sentenza 25 febbraio 1989; Pres. Iannetti, Est. Fabiani; Banca popolare di Novara (Avv.Chiavegatti) c. Fall. soc. immob. Giovannoni (Avv. Simeoni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1069/1070-1073/1074Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184597 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
con esso una pretesa incompatibile solo con quella avanzata dalla
Caruso — litisconsortile, è ammissibile, restando ben dentro i limi
ti tracciati dalle parti originarie sul thema decidendum il cui nucleo
sostanziale è rappresentato dal rapporto negoziale (deposito di ti
toli a custodia) cointestato al loro dante causa e all'opposta.
Tanto premesso, non rimane che passare all'esame del merito.
In proposito devesi anzitutto osservare che l'opposizione è fon
data in quanto la pretesa della Caruso non avrebbe potuto essere
avanzata con le forme del ricorso per ingiunzione, o, il che è
10 stesso, non avrebbe potuto comunque formare oggetto di un
decreto ingiuntivo. È rimasto accertato che gli eredi del D'Agostino cointestatario
del deposito, con lettere raccomandate del 7 gennaio 1985, invita
rono perentoriamente il Banco di Roma ad astenersi da qualsiasi
operazione relativamente ai Bto con scadenza al 28 maggio suc
cessivo, senza il loro consenso.
Sussistendo dunque un conflitto reale ed effettivo tra più aven
ti diritto, viene ad esulare qualsivoglia connotazione illegittima
del diniego opposto dal Banco di Roma alle successive reiterate
richieste della Caruso di disporre da sola, in vario modo, dei
titoli suaccennati.
Per vero, coordinando la sia pur esigua disciplina normativa
del deposito con la regolamentazione assai più analitica delle nor
me interbancarie normalmente trasfuse nello schema di contratto
di adesione sottoscritto dagli interessati, si ha che in caso di vero
e proprio mancato accordo ossia di dichiarato dissenso tra gli
aventi diritto notificatole anche con lettera raccomandata da uno
solo di essi, la banca deve pretendere il concorso di tutti gli inte
ressati conintestatari del deposito e degli eventuali eredi. Laddo
ve tale intervento congiunto non si verifichi, la banca depositaria
non può in alcun modo eseguire l'ordine con cui si dispone della
cosa depositata da parte di uno solo degli intestatari.
Una tale situazione di «stallo» può essere superata soltanto da
un intervento dell'autorità giurisdizionale che stabilisca le moda
lità attraverso le quali deve avvenire la restituzione (o la disposi
zone che è un'ipotesi compresa nella precedente) della cosa depo
sitata.
È ovvio, però, che una simile statuizione, per non correre il
rischio di rivelarsi inutiliter data, deve essere emessa nei confron
ti di tutti gli intestatari del deposito e degli eventuali eredi posto
che, in base alla disciplina sopra richiamata, la banca depositaria
può procedere alla restituzione della cosa depositata solo in caso
di totale assenza di contrasto tra i codepositanti.
È noto infatti che ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessa
rio, tanto in senso processuale che sostanziale, allorquando è chie
sto l'adempimento di una prestazione inscindibile incidente sulla
situazione giuridica di un rapporto avente, come quello di ispe
cie, almeno da un lato, una pluralità di contraenti, si da esclude
re che, senza il contraddittorio di tutte le parti interessate all'esi
to del giudizio, la sentenza da emanare possa avere alcuna prati
ca utilità per taluna di esse.
Con ciò non vuol sostenersi ovviamente che ogni vicenda giuri
dica del rapporto di deposito con più depositanti o più depositari
dia luogo a litisconsorzio necessario, di guisa che esso risulti im
mutabile ove non vi sia la partecipazione di tutti i suoi titolari,
ma che trattasi di un rapporto plurisoggettivo nel quale i nessi
tra i vari soggetti e tra loro e l'oggetto comune possono atteg
giarsi in maniera diversa, con effetti conseguenzialmente diversi
in caso di lite sulla regolarità del contraddittorio. Cosi', ad esem
pio, non si contesta che non può certamente parlarsi di necessaria
partecipazione di tutti i soggetti al giudizio nel caso — diametral
mente opposto a quello che ne occupa — in cui la pluralità dei
depositanti fosse d'accordo sulla restituzione della res e tuttavia
la banca si rifiutasse di procedervi.
