Il tema di questo Lifestylebuilding è la “normalità”
intesa come semplicità e sincerità progettuali, valo-
ri sempre più diffusi nel mercato e richiesti dal con-
sumatore. In che modo Edra, che è sempre stata
anticipatrice di un modo di fare il design anche fuori
dagli schemi – quindi supernormale – si posiziona
rispetto a questo trend?
Proprio questo anno Edra festeggia i suoi 25 anni,
questa domanda mi permette di esprimere sinteti-
camente quella che è sempre stata la nostra mis-
sione, ovvero credere fortemente nella riflessione
e nei ragionamenti, prima di affrontare qualsiasi
progetto, anche quello che in un certo momento
storico ha anticipato tendenze e consumi. In que-
sto senso penso che Edra sia sempre stata since-
ramente normale nei suoi processi creativi e mai
stravagante. Noi - io in prima persona e Massimo
Morozzi direttore creativo del marchio – abbiamo
sempre tollerato poco la stravaganza, piuttosto
siamo vicini alla straordinarietà delle cose anche
più semplici. Mi viene in mente un nostro prodotto,
pensato dai fratelli Campana, il “Kaiman Jakaré”,
un divano che nasce da un evento accaduto ai
due designers durante un viaggio in Amazzonia.
I Campana videro una serie di coccodrilli appog-
giati uno sopra l’altro in riposo, un evento normale
per quelle zone. Tornati in Italia ci proposero di
realizzare un divano che trasmettesse quella idea
di confort attraverso la sovrapposizione morbida
di corpi, ecco quel divano può essere inteso come
una visione supernormale, un normale spettaco-
lare appunto.
Durante un incontro alla Design Library lei ha par-
lato di “fabbrica del design”, una definizione che
esprime il senso più vero delle grandi aziende ita-
liane di questo settore, dove è sempre stato mol-
to forte il legame tra imprenditore e designer. Lei
pensa che esista ancora questo legame e che sia
ancora una leva forte del successo di un marchio?
Purtroppo noto che in Italia sia molto diminui-
ta questo relazione e che invece all’estero si sia
diffusa maggiormente in questi ultimi anni. Oggi
è diventato molto più difficile capire certi progetti,
alcuni designers tendono a complicarli. Noi ab-
biamo sempre cercato di mantenere un dialogo
aperto con tutti i designers che lavorano per Edra.
Dopodiché lasciamo sempre libero il creativo nel-
la sua espressività, per due motivi: da un lato mi
sembrerebbe moralmente non corretto imporgli
certi schemi e dall’altro riterrei offensivo nei suoi
confronti “deformare” un progetto. Credo dunque
che sia fondamentale mantenere vivo questo lega-
me, delicato e forte tra impresa e creatività.
Di recente ha partecipato ad un convegno dell’Uni-
versità di Firenze dove ha parlato della formazione
del designer, in questa direzione Edra è sempre
stata una fucina di talenti, basta pensare a Zaha
Hadid che ha lavorato per voi quando era ancora
una sconosciuta. La sua azienda cerca ancora oggi
le personalità più interessanti del nuovo design?
Si certo quando vedemmo i progetti di Zaha Ha-
did, noi volammo subito a Londra per incontrarla,
ci accorgemmo subito della “bontà” del prodotto e
decidemmo immediatamente di collaborare. Ecco
io credo profondamente nella bontà, quindi nella
sincerità di un progetto e quando ha certe carat-
teristiche qualitative sono il primo a volerlo produr-
re anche se è fatto da una persona sconosciuta
come nel caso della Hadid negli anni Ottanta. Lo
stesso mi è accaduto con Fernando e Humberto
Campana. Arrivarono dal Brasile quando non era-
no nessuno ma il loro stile era assolutamente per-
fetto per noi. Edra continuerà sempre a lavorare
con il nuovo se interessante ed io sono molto felice
quando scopriamo un giovane talento.
Il nome Edra deriva dal greco “esedra”, un luogo
destinato alla conversazione ed all’incontro, in che
modo oggi la sua azienda mantiene vivo questo
aspetto?
