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2015 [WOL – WELFARE ON LINE] Numero 2 – Aprile/Maggio 2015
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    [WOL – WELFARE ON LINE] Numero 2 – Aprile/Maggio 2015

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    In questo numero

    Articoli

    L’impresa sociale in Italia ………………….………………………………………………………. pag. 3 di Zaira Bassetti

    Giornata Internazionale Rom e Sinti …………………………………………………………. pag. 9 di Vanessa Compagno

    Cineforum

    Zoran, il mio nipote scemo ...…………………………………………………………………….. pag. 15

    di Matteo Domenico Recine

    In agenda

    Parte il progetto: The King of my castle …………………………………………………….. pag. 16

    a cura dell’Associazione Nuovo Welfare

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    Presentato a Roma lo scorso 12 maggio, in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore, il volume “L’impresa sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma”, a cura di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai (Iris Network). Il testo propone dati e suggestioni utili per approfondire l’analisi sulle caratteristiche delle imprese sociali, attualmente protagoniste di un importante cambiamento interno e del paradigma legislativo di riferimento (il disegno di legge delega in materia di terzo settore, impresa sociale e servizio civile), oltre che per supportare il processo di policy making in materia. Secondo i curatori della ricerca, la recente attenzione del policy maker nazionale rispetto all’impresa sociale va accolta positivamente. La direzione delle ultime iniziative, infatti, dimostra che non si intende solo regolare l’esistente, ma probabilmente anche mutare i connotati del settore, quando si dichiara che la legislazione si propone di “qualificare l’impresa sociale quale impresa privata a finalità d’interesse generale avente come proprio obiettivo primario il raggiungimento di impatti sociali positivi misurabili”. Il rapporto Iris Network, quindi, nell’ambito della spinta trasformativa dettata dalla riforma legislativa e dal più ampio confronto politico-culturale in atto, si pone due macro obiettivi conoscitivi. Il primo, considerato dagli stessi curatori della ricerca il più importante, è “spostare lo sguardo oltre” per cercare di scoprire e misurare il potenziale di imprenditoria sociale. In altre parole, si fa riferimento a tutte quelle organizzazioni private, con o senza scopo di lucro, per le quali sono rilevabili alcuni indicatori relativi alla socialità del loro operato e al carattere imprenditoriale della loro organizzazione. Non si tratta, perciò, di imprese sociali ex lege (ai sensi della normativa in vigore) o anche de facto (la cooperazione sociale), ma di soggetti diversi che, a seguito di una nuova regolazione e di nuove politiche, potrebbero essere incentivati ad assumere la forma di impresa sociale. Il secondo obiettivo del rapporto è ricostruire lo stato dell’arte dell’impresa sociale in senso stretto, guardando alle organizzazioni che in maniera esplicita e dichiarata hanno assunto uno statuto formale di questo tipo. Per quanto attiene al primo obiettivo, il problema maggiore riguarda il grado di affidabilità delle informazioni disponibili, spesso poco precise perché approssimazioni. Nell’ambito delle forme giuridiche nonprofit la variabile proxy è legata all’orientamento imprenditoriale delle organizzazioni non lucrative, prendendo in considerazione le transazioni di mercato nel generare le risorse economiche necessarie per la loro sopravvivenza; per quanto riguarda le imprese di

    L’impresa sociale in Italia

    Zaira Bassetti

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    capitali, l’attenzione si focalizza sul carattere sociale della produzione, guardando ai settori di attività che la legislazione sull’impresa sociale riconosce come ad elevata presenza di valore sociale: sanità, educazione, cura, produzione culturale, ecc. Tuttavia, nonostante il limite dei dati a disposizione, il rapporto restituisce elementi conoscitivi fondamentali e rende l’idea di un enorme potenziale, in primo luogo proprio in ambito nonprofit: sono oltre 80mila le organizzazioni, diverse dalle cooperative sociali (associazioni, fondazioni, organizzazioni di volontariato, enti religiosi, ecc.), accomunate dal fatto di ricavare oltre la metà delle risorse economiche attraverso scambi di mercato, sia in ambito pubblico che privato. Pur non conoscendo quante di queste organizzazioni siano precisamente definibili come imprese sociali ex lege, visto che la norma richiederebbe un’attività market nei settori indicati pari ad almeno il 70% del giro d’affari, è comunque probabile che molte di queste abbiano raggiunto o stiano per raggiungere questa soglia o che altre siano sulla strada per raggiungerla. Per quanto concerne le imprese di capitali che operano in settori a vocazione sociale, dove la sanità costituisce l’attività principe, emerge un quadro più frammentato anche a causa della prevalenza di micro imprese che tendono a concentrarsi in settori del welfare a più elevata rilevanza economica. In questo ambito, nel confronto tra imprenditoria sociale di origine profit e non profit, una nuova regolazione e una nuova agenda di politiche potrebbe far emergere il potenziale for profit di imprenditoria sociale oggi nascosta o esercitata in modo non consapevole. In questo senso, sottolineano i curatori del rapporto, è da notare che molto non è solo ed esclusivamente legato alla gestione di servizi di welfare pesante a livello prestazionale e strutturale: esiste infatti un’offerta consistente di quello che può essere definitivo come terziario sociale, ossia molte imprese profit anche in comparti come i servizi ricreativi e culturali.