In sostanza può ben dirsi che la solidarietà dal lato attivo in
dubbiamente esistente tra i vari intestatari del deposito — nel
senso che ognuno di essi è legittimato ad agire con il consenso
degli altri, da considerarsi presunto fino a prova contraria, con
tro il depositario al fine di ottenere la restituzione della cosa —,
ed escludente la configurabilità del litisconsorzio necessario, vie
ne meno nell'ipotesi di effettivo dissenso tra i codepositanti sulla
disposizione della res, con conseguente necessità di dirimere tale
contrasto in presenza di tutti essi. Ora, si intende di leggieri come
ciò possa avvenire solo a seguito di un ordinario giudizio di co
gnizione e sia strutturalmente incompatibile con il procedimento
monitorio caratterizzato, per come è noto, da sommarietà di ac
certamento e assenza di contraddittorio.
11 Foro Italiano — 1990.
Discende dalle fatte considerazioni, la nullità del decreto in
giuntivo opposto emesso non in presanza di tutti gli interessati
al rapporto dedotto con il ricorso per ingiunzione. Il che, appare
di più ovvia esattezza ove si consideri che la pretesa ivi addotta
dalla Caruso, volta com'era all'accertamento di un diritto di di
sporre in via esclusiva dei titoli in deposito dichiaratamente nega
tole dagli altri codepositanti, non costituiva l'unico ostacolo alla
correlativa contestazione del banco, che, non causando da solo
lo stato di incertezza contro cui si dirigeva l'anzidetta pretesa
della ricorrente, non poteva di conseguenza esserne l'unico legit
timo contraddittore. (Omissis)
TRIBUNALE DI VERONA; sentenza 25 febbraio 1989; Pres.
Iannetti, Est. Fabiani; Banca popolare di Novara (Aw. Chia
vegatti) c. Fall. soc. immob. Giovannoni (Aw. Simeoni).
TRIBUNALE DI VERONA;
Fallimento — Ammissione al passivo — Credito fondato su cam
biale — Mancanza di data certa — Inopponibilità (Cod. civ.,
art. 2704; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento,
art. 43, 93).
Nella fase di verifica dei crediti il curatore agisce a tutela degli
interessi della massa fallimentare, rivestendo cosi la qualità di
terzo cui è inopponibile la cambiale sprovvista di data certa
ai sensi dell'art. 2704 c.c. (1)
(1) La pronuncia investe la nota querelle, tuttora irrisolta, riguardante
l'opponibilità o meno al fallimento della cambiale priva di data certa
ex art. 2704 c.c. La difficoltà nell'individuare un unico principio interpretativo sorge
dal diverso modo di inquadrare la posizione assunta dal curatore nella
fase di verificazione del passivo; difatti, secondo la corrente maggiorita
ria, cui si affianca la decisione in epigrafe, il curatore, nel contestare
la certezza della data rispetto al fallimento, agisce a tutela degli interessi
della massa, assumendo cosi la qualità di terzo estraneo alla circolazione
del titolo, cui, ai sensi dell'art. 2704 c.c., risulta inopponibile la cambiale
priva di data certa anteriore al fallimento.
