il fenomeno delle web tv italiane: «Ne ho contate 533, sparse in tutta Italia; solo in Abruzzo ce ne sono più di 30. Il progetto è nato in collaborazione con Carlo Freccero, ex direttore di Rai2 e oggi alla guida di Rai4». Oggi Altratv è il centro di monitoraggio di tutte le web tv ita-liane (basta andare sulla home page per trovare una mappa di tutte le microtelevisioni e collegarsi istantaneamente con quella desiderata), oltre ad essere una redazione che produce contenuti autonomi e sfrutta la piattaforma delle web tv per trasmettere eventi “a rete unificata”. «Mandiamo in onda ciò che non trova spazio sui canali generalisti, come accaduto l’anno scorso per la trasmissione di Michele Santoro Raipe-runanotte». O come i documentari del progetto From Zero, realizzati da otto registi che dal 6 aprile 2009 hanno vissuto fino all’ultimo giorno nelle tendopoli aquilane, riprendendo ogni momento, ogni attività, ogni emozione, ogni pensiero dei terremotati sulla loro situazione. Che non di rado contra-

stava con l’immagine che veniva veicolata sulle tv generaliste. «I documentari sono stati trasmessi, in due serate, “a rete unificata”, su tutte le 533 web tv italiane. La trasmissione vuole pubblicizzare il dvd di From Zero, il cui ricavato andrà a so-stenere il bibliobus dell’Aquila. La forza delle web tv –spiega Giampaolo– è proprio quella di riuscire a mostrare ciò che di solito non viene raccontato dagli altri. Potremmo dire che sono, oggi, ciò che negli anni Settanta furono le radio libere. È la nuova frontiera dell’informazione». Non solo casalinghe che spiegano il segreto di un buon ragù, quindi, ma anche servizi giornalistici di qualità: «È un ambito nel quale stan-no confluendo numerose professionalità provenienti dalle piccole tv private, che con l’avvento del digitale terrestre, non riescono a sostenere i costi del cambiamento e sono costrette a chiudere». A un attento osservatore della rete come Giampaolo non si può fare a meno di chiedere: cosa accadrà in futuro? «Non ne ho idea –risponde– e del resto i cambiamenti in questo mondo governato dalla tecnologia sono talmente rapidi e grandi da non permettere previsioni. Neanche io sapevo cosa sarebbe stato della mia vita quando ho scelto di lasciare stipendio e posto fisso. È la sfida di ogni wwworker: mettersi in gioco, riappropriarsi del proprio tempo, delle proprie passioni, migliorare la qualità della vita. E risco-prirne il gusto».

• Giampaolo Colletti, al lato il suo libro Wwworkers - I nuovi lavoratori della rete (Gruppo 24Ore, 2011, 174 pagine, € 18).

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Mario Di Paolo

Obiettivo creativitàI suoi scatti girano il mondo. Ama il buon cibo, l’arte e il design, e preferi-

sce stare dietro le quinte. Ritratto di un giovane fotografo figlio d’arte che

usa le nuove tecnologie con l’occhio rivolto alla qualità e alla ricerca

Si è nutrito di pellicole e macchinette fotografiche fin da bambino, nello studio di suo padre Gino che alla fine degli anni Sessanta viene chiamato da Gabriele Pomilio

a far parte dello staff di quella che, allora, era una delle poche grandi agenzie pubblicitarie italiane. E soprattutto respira arte, dal momento che il padre, oltre che lavorare per la pubblicità nel settore food e commerciale, autonomamente svolge lavori per artisti di livello nazionale e internazionale. Oggi Mario Di Paolo, trentacinque anni e due figlie, è un affermato fotografo tra i più richiesti nell’ambiente dell’arte contemporanea; si è costruito uno studio-fortezza alle porte di Pescara da lui stesso progettato e nel quale ha concentrato tutto ciò che lo appassiona: arte, architettura, design, e naturalmente foto-grafia. E cibo: a dora la buona cucina e il buon vino, e tra i suoi clienti ci sono le più grandi cantine abruzzesi, ma anche molte altre aziende del settore food, ovviamente non solo regionali. Opera in tutta Italia, e grazie ai lavori svolti con alcuni dei più grandi artisti internazionali le sue fotografie viaggiano anche oltreconfine. Non ama il protagonismo, il posto che si è scelto è dietro le quinte, dietro un obiettivo, a coordinare il lavoro per il quale è stato chiamato. Un lavoro che non consiste nel semplice scatto fotografico ma nell’entrare in comunione con il pensiero dell’artista, nel condividere la sua visione e nel cercare di riproporre nell’immagine le emozioni dell’opera. Un approccio basato su sensibilità e creatività unite a una indiscu-tibile padronanza tecnica, che lo ha fatto diventare uno dei più apprezzati fotografi d’arte italiani, con un “portafoglio clienti” che annovera nomi come Mario Airò, Ettore Spalletti, Joseph Kosuth, Daniele Puppi, Alberto Garutti, Carla Accardi, Gilberto Zorio, Michelangelo Pistoletto, Alfredo Pirri e molti altri. Vieni da una famiglia di fotografi. Quanto conta avere il

tuo cognome in questo lavoro?Senz’altro aver vissuto nell’ambiente mi è stato d’aiuto: ho osservato e appreso tantissimo da mio padre, e se oggi sono in grado di lavorare con artisti e aziende di livello internazionale lo devo ai suoi insegnamenti. Ciononostante, lui –che cono-sceva l’ambiente e sapeva quanto fosse faticoso fare questo lavoro– ha cercato di dissuadermi dal seguire la sua strada, spingendomi a percorrerne una diversa. Per un certo periodo ho anche frequentato la facoltà di Lettere e filosofia, ma ho smesso a pochi esami dalla fine. Ho fatto l’istituto d’arte, mi piace la creatività tutta, e alla fine ho deciso cosa fare nella vita. Ma la mia strada l’ho costruita da solo, la maggior parte dei clienti che ho non li ho “ereditati”. Hai a che fare con grandi aziende e grandi nomi dell’arte. È diverso, per te, lavorare con gli uni rispetto agli altri?No, l’approccio è identico. E accetto il lavoro soltanto se sento una magia in quel che sto per fare. È importante che si stabili-sca un rapporto speciale tra me e il committente, è quello che serve per ottenere un soddisfacente il risultato finale, che sia un’azienda o un artista non fa differenza. É questo che rende il mio lavoro bellissimoHai tanti clienti. Possibile che tu riesca a stabilire questa relazione con tutti?È capitato anche che non accadesse, e in quel caso non pre-sento nemmeno il preventivo. Se non mi trovo bene con la per-sona che richiede le mie prestazioni preferisco rinunciare. Ma in genere il rapporto nasce, e in quel caso entra in gioco la mia personale sensibilità, che è ciò che fa la differenza tra un foto-grafo e un bravo fotografo, altrimenti a livello tecnico uno vale l’altro. Il valore aggiunto sta nella professionalità, che è data da un insieme di cose: sensibilità, appunto, creatività, umiltà e

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capacità di mettersi al servizio del committente per ottenere il miglior risultato possibile per lui. Nel caso degli artisti poi io dico sempre che la fotografia non è “mia”, ma dell’artista. Per esempio, recentemente sono stato con Mario Airò in Trentino, dove dovevo fotografare una sua opera che utilizza dei laser, in notturna. Le immagini sono bellissime, perché è l’opera ad essere straordinaria.Quindi tendi a porti in una posizione di subalternità?Credo che l’importante sia lavorare in sinergia per ottenere un risultato, che è l’obiettivo comune. Nel caso degli artisti ritengo che il mio apporto creativo sia importante per offrire all’artista il mezzo per realizzare ciò che desidera, magari allargando an-che i suoi orizzonti. Sei o sette anni fa, per esempio, ebbi l’occa-sione di lavorare per la prima volta con Joseph Kosuth: lui non mi conosceva, ero stato chiamato dalla gallerista Benedetta Spalletti per fare le fotografie di una sua installazione. Era una situazione molto difficile, con dei neon neri su parete nera che avevano solo alcuni elementi che si illuminavano. Lui ha voluto conoscermi, parlarmi e vedere come lavoravo perché deside-rava che utilizzassi il banco ottico; così mi sono presentato con armi e bagagli, tutta la mia attrezzatura: banco ottico, diversi flash, macchinette… e il mio primo dorso digitale Hasselblad. L’assistente di Kosuth, nel vederlo, impazzì dall’entusiasmo. Grazie a lui superai lo scetticismo di Kosuth e gli proposi di fare una prova col digitale. La sera ritoccai tutto il servizio, feci delle stampe e la mattina seguente gliele mostrai. Fu conten-tissimo. Da allora abbiamo un fantastico rapporto. Il mio lavoro consiste in questo: padroneggiare tecnicamente i vari mezzi che la tecnologia mi mette a disposizione per esprimere la mia creatività, individuare cosa sia meglio per valorizzare il lavoro dell’artista e soprattutto fargli capire che è possibile.

Ma non ti limiti a scattare delle foto: il tuo ruolo è più ampio.È vero. Oggi il fotografo deve ridisegnare il suo ruolo, allargarlo, diventare una specie di art director che coordina il lavoro di un gruppo. Lo scatto fotografico è l’ultima cosa, benché sia anche la più importante. Dodici anni fa ho messo su una mia agenzia, con la quale curo non solo la parte fotografica, ma anche tutta una serie di altre componenti del lavoro di comunicazione di un’azienda. E abbiamo clienti prestigiosi con i quali abbiamo conseguito risultati eccellenti. Abbiamo realizzato, ad esempio un grande quantitativo di etichette per vini, olio e altri prodotti. E la qualità di ciò che fai si misura poi dai risultati che l’azienda ottiene: quando realizzi un’etichetta e vedi che la vendita di quel prodotto aumenta da 50mila a 300mila bottiglie, vuol dire che hai lavorato bene. Naturalmente tutte le nostre esperienze entrano in gioco in ognuno degli aspetti del lavoro, e questa è quella che io chiamo creatività.Spiegati meglio.La creatività è, secondo me, un parco giochi nel quale si trovano tante giostre, che sono i mezzi che possiamo utilizzare per esprimerci, e il cui biglietto d’ingresso è costituito da tutte le no-stre esperienze. Una fotografia, un’etichetta, una confezione o un depliant non sono il risultato di una sola competenza, ma di tutte le nostre esperienze visive e tecniche. È un approccio che, a quanto pare, dà risultati positivi, dato che i clienti aumentano e non mi sono mai fatto pubblicità. Pensa che il mio studio non ha neanche un’insegna, e che perfino il mio sito web è piuttosto scarno, malgrado abbia clienti in tutta Italia. Ma faccio fatica a mostrare quello che faccio, preferisco il passaparola.Il tuo lavoro in cinque aggettivi.Creativo, faticoso, soddisfacente, straordinario e coinvolgente. In una parola, unico.

• Nelle foto immagini

realizzate da Mario Di Paolo.

A sinistra Mario Di Paolo nel

suo studio con il padre Gino.

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So.Ha

Promuovere la cultura giovanile, dare voce a chi non rie-sce a trovare canali per esprimersi, fornire opportunità di emergere dal sottosuolo del mondo creativo e artistico:

tutto questo rientrerebbe nei compiti di un’illuminata ammini-strazione civica, o anche semplicemente di un’amministrazione equilibrata. «In una città che non pensa ai giovani, tocca ai gio-vani sviluppare e proporre all’amministrazione attività di promo-zione culturale destinate alla valorizzazione delle risorse messe in campo dalle nuove generazioni», spiega Roberto Ettorre, 24 anni, animatore della So.Ha., un’associazione culturale pescarese che si batte per i diritti dei giovani e per promuovere le attività culturali a loro destinate. È su queste basi che l’associazione (di cui Vario ha presentato un profilo nel numero 74, ndr) ha trasformato lo scor-so agosto la spiaggia libera della Madonnina in un palcoscenico per la quarta edizione del Festival delle culture giovani, un conte-nitore di musica, teatro, danza e spettacoli d’arte varia cui hanno partecipato gruppi provenienti da tutto l’Abruzzo. «A Pescara non ci sono luoghi di aggregazione socioculturali per i giovani» denuncia Giulia Mistichelli, la giovane coordinatrice della SoHa, sorriso smagliante e tanta determinazione. «Non è possibile che un’associazione giovanile senza fine di lucro per organizzare un evento di promozione socioculturale debba elemosinare spazi e scendere a compromessi con privati». Grazie agli sforzi dell’asso-ciazione il Festival è andato a gonfie vele: tantissimo pubblico e nella spiaggia libera di fronte al palco una vera e propria passeg-giata tra banchetti e installazioni di giovani, ognuno con la pro-pria idea da esporre e realizzare. Iniziative, associazioni, creatività, energie, di tutto ciò che era proposta giovanile a Pescara, da mer-catini di magliette a dimostrazioni di Capoeira. Ma soprattutto tantissima musica. «Abbiamo chiamato gruppi locali, uno da ogni provincia abruzzese; volevamo dare spazio ai giovani della regio-ne e rilanciare la nostra cultura». E il merito principale di questa iniziativa è quello di dare spazio ai ragazzi e alle loro proposte cul-turali e artistiche in un momento in cui è davvero difficile trovare occasioni per esprimersi. «Noi siamo tutti musicisti che vengono dalle bande di paese del teramano –raccontano i sedici compo-nenti della Mo’ Better Band, un gruppo di stampo funky che nasce nel 2003 e che ha aperto il Festival– e siamo cresciuti lì dentro e nei conservatori» . «Non ci sono molti canali per farsi conoscere. È un giro chiuso e lontano. I Festival sono un ottimo modo per dare spazi a linguaggi nuovi». I Napak sono di Pescara. Basso, chitarra e batteria, tutti ragazzi sotto i venticinque anni: «La cosa particolare

del nostro gruppo è che abbiamo tutti influenze musicali diverse, dal jazz al metal. Purtroppo a Pescara ci sono pochi locali (e da quest’anno ancora meno) e quei pochi che fanno musica dal vivo tendono a preferire cover band piuttosto che idee originali. Per quanto riguarda le etichette in Italia è dura, chi fa musica più al-ternativa non è preso in considerazione». Anche i Travellers sono un gruppo molto contaminato, che propone un reggae pescare-se (nella band però ci sono anche bolognesi, fiorentini e greci). «Fare musica originale è diventato impossibile. Noi in più siamo otto elementi e dobbiamo spesso scendere a compromessi di natura economica, il tuo compenso diventa rimborso spese pur di fare girare il tuo messaggio, la tua musica. Ora stiamo lavoran-do al primo disco. La scena indipendente è attenta alle nuove proposte, l’importante è avere qualcosa da dire. Crediamo molto nella rete: Myspace e Facebook danno ormai più visibilità della stampa cartacea». La Piccola Underground Orchestra fa musica slava mischiata con atmosfere irlandesi, sudamericane, spagnole e del sud Italia. Un gruppo di ragazzi che si sono conosciuti in una scuola di musica di Cupello. «Giriamo per festival, facciamo anche tour, l’ultimo in Ungheria. Lo spettacolo che facciamo si chiama Viaggio senza bagagli. Il concerto è frenetico e ritmato e unisce tanti strumenti: tromba, clarinetto, fisarmonica, violino, strumenti a giocattolo». Ma non sono mancate proposte ancora più origi-nali, come quella del Circo della luna, un circo stabile con tanto di scuola e corsi con sede a San Giovanni Teatino. La loro per-formance si chiama Al limite e Osvaldo Bianchi è stato chiamato per cercare di collocare delle canzoni originali in uno spettacolo di circo moderno. E anche Osvaldo a Pescara ha una scuola di musica: Sotto Suono. «Siamo al settimo anno di attività. Cerchia-mo di dare stimoli per andare avanti, creando un posto dove si fa musica insieme». A concludere la due giorni di musica ci hanno pensato i Villa Ada Crew, artisti romani attivi da oltre quindici anni. Insieme a loro il Dabadub Sound System nato all’Aquila nell’estate del 2006 come Sound System reggae. Nel 2008 hanno pubblica-to Non ce fermemo chiù: «All’Aquila dopo il terremoto sono nate esperienze di locali occupati –Case Matte e l’Asilo Occupato– dove si passano serate davvero belle grazie a gruppi spontanei e comitati cittadini. Tutti i ricavati delle serate vengono utilizzati per creare sale prove dove incidere e suonare». Perché se è vero che mancano spazi per esibirsi è vero che l’unica speranza che hanno i giovani è di lottare per crearne di nuovi.

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di Alessio Romano Foto Pasquale Di Blasio

La cultura in festaIl mondo artistico giovanile si presenta. Dalla musica al teatro, dalla danza

al circo, le molte voci di una generazione che cerca spazi per esprimersi

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Questione di classe5a F Liceo scientifico Da Vinci Pescara

Ultima estate da liceali: pensieri, parole, ricordi e aspettative prima che la

vita cambi con l’inizio dell’ università e le incertezze del mondo del lavoro

dopo la fine della scuola siamo rimasti una comi-tiva unita e insieme abbiamo passato un’estate un po’ particolare, l’estate del quinto superiore,

l’ultima estate da liceali, subito dopo l’esame di maturità. Come facciamo dal primo anno abbiamo preso un om-brellone tutti insieme (il costo diviso tra tutti è di 10 euro a testa). E pazienza se qualche domenica sotto l’ombrel-lone pensato per dieci persone al massimo ci si ritrova in quaranta, tra amici e amici di amici. La mattina, finalmente, dopo un anno di sveglie per andare a scuola, si è dormito, anche se i più sportivi di noi hanno approfittato per fare una corsetta. Poi al mare il calcio è lo sport più gettonato, nelle sue varianti balneari, dal sabbione al calcio tennis. Ma c’è anche il gruppo degli irriducibili dalle carte che, birra in mano, passa il pomeriggio a giocare a tressette, scopa e briscola. Qualche volta abbiamo organizzato dei sangria party sotto l’ombrellone. A casa di qualcuno si è mescolato vino con frutta e si sono portati secchi enor-mi da bere tutti insieme. Ma per il divertimento è la sera il momento giusto. Locali e stabilimenti, per bere e per parlare, magari per conoscere ragazze straniere (questa estate abbiamo conosciuto due ragazze norvegesi). Non sarebbe male se Pescara riuscisse ad attirare più stranie-ri e turisti. Sarebbe un momento di scambio tra ragazzi di Paesi diversi. Pescara dopo un po’ annoia. È ripetitiva, mancano locali, mancano concerti, eventi particolari. C’è poco da fare, sempre le stesse cose. Pescara non avrebbe niente da invidiare a Rimini o Riccone. Ma dovrebbe esse-re organizzata meglio. Anche per quanto riguarda i trasporti. Noi siamo costretti a muoverci con macchine e motorini, anche quelle sere

che forse si è bevuto un po’ troppo. Mancano mezzi not-turni pubblici. La bici va bene, ma non per chi abita ai colli. Un evento che ci ha divertito è stato il botellon, tanti ra-gazzi nella spiaggia libera che si sono dati appuntamento in maniera spontanea da tutta Italia, grazie a Facebook e ai social network. L’obiettivo era quello di bere in compa-gnia, suonare, ballare e chiacchierare in semplice allegria in uno spazio della città senza la necessità di spendere molto denaro in locali, pub o discoteche.Ma il nostro Ferragosto è stato a Capracotta, nel verde, in mezzo al bosco. Perché il bello di Pescara è che è vicina a posti incontaminati e verdi. E pure questo andrebbe fatto sapere ai ragazzi di tutta Europa. La maggior parte di noi si sono concessi una vacanza fuo-ri. I più fortunati hanno approfittato di un volo low cost per Barcellona o per Corfù. Ma anche il Gargano e soprat-tutto il Salento sono mete a portata di portafoglio. Ma intanto abbiamo pensato a cosa fare ora che il liceo è finito. La maggior parte di noi vuole continuare a studia-re, andando all’università. Ingegneria, Scienze Motorie e Giurisprudenza sono le facoltà più gettonate. Ma c’è chi pensa al lavoro e anche chi potrebbe tentare di entrare nell’Esercito. C’è chi si trasferirà a vivere fuori Pescara, a Bologna o a Roma. C’è paura per i soldi. Gli affitti sono alti e le stanze ancora da trovare. Forse oltre a studiare biso-gnerà trovare un lavoretto. È stata un’estate strana, con tanta voglia di divertirsi, certo. Ma anche con una grossa nostalgia perché a settembre sapevamo che, per la prima volta, non ci sarebbero stati più zaini, corridoi, professori, interrogazioni, filoni e giornate di studio insieme. Un’esta-te da sei e mezzo.

Un’estateda sei e mezzo

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di Alessio Romano Foto Pasquale Di Blasio

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Un’estateda sei e mezzo

• Nella pagina a fianco i ragazzi della 1°I del Liceo scientifico “Da Vinci”

di Pescara che partecipano al progetto “Classe 2.0”, coordinati dalla

Professoressa Silvia Di Paolo e dal dirigente Giuliano Bocchia

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Alfredo Paglione

Da Tornareccio a Milano il passo è breve per un giovane intraprendente.

