+ All Categories
Home > Documents > Vol. Paragrafo 1 - Unibg · 2009. 3. 24. · ni; schivo, ma non quanto vorrebbe il luogo comune, lo...

Vol. Paragrafo 1 - Unibg · 2009. 3. 24. · ni; schivo, ma non quanto vorrebbe il luogo comune, lo...

Date post: 19-Aug-2020
Category:
Upload: others
View: 2 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
25
§ PARAGRAFO RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI
Transcript

§PARAGRAFORIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

ParagrafoRivista di Letteratura & Immaginari

pubblicazione semestrale

Redazione

FABIO CLETO ([email protected]), DANIELE GIGLIOLI ([email protected]),MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE ([email protected]),

FRANCESCO LO MONACO ([email protected]),STEFANO ROSSO ([email protected]), AMELIA VALTOLINA ([email protected])

Ufficio 211Università degli Studi di Bergamo

P.za Rosate 2, 24129 Bergamotel: +39-035-2052744 / 2052706

email: [email protected]: www.unibg.it/paragrafo

La responsabilità delle opinioni e dei giudizi espresso negli articoliè dei singoli collaboratori e non impegna la Redazione

Questo numero è stato stampato con il contributo delDipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità dell’Università di Bergamo

© Università degli Studi di BergamoISBN 88-87445-88-5

Edizioni Sestante / Bergamo University PressVia dell’Agro 10, 24124 Bergamo

tel. 035-4124204 - fax 035-4124206email: [email protected] - web: www.sestanteedizioni.it

Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo

PRESENTAZIONE 5

FORME

§1. STEFANIA CONSONNI, Disegni e realtà. Le finzioni di Don DeLillo

§2. LUCA BERTA, Il neon di David Foster Wallace e il punto di vistadell’aldilà

§3. LAURA OREGGIONI, La punta dell’iceberg. Sten Nadolny e il sensodella possibilità

GENERI

§4. NICCOLÒ SCAFFAI, Altri canzonieri. Sulle antologie della poesiaitaliana (1903-2005)

§5. GABRIELE BUGADA, Lo specchio del sogno. Lo statuto della rappre-sentazione in Mulholland Drive di David Lynch

§6. GIOVANNI SOLINAS, Il mito senza fine. Poetica dell’immagine econcezione mitica in André Breton - Una proposta d’analisi

TEMI

§7. ANDREA GIARDINA, Il viaggio interrotto. Il tema del cane fedelenella letteratura italiana del Novecento

§8. MICHELA GARDINI, Derive urbane fin de siècle

§9. GRETA PERLETTI, Dal mal sottile al mal gentile. La malattiapolmonare e il morboso ‘interessante’ nella cultura dell’Ottocento

I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO 199

ParagrafoI (2006)

Sommario

9

31

53

75

99

123

145

167

179

The truest poetry is the most feigningAs You Like It, III, iii

Fantasticando sulla morfogenesi dell’universo nella sua “Guida galatticaper autostoppisti”, Douglas Adams azzarda un’ipotesi. La realtà intera sa-rebbe un accidente causato nella notte dei tempi dalla frivolezza di parti-celle inerti che, tutto d’un tratto, scoprirono la possibilità di aggregarsisecondo stravaganti configurazioni. Quanto più arbitrario, impervio, ildisegno, tanto più persistente, irreparabile, il risultato:

Il nientesimo di secondo che occorse al buio per aprirsi e chiudersi si ri-percosse avanti e indietro nel tempo nel più improbabile dei modi. Daqualche parte, nel passato profondamente remoto, traumatizzò un grup-petto di atomi che vagavano a casaccio nella vuota sterilità dello spazio, eli indusse a stringersi insieme secondo il più straordinariamente inverosi-mile degli schemi. Questi schemi impararono ben presto a riprodurre sestessi (il che faceva parte dell’estrema inverosimiglianza degli schemi stes-si) e si misero a provocare gravi guai su tutti i pianeti che toccavano. Fucosì che cominciò la vita nell’Universo.1

Dopo quasi cinquant’anni di carriera, e altrettanti titoli fra racconti, ro-manzi, saggi e opere teatrali, Don DeLillo potrebbe chiosare: la realtà èl’esito di morfologie complicate come labirinti, di strutture, “rapporti elegami strani, strani, strani”.2 Quanto più ‘strani’ – fittizi – tanto più veri.E in primo luogo narrativi. Come nota Marc Chénetier, infatti, non allecose in sé ci spinge a guardare DeLillo, ma alle loro relazioni, a ciò che

1 Douglas Adams, The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy (1979), trad. it. di Laura Serra,Guida galattica per gli autostoppisti, Milano: Mondadori, 1996, p. 83.

2 Don DeLillo, Players (1977), trad. it. di Maria Teresa Marenco, Giocatori, Torino: Ei-naudi, 2005, p. 169.

§1

Stefania Consonni

Disegni e realtàLe finzioni di Don DeLillo

PARAGRAFO I (2006), pp. 9-30

Thomas Pynchon e Joseph McElroy chiamano le connessioni.3 Non suuna tassonomia di formule d’intrattenimento fanno leva i suoi romanzi,ma su un’anatomia del linguaggio rigorosa e severa. Non, insomma, suun gioco di trivial pursuit fatto di codificazioni sature e pigre, ma su unacorrispondenza più profonda, più stretta, fra esperienza e conoscenza,memoria e scrittura. Fra realtà e forma, vale la pena di aggiungere. Perchéle costruzioni narrative in DeLillo – le sue trame, i suoi intrighi: i suoicomplotti – non smettono mai, neppure per un attimo, neppure nei det-tagli più remoti e ricercati, di interpellare la realtà. Ma in che modo, me-diante quale connessione? O, detto altrimenti, che cosa rende ‘vera’ la fin-zione di DeLillo, qual è la marca strutturale del suo indubbio, ma sfug-gente, ‘realismo’?

Domande ampie, che già evidenziano un problema. Manca, e occorre-rebbe, una riflessione morfologica sul lavoro di DeLillo, un’indagine ap-profondita delle relazioni fra i suoi disegni narrativi e l’idea di realtà cherappresentano. Che infatti quello fra funzione rappresentativa e linguaggiodelle forme sia un nesso decisivo nella letteratura contemporanea lo segna-la il dibattito sul ‘neorealismo’ di DeLillo, appunto, o Raymond Carver,Toni Morrison, Bret Easton Ellis, Jonathan Franzen; e di romanzi che, do-po la lezione di Pynchon, Barth e Barthelme, sembrano in qualche misuraoltrepassare – si badi: intrecciandole – tecniche formali e strategie rappre-sentative “tanto del realismo ‘classico’ quanto (si può dire?) del postmoder-no ‘classico’”.4 Romanzi, cioè, in cui preoccupazioni epistemologiche im-ponenti, e quanto mai attuali, “si fondono, si combinano, o addirittura(intenzionalmente o meno) si scontrano con il linguaggio formale del rea-lismo”; in cui, in altri termini, realtà e paradigmi sciolgono i loro legamicodificati (di volta in volta ‘classici’ o ‘postmoderni’, secondo la nomencla-tura corrente), riarticolandosi in maniere nuove, e costruendo effetti ditensione “più evidenti man mano che questi due aspetti si allontanano l’u-no dall’altro”.5 È appunto a un legame spezzato – o meglio, ricodificato,ridisegnato – fra forme e realtà che vorrei dedicare questa riflessione.

Con un’avvertenza. Mi servirò, nell’osservare la finzione di DeLillo,tanto dei suoi romanzi quanto di interviste rilasciate negli ultimi vent’an-

10 / STEFANIA CONSONNI

3 Marc Chénetier, “Don DeLillo. La résistance aux systèmes”, Le Monde, 29 giugno1994, p. 16. Ove non altrimenti indicato, le traduzioni sono mie.

4 Thomas Claviez, “Neo-Realism and How to Make It New”, Amerikastudien, 49:1,2004, p. 6.

5 Ivi, p. 11.

ni; schivo, ma non quanto vorrebbe il luogo comune, lo scrittore ha in-fatti eletto alcuni recenti colloqui con la stampa e la critica a teatro anato-mico della sua poetica, talvolta illustrando personalmente, e con straordi-naria lucidità, il disegno – il design: la morfologia, l’aspetto presunto ‘fit-tizio’, ma volendo anche l’intenzione, il sembiante ‘vero’, autoriale – delsuo lavoro sulla forma romanzo.