Per la giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 1° marzo 1986, n. 1304,
Foro it., Rep. 1986, voce Fallimento, n. 296; 29 novembre 1985, n. 5956,
id., 1986, I, 451, con nota di richiami; per il merito, conformemente,
Trib. Verona 26 aprile 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 276; Trib. Na
poli 5 aprile 1988, Dir. fallirti., 1989, I, 485; Trib. Palermo 21 marzo
1986, Foro it., Rep. 1987, voce cit., nn. 473, 516; Trib. Milano 26 mag
gio 1986, ibid., n. 474; Trib. Forlì 11 marzo 1986, ibid., n. 475; App. Milano 25 febbraio 1986, ibid., n. 476; App. Napoli 30 ottobre 1985,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 278; Trib. Roma 20 dicembre 1983, id.,
1984, I, 1099, con ampia nota di richiami, cui adde, App. Milano 23
febbraio 1982, id.. Rep. 1983, voce cit., n. 441.
A queste si aggiungono numerose pronunce di merito che avallano il
medesimo indirizzo in relazione all'ammissione al passivo di crediti fon
dati su scritture private prive dei requisiti di certezza; v. App. Catania
28 marzo 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 468; Trib. Torino 19 feb
braio 1987, ibid., n. 469; Trib. Milano 23 giugno 1986, ibid., n. 472;
Trib. Milano 27 gennaio 1986, ibid., 470; Trib. Milano 17 marzo 1986,
ibid., n. 235; App. Milano 29 ottobre 1985, ibid., n. 467; Trib. Milano
7 aprile 1986, ibid., Rep. 1987, voce Fideiussione e mandato di credito,
n. 16; Trib. Milano 10 giugno 1985, id.. Rep. 1986, voce Fallimento,
n. 280; Trib. Milano 30 maggio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 459;
App. Milano 4 ottobre 1983, id.. Rep. 1984, voce cit., n. 336; Trib. Mila
no 1° dicembre 1983, ibid., n. 334; Trib. Milano 19 luglio 1982, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 443 e Banca, borsa, ecc., 1983, II, 219, con
nota di Dolmetta.
Per la dottrina, cfr. Di Lauro, Inopponibilità al curatore fallimentare della cambiale priva di data certa, in Dir. fallim., 1989, II, 485 ss.;
Provinciali-Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, 1988,
468 ss.; Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, 1986, 365 ss. e dello
stesso, La posizione del curatore con particolare riferimento all'accerta
mento dei crediti nonché alle opponibilità relative alla precedente esecu
zione individuale, in Dir. fallim., 1981, II, 577; Dolmetta, In tema di
rapporti tra regola della data certa ed ammissione al passivo fallimentare, in Giur. comm., 1986, II, 325; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare,
1986, 281; Lo Fiego, Il fallimento e le banche, in Fallimento, 1985, 1193;
Del Vecchio, Il curatore fallimentare come terzo ed avente causa del
fallito, in Dir. fallim., 1984, I, 240/43; oltre agli autori indicati in nota
a Trib. Roma 20 dicembre 1983, cit., cui adde, Castellano, La verifica
dei crediti. Accertamento del passivo. Effetti, in AA.W., Aspetti attuali del
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1071 PARTE PRIMA 1072
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
25 maggio 1988, la Banca popolare di Novara soc. coop. r.l. in
terponeva opposizione ex art. 98 1. fall., lamentando che il giudi ce delegato al fallimento immobiliare Giovannoni s.p.a., in sede
di verifica, aveva ammesso il credito dell'istante in via chirogra faria per l'importo di lire 310.140.604 escludendo l'ulteriore som
ma di lire 86.000.000 sul presupposto dell'inopponibilità dei titoli cambiari privi di data certa anteriore al fallimento.
L'opponente osservava che, in tema di opponibilità di titoli
di credito ex art. 2704 c.c. verso la procedura fallimentare, la
regola da applicare doveva ritrovarsi nella posizione assunta dal
curatore; poiché, nel caso di specie, il curatore si trovava nella
medesima posizione del fallito, la Banca popolare di Novara rite
neva che non potesse sorgere questione di opponibilità; osserva
va, poi, che delle scritture contabili la data certa poteva essere
ricavata aliunde, a prescindere dal protesto dei titoli; rilevava in
fine che era stato conteggiato in modo inesatto l'importo del cre
dito controverso, da computare per lire 78.000.000.
