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Lifestyle Building 08

Date post: 30-Mar-2016
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3 fogli di idee, comunicazione, arte, moda, design
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Il tema di questo Lifestylebuilding è la “normalità” intesa come semplicità e sincerità progettuali, valo- ri sempre più diffusi nel mercato e richiesti dal con- sumatore. In che modo Edra, che è sempre stata anticipatrice di un modo di fare il design anche fuori dagli schemi – quindi supernormale – si posiziona rispetto a questo trend? Proprio questo anno Edra festeggia i suoi 25 anni, questa domanda mi permette di esprimere sinteti- camente quella che è sempre stata la nostra mis- sione, ovvero credere fortemente nella riflessione e nei ragionamenti, prima di affrontare qualsiasi progetto, anche quello che in un certo momento storico ha anticipato tendenze e consumi. In que- sto senso penso che Edra sia sempre stata since- ramente normale nei suoi processi creativi e mai stravagante. Noi - io in prima persona e Massimo Morozzi direttore creativo del marchio – abbiamo sempre tollerato poco la stravaganza, piuttosto siamo vicini alla straordinarietà delle cose anche più semplici. Mi viene in mente un nostro prodotto, pensato dai fratelli Campana, il “Kaiman Jakaré”, un divano che nasce da un evento accaduto ai due designers durante un viaggio in Amazzonia. I Campana videro una serie di coccodrilli appog- giati uno sopra l’altro in riposo, un evento normale per quelle zone. Tornati in Italia ci proposero di realizzare un divano che trasmettesse quella idea di confort attraverso la sovrapposizione morbida di corpi, ecco quel divano può essere inteso come una visione supernormale, un normale spettaco- lare appunto. Durante un incontro alla Design Library lei ha par- lato di “fabbrica del design”, una definizione che esprime il senso più vero delle grandi aziende ita- liane di questo settore, dove è sempre stato mol- to forte il legame tra imprenditore e designer. Lei pensa che esista ancora questo legame e che sia ancora una leva forte del successo di un marchio? Purtroppo noto che in Italia sia molto diminui- ta questo relazione e che invece all’estero si sia diffusa maggiormente in questi ultimi anni. Oggi è diventato molto più difficile capire certi progetti, alcuni designers tendono a complicarli. Noi ab- biamo sempre cercato di mantenere un dialogo aperto con tutti i designers che lavorano per Edra. Dopodiché lasciamo sempre libero il creativo nel- la sua espressività, per due motivi: da un lato mi sembrerebbe moralmente non corretto imporgli certi schemi e dall’altro riterrei offensivo nei suoi confronti “deformare” un progetto. Credo dunque che sia fondamentale mantenere vivo questo lega- me, delicato e forte tra impresa e creatività. Di recente ha partecipato ad un convegno dell’Uni- versità di Firenze dove ha parlato della formazione del designer, in questa direzione Edra è sempre stata una fucina di talenti, basta pensare a Zaha Hadid che ha lavorato per voi quando era ancora una sconosciuta. La sua azienda cerca ancora oggi le personalità più interessanti del nuovo design? Si certo quando vedemmo i progetti di Zaha Ha- did, noi volammo subito a Londra per incontrarla, ci accorgemmo subito della “bontà” del prodotto e decidemmo immediatamente di collaborare. Ecco io credo profondamente nella bontà, quindi nella sincerità di un progetto e quando ha certe carat- teristiche qualitative sono il primo a volerlo produr- re