sezione I civile; sentenza 4 marzo 1992, n. 2587; Pres. Vela, Est. Lupo, P.M. Amirante (concl.diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta) c. Soc. Stefania; Soc. Stefania (Avv. Contaldi,Bonazzi) c. Min. finanze. Cassa Comm. trib. centrale 12 novembre 1987, n. 8245Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 1651/1652-1653/1654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187965 .
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1651 PARTE PRIMA 1652
7.3. Né osta alla predetta soluzione il fatto che il rito esperito dal genitore instante sia quello camerale. Infatti, innanzi tutto, costui era in qualche modo costretto a servirsi di tale tipo di
procedimento, in quanto la sentenza di divorzio aveva tenuto
in conto anche della situazione della prole, e della prole anche
maggiorenne, sicché qualunque statuizione che si possa adotta
re in tema di mantenimento suona obiettivamente come modifi
ca delle condizioni della sentenza di divorzio. In secondo luogo,
poi, non può pretermettersi che l'originaria struttura del proce dimento camerale è stata piegata a varie esigenze — qual è quella di creare una corsia preferenziale per i giudizi di separazione, di divorzio e per la modificazione delle rispettive decisioni (da ultimo, 1. 331/88) — ragion per cui in questa, come in altre
analoghe (e sempre più frequenti ipotesi, il procedimento è for
malmente camerale, ma sostanzialmente contenzioso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 marzo
1992, n. 2587; Pres. Vela, Est. Lupo, P.M. Amirante (conci,
diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta) c. Soc. Ste
fania; Soc. Stefania (Avv. Contaldi, Bonazzi) c. Min. fi
nanze. Cassa Comm. trib. centrale 12 novembre 1987, n. 8245.
Valore aggiunto (imposta sul) — Vendite fallimentari — Assog gettabilità (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disci
plina dell'imposta sul valore aggiunto, art. 1, 2, 4).
Le vendite fallimentari sono soggette ad Iva anche se poste in
essere anteriormente al 1° gennaio 1975. (1)
Svolgimento del processo. — Nel corso della procedura falli
mentare a carico della s.p.a. Sobrero Est, la società semplice Stefania si rendeva aggiudicataria di un compendio immobilia
re, composto da un fabbricato industriale e terreno annesso, nonché da un'area di terreno agricolo. La curatela fallimentare
emetteva, il 1° agosto 1974, fattura Iva, addebitando all'aggiu dicataria un'imposta di lire 6.240.000.
(1) La decisione cassata, Comm. trib. centrale 12»novembre 1987, n. 8245, è massimata in Foro it., Rep. 1987, voce Valore aggiunto (im posta), n. 111.
Nello stesso senso della sentenza in epigrafe, v. Comm. trib. centrale 25 novembre 1985, n. 9996, id., Rep. 1986, voce cit., n. 99; 2 dicembre
1985, n. 10225, ibid., n. 120; 8 ottobre 1985, n. 8303, ibid., n. 121: tali decisioni prendono tutte posizione sulla norma di cui all'art. 1 d.p.r. 23 dicembre 1974 n. 687 (introduttivo dell'art. 74 bis d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633) che, con effetto dal 1° gennaio 1975, ha disciplinato gli obblighi, ai fini Iva, del curatore fallimentare, escludendo che la stessa abbia carattere innovativo (la natura interpretativa di tale disposizione è condivisa anche da Comm. trib. centrale 1° ottobre 1985, n. 8136, ibid., n. 123; in senso contrario, v. invece Comm. trib. centrale 29
giugno 1985, n. 6416, ibid., n. 124). Per ulteriori riferimenti, v. Corte cost. 30 aprile 1986, n. 115, id.,
1986, I, 2712, con nota di richiami (cui adde, nel senso ora fatto pro prio dalla Suprema corte, min. fin., telegramma 10 febbraio 1973, n.
526739, inedito; circ. 17 gennaio 1974, n. 6/505165, in Repertorio tri butario della prassi amministrativa e della giurisprudenza, Piacenza, 1983, I, 1186; ris. 9 aprile 1974, n. 500949, inedita), che ha ritenuto infonda ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 bis, 2° comma, d.p.r. 633/72, nella parte in cui sottopone le vendite fallimentari ad Iva (su tale sentenza, v. anche V. Sparano, Fallimento e Iva. Costitu zionalità confermata, in Dir. fallim., 1986, I, 701; A. Ghini, L'Iva nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, in Fisco, 1986, 5480).
Sugli obblighi del curatore fallimentare ai fini dell'imposta sul valore
aggiunto, v. Comm. trib. I grado Firenze 16 febbraio 1986, Foro it., 1987, III, 562.