Autorizzato dal giudice delegato, si costituiva in giudizio il cu
ratore, rilevando che il fallimento, nella controversia in essere
assumeva una posizione di terzietà, talché i titoli non potevano essere opposti in mancanza di data certa.
Nelle successive difese l'opponente, pur non abbandonando la
tesi principale, insisteva nel dimostrare che l'annotazione dei tito
li nei libri dell'istituto, libri regolarmente tenuti e vidimati, ben
poteva costituire valida prova nella prospettiva di cui all'art. 2704
c.c. (Omissis) Motivi della decisione. — La presente controversia involge un'u
nica questione di diritto, la pretesa inopponibilità al fallimento
delle cambiali prive di data certa quando i titoli vengano azionati
nella fase di accertamento del passivo. Come è ben noto alle parti (che hanno ripetutamente menzio
nato i precedenti giurisprudenziali, reciprocamente favorevoli) la
questione è oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurispru denziale. Se la soluzione della causa dovesse risolversi in base
ai dati statistici, non v'è dubbio che prevarrebbe la tesi esposta
diritto fallimentare (problemi sostanziali e processuali), 1981, 131 ss.; Bu
colo, Orientamenti giurisprudenziali sul curatore-parte ed il curatore-terzo nell'ottica dell'interesse perseguito, in Fallimento, 1980, 826 ss.
L'indirizzo opposto, favorevole all'opponibilità del titolo di credito in
oggetto, è stato sviluppato da un cospicuo gruppo di sentenze ove, vice
versa, si sostiene che in sede di verifica dei crediti il curatore, al di fuori di alcune ipotesi quali, per es., l'esperimento dell'azione di simulazione 0 di quella revocatoria, subentri sempre nella stessa posizione del falli mento ed agisca cosi in qualità di parte utendo iuribus debitoris.
Si muovono su questa linea, Cass. 31 maggio 1986, n. 3696, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 275; 21 giugno 1984, n. 3657, id., Rep. 1985, voce cit., n. 264; 18 dicembre 1984, n. 6625, ibid., nn. 263, 431; fra 1 giudici di merito, cfr. App. Bologna 29 settembre 1988, Giur. it., 1989,
I, 2, 304; App. Bologna 8 luglio 1986, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. All', Trib. Torino 20 febbraio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 211 e Fallimento, 1986, 1132, con nota contraria di Russo; App. Napoli 30 dicembre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 278; App. Bologna 29
maggio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 458. Fra gli autori che concordano con questa tesi, v. Marchetti, Opponi
bilità al curatore della cambiale priva di data certa, in Fallimento, 1987, 434; Spano, La data certa della cambiale nel fallimento, in Banche e
banchieri, 1986, 201/2; Bonfatti, La formazione dello stato passivo nel
fallimento: dieci anni di giurisprudenza, 1981, 41 ss.; oltre ai riferimenti di dottrina e giurisprudenza inseriti in nota a Trib. Roma 20 dicembre
1983, cit. Per un'organica esposizione delle teorie sorte in relazione alla posizio
ne assunta dal curatore nella fase di verificazione dei crediti, cfr., per tutti, Dolmetta, La data certa. Conflitto fra creditori e disciplina d'im
presa, 1985, 51, 52, nota 34, e 109 ss. Va segnalato inoltre che recentemente la questione evidenziata è stata
rimessa all'esame delle sezioni unite dalla Corte di cassazione che final mente potranno por fine all'acceso dibattito esistente in materia.