anche se è fatto da una persona sconosciuta come nel caso della Hadid negli anni Ottanta. Lo stesso mi è accaduto con Fernando e Humberto Campana. Arrivarono dal Brasile quando non era- no nessuno ma il loro stile era assolutamente per- fetto per noi. Edra continuerà sempre a lavorare con il nuovo se interessante ed io sono molto felice quando scopriamo un giovane talento. Il nome Edra deriva dal greco “esedra”, un luogo destinato alla conversazione ed all’incontro, in che modo oggi la sua azienda mantiene vivo questo aspetto? Noi siamo riusciti a materializzare nel vero senso della parola questa idea, creando nel 2007 uno spazio di 2400 mq all’interno della nostra azien- da, dove ogni settimana si svolgono incontri con architetti e professionisti di tutto il mondo. 800 mq sono dedicati alla spazio “Materia e lavoro” dove ci fanno visita spesso anche scolaresche a cui spieghiamo cosa facciamo. Edra prima di essere un marchio è un luogo dove l’attenzione anche alle piccole cose, il dialogo e l’incontro sono dunque una cosa normale! Il normale è “spettacolare” Intervista a Valerio Mazzei, co-founder Edra ganti frutto dell’ego di chi li ha disegnati. Ma mobili dalle linee sobrie dove la differenza risiede nel pregio dei materiali e delle finiture. In grado di dialogare con i diversi stili preesistenti, dal cassettone della nonna all’impianto hi fi. Insomma arredi sostenibili: fatti per durare e non stancare. Linee basiche, dimensioni ridotte, tinte neutre. Il design al tempo della crisi raramente cede alla tentazione del colpo di teatro. Piuttosto si concentra sulla funzione, si fa semplice e morigerato. Si normalizza si potrebbe dire, dove per normalità si intende la qualità di un’estetica in equilibrio tra forma e funzione. Come gli arredi essenziali di Jasper Morrison, sostenitore della filo- sofia del Super Normal, come la nuova Pentax disegnata da Marc Newson, con comandi semplificati e facili da usare stile Apple, come il set “1% products” dei giapponesi Nendo, che reinterpreta con po- esia gli archetipi della tavola, per fare qualche esempio. Questo ritorno all’ordine sta guidando le proposte delle aziende al prossimo Salone del Mobile e ha un pregio su tutti: risponde alle esigenze delle case vere, a misura d’uomo, di dimensioni ridotte e già arredate. Ovvero case che non richiedono enormi pezzi strava- Normalità: design per durare e non per stancare Francesca Taroni Editor in Chief Case da Abitare foglio 1 2 fogli di idee comunicazione, arte, moda, design, cibo 08 Adesso tutto è straordinario, dalla situazione al comportamento; diverso da sempre. Tutti si guardano intorno alla ricerca di un qualcosa che riesca a muovere il mercato, a trovare idee risolutive e questo distoglie da quella pratica della quo- tidianità, della normalità che di per sé rende il pensiero lucido, chiaro, propositivo. Siamo in quel momento dove l’ultimo botto dei fuochi di artificio rende lo spazio sospeso, in attesa, apparentemente vuoto. E’ qui che si gioca la possibilità del niente è ora, ma tutto è dopo. Una normale normalità in cui si esaltano le piccole cose, in cui il pensiero si fa strada per progettare il presente, senza la presunzione di un futuro spettacolare ma normale, pieno, intenso, possibile e sostenibile. Giorgio Brogi Da sinistra verso destra: Giorgio Brogi, Francesca Taroni, Valerio Mazzei, Patrizia Catalano, Carlo, Anna e Paolo Bartoli - Bartoli Design, Silvia Robertazzi, Aurelio Magistà, Monica Evangelisti, Jacopo Moschin NORMALITÀ > >
Transcript
Page 1: Lifestyle Building 08