Gli esordi come direttore di teatro e organizzatore di eventi musicali

lo proiettano nel vivace mondo culturale della città negli anni Sessanta.

Ma è l’amicizia con Aligi Sassu che gli apre le porte al mondo

delle arti figurative che saranno il suo primo grande amore.

Anzi, il secondo, dopo quello per “la signora delle tartarughe”

di Giorgio D’Orazio Foto Claudio Carella

Vissid’arte e d’amore

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• Alfredo Paglione nella sua casa in

viale dello Splendore a Giulianova, dove

ha trasferito la porta in legno della sua

galleria d’arte “32” di via Brera a Milano.

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non è un pittore ma parla della sua vita – e della sua carriera – mesco-lando i colori e stendendoli sulla

tela del ricordo, un grande quadro nel qua-le convivono, tra stili, tonalità e intonazioni diverse, cinquant’anni di arte e d’amore.Alfredo Paglione apre la sua casa di Giulia-nova, un piccolo museo della pittura e scul-tura del secondo Novecento, con la mano fiera sulla maniglia di una porta in legno opera del famoso ebanista Giuseppe Riva-dossi: decine di quadrati forati e sapiente-mente lavorati la compongono, in uno di questi è incastonato un numero, il 32.È il suo numero in effetti, quello che lo ha rincorso per tutta la vita. Da quella porta non si accede più alla famosa Galleria 32, per decenni la mecca di artisti ed intellet-tuali tra vernici dal sapore internazionale e salotti culturali di prim’ordine (come ricor-da il bel libro I due soli, pubblicato nel 2007

da Vallecchi) ma la brillantezza, l’intrapren-denza e la costante passione per la bellez-za restano le stesse per questo rinomato gallerista partito con tanta curiosità e tanti sogni dal borgo di Tornareccio, nell’Abruz-zo chietino, e approdato a Bogotà e poi a Milano per vestire la sua fortuna.Oggi il piglio imprenditoriale del mercante d’arte cede definitivamente il passo alla pa-zienza generosa del mecenate e del divul-gatore, ma anche per questo, eppur sem-bra strano, ci vuole fortuna, come racconta.«Se penso a me penso subito ad una

grande fortuna – esordisce – è come se nella mia vita si fossero incastrati tanti tasselli che mi hanno permesso di espri-mere le mie capacità. A volte mi sento un predestinato perché mi sono trovato troppo spesso nel posto giusto al mo-mento opportuno con le persone giuste». Ma di certo in quei momenti, in quei posti e con quelle persone, Alfredo Paglione ha saputo restarci e trarne carburante per il viaggio di una vita.Quando ha incontrato per la prima volta questa fortuna?«Nel 1958. È la chiave di volta di tutta la mia esistenza. In vacanza frequentavo un tenore cileno che mi presentò una musi-cista colombiana, Helenita Olivares, fidan-zata con Aligi Sassu, che ancora oggi con-sidero uno dei più grandi artisti del nostro tempo; lo conobbi e restai colpito da un crocifisso che realizzò per il capoletto del-

la fidanzata; scrissi dei versi su quell’opera e stavolta ne fu colpito lui, tanto da invi-tarmi in estate nella sua casa di Albissola, dove aveva creato una sorta di cenacolo in cui c’erano Lucio Fontana, Asger Jorn, Agenore Fabbri, Josè Ortega, Enrico Baj, Karel Appel e tanti altri, anche Picasso; ini-ziai così a frequentarli quotidianamente, a tavola, nelle discussioni; ero un po’ la loro mascotte».Era il 1960. Ventidue anni e ventidue giorni di piroscafo la portano ad av-venturarsi in Colombia, alla scoperta

di un antico popolo, i Chibchas, che studiò nel Museo del Oro di Bogotà…«Venne fuori l’occasione di un servizio per la rivista Pianeta della De Agostini, e m’imbarcai. Lì fui ospite di Helenita e in quella casa la fortuna mi diede il bacio più bello: conobbi sua sorella Teresita, una splendida musicista; c’innamoram-mo e da allora solo la sua scomparsa, tre anni fa, ci ha separato. Lo studio però mi stava stretto, volevo far di più. Cominciai a farmi conoscere negli ambienti culturali e diplomatici, e utilizzai dei versi che Qua-simodo aveva dedicato a Helenita come passepartout per accattivarmi la stampa: ero ormai un impresario avviato, ma vole-vo tornare in Italia».E andò a Milano…«Sì, vi arrivai come viceconsole di Colom-bia! In realtà facevo il traduttore in amba-sciata per il console, e intanto cominciavo ad occuparmi di piccole mostre».Nel frattempo però si era riaffacciato il teatro sulla sua strada.«Un altro colpo di fortuna. Un ricco inge-gnere, Angelo Pizzoli, cercava un giovane che affiancasse sua moglie Dolores Olivan nella gestione di un teatro, battezzato la Piccola Commenda, che aveva deciso di regalarle nel centro di Milano. Mentre stu-diavo l’arredamento decisi di riservare, in segno di gratitudine, dello spazio a Sassu; come si dice in Abruzzo “Lu setacce adà jì e adà venì…”».Restituì insomma la cortesia?«Solo in parte, non avrei mai smesso di ringraziarlo abbastanza. Comunque quella volta Sassu dipinse tutto il teatro con delle tempere stupende… Inaugu-rammo con una commedia di Harold Pinter messa in scena da Paola Borboni con la scenografia di Lucio Fontana. Fu un successo cui ne seguirono molti altri, fino a quando lasciai».Perché?«Perché nel ’63 avevo aperto una galleria tutta mia e diventava impossibile gestire entrambe le attività, così scelsi quella a cui ero più affezionato. Si chiamava Galleria 32 per via dell’ubicazione a quel civico di Piazza della Repubblica. Proposi a Sassu di pensarla in funzione della sua attività, era già molto noto allora, e Aligi accettò, anzi per partire mi prestò 700.000 lire che poi, dopo tre mesi, gli restituii; c’è un articolo

• Alfredo Paglione con il premio per il concorso di Tornareccio. Alle sue spalle un ritratto della sua Teresita.

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di Oggi a ricordarlo. Misi su una scuderia di artisti intorno al suo nome trainante e l’ingranaggio funzionò; allora spopola-va l’astrattismo, la moda dettava i nomi: puntai invece tutto sul figurativo, senza snobbare gli altri certo, ma la linea guida doveva essere rispondente al mio gusto, come per ogni cosa che faccio. Milano in quegli anni era in pieno fermento e trovai il mio spazio fra gli appassionati d’arte».Inaugurava mostre di famosi artisti, con cataloghi firmati dai migliori cri-tici e dai più bravi fotografi, come la prima con Birolli, Grosso, Manzù, Sas-su e Tomea che ricalcava una famosa esposizione della galleria “Il Milione” di trent’anni prima.«Se c’è stato un comandamento che ho sempre rispettato è stato quello di vola-re alto, sempre e comunque, scegliere il meglio, fare quello che altri non avreb-bero pensato di poter fare: non era tutta discesa chiaramente, lavoravo duro, di giorno in galleria, di notte al teatro, fino a quando scelsi di dedicarmi solo al me-stiere di gallerista».Venne allora il successo?«Cominciò da allora, forse da quando una mia trovata garantì alla “32” una visibilità che non avrebbe mai perso. Seppi in an-ticipo che la Garzanti intendeva pubbli-care il libro di Françoise Gilot, la moglie di Picasso, Vivre avec Picasso; volai a Parigi e la convinsi con un francese incerto ad allestire da me una mostra quando fosse venuta a Milano per la presentazione del libro; arrivò con le sue opere e la figlia Pa-loma: ne parlarono tutti i giornali».Nel 1966 si trasferì nel cuore di Brera, inaugurando con una mostra di Mario Mafai, mentre Salvatore Quasimodo, premio Nobel nel ’59, ogni sera duran-te la sua solita passeggiata si riposava sul divano della galleria, di cui non perdeva una vernice: fu un’involon-taria e riuscitissima pubblicità che le permise il grande salto.«Certo, da me circolavano i migliori pitto-ri e scultori, come Manzù, Raphäel Mafai, Cassinari, Scanavino, Lam, Fontana, Trecca-ni, de Chirico, Guttuso, Ortega, Mensa, Mi-gneco, Campigli, Messina e potrei andare avanti per molto, specialmente con i pitto-ri spagnoli che ho sempre amato. Con gli artisti poi, ed era un valore aggiunto note-

vole, si davano appuntamento in galleria critici, intellettuali e giornalisti, da Trom-badori a De Grada, da Sciascia a Ungaretti, da Monteverdi agli Scheiwiller, da Buzzati a Maurizio Fagiolo dell’Arco, da De Seta a Piero Chiara, da Alfonso Gatto a Enzo Sici-liano, da Rafael Alberti a Montanelli, da Gil-lo Dorfles a Giancarlo Vigorelli, da Gianni Brera a Vittorio Sgarbi…».Senza contare clienti ed ospiti noti: Spadolini, Walter Chiari, Giacinto Fac-chetti, Giuseppe Di Stefano, i conti Ru-sconi, Marta Marzotto, Luca Cordero di Montezemolo, Enzo Bearzot, Inge Fel-trinelli: insomma la “32” era diventata una tappa fissa per le menti più bril-lanti di allora che capitavano a Milano.«Esattamente, la cultura però si faceva davvero, non era finalizzata solo al rodag-gio della galleria e al mio mestiere di ven-ditore, che pure c’era, è chiaro, e si giova-va di queste presenze. Ideai per esempio una collana delle Edizioni Trentadue dal titoli “visti da”, in cui poeti e scrittori parla-vano di pittori contemporanei: coinvolsi ad esempio Quasimodo, De Micheli, Fa-biani, Alberti, Barberi Squarotti, Testori, Loi, Raboni, Carrieri e Sereni».Tra i tanti nomi che ha ricordato fino ad ora, però, non c’è nessun abruzzese.«In effetti ho avuto rapporti professionali solo con Pietro e Andrea Cascella, due ec-cellenti scultori, e col pittore Gigino Falco-ni, presentato dal poeta Giuseppe Rosato».Un altro anno fondamentale per lei fu il 1967, quello del suo matrimonio.«Fu anche il più prezioso, così come pre-zioso è stato ogni giorno trascorso con Teresita. Era una ragazza, e poi una don-na, eccezionale, e un’ottima violoncellista: studiava al Conservatorio Verdi di Milano e le si prospettava una carriera di successi; scelse però di restarmi al fianco in galleria rinunciando alle sue aspirazioni di musici-sta. È stato il più bel regalo che mi abbia mai fatto perché ci ha permesso di vivere una vita quotidianamente in simbiosi».Sassu divenne ufficialmente suo co-gnato cinque anni più tardi. Cosa vi regalò per le nozze?«Una sua opera naturalmente, quella a cui tengo di più: una Deposizione del 1932 in cui umanità e divinità coincidono in una composizione particolare ed evocativa».Ecco che torna il numero 32…

• Alfredo Paglione con due opere di Aligi Sassu

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«Lo avevo detto, no? Anche la mia casa di Milano per esempio è al civico 32».Oltre al 32 però c’è un altro portafor-tuna nella sua vita.«Sì, la tartaruga; è legata a Teresita, la chia-mavano “la signora delle tartarughe”».Che è anche il titolo di un libro in cui compare la collezione di sua moglie, quasi mille pezzi d’arte e artigianato con questo tema; tra loro una tarta-ruga in rilievo in bronzo che Floriano Bodini ha dedicato, nel 1993, al tren-tesimo anniversario della sua galleria.«Nel 1989 avevo cambiato nuovamente sede, da via Brera 6 a via Appiani 1. Portai avanti l’attività fino al 2000 quando scelsi di chiudere quella bella e lunga stagione della “32” con l’inaugurazione di una mo-stra in quattro atti, intitolata “2000. Elogio della Bellezza”».Pressappoco in quegli anni ha iniziato a riavvicinarsi all’Abruzzo per occuparsi di occasioni d’arte. Lei non è nuovo ad atti di generosità: ricordiamo le opere donate ai Musei Vaticani o la costituzio-ne a Milano, nel 2008, della Fondazio-ne Crocevia dedicata a sua moglie; per questo ha sentito il bisogno di condi-videre con la sua regione i frutti di una carriera di successo, attraverso dona-zioni, comodati e rassegne culturali?«Sì, è sempre la storia del setaccio, quan-do si ha fortuna bisogna in qualche modo renderne partecipi gli altri. In Abruzzo ci ho provato col cuore ma qualche volta ho dovuto fare marcia indietro».In che senso?«Nel senso che non mi accontento della mediocrità; non per me, ma per la tute-la delle opere e dell’interesse dei citta-dini a poterne fruire come si deve».Ha donato un’ottantina di dipinti alla Galleria Civica di Arte Moderna di Pa-lazzo d’Avalos a Vasto e un centinaio al

Museo “Barbella” di Chieti; e una trenti-na di opere al Comune di Tornareccio e circa duecento sculture e ceramiche di Sassu al Comune di Castelli.«E nel 2003 ho donato alla Fondazione Carichieti 58 acquerelli che mio cogna-to realizzò nel ’43 ispirandosi a I Promessi Sposi, permettendo così d’istituire il Cen-tro Abruzzese Studi Manzoniani; e poi ho già disposto oppure ho in predicato molte altre cose».La Fondazione Flaiano e il Centro Studi dannunziani le hanno infatti assegna-to il premio “Mecenate d’Abruzzo”…«Forse perché sono stato sempre molto legato a questa regione, avevo rapporti con altri galleristi, come i teramani Rizzie-ro e Limoncelli, e sentivo sempre di dover portare il meglio nella mia terra. Il meglio per me, ovviamente, era Sassu. Venne spesso per dei concerti con Helenita e poi per lavorare alle illustrazioni dell’Al-cyone di d’Annunzio. In Abruzzo stava a suo agio: aveva un nome dannunziano, Aligi, e un cognome che richiamava la nostra montagna più alta! Chiesi a lui di realizzare una grande opera per la chie-sa di Sant’Andrea a Pescara nel 1964, ed esposi le centotredici opere con cui ave-va illustrato la Divina Commedia al Castel-lo Gizzi di Torre de’ Passeri, dov’è la Casa di Dante».E adesso cosa c’è in ballo?«Sessanta opere per il MuMi di Francavilla al Mare, trecentotrenta opere grafiche, fra cui quaranta Goya, per il Museo Archeolo-gico di Atri, che dovrebbe dedicare dodici stanze a questa collezione, e ancora due-centodieci opere su carta, sempre di Sas-su, già sistemate a Palazzo Ferri ad Atessa, dove arrivano visitatori da tutta Italia; for-se è l’unico museo che funziona».Altre cose però non hanno funzionato. Che mi dice del Museo dello Splendore?

«Un’occasione perduta per Giulianova e per tutta la regione, niente di più. Durò cinque anni e poi delle gravi circostanze mi costrinsero a ritirare tutte le opere».Un’operazione vincente è invece la rassegna “Un mosaico per Tornarec-cio”, giunta alla sesta edizione, con 42 bei mosaici di noti artisti già collocati sulle facciate delle case, ma anche l’ac-cordo con la Fondazione Carichieti che le riserverà sedici stanze nella propria sede centrale per collocarvi 130 opere della collezione…«D’accordo, ma resta un problema di fon-do. Perché con fatica provo a portare in Abruzzo i maestri dell’arte del Novecen-to, solo per amore della mia terra e per dare la possibilità ai giovani abruzzesi di avvicinarsi sempre più alla pittura e alla scultura, un patrimonio fondamentale del Paese in cui cresceranno, e invece qui quando doni o dai in comodato delle opere importanti le ritrovi dopo anni an-cora sottochiave. Le istituzioni non riesco-no, o non vogliono, organizzare strutture funzionali, non pubblicizzano l’attività culturale e si resta sempre nella peggio-re provincia; cambia un’amministrazione e la nuova cancella tutto quanto è stato fatto dalla precedente, magari ottime ini-ziative; vai in un museo e trovi i funzionari in poltrona che vogliono comandare sen-za avere alcuna capacità. Qui mancano professionalità e passione sincera per la cultura, la nostra classe dirigente qualche volta mi ha deluso un bel pò».Sono in parecchi altrove a corteggiare le sue opere: le porterà via dall’Abruzzo?«Macché, il rammarico, e a volte anche la delusione, ci può essere ma non mi pento di quel che ho fatto, nè penso di fermar-mi; la tartaruga è lenta ma porta con sé la fortuna e percorre tutta la sua strada. Fino alla meta».

• Alfredo Paglione con il fratello Padre Fiore nella cappella “Concilio Vaticano II” realizzata da Aligi Sassu a Sant’Andrea di Pescara. A destra sul belvedere di Giulianova

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Vittoria e Dan Fante

Q uando John Fante venne in Italia si fermò a Roma e a Napoli, ma sembra non sia

mai andato a visitare Torricella Peligna, il paese d’origine di suo padre. Victoria e Dan Fante, figli del celebre scrittore americano, hanno invece deciso di cercare le proprie radici e sono tornati più volte in Abruzzo, in occasione del festival letterario intitolato a papà John; passeggiando per le vie di Torricella hanno ritrovato e visitato la vecchia casa (oggi inspiegabilmente in stato di abbandono) costruita dal nonno, che vi abitò prima di emigrare in cerca di fortuna per sé e per i suoi figli.

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Ferrovia Adriatico Sangritana

Prossima fermataBolognaPieno di consensi e viaggiatori per la

linea ferroviaria attivata in occasione

del Meeting di Rimini

L’occasione è stata offerta dal Meeting di Rimini 2011 e la Ferrovia Adriatico Sangritana non se l’è fatta scappare: l’ha colta al volo, organizzando un treno

speciale che, dal 21 al 27 agosto, ha garantito i collegamenti tra l’Abruzzo e Rimini. Un test importante, questo, che Sangritana considera una tappa di avvicinamento alla vera meta: Bologna. «Se è un test devo dire che sta riuscendo benissimo», commenta il Presi-dente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, che ha scelto di viaggiare con Sangritana per partecipare al Meeting di Rimini. «La Sangritana si contraddistingue per una serie di qualità, tra queste per il servizio che è eccellente, degno delle più impor-tanti compagnie aeree», ha proseguito il Governatore. Gli fa eco la gran parte dei passeggeri che viaggia “in dolcezza” a bordo del Lupetto di casa Sangritana, gustando le preliba-tezze di “Pannamore”, il cui pasticcere si fregia del titolo di vice campione del mondo. L’andatura è sostenuta e le stazioni si raggiungono con una puntualità svizzera. Il fischio del treno sembra sottolineare l’orgoglio che provano, in questo momento, gli addetti ai lavo-ri, in primis il Presidente, Pasquale Di Nardo, ed i suoi colleghi di Consiglio di Amministrazione, Gabriele D’Angelo e Maurizio Zaccardi.Il momento è solenne. Del resto è la prima volta, dalla sua na-scita, che la Ferrovia Adriatico Sangritana varca i confini regio-nali per accompagnare i suoi passeggeri. «Sangritana ha saputo interpretare, oggi, un ruolo extraregio-nale». Lo evidenzia il Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo, Nazario Pagano, il quale rileva che si tratta di «un dato positivo, visto che una società di trasporto pubblico fer-roviario non può contenere la sua azione all’interno dei con-

fini regionali». «Un’iniziativa organizzata in tempi così brevi ed in modo così egregio dimostra che in Sangritana esistono competenze e professionalità per aggredire nuovi mercati». A parlare è Fe-derica Chiavaroli, Consigliere regionale (PDL) che viaggia con tutta la sua famiglia. Tanti i bambini a bordo del treno. Del resto il mondo di Comu-nione e Liberazione, (qui rappresentato, tra gli altri, da Giusep-pe Ranalli, presidente Compagnia delle Opere per Abruzzo e Molise, e da Ercole D’Annunzio, responsabile regionale di CL), è abituato a partecipare al Meeting di Rimini, così come ad al-tri appuntamenti, in comunione, con le famiglie riunite. Poco più in là, in un altro scompartimento, il Senatore Paolo Tancredi. «La Sangritana credo che sia un fiore all’occhiello della Regione Abruzzo. Ha bilanci sani, garantisce servizi effi-cienti ed ha strutture e risorse qualificate. Credo che, a questo punto, Sangritana giochi una partita fondamentale, quella del libero mercato delle tratte ferroviarie. Le Istituzioni, in parti-colare la Regione, hanno il dovere di essere vicine alla F.A.S., al fine di consentirle di acquisire asset che la consolidino nel tempo».Quando si parla di bilanci sani, il dirigente amministrativo di FAS, Paolo Marino, presente al viaggio inaugurale, si mostra soddisfatto.Il progetto “Culto e Cultura” porta al Meeting di Rimini, dove l’iniziativa e’ stata presentata, anche il Sindaco di Lanciano, Mario Pupillo, ed il Presidente di InFiera, Enzo Giammarino. En-trambi viaggiano con Sangritana.«È stata un’esperienza positiva –ci dice il Primo Cittadino di Lan-ciano intento a leggere il giornale– il modo migliore per avviare le celebrazioni per il centenario della Sangritana che è una risor-

di Claudio Carella

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• Qui sopra il treno Lupetto della Sangritana personalizzato per il Meeting di Rimini. Sotto, il presidente della FAS Pasquale Di Nardo (al centro) con l’assessore

provinciale ai trasporti Giandomenico Marra e il gruppo di funzionari e dirigenti dell’Ente. Nella pagina a fianco, Gianni Chiodi al suo ingresso sul treno.