Si sottolinea, infine, come dottrina e giurisprudenza concordino nel ritenere che l'inopponibilità in oggetto non riguardi il negozio sottostante il titolo, bensì' la data del documento; da questo deriva che l'esistenza e l'anteriorità del negozio rispetto al fallimento possano essere provate con ogni mezzo compatibile con la natura e l'oggetto del negozio stesso. In questo senso si pronunciano buona parte delle sentenze succitate, cui
adde, Trib. Milano 13 aprile 1989, massimata in Fallimento, 1989, 957; Trib. Roma 10 agosto 1988, ibid., 109, e soprattutto Trib. Vicenza 10 marzo 1984, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 339. Per la dottrina, v. Di Lauro, op. cit., 487; Dolmetta, In tema di rapporti, ecc., cit., 1986, 328; Russo, op. cit., 1133.
Il Foro Italiano — 1990.
dalla difesa della curatela. Il tribunale non ritiene, peraltro, di
optare per l'una o l'altra scelta a «colpi di maggioranza», posto che dal sistema si possono ricavare sicuri elementi per pervenire ad un'opzione sufficientemente appagante.
La difesa della banca oppone la scarsa credibilità di un sistema
in cui il curatore (atteggiandosi come «Giano bifronte»), a secon
da della convenienza possa assumere, di volta in volta, la posizio ne di terzo, ovvero quella di avente causa dal fallito. La censura,
in sé, non è priva di pregio, laddove la collocazione del curatore
nell'una o nell'altra posizione è il frutto di una scelta di «oppor tunismo». Ma il collegio intende contestare proprio una siffatta
visione, nel senso che, dall'ordinamento, si devono poter ricavare
delle regole precise per poter assegnare al curatore la qualifica di terzo o di parte; solo una considerazione generale e astratta
della situazione in cui il curatore può porsi di fronte ai vari pro
blemi, può assicurare una certezza nei rapporti giuridici all'inter
no dell'ordinamento concorsuale.
In particolare, debbono essere tracciate delle sicure linee di con
fine: quando iL curatore agisce allo scopo di reintegrare la massa
attiva, mediante l'esperimento di azioni che il fallito non avrebbe
potuto porre in essere (azioni revocatone e di inefficacia ex art.
44, 64 e 67 1. fall.), in assoluto, ovvero alle stesse condizioni
(si pensi all'azione di simulazione), il curatore si colloca nella
posizione di terzo, con tutti gli effetti conseguenti in tema di art.
2704 c.c.
Quando il curatore agisce per reintegrare il patrimonio della
massa con azioni che sarebbero già spettate al fallito (si pensi a tutta l'attività di riscossione dei crediti), il curatore è un avente
causa del debitore e non può fruire dei benefici che ai terzi com
petono (Cass. 18 dicembre 1984, n. 6625, Foro it., Rep. 1985, voce Fallimento, nn. 263, 431). Aldilà di queste ipotesi estreme
e di più chiara lettura, v'è da chiedersi se non vi sia un parametro idoneo a discriminare la posizione del curatore con un rango di
sufficiente certezza. Il tribunale reputa che un argomento di si
gnificativa valenza sia costituito dal recepimento di quella non
recente dottrina, ad avviso della quale il curatore non è visto
né come rappresentante dei creditori, né del fallito, quanto piut tosto quale organo pubblico autonomo, rispetto al debitore: e ai
creditori.
