sezione I civile; sentenza 6 aprile 1992, n. 4217; Pres. Bologna, Est. Baldassarre, P.M. Romagnoli(concl. conf.); Soc. Bassetti Elevatori (Avv. Marino) c. Fall. soc. Nuova Edilizia (Avv. Battagliese).Cassa App. Milano 22 dicembre 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 12 (DICEMBRE 1993), pp. 3355/3356-3359/3360Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188587 .
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3355 PARTE PRIMA 3356
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 aprile
1992, n. 4217; Pres. Bologna, Est. Baldassarre, P.M. Ro
magnoli (conci, conf.); Soc. Bassetti Elevatori (Aw. Mari
no) c. Fall. soc. Nuova Edilizia (Aw, Battagleese). Cassa
App. Milano 22 dicembre 1987.
Fallimento — Revocatoria fallimentare — Vendita a rate con
riserva della proprietà — Mancato subentro del curatore —
Somme trattenute a titolo di equo compenso dal venditore — Irrevocabilità (Cod. civ., art. 1526; r.d. 16 marzo 1942
n. 267, disciplina del fallimento, art. 67, 72, 73).
In caso di vendita con patto di riservato dominio, il fallimento
del compratore non abilita il curatore, che non sia subentrato
nel contratto, ad agire in revocatoria per le somme corrispo
ste al venditore per il pagamento rateale del prezzo e da que st'ultimo trattenute a titolo di equo compenso. (1)
II
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 21 maggio 1992; Pres.
Meli, Est. Fabiani; Fall. soc. Edil Impresa (Avv. D'Urso)
c. Soc. Roma Leasing (Avv. Jan ari, Magno).
Fallimento — Revocatoria fallimentare — Leasing — Pagamento di canoni da parte dell'utilizzatore — Revocabilità (Cod. civ.,
art. 1526; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67, 72, 73).
In caso di contratto di leasing assimilabile alla vendita con pat to di riservato dominio, il fallimento dell'utilizzatore abilita
il curatore all'esercizio dell'azione revocatoria per la declara
toria di inefficacia dei pagamenti eseguiti in favore del conce
dente nell'anno anteriore la dichiarazione di fallimento, salvo
il diritto di quest'ultimo all'equo compenso previsto dall'art.
1526 c.c. (1)
I
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Milano con sen
tenza 18 aprile-19 settembre 1985, in accoglimento della domanda
di revocatoria di pagamenti ex art. 67, 2° comma, 1. fall, pro
posta, nei confronti della s.p.a. Bassetti Elevatori, dal curatore
del fallimento della società r.l. Nuova Edilizia con citazione del
16 gennaio 1984, condannava la convenuta a restituire la som
ma di lire 31.793.000, oltre interessi al tasso del 14% dal gen naio 1984 al saldo.
La corte d'appello, in parziale accoglimento dell'impugnazio ne della soccombente società, con la pronunzia ora gravata per
(1-2) La sentenza del Tribunale di Milano prende le mosse da Cass. 13 dicembre 1989, n. 5572 (e la coeva n. 5573), Foro it., 1990, I, 461, con note di Denova, La Cassazione e il leasing: atto secondo, e Pardo
lesi, Leasing finanziario: si ricomincia da due, nella quale venne divisa ta la distinzione tra il 'leasing di godimento' ed il 'leasing traslativo', con relativa applicazione, in caso di risoluzione, del principio di irre troattività sancito dall'art. 1458 c.c. per il primo tipo di locazione fi
nanziaria, ovvero del diverso precetto dell'art. 1526, previsto per la vendita con riserva della proprietà, nel ricorrere del secondo tipo (per un qua dro sul dibattito della giurisprudenza di merito precedente a Cass.
5572/89, circa i rapporti tra il contratto di leasing e l'art. 1526, e sem
pre nel caso di fallimento del conduttore, cfr. Trib. Milano 21 settem bre 1987, id., Rep. 1988, voce Fallimento, n. 463; Trib. Catania 14
novembre 1987, ibid., n. 427, e Trib. Venezia 28 aprile 1987, ibid., n. 431).