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sa, non solo per il territorio frentano, ma per l’Abruzzo».Sui sedili scorgiamo i programmi stampati del Meeting di Ri-mini 2011 che recano in copertina lo slogan: “E l’esistenza di-venta un’immensa certezza”. In un momento di crisi internazionale, come quello che stiamo vivendo, avere certezze risulta davvero difficile. Ma è proprio nei momenti di crisi che bisogna reagire, investendo e magari diversificando la produzione. In casa Sangritana i progetti aziendali messi in cantiere sono tanti ed anche importanti. Ed è per questo, forse, che lo slo-gan del Meeting appare meno illusorio quando incrociamo, in prossimità di Ancona, un cargo, vale a dire un treno merci, con livrea e colori sociali della Ferrovia Adriatico Sangritana. «È uno dei trenta treni merci –ci spiega il Presidente Pasqua-le Di Nardo – che, in termini di produzione, noi faremo anche quest’anno. È un’attività intrapresa l’anno scorso e che parte dall’Interporto di Jesi diretta verso il Molise. A dimostrazione che la Marche-Abruzzo noi non la enunciamo, ma la realizzia-mo. Per noi rappresenta, ormai, la quotidianità».Infrastrutture e trasporti rappresentano, in estrema sintesi, le richieste avanzate dal management della Fiat per garantire la permanenza della casa torinese nella Val di Sangro. E sì, per-ché molto spesso i costi della logistica incidono a tal punto sul prodotto finito da renderlo poco competitivo sul mercato.«Non siamo più tanto interessati all’uscita delle merci, quanto all’arrivo delle stesse in Val di Sangro –ci spiega il Presiden-te della CCIAA della provincia di Chieti, nonché Presidente di Honda Italia, Silvio Di Lorenzo– perché i containers arrivano al porto di Gioia Tauro, raggiungono Nola su ferro, per poi essere

trasferiti in Val di Sangro su gomma. Tutto ciò comporta una spesa di 900 euro a container ed una settimana di tempo. E se consideriamo che noi, in Honda, giriamo 1000/1500 con-tainers l’anno, è facile capire di che somme stiamo parlando e perché molte aziende preferiscono trasferire la produzione altrove». Il sistema trasporti diventa a questo punto fondamentale e la sinergia tra Sangritana, il porto regionale di Ortona e quel-lo di Vasto risulterebbe vincente e propulsiva per il “Made in Abruzzo” ed attrattiva per nuove realtà produttive. Del resto l’Abruzzo rappresenta anche la porta naturale verso i Balcani e, quindi, verso l’est. Alla vigilia dei suoi 100 anni, la FAS pensa anche al Consor-zio con Trenitalia che si profila all’orizzonte. «Va vissuta come un’opportunità ulteriore. Non possiamo considerare Trenitalia un competitor –precisa il Presidente Di Nardo– viste le dimen-sioni delle due società. La nostra capacità organizzativa, però, più snella rispetto a quella di Trenitalia, ci consente di orga-nizzare un trasporto passeggeri da offrire là dove Trenitalia ha deciso di sopprimere le sue fermate. È il caso di questo treno speciale che è nato dalla stazione di Vasto-San Salvo, si è fer-mato a Lanciano-San Vito, Ortona e Giulianova che ormai non sono più servite da Trenitalia».La Sangritana può anche apparire come una signora un po’ attempata, (compirà il suo centenario nel prossimo 2012), che però ha ritrovato il giusto vigore ed un sano entusiasmo. Si sta già lavorando, infatti, al prossimo treno speciale, quello per il Motor Show di Bologna.

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• Immagini dalla giornata del Meeting. In alto a destra Pasquale Di Nardo è con Nazario Pagano, in basso a sinistra con Gianni Chiodi e Federica Chiavaroli all’arrivo nella stazione romagnola.

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Piace la cucina abruzzese, piace il dinamismo di tante persone che rinunciano ad una settimana di ferie per passarla al Me-eting, piace l’idea di far conoscere la nostra terra con questo mix di volti e sapori veraci. Lo dicono i numeri del ristorante abruzzese Luntane cchiù luntane al Meeting di Rimini, ideato e gestito dalla Fondazione Santa Caterina di Pescara: la settima-na scorsa sono stati venduti 50 mila arrosticini, 10 mila pallotte cace e ove, 4 mila piatti di sagne e fagioli, per un totale di circa 5 mila coperti serviti. Grandi numeri, che evidenziano una no-vità: dopo anni di primato incontrastato degli arrosticini, l’in-troduzione nel menu delle pallotte cace e ove ha trovato il con-senso di quanti hanno scelto il ristorante abruzzese, andando ad erodere lo storico primato.«Naturalmente –afferma Paolo Datore, presidente della Fon-dazione Santa Caterina– sono considerazioni di relativa im-portanza, legate alla simpatia per questo o quel piatto. Ciò che conta è rimarcare la validità di questa scelta: promuovere l’Abruzzo in una piazza importante e frequentatissima e, allo

stesso tempo, raccogliere fondi anche per la nostra scuola Domus Mariae di Pescara, come avviene sin dalle origini di questa scommessa. La verità è che l’Abruzzo, quando vuole, sa incantare e convincere. Lo dimostrano i numeri, ma anche le tante personalità, non ultima il ministro Frattini, che ci hanno scelti la settimana scorsa. Ringrazio –conclude Datore– tutti coloro che ci sono stati di aiuto: Regione, Aptr e Provincia di Pescara, in primo luogo, ma poi i partner pastificio De Cecco e il caseificio Reginella d’Abruzzo, i fornitori sono Arrosticini Tornese, Azienda Casearia F.lli De Remigis, La Bottega del Pane, Evangelista Liquori, PM Salumi, Figlie d’Abruzzo, Cantina Tibe-rio e Cantina Chiusa Grande. E grazie di cuore a tutti i volontari, splendido esempio di amicizia cristiana all’opera per la propria felicità e per una grande opera educativa».La prossima edizione del Meeting si svolgerà dal 19 al 25 ago-sto 2012 e avrà per tema “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”.

Il meeting incontra il gusto abruzzese

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Camera di commercio di Pescara

Uniti per ripartire

Il forum su Pescara e il suo territo-

rio, promosso dall’Ente camerale

pescarese, ha riunito attorno a un

tavolo tutti gli attori coinvolti nei futu-

ri scenari dello sviluppo territoriale.

Con la certezza di poter lavorare

nella stessa direzione

L a Camera di Commercio in prima linea per il rilancio del territorio di Pescara. «In una situazione generale di difficoltà –spiega Daniele Becci, presidente dell’Ente

camerale– Pescara non è certo un’isola felice. Ci sono gravi disagi soprattutto dal punto di vista occupazionale, e questa è una delle questioni che più ci interessa. Per questo abbiamo promosso un incontro per discutere delle azioni concrete per rilanciare un territorio dalla forte vocazione industriale e turistica. Un’iniziativa fortemente voluta da tutte le sigle sin-dacali e prontamente recepita dalla Camera di Commercio». L’incontro è avvenuto nel forum “Pescara e il suo territorio al bivio – Industria, servizi e infrastrutture: le strade per ripartire”, una due giorni di discussioni su temi di stretta attualità come l’utilizzo dei fondi Fas, i piani di sviluppo locale, il Patto per lo sviluppo. Durante la prima giornata, dedicata alla situazio-ne dell’industria nella Val Pescara e alla situazione del Polo dell’alta moda dell’area vestina, sindacati e associazioni di categoria hanno esposto le urgenze all’assessore regionale allo sviluppo Alfredo Castiglione, il quale ha spiegato con grande chiarezza quali risorse siano a disposizione e quale sia l’uso che la Regione intende fare dei fondi derivanti dai bandi europei. «Siamo felici di poter dire che i fondi Fas siano stati finalmente sbloccati –ha detto l’assessore Castiglione– e che verranno senz’altro privilegiate, nell’indirizzamento di questi fondi, le aree di crisi abruzzesi, da noi individuate con quattro delibere, nelle quali siamo riusciti a far rientrare anche la Val Pescara e l’area Vestina, cosa che non era riuscita

alle precedenti amministrazioni». In primo piano dunque la bonifica dell’area di Bussi, polo chimico che attraversa uno dei momenti più bui della sua storia, con oltre 200 posti di lavoro già persi negli ultimi tre anni e altrettanti a rischio già dalla fine del 2011, quando scadranno gli ammortizzatori so-ciali: «Sul territorio –ha dichiarato Adriano Goio, Commissario del Bacino Aterno - Pescara– insistono gli interessi di grandi industrie che vorrebbero insediarsi, ma vanno prima risolte alcune questioni finanziarie relative alla messa in sicurezza dell’area. Questi fondi FAS finalmente sbloccati, unitamente a quelli stanziati per le aree di crisi, possono essere d’aiu-to. Fondamentali le disponibilità raccolte dal mondo delle imprese e dalla Regione per una efficace collaborazione con il Commissario al fine di riuscire presto a sboccare i 15 milioni di euro destinati alla Val Pescara ed in particolare al sito di Bussi». Disponibilità espressa dal Presidente provinciale di Confindustria Enrico Marramiero, che ha anche puntato il dito contro la Pubblica Amministrazione in tema di lungaggini e pastoie burocratiche che impediscono un agire efficiente dell’operatore pubblico a vantaggio della collettività delle imprese e degli altri stakeholder: «La tutela delle imprese passa attraverso la tutela del territorio. Non ci sono risposte sull’utilizzo dei 50 milioni di euro, i progetti vengono bloccati da una burocrazia lenta ed ancora non si riesce a trovare uno strumento di intervento immediato per arginare il momento di crisi. Facciamo sì –ha incalzato Marramiero– che questo Tavolo dia davvero il via ad azioni concrete. È ora di passare

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• Nelle immagini il forum coordinato dal Presidente della Camera di Commercio di Pescara Daniele Becci.

dalle parole ai fatti». Il direttore di CNA Abruzzo, Graziano di Costanzo, ha messo in evidenza quanto sia importante per questo territorio sostenere e tutelare le micro e le piccole imprese, che «danno stabilità, ricchezza e coesione socia-le». Dello stesso avviso il Vicepresidente di Confartigianato, Luciano Di Marzio. «Dobbiamo aiutare i giovani ad iniziare l’attività d’impresa –ha detto– per evitare cancellazioni ad un anno dall’apertura delle attività. Agevolarli nei primi anni di lavoro diventa fondamentale per consentire un vero avvio ed un minimo di consolidamento dell’impresa».Sul Polo dell’Alta moda, che insiste nella seconda area di crisi individuata dalla Regione, ovvero quella Vestina, è interve-nuto Alessandro Azzola, rappresentante della Uil: «Il Polo dell’Alta moda è legato alla crisi permanente di tutta l’Area Vestina –ha dichiarato– e le condizioni per ripartire sono legate alla soluzione del problema delle infrastrutture, come l’abbattimento del digital divide e la mare-monti».Durante la seconda giornata di lavori le questioni sul tavolo sono state quelle legate alle infrastrutture e ai servizi: porto, aeroporto, interporto, collegamenti ferroviari, autostrade e mobilità urbana. Ha aperto il dibattito l’attenta analisi macro-economica di Nicola Mattoscio, presidente della Fondazione Pescarabruzzo: «L’unica via per uscire dalla crisi è cominciare a pensare in termini di sistema. Un semplice esempio è dato dal tema parcheggi –ha spiegato– che se non è concepito secondo un sistema armonico e coordinato, genera solo sperpero di denaro ed inutilità». Mattoscio ha poi evidenziato

altre criticità: dal deficit generale delle infrastrutture materiali ed immateriali a quelle che riguardano l’energia, dal capitale umano dequalificato al Polo universitario carente di infra-strutture adeguate, alle aree urbane attrezzate. «Nel sistema Europa tali aree sono state individuate come grandi modelli di sviluppo –ha chiarito– ed è questa la direzione da seguire». Anche il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia ha eviden-ziato come «sia una priorità il cambio di cultura. Ci siamo ritrovati delle infrastrutture di pregio –ha commentato– ma non abbiamo ancora fatto il passo di qualità necessario per decollare, e cioè quello di pensare, progettare e relazionarci in modo nuovo, senza più campanilismi. Questo è il più grave peccato originale che continuiamo a commettere». In chiave più positiva, l’intervento del Presidente della Provincia di Pescara, Guerino Testa, il quale ha suggerito di vedere il bic-chiere mezzo pieno, «perché Pescara è una delle poche città in Italia ad essere dotate di così tante importanti infrastruttu-re. Inutile negare le criticità –ha precisato Testa– ma partiamo da ciò che abbiamo per pianificare il futuro».A chiusura delle due giornate un documento di impegno co-mune su come affrontare la crisi è stato redatto e sottoscritto da Camera di Commercio, sindacati, associazioni di categoria e dalle altre forze economiche e sociali, per una forte azione d’intervento sulle due aree di crisi della provincia di Pescara, la Val Pescara e l’Area Vestina. Il presidente Daniele Becci ha infine anticipato che presto si tornerà a sedersi attorno al Tavolo appena costituito.

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Economia

Parola d’ordine Innovazione

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Strumenti nuovi per affrontare una crisi diversa e forse più grave di quelle vissute e superate in passato. L’Abruzzo punta all’innovazione e alla cooperazio-

ne fra le eccellenze regionali. «Le abbiamo chiamate Poli d’Innovazione –spiega l’assessore regionale allo Sviluppo economico Alfredo Castiglione – e otto sono già stati costitu-iti e si avviano all’efficienza operativa, ma altri a breve se ne aggiungeranno. Abbiamo voluto costruire un circolo virtuoso tra imprese, organismi di ricerca, università e fondazioni con lo scopo di produrre competitività e conseguentemente crescita economica. È questa la nostra ricetta per dare nuova linfa allo sviluppo regionale». Come nasce l’idea dei Poli d’Innovazione?«Parte dalla constatazione che molte sono le eccellenze pre-senti nella regione in tutti i settori, aziende che fanno della tecnologia e del know-how il loro punto di forza, e che se messe in condizione di collaborare con altre realtà possono raggiungere un livello adatto a rispondere alle sfide che la competizione mondiale ci propone. Un Polo d’Innovazione è cosa ben diversa dalle reti d’impresa, che sono aggregazioni limitate nel tempo».E dai Consorzi industriali.«I consorzi hanno fatto il loro tempo, oggi c’è la necessità di gestire diversamente il territorio. Solo attraverso l’innovazio-ne possiamo affrontare le sfide che ci attendono nei pros-simi anni. Essere competitivi significa appunto affrontare i problemi con una nuova ottica, proponendo nuove soluzioni; per farlo bisogna promuovere lo sviluppo delle innovazioni e il diffondersi dei processi di trasferimento tecnologico, e i Poli d’innovazione rappresentano questa svolta, permettendo un riposizionamento strategico dell’economia abruzzese sui mercati».Come sono strutturati?«Ogni settore produttivo tra quelli individuati avrà un singolo Polo d’Innovazione e ogni Polo avrà un soggetto gestore che si occuperà di incoraggiare l’interazione tra le imprese e gli organismi di ricerca, lo scambio di conoscenze e di esperien-ze, l’uso in comune di installazioni e il trasferimento tecno-logico, la messa in rete e la diffusione delle informazioni. Si tratta in pratica di puntare sull’economia della conoscenza».

Un notevole passo in avanti rispetto al passato.«Ormai non si può più misurare la competitività di un terri-torio con finanziamenti e incentivi all’acquisto di capannoni e macchinari, ma attraverso l’economia della conoscenza, l’innovazione, la ricerca, la creazione di sinergie e di comple-mentarietà del territorio che va gestito non a compartimenti stagni ma con un elevato spirito sinergico». Quali sono gli strumenti a disposizione della Regione per il bando sui Poli d’Innovazione?«Abbiamo stanziato 10 milioni di euro per la prima fase, quella istruttoria, che si è conclusa con l’ammissione di otto Poli d’Innovazione su 14 candidature presentate, per i settori dell’Automotive, dell’Elettronica e ICT, dell’Agroalimentare, del Tessile-abbigliamento e calzaturiero, del Turismo, dell’Edi-lizia sostenibile dei Servizi avanzati e dell’Economia sociale e civile. La risposta è stata fortissima, con più di 800 imprese che hanno aderito. Ma i Poli non sono strutture chiuse, e mi auguro che il numero delle imprese cresca anche nelle fasi successive. La fase negoziale del progetto ha inoltre previsto la possibilità di aggregare altre imprese con una premialità finanziaria di 200mila euro. E altri 4 milioni sono stati stan-ziati al fine di consolidare questo nuovo sistema di sviluppo economico del territorio, attraverso l’apertura di un nuovo bando per implementare la programmazione relativa ai Poli d’Innovazione. E nella programmazione dei PAR FAS abbiamo previsto risorse per il sostegno alla competitività dei sistemi produttivi aggregati per ulteriori 13 milioni di euro».Quali sono le aspettative rispetto a questo progetto e quali i tempi entro cui vedremo i primi risultati?«I Poli di innovazione avranno successo, così come mi auguro, nella misura in cui sapranno diventare luoghi dove il “sape-re” ed il “capitale sociale” possano fare la differenza. Questa è la scommessa per il futuro prossimo, visto che i risultati si vedranno da qui a poco. Una scommessa difficile ma, se non siamo disposti ad ammettere la possibilità di fallire, non po-tremo mai creare le condizioni per nuovi modelli di crescita economica».

L’Abruzzo punta a migliorare la sua

competitività sui mercati nazionali e

internazionali per uscire dalla crisi.

La strada la indica l’assessore

Alfredo Castiglione e si chiama

“Poli d’innovazione”.

• Nella pagina accanto il vicepresidente della giunta regionale Alfredo Castiglione. Sotto l’assessore con a sinistra Nello Rapini e a destra Giuseppe Cappiello

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SERVIZI AVANZATIGiuseppe Cetrullo

Parco scientifico e tecnologico d’Abruzzo

ECONOMIA SOCIALE E CIVILEGiampiero Ledda

Irene

AUTOMOTIVERaffaele Trivilino

Innovazione Automotive e metalmeccanica

ELETTRONICA-ICT Giuseppe Cappiello

Abbiamo 73 aziende e altre 20 hanno richiesto di aderire. Il Polo è piuttosto eterogeneo: ci sono società che operano nell’ambito dei servizi socio sanitari e assistenziali, e diverse nel settore dell’informatica (che si integrano con l’assistenza sanitaria: telecontrollo, teleassistenza, telemedicina) e aziende di servizi vari. Tra le aziende più importanti Carsa, Orsa.

Abbiamo circa 230 imprese aderenti, e il nostro scopo è quello di gestire una serie di laboratori attivi per fare in modo che il processo di innovazione sociale sia ade-guato poi alle competenze e alle strategie delle imprese. Le imprese verrebbero così coinvolte nei laboratori in modo che l’innovazione si presenti come raggiun-gibile e realizzabile. Immaginiamo una grande catena di montaggio che rivisiti il sistema imprenditoriale locale affinché ci sia un miglioramento nell’agio sociale. Siamo un piccolo Robin Hood.

Abbiamo finora 68 aziende associate e altre 4 hanno fatto richiesta. Tra quelle che hanno già aderito ci sono Fiat, Honda, IMM, Tecnomatic, CIR: un volume di 18mila dipendenti e un fatturato di circa 6 miliardi di euro. Il settore automotive in Abruz-zo (che costituisce circa il 18% del Pil industriale e copre il 50% delle esportazioni) richiede costantemente ricerca scientifica, per essere competitivi: bisogna cambia-re strada rispetto al passato –quando innovare significava magari solo cambiare un macchinario– perché il mercato è globale. Dobbiamo puntare su qualcosa che ci appartenga, di cui noi abbiamo le competenze. E le piccole e medie imprese, grazie al Polo, potranno usufruire non solo delle strutture e delle conoscenze che met-teranno a disposizione le grandi industrie, ma ne assorbiranno il metodo, perché il livello qualitativo dei prodotti possa aumentare e la mentalità imprenditoriale possa quindi adeguarsi alle nuove esigenze del mercato.

Il Polo ICT è come un hub, un luogo dove convergono delle opportunità per le imprese di settore. È responsabilità di ogni singolo stakeholder del Polo cogliere e valorizzare queste opportunità. La Fondazione Mirror attraverso una società di scopo (K-Unit) è soggetto gestore quindi tutta l’esperienza maturata in questi anni confluirà nel Polo ICT per aggregare le altre imprese. Una delle sfide del Polo è senz’altro quella di creare un luogo di relazioni, di conoscenza condivisa in modo che i giovani più capaci possano trovare una sponda per la loro intraprendenza. Il programma prevede una serie di interventi fuori e dentro il territorio Regionale, or-ganizzati su 4 linee. Una linea di “conoscenza”, che realizzerà gli osservatori sui fab-bisogni formativi e di innovazione delle imprese raggruppate. Una seconda linea di “servizi”, che si sostanzia nella creazione di un albo fornitori accreditati. Ancora, una linea denominata “futuro”, ossia un think tank per l’identificazione di progetti innovativi nel settore ICT. Da ultimo, una linea per lo “sviluppo”, che prevede azioni commerciali sul territorio nazionale, la collaborazione con reti ICT internazionali, la valorizzazione e il sostegno delle start up.