Uno. Configurazione

Una premessa, anzitutto. Anche senza addentrarsi nel dibattito filologicoe critico sulle relazioni intermediali fra letteratura e arti visive,6 parlare di‘forme’, di ‘disegni narrativi’, significa sovrapporre un metalinguaggio vi-sivo, o spaziale – immediatamente percepibile nel termine disegno – con ilmedium della scrittura narrativa, che G.E. Lessing per primo, a metà Set-tecento, ha regolamentato nella sua natura temporale, o uditiva. Vuol di-re indagare una specifica qualità visiva dei romanzi di DeLillo: la loroqualità configurazionale. Una qualità strutturale, embricata alla dimensio-ne narrativa, che va anzitutto distinta dall’abilità tematica dello scrittorenell’esplorare la cultura contemporanea, nel confrontarsi con la crescenteproduzione iconica, con la dimensione ‘simulacrale’ della realtà; con ilpotere dell’immagine, insomma, ciò che Heinz Ickstadt chiama “la nuovareligione dell’Immagine e i suoi santuari mediatici: la fotografia, il cine-ma, la televisione, la pubblicità, il digitale”, e che senza dubbio fa di De-Lillo un “neorealista, uno storico del suo tempo, il cronista di una culturache ha trasformato il ‘reale’ in un’immagine del ‘reale’”.7

DISEGNI E REALTÀ / 11

6 Mi permetto di segnalare in merito la sezione “Strutture dello spazio” del mio Geome-trie del tempo. La trama nel romanzo inglese del Settecento, in via di pubblicazione.

7 Heinz Ickstadt, “The Narrative World of Don DeLillo”, in Susanne Rohr e SabineSielke (a cura di), Faces of Fiction: American Literature and Culture from the Jacksonian Pe-riod to Postmodernity, Heidelberg: Winter, 2001, pp. 364, 375. Questo aspetto, particolar-mente evidente in White Noise (1985), è stato peraltro oggetto di critiche feroci comequella di Bruce Bawer: “Se c’è una cosa comune ai suoi romanzi, oltre al motivo ‘addio-sogno-americano’, è una sorprendente implausibilità. La rappresentazione del reale non èla sua specialità”. E ancora, citando un prodotto da fast food: “Se amate i romanzi infarci-ti di ‘filosofia McNuggets’, White Noise vi piacerà”. Bruce Bawer, “Don DeLillo’s Ameri-ca”, New Criterion, 3:8, aprile 1985, p. 38. D’altro canto, come nota Claviez riportandoparole di Winfried Fluck, non mancano sintomi di una crescente insofferenza per la ricor-rente equazione secondo cui DeLillo sarebbe un “card-carrying postmodernist”: “DeLillonon è Baudrillard. Rivelando quella che probabilmente è una differenza capitale fra teorialetteraria e scrittura creativa, […] si preoccupa di come riconoscere l’esistenza di nuoverealtà, e di come continuare comunque a vivere” (op. cit., p. 11).

In effetti, è l’autore stesso a distanziare in più di un’intervista la pecu-liare qualità visiva della scrittura letteraria da quella di altri media. Nel1999, interrogato da Maria Moss sulla presenza di cinema e televisione neisuoi romanzi, e sul ruolo dello scrittore “in una società dominata dall’im-magine”, risponde di non considerarsi in competizione con i media visivi,perché se ad esempio esiste una relazione fra il romanzo e il cinema, è datadal fatto che entrambi si basano sulla narrazione, il che li lega in manieraassai più significativa. Sennonché, prosegue, “il romanzo non segue il ci-nema, lo guida”. È questo il ruolo della letteratura: “creare un clima, unambiente nuovo, non reagire a ciò che esiste già. I romanzieri devono ve-dere le cose prima degli altri”, poiché la scrittura “non è che una forma piùconcentrata di pensiero”.8 Sette anni prima, parlando con Brigitte Desalmdi una presunta egemonia culturale del segno visivo, distingueva infattidue tipi di scrittore, quello per così dire ‘uditivo’, “che coincide semplice-mente con una voce”, e quello ‘visivo’, che sa “creare anche immagini”. Etuttavia, precisava, “la differenza fra il mondo delle immagini e quello del-le parole è straordinaria, e difficile da definire. Un’immagine è un po’ co-me una massa: una moltitudine di impressioni. Un racconto, invece, conil suo procedere lineare e ordinato di caratteri e parole, sembra più connes-so all’individualità”.9 Una spazialità astratta, ‘privata’, dunque – DeLillousa qui con sottile disimpegno (nel 1992, un anno dopo Mao II) l’opposi-zione ‘massa’ vs. ‘individuo’ –, inscindibile dalla temporalità (la linearitàordinata di caratteri e parole) connaturata al racconto, e in grado di vederela realtà, di crearne immagini narrative intessendo le stringhe sequenziali eorientate del linguaggio verbale. È questa, cui torneremo a tempo debito,la sostanza configurazionale della narrazione quale disegno.

Nessuno l’ha descritta meglio di Paul Ricoeur in Tempo e racconto.“Perché non si può – perché non si deve”, osserva in merito al raccontodi finzione, “sottrarsi a qualche paradigma d’ordine per quanto raffinato,artificioso e labirintico sia”?10 Una prima risposta ci giunge, inaspettata e

12 / STEFANIA CONSONNI

8 Maria Moss, “‘Writing as a Deeper Form of Concentration’: An Interview with DonDeLillo”, Sources, primavera 1999, ora in Thomas DePietro (a cura di), Conversationswith Don DeLillo, Jackson: University Press of Mississippi, 2005, pp. 156, 158, corsivomio (d’ora in poi segnalato nel testo con la sigla M; il volume curato da DePietro sarà in-vece indicato con la sigla DeP).

9 Brigitte Desalm, “Masse, Macht und die Eleganz der Sätze”, Kölner Stadtanzeiger, 27ottobre 1992.

10 Paul Ricoeur, Temps et récit II. La configuration dans le récit de fiction (1984), trad. it.

forse già paradossale, dalla tradizione settecentesca del realismo à la Fiel-ding, imperniato su un intervento sempre più “sofisticato a livello dellacomposizione”, sull’“invenzione di intrighi sempre più complessi e, in talsenso, sempre più distanti dal reale e dalla vita”, e votato a un singolaredestino. Da un lato, la canonizzazione otto e novecentesca della forma ro-manzo, la “conquista di nuove regioni da parte del principio formale diconfigurazione”; dall’altro l’eterodossia, innegabilmente più affascinante,dell’anti-romanzo, la scoperta con Laurence Sterne “del carattere semprepiù convenzionale di tale impresa”, e la crescente consapevolezza che “so-lo delle convenzioni sempre più complesse [possono] restituirci il natura-le e il vero”.11 (Fra l’una e l’altra, come sappiamo, miscele e tensioni più omeno ‘classiche’ o ‘postmoderne’, recenti o originali.)

Certo, non a una natura e a una verità uniche e stabili rimandano i la-vori di DeLillo. Tutt’altro. Eppure, ci mostrano la limpida ineludibilità deiparadigmi, le metamorfosi elastiche delle morfologie narrative. “Si sente di-re oggi”, prosegue Ricoeur, “che solo un romanzo senza intrigo, né perso-naggio, né organizzazione temporale precisa, è più autenticamente fedele aduna esperienza a sua volta frammentata e inconsistente rispetto al romanzotradizionale”, cosicché se nel passato era la complessità sociale a esigere“l’abbandono del paradigma classico”, oggi “è la presunta incoerenza dellarealtà che richiede l’abbandono di qualsiasi paradigma”.12 È una posizione,quest’ultima, a suo modo forse attraente ma povera, poiché allestita attornoa un’idea insufficiente di struttura narrativa (la mimesis come copia dellarealtà), e lontana dal riconoscerne la funzione rappresentativa più potente,con la quale ogni finzione – dalla più oliata alla più discontinua – deveconfrontarsi: l’intrigo è “sintesi dell’eterogeneo”, è una “nuova congruenzanella connessione degli accadimenti”, è “intelligenza nello schematismo”.13

Configurare un racconto, spiega DeLillo del canto suo, è infatti comerisolvere un problema matematico articolato, la cui “soluzione è così sem-

DISEGNI E REALTÀ / 13

di Giuseppe Grampa, Tempo e racconto. Vol. 2. La configurazione nel racconto di finzione,Milano: Jaca Book, 1985, p. 48.

11 Ivi, pp. 28, 29.12 Ivi, p. 30. In un’intervista del 1982 DeLillo afferma che “non è vero che la vita mo-

derna è diventata troppo fantastica perché la letteratura possa riuscire a catturarla”. È ve-ro, semmai, che “i romanzi che davvero ci riescono sono impegnativi”: troppo. RobertHarris, “A Talk with Don DeLillo”, New York Times Book Review, 10 ottobre 1982, ora inDeP, p. 19.