    Tipologia Unità Addetti Volontari

    Organizzazioni nonprofit market (escluse le cooperative sociali)

    82.231 440.389 1.627.908

    Imprese di capitali operative nei settori di attività previsti dalla legge n. 118/05

    61.776 446.000 -

    Tavola 1. Potenziale di imprenditoria sociale Fonte: Elaborazioni Iris Network e Aiccon su fonti Istat. Anno 2011

    Il messaggio, in conclusione, è chiaro: il successo della riforma sarà legato in gran parte alla capacità di “catalizzare questo potenziale di impresa sociale” rappresentato da organizzazioni già esistenti e operative, ma anche da una nuova e folta schiera di start-up, costituite esplicitamente o semplicemente ispirate a una vocazione sociale. Per quanto attiene al secondo obiettivo, i numeri sono complessivamente piuttosto ridotti: circa 770 sono i soggetti che hanno aderito alla normativa vigente,

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    adottando la forma di impresa sociale; a questi vanno aggiunte altre 570 imprese ancora non iscritte nella apposita sezione del Registro Imprese. Inoltre, l’indagine svolta su un campione rappresentativo di imprese sottolinea come, nonostante la lunga fase di start-up, l’impresa sociale ex lege non sembra aver raggiunto quella consistenza in termini numerici e soprattutto quella solidità in termini strutturali, di performance, di visibilità e legittimazione, necessaria per potersi qualificare come una nuova realtà in grado di introdurre un paradigma innovativo e alternativo del fare impresa accanto ai modelli dominanti dell’economia capitalistica e della stessa economia sociale. In questo senso, quindi, sostengono i curatori dell’indagine, si evidenzia un chiaro “fabbisogno di riforma” volto a sbloccare un potenziale che, a differenza dei dati numerici a disposizione, risulta ben più consistente delle poche centinaia di unità che ad oggi possono qualificarsi, in termini formali, come impresa sociale. Alle imprese sociali ex lege inoltre si possono assimilare anche le cooperative sociali che, nei fatti, presentano le stesse caratteristiche costitutive, tanto che il progetto di riforma del Governo intende riconoscere in automatico a queste imprese e ai loro consorzi lo statuto di impresa sociale. In questo senso, il quadro si arricchisce in modo significativo sia in termini di numerici di organizzazioni che dal punto di vista di varietà di attività e competenze. E i risultati raggiunti assumono ancora maggiore rilevanza se si considerano le criticità e le difficoltà del contesto macro economico all’interno del quale le cooperative sociali operano (servizi socio assistenziali, inserimento al lavoro di persone svantaggiate), basti pensare ai tagli e alle rigidità della finanza pubblica, all’inceppamento dei meccanismi di sussidiarietà verticale, al crescente numero di competitor non solo interni ma soprattutto esterni all’economia sociale, solo per fare alcuni esempi.

    Tipologia Numero Addetti Volontari Beneficiari Valore della

    produzione

    Costituite ai sensi della legge n. 118/05 e iscritte alla sezione L del Registro Imprese

    774 29.000 2.700 229.000 314 milioni

    Altre imprese con la dicitura “impresa sociale” nella ragione sociale

    574 - - - -

    Cooperative sociali costituite ai sensi della legge n. 381/91

    12.570 513.052 42.368 5.000.000 10,1 miliardi

    Tavola 2. Imprese sociali Fonte: Elaborazioni Iris Network ed Euricse su fonti Unioncamere, Inps e Istat. Anno 2013

    Il risultato di questa situazione, sostengono i curatori, è “una spinta poderosa al change management che rappresenta forse il più importante driver di trasformazione della cooperazione sociale”. Tuttavia, nonostante una buona dinamicità in termini di creazione di nuove imprese, si segnalano forti criticità nelle performance economiche. Probabilmente, il contesto di azione (per lo più le Regioni