Noi siamo riusciti a materializzare nel vero senso
della parola questa idea, creando nel 2007 uno
spazio di 2400 mq all’interno della nostra azien-
da, dove ogni settimana si svolgono incontri con
architetti e professionisti di tutto il mondo. 800 mq
sono dedicati alla spazio “Materia e lavoro” dove
ci fanno visita spesso anche scolaresche a cui
spieghiamo cosa facciamo. Edra prima di essere
un marchio è un luogo dove l’attenzione anche alle
piccole cose, il dialogo e l’incontro sono dunque
una cosa normale!
Il normale è “spettacolare”Intervista a Valerio Mazzei, co-founder Edra
ganti frutto dell’ego di chi li ha disegnati. Ma mobili dalle linee sobrie
dove la differenza risiede nel pregio dei materiali e delle finiture. In
grado di dialogare con i diversi stili preesistenti, dal cassettone della
nonna all’impianto hi fi. Insomma arredi sostenibili: fatti per durare e
non stancare.
Linee basiche, dimensioni ridotte, tinte neutre. Il design al tempo
della crisi raramente cede alla tentazione del colpo di teatro.
Piuttosto si concentra sulla funzione, si fa semplice e morigerato.
Si normalizza si potrebbe dire, dove per normalità si intende la qualità
di un’estetica in equilibrio tra forma e funzione.
Come gli arredi essenziali di Jasper Morrison, sostenitore della filo-
sofia del Super Normal, come la nuova Pentax disegnata da Marc
Newson, con comandi semplificati e facili da usare stile Apple, come
il set “1% products” dei giapponesi Nendo, che reinterpreta con po-
esia gli archetipi della tavola, per fare qualche esempio.
Questo ritorno all’ordine sta guidando le proposte delle aziende al
prossimo Salone del Mobile e ha un pregio su tutti: risponde alle
esigenze delle case vere, a misura d’uomo, di dimensioni ridotte e
già arredate. Ovvero case che non richiedono enormi pezzi strava-
Normalità: design per durare e non per stancare
Francesca Taroni Editor in Chief Case da Abitare
foglio 12 fogli di ideecomunicazione, arte, moda, design, cibo n° 08
Adesso tutto è straordinario, dalla situazione al comportamento; diverso da sempre. Tutti si guardano intorno alla ricerca di un qualcosa che riesca a muovere il mercato, a trovare idee risolutive e questo distoglie da quella pratica della quo-tidianità, della normalità che di per sé rende il pensiero lucido, chiaro, propositivo. Siamo in quel momento dove l’ultimo botto dei fuochi di artificio rende lo spazio sospeso, in attesa, apparentemente vuoto. E’ qui che si gioca la possibilità del niente è ora, ma tutto è dopo. Una normale normalità in cui si esaltano le piccole cose, in cui il pensiero si fa strada
per progettare il presente, senza la presunzione di un futuro spettacolare ma normale, pieno, intenso, possibile e sostenibile. Giorgio Brogi
Da sinistra verso destra: Giorgio Brogi, Francesca Taroni, Valerio Mazzei, Patrizia Catalano, Carlo, Anna e Paolo Bartoli - Bartoli Design, Silvia Robertazzi, Aurelio Magistà, Monica Evangelisti, Jacopo Moschin
NORMALITÀ >>
Quando il riferimento è il mondo, “normalità” diventa un concetto
estremamente opinabile. L’inventario delle possibilità, che distillato
e mediato crea lo standard al quale è riconducibile una normalità,
varia - e molto - se lo scenario è globale: lo standard globale non
esiste; esistono molti standard, più o meno vicini/lontani tra loro. Il
passaggio obbligato, per ora, è quello di assoggettare il concetto di
normalità ad una cultura di riferimento. Ancora di più, il superamento
della normalità banale attraverso la sua rilettura, rarefazione, esa-
sperazione o concettualizzazione, fino ad ottenere oggetti densi di
significato ed addirittura simboli, è un’attività che conduce a risultati
riconoscibili universalmente (e non solo da una cerchia di addetti
che parlano lo stesso linguaggio di chi ha fatto la rilettura) in casi rari.