13 Paul Ricoeur, Temps et récit (1983), trad. it. di Giuseppe Grampa, Tempo e racconto,Milano: Jaca Book, 1983, p. 8.

plice ed evidente da meravigliarsi di non averla intuita prima. Ma quandoci arrivi, sai che è quella giusta [poiché] funziona secondo una sua pro-pria logica”.14 Viene subito da pensare a Ratner’s Star (1976), il più calco-lato dei suoi lavori sia nel tema – la matematica pura, “conoscenza segre-ta” e fonte “di linguaggi nuovi, di nuove connessioni” –15 sia nell’impiantonarrativo, nitido e imperioso, in due parti modellate attorno all’Alice diLewis Carroll e declinate sui codici della fantascienza e del cosiddetto‘realismo isterico’ (o recherché postmodernism, come anche viene chiamatoin scrittori quali Richard Powers, Salman Rushdie, o David Foster Walla-ce). Un romanzo, racconta DeLillo a Thomas LeClair, concepito “per es-sere nuda struttura”, affinché diventasse, nelle forme, “identico al suo og-getto. Strutture astratte e modelli di connessione. Un esercizio di mate-matica”. Un romanzo che è tutto disegno – come Under the Volcano, pen-sato da Malcolm Lowry quale struttura circolare, o Finnegans Wake, cheinvece “dovremmo leggere alla rovescia, dall’ultima pagina alla prima”(LeC, p. 11), o come la clessidra formata da The Ambassadors di James ela cattedrale della Recherche proustiana – e che incarna “un modello ordi-nato e armonico”, ossia “uno degli scopi tradizionali della matematica pu-ra”.16 E sul medesimo principio si costruiva End Zone (1972), un roman-zo sul football in cui anche “la narrazione in sé è una sorta di gioco”, cau-tamente strutturata com’è a veicolare “un senso di ordine, un elemento didignità” (LeC, p. 6): i giochi, con le loro regole e i loro confini (le centroiarde di un campo, i sessanta minuti di una partita) sono per DeLilloun’altra metafora della costruzione narrativa. (Qualcosa di simile, ma piùcomplicato, come vedremo, accade nel Prologo di Underworld con un in-contro di baseball fra New York Giants e Brooklyn Dodgers.)

Ma l’idea della configurazione narrativa come disegno della realtà –vero perché astratto, semplice perché sofisticato, audace perché conven-zionale – è un Leitmotiv più o meno trasparente in tutti i suoi romanzi.Proviamo a interpellare il savant Murray Jay Siskind, sacerdote ispirato

14 / STEFANIA CONSONNI

14 Jonh Wilde, “The Day Kennedy Died”, Melody Maker, 19 novembre 1988, p. 53.15 Thomas LeClair, “An Interview with Don DeLillo”, in Thomas LeClair e Larry Mc-

Caffery (a cura di), Anything Can Happen: Interviews with Contemporary American Writers,Urbana: University of Illinois Press, 1983, ora in DeP, pp. 9, 11 (d’ora in poi LeC). Ilprotagonista di Ratner’s Star vede nella matematica una disciplina splendida perché “seve-ra, obbediente a un codice di regole interne”, “austera” nel suo legame con “la semplicità ela permanenza”, nella sua ricerca di “conclusioni necessarie” e “forme significanti”, e gene-rosa nella “multiforme libertà che offre proprio attraverso le restrizioni che sempre impo-ne”. Don DeLillo, Ratner’s Star, New York: Knopf, 1976, p. 13.

della banalità quotidiana. “Tramare significa vivere”, egli rivela a JackGladney in White Noise (1985); “tutta la vita è una trama, un piano, undiagramma. Un piano fallito, ma questo non c’entra. Tramare significaaffermare la vita, cercarne una forma e il controllo”. Ogni cosa è “preci-sione, dettaglio, ordine, disegno”, perché “[t]ramare, mirare a qualcosa”significa “dare forma a tempo e spazio. È così che facciamo progredirel’arte della coscienza umana”.17 Tale è anche la convinzione di Owen Bra-demas, l’archeologo affascinato in The Names (1982) dalle lettere dell’al-fabeto, “quelle forme stupende, strane”, che zittiscono, codificandolo,“tutto il borbottio, il balbettio e il chiacchiericcio” del mondo, e che“l’occhio avvolge” con “passione irragionevole […] stravagante, sciocca”,alla ricerca di “relazioni, strutture parallele […] un disegno che facciaparlare questo mucchio di caratteri”: tutta la realtà, infatti, “anche ciò chesembra casuale[,] assume un aspetto ideale e giunge a noi in forme pitto-riche. È tutta questione di saper vedere […] un disegno nelle cose, […]momenti nel flusso”.18 Ancora prima, Lyle, l’anodino agente di Borsa chein Players (1977) si improvvisa terrorista, “[v]edeva nei numeri e nelle si-gle […] un’ingegnosa riduzione del mondo esterno in materia stampata,un modello codificato di esattezza” da cui trarre “un’impressione di realtàseparata dalla risonanza dei propri sensi”.19

E come trascurare Bill Gray, lo scrittore protagonista di Mao II (1991)?Omaggio a Pynchon e parziale autoritratto, “la vecchia testa melanconicae segnata”, Gray vive chiuso in una stanza e fermo sullo stesso romanzo dadecenni, circondato da “grafici alla parete”, che sono l’alfabeto del suo li-bro, fatto di “riquadri sbilenchi e ghirigori”, di figure “interessanti da stu-diare, tutte le frecce e gli scarabocchi e i pittogrammi, le linee che colle-ga[no] elementi dissimili”, in cui c’è “qualcosa di primitivo e di audace”.20

È una figura ambigua, la sua; da un lato è incarnazione della fede di De-Lillo nella forma romanzo, un “grido democratico” accessibile a chiunque,

DISEGNI E REALTÀ / 15

16 Anthony DeCurtis, “An Outsider in This Society: An Interview with Don DeLillo”,South Atlantic Quarterly, 89:2, 1988, trad. it. “Emarginati, assassini, misteri”, in AA.VV.,Tra due oceani. Interviste con gli scrittori di “Linea d’ombra” (1983-91), Milano: Linea d’om-bra, 1991, p. 188 (d’ora in poi DeC).

17 Don DeLillo, White Noise, trad. it. di Mario Biondi, Rumore bianco, Torino: Einaudi,1999, pp. 347-48.

18 Don DeLillo, The Names, trad. it. di Amalia Pistilli, I nomi, Torino: Einaudi, 2004,pp. 24, 94, 43.

19 Don DeLillo, Giocatori, cit., p. 67.20 Don DeLillo, Mao II, trad. it. di Delfina Vezzoli, Torino: Einaudi, 2003, pp. 152, 44.

anche a un “un ignoto sgobbone, un desperado che non ha nutrito che unsogno”, il quale “può mettersi a sedere e trovare la sua voce”, facendo“qualcosa di così angelico da lasciarti a bocca aperta”.21 D’altro canto,Gray è il portavoce di una dignità etica, di un rigore morale radicato in unlavoro di configurazione non soltanto narrativa, ma più profondamentelinguistica, che sancisce il confronto dello scrittore con la realtà,22 ed èpertanto un trait d’union con la figura del terrorista, alla quale ogni ro-manziere è legato dalla capacità di “rimpiazza[re] le cose reali con intreccie invenzioni”, di restringere “il mondo entro i suoi angusti confini” e diplasmare con ciò la “vita segreta, la rabbia che cova sotto ogni oscurità enegligenza”, alterando così “la vita interiore della cultura”.23

Trame, complotti. Ecco la glossa di Walter ‘Win’ Everett, ex agentedella CIA e cospiratore (mancato) in Libra (1988), colui che – dalla fru-strazione professionale e dal risentimento seguiti al congedo dall’Agenziadopo il fallimento di un’operazione anticastrista – distilla l’idea geniale diun attentato (mancato) al Presidente Kennedy: “Le trame possiedono unalogica. […] La trama di un romanzo […] è il nostro modo di localizzarela forza della morte fuori dal libro, di esorcizzarla, di contenerla”.24 Perquesta ragione, se noi tutti “[s]iamo personaggi di una trama”, e se “leesistenze che viviamo, esaminate attentamente nel complesso dei legami edella affinità, abbondano di senso, di significato, temi e svolte tortuoseche non consentiamo a noi stessi di vedere completamente”, il compitodel terrorista è quello di mostrare le occulte “simmetrie di una vita qua-lunque”. Di rimando, Nicholas Branch – l’analista della CIA segretamenteincaricato di redigere la storia dell’omicidio – impiegherà nella ricostru-zione del complotto “mani e occhi, colore, forma e memoria, la configu-razione di cose significative”, fabbricando “teorie che splendono comeidoli di giada, affascinanti sistemi di ipotesi, a quattro facce, aggraziati”,

16 / STEFANIA CONSONNI

21 Ivi, p. 172.22 “[O]gni frase compiuta ha una verità in attesa alla sua fine e lo scrittore impara a ri-

conoscerla quando finalmente ci arriva. A un certo livello questa verità è il ritmo della fra-se, il suo polso e il suo equilibrio, ma a livello più profondo è l’integrità dello scrittore[…]. C’è una forza morale in una frase quando ti riesce giusta”. Ivi, p. 54. Parole, queste,che potrebbero essere tolte a un’intervista di DeLillo, come vedremo.