I Poli d’innovazione

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AGROALIMENTARESalvatore Di Paolo

Gelco

EDILIZIA SOSTENIBILEAntonio Cilli

Ud’A

TURISMOMarcello Squicciarini

Abruzzo Innovatur

TESSILE-ABBIGLIAMENTO CALZATURIERO

Renato Giancaterino

Raggruppiamo circa 90 aziende su tutto il territorio, tra cui Amadori, De Cecco, Del-verde, la stessa Gelco e altre medio-piccole. Il Polo è gestito totalmente da impren-ditori e lo spirito che lo anima è quello dell’innovazione e della ricerca. Ci orien-teremo soprattutto su questo: sulla ricerca non tanto di processi innovativi ma di nuovi prodotti. Le aziende più grandi, che hanno al loro interno settori di ricerca e sviluppo, mettono a disposizione insieme a università e istituti di ricerca –com’è nel progetto dei Poli d’Innovazione– le proprie risorse e condivideranno le conoscenze con le imprese più piccole in modo da creare know-how e competitività.

L’Università d’Annunzio entra in questo Polo con lo scopo di portare il proprio contributo soprattutto nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica in un periodo molto critico per l’edilizia. Lo spirito è quello di mettere insieme più azien-de possibili per evitare di disperdere le forze: molti si stanno rassegnando davanti alle attuali difficoltà e forse il Polo potrà essere un motivo di rilancio dell’econo-mia e del lavoro. Attualmente ne fanno parte 60 aziende e altre 20 domande vi entreranno presto. Il Polo cercherà nuovi materiali, selezionerà prodotti che fanno la differenza soprattutto nel quadro delle nuove norme in materia di risparmio energetico e di ecosostenibilità, questioni che non sono “il futuro” ma sono già “il presente” e che forse ci colgono impreparati.

Abbiamo attualmente, incluso il soggetto gestore, 47 imprese tutte operanti nel settore turistico; il turismo è però un ambito piuttosto ampio, e infatti molte delle 60 imprese che si assoceranno a breve sono appartenenti a settori diversi, come imprese enogastronomiche o associazioni sportive. Desideriamo sviluppare tutto ciò che è innovazione tecnologica legata al turismo, dando opportunità così alle aziende che operano nel turismo di applicare tale innovazione per essere più competitive. Innovazione tecnologica nel turismo, nell’era del web 2.0, significa, sia nella parte commerciale che nella produzione, ricerca di partenariati, di prodotti non legati semplicemente al territorio ma a tematiche, a periodi, a eventi: un marketing turistico a 360° che deve avere opportunità dal punto di vista dell’innovazione e di rete.

Nel Polo sono confluite 44 aziende e altre 4 se ne aggiungeranno. Tra quelle già affiliate ci sono grandi nomi come Sixty, Canali, DFP International, e poi un 40% di aziende di pelletteria; le restanti sono PMI appartenenti al settore delle confezioni e una piccola percentuale di aziende di servizi. La mission del Polo è in primo luogo quella di superare il gap culturale che separa le piccole imprese dalle grandi tramite il trasferimento di conoscenze: ci sono alcune aziende davvero all’avanguardia che hanno fatto innovazione e ricerca ad altissimi livelli. La conseguente finalità è quella di condividere questi percorsi innovativi. In parallelo il Polo cercherà di soddisfare alcune importanti esigenze delle aziende, come la formazione, l’innovazione tecnolo-gica e soprattutto l’internazionalizzazione, che deve essere sviluppata in modo molto più efficace rispetto a quanto finora fatto.

d’innovazioneI Poli

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Ecologica Sangro

Il sole, l’alternativa sostenibile che fa bene all’ambienteL’energia prodotta contribuirà al

fabbisogno di oltre 2mila famiglie per i prossimi 25 anni

dieci ettari di terreno che equivalgono a 5.400.000 kWh di energia elettrica annua prodotta da fonti rinnovabili, nel massimo e assoluto rispetto dell’am-

biente e a impatto zero. Si tratta del nuovo parco fotovoltaico realizzato dalla società Ecologica Sangro S.p.A. di Lanciano, in località Cerratina a contrada Serre, in funzione dallo scorso mese di Aprile. Termini come “fotovoltaico”, “solare” o “eolico” non sono più da cercare sul dizionario ma sono entrati di diritto nel nostro linguaggio comune e quotidiano, così come si sta facendo strada il principio che lo sviluppo è davvero sostenibile quan-do le risorse presenti in ambiente, per definizione limitate nel tempo, vengono preservate a favore delle generazioni future. È questa la concezione da cui muove il parco fotovoltaico: cinque mesi di lavoro e 12 milioni di euro per installare, con pannelli fotovoltaici, una potenza di 4MWp capace di trasformare i raggi solari in 5.400.000 kWh l’anno di energia elettrica. Un’attività che ha un duplice risvolto: da un alto la capacità di produrre energia e immetterla nella rete di distribuzione sfruttando una fonte rinnovabile, e per sua natura inesauribi-

le; dall’altro il mancato utilizzo del petrolio come combusti-bile fossile. Per generare una potenza di 4MWp, come quella presente nell’impianto fotovoltaico di Lanciano, sarebbero state necessarie 1.011 tonnellate di petrolio, che a loro volta avrebbero rilasciato in atmosfera emissioni di CO2 pari 2.867 tev (tonnellate di petrolio evitate). L’energia così prodotta dai raggi solari contribuirà al fabbiso-gno energetico di oltre 2mila famiglie per i prossimi 25 anni. L’Ecologica Sangro S.p.A., nata nel 1987, opera nel settore della gestione integrata dei rifiuti solidi urbani dell’area com-prensoriale del Frentano e del Sangro Aventino e rappresenta una delle più innovative realtà aziendali del centro-sud Italia nel suo campo.Professionalità e competenza aziendali, confermate anche dall’ottenimento delle certificazioni in materia di Qualità ed Ambiente ISO 9001:2008, ISO 14001 e BS OHSAS 18001, hanno permesso all’Ecologica Sangro di realizzare, oltre al parco fotovoltaico, la discarica del Consorzio Comprensoriale Smaltimento Rifiuti, l’impianto di trattamento meccanico dei rifiuti solidi urbani e di implementare l’attività relativa ai servizi di igiene urbana.

Per una visita virtuale agli impianti digita

www.ecologicasangro.it

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IL PIÚ GRANDE GRUPPO BANCARIO D’ABRUZZO

GRAN SASSO D’ITALIA:LA MONTAGNA PIÚ GRANDE D’ABRUZZO

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Architettura / Vario

L’aumentodell’inquinamentoelaconseguentecrescitadellatempera-turaterrestre,cosìcomelosfrenatoconsumodirisorsenaturalinonrinnovabili,rappresentanolequestioniambientalipiùcritichechela

nostrasocietàdeveaffrontare.Laviaperunosvilupposostenibiledevenecessariamenteorientarsinelperse-guimentodiobiettiviqualilariduzionedelconsumodellerisorsenaturaliedelleemissioniinquinanti.siconfigurapertantolanecessitàdiorientarelosviluppoconl’accezione“sostenibile”,concettoelaboratonel1987nelrapportoBrundt-landquale“sviluppocapacedisoddisfareibisognidelpresentesenzacompro-metterelapossibilitàdellefuturegenerazionidisoddisfareipropribisogni”,cheimponedifattiunaprofondarevisionedimodellisociali,economicieculturalidiapprocciosiaallagestionedelterritoriocheallasuaprogettazione.Losvilupposostenibileèunmotorediinnovazione,unmotorechepuòpromuoverelaricercaelosviluppodinuovimateriali,tecnologie,sistemi,impianti.Ilpatrimonioedilizioèilsettorecherichiedeurgentementediessereconiugatoallosvilupposostenibile,inquantoleattivitàadessoconnessesonotralepiùenergivore:madefiniremodellid’interventoinnovativiorientatiallasostenibi-litàdeiprocessidiintervento,allaminimizzazionedegliassorbimentienergeticiesullacompletareversibilitàdelleazionitrasformative,risultaessereun’azionestrategica,complessaemultidisciplinare,unasinergiaincuiilprogettistagiocaunruolodeterminante.seconsideriamochecircail76%degliedificiresidenzialièstatocostruitodopolaIIguerramondiale,dicuiil30%degliedificièarischiostaticoedil22,36%èincattivostato,diventaurgenteinterveniresulpatrimo-niocostruito,sull’ediliziastorica,medianteprocessidiadeguamentononsoloainuovistandarddicaratteremorfologico,tecnologicoefunzionale,maanchealle prestazioni energetiche ed ambientali. risulta necessario individuare neiregolamentiedilizilineeguidacapacidigarantirestrategiedirecuperoedilizionelrispettodegliecosistemiconiugandol’usoconsapevoledellerisorsenaturali,laqualitàfruitiva,lepolitichediincentivazioneperilrecupero,gliadeguamentiimpiantistici, l’integrazione dell’energia solare e delle fonti rinnovabili, con lasperimentazionedelletecnologieeco-compatibiliebioclimatiche.Intaledirezionel’ordinedegliarchitettiPPCdellaProvinciadiPescaranel2009ha istituito un gruppo di lavoro, la Commissione sviluppo sostenibile, qualeluogodiincontroedilavoropermanentefraprofessionisti,associazionidica-tegoria,associazioniculturalidisettore,entiproprietariegestoridipatrimoniimmobiliari privati e pubblici, mondo dell’imprenditoria, ed amministrazionipubbliche,volendocontribuireapromuovereunanuovaculturadelprogettourbanisticoearchitettonicocheabbiacomeobiettivoladiffusionedell’archi-tetturasostenibile,intesacomeunequilibratomixdiefficienzaenergeticane-gliedifici,diusodimaterialiconunciclodivitanonimpattante,diimpiantiinnovativiedaltamenteperformanti,alimentatianchedaenergierinnovabili,diattenzioneallasalubritàdegliambienticonfinatiedallerisorseambientali.Èunasfidachetuttidovrebberoporsi:l’interventopuntuale,l’edificioad“emis-sioni zero”, non può da solo incidere in maniera determinante sugli impattiambientalidelletrasformazioniantropichedelleareeurbaneedelterritorio;urgelosforzoel’impegnosinergicodituttigliattoriprotagonistideiprocessiditrasformazioneegestionedellecittàperindirizzarleversoformemenoim-pattantiesostenibili.

di Laura Antosa*

*PresidentedellaCommissionesvilupposostenibiledell’ordinedegliarchitettiePPCdellaprovinciadiPescara

Un dibattito sulla progettazione urbanistica della città, con gli interventi del presidente dell’Ordine degli Architetti Massimo Palladini,

del presidente regionale dell’Ance Giuseppe Girolimetti e del professor Stefano Trinchese, preside della facoltà di Lettere dell’Università “d’Annunzio”. È quanto ospitia-mo sulle prossime pagine, e prende il via dall’incontro avvenuto all’interno di Sparta, la mostra d’arte contem-poranea allestita presso il Circolo Aternino, lo scorso 1 agosto. Il workshop Architettura a Pescara: possibili strategie urbane ha sviluppato la volontà di pensare a Pescara come “città possibile”, cercando anche di stabi-lire un termine di tempo. Sono state messe a confronto le scelte politiche in materia di urbanistica degli ultimi anni, tramite l’ex assessore Tommaso Di Biase e l’attuale assessore Marcello Antonelli, per poi ascoltare le pro-poste e le considerazioni di diversi architetti prove-nienti dai principali studi del territorio. Mario d’Urbano (s.d.a.a.) e Enzo Calabrese (Keien) hanno evidenziato da un lato la difficoltà di muoversi, da architetti, all’interno di un quadro di regole piuttosto farraginoso, e dall’altro hanno proposto la costituzione spontanea di gruppi di lavoro autonomi che forniscano idee alla città; Mario Michetti (Studio Zero85) ha puntato sulla necessità di valorizzare i luoghi e gli edifici storici (anche recenti) in quanto pezzi importanti dell’identità cittadina, sottoli-neando come spesso alcuni elementi importanti della città vivano una condizione di “non-identità” (come Piazza della Rinascita) a volte connessa alla loro “non-funzionalità” (come la “fontana” di Ettore Spalletti); Car-melo Cagnetta (Mediterranea) ha sollevato il problema della libertà creativa dell’architetto rispetto alle norme che dovrebbero liberare il progetto e non imbrigliarlo, mentre Fabrizio Leone (MCAA), dello studio di Gaspare Masciarelli e GianEmilio Casati, ha evidenziato la neces-sità di progettare in qualità come chance professionale ed obiettivo da perseguire per la pubblica amministra-zione. Infine Gianluigi D’Angelo, che dirige la rivista di architettura online Channel Beta, oltre a indicare nei nuovi mezzi di comunicazione virtuali una possibile piattaforma partecipativa delle proposte in materia di sviluppo urbano, ha portato alcuni esempi di “tempo-rary art” (murales, graffiti, riqualificazione di oggetti) in grado di valorizzare situazioni provvisorie, transitorie, che proprio per la loro caratteristica di temporaneità hanno comunque il pregio di qualificare un luogo altri-menti neutro o, nella peggiore delle ipotesi, brutto: una maniera non banale di significare un luogo.

ATTUARE I PARADIGMI dELLA SOSTEnIBILITÀ

Idee per la cittàUn dibattito aperto tra architetti, costruttori e cittadini

IL PIÚ GRANDE GRUPPO BANCARIO D’ABRUZZO

GRAN SASSO D’ITALIA:LA MONTAGNA PIÚ GRANDE D’ABRUZZO

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«La crisi che viviamo è senza precedenti, ma al suo in-terno c’è una crisi della città, di Pescara e del suo ter-ritorio che allarma ed accresce il disagio di chi ci vive

e lavora, di chi ce l’ha a cuore: tra questi, i progettisti lo avvertono acutamente. Da noi il livello delle architetture sta crescendo e ciò ha prodotto anche alcune ottime realizzazioni; esse, però, faticano ad esprimere il senso della trasformazione nel quadro generale che c’è, in assenza di precise strategie urbane». A parlare è Massi-

mo Palladini, presidente dell’Ordine degli Architetti, che chiarisce subito le ragioni di questo allarme: «Mi sembra che da tempo le amministrazioni di Pescara non esprimano una visione organica, adeguata ai mutamenti intervenuti, che sappia interpretare il suo ruolo territoriale, esaltandone identità e carattere. Dopo le impo-

stazioni del piano Piccinato, con il sindaco Chiola, e del piano Di Sciascio, con il sindaco Mancini, portatrici di idee specifiche (la prima per una cittadina litoranea e la seconda improntata allo sviluppo degli anni ’60) si è pervenuti ad un piano che ha ormai più di vent’anni e che rinviava le principali scelte; le ultime due varianti non hanno modificato l’impianto precedente, che enun-ciò l’idea della città policentrica, ma non ne definì i contenuti. Sia la passata amministrazione civica, quella guidata dall’ex sindaco Luciano D’Alfonso, che quella attuale di Luigi Albore Mascia, indi-viduano in alcune aree strategiche, spesso interessate da processi di dismissione delle funzioni precedenti (come ad esempio, l’area di risulta della stazione centrale o quella portuale) i punti nevral-gici sui quali intervenire per riqualificare l’assetto della città; allo stesso tempo però, le due visioni divergono nell’approccio e nel metodo di lavoro: più propositiva ed improntata sulla evocazione del progetto, quella dell’ex assessore Tommaso Di Biase; più indi-rizzata all’introduzione di nuove regole da far valere “erga omnes” quella dell’attuale assessore Marcello Antonelli. I due assessori ri-vendicano la validità delle loro scelte: Di Biase potendo vantare la cosiddetta “variante delle invarianti”, che ha ridotto la superficie destinata all’espansione orizzontale della città, recuperando spazi al non costruito; Antonelli dal canto suo avendo posto un freno ai cosiddetti accordi di programma, patti in deroga al piano regola-tore, che, nel tempo, non tutti si sono rivelati utili alla costruzione della città pubblica. Tanto le scelte del passato quanto quelle at-tuali presentano però un difetto che non ha consentito di coglie-re la complessità dell’attuale fase: la mancanza di una visione d’in-sieme che tenga conto dei diversi “sistemi” di cui si compone oggi una città come Pescara». Nel dibattito sul presente e sul futuro urbanistico della città, Palladini prosegue sottolineando la neces-sità di un allargamento di vedute da parte degli amministratori: «Intendo dire, al di là della polemica sulla necessità o meno di an-dare ad un nuovo PRG, che, se si guarda alle reti che alimentano la città in modo integrato, forse si riesce a dare più senso alle singole scelte che, oggi, appaiono casuali o improvvisate, come per molte delle proposte di cui si parla: la rete degli spazi verdi, dei servizi e della mobilità (che è diversa dalla viabilità, dovendo riguardare insieme al trasporto privato e pubblico, i parcheggi di scambio, le zone pedonali e ciclabili) sono ancora affrontate con soluzioni tecnicistiche o d’emergenza. L’ex assessore Di Biase, in verità, si è

Sarà PescaraLa città e le possibili strategie urbane: un dibattito aperto

massimo PalladiniPresidente dell’Ordine degli Architetti di Pescara

Architettura / Vario

«Alla città servonoprogetti condivisi»

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47In alto una veduta di Pescara. Qui sopra un momento dell’incontro dello

scorso 1 agosto al Circolo Aternino sullo sviluppo urbano.

fatto portatore di diverse iniziative, la più importante delle quali ha riguardato le aree di risulta: tuttavia un difetto di comunicazio-ne e di partecipazione ha impedito il confronto sulle proposte ed i percorsi amministrativi si sono rivelati troppo impervi, con po-chi effetti sulla città, mentre le iniziative disorganiche trovavano la loro strada. La stessa realizzazione dei pochi interventi capaci di innescare nuove polarità ha dato esiti deludenti». Il riferimen-to va, ad esempio, alla zona del nuovo tribunale: «Un’area prati-camente nata ieri, con funzioni importanti, dove sorgono anche buone architetture, ma che non riesce a farsi parte di città, perché ogni oggetto edilizio è giustapposto agli altri, proponendo più recinzioni che piazze. Oppure l’area degli istituti secondari a San Donato dove la concentrazione di scuole suggerirebbe la realiz-zazione di un “campus” aperto alla città, cui afferiscano una serie di servizi collaterali volti a fare di quell’area una “nuova centralità”. Questi temi non sono mai riusciti ad entrare nelle agende del go-verno cittadino. L’attuale assessore Marcello Antonelli lavora per il riordino delle regole; tuttavia queste prendono forza e trovano condivisione sullo sfondo di idee per la città; gli accordi di pro-gramma vanno disciplinati, ma essi sono stati una risposta, forse distorta, alle rigidità e incertezze di un Piano che ha bisogno, inve-ce, di maggiori punti fermi e, insieme, di maggior flessibilità. È una delle ragioni dello scarso avanzamento di queste scelte politiche, che non trovano ancora un esito concreto e non riversano i loro effetti sulla città. Sullo sfondo resta l’esigenza, sempre più condi-visa, di preservare, pur nella innovazione necessaria, il carattere di questa città anche nelle sue architetture storiche o del recente passato che ne fanno un unicum, costituito dall’impronta delle sue varie fasi (la città antica, quella liberty, quella novecentesca e della ricostruzione), sulle quali innestare segni contemporanei. Infine va segnalato che delineare una cornice coerente, puntare sulla riqualificazione urbana e ambientale, indicare obiettivi sui quali catalizzare anche l’investimento privato rappresenta un contributo di governo nell’attuale fase di crisi economica, nella quale i modelli passati sono improponibili e vanno offerte certez-ze e occasioni di investimento innovativo». Un punto critico che si rileva in entrambe le visioni è inoltre «la mancanza di un processo partecipativo sulle scelte effettuate a Palazzo di Città –prosegue Palladini– che tenga conto della cittadinanza, delle sue esigenze e, soprattutto, delle sue proposte. Questo riguarda sia l’informa-

zione sulle scelte, ma anche il confronto tra le forze sociali e pro-duttive ed il coinvolgimento non particolaristico di chi la città la vive. A tale scopo la categoria professionale degli architetti riven-dica un ruolo consultivo primario nei confronti dell’amministra-zione e ha da tempo proposto la realizzazione di un Urban Center, come avviene nelle maggiori città italiane ed europee, che faccia da tramite tra il Comune e la città, nel quale si possano discutere e migliorare le proposte e le politiche inerenti allo sviluppo urbano e che si connoterebbe quindi come uno strumento culturale for-temente democratico nella vita cittadina. Questo darebbe anche a chi normalmente non è rappresentato voce in capitolo, oltre a costituire luogo di dibattito, valutazione delle proposte, costruzio-ne di una memoria della città». La proposta, accolta dall’ammini-strazione civica con l’assegnazione di alcuni locali nel complesso della vecchia stazione ferroviaria di Pescara Portanuova –oggi ristrutturata e rinnovata– per ospitare l’Urban Center, allo stato at-tuale non ha ancora ottenuto dal Comune (che intende coinvol-gere partner istituzionali e non) gli strumenti finanziari necessari a dare inizio alle attività. «Comunque –conclude Palladini– come corposa anticipazione, il prossimo novembre ospiteremo nell’Ur-ban Center la mostra dei progetti finalisti al premio intitolato a Gaspare Masciarelli».