E se oggi tutto è frammentato, tutto coesiste, tutto distrae e tutto av-
viene con estrema velocità, una normalità (o super-normalità, come
suggerito) potrebbe essere un antidoto, un punto fermo? Non solo
la normalità ha bisogno di riflessione, di tempo e di una posizione al
di sopra delle parti ma non passiva; bisogna avere già sedimenta-
to per apprezzare. Una super-normalità senza spazio per il banale,
dove l’astrazione diventa un’anima lieve ma chiara e significante,
non è solo difficile da progettare ma anche da leggere. Il design
semplice è un concetto diverso, comunque un processo sofisticato
che richiede coerenza e sforzo di sintesi, per essere poi leggibile in
modo lineare e tuttavia contenere valore. Semplicità come scelta si-
gnifica voler arrivare con un messaggio diritti all’obiettivo, e si coniu-
ga bene con sincerità del progetto. Un designer “sincero” progetta
per obiettivi comprensibili all’utente, promette e mantiene. Questa
coerenza credo sia un valore aggiunto per ogni prodotto e processo,
ed è importante che sia dichiarata. Applicare la sincerità progettuale
trovo sia il modo più convincente per dare significato attuale ai nostri
progetti e provocare empatia nell’utente - è un approccio che è di-
ventato sempre più importante per noi. Quando la sincerità si abbina
ad un ottimo distillato dello standard, ci sono ottime probabilità di
ottenere una super-normalità comprensibile che si impone con un
valore superiore e non lascia indifferenti.
foglio 12 fogli di ideecomunicazione, arte, moda, design, cibo n° 08
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La normalità è difficile, la sincerità è comprensibile
Anna Bartoli Bartoli Design
Progettare oggi significa partire dalla finema un benessere prolungato. Un confort fisico e visivo. Oggi che la
complessità del mondo rispetto a quello dei Maestri si è moltiplica-
ta, l’operazione della riduzione è più difficile, le variabili sono tante.
Di queste alcune sono però imprescindibili. Come il rispetto per la
Natura. Non si tratta solamente di essere ecologicamente corretti. Si-
gnifica aderire ad altre regole che riguardano la vita di tutti i giorni. A
partire da piccoli gesti. Per arrivare ai materiali innovativi del design
di matrice organica e biodegradabili che dettano nuove consistenze
e nuove estetiche. Progettare oggi significa partire dalla fine. Che
poi è il problema/incubo dello smaltimento dei rifiuti. Chi disegna un
oggetto non può prescindere dal ciclo di vita che esso avrà. Il gesto
creativo del designer così come l’abbiamo conosciuto lascerà il pas-
so a un processo articolato. Tanto impegnativo nella sua costruzio-
ne. Meravigliosamente normale nella sua concretizzazione.
Più che di hyper normale o supernormale io parlerei di meraviglio-
samente normale. La definizione la prendo in prestito da Naoto Fu-
kasawa che così ha definito l’amico Jasper Morrison con il quale
condivide l’interesse per il design ordinario e quotidiano. Di fatto il
termine speciale, proprio come ha raccontato il designer inglese a
Casamica, è meno utile della parola normale e di minor soddisfazio-
ne nel tempo. Questo per dire che l’abusato motto Less is more oggi
indica non tanto uno stile quanto un modo di pensare. La regola è più
importante dell’eccezione e la vita quotidiana, con le sue azioni e i
suoi oggetti, va ritenuta un valore. Non è una novità. Il design italiano
ce lo insegna da tempo. Basta pensare a Bruno Munari, ai fratelli
Castiglioni, a Vico Magistretti, per citarne solo alcuni. Loro riuscivano
a sorprendere creando sedie che erano sedie, lampade che erano
lampade, tavoli che erano tavoli. La sottrazione era leggerezza di
pensiero. E il risultato finale ci guadagnava. La verità è che loro da-
vano anima alle cose di tutti i giorni. Non cercavano l’effetto speciale, Jacopo Moschin Fotografo
Questo per dire che l’abusato motto Less is more oggi indica non tanto uno stile
quanto un modo di pensare.
Silvia Robertazzi Direttore responsabile Casamica e AtCasa.it
Il gesto creativo del designer così come l’abbiamo conosciuto lascerà il passo
a un processo articolato.
Il design semplice è un concetto diverso, comunque un processo sofisticato
che richiede coerenza e sforzo di sintesi, per essere poi leggibile in modo lineare
e tuttavia contenere valore.
Applicare la sincerità progettuale trovo sia il modo più convincente per dare
significato attuale ai nostri progetti e provocare empatia nell’utente - è un approccio
che è diventato sempre più importante per noi.