23 Ivi, p. 216. Nel settembre 1988, appena dopo l’uscita di Libra, DeLillo è accusato daGeorge Will sul Washington Post – con una formula diventata celebre, e cambiata di segnoda Frank Lentricchia – di aver prodotto un atto di “vandalismo letterario e cattiva co-scienza civile”.

24 Don DeLillo, Libra, trad. it. di Massimo Bocchiola, Torino: Einaudi, 2000, pp. 208-09.

dando forma a ciò che “intendono gli scienziati quando usano il termine‘soluzione elegante’”.25

Si obietterà ora, legittimamente, che la trama di Win Everett, così “ori-ginale, sobria e pulita” – e tuttavia aggrovigliata, fatta di “labirinti che sidirama[no] all’infinito”, “satur[a] di ansia, involut[a]” –, è destinata asmarrirsi nelle minuzie e a lasciar posto al piano militare, prosaico ma effi-cace, di T-Jay Mackey, Raymo e Frank Vasquez, cosicché l’elaborata cileccafantasticata da Everett per le geometrie di Dealey Plaza diventerà un omi-cidio reale.26 Segno questo, del fatto che – per riprendere le parole di unpersonaggio in Running Dog (1978), riferite al fascino della pornografia –“line[e], grazia, simmetrie” non sanno tenere il passo con la realtà, e ancormeno con la storia, e che è dunque l’assenza di “psicologia” – di dinamiche“stran[e]”, cariche di “interesse umano” – a rendere i sistemi mere “formu-le. Concetti essenzialmente sterili”.27 Del resto, è lo stesso Everett a notare“una tendenza, nelle trame, a evolvere in direzione della morte”, il fattocioè che la morte è “insita nella natura di ogni trama. Nelle trame di nar-rativa come in quelle di uomini armati. Più la trama di un racconto è fitta,più è probabile che approdi alla morte”. E ha ragione: lui stesso moriràsenza gloria verso la fine di Libra, “nel maggio 1965 in [un] motel neipressi di Alpine, Texas”; nella “stanza delle teorie”, e a dispetto del suo no-me, Branch rimarrà una caricatura malinconica di Hayden White e dellastoriografia narrativa, poiché non riuscirà a comporre alcun disegno intel-ligibile dal labirinto di coincidenze inviatogli dal capoarchivista dell’Agen-zia;28 e DeLillo chiuderà il romanzo con Marguerite Oswald che consegnaalla Storia il nome – un nome misero in maniera commovente, senza di-gnità, mille volte rubato o respinto – del figlio appena sepolto.

Si dirà pertanto che la realtà (la Realtà?) ha infine ragione delle forme,della loro astrazione e eleganza che nell’incontro, quasi sempre finale, conla morte – con la presentificazione estrema del reale – si rivela per ciò cheè: riduzione di complessità. È raro trovare in DeLillo il sollievo morfologi-co di un’Apocalisse, e il lettore che l’aspetti rimarrà deluso. È quel che ac-

DISEGNI E REALTÀ / 17

25 Ivi, pp. 75, 15-16, 28.26 Ivi, pp. 207, 390.27 Don DeLillo, Running Dog, trad. it. di Silvia Pareschi, Torino: Einaudi, 2005, pp.

16, 146.28 Don DeLillo, Libra, cit., pp. 209, 352. Branch, ‘ramo’, rimanda alla morfologia labirin-

tica. Lo segnala François Happe, “La conspiration du hasard. Histoire et fiction dans Librade Don DeLillo”, Revue française d’études américaines, 68, 1996, p. 102 (d’ora in poi H).

cade in Players, con la morte senza motivo di Jack, un probabile suicidio,in seguito alla quale Pammy conclude che “le persone inconsciamente sipiegano alle esigenze del mondo fisico, si impegnano in fantastiche danzecon la natura ogniqualvolta la morte colpisce qualcuno vicino a loro”;29 inRunning Dog, con la fine addestrata, orrenda, di Glen Selvy, che gli lasciail tempo di osservare la sabbia fra le ciglia del suo assassino;30 in Mao II,con Bill Gray che muore di una morte qualunque, irritante, su un tra-ghetto che dovrebbe trasportarlo verso lo scrittore, ostaggio di un gruppoterroristico, attorno alla cui liberazione sono aggrappati gli ultimi bran-delli della sua identità; e in White Noise, naturalmente, che la morte l’hagià nel titolo, con la sperimentazione del Dylar (un farmaco che dovrebbesmorzarne la paura), l’esposizione di Jack Gladney alla nube tossica diNyodene D., e l’omicidio grottesco dell’amante di Babette.

In tutti questi casi, il disegno narrativo si sfuoca e si allenta, spesso siinterrompe o si smaglia rapidamente per gettarsi in finali disfatti, sconfit-ti, in tono minore, casuali o senza importanza. Quasi, insomma, che nel-l’architettare e mettere in crisi le strutture più articolate l’opera di DeLil-lo, nella sua interezza, fosse (e lo è) una meditazione sulla – e un’interpel-lazione della – morte, un lavoro di cordoglio che trova consolazione forsesoltanto con Underworld (1997): un romanzo sulla desolazione, la nudadolcezza di ciò che resta dopo la perdita e l’abbandono, e che ha già neltitolo una prospettiva sotterranea; che si apre con l’incontro fra il capodell’FBI J. Edgar Hoover, incarnazione della paranoia americana degli an-ni Cinquanta, e il Trionfo della morte di Bruegel, che dal buio del Cin-quecento gli piomba addosso, su una pagina di Life, per ossessionarlo, persedurre il disegno terso – delirante – della sua mente con il disgustoinforme delle cose reali; che si chiude con l’omicidio dell’orfana Esmeral-da e la morte nel sonno di Sister Edgar; e che ha per protagonista NickShay, un uomo al quale la scomparsa del padre e una condanna per omi-cidio hanno sepolto la giovinezza, e la cui vita è legata ai rifiuti: alle coseche il mondo ha perso, o ha gettato via.

Morte, dunque, se non – fatto ancor più grave – crisi delle morfologie?Senza dubbio. Ma è una risposta parziale, e non la più interessante. Comedimenticare infatti che il concetto di ‘crisi’ ha già nell’etimo crànw il ‘giu-dicare’, lo ‘scegliere’, il ‘decidere’? Qual è, se c’è, il discrimine? Ossia, nelle

18 / STEFANIA CONSONNI

29 Don DeLillo, Giocatori, cit., p. 188.30 Don DeLillo, Running Dog, cit., p. 253.

parole di DeLillo, quanto è sottile – quanto è duttile, capiente, creativo –quel margine ‘strano’ fra reale e fittizio, quel limite “che gli scrittori delpassato forse non conoscevano” (M, p. 159), e che invece dà forma al suolavoro? Per dirla con Frank Kermode, nel romanzo dobbiamo pensare “allaFine come a un fatto immanente piuttosto che imminente”; nessuna Apo-calisse, dunque, ma un’idea più compiuta della crisi come dialettica – eccoil punto – fra disegno e realtà, perché il racconto letterario “rivelerà sem-pre una congruenza con un paradigma”, quell’“insopprimibile quantitàminima di geometria, un’esigenza umana di forma o di struttura”, che fadella “storia del romanzo [una] storia di forme rifiutate o modificate”.31

Imbastite, disfatte, alterate: mai defunte. Perché se la domanda di concor-danza con la realtà è, come afferma Lotman, “parte dei presupposti insu-perabili del discorso e della comunicazione”, allora i paradigmi, “modell[i]finit[i] di un mondo infinito”, sono probabilmente inesauribili;32 e, anco-ra, benché nulla ovviamente escluda che “la metamorfosi dell’intrigo s’im-batta da qualche parte in un limite al di là del quale non è più possibile ri-conoscere il principio formale di configurazione”, nulla impedisce di cre-dere, viceversa, che “nuove forme narrative, che non sappiamo ancora no-minare, sono già sul punto di nascere [per attestare] come la funzione nar-rativa possa subire una metamorfosi ma non morire”.33 Il romanzo avràsempre potenzialità morfologiche, “anche se il mondo ne è privo”; conti-nuerà a mentirci con le sue forme, perché solo attraverso “i modelli di pa-rola e di pensiero” (che sono i nemici della verità ma anche il suo collantesimbolico),34 può inscenare il suo rapporto con le cose.