Il tema di questo Lifestylebuilding è la “normalità”

intesa come semplicità e sincerità progettuali, valo-

ri sempre più diffusi nel mercato e richiesti dal con-

sumatore. In che modo Edra, che è sempre stata

anticipatrice di un modo di fare il design anche fuori

dagli schemi – quindi supernormale – si posiziona

rispetto a questo trend?

Proprio questo anno Edra festeggia i suoi 25 anni,

questa domanda mi permette di esprimere sinteti-

camente quella che è sempre stata la nostra mis-

sione, ovvero credere fortemente nella riflessione

e nei ragionamenti, prima di affrontare qualsiasi

progetto, anche quello che in un certo momento

storico ha anticipato tendenze e consumi. In que-

sto senso penso che Edra sia sempre stata since-

ramente normale nei suoi processi creativi e mai

stravagante. Noi - io in prima persona e Massimo

Morozzi direttore creativo del marchio – abbiamo

sempre tollerato poco la stravaganza, piuttosto

siamo vicini alla straordinarietà delle cose anche

più semplici. Mi viene in mente un nostro prodotto,

pensato dai fratelli Campana, il “Kaiman Jakaré”,

un divano che nasce da un evento accaduto ai

due designers durante un viaggio in Amazzonia.

I Campana videro una serie di coccodrilli appog-

giati uno sopra l’altro in riposo, un evento normale

per quelle zone. Tornati in Italia ci proposero di

realizzare un divano che trasmettesse quella idea

di confort attraverso la sovrapposizione morbida

di corpi, ecco quel divano può essere inteso come

una visione supernormale, un normale spettaco-

lare appunto.

Durante un incontro alla Design Library lei ha par-

lato di “fabbrica del design”, una definizione che

esprime il senso più vero delle grandi aziende ita-

liane di questo settore, dove è sempre stato mol-

to forte il legame tra imprenditore e designer. Lei

pensa che esista ancora questo legame e che sia

ancora una leva forte del successo di un marchio?

Purtroppo noto che in Italia sia molto diminui-

ta questo relazione e che invece all’estero si sia

diffusa maggiormente in questi ultimi anni. Oggi

è diventato molto più difficile capire certi progetti,

alcuni designers tendono a complicarli. Noi ab-

biamo sempre cercato di mantenere un dialogo

aperto con tutti i designers che lavorano per Edra.

Dopodiché lasciamo sempre libero il creativo nel-

la sua espressività, per due motivi: da un lato mi

sembrerebbe moralmente non corretto imporgli

certi schemi e dall’altro riterrei offensivo nei suoi

confronti “deformare” un progetto. Credo dunque

che sia fondamentale mantenere vivo questo lega-

me, delicato e forte tra impresa e creatività.

Di recente ha partecipato ad un convegno dell’Uni-

versità di Firenze dove ha parlato della formazione

del designer, in questa direzione Edra è sempre

stata una fucina di talenti, basta pensare a Zaha

Hadid che ha lavorato per voi quando era ancora

una sconosciuta. La sua azienda cerca ancora oggi

le personalità più interessanti del nuovo design?

Si certo quando vedemmo i progetti di Zaha Ha-

did, noi volammo subito a Londra per incontrarla,

ci accorgemmo subito della “bontà” del prodotto e

decidemmo immediatamente di collaborare. Ecco

io credo profondamente nella bontà, quindi nella

sincerità di un progetto e quando ha certe carat-

teristiche qualitative sono il primo a volerlo produr-

re anche se è fatto da una persona sconosciuta

come nel caso della Hadid negli anni Ottanta. Lo

stesso mi è accaduto con Fernando e Humberto

Campana. Arrivarono dal Brasile quando non era-

no nessuno ma il loro stile era assolutamente per-

fetto per noi. Edra continuerà sempre a lavorare

con il nuovo se interessante ed io sono molto felice

quando scopriamo un giovane talento.

Il nome Edra deriva dal greco “esedra”, un luogo

destinato alla conversazione ed all’incontro, in che

modo oggi la sua azienda mantiene vivo questo

aspetto?

Noi siamo riusciti a materializzare nel vero senso

della parola questa idea, creando nel 2007 uno

spazio di 2400 mq all’interno della nostra azien-

da, dove ogni settimana si svolgono incontri con

architetti e professionisti di tutto il mondo. 800 mq

sono dedicati alla spazio “Materia e lavoro” dove

ci fanno visita spesso anche scolaresche a cui

spieghiamo cosa facciamo. Edra prima di essere

un marchio è un luogo dove l’attenzione anche alle

piccole cose, il dialogo e l’incontro sono dunque

una cosa normale!

Il normale è “spettacolare”Intervista a Valerio Mazzei, co-founder Edra

ganti frutto dell’ego di chi li ha disegnati. Ma mobili dalle linee sobrie

dove la differenza risiede nel pregio dei materiali e delle finiture. In

grado di dialogare con i diversi stili preesistenti, dal cassettone della

nonna all’impianto hi fi. Insomma arredi sostenibili: fatti per durare e

non stancare.

Linee basiche, dimensioni ridotte, tinte neutre. Il design al tempo

della crisi raramente cede alla tentazione del colpo di teatro.