Orbene, se tale tesi è valida (e molti sono gli argomenti che
sul punto si potrebbero addurre, basti pensare alla peculiarità della qualifica di pubblico ufficiale, mentre, ad esempio, il liqui datore è, nel concordato preventivo, un mandatario del ceto cre
ditorio), ne discende che, di regola, il curatore è terzo, rispetto ai rapporti intrattenuti dal fallito. Colui che tratta con la curatela
fallimentare si troverà, cioè, di fronte ad un soggetto che, nor
malmente, non rappresenta il fallito. Vero è che talora, i curatori
agiscono espressamente sostituendosi al debitore fallito; il colle
gio ritiene che il criterio guida per discernere, in via generale ed
astratta, la posizione del curatore sia quella di riconoscergli la
qualifica di avente causa del fallito ogni qualvolta subentra in
un rapporto del quale, comunque, avrebbe potuto essere parte il debitore, e ciò quando la successione giovi all'interesse del ter
zo (si pensi al caso del subentro nel contratto ex art. 72 ss. 1. fall.). Cosi posta la questione, si può ben compredere che il curatore
è terzo nel procedimento di verifica dei crediti, posto che si tratta
di attività che mai il debitore avrebbe potuto porre in essere. Se
è vero che, durante la verifica dei crediti, allo stesso giudice dele
gato è consentito eccepire l'inefficacia di taluni atti, è chiaro che
il procedimento prescinde, completamente, da quella che era la
posizione del debitore, posto che viene in giuoco non la questione di validità degli atti, quanto, piuttosto, quella di opponibilità ed
efficacia. Ciò si spiega a maggior ragione per il fatto che i con
cetti di opponibilità ed efficacia acquisiscono un significato quando si ha a che fare con una pluralità di soggetti, come è tipico nelle
procedure concorsuali.
Chiarito in questi termini il motivo per il quale il curatore deve
ritenersi terzo nel procedimento di verifica dei crediti (nonché nella fase di opposizione ex art. 98 1. fall, che altro non è che
lo sviluppo in fase contenziosa della prima), possono essere ricor
dati i numerosi precedenti nei quali, in sede di accertamento del
passivo, è stata esclusa l'ammissione di crediti fondati su titoli
astratti (cambiali e assegni) non protestati. Ciò sul presupposto dell'estraneità del curatore ai soggetti che hanno partecipato alla
circolazione del titolo (Cass. 1° marzo 1986, n. 1304, id., Rep.
1986, voce cit., n. 296; 4 febbraio, 1981, n. 748, id., 1981, I,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1620, 28 giugno 1979, n. 3626, id., Rep. 1979, voce Prova docu
mentale, n. 24; 12 luglio 1965, n. 1465, id., 1965, I, 1414; 27 gennaio 1964, n. 186, id., 1964, I, 1195; 7 ottobre 1963, n. 2664,
ibid., 600; App. Milano 29 ottobre 1985, id., Rep. 1987, voce Fallimento, nn. 301, 467; App. Milano 25 febbraio 1984, ibid., n. 476; Trib. Torino 19 febbraio 1987, ibid., n. 469; Trib. Mila
no 26 maggio 1986, ibid., nn. 474, 488; Trib. Palermo 21 marzo
1986, ibid., nn. 473, 516; Trib. Milano 17 marzo 1986, ibid., n. 235; Trib. Forlì 11 marzo 1986, ibid., n. 475; Trib. Rimini 11 marzo 1986, ibid., n. 237).
In tale prospettiva, aderendo a tale orientamento, il tribunale
ritiene che non siano ammissibili i crediti cambiari non aventi
data certa anteriore al fallimento.
La Banca popolare di Novara, consapevole di siffatta possibile
opzione giurisprudenziale, deduce che i titoli avrebbero data cer
ta per essere stati annotati sui libri contabili della banca, libri
regolarmente tenuti, bollati e vidimati. Ebbene, tale difesa, nel
caso concreto, non può trovare spazio. La giurisprudenza, infat
ti, pur riconoscendo che la certezza della data è acquisibile indivi
duando, caso per caso, se c'è il fatto storico dal quale può ricavarsi
l'anteriorità della formazione del documento (Cass. 31 agosto 1984,
n. 4738, id., 1985, I, 505), ha escluso che la regola di cui all'art.
2710 c.c. possa valere nei confronti del curatore, quando questi assuna la posizione di terzo (Cass. 26 maggio 1987, n. 4703, id.,
Rep. 1987, voce cit., nn. 313, 334). Quanto alla valenza dell'an
notazione dei titoli sui libri dell'istituto, non va trascurato che,
soltanto la vidimazione di chiusura del libro ad opera di un no
taio (atto da compiersi prima della dichiarazione di fallimento)
può conferire certezza all'annotazione (Trib. Milano 23 giugno
1986, ibid., n. 472). Per quanto attiene all'odierna fattispecie, non può venire taciuto che la vidimazione notarile è, certamente,
successiva al fallimento.