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«Pescara è una città che si regge economicamente su tre comparti: quello dell’edilizia, quello della sanità e il terziario. E forse quello dell’edilizia non costitui-

sce solo un terzo del pacchetto. Ma questo sistema va avanti da troppo tempo, è necessario un cambiamento radicale. Per quan-to sarà possibile andare avanti così?» È –sorprendentemente– Giuseppe Girolimetti, presidente regionale dell’Ance, a porre la questione. Lui che rappresenta la categoria degli industriali dell’edilizia, che vengono spesso indicati come “i cementificato-ri”, ma che nel bene e nel male sono coloro che hanno fatto di Pescara la grande città che è oggi. «Sono certo –dice– che il desi-derio di tutti i nostri associati è quello di poter costruire, un gior-no, una grande opera come un ponte o un grattacielo, magari di dirigere un cantiere con 400 persone. Certo, probabilmente è un sogno. Ma in questa città bisogna sognare, avere una visione a lungo termine, altrimenti un’opera, per grande che sia, resta legata a un momento contingente, a una necessità momenta-nea e probabilmente, in futuro, non sarà altro che “vecchia”». È necessario, spiega Girolimetti, un salto di qualità tanto a livello imprenditoriale che sul piano politico: «La classe dirigente deve saper progettare, deve sapere quale strada percorrere, perché i tempi per ottenere risultati sono molto lunghi. Un amministra-tore, così come il presidente di un’associazione, resta in carica troppo poco per vedere i risultati delle sue scelte, che spesso vengono revocate da chi gli succede. Se fosse la cittadinanza ad avere voce in capitolo gli amministratori agirebbero di conse-guenza e non ci sarebbero improvvisi cambiamenti di direzione a ogni legislatura». Motivo per cui si dichiara favorevole all’isti-tuzione dell’Urban Center promosso dal presidente degli archi-tetti Massimo Palladini: «Credo nella necessità di restituire alla cittadinanza il diritto di valutare e discutere le scelte che oggi,

invece, le vengono imposte dall’alto. Ecco perché sostengo la proposta di creare un Urban Center nel quale la cittadinanza trovi uno spazio per discutere le scelte progettuali degli ammi-nistratori». Ai quali Girolimetti imputa un atteggiamento troppo spesso legato a visioni localistiche: «Occorre una visione allarga-ta a tutta l’area metropolitana, che è una realtà per molti aspetti pratici ma che ha bisogno di un’ufficialità istituzionale. Servireb-be almeno un coordinamento metropolitano, che tenesse conto delle proposte edilizie di tutti i Comuni dell’area e ne valutasse l’opportunità, così da evitare il moltiplicarsi di strutture simili in un territorio in fondo ristretto, in modo da utilizzare i fondi in modo razionale. Che senso ha costituire un nuovo polo fieristico se ce ne sono già due e non godono neanche di buona salute? Perfino l’area fieristica di Bologna lamenta problemi dovuti alla concorrenza di Milano. Qui, al solito, ci si fa la guerra tra poveri». E sul fronte dell’edilizia e del salto di qualità imprenditoriale dice: «La politica non tiene conto dell’aspetto economico, che invece è fondamentale. Ci viene detto che il futuro dell’edilizia è nella ristrutturazione, e può essere vero, dato che circa l’80% del patri-monio edilizio italiano è costituito da fabbricati risalenti all’epo-ca della ricostruzione; ma ristrutturare costa più che edificare ex novo, e se all’impresa non vengono dati incentivi (in termini di cubatura, di sgravi fiscali, ecc.) la strada della ristrutturazione non sarà mai preferita a quella di una nuova costruzione su un terreno vergine. A questo punto, dato che lo Stato già fa la sua parte , dovrebbe intervenire il privato. Ma questo interverrebbe solo se ci fossero degli incentivi, che non possono essere diversi da un premio di cubatura. Mi spiego meglio: se devo demolire e ricostruire una palazzina di dieci appartamenti (e devo quindi restituire ai dieci proprietari i loro appartamenti nuovi) ho biso-gno, per pagare le spese del lavoro, di edificare altri piani con altri appartamenti per poterci rientrare. Qualcuno il meccanismo l’ha capito, e ha proposto un premio di cubatura del 20%, ma è an-cora troppo poco, non basterebbe neanche il 100%. Questo de-nota una mancanza di consapevolezza del lavoro dell’imprendi-tore edile, una caratteristica che dovrebbe essere propria di ogni buon amministratore». Quanto al problema estetico, che non è certo secondario, Girolimetti si batte perché venga salvaguarda-ta la libertà di chi progetta: «Se non si cambia il regolamento edi-lizio, spesso infarcito di norme anche di difficile interpretazione, la creatività dell’architetto (e quindi anche la qualità del fabbrica-to) ne risentirà sempre». In sostanza, quali possono essere i punti da cui ripartire per ridisegnare la Pescara del futuro? «Senz’altro le aree dismesse come l’area di risulta, l’ex Cofa, l’ex Fonderia Camplone e altre, che potrebbero essere adibite a parcheggi di scambio, anche in prospettiva dell’operatività della nuova filo-via, senza le quali altrimenti si rischia l’insuccesso; e senz’altro lo sviluppo deve passare per una migliore integrazione tra servizi, mobilità, aree verdi e –naturalmente– edilizia. Che è disposta an-che a fare un salto di qualità, ma deve essere sostenuta da una progettualità politica dell’amministrazione civica che vada oltre la durata della propria legislatura. Non possiamo fare oggi scelte che domani verranno revocate, bisogna assolutamente pensare a cosa vogliamo fare di Pescara da qui ad almeno mezzo secolo per poter lavorare tutti nella stessa direzione».

Giuseppe Girolimetti Presidente Ance Abruzzo

«Serve una classe dirigente in grado di progettare a lungo termine»

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«La progettazione urbanistica di Pescara non può pre-scindere dal ruolo che alla città si vuole attribuire. Nelle intenzioni degli amministratori recenti, però, riscontro

spesso una certa elefantiasi progettuale, quando non una mega-lomania di prospettive». Parla da studioso il preside della Facoltà di Lettere dell’Università d’Annunzio, Stefano Trinchese. Da studioso dell’antichità e da uomo moderno, e soprattutto da cittadino pe-scarese. «Si pensa a fare di Pescara una “grande città”, che però nei fatti non è: difficile pensarla come una metropoli se, numeri alla mano, l’intera regione “pesa” in termini di popolazione poco più di un quartiere di Roma. L’idea, ad esempio, della cosiddetta “grande Pescara” promossa da alcuni amministratori locali e sostenuta an-che da altri attori del dibattito mi sembra sia una forzatura virtuale più che un’aggregazione virtuosa, e perdipiù tende ad annullare le identità dei Comuni coinvolti (identità che meritano invece di essere mantenute e semmai valorizzate)». Quale, dunque, un’alter-nativa possibile? «Credo che il futuro della città possa svilupparsi lungo due assi, uno logistico e uno culturale, che fanno entrambi riferimento al passato. Penso al progetto di “città regione”, risalente agli anni Settanta, che vedeva Pescara come città-territorio, a fare da cardine tra Ortona, scalo portuale, Chieti, polo culturale e Ma-noppello come interscalo e quindi collegamento verso l’hinterland. Insomma quella che oggi chiameremmo un’ottica di sistema, in cui le risorse del territorio non vanno in conflitto tra loro ma entrano ciascuna con le proprie specificità a far parte di un unicum capace di valorizzarle tutte. Basti pensare al porto canale, nel quale si in-sabbiano le grandi navi (e per usare una metafora anche i grandi progetti): Pescara, invece che sull’essere una città portuale, dovreb-be puntare invece sulle sue peculiarità e lasciare a Ortona questo ruolo. Pescara ha un indotto economico che sicuramente Ortona non possiede, e per contro Ortona ha un porto che Pescara non avrà. E così Chieti, con la sua storia e le sue strutture (basti pensare al teatro o all’università) può essere il centro vitale della cultura di tutta l’area metropolitana. Occorre insomma unire le forze, senza omologare a tutti i costi e senza annullare le peculiarità; evitare le sovrapposizioni e amministrare in un’ottica di sistema. Ragionare in quest’ottica eviterebbe fenomeni come l’abbandono del territorio interno, che comporta conseguenze gravissime. L’urbanizzazione spinta può determinare un impoverimento dell’economia agricola, una perdita di tradizioni e di cultura che sono l’ossatura della nostra identità. E le aggregazioni forzate (determinate dall’attrazione gra-vitazionale che esercita la grande città) producono, parallelamente al dissesto idrogeologico, un dissesto umano e sociale: i conflitti si acuiscono, le tensioni interculturali, interetniche salgono, si ha pau-ra dell’altro, si fa strada il concetto hobbesiano dell’homo homini lupus. Altro è invece, quando le aggregazioni nascono su una base comune, su una motivazione culturale». E quale potrebbe essere? «Qui arriviamo all’altro concetto che potrebbe essere positivo nel ripensare il ruolo di Pescara, quello di una città “porta d’Oriente”. Le iniziative che mettono in comunicazione Pescara con i Paesi dell’Est ci sono, ma finora sono state sporadiche e occasionali. Dovrebbero invece essere più continuative, in modo da attrarre finanziamenti, tanto dagli Enti locali quanto da istituti, soggetti privati, fondazio-ni. Anche questo ruolo ha radici nel passato: storicamente Pescara –quando altre realtà, come la stessa Roma, attraversavano periodi

di crisi– accresceva la sua importanza strategica proprio per la sua posizione geografica, diventando il punto in cui la via Tiburtina ide-almente proseguiva verso l’altra sponda del mare, e si ricollegava alla via Egnatia che arrivava fino a Costantinopoli. Era un’epoca in cui le strade e i fiumi erano i principali assi viari». Il fiume, un altro argomento sul quale Pescara dovrebbe interrogarsi. «Un modesto interesse verso il fiume è stato mostrato dalla precedente ammi-nistrazione provinciale, sfociato nella realizzazione di un parco fluviale; ma le iniziative, pur lodevoli, non sono poi state sostenute dall’attuale amministrazione, e oggi non disponiamo, ad esempio, di una pista ciclabile che dal centro città segua il corso del fiume fino alle zone interne, quando basta varcare i confini regionali per vedere come la viabilità ciclabile sia un argomento prioritario, da San Benedetto in su. E la mobilità sostenibile dovrebbe essere una delle caratteristiche identitarie di una città come Pescara, che ha la fortuna di trovarsi in un territorio non montuoso; il che costituireb-be un perno su cui sviluppare ogni progetto urbanistico, recupe-

rando aree da dedicare al tempo libero, al verde pubblico, agli spazi vivibili per i bambini, ed evitando invece selve di grattacieli, traffico, inquinamento, lentezza. Si dice che Pescara sia “città veloce”, ma mi sembra che sia veloce solo nel dimenticare e nel cancellare la sua storia: è una città che si autofagocita. Ad esempio gli edifici liberty, che al di là del loro valore intrinseco architettonico potevano co-stituire un’immagine della città (e quindi un’attrattiva) non ci sono più, a parte qualche significativa eccezione, e altri sono in stato di completo abbandono; oppure la fortezza borbonica, anch’essa scomparsa, e che oggi sarebbe forse la più grande attrazione turisti-ca della città. Ma tanto la conservazione del proprio passato quanto la proiezione verso il futuro comportano un cambio di mentalità, da parte dei cittadini e degli amministratori, che sono cittadini anch’essi. Occorre passare da un’ottica localistica a una allargata a sistema, per mettere in moto l’aggregazione virtuosa, invece di una disgregazione che ci impoverisce».

Stefano TrinchesePreside della Facoltà di Lettere, Ud’A

«Guardare al passato per affrontare il futuro»

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Riconvertire aree pubbliche destinandole a orti e affidandole alle cure dei cittadini. Contro la crisi, per un miglioramento del benessere sociale, e a favore

dell’ambiente. Dei cosiddetti “orti urbani” si parla da molti anni, e qualcuno tra i più eruditi (o tra i più anziani) ricorderà certo gli “orti di guerra” allestiti in epoca fascista, per garanti-re le risorse minime. Oggi è la crisi a stringere, e a far stringe-re soprattutto i cordoni della borsa. Ecco perché di recente si sono moltiplicate le iniziative non solo in Italia, ma in tutta l’Europa, che vedono appunto gli orti cittadini fornire una ri-sposta immediata alle difficili condizioni economiche in cui versa mezzo mondo. E a Pescara l’incontro sugli orti urbani organizzato all’interno di Sparta, la mostra d’arte contempo-ranea a cura della Galleria White Project e dell’Associazione Culturale Contemporary di Pescara, è stato tra gli appunta-menti più seguiti di tutto il calendario di incontri. L’ingegnere Eleonora Sablone e il sociologo Simone D’Ales-sandro, moderatori dell’evento, sono entrati subito nel vivo del tema degli orti urbani, con un excursus storico che dagli

anni ’70 in poi vede un ripensamento degli spazi urbani, delle aree verdi in particolare, in orti botanici come luoghi e strumenti didattici e di coesione sociale, pensati e collocati inizialmente nelle periferie per poi approdare nei centri delle grandi città. Come ha sottolineato Eleonora Sablone, un aspetto fonda-mentale degli orti urbani è rappresentato dalla critica ad un sistema di consumo di massa, di cui troviamo un esempio locale negli Orti d’Oro nati nel quartiere san Donato a Pescara da un’iniziativa di Antonella Allegrino. Tuttavia gli Orti d’Oro non sono terreni pubblici ma di proprietà della promotrice del progetto che nonostante la diversa destina-zione d’uso, ha voluto “donarli alla popolazione, affidandoli secondo un regolare bando pubblico”. Oggi grazie a questa idea 40 pensionati hanno in “affido” 75 mq di terra con un risparmio di circa 170 euro a famiglia.Particolarmente attesi gli interventi di Debra Solomon, in rappresentanza del Ministero dell’Agricoltura Olandese, che con il progetto Urbaniahoeve ha catturato l’attenzione del

Orti urbani,la nuova frontieraUn incontro nella mostra - contenitore “Sparta” a Pescara valuta le opportuni-

tà offerte da questa antica pratica, tornata prepotentemente di moda in tutto il

mondo grazie alla crisi economica. E a Pescara nascono gli Orti d’Oro

Un momento dell’incontro sugli orti urbani al Circolo Aternino di Pescara.

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pubblico presente, raccontando come gli orti urbani siano stati pensati per diventare non solo un nuovo luogo di aggregazione sociale (si consumano insieme i prodotti della terra) ma anche un sussidio dal punto di vista economico per i meno abbienti. In particolare la fondazione Urbaniaho-eve si occupa della pianificazione di spazi verdi nel tessuto urbano seguendo i principi della Permacultura. L’iniziativa nasce dall’attività di Debra Solomon in campo culinario ed artistico, unisce sensibilità ecologiche e sociali in una formula sostenuta sia da fondi ministeriali per l’agricoltura che per la cultura, un aspetto che ben riassume l’importanza degli orti urbani sia per l’educazione all’ambiente che per la dimensione sociale e per l’ecosistema.Un apporto interessante all’incontro è stato fornito anche dall’architetto Alberto Ulisse che affascinato dalle esperien-ze europee degli orti urbani, ha coinvolto in un progetto i suoi studenti della facoltà di Architettura dell’Ud’A. Una tematica studiata, dunque, anche presso la nostra università e che non è rimasta indifferente a Italia Nostra, l’associazio-

ne nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione, che ha partecipato all’incontro tra-mite l’Architetto Giancarla Armidi, presidente della sezione di Chieti. “Orti Urbani”, infatti, è anche il nome di un progetto di Italia Nostra di rilevanza nazionale, «aperto a contributi esterni che si rivolge a tutti coloro, privati o enti pubblici, i quali, possedendo aree verdi, vogliano destinarle all’”arte del coltivare” nel rispetto della memoria storica dei luoghi, accettando regole “etiche” che saranno preventivamente stabilite da Italia Nostra in accordo con l’ANCI (associazione dei comuni di Italia) con il quale è stato sottoscritto recente-mente un protocollo di intesa».L’incontro è stato partecipato trasversalmente sia da pro-fessionisti che da semplici cittadini, molti dei quali pensio-nati. Alla fine dell’incontro era tangibile l’entusiasmo che i relatori erano riusciti ad infondere nella platea e la volontà di sensibilizzare l’amministrazione sull’argomento, cercando di individuare nell’hinterland pescarese e non solo aree da poter destinare ad orto urbano.

Orto mondo!Esperienze attuali di orti urbani sono riscontrabili in tutte le grandi città e nella maggior parte dei Paesi occidentali. In

Francia si chiamano “jardins partagés”, realizzati a partire dal 1997: a Parigi sono 57, riuniti nella rete municipale del programma comunale per la realizzazione di giar-dini condivisi Charte Main Verte. Una convenzione base concede in uso alle asso-

ciazioni per sei anni un terreno; il Comune provvede a portare l’acqua e il terriccio vegetale, l’associazione garantisce l’apertura

del giardino per almeno due mezze giornate alla settimana e l’ospitalità di una iniziativa pubblica l’anno. Il jardin partagé 56 Saint-Blaise ha ottenu-to la menzione speciale del Premio europeo dello spazio pubblico 2010 per

la trasformazione, d’iniziativa popolare, di un passaggio urbano abbandonato in un giardino collettivo con valenza ecologica. In Gran Bretagna troviamo oltre 1.000 Community gardens in 120 città. Il Phoenix Garden per esempio è un’area di piccole dimensioni in prossimità di una parrocchia al West End di Londra, che ha una gestione basata sul volontariato aperto al pubblico. Negli Stati Uniti la American Community Garden Association, una realtà storica presente dagli anni Settanta che interessa gli USA e il Canada, promuove e incentiva la coltivazione e la cura di aree verdi condivise urbane, alle cui assemblee annuali presenzia

anche la first lady Michelle Obama. Un caso interessante è il Children’s Garden di Ottawa (National Urban Design Awards, 2010) realizzato e gestito dalla comunità con la gui-da del Sustainable Living Ottawa East, in cui i bambini sono stati impegnati nella progettazione fin dall’inizio. In Italia i casi più numerosi sono a Milano e a Roma: i primi 35 orti milanesi ven-nero attrezzati e regolamentati alla fine degli anni ‘80, secondo una strategia di rivitalizzazione delle fasce di parco più vicine alla città, a favore degli anziani, con una precisa filosofia progettuale e gestio-nale. Un apposito Regolamento degli Orti disciplina le modalità di richiesta, di assegnazione e di conduzione dell’orto. A Roma sono oltre 70 gli spazi verdi condivisi, fra giardini (39), orti (20) e “giardini spot” (15) ad opera di cittadini e associazioni che in prima persona ne curano la realizzazione e/o gestione contro il degrado delle aree verdi urbane. Questi, sommati ai 65 orti spontanei individuali, portano ad oltre 100 le aree ortive nella Capitale. E in Abruzzo il Parco Nazionale del Gran Sasso ha promosso e sostenuto la costituzione di orti collettivi nelle tendopoli intorno all’Aquila, in collaborazione con Slow Food, per recuperare fiducia nel futuro e ritrovare un rapporto con la natura. E in più, combattere la crisi.