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    del Sud Italia) incide parecchio, poiché abbiamo territori strutturalmente deboli sia economicamente che a livello di infrastruttura delle politiche e dei servizi di welfare. Di contro, sembrerebbe rafforzarsi quella componente del settore definita dai curatori “industriale”, ossia composta da un numero relativamente ristretto di cooperative sociali di grandi dimensioni che opera a livello nazionale realizzando importanti risultati sul fronte economico. Da un punto di vista del mercato del lavoro, invece, le cooperative sociali presentano caratteristiche ben definite: prevalenza di contratti a tempo indeterminato e rilevanza della quota femminile, a cui corrisponde una riduzione della componente di lavoratori giovani (under 35). Alla luce del quadro descritto, le parole d’ordine sono innovazione e cambiamento, declinate al sociale. I dati e le riflessioni del rapporto restituiscono un quadro dominato da una tensione alla trasformazione e al rinnovamento, con riferimento non solo ai beni prodotti e ai processi di produzione ma, più generale, al sistema sociale ed economico nel suo complesso e, in particolare, alle sue architetture istituzionali e alle relazioni che le caratterizzano. È opinione dei curatori della ricerca, infatti, che se finalmente oggi la politica mette l’impresa sociale al centro di una vera e propria riforma è grazie anche a “un’azione di voice che esprime una domanda di cambiamento in modo puntuale e preciso”. La quantità e la qualità dei contenuti veicolati convergono verso un unico obiettivo condiviso: infrastrutturare processi di produzione di valore sociale grazie al coinvolgimento di enti e istituzioni diverse, ma soprattutto aggregando la domanda di cittadini che sono portatori di bisogni e più in generale attori di cambiamento. Di fondamentale importanza, a detta dei curatori, è dunque sviluppare un ecosistema di imprenditoria sociale articolato intorno ad alcuni pilastri (elencati di seguito) che vanno incentivati e sviluppati, con adeguate risorse in termini economici e di competenze. Imprenditoria innovativa: nell’ambito delle nuove imprese a elevato contenuto di innovazione su cui si sta investendo di recente, si è individuata una variante a vocazione sociale, ossia start-up innovative che operano nei settori di intervento della normativa sull’impresa sociale. Tuttavia, i risultati fin qui raggiunti sono alquanto deludenti: le imprese innovative a vocazione sociale sono solo poche decine (59, pari al 3% del totale), inoltre guardando all’attività svolta non risulta sempre evidente la loro vocazione sociale. Di contro, a fronte di questo limitato sviluppo, va comunque considerato che una parte ben più consistente delle oltre 2.500 start-up innovative tradizionali (19%) opera in ambiti – come la ricerca e sviluppo – che evidenziano enormi potenzialità: potrebbero infatti svilupparsi, se non vere e proprie imprese sociali, almeno partnership profit/nonprofit connotate da un’innovazione tecnologica orientata all’impatto sociale. Coworking e incubatori: la diffusione e la disponibilità di spazi e servizi grazie ai quali prendono forma e si sviluppano idee imprenditoriali rappresenta un ulteriore

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    importante ambito per la generazione di iniziative legate anche all’imprenditoria sociale, facendo leva su forme di community (locale e globale, fisica e virtuale), che già di per sé costituiscono modelli di impresa sociale, che consentono di accelerare i processi di start-up e di far emergere con più facilità contenuti di innovazione. Economia solidale: l’aggregazione della domanda di consumo rappresenta un fattore di particolare rilevanza per lo sviluppo di nuova imprenditoria sociale: si riuscirebbero a consolidare le esperienze già attive in questo senso, ma soprattutto si potrebbero esportare queste modalità in altri campi, in particolare nei servizi a più elevata rilevanza sociale come il welfare, ecc. Economia collaborativa: le diverse piattaforme digitali di sharing economy rappresentano l’ecosistema di innovazione sociale globalmente più affermato, con l’obiettivo di promuovere forme di co-produzione di beni e di servizi, disintermediando i modelli classici di offerta in ambiti particolarmente rilevanti. Numerose sono le ambivalenze che riguardano soprattutto la governante delle piattaforme, che si concentra nei classici modelli for profit pur a fronte di un evidente valore sociale prodotto. Creatività e cultura: è il contesto che più esplicitamente manifesta un orientamento all’imprenditoria sociale, con diverse possibili declinazioni. Si potrebbe creare una rete di organizzazioni e asset culturali allo scopo di sviluppare economie di scala, proporre un’offerta territoriale integrata con una gestione più efficiente. Inoltre, si potrebbero ideare iniziative di welfare culturale, assimilando la cultura in processi di produzione di servizi sociali, ricreativi, sanitari, grazie per esempio a partnership con imprese sociali affermate, come le cooperative sociali. Imprese coesive: questo ecosistema deriva da un processo, ancora in divenire, di rigenerazione di un modello economico tipico del contesto nazionale, ossia quello dei distretti industriali. Esso riconosce il suo fulcro in imprese, tipicamente di piccole e di medie dimensioni, per le quali la produzione di valore economico appare strutturalmente legata all’assunzione di strategie e di comportamenti socialmente responsabili verso una pluralità di stakeholder (lavoratori, fornitori, comunità locale). Imprese comunitarie: organizzazioni che riconoscono nella comunità non solo un interlocutore – per quanto rilevante – ma l’obiettivo che sostanzia la missione d’impresa. Le cooperative di comunità rappresentano una risposta alla crisi del sistema dei servizi pubblici locali e sono impegnate nella gestione di svariate iniziative, senza identificare un vero e proprio settore di intervento o core-business, ma cercando di fornire la risposta, in maniera quanto più diretta possibile, ai bisogni del territorio. Organizzazioni ibride: si tratta di un ecosistema in formazione che si alimenta grazie a processi di ibridazione strategicamente orientati sia sul versante for profit che non profit. Si tratta di imprese che ricombinano secondo modalità sui generis la