Ora, chi meglio di DeLillo sa tracciare le vicissitudini del senso, in-trappolato fra eccesso e difetto di disegno, fra la levigatezza totalizzantedel textum, la minaccia dell’entropia e la frammentazione della paranoia?Il senso straripa e deflagra, oppure cede, evapora, crolla. Tuttavia, è nellaqualità world-making dell’artificio narrativo – in quello che credo si possaritenere un paradosso tensionale della forma – nella discreta sovranità del

DISEGNI E REALTÀ / 19

31 Frank Kermode, The Sense of an Ending: Studies in the Theory of Fiction (1966), trad.it. di Giorgio Montefoschi e Roberta Zuppet, Il senso della fine. Studi sulla teoria del ro-manzo, Milano: Rizzoli, 1971, pp. 29, 113, 115.

32 Jurij M. Lotman, Struktura chdozestvennogo teksta (1970), trad. it. di Eridano Bazza-relli, Erika Klein e Gabriella Schiaffino, La struttura del testo poetico, Milano: Mursia,1972, p. 253.

33 Paul Ricoeur, La configurazione nel racconto di finzione, cit., pp. 52, 54.34 Frank Kermode, op. cit., p. 120.

senso (non nel suo banale imperialismo), che si può ricercare una connes-sione fra intrighi e realtà, quel legame “superbamente strutturato e com-plesso” (come lo descrive François Happe) che di una forma e un tema safare un pattern e un significato.35 Mi pare che in questa direzione vadanoricche letture dialettiche come quella di Heinz Ickstadt, imperniata suuna frattura insanabile – la relazione rappresentativa, che è barratura in-valicabile e al contempo “legge impossibile di perfezione” – fra l’astrazio-ne dei paradigmi e la materialità dell’esistenza, fra “le simmetrie del dise-gno” e “la storia raccontata da ciò (gli scarti, i rifiuti) che ci si è lasciati al-le spalle”.36 Ci sono segni, in tutti questi romanzi, del fatto che “il regnodell’arte, del linguaggio, della coscienza non può essere radicalmente se-parato dalla storia e dalla vita – del fatto che questi due mondi intera-giscono fra loro, si intrecciano”.37 Idee, queste, confortate dallo stessoDeLillo in una delle interviste più significative, quella del 1988 conAnthony DeCurtis, in cui dice che “per rappresentare il reale, bisogna es-sere estremamente artificiali”, poiché nell’arte ricerchiamo “modelli che cisfuggono nell’esperienza reale” e mediante i quali “la narrativa riscatt[a] lastoria dalla sua confusione”; vale a dire che il romanzo è dentro la storia,ma “può anche agire al di fuori di essa, correggendo, ripulendo e, forse lacosa più importante di tutte, trovando ritmi e simmetrie che semplice-mente non incontriamo altrove” (DeC, pp. 195, 183).

Occorre non semplificare tali parole. DeLillo non sta qui celebrandoil divorzio fra artificio e naturalità, né ricamando sull’inversione imitativafra scrittura e vita, ma esaminando il loro rapporto. Il racconto “tiene adistanza la realtà nello stesso momento in cui tenta di disporla in un mo-dello formale”, cercando in tal modo di rivelare “i segreti all’interno deisistemi” (DeC, p. 189). Forma e realtà, ordine e alterazione, disegno edettaglio si richiamano così l’un l’altro incessantemente, in un intrico re-

20 / STEFANIA CONSONNI

35 François Happe, “Introduction”, in Maria Moss, op. cit., pp. 82-84. L’intervista diMoss, cui si è sinora fatto riferimento con la sigla M (cfr. supra, nota 8), comprende l’in-troduzione di Happe solo nella versione originale.

36 “La frattura fra le strutture e la materialità delle cose sembra confermare l’affermazio-ne [di DeLillo] secondo cui l’arte è sia dentro la storia sia al di fuori di essa – intendendoqui con ‘storia’ l’ammasso senza forma di dati, fatti, cose, la materialità grezza della realtà,il terrore della vita e della morte, ciò che crea il bisogno di un ordine e di un disegno”.Heinz Ickstadt, op. cit., p. 389.

37 Heinz Ickstadt, “Loose Ends and Patterns of Coincidence in Don DeLillo’s Libra”, inBernd Engler e Kurt Muller (a cura di), Historiographic Metafiction in Modern Americanand Canadian Literature, Paderborn: Schöningh, 1994, p. 311.

lazionale che va dall’armonia al conflitto, dall’identità al paradosso: eccoil legame spezzato e ridisegnato.38 Un intrico ancor più evidente se si con-frontano – come peraltro fa DeLillo – le armoniche simmetrie di Ratner’sStar con le dissonanze geometriche di Libra; sono, queste, strutture legateda una sottile e organica complementarità, poiché la seconda non fa cherimuginare, complicandola (e quanto), sulla ricerca (fallibile, certamente,e spesso fallita) di “una traccia d’ordine nella nebbia” (DeC, p. 183), nelflusso della casualità. Ed è questa anche la tesi di Happe, a propria voltasmagliante disegno che, nel solco lasciato da Borges, riconduce le tramedi DeLillo a una logica paradossale: se è vero che le morfologie sono lemarche estetiche “più visibili della finzione”, lo è altrettanto che esse ren-dono la realtà “più verosimile”, “troppo stravagante per essere inventata”(H, p. 103).

Due. Costellazioni

Possiamo, a questo punto, tornare al problema della spazialità, alla qua-lità visiva della configurazione, alle ricadute intermediali di ‘forme’ e ‘di-segni’ narrativi, e tentare di definire meglio: i) le sue relazioni con la tem-poralità della scrittura, che è in primo luogo, come DeLillo riferisce aDesalm, la sequenzialità ordinata di caratteri e parole (cioè del linguaggioverbale), e in secondo luogo la temporalità insita nell’operazione narrati-va, ossia la sua funzione di raffigurazione del tempo; e ii) il suo ruolo – edovrebbe ora essere chiaro che si tratta di un ruolo mimetico in sensotensionale, dialettico – nella rappresentazione della realtà. Come ‘vedono’la realtà, insomma, come la ‘raffigurano’, gli intrighi neorealisti di DeLil-lo? Due in particolare fra i suoi romanzi mi sembrano comporre le dina-miche sinora affrontate in articolati sistemi spazio-temporali, che non po-tranno però essere qui affrontati se non in sintesi.

Il primo è Libra.39 Già nel titolo – il segno zodiacale, la Bilancia, diL.H. Oswald – è l’idea della configurazione, o meglio della costellazione.

DISEGNI E REALTÀ / 21

38 Da questa materia, dall’attrito strutturale fra compimento e dissoluzione, fra falli-mento e correzione, nasce peraltro – sotto la guida silenziosa ma chiarissima di DeLillo –anche la grande, misurata elegia di Jonathan Franzen. Per la generosità dei temi, per labellezza delle strutture, The Corrections (2001) potrebbe infatti essere il romanzo (d’amo-re?) che DeLillo, a quarant’anni (l’età di Franzen), non ha scritto.

39 Sulla cui straordinaria complessità non soltanto morfologica, ma anche retorica, vasegnalata l’analisi di Claudio Cattaneo in Il confine labile. Paranoia e teorie cospirative inLibra di Don DeLillo, Università degli Studi di Bergamo, mimeo, 2005.