Jacopo Moschin Fotografo
L’ ingresso, uno spazio che ci introduce in casa,
una specie di decanter che divide il mondo là fuori
dal nostro spazio privato. Una lampada calda ci
accoglie, come un piccolo faro che dà il benvenu-
to all’ospite, magari appoggiata su di una consolle
(ecco a cosa serve!) che supporta pure un vecchio
specchio, in cui diamo uno sguardo veloce ogni
mattina, prima di uscire. Niente finestre in ingres-
so. C’è poi un posto scuro, piccolo, un guardaroba
o un ripostiglio, dove togliersi cappotti e soprabiti
e soprattutto le scarpe. A piedi nudi ci si sente di-
sarmati ma a volte anche felici. Salotto o cucina?
Liberi di scegliere. Il salotto, quello vero, non è fatto
di divani fuori misura convergenti verso un ipocrita
za, qui sì un bel lampadario a soffitto (Murano?). E
un centrotavola con una grande ceramica italiana.
Nessuna interferenza, nessun disturbo ci deve es-
sere nella stanza del cibo, solo le chiacchiere e
il rumore delle stoviglie. Non è magnifico il suono
del brodo calato dalla
zuppiera in un piatto di
porcellana? E il rumore
del vino, quando viene
versato in un bicchiere di
cristallo sfaccettato, non
è forse musicale? Andia-
mo in cucina a curiosare. E’ bella quando è qua-
drata, la vogliono moderna ed efficiente, ma poi
si riempie di sciocchezze. Liberatela! Lasciamo a
vista dei canovacci di lino inamidato, una pentola
importante sui fuochi spenti e un grande orologio a
parete che ci dia il senso del tempo, che in questa
stanza è protagonista. Esiste poi “la zona notte”.
Che strano modo di chiamare il luogo dedicato al
sonno: un corridoio popolato di armadi (non met-
tiamoli in camera!) e una stanza, spesso la meno
arredata della casa. Facciamola vivere questa no-
stra camera. Un letto grande, comodo e ben vesti-
to (senza eccessi), come un bel signore elegante
(il letto è maschile o femminile?), due tavolini, an-
che diversi, per appoggiarci luce, libri, e un qua-
dernino (ancora) per appuntare quello che la notte
fa affiorare. Invece dell’armadio, una libreria e una
poltrona da lettura e ancora kilim, sì certo. Se poi
ci fosse anche un camino allora il quadro sarebbe
perfetto. Bagni che dire? Oramai c’è una passione
diffusa per questa stanza, a ciascuno il suo!
quanto gigantesco maxi schermo televisivo. Vo-
gliamo invece piccoli angoli accoglienti, costruiti
da un ensemble di sedute: divano comodo ma non
esagerato, poltroncine diverse meglio se vintage
e una poltrona confortevole, un po’ sgangherata,
accompagnata da una
lampada a stelo munita
di un bottoncino, che fa
clic-clac, per accompa-
gnare le letture serali.
Le luci? Tante e diverse
in modo da non annoia-
re l’occhio. Meglio abat-jour con dei bei paralumi
in tessuto. Tavolini ovunque, con libri e quaderni
e baedecker. Quadri e tappeti, soprattutto kilim,
quelli che piacevano ad Adolf Loos (ci riempì la
casa di Josephine Baker). La sala da pranzo. Che
atmosfera antica! Un grande tavolo a centro stan-
Una casa
Patrizia Catalano giornalista responsabile di Interni Magazine allegato di Panorama
Vogliamo invece piccoli angoli accoglienti, costruiti
da un ensemble di sedute: divano comodo ma non esagerato.
foglio 22 fogli di ideecomunicazione, arte, moda, design, cibo n° 08
Normalizzazione o discrezione:voi da che parte state?Siamo nell’era della post-opulenza – più o meno dichiarata – tutto è
stato ridimensionato nel mondo del consumo, oggi di fronte ad un og-
getto di design (ma vale per ogni genere di categoria merceologica
dalla moda alle automobili, dal tempo libero ai viaggi) assumiamo un
atteggiamento decisamente più riflessivo.
E’ facile capire il perché, i soldi sono diminuiti e la crisi ci porta a
cercare oggetti che siano prima di tutto un “concentrato” di sostanza
e di normalità.
Questo è lo scenario dentro il quale oggi lavora il designer al quale si
chiede il coraggio di tornare alla sincerità del buon design, capace di
impressionare per la sua semplice normalità.