Nella fattispecie in esame, trattandosi di locazione finanziaria certa mente assimilabile al secondo modello (stante la previsione di un «prez zo di riscatto del bene assolutamente insignificante se rapportato al pre sumibile valore residuo del bene»), il collegio ammette la revocabilità, ex art. 67, 2° comma, 1. fall., dei canoni versati dal compratore nell'an no precedente la dichiarazione di fallimento. È fatto comunque salvo
l'equo compenso cui la società di leasing avrà diritto ai sensi dell'art.
1526, 1° comma, per l'uso ed il godimento della cosa da parte del con duttore: credito da ammettersi al passivo fallimentare secondo il princi pio generale di cui all'art. 71 1. fall.
Nello stesso senso si sono di recente pronunciate Trib. Torino 23 novembre 1990, id., Rep. 1991, voce cit., n. 404, con nota di Ferra
rio, Leasing e revocatoria fallimentare, Fallimento, 1991, 842, e Trib. Brescia 22 febbraio 1988, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 396. Alla
Il Foro Italiano — 1993.
cassazione, revocava i pagamenti per sole lire 21.793.000, con
esclusione di quello eseguito in data 10 aprile 1980.
Considerava al riguardo che, in tema di revocatoria fallimen
tare, gli atti di pagamento posti in essere dal compratore in
adempimento di contratto di vendita con riserva di proprietà
vanno considerati negozi autonomi, che comportano violazione
della regola della par condicio; che i pagamenti eseguiti non
potevano considerarsi, a seguito dello scioglimento del contrat
to, privi di causa e, quindi, ripetibili, atteso che l'acquisizione
da parte della venditrice delle rate già riscosse trovava fonda
mento nella clausola sesta dell'atto di compravendita a titolo
di equo compenso; che la pretesa all'indennizzo, ai sensi del
l'art. 1626 c.c., attiene a credito concorsuale, che non può esse
re opposto in compensazione del debito restitutorio nascente
dalla revocatoria, che è debito verso la massa; che la scientia
decoctionis, a partire dai pagamenti eseguiti dopo il 15 ottobre
1980, nella specie, emergeva con sicurezza dagli atti e, in parti
colare, dal contegno verso il debitore della società appellante;
che, in ordine al risarcimento del maggior danno derivante dal
ritardo nella restituzione delle somme oggetto dei pagamenti re
vocati, la natura costitutiva della sentenza non era incompatibi
le con la retrodatazione dei suoi effetti alla data della domanda.
La società Bassetti Elevatori affida il ricorso a tre mezzi d'an
nullamento, resistiti da controricorso.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il primo motivo la ricorrente società, denunziando violazione degli art. 67, 2° com
ma, 72, 73 e 56 1. fall, e 1526 c.c., in relazione all'art. 360,
n. 3, c.p.c., sostiene, con il richiamo anche di giurisprudenza
di questa corte, che nella vendita con patto di riservato domi
nio, nel caso di fallimento del compratore, il curatore, che non
sia subentrato nel contratto, non può agire in revocatoria per
la restituzione delle somme già pagate; che, in ogni caso, il ven
ditore può eccepire in compensazione al curatore il credito per
indennizzo a norma dell'art. 1526.
Il motivo, sotto il primo e principale profilo, è fondato.
Ritiene, infatti, il collegio di dover aderire al consolidato in
dirizzo giurisprudenziale (conf. sent. nn. 4998/79, Foro it., Rep.
1980, voce Fallimento, n. 328; 2142/74, id., 1975, I, 403;
3279/59, id., 1960, I, 1539) secondo cui, quando il contratto
di vendita a rate con riserva di proprietà, risultante da atto op
ponibile ai creditori dell'acquirente, venga sciolto a seguito del
fallimento del compratore che non abbia completato il paga mento del prezzo (scioglimento disciplinato dalle comuni regole
dettate, in tema di vendita, dall'art. 72, 2° e 3° comma, cit.),
gli effetti dello scioglimento sono regolati dall'art. 1526 cit.,
là dove dispone che il venditore, al quale va restituita la cosa
rimasta di sua proprietà, deve restituire le rate riscosse, ma ha
diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa medesima da
parte dell'acquirente. Per le somme a tale titolo dell'azione re
vocatoria fallimentare, non sussistendone il presupposto, ossia
stessa soluzione pare pervenire Trib. Napoli 10 maggio 1986, id., Rep.