Una forma nitida, armoniosa, teleologicamente determinata (nell’astrolo-gia), e composta tuttavia con quanto di più infido e corruttibile (fickle,‘scostanti’, direbbe Shakespeare, che in effetti le considerava dramatis per-sonae): le stelle. Ossia, il caso. Da un lato, dunque, un ordine e un signifi-cato – una sorte, un destino – imposti dalla finzione allo scorrere dellarealtà (e della Storia, quella del secondo dopoguerra e della Guerra Fred-da) con una messa in intrigo che risponde, per riprendere l’idea di Dou-glas Adams, al “più straordinariamente inverosimile degli schemi”. Dal-l’altro, per l’appunto, l’irrompere dell’alea, e il fatto che proprio in quantosistemi casuali – contingenti, accidentali – le costellazioni sono dotate diuna morfologia misteriosa, e gravida di promesse: Libra, la Bilancia, ovve-ro l’equilibrio. Perché per raccontare quei sette secondi (tanto durò l’ese-cuzione materiale di Kennedy) che hanno “spezzato la schiena” al secoloamericano, e che rimangono come uno squarcio nella storia contempora-nea,40 DeLillo amalgama la ricerca documentaria più rigorosa – la letturadel diario di Oswald, dei suoi scritti programmatici, e soprattutto di tuttie ventisei i volumi del rapporto ufficiale della Commissione Warren, ilromanzo che avrebbe potuto scrivere James Joyce, “se si fosse trasferito aIowa City e avesse vissuto cent’anni”, un capolavoro di trivialità, “dallecartelle dentistiche della madre di Jack Ruby alle foto di stringhe annoda-te”, una “straordinaria finestra sulla vita negli anni Cinquanta e Sessanta,[dai] detective privati di New Orleans [ai] ferrovieri di Fort Worth”(DeC, pp. 180-81) – con la scelta di un protagonista (Oswald) evidente-mente libresco, contraddittorio, incarnazione di fattori imprevedibili co-me “la coincidenza, il sogno, l’intuizione e il possibile impatto dell’astro-logia sull’agire umano”.41

La finzione si fa così matrice della realtà, ma – ed è importante – acca-de anche l’inverso, perché la relazione fra le forze è di natura dialettica, èper l’appunto un equilibrio: DeLillo la riassume a DeCurtis nella geome-tria di un ‘nucleo storico’ orlato da ‘variazioni finzionali’, in cui “l’elemen-to centrale [è] un fatto storico indiscutibile sul quale poter attuare […]variazioni romanzesche” (DeC, p. 175). Tensioni, queste, che la strutturabipartita del romanzo (in ventiquattro capitoli) traduce in un contrap-punto ritmico fra due serie di segmenti testuali, magistralmente schema-

22 / STEFANIA CONSONNI

40 “In Libra mi ero dato un compito particolare: riempire quel vuoto. […] Ecco la miasfida: creare quei sette secondi che erano spariti” (M, pp. 162-63).

41 Quest’ultima frase si trova soltanto nella versione originale dell’intervista di DeCur-tis; cfr. DeP, p. 63-64.

tizzato come segue da Happe. L’una (la serie dei capitoli dispari, l’asse pa-radigmatico della diegesi), di ordine spaziale, inanella una teoria di luoghi(il Bronx, New Orleans, il Giappone, Fort Worth, l’Unione Sovietica,Dallas, ecc.), ossia le dodici stazioni nella via crucis degli ultimi dieci annidi Oswald, secondo una logica aleatoria – casuale, disperata – di discrezio-ne e ripetitività; l’altra (la serie pari, l’asse sintagmatico), di ordine tempo-rale, ripercorre la tappe della cospirazione contro Kennedy lungo un arcodi sette mesi, dall’aprile al novembre del 1963 (ossia dall’iniziale piano diWin Everett fino all’attuazione coordinata da T-Jay Mackey, e all’uccisio-ne di Oswald), secondo invece la logica continua, conchiusa – matemati-ca, spietata – della necessità. L’embricarsi di spazio e tempo raffigura in talmodo in termini visivi, sotto i nostri occhi e lungo l’intero snodarsi dellatrama, il farsi reciproco fra circostanze (“l’esistenza amorfa di Oswald”) eintrigo (la “struttura che le dà una forma e una finalità”), vale a dire fracospirazione, calcolo, ordine da una parte e caso, coincidenza, caos dall’al-tra, cosicché l’asse verticale di una topografia immaginaria, intersecandol’asse orizzontale di una cronologia reale, dà luogo a un sistema stereosco-pico di coordinate – aggiungerei – reali perché finzionali, e viceversa: l’O-swald immaginato da DeLillo, a Dallas, il 22 novembre 1963.42

Ma c’è di più. Se osservato meglio, il contrappunto fra l’asse spaziale el’asse temporale rivela proporzioni asimmetriche.43 Benché occupino nelromanzo all’incirca lo stesso numero di pagine (in termini narratologici,lo stesso ‘tempo del racconto’), i due segmenti di trama hanno infatti unadurata (‘tempo della storia’) diseguale – dieci anni l’asse paradigmatico,sette mesi l’asse sintagmatico –, e dato che la freccia del tempo li disponein parallelo (dagli anni Cinquanta al novembre 1963 il primo, dall’aprileal novembre 1963 il secondo), non di rado accade che la serie spaziale,più lunga, si ripieghi, si annodi, su quella temporale, dandole forma – laforma spaziale del tempo, la qualità ‘iconica’ della configurazione – conanalessi, ripetizioni e prolessi che sono perciò al contempo i ‘punti’ di le-gatura dell’ossatura narrativa e le ‘lancette’ dell’arrangiamento temporale.Con almeno tre conseguenze importanti. Primo, che le due semitrame fi-niscono per convergere in un imbuto temporale, gli ultimi sette mesi di

DISEGNI E REALTÀ / 23

42 H, p. 100. Si traccia in tal modo anche un gioco di variazioni aritmetiche e patternnumerologici fra i capitoli, impostati per lo più sull’11 e sul suo doppio (11/22, ossia 22novembre, ecc.). Ne analizzano aspetti diversi Happe, Ickstadt e Cattaneo.

43 Osservazioni sull’asimmetria delle serie di capitoli si trovano anche in Ickstadt, “LooseEnds”, cit., pp. 304-05.

vita di Oswald, forse l’unica vera Apocalisse dipinta da DeLillo, che infat-ti riconosce in Libra “l’unico [suo] libro in cui tutti i punti della tramasono risolti in maniera compiuta”, e riconduce tale caratteristica al desi-derio, dialettico, “di riempire il racconto perduto di Kennedy e Oswald aDealey Plaza”.44 Secondo, che l’immagine con cui l’autore descrive lastruttura di Libra – un centro storico (il complotto contro Kennedy) con-tornato e infiltrato da variazioni finzionali (l’agiografia di Oswald) – si ri-specchia visivamente nella reciproca costruzione di spazio e tempo. Terzo,infine, che l’equilibrio, il bilanciarsi delle forze nella rappresentazionenarrativa, sta – paradossalmente – proprio in questa relazione sbieca, bar-rata, mai caleidoscopica, fra spazio e tempo, fra finzione e realtà. Alla me-tafora stellare di Douglas Adams potremmo così affiancare quella, propo-sta da Remo Bodei, della configurazione come multiversum, in cui latemporalità del racconto è rappresentata “dal processo intelligibile di alle-stimento [spaziale] degli avvenimenti, dalla loro inserzione in una costel-lazione di senso”.45

Connessioni parimenti se non più complesse affiorano dall’intrecciodi Underworld, in cui il modello prismatico e spigoloso di Libra, fatto ditagli algidi e incisioni chirurgiche, si ammorbidisce e acquista una plasti-cità, sinuosa, avvolgente, quasi ‘serpentina’.46 Ai molti che l’hanno inter-rogato sulla nascita di questa enciclopedia della contemporaneità, su co-me abbia concepito e realizzato un affresco così sterminato e intenso, De-Lillo ha quasi sempre risposto di non averne idea.47 Mi pare però che unospunto essenziale emerga da un colloquio del 1999 con Chénetier e Hap-pe.48 È legato alla funzione narrativa della memoria, a ciò che WalterBenjamin ha chiamato “l’elemento musale del racconto”, l’“antica con-nessione di anima, occhio e mano” che crea “la rete che tutte le storie fi-niscono per formare fra loro. L’una si riallaccia all’altra, come si sono

24 / STEFANIA CONSONNI

44 Lo afferma DeLillo il 23 ottobre 1995 in uno scambio di post via Internet con ungruppo di lettori. Il testo è riprodotto nell’ottimo sito curato da Curt Perival e dedicato aDeLillo’s America, all’indirizzo <http://perival.com/delillo/ddwriting.html>.

45 Remo Bodei, “Intrigue et multiplicité des temps dans le récit historique”, Revue del’université d’Ottawa, 55, 1985, p. 250.