“Domus” sembra aver accolto per primo questa tendenza, inauguran-
do già alla fine del 2011 la rubrica “SuperNormal: una nuova serie di
articoli, dedicata al design della tecnologia quotidiana”.
Leggendo le parole di Dan Hill si capisce che la scelta di acquisto
è sempre più rivolta a prodotti (non solo tecnologici) che ci aiutano
nella vita di tutti i giorni, in sostanza cerchiamo sempre di più oggetti
normalmente usabili e consumabili, concepiti per essere – come dice
Hill - espressivi, personali, produttivi, strategici, partecipativi.
Oggi dunque per disegnare nuovi prodotti è necessario disegnare
nuove aziende: il valore della verità è importante nei prodotti, sono gli
imprenditori in primis a risentire l’urgenza di una sincerità progettuale
peggio banalità, si tratta invece di pensare cose, oggetti, sistemi che
funzionano nella vita reale, perché nascono dalla dialettica tra impren-
ditore e designer, uno scambio continuo da cui devono continuare
a scaturire soluzioni per problemi quotidiani, spesso geniali proprio
nella loro semplicità.
E’ diventata leggenda la storia legata al successo del divano Mara-
lunga di Cassina progettato da Magistretti: l’industriale di fronte al
prototipo di cui non vedeva la fine, lanciò un micidiale pugno allo
schienale, spezzandolo.
Magistretti immediatamente disse: “ecco adesso mi sembra perfetto”.
Questo per dire che il design restringe il divario tra ciò che un prodot-
to fa e perché un prodotto esiste. Progettare non significa pensare alla
progettazione in termini di strutture metalliche o in stile visivo, ciò che
importa è il prodotto nel suo insieme.
Questa è l’essenza della normalità intesa come sincerità progettuale,
come visione “discreta” della funzione e dell’estetica.
e concettuale. E’ in questa ottica che si muove per esempio Odoar-
do Fioravanti, che così descrive il suo modo di concepire il design:
“bisogna pensare a come far esistere quello che ancora non esiste,
cercando, nel frattempo, di farlo anche intelligente, bello, useful, faci-
le da produrre, semplice da spiegare. Un compito che, quando inizio
un nuovo progetto, mi fa raddrizzare la schiena, abbassare il tono di
voce, fare la punta alla matita così da iniziare sempre con la consa-
pevolezza, la serietà, l’eccitazione e la gioia di chi vuole mettere al
mondo qualcosa”.
Il disegno industriale che non trascende mai nell’eccesso e nel fuori
misura estetico, ha dunque rimesso in riga per così dire gli stessi de-
signers, che hanno accolto la tendenza alla “discrezione” a vantaggio
di un rinnovato buon senso creativo.
A proposito di discrezione pensiamo a Donata Parruccini ed ai suoi
oggetti, dove non esiste esibizione ma solo precisione e rigore, mi-
sura ed essenza. Si tratta di un design che “non urla”, che non usa
superlativi ma piuttosto sceglie una purezza discreta.
Intendiamoci, fare design “di sostanza” non significa creare design
minimale, scialbo o impersonale!
E’ vero che la fascia dei consumatori più evoluti ed informati ha ca-
pito che la logica dell’apparenza e dell’opulenza ci ha mandato in
crisi, è altrettanto vero che la normalizzazione richiesta dagli eventi
spaventa.
Al contrario il ritorno ad un’estetica della discrezione viene percepita
ed accolta come profondamente rassicurante.
Questa rivoluzione discreta è qui per restare, è una rivoluzione che
non intende stravolgere la creatività o limitarla in una ossessiva ri-
cerca della funzione e dell’essenziale, è un cambiamento che non
elimina il piacere estetico e dell’esperienza da provare direttamente
in casa, su una sedia mentre ceniamo o sul divano mentre si legge
un libro.
Ecco allora che l’approccio alla normalità non significa ordinarietà o Monica Evangelisti Copywriter CeG Maxicom
Tra cespugli e rovi, una strada maestraNel falò delle vanità ben rappresentato dalle mi-
gliaia di nuovi mobili che ogni anno nascono anche
solo per vivere lo spazio di un’anteprima al Salone
del mobile, non tutto è vanità. Quindi se vogliamo,
qualcosa possiamo sottrarre, alle fiamme di quel
falò che con iconoclasta saggezza divampa e ri-
caccia tavoli e sedie, lampade e poltrone nell’oblio
di una metaforica cenere. Il catalogo delle cose da
salvare, però, se la potrà fare ciascuno per proprio
uso, scegliendole dalla lista più sintetica dei per-
corsi che il design sta tracciando in questi anni.