Piuttosto si concentra sulla funzione, si fa semplice e morigerato.

Si normalizza si potrebbe dire, dove per normalità si intende la qualità

di un’estetica in equilibrio tra forma e funzione.

Come gli arredi essenziali di Jasper Morrison, sostenitore della filo-

sofia del Super Normal, come la nuova Pentax disegnata da Marc

Newson, con comandi semplificati e facili da usare stile Apple, come

il set “1% products” dei giapponesi Nendo, che reinterpreta con po-

esia gli archetipi della tavola, per fare qualche esempio.

Questo ritorno all’ordine sta guidando le proposte delle aziende al

prossimo Salone del Mobile e ha un pregio su tutti: risponde alle

esigenze delle case vere, a misura d’uomo, di dimensioni ridotte e

già arredate. Ovvero case che non richiedono enormi pezzi strava-

Normalità: design per durare e non per stancare

Francesca Taroni Editor in Chief Case da Abitare

foglio 12 fogli di ideecomunicazione, arte, moda, design, cibo n° 08

Adesso tutto è straordinario, dalla situazione al comportamento; diverso da sempre. Tutti si guardano intorno alla ricerca di un qualcosa che riesca a muovere il mercato, a trovare idee risolutive e questo distoglie da quella pratica della quo-tidianità, della normalità che di per sé rende il pensiero lucido, chiaro, propositivo. Siamo in quel momento dove l’ultimo botto dei fuochi di artificio rende lo spazio sospeso, in attesa, apparentemente vuoto. E’ qui che si gioca la possibilità del niente è ora, ma tutto è dopo. Una normale normalità in cui si esaltano le piccole cose, in cui il pensiero si fa strada

per progettare il presente, senza la presunzione di un futuro spettacolare ma normale, pieno, intenso, possibile e sostenibile. Giorgio Brogi

Da sinistra verso destra: Giorgio Brogi, Francesca Taroni, Valerio Mazzei, Patrizia Catalano, Carlo, Anna e Paolo Bartoli - Bartoli Design, Silvia Robertazzi, Aurelio Magistà, Monica Evangelisti, Jacopo Moschin

NORMALITÀ >>

Page 2: Lifestyle Building 08

Quando il riferimento è il mondo, “normalità” diventa un concetto

estremamente opinabile. L’inventario delle possibilità, che distillato

e mediato crea lo standard al quale è riconducibile una normalità,

varia - e molto - se lo scenario è globale: lo standard globale non

esiste; esistono molti standard, più o meno vicini/lontani tra loro. Il

passaggio obbligato, per ora, è quello di assoggettare il concetto di

normalità ad una cultura di riferimento. Ancora di più, il superamento

della normalità banale attraverso la sua rilettura, rarefazione, esa-

sperazione o concettualizzazione, fino ad ottenere oggetti densi di

significato ed addirittura simboli, è un’attività che conduce a risultati

riconoscibili universalmente (e non solo da una cerchia di addetti

che parlano lo stesso linguaggio di chi ha fatto la rilettura) in casi rari.

E se oggi tutto è frammentato, tutto coesiste, tutto distrae e tutto av-

viene con estrema velocità, una normalità (o super-normalità, come

suggerito) potrebbe essere un antidoto, un punto fermo? Non solo

la normalità ha bisogno di riflessione, di tempo e di una posizione al

di sopra delle parti ma non passiva; bisogna avere già sedimenta-

to per apprezzare. Una super-normalità senza spazio per il banale,

dove l’astrazione diventa un’anima lieve ma chiara e significante,

non è solo difficile da progettare ma anche da leggere. Il design

semplice è un concetto diverso, comunque un processo sofisticato

che richiede coerenza e sforzo di sintesi, per essere poi leggibile in

modo lineare e tuttavia contenere valore. Semplicità come scelta si-

gnifica voler arrivare con un messaggio diritti all’obiettivo, e si coniu-

ga bene con sincerità del progetto. Un designer “sincero” progetta

per obiettivi comprensibili all’utente, promette e mantiene. Questa

coerenza credo sia un valore aggiunto per ogni prodotto e processo,

ed è importante che sia dichiarata. Applicare la sincerità progettuale

trovo sia il modo più convincente per dare significato attuale ai nostri

progetti e provocare empatia nell’utente - è un approccio che è di-

ventato sempre più importante per noi. Quando la sincerità si abbina

ad un ottimo distillato dello standard, ci sono ottime probabilità di

ottenere una super-normalità comprensibile che si impone con un

valore superiore e non lascia indifferenti.