46 Per un’illustrazione narratologica e visiva di tale intreccio mi permetto di rinviare almio “‘The Shot Heard Round the World’. Baseball e cospirazioni narrative in Underworlddi DeLillo”, Nuova Corrente, 51, luglio-dicembre 2004, pp. 219-42.

47 Domanda: “Riesce a spiegarsi come ha scritto Underworld?” Risposta: “No” (M, p. 165).48 Marc Chénetier e François Happe, “An Interview with Don DeLillo”, Revue française

d’études américaines, 2001, 87, pp. 102-11 (d’ora in poi CH).

sempre compiaciuti di mostrare i grandi narratori”.49 È infatti nel ricordoautobiografico, nel fatto di scrivere in primo luogo degli anni Cinquanta,il periodo della sua adolescenza – DeLillo nasce nel 1936 da abruzzesiimmigrati nel Bronx, nell’area italoamericana di Arthur Avenue –, e in se-condo luogo del baseball, pure fra i passatempi di sempre,50 che l’autorericonosce uno stimolo ad aprire le frasi, “a scriverne di più lunghe”, e so-prattutto a sbrigliare cronologie e paradigmi in un “intimo atto di fedenel romanzo, nella sua forma, quella forma così meravigliosamente ambi-ziosa che consente di spingere le forze della storia dentro le esistenze degliindividui” (CH, p. 103).

Proprio alla potenza creatrice della connessione mnestica DeLillo ri-conduce l’impressionante nitore formale di Underworld, l’intuizione –leggiadra e ritrosa, non un lungo processo di pianificazione ma un’idea“virtualmente istantanea”, un’ispirazione remota, proveniente da qualche“regno empireo” (CH, p. 105) – di invertire la direzione del tempo nellavita di Nick Shay, dalle discariche radioattive nel Kazachstan dei primianni Novanta alle cronache familiari nel Bronx degli anni Cinquanta, esoprattutto di complicare e arricchire la morfologia del racconto in unarete sottile e ampia di riferimenti sincro-diacronici, poiché “questo è ilmodo in cui funziona la memoria: all’indietro” (CH, p. 104). La materiadi Underworld, spiega infatti l’autore a Kim Echlin, è il modo in cui “lecose e le persone spariscono, o vengono tradite. Per due volte c’è una pal-la da baseball che sparisce, e per due volte un ragazzo viene tradito. […]Sparisce del plutonio, e un paese viene tradito. Il romanzo parla di tuttele cose che perdiamo, e perciò rovescia il flusso del tempo”. E non c’è al-tro mezzo per svilupparla se non uno schema temporale fatto di fearfulsymmetries: “trovo sempre un grande piacere nel costruire strutture. […]È questa la ragione per cui scrivo”.51 Perciò, per fare un solo esempio fra imolti possibili, la sezione che durante le fasi iniziali della stesura era pen-sata come prima, Composizione in grigio e nero, ambientata fra il 1951 e il

DISEGNI E REALTÀ / 25

49 Walter Benjamin, “Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikola Leskov” (1955),trad. it. di Renato Solmi, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino: Einaudi, 1962, pp.273, 262.

50 Racconta DeLillo in un’intervista con Diane Osen, condotta il 24 luglio 1997 e dispo-nibile online nel sito di Curt Perival già menzionato: “[Da ragazzino, nel Bronx,] [m]i pia-ceva giocare. Appena uscito da scuola cominciavo subito a giocare in strada, a carte, nei vi-coli, sulle rampe antincendio, palla prigioniera, pallamano, baseball, e cento altri giochi”.

51 Kim Echlin, “Baseball and the Cold War”, intervista pubblicata su Ottawa Citizen il28 dicembre 1997, ora in DeP, p. 149.

1952, compare oggi – dopo un monumentale lavoro di configurazione,che ha riempito lo studio di DeLillo con diciassette faldoni di materiali,contenenti circa trecento pagine ciascuno (CH, p. 110) – come sesta, pre-ceduta (nella linea del tempo) soltanto dal Prologo, Il trionfo della morte,che si svolge il 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York, con ilplayoff Giants-Dodgers, e seguita (nella linea del racconto) da un salto diquarant’anni che ci trasporta, con l’epilogo Das Kapital, oltre la primametà degli anni Novanta, ossia oltre la linea stessa del tempo. Così, il pri-mo giorno nell’arco temporale delle vicende (il 3 ottobre 1951, il giornodella partita) e il successivo (il 4 ottobre, il giorno in cui Nick Shay ucci-de accidentalmente George Manza, azzerando e assieme invertendo ilcontatore della sua esistenza) sono separati nello spazio del testo da circaottocento pagine, e nella linea del tempo da più di quarant’anni, vale adire dalla quasi totalità del tempo raccontato.

Si potrebbe continuare. Memoria e intelligenza delle connessioni: unbuon romanzo, riassume E.M. Forster, è sempre attraversato da una venainquieta, che “aleggerà senza tregua riordinando e riconsiderando, sco-prendo nuovi indizi e nuovi agganci”, cosicché alla fine “quello che ci re-sterà non sarà […] una sequenza di indizi o di agganci, ma qualcosa diesteticamente compatto, che il romanziere avrebbe potuto rivelare subito,ma che, se lo avesse rivelato subito, non sarebbe mai diventato bello”.52

Non stupisce, dunque, che in questo labirinto del ricordo individuale ecollettivo sia proprio l’artificiosa trama della palla da baseball – cimeliodello home-run battuto da Bobby Thomson per i Giants quel 3 ottobre1951, che passa di mano in mano ai personaggi da Cotter Martin, chel’agguanta sugli spalti del Polo Grounds, fino a Nick Shay, che l’acquistanei primi anni Novanta – a colmare e arricchire il golfo fra 3 e 4 ottobre1951, tracciando nel corso dei sei volumi una geometria spazio-temporaleintermittente, zigzagante: ‘a puntini’, secondo l’espressione del collezioni-sta che per primo la rintraccia negli anni Ottanta, Marvin Lundy, e che piùtardi la venderà a Nick.53 In realtà nessuno sa cosa sia stato della palla(quella ‘vera’) dopo il match. Escamotage “ovvio e meraviglioso”, per ripren-dere le felici parole di DeLillo, il suo percorso immaginario – avanti e in-dietro in epoche e geografie – genera perciò il racconto, è ciò “che connette

26 / STEFANIA CONSONNI

52 E.M. Forster, Aspects of the Novel (1927), trad. it. di Corrado Pavolini, Aspetti del ro-manzo, Milano: Garzanti, 1991, pp. 95-96.

53 Don DeLillo, Underworld, trad. it. di Delfina Vezzoli, Torino: Einaudi, 1999, p. 182.

i personaggi nella storia”, tanto che “tutti i personaggi dotati di un qualchesignificato, eccettuato forse Lenny Bruce, vi sono collegati” (CH, p. 105).E non può che essere così, se consideriamo un fatto cruciale, e cioè che lohome-run di Thomson, con cui i Giants vinsero il campionato del 1951,racchiude nel Prologo di Underworld una dimensione tanto individualequanto collettiva – tanto reale quanto finzionale – della memoria.

DeLillo ricorda infatti, benché in sedi diverse, di aver concepito l’iti-nerario della palla ispirandosi a due fonti in particolare, l’una di naturastorico-documentaria, l’altra poetico-letteraria: la prima pagina del NewYork Times del 4 ottobre 1951, in cui lo home-run è ribattezzato ‘the ShotHeard Round the World’ (il ‘Botto che ha fatto il giro del mondo’) e af-fiancato alla notizia del ‘botto’ del primo esperimento nucleare realizzatodall’Unione Sovietica,54 e un passo nei diari di John Cheever, in cui si di-ce che “il compito di un romanziere americano” non riguarda “donneadultere” o ogni sorta di oggetti alieni alla quotidianità, ma, ad esempio,“quattrocento persone che […] si azzuffano per una palla finita fuoricampo”, oppure “il tuono sordo che si produce [nello stadio] quando indiecimila, alla fine dell’ottavo [inning], si dirigono verso l’uscita”.55 Lohome-run, il ‘Botto’, con la palla che resta a testimoniarlo nella memoriacollettiva, riassume così sia l’incipit di un’epoca, quella della Guerra Fred-da (fra gli spettatori del match, J. Edgar Hoover),56 sia lo schiudersi diun’emotività individuale, quella di Nick Shay, che nell’oggetto altero, or-mai sciupato, dal quale la sua squadra è stata sconfitta in campionato, ilgiorno prima che lui stesso fosse sconfitto dal caso – o dal destino: pocoimporta distinguerli, in Underworld – trova “il sentimento di ciò che haperduto. Nick non si identifica con [Bobby Thomson], ma con il pitcher[Ralph Branca] che in quel momento è stato battuto”.57

DISEGNI E REALTÀ / 27

54 Don DeLillo, “The Power of Fiction”, New York Times Magazine, 7 settembre 1997,pp. 60-63. Altre fonti documentarie: il numero di ottobre 1951 di Life, contenente un ar-ticolo sul museo del Prado e un’illustrazione del Trionfo della morte di Bruegel, e le crona-che radiofoniche della partita del 3 ottobre, nelle quali è registrata la presenza allo stadiodi J. Edgar Hoover e altri personaggi celebri.