Sebbene entrambi gli argomenti sinora descritti appaiano en
trambi sufficienti a sostenere le tesi dell'opposto, per completez
za vanno esaminati due ulteriori profili. Per quel che riguarda la tesi della dimostrata certezza della data asseritamente esposta
dall'opponente, non possono venire trascurati gli argomenti di
fensivi della curatela che, esattamente, osserva come seppure si
ritenesse provata l'anteriorità dell'emissione della cambiale rispetto
al fallimento, nessuna prova di tal genere potrebbe valere, inve
ce, per l'obbligazione cartolare azionata, atteso che la immobilia
re Giovannoni ha assunto soltanto un'obbligazione di garanzia
(avallo), che potrebbe essere stata apposta in qualsiasi momento
(a prescindere dalle questoni di inefficacia dell'avallo, introdotte
dalla difesa della curatela solo in comparsa conclusionale).
Infine, con riferimento al tema della posizione del curatore,
va segnalata una questione di ordine pratico, peraltro di signifi
cato notevole: qualora si volesse assumere che il curatore, nel
corso del procedimento di verifica, assume la posizione di avente
causa dal fallito, si potrebbe, comunque, pervenire all'esclusione
dei crediti portati da cambiali non protestate mediante l'esperi
mento, surrettizio, dell'azione di impugnazione ex art. 100 1. fall.,
proposta da un qualsiasi creditore che, ad avviso della giurispru
denza, è certamente terzo (Cass. 4 giugno 1986, n. 3742, id., Rep.
1986, voce cit., n. 529). Un ultimo accenno va condotto con riguardo alla censura di
errato conteggio del credito escluso: effettivamente la prospetta
zione del conteggio, siccome esposta dal creditore opponente è
esatta; il credito portato dalle cambiali non protestate è stato in
sinuato solo per lire 78.000.000 più lire 1.677.994 per interessi;
in tale ottica, avuto riguardo alla cifra indicata in ricorso e alla
correzione da effettuare, il credito totale della Banca popolare
di Novara da ammettere allo stato passivo del fallimento immo
biliare Giovannoni s.p.a., ammonta a complesive lire 316.442.610.
Il Foro Italiano — 1990.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 24 febbraio 1989; Pres. Lo
Turco, Est. Galbiati; Federazione nazionale stampa italiana
e Mafai (Avv. D'Amati) c. Pannella (Avv. Caiazza).
TRIBUNALE DI ROMA;
Responsabilità civile — Diffamazione col mezzo della stampa —
Diritto di critica — Modalità di esercizio — Uso di espressioni insultanti — Legittimità — Limiti (Cost., art. 21; cod. civ.,
art. 2043).
Il diritto di critica, inteso come estrinsecazione del più ampio diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, e postu lante la verità dei fatti su cui si esercita, non è escluso dall'uso
di espressioni in sé insultanti quando esse sono funzionalmente correlate ai giudizi profferiti, non avulse dal contesto critico
in cui sono pronunciate, congruenti al livello di polemica rag
giunto, nonché strumentali, nell'ottica del loro autore, all'e
nunciazione di significati concettuali od opinioni politiche. (1)
Svolgimetno del processo. — Con separati atti di citazione no
tificati in data 2-8 - 17 agosto 1984, la Federazione nazionale
stampa italiana e Maria Mafai convenivano in giudizio innanzi
al Tribunale di Roma l'on. Giacinto Marco Pannella.