In dottrina, sui problemi concernenti l'imposta sul valore aggiunto nelle procedure concorsuali, v. B. Talarico, Iva e procedure concor
suali, in Dir. fallim., 1990, I, 713; L. Panzani, L'Iva nelle procedure concorsuali, in Fallimento, 1988, 97,
Il Foro Italiano — 1993.
La società Stefania e la curatela fallimentare proponevano
separati ricorsi per la restituzione dell'imposta, che assumevano
non dovuta sulle vendite fallimentari. La Commissione tributa
ria di primo grado di Torino, riuniti i ricorsi, li accoglieva con decisione confermata dalla commissione di secondo grado e dalla
Commissione tributaria centrale. Quest'ultima, con la decisione
depositata il 12 novembre 1987, ha affermato che le vendite
fallimentari sono state assoggettate ad Iva solo per effetto del
d.p.r. 23 dicembre 1974 n. 687, con decorrenza dal 1° gennaio 1975. Tale disposizione, avendo natura innovativa, non si ap
plica ai fatti anteriori a detta data.
Avverso la decisione della Commissione tributaria centrale
l'amministrazione delle finanze ha proposto ricorso per cassa
zione. La società Stefania ha resistito con controricorso e con
ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso principale ed il ricor so incidentale vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la
medesima decisione.
2. - Con l'unico motivo del ricorso principale l'amministra
zione delle finanze deduce la violazione e falsa applicazione de
gli art. 1, 2, n. 5, 4 e 74 bis d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633
(in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.). La ricorrente sostiene
che le vendite fallimentari sono assoggettate ad Iva anche se
poste in essere anteriormente al 1° gennaio 1975, ciò desumen
do dal testo originario della normativa sull'Iva, che il d.p.r. 687/74 avrebbe integrato solo nelle modalità procedurali di adem
pimento dell'obbligo di imposta. Il motivo di ricorso è fondato. Secondo l'art. 1 d.p.r. 26 ot
tobre 1972 n. 633 sono soggette all'imposta sul valore aggiunto «le cessioni di beni effettuate nell'esercizio di imprese». Le ven
dite fallimentari rientrano nella definizione che di «cessioni di
beni» dà l'art. 2 dello stesso testo normativo, in quanto sono
atti che importano trasferimento della proprietà. Per quanto attiene al requisito della effettuazione «nell'esercizio di impre
se», assume rilievo il disposto originario dell'art. 4, 1° comma,
d.p.r. 633/72, vigente nel periodo qui considerato (anteriore al
1° gennaio 1975). Secondo tale disposizione «si considerano effettuate nell'eser
cizio di impresa le cessioni di beni relativi all'impresa». Questa
disposizione rende irrilevante il problema se il fallimento com
porti o meno la cessazione dell'impresa: a tenore di essa rileva
soltanto la pertinenza all'impresa del bene ceduto. Il legislatore fiscale ha quindi attribuito al requisito dell'esercizio dell'impre sa un significato più ampio di quello civilistico, e tale estensio
ne è stata ritenuta dalla Corte costituzionale (sentenza 30 aprile
1986, n. 115, Foro it., 1986, I, 2712) non contrastante con la
previsione della legge delega 9 ottobre 1971 n. 825 (art. 5, n. 1). Nel controricorso si osserva che la menzionata disposizione
dell'art. 4 non può essere invocata per sostenere l'assoggettabi lità ad Iva delle vendite fallimentari perché in essa si richiede,
altresì, che le cessioni di beni relativi all'impresa siano «fatte
da imprenditori»; ed il curatore fallimentare non è rappresen tante né successore del fallito, ma rispetto a questo è un terzo.
La vendita fallimentare, in quanto non compiuta da un impren ditore, non potrebbe pertanto rientrare tra le operazioni impo nibili previste dal combinato disposto dagli art. 1, 2 e 4 d.p.r. 633/72.