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    produzione di valore economico e sociale a livello organizzativo, gestionale e di governance. Nella fase attuale, ma soprattutto in futuro, sarà necessario affermare modelli diversi, volti a valorizzare il contenuto di valore sociale di queste produzioni. Rispetto agli ecosistemi precedentemente descritti, secondo i curatori dell’indagine, la Pubblica Amministrazione assume un ruolo chiave, non solo in sede di definizione e implementazione delle politiche, ma anche come attivatore di economie, in grado di alimentare, in forme e modi diversi, economie di impresa sociale. Per esempio attraverso partnership pubblico/private orientate in primo luogo alla co-produzione di beni e di servizi o attuando meccanismi volti a favorire servizi e modelli gestionali di imprese che abbiano come fulcro della propria mission quell’interesse generale che anima, o dovrebbe animare, l’operato delle pubbliche amministrazioni.

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    L’8 aprile si è celebrata in tutto il mondo la Giornata Internazionale dei Rom e dei Sinti, istituita in ricordo dell’8 aprile del 1971, quando, a Londra, si riunì il primo Congresso Internazionale del Popolo Rom e si costituì l’International Romani Union (prima associazione mondiale dei Rom riconosciuta dall’ONU nel 1979). Una ricorrenza che avviene da 44 anni ed è ancora poco conosciuta, come poco note sono le comunità stesse di Rom, Sinti e Caminanti. Tale ricorrenza può certamente aiutare a riflettere sui pregiudizi, gli stereotipi e i luoghi comuni che generano ostilità verso queste comunità, ritenute composte da persone dedite esclusivamente al furto, all’accattonaggio e alla prevaricazione. Come evidenziato da una ricerca dell’istituto statunitense “Pew Research Center”1, in sette Paesi europei intervistati l’Italia è il luogo che più di altri ha manifestato opinioni negative verso i Rom.

    L’85% degli intervistati italiani ha, infatti, espresso sentimenti negativi verso le comunità Rom, che rappresentano lo 0,25% del totale della popolazione italiana, tra le percentuali di presenza più basse d’Europa. In tutta Europa le comunità Rom sono stimate intorno a 12 milioni di persone, di cui circa 6 milioni vivono all’interno dell’Unione Europea e circa 180.000 in Italia2. La metà di coloro che vivono nel nostro Paese hanno la cittadinanza italiana e solo il 3% è effettivamente nomade3 (il luogo comune diffuso vede ancora le comunità Rom e Sinti come comunità nomadi).

    1 Pew Research Center, Global Attitudes Project, A Fragile Rebound for EU Image on Eve of European Parliament Elections, 12 maggio 2014: http://www.pewglobal.org/2014/05/12/chapter-4-views-of-roma-muslims-jews/ 2 Consiglio d’Europa, Estimates and official numbers of Roma in Europe, luglio 2012. 3Rapporto Annuale 2014, Associazione 21 luglio: http://www.21luglio.org/wp-content/uploads/2015/04/Rapporto-annuale-Associazione-21-luglio.pdf, aprile 2015.