55 Passo citato in una conversazione privata e riportato in David Remnick, “Exile onMain Street”, New Yorker, 15 settembre 1997, p. 44.

56 Cfr. Phillip E. Wegner, “October, 3 1951 to September, 11 2001: Periodizing theCold War in Don DeLillo’s Underworld”, Amerikastudien, 49:1, 2004, p. 60.

57 Bo Green Jensen, “Interview of Don DeLillo”, WeekendAvisen, 13 novembre 1998. AAndy Pafko, esterno sinistro dei Dodgers, DeLillo dedica inoltre nel 1992 “Pafko at theWall”, il racconto che preparerà il Prologo di Underworld.

Ma non è tutto, perché il Prologo inscrive tali dinamiche nella sagomaromboidale (il ‘diamante’) di un campo da baseball, nella geometria zig-zagante e rigorosa di una palla che vi viene lanciata e ribattuta secondoschemi convenzionali; in una figura prismatica, cioè, che nella sua morfo-logia pulita riassume le rifrazioni spazio-temporali insite nel gioco del ba-seball e soprattutto nella narrazione, che viene perciò lanciata – come lohome-run – dal Prologo verso il suo svolgimento ‘a puntini’ nelle sezionisuccessive. L’intrigo di Underworld si origina dunque, dialetticamente, daldestino ambiguo e sfuggente di quest’oggetto, che nella realtà di quel 3ottobre 1951 è semplicemente sparito, e che nella finzione del romanzo èperò di volta in volta conquistato, trafugato, smarrito e recuperato, ed èperciò intriso di casualità, di ingiustizia, di perdita, di mistero (“se qual-che tifoso avesse davvero saputo chi possiede la palla, come avrei potutoscrivere il romanzo?”; CH, p. 105); sorge da una non conoscenza che neè, direbbe Henry James, il solo possibile ‘germe’; è chiamato a occupareun vuoto, a esporre un’assenza, ma anche a plasmare un pieno, a tessereun legame, a forgiare un linguaggio di “illuminazione”, di “rivelazione”.Di “devozione” (CH, pp. 110, 108).

“Io scrivo per la pagina”, dichiara DeLillo senza mezzi termini (LeC,p. 13), e – ma solo in secondo luogo – per un lettore “anonimo che, inqualche cittadina anonima, abbia un’intuizione su certe [connessioni] neimiei libri”.58 E, ogni volta, scrivere si rivela una lotta, “una lotta contro ilromanzo che non vuole rivelarsi, che rifiuta di lasciar schematizzare i suoisegreti” se non a tempo debito,59 se non nell’intimità spazio-temporaledella configurazione narrativa. Occorre infatti saper aspettare, per avere“l’intuizione e il sentimento della forma” da cui può venire un romanzo“lungo, complicato, avvincente”, perché se “prima della storia, prima del-la politica viene il linguaggio” (M, p. 164), è proprio quest’ultimo – con isuoi ritmi e i suoi disegni – a rivelare il legame più profondo fra la realtàe il mestiere di scrivere.60 A tanto risponde per DeLillo la vocazione inter-mediale, tanto ‘visiva’ quanto ‘uditiva’, del romanzo, la sua capacità di“aggiustarsi attorno alla cultura contemporanea”, di avvolgere e incorpo-

28 / STEFANIA CONSONNI

58 Nell’intervista con Brigitte Desalm.59 Maria Nadotti, “An Interview with Don DeLillo” (1993), ora in DeP, p. 116.60 Ricorda DeLillo: “Avevo cominciato [a scrivere Americana] da quasi due anni quando

capii che ero uno scrittore – non perché pensai che il romanzo sarebbe mai stato pubbli-cato, ma perché frase dopo frase e paragrafo dopo paragrafo cominciavo a capire che pos-sedevo delle abilità che nei lavori precedenti […] non avevo dimostrato” (DeC, p. 186).

rare, amalgamandoli in capienti morfologie, “il saggio, la poesia, ilfilm”.61 Una vocazione, questa, che tuttavia non nasce da una sempliceaccortezza tematica – dalla tempestività, pure innegabile, nel cogliere lesollecitazioni visive del mondo contemporaneo e dei suoi ‘simulacri’, dal-la fotografia in Mao II alla televisione in White Noise, al world wide webin Underworld –, ma dall’antica malleabilità spazio-temporale riconosciu-ta nei paradigmi letterari da Kermode, Lotman e Ricoeur, dalla qualità alcontempo visiva, uditiva, tattile del racconto di finzione: “c’è un elemen-to fisico nello scrivere. […] Non uso computer perché mi piace toccare lacarta, fare correzioni a matita, conservare le pagine vecchie per tornarci incapo a un anno. […] Mi piace vedere le parole, le frasi, mentre prendonoforma. È un fatto estetico. Quando lavoro ho un senso scultoreo dellamorfologia. [Perciò] uso una macchina da scrivere con tasti più grandidel normale, e più grandi sono, meglio è”.62 Che nasce, insomma, dallaqualità intersemiotica – dal “piacere sensuale” – di frasi e parole “finite,nitide, splendidamente formate” nella loro spazialità plastica,63 e al con-tempo ritmiche, costellate di “strane corrispondenze” temporali, musicali,che coinvolgono “non soltanto il loro significato, ma anche il suono e l’a-spetto. Il ritmo di una frase può contenere un certo numero di sillabe.Una di troppo, e cambio frase”.64

Torniamo con ciò all’apologo che ha aperto questa riflessione. Nellarealtà – di più: nell’universo –, scriveva Henry James, le connessioni nonfiniscono mai, e “lo squisito problema dello scrittore è, eternamente, […]quello di tracciare, con una propria geometria, il cerchio entro il quale es-se sembreranno farlo”.65 Certo, lo scriveva a fine Ottocento e nemmeno,peraltro, con particolari intenti realistici. Eppure, nonostante la convin-zione di molti, come recita il credo di DeLillo, la forma romanzo non

DISEGNI E REALTÀ / 29

61 David Streitfield, “Don DeLillo’s Hidden Truths”, Washington Post, 11 novembre1997, p. D1.

62 Maria Nadotti, op. cit., p. 117.63 Adam Begley, “Don DeLillo: The Art of Fiction”, Paris Review, 35:128, autunno

1993, p. 297.64 Maria Nadotti, op. cit., p. 117. Basti considerare la sonorità allitterante della prima

frase di Underworld – “He speaks in your voice, American, and there’s a shine in his eyethat’s halfway hopeful” – e ricordare, con Forster, che “l’occhio, con l’ausilio trasmutatoredella mente, può raccogliere con facilità i suoni di un paragrafo […], se hanno valore este-tico, e rinviarli al nostro piacere”. E.M. Forster, op. cit., p. 52.

65 Henry James, “Preface to Roderick Hudson” (1876), trad. it. di Agostino Lombardo,“Prefazione a Roderick Hudson”, in Id., Le Prefazioni, Roma: Cooper, 2004, p. 7.

soltanto non è inadeguata a strutture, legami e rapporti sempre più ‘stra-ni’, ma attraverso le sue connessioni – le sue costellazioni – saprà conti-nuare a rinnovarsi.66 Perché è chiamata a dire la realtà con la finzione, eviceversa. Perché le restituisce con i suoi disegni molto più di quanto nonle sottragga. Perché, come mostra Underworld, è votata all’astrazione piùsofisticata e all’umanità più struggente, come se solo un’“anti-tecnologia”cristallina, impietosa, e al contempo esuberante, compromessa, piena di“passione, di eros, e di tutta la ricchezza del mondo naturale” (CH, p.108), potesse restituire – con “astuzia e impertinenza” –67 l’ingenuità anticae artigianale del raccontare.

30 / STEFANIA CONSONNI

66 Kim Echlin, op. cit., p. 150.67 Walter Benjamin, op. cit., p. 267.


Recommended