In senso contrario a tale argomento va osservato che dall'in
tero sistema della disciplina sull'Iva si desume l'assoggettamen to all'imposta anche delle cessioni coattive di beni, compiute non attraverso contratti stipulati dall'imprenditore, ma per ef
fetto di atti delle autorità giurisdizionali ed amministrative. Ciò si trae chiaramente da diverse disposizioni del testo originario del d.p.r. 633/72: l'art. 6, cpv., e l'art. 13, cpv., nelle rispettive lettere a), disciplinano espressamente le cessioni di beni per «at
to della pubblica autorità»; l'art. 10, n. 6, esentando dall'impo sta soltanto «le operazioni degli istituti di credito su pegno rela
tive alle vendite all'asta di oggetti pignorati», presuppone l'as
soggettamento ad Iva delle altre ipotesi di vendita all'asta. Ed
incontestata è invero la tassabilità delle operazioni di esecuzione
forzata su singoli beni relativi all'impresa. L'art. 4 citato, quindi, assume rilievo nella presente fattispe
cie limitatamente alla definizione del tipo oggettivo di operazio ne imponibile (cessioni di beni relativi all'impresa), ma non an che per la individuazione del profilo soggettivo di tale operazio ne (atti compiuti da imprenditori), posto che dalla complessiva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
disciplina dell'Iva si desume la tassazione anche delle cessioni
di beni compiute in forma coattiva, e quindi ad opera di altri
soggetti (autorità giurisdizionali e amministrative). La tassabilità delle cessioni di beni compiute nel corso di una
procedura fallimentare era, perciò, già contenuta nel sistema
complessivo desumibile dal testo originario del d.p.r. 633/72. L'art. 74 bis, introdotto in tale testo dal d.p.r. 23 dicembre
1974 n. 687, contiene soltanto norme procedimentali intese a
precisare gli obblighi del curatore fallimentare. Come si desume
chiaramente dal tenore letterale del detto art. 74 bis, esso non
pone alcuna norma sostanziale relativa alla estensione delle ope razioni soggette ad Iva, ma presuppone già esistente la norma
che assoggetta all'imposta le vendite fallimentari. In tal senso
si è già' pronunziata questa sezione con la sentenza 21 maggio
1984, n. 3117 (id., Rep. 1984, voce Valore aggiunto (imposta), n. 90), secondo cui il citato art. 74 bis non ha portata innovati
va o derogativa dei principi fissati dal legislatore sull'imponibi lità delle operazioni effettuate nell'esercizio delle imprese, ma
costituisce soltanto una chiarificazione dell'originario intento le
gislativo, diretta ad escludere ogni dubbio sulla sottoposizione al tributo di tutte le operazioni di liquidazione delle imprese, anche se coattive.
Va, infine, preso in esame l'unico argomento addotto dalla
decisione impugnata a sostegno della tesi opposta a quella qui sostenuta. In tale decisione si osserva che il citato d.p.r. n. 687
del 1974 (che ha introdotto l'art. 74 bis) ha anche modificato
l'art. 2, cpv., n. 5, che include tra le cessioni di beni «la desti
nazione di beni al consumo personale o familiare dell'imprendi tore e ad altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa». A
tale testo originario sono state aggiunte le parole: «anche se
determinata da cessazione dell'attività». Secondo la decisione
impugnata, tale fattispecie (e cioè la cessazione dell'attività im
prenditoriale) si è venuta ad aggiungere al testo originario come
un quid novi; onde la nuova disposizione non può avere effetto
retroattivo.
Al riguardo va osservato che l'art. 2, cpv., n. 5 (sia nel testo
originario sia in quello modificato) è del tutto estraneo al pro blema qui affrontato. La inclusione delle vendite fallimentari
tra le cessioni di beni tassabili deriva dalla generale definizione
contenuta nel 1° comma dell'art. 2 (integrata con il 1° comma
del testo originario dell'art. 4), onde è irrilevante la elencazione
delle altre ipotesi di cessioni di beni contenuta nel capoverso dell'art. 2.
La estraneità dell'art. 2, n. 5, alla disciplina delle vendite fal
limentari trova una chiara conferma nella relazione ministeriale
al d.p.r. 687/74, ove si afferma che «è appena il caso di preci sare che non rientrano nell'ambito della disposizione in esame
né... né la dichiarazione di fallimento: le operazioni effettuate
in sede di procedura fallimentare trovano la loro disciplina, au
tonoma e particolare, nell'art. 74 bis».
E si è già visto che l'art. 74 bis è confermativo della preesi stente assoggettabilità ad Iva delle cessioni di beni fallimentari.
3. - Nel ricorso incidentale la società Stefania sostiene che,
qualora si ritenesse assoggettabile ad Iva la vendita fallimenta
re, una parte dei beni venduti, e cioè il terreno agricolo, sareb
be esente dall'imposta per disposto di legge, onde ad essa socie
tà spetterebbe comunque il rimborso di parte dell'imposta pagata. Il ricorso incidentale è inammissibile perché esso non contie
ne alcuna censura della decisione impugnata, che non si è pro nunciata sulla questione posta nel ricorso. Tale questione, se
ritualmente prospettata alla Commissione tributaria centrale, po trà essere decisa nel giudizio di rinvio.