foglio 12 fogli di ideecomunicazione, arte, moda, design, cibo n° 08

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La normalità è difficile, la sincerità è comprensibile

Anna Bartoli Bartoli Design

Progettare oggi significa partire dalla finema un benessere prolungato. Un confort fisico e visivo. Oggi che la

complessità del mondo rispetto a quello dei Maestri si è moltiplica-

ta, l’operazione della riduzione è più difficile, le variabili sono tante.

Di queste alcune sono però imprescindibili. Come il rispetto per la

Natura. Non si tratta solamente di essere ecologicamente corretti. Si-

gnifica aderire ad altre regole che riguardano la vita di tutti i giorni. A

partire da piccoli gesti. Per arrivare ai materiali innovativi del design

di matrice organica e biodegradabili che dettano nuove consistenze

e nuove estetiche. Progettare oggi significa partire dalla fine. Che

poi è il problema/incubo dello smaltimento dei rifiuti. Chi disegna un

oggetto non può prescindere dal ciclo di vita che esso avrà. Il gesto

creativo del designer così come l’abbiamo conosciuto lascerà il pas-

so a un processo articolato. Tanto impegnativo nella sua costruzio-

ne. Meravigliosamente normale nella sua concretizzazione.

Più che di hyper normale o supernormale io parlerei di meraviglio-

samente normale. La definizione la prendo in prestito da Naoto Fu-

kasawa che così ha definito l’amico Jasper Morrison con il quale

condivide l’interesse per il design ordinario e quotidiano. Di fatto il

termine speciale, proprio come ha raccontato il designer inglese a

Casamica, è meno utile della parola normale e di minor soddisfazio-

ne nel tempo. Questo per dire che l’abusato motto Less is more oggi

indica non tanto uno stile quanto un modo di pensare. La regola è più

importante dell’eccezione e la vita quotidiana, con le sue azioni e i

suoi oggetti, va ritenuta un valore. Non è una novità. Il design italiano

ce lo insegna da tempo. Basta pensare a Bruno Munari, ai fratelli

Castiglioni, a Vico Magistretti, per citarne solo alcuni. Loro riuscivano

a sorprendere creando sedie che erano sedie, lampade che erano

lampade, tavoli che erano tavoli. La sottrazione era leggerezza di

pensiero. E il risultato finale ci guadagnava. La verità è che loro da-

vano anima alle cose di tutti i giorni. Non cercavano l’effetto speciale, Jacopo Moschin Fotografo

Questo per dire che l’abusato motto Less is more oggi indica non tanto uno stile

quanto un modo di pensare.

Silvia Robertazzi Direttore responsabile Casamica e AtCasa.it

Il gesto creativo del designer così come l’abbiamo conosciuto lascerà il passo

a un processo articolato.

Il design semplice è un concetto diverso, comunque un processo sofisticato

che richiede coerenza e sforzo di sintesi, per essere poi leggibile in modo lineare

e tuttavia contenere valore.

Applicare la sincerità progettuale trovo sia il modo più convincente per dare

significato attuale ai nostri progetti e provocare empatia nell’utente - è un approccio

che è diventato sempre più importante per noi.

Jacopo Moschin Fotografo

L’ ingresso, uno spazio che ci introduce in casa,

una specie di decanter che divide il mondo là fuori

dal nostro spazio privato. Una lampada calda ci

accoglie, come un piccolo faro che dà il benvenu-

to all’ospite, magari appoggiata su di una consolle

(ecco a cosa serve!) che supporta pure un vecchio

specchio, in cui diamo uno sguardo veloce ogni

mattina, prima di uscire. Niente finestre in ingres-

so. C’è poi un posto scuro, piccolo, un guardaroba

o un ripostiglio, dove togliersi cappotti e soprabiti

e soprattutto le scarpe. A piedi nudi ci si sente di-

sarmati ma a volte anche felici. Salotto o cucina?