1987, voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 86, secondo cui il
commissario straordinario, che opti per il subingresso nel contratto di
leasing, è obbligato al pagamento sia dei canoni scaduti sia di quelli ancora a scadere, mentre è esclusa ogni revocabilità dei primi ex art.
67. Sulla revocabilità del pagamento di canoni di leasing e sulla confi
gurabilità di una lesione della par condicio, anche nel caso di riscatto
del bene e di una sua successiva vendita a cura del fallimento ad un
prezzo inferiore all'importo dei pagamenti oggetto dell'azione revocato
ria, v. Cass. 16 settembre 1992, n. 10570, id., Rep. 1992, voce Falli
mento, n. 405. Di diverso avviso, anche se con riferimento a casi di vendita con
patto di riscatto, la pronuncia della corte di legittimità in epigrafe, cui
si affiancano le più risalenti Cass. 28 settembre 1979, n. 4998, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 328, 329, e 17 luglio 1974, n. 2142, id., 1975, I,
392, secondo cui il curatore che non sia subentrato nel contratto non
può agire in revocatoria per le somme già corrisposte al venditore a
titolo di pagamento rateale, non ricorrendo alcuna lesione della par condicio creditorum. Secondo tale filone, infatti, è la stessa scelta ope rata dagli organi del fallimento di non subentrare nel contratto, ai sensi
degli art. 72 o 73 1. fall., ad escludere il sussistere di qualsiasi pregiudi zio per la massa.
In dottrina, oltre agli autori già citati, si segnalano i contributi di
Apice, Leasing e revocatoria fallimentare, in Fallimento, 1991, 1217,
e, più in generale, Cantele, Ancora sulla vendita con patto di riservato
dominio nel fallimento, id., 1986, 428 e Bronzini, Riservato dominio
e fallimento, id., 1983, 91.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il pregiudizio per la massa, atteso che la ritenzione delle som
me, nei limiti indicati, è conseguenza della scelta operata dagli
organi preposti all'amministrazione del fallimento.
Peraltro, una tale scelta che prevede e determina il ripristino della situazione in cui erano le parti prima della stipula del con
tratto, trova la sua disciplina in norme della legge fallimentare
(art. 72 e 73) poste a tutela proprio della par condicio.
Il secondo e il terzo motivo, in quanto pongono le gradate
questioni relative alla prova dello stesso d'insolvenza e al mag
gior danno da svalutazione monetaria, rimangono assorbiti dal
l'accoglimento del primo.
Consegue che, in accoglimento di questo mezzo, la sentenza
deve essere cassata con rinvio della causa per nuovo esame, al
quale il giudice designato dovrà procedere applicando il seguen te principio di diritto:
«Nell'ipotesi di vendita a rate con patto di riservato dominio
e di successivo fallimento del compratore, il curatore, che non
sia subentrato nel contratto, non può agire in revocatoria per le somme, corrisposte dal fallito in pagamento rateale del prez
zo, che siano state trattenute dal venditore a titolo di equo com
penso spettantegli per l'uso ed il deterioramento della cosa
venduta».
II
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
in data 17 marzo 1987, il curatore del fallimento Edil impresa
s.p.a., previa autorizzazione del giudice delegato a stare in giu
dizio, esponendo che, nell'anno anteriore al fallimento, l'im
presa fallita aveva eseguito pagamenti a favore della Roma Lea
sing s.p.a. di lire 40.292.700, che la società era a conoscenza
dello stato di insolvenza posto che la Edil impresa era stata
oggetto di numerose procedure di ingiunzione ed esecutive, che
la stessa era stata protestata e che, infine, del dissesto avevano
parlato i giornali anche nazionali, conveniva in giudizio la Ro
ma Leasing s.p.a., chiedendo che, previa declaratoria di ineffi
cacia, parte convenuta fosse condannata alla restituzione della
somma di lire 40.292.700 oltre interessi e danno da svalutazione
monetaria. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). Da ultimo occorre pren
dere in esame, ancorché non compiutamente articolata, l'ecce
zione con la quale la Roma Leasing contesta la ammissibilità
della azione revocatoria per pagamenti eseguiti nel contesto di
un contratto di locazione finanziaria, contratto avente ad og
getto il godimento di un bene.