    Giornata Internazionale

    Rom e Sinti Vanessa Compagno

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    40.0001 sono invece le persone Rom e Sinti che risiedono nei cosiddetti “campi” (un quarto dei Rom che risiedono nei “campi” vive nella Regione Lazio, un ottimo affare per Mafia Capitale che – procrastinando segregazione e disagio sociale – ha favorito un sistema malavitoso fra i più redditizi; come disse Salvatore Buzzi infatti “i zingari rendono più della droga”). Sull’intera popolazione italiana lo 0,06% degli appartenenti alle comunità Rom e Sinti vive nei campi di segregazione su base etnica: solo lo 0,06% della popolazione italiana, su cui si concentrano odio e paura in un clima da perenne campagna elettorale, ma ben un quarto dell’intera popolazione Rom e Sinti residente in Italia, che richiede invece una politica abitativa basata sulla legalità e la non discriminazione. L’Italia è l’unica nazione europea ad avere campi su base etnica, per soli Rom e Sinti. Unicità che non è passata inosservata alla Commissione Europea. Si medita, infatti, sull’avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), inviando una lettera di messa in mora per violazione della Direttiva 2000/43/CE (concernente la parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica). Nella sola città di Roma, nel 2013, sono stati spesi oltre 22 milioni di euro per mantenere il “sistema dei campi” e i centri d’accoglienza per soli Rom; una cifra senza dubbio sufficiente a costruire alloggi di edilizia residenziale pubblica da assegnare anche a Rom o Sinti in base a bandi e graduatorie regolari. “Al momento risultano in costruzione insediamenti per soli Rom nei Comuni di: Latina (Nuovo Al Karama), Lecce (Nuovo Panareo), Merano (Nuova area Sinti), Cosenza (Tensostruttura). Una volta terminati i lavori, le strutture interesseranno circa 350 persone. La spesa per la costruzione di questi insediamenti ammonta a circa 3.500.000 euro, escluse le future spese periodiche riferite alla gestione. Ristrutturazioni straordinarie […] sono state – o stanno per essere – effettuate a: Asti (via Guerra), Savona (Fontanassa), Vicenza (via Cricoli), mentre sono programmate ma i lavori non sono ancora avviati a Torino (via Germagnago e Strada Aeroporto). In totale le persone coinvolte da queste operazioni risultano circa 685, la spesa sostenuta si attesta su circa 1.500.000 euro, ad esclusione delle spese di gestione degli insediamenti. Al momento, sono in fase di discussione avanzata progetti relativi alla costruzione di nuovi insediamenti per soli Rom […]. Dovrebbe essere di circa 1.500 il numero di persone interessate, nel caso in cui effettivamente si proseguirà con i progetti. Per queste operazioni i finanziamenti in discussione supereranno i 20.000.000 euro”2. Se solamente il 3% di queste popolazioni è nomade e 40.000 persone (ossia 1 su 5) vivono relegati nei campi, è lecito domandarsi dove siano gli altri. Per la maggior parte dell’opinione pubblica è una novità apprendere che la maggior parte risiede in

    1 Ibidem. 2 Ibidem, pagg. 26-27.

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    normali abitazioni, lavora e paga le tasse. Di fatto, come sottolinea Vesna Vuletic in un’intervista1 nelle pagine della cronaca di Torino del quotidiano La Repubblica2 “la nostra cultura non è vivere nei campi. Ci hanno sistemati lì quando siamo venuti in Italia”. Sebbene le immagini di donne e bambini che chiedono l’elemosina, di uomini che trascinano carrelli carichi di ferro e rovistano nei rifiuti siano solo immagini rare di queste comunità, esse restano quelle più conosciute perché da sempre siamo abituati a vedere solo questa piccola e poco significativa (a livello non solo statistico) rappresentazione di un mondo scarsamente conosciuto. “La diffusione di pregiudizi e stereotipi su Rom e Sinti, che dell’anti-ziganismo sono il principale propellente, risulta elevatissima nel nostro Paese. Basti pensare all’isteria scattata in seguito all’episodio della “bambina bionda” avvenuto in Grecia e alle periodiche “bufale” che vogliono Rom e Sinti rapitori seriali di bambini – nonostante verifiche accurate abbiano fallito nel riscontrare tale fenomeno nelle sentenze dei Tribunali – o artefici dei cosiddetti “simboli degli zingari” – altra leggenda metropolitana ampiamente smentita, in primis dal buonsenso ma anche da studiosi e Forze dell’Ordine”3. Sabrina Tosi Cambini4 ha analizzato tutte le cause giudiziarie per tentativo di furto di minorenni in cui si incolpavano (inizialmente) Rom o Sinti tra il 1985 e il 2007, e ha mostrato che non esiste alcun caso accertato di rapimento di minori imputabile a persone appartenenti a tali gruppi. Lo studio di Piasere5 prende in esame un periodo di 21 anni e rileva come i minori Rom rispetto agli altri coetanei abbiano 17 possibilità in più di essere dichiarati adottabili. Come evidenzia questo studio, l’adozione dei minori Rom rappresenta l’esito di storie familiari caratterizzate non da carenze genitoriali, ma da inadeguatezza materiale, quale indigenza e precarietà abitativa. La ricerca dimostra come, in luogo degli interventi sociali richiesti a tutela dei minori Rom, si crei un involontario orientamento all’annullamento delle culture Rom. Nel rapporto “Mia mamma era Roma”6 si è calcolato e analizzato il numero dei minori Rom residenti in campi dichiarati adottabili a partire dal 1° gennaio 2006 fino al 31 dicembre 2012 dal Tribunale per i minorenni di Roma (che ha competenza

    1 Presidentessa dell’associazione Idea Rom. 2 Repubblica, cronaca di Torino, del 8 maggio 2015. 3 Rapporto Annuale 2014, op. cit., pag. 32. 4 S. Tosi Cambini, La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007), Roma, Cisu, 2008. 5 L. Piasere, I fanciulli della tredicesima notte, in C. Saletti Salza, Dalla tutela al genocidio?, CISU, Roma, 2010. 6 Mia Madre era rom, Associazione 21 luglio, ottobre 2013, http://www.21luglio.org/wp-content/uploads/2013/10/Rapporto-Mia-madre-era-rom_Associazione-21-luglio1.pdf.