Dall’alto e da sinistra: i Jardins parigini, il Phoenix Garden di Londra,

il Children’s Garden di Ottawa, un orto milanese e uno di quelli aquilani

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Valorizzare i centri storici come opportunità di sviluppo

Può un centro storico rappresentare un’occasione di sviluppo per l’intero territorio? Quali gli strumenti di conservazione, di tutela e di valorizzazione? Quale

sviluppo può essere ipotizzato per il territorio e come il centro storico può divenirne principale attrattore? Questi i temi attorno ai quali si sono confrontati ingegneri e architetti, rappresentanti istituzionali e tecnici, studiosi e urbanisti, nella tavola rotonda “Montesilvano colle: la valorizzazione del Centro Storico come opportunità di sviluppo”.Alla tavola rotonda hanno partecipato i rappresentanti degli or-dini provinciali degli Ingegneri Antonino Prosperi, e degli Archi-tetti Massimo Palladini, la Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Abruzzo (sezione di Pescara) con l’architetto Aldo Giorgio Pezzi, la facoltà di Architettura dell’Università degli Studi G. D’Annunzio col professor Lucio Zazzara e l’ing. Gianfran-co Niccolò, dirigente del Comune di Montesilvano, l’architetto Laura Antosa, Funzionario Tecnico del Settore Urbanistica e l’architetto Mario D’Urbano che ha illustrato alcuni best case di recuperi sostenibili da lui progettati nel territorio abruzzese.Gli architetti hanno ribadito la necessità di un approccio proget-tuale caratterizzato da un’ampia visione del legame tra il centro storico e l’intero territorio, e di come esso investa e caratterizzi, per analogia morfologica, un’area più ampia, metropolitana appunto. L’attenzione “reverenziale” nei confronti del patrimonio necessità di strumenti adeguati, come ha affermato l’architetto Pezzi, con un’adeguata progettazione della pianificazione degli strumenti di tutela; l’ingegner Niccolò ha rilevato la necessità rendere partecipe la cittadinanza nella fase progettuale, mentre l’architetto Antosa ha infine affermato la necessità di percorrere la strada di uno sviluppo urbano sostenibile, che abbia tra gli obiettivi la rifunzionalizzazione degli spazi e dei nuclei abitati e che ottemperi alle esigenze di efficienza energetica e di salubrità degli ambienti. Ciò è possibile, come ha spiegato l’architetto D’Urbano nell’illustrare i propri progetti, nell’ambito di un lavoro sinergico, che unisca capacità progettuali, attenzioni della com-mittenza e pianificazioni lungimiranti.

Architettura / Vario

Gaspare Masciarelli, Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Pescara, re-centemente e prematuramente scomparso, è stato un esempio per tutti i suoi colleghi: leale ed amichevole, aperto ai cambia-menti, alla revisione critica delle proprie certezze, al dialogo con le giovani generazioni; e sempre strenuo difensore del valore dell’architettura e della professione al servizio della comunità. È per queste caratteristiche umane e professionali che l’Ordine ha istituito un premio a lui intitolato, espressamente rivolto ai giovani e suddiviso in due sezioni, di cui abbiamo dato ampia documentazione nel numero scorso. Le celebrazioni legate al Premio si svolgeranno nel neonato Urban Center di Pesca-ra, nei locali della vecchia Stazione ferroviaria di Portanuova a partire da venerdì 18 novembre, con l’inaugurazione alle ore 18 della mostra dei lavori finalisti e la presentazione del catalogo, alla presenza delle autorità cittadine e provinciali, dei rappresentanti dell’Ordine e della famiglia di Gaspare Mascia-relli, cui seguirà il concerto della pianista Rosella Masciarelli. Si proseguirà il 25 novembre con la presentazione del volume Dall’Adriatico al Gran Sasso. Architetture e progetti del nuovo mil-lennio di Simonetta Ciranna per finire, il 2 dicembre prossimo, con la tavola rotonda su I giovani e la professione di Architetto e la successiva presentazione dei lavori (vincitori e menzionati) del Premio Gaspare Masciarelli 2011. In esposizione per tutta la durata delle celebrazioni le mostre “Premio Masciarelli 2011”, “ArchiPrix Italia 2010” e “Pannello Ad’A”, quest’ultimo già espo-sto al salone della ricostruzione all’Aquila.

PREMIO 2011GASPARE MASCIARELLI

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Fumisteria Adorante

FocolaredomesticoTre generazioni raccolte intorno al fuoco: la famiglia Adorante tra passato e futuro

Col fuoco, si sa, è meglio non scherzare. E lo sa bene Florindo Adorante, che a dieci anni ha bruciato il pagliaio di casa dopo aver acceso il fuoco sfregan-

do due legnetti: «Per fortuna nessuna conseguenza, ma feci prendere un bello spavento a mia madre». Una famiglia, quella degli Adorante, che attorno al fuoco ha costruito una fortuna, in caminetti. A cominciare fu nonno Argentino, tornato in Italia dal Venezuela, che mise su un’impresa edile; nel magazzino di via Sisto a Pescara, negli anni Settanta, il figlio Florindo impiantò la prima fumisteria nella quale oggi lavora col padre e con suo figlio Marco. E così in cinquant’an-ni la Fumisteria Adorante è diventata un punto di riferimento ineludibile per chi desideri adornare il proprio salotto con un camino. «Ne facciamo di ogni tipo, utilizzando materiali diver-si: da quelli classici a quelli in mattoni, in pietra, in granito; o particolari, ad accensione automatica Quelli che vanno per la maggiore oggi –spiega Florindo– sono minimalisti: pratica-mente dei semplici buchi nel muro incorniciati con una stri-scia d’acciaio, perché meno impegnativi di quelli tradizionali.

A me invece piace il camino di una volta, quello che veniva usato anche per cucinare, e attorno al quale si raccoglieva la famiglia». A Florindo piace la tradizione, che reinventa con indubbia creatività: «Ho trasformato uno scoglio in un cami-no, una volta. È stato amore a prima vista, vidi quel masso che stava per finire sulla scogliera e lo bloccai». Oggi Argentino, Florindo e Marco producono quattro camini a settimana, lavorando materiali pregiati come la pietra della Maiella e la lava dell’Etna, e realizzando ogni singolo pezzo all’interno del laboratorio-showroom di via Sisto a Pescara. Marco inoltre guarda al futuro: ha raccontato la tradizione del fuoco nella sua tesi di laurea in Beni Culturali e ora lavora al progetto Fire Service, un’agenzia tecnica ideata dalla fumisteria Adorante che nasce per garantire un servizio completo nella progetta-zione e realizzazione di camini e impianti fumari, assistenza e manutenzione specializzata su camini e stufe, grazie a stru-mentazione e tecnologie all’avanguardia. Perchè col fuoco è meglio saperci fare.

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Florindo Adorante nel suo laboratorio di camini e stufe. In alto la famiglia Adorante

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30anni di gioie

L’oro dalla tradizione all’innovazione

ATELIER - Pescara Via Roma, 31/35 tel. e fax 085 27666DESAURUM - Bolognano (PE) Via dei Colli, 53www.italolupo.it [email protected]

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R Vario

ribalta

Si chiama Saluti da L’Aquila l’opera ideata da Giuseppe Stampone che vuole tenere alta l’attenzione sulla drammatica situazione in cui versano il capoluogo abruzzese e i paesi circostanti, devastati dal terremoto del 6 aprile 2009. Dallo scorso gennaio sono state migliaia le cartoline che Stampone –nato in Francia nel 1972, ma vive tra Milano e New York– ha prodotto e spedito ai quattro angoli del globo, testimonian-do al mondo lo stato delle cose all’Aquila. Un progetto articolato in più fasi di cui l’ul-tima è l’esposizione al Macro di via Nizza a Roma: migliaia di cartoline che Stampone ha realizzato e che saranno inviate dalla Capitale ai vari responsabili delle istituzioni politiche e ai più importanti uomini di cultura, spettacolo e media in tutto il mondo. Le fotografie rappresentate nelle cartoline racconteranno ai destinatari la storia di uno sviluppo estetico bloccato e rinchiuso tra le impalcature che da più di due anni cingono gli edifici de L’Aquila senza che vi siano lavori di ripristino.L’installazione esposta al Macro è pen-sata per la partecipazione attiva dei vi-sitatori: nella galleria bianca del museo l’artista presenta tre teche in cui sono affisse centinaia di cartoline, prodotte nelle diverse fasi del progetto. Su di un tavolo adiacente, a disposizione del pubblico, si trovano migliaia di nuove cartoline firmate dall’artista stesso: i vi-sitatori che decideranno di partecipare direttamente potranno compilarle con l’indirizzo di un proprio destinatario e lasciarle in sala. Una volta raccolte, Stampone le spedirà, facendo sì che i Saluti da L’Aquila si diffondano in ma-niera sempre più ampia e capillare an-che grazie al pubblico del museo. Sul tavolo un computer è collegato al sito del progetto (www.salutidalaquila.it) dove il visitatore potrà vedere la mappa, costantemente aggiornata, con tutti i luo-ghi e tutte le persone raggiunte dai Saluti e interagire ulteriormente, inviando una cartolina elettronica. Perchè l’Aquila non sia dimenticata.

Cartoline per ricordare L’Aquila com’è.Ancora

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FESTIVAL

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ARTE

MOSTRE

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Torricella Peligna

La confraternitadei FanteSettima edizione e consueto successo per il festival letterario intitolato a

John Fante, che ogni anno riempie le strade di Torricella Peligna con eventi

e incontri ispirati alla figura del celebre scrittore

di Alessio Romano Foto Serena Vittorini

Tra corsi di scrittura creativa, lezioni di filosofia, concerti jazz e presentazioni di libri il mito di John Fante torna a rivivere a Torricella Peligna, il piccolo paese da cui

suo padre partì come tanti suoi connazionali verso l’America in cerca di fortuna. E in cui ogni anno i figli del celebre scritto-re, Victoria e Dan, tornano passeggiando tra le case costruite dal loro povero antenato muratore abruzzese. L’occasione la fornisce il festival letterario “Il dio di mio padre”, organizzato nella moderna e confortevole mediateca “John Fante” di Tor-ricella, e che anche quest’anno si è confermato come uno de-gli appuntamenti culturali più vivaci d’Abruzzo. La direzione artistica è ancora una volta affidata alla cura di Giovanna Di Lello, giovane regista abruzzese, che tra le sue opere vanta un ormai famoso documentario sulla vita dello scrittore ita-loamericano di seconda generazione (vedi Vario n.50, ndr). «La prima edizione si è svolta nel 2006. Dal comune di Torricella mi chiamarono perché volevano organizzare un evento intor-no alla figura di John Fante, un premio o qualcosa di simile. Io proposi invece un festival letterario perché è una tipologia di manifestazione che a mio avviso permette di coinvolgere maggiormente il pubblico attraverso un vero scambio con gli autori. Poi per la scelta del titolo, ho pensato al racconto My father’s god che Fante pubblicò per la prima volta nel 1975 su una rivista italoamericana. Conteneva tutti gli elementi per il quale il festival era nato: la presenza preponderante della figu-ra del padre nell’opera di Fante, il contesto italoamericano (e il rapporto quindi con l’Italia), la citazione di Torricella Peligna all’interno del racconto, il rapporto controverso con la sua cul-tura d’origine. Nel racconto è inoltre esplicita la fascinazione che l’autore ha della figura del padre attraverso lo sguardo del ragazzino, così come è presente ai massimi livelli anche una delle caratteristiche stilistiche più importanti di Fante: l’ironia. E poi il titolo a effetto conteneva già tutto l’universo fantiano». Lo scrittore losangelino, che per scrivere sceneggiature per De Laurentiis ha visitato Roma e Napoli, con ogni probabilità

non è mai stato a Torricella Peligna, il piccolo centro del San-gro Aventino da cui è migrato suo padre e che spesso viene citato nelle sue opere. I suoi figli, al contrario, sono ormai ospiti fissi della rassegna. Dan, anche lui scrittore (in Italia i suoi li-bri sono pubblicati da Marcos y Marcos), e sua sorella Victoria hanno potuto girare emozionati tra le case che proprio il loro nonno muratore ha costruito da giovane. «Ogni anno –prose-gue Di Lello– il festival ha la fortuna di ospitare i figli di Fante. Dan era già un habituée di Torricella Peligna ma Victoria e Jim sono venuti per la prima volta in Abruzzo grazie alla nostra manifestazione. Il rapporto risale al periodo in cui ho realizza-to il mio documentario su Fante. Da li è nato un forte legame che il festival ha contribuito a saldare. Oggi la famiglia Fante segue con favore tutte le nostre iniziative». Tra gli ospiti più importanti dell’ultima edizione va segnalata la seguitissima lezione sull’arte del filosofo Gianni Vattimo che ha analizzato l’opera fantiana in una lectio magistralis in cui era ricorrente il riferimento a Martin Heidegger per definire l’opera d’arte e il suo mondo. Un altro momento di pura poesia è stato il meravi-glioso concerto di Enrico Rava, uno dei jazzisti italiani più noti a livello internazionale. Nella pineta di Torricella le influenze di Miles Davis e Chet Baker hanno incantato il pubblico sotto il cielo stellato. A conclusione di un ricco insieme di eventi la presenza del più discusso (tanto amato quanto odiato) critico italiano: Antonio D’Orrico che ha spiegato, presentando il suo omonimo romanzo, Come vendere un milione di copie ed essere felici. Tutti incontri con un pubblico numeroso e attento. «Una delle cose più belle del nostro Festival –conclude la curatri-ce– è proprio il pubblico. Un pubblico molto appassionato che arriva da tutt’Italia e che in comune ha l’amore per l’opera di Fante e in generale per la letteratura. Ciò rende il tutto più ma-gico e l’atmosfera che si respira durante i tre giorni del festival è speciale proprio perché si instaura tra gli autori, noi organiz-zatori e il pubblico una complicità simbiotica».

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•Daniele Cavicchia

La signora dell’acqua

Passigli 2011

pp. 64, € 12,50

Daniele Cavicchia

Le parole non dette

Per non dimenticare

di Renato Minore

Ha scritto Paul Claudel che “la poesia non è fatta di que-ste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta”. Ma cosa è il bianco che resta sulla

carta? Non è certo l’ungarettiana parola scavata nel silenzio. È qualcosa di più fondo e remoto, inaccessibile. Leggo l’inci-pit del poema di Daniele Cavicchia La signora dell’acqua (Pas-sigli): “Tu abiti una frase che non so scrivere/ma sei una data certa in questo tempo che sfarina”. Il lettore si chiede quanto il non detto superi il detto. Si chiede quanto la visione abbagli il dato della realtà e, comunque, della verosimiglianza. Si chiede quanto l’enigma superi la certezza del visibile mentre vanno e vengono le misteriose presenze del poema – appunto la “signora dell’acqua”, un messaggero, un imputato, tre uomini, una madre, tutte quelle figure che parlano in modo allusivo e oracolare, che scivolano verso rinviare un centro che sfugge, una pienezza di senso che sfarina. E lasciano esili tracce del loro passaggio come fuochi intermittenti di una raffigurazio-ne preraffaellita, in una misteriosa dimensione purgatoriale di attesa, di passaggio luminoso tra stadi diversi. È la sospensione in cui le azioni (parlare, muoversi, aprire misteriose rotoli con misteriose sentenze…) sono come al ralenti. Tutto il poema di Cavicchia è scritto in un profondissimo ralenti. Come se un interno occhio cinematografico ne prolungasse il tempo e il ritmo e continuamente ne duplicasse quel tempo e quel ritmo in un processo di lenta combinazione, in un tempo di imper-cettibile accostamento delle sue parti. La signora dell’acqua, la misteriosa apparizione al centro del poema, è un flusso di

parole non dette, ma sul punto di essere dette, frapposte tra il se e il tempo/luogo in cui ci si trova, in cui il lettore ha situato momentaneamente la percezione dell’essere e del suo esserci. Il lettore si trova di fronte ad un tempo –il tempo del poema– fluttuante e onirico, senza un suo qualche rilievo storico o di cronologia personale, anche se i casi di una biografia personale sono sullo sfondo, risucchiati in un antefatto d’angoscia. Sergio Givone ha cercato di decifrare la natura anche sapienziale, non filosofica del poema. Quella è la voce che appresta ad ascoltare il silenzio, senza speranza di poterlo decifrare. Quella è la voce che annunzia qualcosa, il segreto che vuole restare sigillato nell’anima. È la voce che indica non l’enigma da sciogliere, ma una ricerca da compiere. Paolo Lagazzi cita alcuni versi parti-colarmente significativi: “Ogni cosa esiste perché la nomino, /ogni cosa sarà riconosciuta grazie a me”. La poesia non può rivelare la verità, ma almeno può crearla attraverso la parola, strumento della sua menzogna attraversata da parte a parte dal problema della sua verità. “La verità abita una parola anco-ra da scrivere”, dice un verso di Cavicchia. Il viaggio compiuto, l’impresa apparentemente realizzata tendono alla soluzione conclusiva della formula che li riportino all’inizio del viaggio, al primo cenno dell’impresa. La mappa –si potrebbe dire con Bateson– coincide con l’intero territorio del già detto che apre l’infinita possibilità di tutto ciò che ancora deve essere detto. E finisce per evocare le connotazioni della poesia di Cavicchia: la complessità dissimulata in canto e preghiera, l’ossessiva affabi-lità interrogativa, la sfuggevole trasparenza figurativa.

LetteraturaVARIO

Il poema La signora dell’acqua è un libro fortemente evocativo in cui “La verità abita una parola ancora da scrivere”

24 scrittori per 24 racconti, ognuno con un nome di una delle vittime del terremoto dell’Aquila. Uno dei possibili modi di ricordare le persone scomparse il 6 aprile 2009.

È il modo della letteratura, quello degli autori che hanno scelto di scrivere delle storie di tante vite, dell’indignazione per tante morti. È una raccolta di testi che si misura coraggiosamente con la perdita dell’altro, che di fronte alla morte sa andare oltre la compassione, risponde al dovere della partecipazione, mantiene rispettosa la distan-za dovuta al dolore di chi non si conosce ma rifiuta l’indifferenza.AA.VV. E lieve sia la terraTextus 2011, pp. 180, €14,50

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E Mostra permanente di190 opere di Federico Spoltoreartista abruzzese del ‘900Collezione privata Carichieti S.p.A.

La mostra è inserita nell’ambito di - INVITO A PALAZZO 2011 - X EDIZIONE - Manifestazione promossa da ABI Associazione Bancaria Italiana

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Con il patrocinio delComune di Chieti

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RomanziDi PietrantonioIn quasi duecento pagine l’esordio letterario di Donatella Di Pietran-tonio, dentista per bambini a Penne, attraversa la storia di un’Italia contadina, dall’ultima guerra fino a oggi. Il racconto di un rapporto madre-figlia, di un passato rurale dal quale riaffiorano ricordi dolcissimi e crudeli, abitati dalle figure dei familiari e degli abitanti della pic-cola comunità montana che le ha viste nascere e crescere entrambe.Donatella Di PietrantonioMia madre è un fiumeElliot 2011, pp. 179, € 16,00

Memoria CentofantiLa storia di una città raccontata attraverso un luogo che ne è stato simbolo. Il “Ramo di mandorlo” del titolo è quello che campeggiava, “bello e maestoso, saldo come fosse tutt’uno con la parete, ma senza darlo a vedere” nella sala detta ap-punto del Mandorlo, che con la Sala dei Teleri e quella del Caminetto faceva del più rinomato ristorante aquilano un luogo prestigioso dove sono passati tanti personaggi: da Giulio Andreotti a Pietro Nenni, da Primo Carnera a Carmelo Bene, da Federico Fellini a Pasolini.Errico Centofanti Quel ramo di mandorloOne Group Edizioni, 2011, pp. 255, € 16,90

Storia Patricelli1°settembre 1939: i tedeschi inva-dono la Polonia, seguiti a ruota dai sovietici, sulla base di un accordo di spartizione del territorio polacco tra Urss e Terzo Reich. Sono le fasi d’esor-dio del Secondo conflitto mondiale, ma per la Polonia, in realtà, è l’enne-sima tragedia di una storia nazionale convulsa e ingenerosa, segnata dalla presenza asfissiante di due giganti geo-politici ai propri confini: la Russia e la Germania.

Marco PatricelliMorire per DanzicaGruppo 24Ore, 2011, pp. 180, € 18,00

Romanzi FiorettiNasce per caso il primo romanzo di Francesco Fioretti, ed è un successo clamoroso. L’autore lancianese, a par-tire dalla sua scoperta di uno strano enigma numerologico –una sorta di “Codice Dante” che gli permette di rileggere la Divina Commedia secondo un’altra ottica– costruisce un thriller storico ambientato nel XIV secolo, poco dopo la morte del som-mo poeta. Un romanzo ricco di fedeli ambientazioni, di suggestivi espe-dienti narrativi, e di effetti suspense che si susseguono fino alla fine.