Liberi di scegliere. Il salotto, quello vero, non è fatto

di divani fuori misura convergenti verso un ipocrita

za, qui sì un bel lampadario a soffitto (Murano?). E

un centrotavola con una grande ceramica italiana.

Nessuna interferenza, nessun disturbo ci deve es-

sere nella stanza del cibo, solo le chiacchiere e

il rumore delle stoviglie. Non è magnifico il suono

del brodo calato dalla

zuppiera in un piatto di

porcellana? E il rumore

del vino, quando viene

versato in un bicchiere di

cristallo sfaccettato, non

è forse musicale? Andia-

mo in cucina a curiosare. E’ bella quando è qua-

drata, la vogliono moderna ed efficiente, ma poi

si riempie di sciocchezze. Liberatela! Lasciamo a

vista dei canovacci di lino inamidato, una pentola

importante sui fuochi spenti e un grande orologio a

parete che ci dia il senso del tempo, che in questa

stanza è protagonista. Esiste poi “la zona notte”.

Che strano modo di chiamare il luogo dedicato al

sonno: un corridoio popolato di armadi (non met-

tiamoli in camera!) e una stanza, spesso la meno

arredata della casa. Facciamola vivere questa no-

stra camera. Un letto grande, comodo e ben vesti-

to (senza eccessi), come un bel signore elegante

(il letto è maschile o femminile?), due tavolini, an-

che diversi, per appoggiarci luce, libri, e un qua-

dernino (ancora) per appuntare quello che la notte

fa affiorare. Invece dell’armadio, una libreria e una

poltrona da lettura e ancora kilim, sì certo. Se poi

ci fosse anche un camino allora il quadro sarebbe

perfetto. Bagni che dire? Oramai c’è una passione

diffusa per questa stanza, a ciascuno il suo!

quanto gigantesco maxi schermo televisivo. Vo-

gliamo invece piccoli angoli accoglienti, costruiti

da un ensemble di sedute: divano comodo ma non

esagerato, poltroncine diverse meglio se vintage

e una poltrona confortevole, un po’ sgangherata,

accompagnata da una

lampada a stelo munita

di un bottoncino, che fa

clic-clac, per accompa-

gnare le letture serali.

Le luci? Tante e diverse

in modo da non annoia-

re l’occhio. Meglio abat-jour con dei bei paralumi

in tessuto. Tavolini ovunque, con libri e quaderni

e baedecker. Quadri e tappeti, soprattutto kilim,

quelli che piacevano ad Adolf Loos (ci riempì la

casa di Josephine Baker). La sala da pranzo. Che

atmosfera antica! Un grande tavolo a centro stan-

Una casa

Patrizia Catalano giornalista responsabile di Interni Magazine allegato di Panorama

Vogliamo invece piccoli angoli accoglienti, costruiti

da un ensemble di sedute: divano comodo ma non esagerato.

Page 3: Lifestyle Building 08

foglio 22 fogli di ideecomunicazione, arte, moda, design, cibo n° 08

Normalizzazione o discrezione:voi da che parte state?Siamo nell’era della post-opulenza – più o meno dichiarata – tutto è

stato ridimensionato nel mondo del consumo, oggi di fronte ad un og-

getto di design (ma vale per ogni genere di categoria merceologica

dalla moda alle automobili, dal tempo libero ai viaggi) assumiamo un

atteggiamento decisamente più riflessivo.

E’ facile capire il perché, i soldi sono diminuiti e la crisi ci porta a

cercare oggetti che siano prima di tutto un “concentrato” di sostanza

e di normalità.

Questo è lo scenario dentro il quale oggi lavora il designer al quale si

chiede il coraggio di tornare alla sincerità del buon design, capace di

impressionare per la sua semplice normalità.

“Domus” sembra aver accolto per primo questa tendenza, inauguran-

do già alla fine del 2011 la rubrica “SuperNormal: una nuova serie di

articoli, dedicata al design della tecnologia quotidiana”.