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    regionale). Dall’indagine è emerso che, nel periodo analizzato, sono state prodotte 202 sentenze inerenti l’eventuale adottabilità di minori Rom residenti nei campi, di queste il 58% sono state chiuse con apertura di adottabilità (117 minori Rom), il 23% sono state chiuse con il non luogo a provvedere (47 bambini) e il 19% sono ancora in attesa di un giudizio definitivo (38 casi). Sul totale dei minori dichiarati effettivamente adottabili (1.033 minori), i bambini Rom costituiscono l’11%: ciò significa che oltre un bambino su 10 dichiarato adottabile nei 7 anni analizzati è Rom. Ricordiamo che la popolazione di minori Rom, nel Lazio, al momento della ricerca era di circa 3.760 unità (lo 0,35% della popolazione di minori nella regione) e che, quindi, il 3,1% di essa è stato dichiarato adottabile, laddove i minori non Rom dichiarati adottabili sono risultati lo 0,08% del totale. Come sottolinea il rapporto non vi è un comportamento discriminatorio da parte del Tribunale dei minori, ma vi sono molti più “minori Rom per cui si apre una procedura rispetto a quelli non Rom”1. Infatti, i minori Rom segnalati sono il 12% del totale. I dati analizzati nella ricerca evidenziano che un minore Rom, rispetto a un coetaneo non Rom, ha 60 possibilità in più di essere segnalato alla procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, 50 possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità, quasi 40 possibilità in più, rispetto a un minore non Rom, di essere dichiarato adottabile. “La vita di un minore Rom che nel nostro Paese vive in un insediamento formale o informale è dunque fortemente condizionata dal contesto abitativo che segna il suo presente e che orienta irreversibilmente il suo futuro. […] Egli non avrà alcuna possibilità di accedere ad un percorso universitario mentre le possibilità di poter frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%. Avrà una possibilità su 5 di non iniziare mai il percorso scolastico, laddove in tenera età saranno 60 volte più numerose le probabilità – rispetto ad un suo coetaneo non Rom – di essere segnalato dal Servizio Sociale e di entrare nel sistema italiano di protezione dei minori. La sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione, mentre da adolescente avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia”2. Esiste un nesso tra politiche discriminatorie e segregative, informazione parziale dei media e l’anti-ziganismo così diffuso e radicato nel nostro Paese. Si parla delle popolazioni Rom e Sinti con grande superficialità e scarsa conoscenza; pochi infatti vengono realmente a contatto con loro e ancora meno sono coloro che sanno che si tratta di una “galassia” di minoranze che non possiedono la stessa storia (se non quella tristemente nota dei lager nazisti) e non condividono una cultura omogenea o una religione. Hanno una lingua con una base comune (ceppo indiano), ma oltre a questo siamo di fronte ad un mosaico di frammenti etnici, quindi non una

    1 Ibidem, pag, 44. 2 Rapporto Annuale 2014, op. cit., pag. 9.

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    minoranza territoriale, ma una minoranza diffusa, dispersa e transnazionale1. Quasi sempre, la non conoscenza si accompagna ad atteggiamenti quotidiani di forte ostilità nei loro confronti, spesso ispirati da esempi istituzionali di politici, nazionali e locali, che cavalcano l’onda dell’anti-ziganismo fomentando odio razziale. Si cerca di ghettizzare una cultura perché diversa, ma veramente si crede che “sbarazzandoci” dei Rom e dei Sinti (in che modo?2) l’Italia si trasformerà magicamente in un Paese sicuro, senza violenza, senza disoccupazione, senza povertà, e dove persino i treni non saranno più in ritardo? “Le cause della diffusa pervasività dell’atteggiamento anti-zigarno vanno ricercate in vari settori della società, ma è sugli esponenti politici e sugli operatori dell’informazione che ricade buona parte della responsabilità. […] L’anti-ziganismo non è un fenomeno ad impatto neutrale, non si limita ad una mera questione d’opinione, ma ha bensì delle gravi ripercussioni – più o meno evidenti – che lo connotano come un fenomeno altamente pericoloso, e quindi come tale deve essere considerato: una minaccia per una società democratica effettivamente plurale e inclusiva”3. Tra il 2013 e il 20144 si sono registrati 428 episodi di discorsi d’odio contro Rom e Sinti5. Di questi il 43,7% sono stati classificati di lieve entità (in questa categoria rientra il “Discorso Stereotipato”) e il 56,3% riguarda episodi gravi di forme di razzismo anti-Rom (Discriminazione, Incitamento all’odio, Incitamento all’odio e discriminazione). Questo significa che ogni giorno, in Italia, si registrano 1,17 casi di discorso contro Rom e Sinti con una media giornaliera di 0,51 “episodi lievi” e 0,66 “episodi gravi”,