Francesco Fiorucci Il libro segreto di DanteNewton Compton Editori 2011, pp. 288, € 9,90

LibriVARIO

SatiraSabatino CioccaRigorosamente apocrifo, questo gustoso epistolario dialogato (nasce come cabaret radiofonico) tira in ballo personaggi più o meno illustri, abruzzesi e non: Ferdinando Galiani, Giovanni Chiarini, Silvio Spaventa, Gaetano Braga, Giuseppe Persiani, Domenico Stromei, Ber-nardo Tanucci, Gioacchino Rossini, Sigmund Freud, Georg Groddeck ed altri ancora. Tutti immaginati e rappresentati satiricamente in vicende strampalate e dispute di stralunata vacuità, descritte dall’au-tore con linguaggio denso, per stile e cultura, ma sempre felicemente

leggero e brioso. Insomma, si sorride e talvolta si ride di gusto leggendo queste Storie di lettere di Sabatino Ciocca, noto regista ed autore teatrale, televisivo e radiofonico. Eppure il grottesco, il sarcasmo, l’ironia, la derisione, il paradosso, il motto arguto e dissacrante, e quant’altri registri analoghi concor-rano a formare lo spasso di questo “cabaret letterario”, non impedi-scono l’insinuarsi di un dubbio nel lettore: che l’autore abbia voluto compilare, con queste lettere, uno “stupidario” in cui la satira, spesso sconfinante in comicità pura, è, in fondo, solo maschera leggera e dissimulatrice di un vivo disgusto per il genere umano. Come a dire: vi mostro come gli uomini siano

così sciocchi e grotteschi, che contro di loro non vale manco la pena sprecare sdegnate invettive; meglio riderci sopra. La presenza di tanti illustri personaggi nel finto epistolario suona, allora, come sco-raggiante sottolineatura: vedete? neanche i grandi uomini si salvano. Non c’è speranza, allora? Ma no. Guardiamo l’immagine dell’autore che campeggia sulla copertina di Storie di lettere (Eco ci ha insegnato l’importanza del paratesto): Ciocca vi appare abbigliato da elegantone pop-ottocentesco, occhiali neri e sorriso enigmatico, mano infilata nella giubba come un mattoc-chio napoleonide. Non è difficile

cogliere in questo autoironico ritratto (complimenti all’inno-minato fotografo) un ulterio-re, non secondario messaggio

dell’autore: non prendetemi troppo sul serio, potete ridere anche di me. Nessun cipiglio moralistico, insom-ma. Ciocca, come tanti intellettuali d’elitaria vocazione e d’ipersensibile ego, vede soprattutto stupidità e volgarità nel mondo presente, e le soffre, ma sceglie di combatterle soprattutto con le armi leggere ed eleganti, ancorché pungenti, del disincanto e dell’ironia. Il suo, in fondo, è mal di dandy che passa con una risata. Amara, come ogni buona medicina.

Francesco Di Vincenzo

Sabatino CioccaStorie di lettere.Alla scoperta di carte e carteggi più o meno celebri. Solfanelli 2011 € 12,00

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BorgoSantAndrea

Questa sembra una favola.Ma è tutto vero. Una casa speciale per famiglie speciali esiste.

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EventiVARIO

Intelligenza senza frontiere

Costruire un ponte fra le culture e le discipline, questo il senso del premio nord-sud ideato e realizzato da Nicola Mattoscio presidente della Fondazione Pesca-

raabruzzo. In questa terza edizione sono stati premiati il poe-ta e prosatore russo Evgenij Rejn, la scrittrice egiziana Radwa Ashour, l’astrofisico austriaco Klaus G. Strassmeier, l’economi-sta bosniaco Banja Luka. Vedere le loro origini e gli interessi professionali e colturali chiarisce ulteriormente il titolo del premio che valorizza le personalità di maggior spicco a livello mondiale nei diversi settori della poesia, della narrativa, delle scienze esatte e naturali e delle scienze sociali. La giuria di-retta dal presidente Nicola Mattoscio è composta da Stevka Smitran, Franco Cardini, Francesco Marroni, Walter Mauro, Gian Gabriele Ori, Elio Pecora, e Benito Sablone ha assegnato i pre-mi con le seguenti motivazioni:PREMIO PER LA POESIA Basterebbe la prefazione di Iosif Brodskij ad assicurarci quan-to sia un vero onore per la giuria e per la Fondazione Pesca-rabruzzo assegnare il Premio Internazionale NordSud ad Evgenij Rejn. Poeta settantenne, nato a Leningrado, oggi San Pietroburgo, nella prima giovinezza con Brodskij nel piccolo gruppo di poeti che si raccoglieva intorno ad Anna Achma-tova, autore di numerose raccolte di poesie, Rejn è indubbia-mente fra i maggiori poeti del secondo Novecento e di questi nostri anni. Se fa grande un poeta la ricchezza e la mobilità dei mezzi espressivi insieme alla forte sostanza umana che quegli strumenti muove e ricolma, è quella grandezza che questo po-eta largamente possiede. PREMIO PER LE SCIENZE ESATTE E NATURALILa Giuria esprime il suo profondo apprezzamento in merito all’attività di ricerca di Klaus G. Strassmeier, contrassegnata da un rigore scientifico costante. Dai risultati iniziali di osserva-zioni con la combinazione telescopio-spettrografo presso il KPNO (Peak National Observatory) che continua a detenere il record mondiale per la scoperta della più grande macchia

stellare mai vista, fino alle odierne complesse ricerche riguar-danti l’ideazione, il progetto concettuale e la realizzazione del progetto PEPSI. Il suo lavoro descrive come le leggi dell’elet-tromagnetismo ci consentano di comprendere la formazione dei corpi celesti e come il magnetismo cosmico sia in grado di identificare i meccanismi di origine dell’ Universo e come esso era nel suo stato primordiale. PREMIO PER LA NARRATIVARadwa Ashur è certamente una delle scrittrici più valide e impegnate all’interno di quell’universo, molto dialettico e di grande fascino, che si configura all’interno della suggestiva storia egizia. Le sue opere, a metà strada fra storia e romanzo, riflettono una condizione dell’essere fortemente saldata ad una più generale e drammatica vicenda umana, che in quel frangente geopolitico si prospetta con notazioni molto par-ticolari e di estrema fascinazione. La sua opera più nota, Gra-nada, ha ottenuto un ampio riscontro critico e di pubblico, e rappresenta un punto fermo nel riquadro sofferto e doloroso di quelle letterature, colpite così di frequente da tante offese alla dignità della persona. PREMIO PER LE SCIENZE SOCIALIStanko Stanić con i suoi studi sui sistemi macroeconomici e sulla programmazione dell’economia nazionale, nonché sui modelli dello sviluppo regionale e dei fattori economici che lo determinano, ha contribuito in maniera determinante alla conoscenza di tali problematiche nel proprio paese.Con il proporre Stanko Stanić per l’assegnazione del Premio NordSud per il 2011, la Giuria ha ritenuto che i suoi interessi di ricerca abbiano avuto un esito operativo e un apporto con-sistente nello studio dell’economia applicata, con particolare riferimento ad un’area balcanica esemplare, come è stata cer-tamente la Bosnia in questi ultimi due decenni.una significativa performance integrata nell’economia globa-lizzata contemporanea.

Premio Nord-Sud della Fondazione Pescarabruzzo

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Forme monumentali

Sottolineare il significato dell’itinerario artistico di Ma-rio Costantini, pittore e scultore di un talento a tutto tondo ricco di viva personalità, è un immediato e pro-

fondo ricondursi ad una creatività che trae origine nel filtro dell’astrazione e del contemporaneo e si compenetra nel rac-conto umanissimo di una tradizione d’arte insita nel “manufat-to artigianale” d’Abruzzo, codice arcaico e cultura storica del proprio territorio quali l’arazzeria e la ceramica pennese.Nato a Penne, l’artista frequenta l’Istituto Statale d’Arte della città, realizzando le sue prime sculture sotto la guida illustre di Angelo Colangelo. Appena diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Roma, con insegnanti come Mario Mafai, Marcello Avenali e Bianchi Barriviera, inizia, dai primi anni ‘60, un per-corso parallelo d’artista e di storico, realizzando importanti composizioni d’arte, elaborate in pittosculture con policro-mie materiche sull’ordito e nello stesso tempo si dedica a si-gnificative ricerche storico-culturali sul territorio, realizzando pregevoli edizioni d’arte anche a tema religioso e numerose pubblicazioni sulla produzione ceramica pennese. Tra le tante opere tessili prodotte dalla celebre Arazzeria Pennese (fonda-ta negli anni ‘60 da Fernando De Nicola ed ora non più attiva a causa della sua scomparsa), i più grandi arazzi furono eseguiti

su disegni di valenti artisti quali Afro, Capogrossi, Brindisi, Bal-la; e l’ultimo, piccolo arazzo (cm.150x100) denominato Tra il geometrico e l’organico è stato prodotto nel 1998 su disegno di Mario Costantini (da “Trame d’Artista-L’Arazzeria Pennese” - Brioni, 2011).Ma il giovane Mario Costantini ha coniugato sempre, con istin-to creativo, il fascino su lui esercitato dal manufatto tessile con quello dell’opera d’arte tout court esponendo già nel ‘66 una sua opera alla Biennale Regionale Aquilana.Nell’approfondire il suo brillante inizio e la sua idea d’arte così moderna e “intessuta” di tradizione manufatturiera e di radici storiche c’è subito da fare una importante considerazione.Questo connubio operativo di tecnica artigiana e reinvenzio-ne della materia (in primis la pietra bianca della Maiella) si è andato subito e con equilibrio evolvendo nella sua produ-zione pittorica e scultorea con il permanere ed il permearsi di una elementarietà arcana della forma, sempre più conte-nuta ed espressa in aeree volumetrie di sintesi iconica, talo-ra trascinanti in un un astrattismo fantastico fino alle soglie della leggenda (la recente magia delle sue Chimere Vestine del 2010). La sua creatività si è così immediatamente appropriata di un identitario carattere di originalità e levità compositiva

ArteVARIO

La scultura tra spazio, forma, spirito e materia in nome della tradizione

di Annamaria Cirillo Foto Gino Di Paolo

Mario Costantini

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che esprimendosi in maniera pura e naturale non pone alcun vincolo ostativo alla piena libertà espressiva di un’arte che ta-lora ha insite esteriorizzazioni cubiste ed assunti di atmosfere metafisiche, ma che in realtà è soprattutto esercizio assoluto di una contemporaneità pregnante di contenuti sociali ed umane consapevolezze, fuori dai media, dalle mode e da ogni tipologia di pressione di massa.Un suo Piccolo mausoleo all’uomo, in un totale bianco e nero di ritagli di sagome umanoidi, esposte in una avveniristica mostra personale del ’99 a Pescara, lo conferma quale alveo primario di silenti discorsi interiori, esaltazione di mistero co-smico, atemporalità, spazio, riflessione, codici d’essenzialità di tanta sua successiva arte.Tuttora, anche nella lettura della sua imponente scultura se-gnica- monumentale quale ad esempio l’Amore Eterno (2006), posto sulla piazza principale di Carpineto della Nora (Pe) o la candida Nike della Pace (2008), inserita nel Parco della Pace di Pineto (Te), pur interamente condivisi i profondi assunti critici rispettivamente di Aleardo Rubini e di Antonio Gasbarrini, ap-paiono ulteriori, rintracciabili momenti ed atteggiamenti com-positi di un nuovo ed ancor più ampio discorso pittorico, un desiderio di andar “oltre” nel quale è sempre presente la irripe-tibile singolarità di un artista che rivive lezioni lontane insieme a movimenti assolutamente moderni, esercitando d’impatto attrazione e fascino e trasmettendo anche al profano –ma l’arte vera sa sempre scandire il suo messaggio– la pregnanza di una poetica attuale, un desiderio di capire che suscita sensazioni ed emozioni non facilmente ripetibili. Tanti sono i valori espressi nella varietà in progress delle opere dell’artista che li si potrebbe raccogliere a mazzo o farne un elenco.Atmosfera rarefatta, ricca d’essenzialità di contenuti umani e sociali, simboli, colori e segni, interiorità di percorsi visivi, biancore di grandi forme avvolgenti, spazio infinito da imma-ginare, in cui poter immergere il pensiero e l’anima, in cui so-prattutto tentare di ritrovare se stessi.Questa appare l’arte di Mario Costantini, che si apparenta feli-cemente ad una corrente artistica di “Minimalismo Adriatico” che dagli anni ‘90 pare espandersi tra Abruzzo e Marche. Due le personali in preparazione per il 2011 ed il 2012, cui se-guirà la pubblicazione di un nuovo libro di ricerca sulla “Pro-duzione ceramica Pennese medievale e rinascimentale” e la pub-blicazione di una raccolta di “Scritti storici relativi alla città di Penne e del suo territorio”.

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MUSICA PER VIAGGIARE Ascoltare “Canzoni della notte e della con-trora”, primo disco solista di Umberto Pa-lazzo, significa esporsi a una strana forma di imbarazzo. Come se aprendo la porta di una stanza ci trovassimo, indifferen-temente , davanti a una Madonna o a un rito baccanale che si consuma. Eppure tale visione non induce affatto alla fuga. L’inti-mità è la dimensione preponderante, nei contenuti e nelle forme: significativo è il fatto che il cantautore vastese sia insieme autore e fonico dell’album, quasi a sugge-rire l’idea di un rapporto segreto con il suo lavoro, che unisce arte e cura artigianale. Il booklet - libro antico di cui sembra di sentire l’odore, la tangibilità rugosa delle pagine - racconta sin dal primo approccio la sensorialità e sensualità da cui il suono è pervaso. La forma grafica chiarisce che si tratta di un racconto. Il racconto di un viaggio. Il titolo, che oppone la notte all’as-solata controra, rispecchia i forti contrasti

di cui il disco è permeato, evidenti anche nella scelta delle voci femminili (la ange-lica Sandra Ippoliti e la demoniaca Tying Tiffany) così come nelle forme ossimoriche dei testi (“Angelo della mia perversione/ Protettrice della mia ambiguità/ Santa dei bui anfratti e delle tane/ Madonna dei miei pensieri in fiamme.”) “Terzetto nella neb-bia”, prima traccia, funge da prologo quasi dantesco - l’incontro con i vizi, la scelta di seguire una guida con fede quasi cieca, rimandano a temi vicini alla Commedia e disseminati per tutto il disco che pure ha un esito diverso dal poema. Palazzo non uscirà a veder le stelle, ma sceglierà di restare ancorato a una notte che appar-tiene solo agli amanti. I riferimenti mito-logici conferiscono all’ascolto un accento eterno, atavico, proprio della dimensione metatemporale del sogno che accomuna la notte alla controra. Il lavoro del musici-sta, pur staccandosi dalla produzione pre-cedente, attinge dalle atmosfere assolate

del Santo Nada, e come nei migliori pezzi del Santo Niente la parte strumentale non è semplice accompagnamento, ma inte-ragisce e duella con i testi. I suoni sanno essere in un certo modo onomatopeici e multisensoriali senza essere descrittivi all’interno di questa “foresta di simboli” (per dirla con Baudelaire) in cui reale e im-maginifico si intrecciano: l’ascoltatore non può che restarne, letteralmente, sedotto. Roberta D’Orazio

MusicaVARIO

IN PRINCIO FU IL RAGTIMEUn percorso storico musicale alle origini del jazz. Il nuovo disco del pianista Marco Fumo, presentato lo scorso 13 ottobre a Pescara nello spazio di Gong dischi (il negozio di Antonio De Nicola che è un punto di riferimento per tutti i musicofili) ripercorre le origini del ragtime attraverso brani di Scott Joplin (di cui esegue ben otto composizioni) e di Bix Beiderbecke, ma anche di Tom Turpin e George Gershwin. Impreziosito da un testo del musicologo Stefano Zenni, che ha anche introdotto la presentazione, il cd The Early Ragtime è l’ultimo lavoro di uno dei migliori interpreti del repertorio pianistico africano-ameri-cano, che dopo una prima parte di carriera nella musica classica ha cominciato negli anni Ottanta ad occuparsi di ragtime e di musica da film, suonando con artisti del calibro di Nino Rota e di Ennio Morricone. È presidente dal 2008 della Sidma, la socie-tà italiana di musicologia afroamericana. Marco Fumo The Early Ragtime OnClassical, 2011

Tra le tante trasformazioni musicali a cavallo tra XIX e XX secolo - la Scuola di Vienna, l’im-pressionismo di Debussy, la rivoluzione di Stravinskij - quella del ragtime è certamente la più sottovalutata. L’apparizione negli Stati Uniti di una musica afroamericana prodotta da compositori, diffusa a stampa e di imme-diato e grande successo, si affacciò come un fenomeno nuovo, investì la danza, l’indu-stria del divertimento e modellò una nuova

sensibilità estetica nel pubblico americano, rapidamente estesasi a tutto l’occidente, che si sarebbe poi compiutamente affermata con il jazz. Prima del ragtime esisteva negli Stati Uniti una tradizione di musica colta prodotta da musicisti neri, anche nell’era della schiavitù. Tuttavia essa non aveva mai assunto la forma di un genere omogeneo: il ragtime fu il primo fenomeno del genere, reso possibile da una maggiore alfabetiz-

zazione musicale della prima generazione di compositori nati liberi, dopo la schiavitù, e dal loro accesso al mercato della pubbli-cazione e distribuzione musicale. Al tempo stesso, il ragtime affondava le radici nella tradizione orale del pianismo afroamericano folk, nella canzone popolare del minstrel ed aveva forti legami con la pratica della marcia per banda.

Estratto da un articolo di Stefano Zenni

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Prestigiosa quest’anno la mostra ”Il fin la meraviglia. Splendori della pittura nell’età barocca”, organizzata dalla Fondazione R.Paparella Treccia e M.Devlet (ONLUS) e tenuta, per la prima volta in Abruzzo, negli spazi rinnovati del noto museo Villa Urania (Antiche Maioliche di Castelli) di Via Piave a Pescara.Un itinerario di reperimento delle opere unico nella sua specificità che condotto in tutta Italia e finalizzato anche alla scoperta di opere inedite, ha avuto eccellenti riscontri su tutto il territorio d’Abruzzo, a riprova delle ricchezze d’arte e di storia della nostra terra, riferite anche alla pittura italiana del ‘600 e del ‘700. Tale ricerca ha sorprendentemente dato frutti ben oltre il prevedibile con l’esito di una raccolta di ben 37 opere di artisti di chiara fama, individuate dopo una severissima selezione.Ciò grazie alla competente lungimiranza del Presidente della Fondazio-ne dott. Augusto Di Luzio, da sempre appassionato cultore della grande arte, e grazie alla fondamentale, specifica e capillare ricerca delle opere condotta, con assoluto professionismo, dal Direttore del Museo Dott. Vincenzo De Pompeis, in un difficile escursus nei meandri del miglior collezionismo d‘arte regionale e nazionale.Tale raccolta dal periodo dell’età barocca al rococò, che va ad aggiun-gere così tanto onore ad altre pregevoli mostre tenute a Villa Urania, è commentata, nel supporto di un ricco corredo fotografico, in un analitico catalogo storico-critico a cura del critico d’arte Giovanbattista Benedicenti e del Direttore del Museo dott. Vincenzo de Pompeis.Si sottolinea in primis il capolavoro inedito, esposto per la prima volta al pubblico, di Guido Reni (1575-1642), denominato “Lucrezia”, un olio su tela di grandi dimensioni (cm 320x158), opera di forte impatto visivo e valenza pittorica che G. Benedicenti così commenta : “..Questa magnifica Lucrezia possiede l’aspetto sacrale e tragico di una sacerdotessa pagana o di una santa martire che si avvia all’estremo sacrificio...L’intensa espres-sività del volto e dei gesti..sono aspetti che permettono di accostare Guido Reni al più grande esponente della cultura classicista del ‘600 italiano Alessandro Algardi..”.Si evidenziano alcune altre opere in mostra tra cui una “Natura morta” di Cecco del Caravaggio (prima metà XVII sec.) e l’opera di Salvator Rosa (1615-1673), magnifica e trasportante in un “Paesaggio con armenti” permeato d’armonia e luce in una idillica idealità fantastica. Inoltre l’opera di Francesco Solimena (1657-1747) “La Vergine col Bambino, l’Arcangelo Raffaele e San Francesco di Paola” commentata in catalogo dal critico d’arte Laura Muti e l’opera di Paolo De Matteis (1662-1728) “Alfeo ed Aretusa” commentata in catalogo dal critico d’arte Daniele de Sarno Prignano.La mostra è aperta al pubblico sino al 30 novembre. Un invito particolare agli studenti dei licei artistici della regione.

EventiVARIO

di Annamaria Cirillo

Meravigliedel Baroccoa Villa Urania

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Sono stati più di mille i cittadini che hanno visitato la mostra I Mondi di Spoltore, allestita nei locali della Direzione Generale della banca in via Colonnetta a Chieti Scalo. L’esposizione è stata organizzata in occa-sione della decima edizione di Invito a Palazzo, la ma-nifestazione nata su iniziativa dell’Abi che quest’anno coincide con i 150 anni dell’Unità d’Italia, e che celebra l’incontro tra le banche e il grande pubblico del Paese, con l’apertura alla cittadinanza dei palazzi storici degli Istituti di credito e delle loro collezioni d’arte. Sabato 1° ottobre i palazzi di proprietà delle banche sono stati trasformati in spazi museali aperti gratuitamente a tutta la cittadinanza, e la Carichieti ha allestito per l’occasione un’esposizione prestigiosa: 190 dipinti firmati da Federico Spoltore, uno dei più grandi artisti del Novecento, che vanno dal primo pe-riodo nel quale si affermò come apprezzato ritrattista a quello successivo al 1950, caratterizzato dall’astrat-tismo e dal simbolismo. La mostra I mondi di Spoltore (alla quale è intervenuta anche Lia Spoltore, cognata dell’artista) racchiude infatti la quasi totalità dell’espe-rienza pittorica dell’artista lancianese, nato nel 1902 e scomparso nel 1988, che ha attraversato varie fasi: dopo un primo interesse verso la figura umana (fu ritrattista ufficiale dello Stato), i paesaggi, i quadri veristici ed un periodo dedicato all’arte sacra (come il complesso decorativo della Chiesa Madre dell’ordine dei Gesuiti a Palermo) ha rivolto la sua attenzione alla ricerca di un nuovo linguaggio cui affidare tutte le proprie sensazioni, le proprie emozioni. Ha inizio così, dopo il 1950, il periodo cosiddetto dei “velluti”, ma lo studio e la ricerca continuano sino alla nuova fase pittorica, non più figurativa ma tutta tesa a rendere visibile, quasi a voler materializzare –attraverso esplo-sioni cromatiche– “l’emozione” che l’uomo Federico Spoltore prova nella quotidianità. Si realizzano così i principali cicli del nuovo periodo espressivo: la Genesi, la Musica, e infine le Visioni cosmiche. La mostra reste-rà in allestimento negli uffici della Direzione Generale della Carichieti e sarà visitabile gratuitamente su prenotazione.I Mondi di SpoltoreEsposizione permanente di 190 dipinti del maestro Federico Spoltore Ingresso gratuito su prenotazioneCarichieti S.p.A - Via Colonnetta, 24 - Chieti Scalo (CH)Info: tel. 0871 568502 - Fax 0871 568517e-mail: [email protected] - www.carichieti.it

Un giorno con FedericoEventiVARIO

La Carichieti apre le porte della sua collezione d’arte: in mostra 190 dipinti di Federico Spoltore

• Quattro opere di Federico Spoltore. Dall’alto: Autoritratto (1968), I fratellini (1918), Opulenza (1954) e Risonanze cosmiche (1977).