4. - In conclusione, il ricorso principale va accolto, con la
conseguente cassazione della decisione impugnata ed il rinvio
della causa alla Commissione tributaria centrale, che si pronun
zierà nuovamente ritenendo la assoggettabilità ad Iva delle ven
dite fallimentari anche se poste in essere anteriormente al 1°
gennaio 1975.
li Foro Italiano — 1993.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 18 feb
braio 1992, n. 1993; Pres. Brancaccio, Est. Amirante, P.M.
Caristo (conci, conf.); Camera dei deputati (Aw. dello Sta
to Scapari) c. Polito (Avv. D'Urso). Regolamento preventi vo di giurisdizione.
Parlamento — Presidenza della camera dei deputati — Bando
di concorso — Illegittimità — Difetto di giurisdizione (Cost., art. 64).
Sussiste il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario
e del comune giudice amministrativo in ordine alla domanda
volta a far dichiarare la illegittimità di un bando di concorso
emanato dalla presidenza della camera dei deputati, stante
l'indipendenza garantita nei confronti di qualsiasi altro pote re (autodichia) di cui sono dotati i due rami del parlamento, tale da riguardare non solo i rapporti di lavoro già costituiti
ma — come reso esplicito dal regolamento per la tutela giu
risdizionale dei dipendenti — anche quelli in fieri. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 17 no
vembre 1989, n. 4904; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est.
Vercellone, P.M. Caristo (conci, conf.); Pres. cons, mini
stri e Min. difesa c. Di Donato (Avv. Schwarzenberg). Con
ferma Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 1986, n. 31.
Impiegato dello Stato e pubblico — Servizi segreti — Rapporto
di lavoro — Tutela giurisdizionale (R.d. 26 giugno 1924 n.
1054, t.u. sul Consiglio di Stato, art. 31; 1. 24 ottobre 1977
n. 801, istituzione e ordinamento dei servizi per le informa
zioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato, art. 7).
È di natura giuridica il rapporto che lega il personale all'ammi
nistrazione dei servizi segreti, con la conseguenza che ne sca
turiscono posizioni di diritto soggettivo e di interesse legitti mo che non si sottraggono alla tutela giurisdizionale, consi
derato che gli atti di gestione di tale rapporto non integrano «atti politici» dell'autorità governativa e che la peculiarità delle
funzioni attribuite nonché l'eventuale opposizione del segreto di Stato rispetto alla acquisizione di dati e notizie sulle vicen
de del rapporto stesso possono implicare limiti ai poteri del
giudice, ma non privare quelle posizioni soggettive dei mezzi
di difesa giurisdizionale contemplati dall'ordinamento. (2)
(1-2) I. - Sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario e del giudi ce amministrativo con riguardo a controversie aventi ad oggetto pretese avanzate da dipendenti della camera dei deputati e del senato della re
pubblica, v., rispettivamente, Cass., sez. un., 23 aprile 1986, n. 2861, Foro it., 1986, I, 1828, con nota di richiami, e 18 novembre 1988, n. 6241, id., Rep. 1988, voce Parlamento, n. 32; 10 aprile 1986, n.
2546, id., 1986, I, 1139, con nota di richiami e osservazioni di R.
Moretti. La sentenza in epigrafe risolve per la prima volta la questione con
riferimento a rapporti non costituiti, ma in fieri, facendo applicazione
degli stessi principi in virtù del sopravvenuto regolamento per la tutela
giurisdizionale dei dipendenti, che peraltro si limita a rendere esplicito
quanto poteva ricavarsi in via di interpretazione estensiva dell'art. 12
del regolamento della camera riguardante i soli rapporti di lavoro già costituiti.
II. - La Suprema corte ha riconosciuto che il rapporto che lega gli
agenti ai servizi segreti è di natura giuridica, proprio perché esso è sorto
in base ad una disposizione di legge, l'art. 7 1. n. 801 del 1977, che
impone all'autorità amministrativa di stabilire un trattamento economico
giuridico «anche in deroga ad ogni disposizione vigente». Il relativo
regolamento fu effettivamente emanato dal potere esecutivo (decreto interministeriale 7 novembre 1980, n. 7, come risulta da Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 1987, n. 314, id., Rep. 1987, voce Impiegato dello
Stato, n. 610, di cui fa menzione la corte nella motivazione). Non
rileva che esso deroghi ad ogni disposizione vigente, in quanto ciò
è giustificato dalle speciali attività svolte dai servizi segreti, in qualche modo assimilabili ad operazioni belliche. Quello che rileva è che il rap
porto sia basato in ultima istanza su una disposizione legislativa. A
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