    1 E. Dell’Agnese, T. Vitale, Rom e Sinti: una galassia di minoranze, in G. Amitti, A. Rosina (edd.), Tra identità ed integrazione: passato e presente delle minoranze nell’Europa mediterranea, FrancoAngeli, Milano, 2007. 2 Devono tornarsene a casa loro? Come già detto oltre la metà dei Rom e Sinti presenti in Italia, sono italiani (quindi già a casa loro). Ad esempio, in Emilia Romagna il 95,9% della popolazione Rom ha la cittadinanza italiana. Ci sono gruppi romanì presenti in Italia da oltre sei secoli, soprattutto al sud, e Sinti di recente insediamento, cittadini italiani, residenti soprattutto al centro nord. La minoranza di Rom di recentissima immigrazione è arrivata in Italia con le guerre balcaniche. Sono profughi senza documenti validi, per lo più apolidi, i cui figli sono nati in Italia. Altri, invece, sono romeni e bulgari, quindi cittadini comunitari regolari. Rom e Sinti in Italia: condizione sociale e linee di politica pubblica, Osservatorio di politica internazionale, n. 21 – ottobre 2010. http://www.parlamento.it/documenti/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/Approfondimento_21_ISPI_RomSinti.pdf 3 Rapporto Annuale 2014, op. cit., pag. 9. 4 Ricerca dell’Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale dell’Associazione 21 luglio, Antiziganismo 2.0. Rapporto Osservatorio 21 luglio (2013-2014), http://www.21luglio.org/antiziganismo-2-0-rapporto-osservatorio-21-luglio-2013-2014 5 Monitoraggio dal 16 maggio 2013 al 15 maggio 2014 di 129 fonti tra quotidiani nazionali e locali e siti web di informazione e, infine, con lo scopo di tenere sotto monitoraggio l’intero panorama italiano in maniera più capillare possibile e al fine di esplorare anche fonti minori altrimenti troppo onerose da monitorare singolarmente, hanno effettuato quotidianamente 9 ricerche attraverso il servizio Google Alerts con le seguenti parole chiave: nomadi, giostrai, rom, sinti, zingari, nomade, zingara, zingaro, sgombero.

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    ossia ogni giorno vi è stato almeno uno dei due episodi presenti, se non entrambi. Nel 79% dei casi un politico/amministratore locale è l’autore del discorso/rappresentazione anti-Rom che nel 10% dei casi un giornalista veicola. Nel 28% dei casi si è trattato di esponenti della Lega Nord. Nel dettaglio, il discorso stereotipato e gli episodi gravi sono prevalenti negli esponenti politici/amministratori locali (rispettivamente 87% e 72% dei casi rilevati) soprattutto appartenenti alla Lega Nord (rispettivamente 27% e 28% dei casi). Un dato che differenzia le due classificazioni analizzate (lieve e grave) è che il soggetto “giornalista” è presente negli episodi gravi nel 18% dei casi (discriminazione 7% dei casi, incitamento all’odio 38%, incitamento all’odio e discriminazione 7%). La presenza del soggetto “giornalista” negli episodi gravi alimenta, insieme a politici e amministratori, l’antiziganismo restituendo un’immagine dei Rom e dei Sinti fuorviante. “L’altissima percentuale di esponenti politici […] ci riporta di nuovo sull’uso strumentale che si fa della questione in oggetto, di come i corpi e le esistenze dei Rom siano oggetto di scambio tra interlocutori che si pongono al di sopra di loro, che non li vedono o percepiscono come esseri umani dotati di pari opportunità o diritti”1. La retorica dell’odio verso le comunità Rom e Sinti nelle sue diverse declinazioni purtroppo è ancora proficua a livello di propaganda politica e non c’è un reale interesse nel volere che queste comunità siano veramente incluse nella società, soprattutto in quei luoghi dove “i zingari rendono più della droga”. Il problema è che “Non sono, ecco, non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Dopotutto non si possono

    rimproverare. Oh, no. Non si può. Non hanno mai avuto quello che abbiamo avuto

    noi. Il guaio è … il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto” (Intercettazione di Richard Nixon sugli italiani, 1975).