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Sei artisti e una poetessa, uniti nella co-mune intenzione di riscoprire la vita, at-traverso l’espressione artistica. È il senso di “Denuncia 2011”, la mostra itinerante promossa da Bibiana La Rovere, poetessa pescarese, che ha riunito al MuMi di Fran-cavilla al mare nomi noti e meno noti del-la scena territoriale, come Arago Design, Stefano Carbonetti, Marco Mazzei, Abner Marzi, Iacopo Pasqui e il teramano Vice in una collettiva “rivolta alla ricerca della bellezza, quale forma e valore culturale eticamente condivisibile”. «Denuncia –spiega la curatrice– è un invito alla ricerca sensoriale e interattiva della bellezza. Non a caso è stato scelto come luogo il MuMi di Francavilla al Mare, città dove nacque il Cenacolo michettiano che venne perce-pito dalla scrittrice Matilde Serao, colpita

dal sodalizio di artisti e uomini di cultura che gravitavano attorno ad esso, come “il più giovane, il più forte, il più intellettual-mente dinamico centro d’Italia”. L’intento oggi è di favorire, incontrare e scoprire talenti, esplorando e articolando insieme i paralleli e i paradossi dell’esistere, lungo un tracciato articolato nel suo nomadismo territoriale. “Denuncia” è intesa come an-nuncio, rivelazione di bellezza oltre l’ap-parenza». Tra le opere anche una installa-zione video-poetica della stessa La Rovere realizzata con il supporto della celebre vi-deomaker Erminia Cardone. La mostra aprirà i battenti il 16 ottobre e a novembre traslocherà a Verona, sede dell’Accademia Mondiale della Poesia che ha concesso il suo patrocinio all’esposizione.

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XXXVIII PREMIO SULMONA 2011

Anche quest’anno è stata inaugurata a Settembre la consueta Rassegna Interna-zionale d’Arte Contemporanea presso il Polo Museale Civico Diocesano di Sulmo-na ad opera di un Comitato Organizzatore che ha visto la presenza di Vittorio Sgarbi, Presidente Onorario de “Il Quadrivio”, av-valendosi inoltre di una Giuria di premia-

zione di grande rilievo.Ne erano parte il noto critico d’arte Carlo Fabrizio Carli e l’artista Gaetano Pallozzi, anche coautore dell’allestimento della mostra e del catalogo.Di rilievo anche i nomi dei prescelti alla Commissione inviti e di premiazione tra cui, oltre i già citati Carli e Pallozzi, i critici d’arte Duccio Trombadori e Chiara Stroz-zieri, giovanissima e già nota esponente di una nuova ed impegnata generazione di valenti operatori culturali, sul ed oltre il territorio.De visu e dal ricco catalogo è emersa una ricerca ad ampio raggio di varie tipologie d’arte validamente riferibili alle attuali valenze contemporanee: in particolare l’opera pittorica “Senza titolo 2010” di Ma-rino Melarangelo di Teramo e la scultura in marmo nero del Belgio, denominata “Ritsu (III) 1995” del giapponese Toshiko Minamoto.

Anna Maria Cirillo

Arte/RanieriUn coinvolgente racconto dell’opera e della vita movimentata e avventurosa di Pasquale Verrusio, rinomato artista romano che ha scelto il mare d’Abruzzo per trascorrere la sua maturità insieme alla pittrice Èteras. Il libro traccia i contorni di una vita intimamente volta alla ricerca dell’autenticità, che nel suo percorso si arricchisce di incontri che ne influenzeranno fortemente l’opera: prima Guttuso –eletto suo maestro per caso e poi diventato sua guida poetica– e poi Éteras, sua musa e compagna di vita personale ed artistica, con la quale dal 1994 ha aperto, a Torino di Sangro, il Centro Europeo d’Arte “Le Morge”.Nicola Ranieri Verrusio/Èteras L’arte non muore Meta Edizioni, 2011, pp. 248, € 45,00

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Cucina/MichettiTra narrativa e gastronomia, due li-bri per ripensare al nostro rapporto col cibo: non solo nutrimento per il corpo, ma “espressione di com-portamento sociale” e patrimonio culturale di un territorio. In Cibo, che passione! Michetti –marsicano Doc, “buongustaio per dovere”, scrive di agroalimentare e di econo-mia del settore– intraprende un semplice ed ironico viaggio, fatto di episodi, aneddoti e curiosità, alla ricerca del piacere del cibo; in Davanti al caminetto raccoglie invece una serie di racconti ambientati nel ristorante “Al cami-netto”, pretesto per descrivere i tanti e deliziosi prodotti tipici abruzzesi che i gestori Nando e Concetta servono nel locale. Due libri piacevoli e divertenti, anche per i non addetti ai lavori. Paolo Michetti Cibo, che passione! – Editio, 2010, 160 pp, € 15,00Davanti al caminetto – Editio, 2010, 96 pp

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bre 2011 n.76 • € 4.50

Sandro Visca L’arte è un grande cuore rosso

Sangritana prossima fermataBoLoGNa Speciale architetturaPersonaggiaLfredo paGLioNe

Il formaggio di Nunzio Marcelli

Un pecorino da OscarPan dell'Orso: dolci sapori / Rustichella d'Abruzzo: in tour tra le spighe

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PESCARA • Piazza Garibaldi • Galleria Auchan • Aeroportowww.fabriziocamplone.it

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A vederlo, Nunzio Marcelli è esattamente come ci si figura che sia un pastore. Sguardo bonario, atteggiamento cal-mo, aspetto da montanaro. Quello che non si vede è però

una laurea in Economia, che Nunzio ha conseguito proprio con una tesi sulle possibilità di recupero delle aree marginali grazie alla pastorizia. Marcelli, presidente dell’Arpo (Associazione regionale produttori ovicaprini) è balzato agli onori della cronaca ormai die-ci anni fa con l’iniziativa “Adotta una pecora”, nata per dare dignità

produttiva ad un territorio, che offriva –in cambio di un contributo economico tutto sommato modesto– prodotti di qualità derivanti dalla pecora adottata: agnello, latte, formaggi, ricotta, lana, ferti-lizzante. Un’iniziativa che ha suscitato l’interesse di innumerevoli testate giornalistiche estere e nazionali e che ancora oggi ottiene riscontri positivi da ogni parte del mondo. E che è stata copiata da altre aziende italiane in Sardegna, Sicilia, Liguria, o declinata diver-samente, come in Trentino dove esiste la possibilità di adottare

Un pecorino da OscarDalle stalle abruzzesi alle stelle (del cinema): il formaggio di Nunzio Marcelli conquista New York.“Ma la pastorizia rischia di scomparire”

La Porta dei Parchi

Testo e Foto Andrea Carella

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III

Un pecorino da Oscar

una mucca: «Solo che –precisa Marcelli– in quei casi gli Enti loca-li sono intervenuti a sostegno dell’iniziativa, cosa che in Abruzzo non si sono neanche sognati di fare». Marcelli da anni lotta per salvaguardare quel che resta della pastorizia, per migliorare una si-tuazione drammatica che ha visto chiudere innumerevoli aziende nell’indifferenza generale di Asl, sindacati e classe politica: «Serve una programmazione, cosa che per il settore ovicaprino non è mai stata fatta. E servirebbe più attenzione da parte delle istituzioni per

un settore dell’agroalimentare che rischia davvero l’estinzione, con conseguenze gravissime dal punto di vista economico e culturale. Si parla tanto oggi della scomparsa dei piccoli Comuni, ma scom-pariranno le comunità se non si rilancia un’economia territoriale». La soluzione proposta da Marcelli e dai suoi è coerente: ricostruire un’economia integrata, che faccia da traino ad un turismo soste-nibile, a partire dall’offerta enogastronomica, affiancata alle altre iniziative. Come il recupero di unità immobiliari inutilizzate per

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IV

l’abbandono della montagna, che –ristrutturate nel rispetto delle tipologie abitative del borgo– vengono inserite in un progetto di “albergo diffuso” e messe a disposizione dei turisti. Tra le iniziati-ve di Nunzio Marcelli tese al recupero e alla conservazione della tradizione agropastorale è la transumanza, alla quale partecipano turisti da tutto il mondo che contattano l’azienda via web: una full immersion di tre giorni nella vita dei pastori dei secoli scorsi, a piedi con le greggi da Anversa degli Abruzzi passando per Castrovalva fino a Frattura Vecchia e al Piano delle Cinque Miglia, attraverso territori incontaminati, senza acqua corrente, nè energia elettrica (e a 1600 metri non prendono neanche i telefoni-ni). «Nello stesso spirito –ag-giunge Marcelli– ospitiamo stage con gli studenti dell'uni-versità del Minnesota e della California, che oltre a visitare l'azienda e il contesto territo-riale, partecipano direttamente alla produzione del formaggio, facendosi una piccola formina di pecorino che poi portano con sé, e inserendo così nel loro percorso di formazione gli elementi di tradizione e innovazio-ne che caratterizzano la nostra esperienza». Che l’azienda di Mar-celli sia ormai international lo dimostra anche la costante presenza di “wwoofer”, ossia di «ragazzi e ragazze che aderiscono al progetto WWOOF (Willing Workers on Organic Farms, www.wwoof.org) e dai quattro angoli del globo (abbiamo avuto inglesi, francesi, tede-schi, americani, giapponesi, olandesi, ungheresi, ovviamente anche italiani) vengono per periodi più o meno brevi (da due settimane a sei mesi) a lavorare e imparare a cucinare, curare l'orto, raccogliere le olive, in cambio di vitto e alloggio. Questo fa sì che in azienda e per il paese ci sia un costante andirivieni di giovani da tutto il mondo, con in comune l'interesse per questa esperienza di tutela del territorio e delle tradizioni». Con un meraviglioso scenario na-turale a fargli da cornice, l’azienda è un piccolo paradiso di 1100 ettari in cui trovano spazio 1200 capi, perlopiù pecore sopravvissa-ne (ma anche capre, maiali, asini e cavalli) dalle quali si producono squisiti formaggi (manco a dirlo, certificati biologici) che finiscono sulle tavole di tutto il mondo. Ricotta affumicata al ginepro, Ricotta

Scorza Nera, Pecorino classico, Brigantaccio, Muffato sono infatti oggi disponibili nei menù di alcuni dei più noti ristoranti di New York: da Eataly, per esempio, o da Babbo, Bar Boulud, Del Posto, Per Se e perfino da Locanda Verde, il ristorante di proprietà di Robert DeNiro. E perfino lo chef Tony Mantuano li serve nella Spiaggia di Chicago, il ristorante preferito di Obama che vi ha festeggiato la vittoria alle ultime presidenziali. Merito di questo successo l’intra-prendenza di Marcelli e l’incredibile qualità dei prodotti: «Per ot-tenere un buon formaggio ci vuole del buon latte –spiega– e le

pecore danno buon latte se c’è un buon pascolo. È il latte, la lavorazione a latte crudo (ovvero con latte non trattato, che mantiene quindi intatte le sue caratteristiche nutrizio-nali) che conferisce al formag-gio il suo particolare gusto. E ovviamente non bisogna dimenticare le fasi successive: salatura, stagionatura, e un controllo nel corso del tempo dell’andamento della stagio-natura, perché il formaggio è qualcosa di vivo, che ha biso-

gno di essere continuamente assistito. Per questo noi massaggia-mo i nostri formaggi con olio d’oliva per ridurne la traspirazione, in modo che determinati processi di fermentazione avvengano all’interno della forma, in maniera naturale. E far maturare un for-maggio in un ambiente integro e caratterizzato dalla biodiversi-tà, come tra le nostre montagne, non è certo lo stesso che in un nucleo industriale». La sua esperienza nella produzione casearia Marcelli l’ha messa a disposizione anche di progetti di coopera-zione internazionale: in Palestina, ad esempio, o in Afghanistan, dove è andato a sostenere i pastori Kuchi: «Visto che l’operazione militare americana si chiamava Enduring Freedom, noi abbiamo voluto chiamare la nostra Enduring Cheese, che sostanzialmente significa “formaggio stagionato”. In Afghanistan non si usa il caglio, e i loro formaggi non resistono nel tempo. Noi abbiamo portato il nostro know-how e gli abbiamo insegnato a stagionare i formaggi, loro ci hanno insegnato a fare il formaggio con il latte acido: è con questa tecnica che realizziamo il Muffato, un prodotto che è molto apprezzato negli Stati Uniti». Se lo sapesse Obama…

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Come si riconosce un buon pecorino

Alla prova del palato, bisogna degustare il formaggio la-sciando il tempo, in bocca, di raggiungere la tempera-

tura interna; in questo modo il formaggio a latte crudo può esprimere tutta la varietà dei profumi presenti, grazie ai diversi componenti acquisiti con il nutrimento delle greggi sui pasco-li, dove sono presenti erbe diverse; al contrario il formaggio pastorizzato, al quale è necessario (per ottenere la cagliata) aggiungere fermenti, che sono quindi di un unico ceppo, non sprigiona aromi diversi, ma è caratterizzato da una uniformità di aromi e sapori

La consistenza del formaggio può variare da una più gom-mosa se è stato prodotto in un periodo più caldo (prima-

vera/estate), mentre in periodi di grande caldo può avere un’occhiatura più marcata (mai eccessiva) per effetto di fer-mentazioni;

La presenza di latte di capra si evidenzia nei formaggi di lunga stagionatura per un sapore piccante più marcato e

leggermente più asciutto

Il colore può andare dal bianco avorio al giallo paglierino, più intenso quando c’è prevalenza di essenze ricche di betaca-

rotene, cioè quando l’erba è al massimo di maturazione (fine primavera)

Sono indizi di difetti la pasta non omogenea e una marcata occhiatura

Consigli Di Degustazione

I formaggi vanno sempre degustati a temperatura am-biente.

Consigliamo di associare la degustazione alla frutta di stagione ed agli ortaggi crudi, che sono in grado grazie

alla loro acidità naturale, di creare un giusto complemento di sapori e dare al palato una sensazione di completezza, oltre a favorire la digestione del formaggio.

Un’idea originale per portarli in tavola sono gli spiedi-ni di formaggio e frutta o verdura, in cui inserire un

pezzetto di formaggio e un chicco d’uva, o uno spicchio di finocchio, carote crude o melone, alternando formaggio e frutta o verdura per ottenere una sensazione di sapori e co-lori che esalta tutti i sensi.

Il vino da associare sarà un rosso corposo per formaggi di una certa stagionatura (oltre un anno), mentre quelli con

essenze di erborinato come il Muffato si sposano bene con vini liquorosi o moscato. La ricotta affumicata al ginepro è ideale se degustata con vini bianchi non troppo strutturati, come il pecorino o la malvasia.

La Porta dei ParchiAnversa degli Abruzzi, loc. Fonte di CurzioTel. 086449595 - 3293805825email [email protected]

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Scanno: il paese noto per la sua oreficeria, il cui simbolo è la Presentosa. Scanno: il paese reso famoso dalle immagini di Cartier-Bresson e di Giacomelli. Scanno, il paese rinomato

per il Pan dell’orso, per i mostaccioli e le “lumachine”. La famiglia Di Masso da tre generazioni detiene la tradizione dolciaria dell’an-tico centro turistico: una famiglia che ha tramandato di padre in figlio i gusti e i saperi della pasticceria mantenendo forme e sa-pori della tradizione. Ultimo di loro è Angelo Di Masso, pasticciere pluridecorato che a Scanno vive, lavora e produce, quando non si trova all’estero per partecipare a concorsi e premi. «Mi ritengo un apprendista –afferma– perché in questo mestiere non si finisce mai di imparare e di attingere alle esperienze precedenti. I nostri ultimi prodotti sono dolcetti ripieni di marmellata di mele cotogne di Scanno, crema di mandorle al cacao e una marmellata di Mon-tepulciano d’Abruzzo. La creatività è fondamentale anche per i pasticcieri, ma la differen-za tra noi e gli chef è che per noi non esiste il “q.b.”: abbiamo un at-teggiamento molto più preciso nelle quantità, per poter ottenere sempre lo stesso risultato e mantenere inalterati i sapori. La nostra produzione è realizzata tutta nel nostro laboratorio, e le materie prime sono frutto del nostro territorio, notoriamente generoso». Il Pan Dell’Orso è il loro prodotto più noto. Ma non è una rivisita-zione del Parrozzo di D’Amico e d’Annunzio? «No, quello è infatti un “pan rozzo”, ed è fatto con farina di granturco. Il nostro utilizza farina di frumento e ha altre caratteristiche. In effetti di simile c’è solo l’aspetto». Altri prodotti tipici scannesi a firma Di Masso sono i mostaccioli, nelle loro varianti al cioccolato o ricoperti di glassa di zucchero, e i frutticelli, deriva-ti dalla ricetta di una signora scannese, realizzati nella ca-ratteristica forma a lumachi-na e ripieni di crema pastic-ciera e marmellata di mele

cotogne: «Ma produciamo anche pasticceria tradizionale, locale e nazionale. E nel periodo natalizio anche panettoni, rigorosamente artigianali». E del resto la ditta Di Masso «è una tipica azienda arti-gianale a conduzione familiare. Sotto la guida di mio padre Gino lavora tutta la famiglia: io mi occupo della pasticceria insieme a mia mamma Maria mentre i miei fratelli Giulio e Alessandro hanno la gestione del punto vendita e del bar. Giulio inoltre si occupa del-la cura del giardino antistante il bar pasticceria: un luogo ameno, costeggiato da un piccolo torrente, un vero orto botanico dove –quando il clima lo consente– è piacevole sostare per un caffè e un pasticcino dopo aver fatto il tour del paese».

Pan dell'Orso

Dolci saporiIl gusto della tradizione dolciaria scannese nell’arte pasticciera della famiglia Di Masso

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Rustichella d'Abruzzo

In tour tra le spighe

Cinque giorni, un evento. La trebbiatura è un momento importante per Rustichella d’Abruzzo, l’azienda che da Pianella porta la buona pasta artigianale abruzzese in

tutto il mondo. Un evento che il pastificio guidato dalla famiglia Peduzzi ha –come in passato– voluto celebrare e condividere con i suoi migliori clienti e distributori, giunti a Pianella dai quattro an-goli del mondo (Stati Uniti, Russia, Svizzera, Canada e Giappone) per un tour promozionale e didattico il cui momento culminante è stato proprio il giorno della trebbiatura. «Primograno, la nostra ultima linea di pasta artigianale –spiega Gianluigi Peduzzi, patron dell’azienda– nasce da un progetto di interazione e sinergie con l'area Vestina, una zona ormai famosa per l’olio, che si sviluppa lun-go la vallata del Fiume Tavo, un tempo ricca di mulini; la pasta Pri-mograno viene realizzata con tre varietà di grano (S. Carlo, Varano e Mongibello) che alcuni imprenditori agricoli di Pianella, Moscufo e Loreto Aprutino seminano su circa 100 ettari di terreno». Tutti i pro-cedimenti di lavorazione di Primograno, dalla semina al raccolto, «sono monitorati da alcuni esperti aziendali con la collaborazione e il controllo dell'Istituto Cerealicolo di Foggia, al fine di ottenere un grano duro con un alto potere proteico fondamentale per la qua-lità della Pasta». Gli oltre 20 partecipanti al Primograno Tour 2011 hanno visitato il molino aziendale e partecipato alla tradizionale trebbiatura a Castiglione Messer Raimondo.

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La pasta usata dai migliori chefs del mondo......................................................................................................................LAVORAZIONE ARTIGIANALE DAL 1924SEMOLA DI GRANO DURO

TRAFILA DI BRONZO

ESSICCAZIONE A BASSA TEMPERATURA

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