Rappresentavano che la Federazione nazionale stampa italiana,
di cui Mafai era la presidente, in ogni occasione aveva difeso
la libertà dei giornalisti nell'esercizio della loro professione, spe
cie in relazione a recenti decisioni giudiziarie comportanti la con
danna in sede penale di giornalisti, ritenuti responsabili del reato
di diffamazione a mezzo stampa, a pesanti sanzioni patrimoniali a titolo di risarcimento del danno. In particolare, il segretario della Federazione della stampa Sergio Borsi (in un'intervista fatta
al quotidiano La Repubblica) aveva stigmatizzato il comporta
mento dei giudici del Tribunale di Terni i quali, con sentenza
in data 10 ottobre 1983, avevano condannato tre giornalisti al
pagamento di una provvisionale a titolo di risarcimento del dan
no di lire 100.000.000 per ciascuno perché ritenuti colpevoli di
avere diffamato i magistrati Achille Gallucci, Raffaele Vessichelli
ed il colonnello Federico Marzollo. Successivamente, con senten
za in data 27 marzo 1984, il Tribunale di Roma in sede civile
aveva condannato i giornalisti Giorgio Rossi ed Eugenio Scalfari
nonché la s.p.a. editoriale «La Repubblica» a risarcire il
(1) La pronuncia si inserisce nella delicata vicenda dei rapporti fra mondo
politico e potere giornalistico in modo inusuale, cioè a parti invertite,
poiché questa volta è un parlamentare, noto per la sua irruenza polemica, a doversi difendere dall'accusa di aver leso la reputazione di un'afferma
ta professionista della carta stampata. La sentenza trova un precedente in termini pressoché puntuali in Trib.
Roma 24 maggio 1985, Foro it., 1987, II, 253, con nota di richiami.
I giudici romani si sono espressamente richiamati alla triade di principi enunciata in due celebri sentenze della Suprema corte a cavallo dei primi anni ottanta: verità, pertinenza e continenza segnano l'ambito delle esi
menti costituite dall'esercizio del diritto di cronaca e di critica, entrambi
di derivazione costituzionale (v., da ultimo, Cass. 7 ottobre 1987, Alexis,
id., Rep. 1988, voce Ingiuria e diffamazione, n. 22; 15 gennaio 1987,
Albertario, ibid., n. 14; v. altresì Trib. Roma 25 ottobre 1988, id., 1989,
II, 40). Che l'esposizione dei fatti o l'affermazione dei giudizi in modo misura
to non escluda coloriture polemiche, toni aspri e financo l'uso di termini
oggettivamente offensivi che non abbiano equivalenti, purché npn ridon
danti ai fini del concetto da esprimere, è sostenuto da Cass. 23 aprile
1986, Emiliani, id., Rep. 1988, voce cit., n. 9; 3 maggio 1985, Ruschini,
id., Rep. 1987, voce cit., n. 24. In dottrina Garaventa, La diffamazione a mezzo stampa: un orientamento «liberale» del Tribunale di Genova, in Giust. pen., 1986, II, 732, giustifica il minor rigore nell'accezione di
continenza con la naturale tendenza del cronista alla partecipazione emotiva.
D'altro canto, una vivace e sana polemica, basata sulla contrapposizio ne anche violenta delle idee, è coessenziale all'esercizio del diritto di criti
ca: v. Cass. 12 dicembre 1986, Adami, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 11; Trib. Bologna 22 dicembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 17;
e, per un'applicazione in materia artistica del principio per cui non difet
ta la continenza alla critica omogenea ai toni del dibattito in corso, v.
Trib. Milano 25 gennaio 1988, id., Rep. 1988, voce Responsabilità civile,
n. 82. Un profilo di novità della sentenza in rassegna può forse rinvenirsi
nel modo, accentuatamente soggettivo, in cui i giudici hanno inteso il
rapporto di congruità fra il concetto e le sue modalità di espressione; sicché viene adombrata la possibilità che taluno scelga la fraseologia che
gli pare più adeguata per comunicare il proprio pensiero restando sotto
l'ala protettrice della scriminante, ancorché su tale giudizio influisca una
certa attitudine alla polemica e veemenza temperamentale.
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