Molti sentieri tra cespugli e rovi, ma anche qualche
strada maestra.
Strada maestra è certamente il vintage, che nel de-
sign salda il significato più generale del recupero
di un passato e dunque di una storia, rappresenta-
ta dalle tracce (forme derivate da quel passato ma
anche vere e proprie cicatrici come dilavamenti,
consunzioni) del tempo nelle cose, con il rilancio
dei grandi creativi, da Le Corbusier a Gio Ponti,
da Charlotte Perriand a Vico Magistretti. Passato
simulato ed ereditata grandezza sono come le due
sponde di un fiume su cui poggia questo ponte, i
due volti di un Giano bifronte che guarda indietro
e nello stesso tempo spinge più avanti lo sguardo.
Altra strada maestra è l’etico, ecologico, biocom-
patibile, perchè il nostro futuro ce lo possiamo
permettere solo attraverso il nostro presente, solo
vivendo un’esistenza più leggera, che sappia con-
dividere le risorse della Terra e i diritti degli uomini
fra tutto il genere umano. Da qui, dall’eco&etico,
si dipartono altri due percorsi; per il primo, la leg-
gerezza significa anche mobili sottili, lievi, quasi
trasparenti, sia nella loro concretezza formale, sia
nel loro farsi, dalla filiera corta al chilometri zero
dalla doppia virtù: meno inquinamento e più occu-
pazione per il tuo paese.
Leggerezza che in questo caso significa anche
costi minori, design accessibile, che volutamente
non chiamiamo democratico perché questo ag-
gettivo ha finito per sdoganare un arredamento
che con il design ha poco a che fare; per il se-
condo, la leggerezza attenzione a una naturalità
che va dal grande rilancio del legno, soprattutto a
vista, perfino nel rustico del taglio sega o del tron-
co appena sbozzato e sagomato a farne tavolino
o sgabello, fino alle vernici all’acqua e alle colle
atossiche, in qualche caso più raffinato sostituite
da sapienti incastri.
Infine, la divisione più profonda fra poveri e ricchi,
ha aperto scenari in cui lo stesso design che inven-
ta serie limitate, pezzi e unici e perfino si stanzia
al crocevia con l’arte (cui giunge a “rubare” il pal-
coscenico delle gallerie), sa badare al sodo della
funzione e del prezzo senza contraddirsi, come
appunto un Giano orgogliosamente bifronte.
Aurelio Magistà La Repubblica
Se vogliamo, qualcosa possiamo sottrarre, alle fiamme di quel falò che con iconoclasta
saggezza divampa e ricaccia tavoli e sedie, lampade e poltrone nell’oblio
di una metaforica cenere.
Il disegno industriale che non trascende mai nell’eccesso e nel fuori misura estetico,
ha dunque rimesso in riga per così dire gli stessi designers, che hanno accolto la tendenza alla “discrezione” a vantaggio
di un rinnovato buon senso creativo.
Ecco allora che l’approccio alla normalità non significa ordinarietà o peggio banalità, si tratta invece di pensare cose, oggetti, sistemi che funzionano nella vita reale,
perché nascono dalla dialettica tra imprenditore e designer, uno scambio continuo
da cui devono continuare a scaturire soluzioni per problemi quotidiani, spesso geniali
proprio nella loro semplicità.
Il design che inventa serie limitate, sa badare al sodo
della funzione e del prezzo senza contraddirsi.
Jacopo Moschin Fotografo. Lavora per GQ Japan, GQ China, Elle, Marie Claire, Max, Style Corriere della Sera. SOLO SHOW / East London Boys, Donec Capiam Gallery, Milano, Jaguar Studios, London.
Eduardo Wongvalle. Milano Fashion Week, Park Hyatt
CeG Maxicom Press Day, Aprile 2012, Milano
Segis. Sales and Communication Meeting
Modyva. SS 2012 ADV Backstage
Boroli Wine Forum 2011