Leggendo le parole di Dan Hill si capisce che la scelta di acquisto

è sempre più rivolta a prodotti (non solo tecnologici) che ci aiutano

nella vita di tutti i giorni, in sostanza cerchiamo sempre di più oggetti

normalmente usabili e consumabili, concepiti per essere – come dice

Hill - espressivi, personali, produttivi, strategici, partecipativi.

Oggi dunque per disegnare nuovi prodotti è necessario disegnare

nuove aziende: il valore della verità è importante nei prodotti, sono gli

imprenditori in primis a risentire l’urgenza di una sincerità progettuale

peggio banalità, si tratta invece di pensare cose, oggetti, sistemi che

funzionano nella vita reale, perché nascono dalla dialettica tra impren-

ditore e designer, uno scambio continuo da cui devono continuare

a scaturire soluzioni per problemi quotidiani, spesso geniali proprio

nella loro semplicità.

E’ diventata leggenda la storia legata al successo del divano Mara-

lunga di Cassina progettato da Magistretti: l’industriale di fronte al

prototipo di cui non vedeva la fine, lanciò un micidiale pugno allo

schienale, spezzandolo.

Magistretti immediatamente disse: “ecco adesso mi sembra perfetto”.

Questo per dire che il design restringe il divario tra ciò che un prodot-

to fa e perché un prodotto esiste. Progettare non significa pensare alla

progettazione in termini di strutture metalliche o in stile visivo, ciò che

importa è il prodotto nel suo insieme.

Questa è l’essenza della normalità intesa come sincerità progettuale,

come visione “discreta” della funzione e dell’estetica.

e concettuale. E’ in questa ottica che si muove per esempio Odoar-

do Fioravanti, che così descrive il suo modo di concepire il design:

“bisogna pensare a come far esistere quello che ancora non esiste,

cercando, nel frattempo, di farlo anche intelligente, bello, useful, faci-

le da produrre, semplice da spiegare. Un compito che, quando inizio

un nuovo progetto, mi fa raddrizzare la schiena, abbassare il tono di

voce, fare la punta alla matita così da iniziare sempre con la consa-

pevolezza, la serietà, l’eccitazione e la gioia di chi vuole mettere al

mondo qualcosa”.

Il disegno industriale che non trascende mai nell’eccesso e nel fuori

misura estetico, ha dunque rimesso in riga per così dire gli stessi de-

signers, che hanno accolto la tendenza alla “discrezione” a vantaggio

di un rinnovato buon senso creativo.

A proposito di discrezione pensiamo a Donata Parruccini ed ai suoi

oggetti, dove non esiste esibizione ma solo precisione e rigore, mi-

sura ed essenza. Si tratta di un design che “non urla”, che non usa

superlativi ma piuttosto sceglie una purezza discreta.

Intendiamoci, fare design “di sostanza” non significa creare design

minimale, scialbo o impersonale!

E’ vero che la fascia dei consumatori più evoluti ed informati ha ca-

pito che la logica dell’apparenza e dell’opulenza ci ha mandato in

crisi, è altrettanto vero che la normalizzazione richiesta dagli eventi

spaventa.

Al contrario il ritorno ad un’estetica della discrezione viene percepita

ed accolta come profondamente rassicurante.

Questa rivoluzione discreta è qui per restare, è una rivoluzione che

non intende stravolgere la creatività o limitarla in una ossessiva ri-

cerca della funzione e dell’essenziale, è un cambiamento che non

elimina il piacere estetico e dell’esperienza da provare direttamente

in casa, su una sedia mentre ceniamo o sul divano mentre si legge

un libro.

Ecco allora che l’approccio alla normalità non significa ordinarietà o Monica Evangelisti Copywriter CeG Maxicom

Tra cespugli e rovi, una strada maestraNel falò delle vanità ben rappresentato dalle mi-

gliaia di nuovi mobili che ogni anno nascono anche

solo per vivere lo spazio di un’anteprima al Salone

del mobile, non tutto è vanità. Quindi se vogliamo,

qualcosa possiamo sottrarre, alle fiamme di quel

falò che con iconoclasta saggezza divampa e ri-

caccia tavoli e sedie, lampade e poltrone nell’oblio

di una metaforica cenere. Il catalogo delle cose da

salvare, però, se la potrà fare ciascuno per proprio

uso, scegliendole dalla lista più sintetica dei per-

corsi che il design sta tracciando in questi anni.