    1 Ibidem, pag. 19.

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    Film d’esordio del regista, presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2013, ha vinto il Premio del Pubblico Raro Video. Film di confine, ambientato nel Friuli, ha per protagonista Paolo Bressan, un cialtrone meschino, costantemente ubriaco, incattivito dai rimpianti per la ex moglie, sposata da tempo con Alfio, l’uomo che gli ha anche procurato un lavoro. Solitario, con il cuore indurito, Paolo passa ogni giorno a disprezzare il proprio lavoro, a creare difficoltà ai colleghi e a recriminare contro la vita di paese e contro i propri problemi. Quando la morte di una lontana zia gli apre la prospettiva di un’eredità, si reca in Slovenia, tornando però non con i soldi attesi, ma con un lontano nipote di 14 anni, Zoran. Persi i genitori, l’adolescente, che viveva con la nonna, ha bisogno di un appoggio temporaneo in attesa di finire in una casa famiglia. Zoran è eccentrico, altrettanto solitario, ha un carattere chiuso e rigidamente legato alle proprie abitudini e ritualità, frutto delle poche esperienze di contatto umano vissute. Zoran ha però anche voglia di aprirsi al mondo, e un gran talento per le freccette. Paolo, convinto di poter sfruttare questa sua dote per soldi, decide di tenere il nipote con sé, ma a volte la vita si muove per altre vie: Zoran può vivere finalmente un’adolescenza normale, mentre lo zio prova a rimettersi in piedi, smettendo di provare solo sentimenti negativi. Come diceva John Donne: «Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra». Il regista sembra quasi partire da qui: da quanto la solitudine possa alla lunga disumanizzare una persona. Zoran e Paolo, per motivi diversi, risentono della propria solitudine e, piuttosto che vivere, si sono auto confinati in un mondo di riti e di assenza di emozioni. Il confronto li arricchisce e li normalizza, concedendo loro una seconda possibilità. I pregi dell’opera prima di Matteo Oleotto sono non solo nelle tematiche e nella rappresentazione di una porzione d’Italia solitamente lontana, ma anche nella regia non banale e non televisiva, nel casting dei comprimari e soprattutto nella recitazione dei due protagonisti, tanto quella fisicamente imponente dell’ottimo Giuseppe Battiston, quanto quella fatta di sottrazioni e silenzi dell’esordiente Rok Presnikar.

    Regia: Matteo Oleotto Con: Giuseppe Battiston, Teco Celio, Rok Presnikar, Marjuta Slamic, Roberto Citran, Riccardo Maranzana, Jan Cvitokovic, Ariella Reggio Paese di produzione: Italia, Slovenia 2013 Durata: Commedia, 103 min. Casa di produzione: Tucker .

    Zoran, il mio nipote scemo

    Matteo Domenico Recine

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    Ha preso il via il progetto The King of my castle: connecting individual to social empowerment, promosso dall’Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali (ISTISSS), nell’ambito del Programma Europeo Erasmus+ (KA 1), con la finalità di sostenere la formazione degli operatori socio-educativi e delle organizzazioni giovanili. Al centro del progetto la realizzazione di un training course, rivolto complessivamente a 24 operatori sociali e giovanili europei, provenienti da ciascun Paese partner (Italia, Spagna, Armenia, Ucraina, Romania e Olanda), che si svolgerà dal 15 al 22 luglio 2015 a Roma, presso i locali dell’ISTISSS sito in Viale di Villa Pamphili n. 71/C. Il corso, tenuto da formatori dell’Associazione Nuovo Welfare, punterà a sviluppare nei partecipanti capacità di leadership e di facilitazione nel lavoro con i singoli e i gruppi, agendo sulle competenze trasversali (comunicazione efficace, gestione del conflitto, problem solving ecc.). Per l’Italia saranno selezionati 4 operatori/trici sociali, volontari/e, leader di associazioni giovanili o di altre associazioni che lavorino con i giovani. Non ci sono limiti di età per la partecipazione, ma sarà data priorità ai giovani sotto i 35 anni di età. Particolare attenzione sarà posta al rispetto della parità di genere. La frequenza del training course non comporterà alcun onere per i partecipanti. La lingua del corso sarà l’inglese. Gli interessati potranno inviare la propria candidatura, entro e non oltre il 7 giugno 2015, seguendo le indicazioni contenute nel sito di progetto: https://thekingofmycastle.wordpress.com/call-for-participants/. Al termine delle selezioni, verrà data comunicazione dell’esito all’indirizzo e-mail indicato da ciascun candidato.

    Parte il progetto: The King

    of my castle Associazione Nuovo Welfare

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    Direttore editoriale

    Daniela Bucci

    Caporedattore ed editing

    Zaira Bassetti

    Redazione Numero 2/2015

    Associazione Nuovo Welfare Zaira Bassetti

    Vanessa Compagno

    Segreteria di redazione

    Via Portuense, 104 – Roma [email protected] www.nuovowelfare.it

    Credits

    Immagine di copertina: Particolare de L’albero della vita di Gustav Klimt

    Policy

    CC – BY – NC È possibile utilizzare, riprodurre, diffondere interamente e/o

    parzialmente i contenuti pubblicati, in qualsiasi forma e supporto, ma non a scopi commerciali e a condizione che

    vengano mantenuti le indicazioni di chi è l’autore dell’articolo e il riferimento alla pubblicazione su WOL –

    Welfare On Line.


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