Molti sentieri tra cespugli e rovi, ma anche qualche

strada maestra.

Strada maestra è certamente il vintage, che nel de-

sign salda il significato più generale del recupero

di un passato e dunque di una storia, rappresenta-

ta dalle tracce (forme derivate da quel passato ma

anche vere e proprie cicatrici come dilavamenti,

consunzioni) del tempo nelle cose, con il rilancio

dei grandi creativi, da Le Corbusier a Gio Ponti,

da Charlotte Perriand a Vico Magistretti. Passato

simulato ed ereditata grandezza sono come le due

sponde di un fiume su cui poggia questo ponte, i

due volti di un Giano bifronte che guarda indietro

e nello stesso tempo spinge più avanti lo sguardo.

Altra strada maestra è l’etico, ecologico, biocom-

patibile, perchè il nostro futuro ce lo possiamo

permettere solo attraverso il nostro presente, solo

vivendo un’esistenza più leggera, che sappia con-

dividere le risorse della Terra e i diritti degli uomini

fra tutto il genere umano. Da qui, dall’eco&etico,

si dipartono altri due percorsi; per il primo, la leg-

gerezza significa anche mobili sottili, lievi, quasi

trasparenti, sia nella loro concretezza formale, sia

nel loro farsi, dalla filiera corta al chilometri zero

dalla doppia virtù: meno inquinamento e più occu-

pazione per il tuo paese.

Leggerezza che in questo caso significa anche

costi minori, design accessibile, che volutamente

non chiamiamo democratico perché questo ag-

gettivo ha finito per sdoganare un arredamento

che con il design ha poco a che fare; per il se-

condo, la leggerezza attenzione a una naturalità

che va dal grande rilancio del legno, soprattutto a

vista, perfino nel rustico del taglio sega o del tron-

co appena sbozzato e sagomato a farne tavolino

o sgabello, fino alle vernici all’acqua e alle colle

atossiche, in qualche caso più raffinato sostituite

da sapienti incastri.

Infine, la divisione più profonda fra poveri e ricchi,

ha aperto scenari in cui lo stesso design che inven-

ta serie limitate, pezzi e unici e perfino si stanzia

al crocevia con l’arte (cui giunge a “rubare” il pal-

coscenico delle gallerie), sa badare al sodo della

funzione e del prezzo senza contraddirsi, come

appunto un Giano orgogliosamente bifronte.

Aurelio Magistà La Repubblica

Se vogliamo, qualcosa possiamo sottrarre, alle fiamme di quel falò che con iconoclasta

saggezza divampa e ricaccia tavoli e sedie, lampade e poltrone nell’oblio

di una metaforica cenere.

Il disegno industriale che non trascende mai nell’eccesso e nel fuori misura estetico,

ha dunque rimesso in riga per così dire gli stessi designers, che hanno accolto la tendenza alla “discrezione” a vantaggio

di un rinnovato buon senso creativo.

Ecco allora che l’approccio alla normalità non significa ordinarietà o peggio banalità, si tratta invece di pensare cose, oggetti, sistemi che funzionano nella vita reale,

perché nascono dalla dialettica tra imprenditore e designer, uno scambio continuo

da cui devono continuare a scaturire soluzioni per problemi quotidiani, spesso geniali

proprio nella loro semplicità.

Il design che inventa serie limitate, sa badare al sodo

della funzione e del prezzo senza contraddirsi.

Jacopo Moschin Fotografo. Lavora per GQ Japan, GQ China, Elle, Marie Claire, Max, Style Corriere della Sera. SOLO SHOW / East London Boys, Donec Capiam Gallery, Milano, Jaguar Studios, London.

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Eduardo Wongvalle. Milano Fashion Week, Park Hyatt

CeG Maxicom Press Day, Aprile 2012, Milano

Segis. Sales and Communication Meeting

Modyva. SS 2012 ADV Backstage

Boroli Wine Forum 2011


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