Dalla lettura dell'art. 67 1. fall, non sembrano ricavarsi ele
menti per ritenere che tale pagamento debba essere escluso dal
la sfera di applicazione dell'istituto della revocatoria, anche per
ché, i casi di esclusione sono tassativi e sono ricompresi nell'ul
timo comma della citata norma.
Nondimeno è noto come, in particolare nell'ultimo biennio,
una parte della giurisprudenza tenda a circoscrivere i limiti di
applicazione della norma (si pensi alle decisioni della corte re
golatrice in materia di pagamenti a favore degli enti che svolgo no pubblici servizi in regime di monopolio, oltre alla recentissi
ma Cass. 3 giugno 1991, n. 6237, Foro it., Rep. 1991, voce
Fallimento, n. 389, che ha escluso la revocabilità dei pagamenti di canoni di locazione ove il curatore sia subentrato nel contrat
to ex art. 80 1. fall.), in guisa che, in astratto, non potrebbe escludersi l'inammissibilità della revocatoria.
Nel caso che ci occupa, il dubbio scaturisce dalla lettura degli
art. 72 e 73 1. fall, che sembrerebbero disciplinare compiuta
mente la fattispecie degli effetti del fallimento sui rapporti
pendenti. Sul punto occorre rilevare come, tale normativa potrebbe, ef
fettivamente, trovare applicazione, posto che è pacifico che il
contratto di leasing al momento di dichiarazione del fallimento
della Edil impresa, non era ancora esaurito (tant'è che restava
no da pagare altre rate).
Ci si chiede, allora, se la regolamentazione del rapporto col
legato al contratto di leasing debbe essere dettata dal solo art.
73 1. fall., ovvero se tale norma subisca una qualche interferen
za con quella dell'art. 67 1. fall.
Innanzi tutto, sembra opportuno chiarire che, al contratto
di locazione finanziaria in esame, può essere applicata la nor
mativa di cui all'art. 1526 c.c. dettata in tema di vendita a rate
Il Foro Italiano — 1993.
con patto di riservato dominio, dal momento che nel testo dei
contratti venne previsto un prezzo di riscatto assolutamente in
significante se rapportato al presumibile valore residuo del be
ne, al termine del rapporto (ancorché si trattasse di beni del
settore dell'edilizia). Come è noto, infatti, con il retirement del
1989, la Corte suprema ha riconosciuto al «leasing improprio» natura di contratto di scambio, cosi da equipararlo alla vendita
a rate con riserva di proprietà (Cass. 13 dicembre 1989, nn.
5569-5574, id., 1990, I, 461), sicché, nella locazione finanziaria può essere invocato il disposto di cui all'art. 1526 c.c.
Secondo tale norma, nel caso in cui non si pervenga all'ac
quisto della proprietà da parte del compratore, le rate pagate debbono essere restituite dal venditore, salvo il diritto di costui
a trattare un «equo compenso». Nella odierna fattispecie, ancorché non sufficientemente arti
colato, il diritto a trattenere quanto riscosso a titolo di equo
compenso potrebbe ammettersi, alla luce del fatto che i beni
in questione hanno un grado di rapida obsolescenza, nonché
avuto riguardo al fatto che molte erano le rate che dovevano
ancora essere corrisposte.
Pertanto, se la domanda della curatela fosse stata quella di
restituzione dei canoni pagati ex art. 1526 c.c., si potrebbe re
putare fondata una difesa con cui la convenuta eccepisse una
sorta di «diritto di ritenzione» sui canoni versati, ma, dal mo
mento che il fallimento ha promosso l'azione revocatoria, ad
avviso del collegio non sussistono le condizioni per l'operatività dell'art. 1526 c.c.
Infatti, tale disposizione, con tutta evidenza, assolve allo sco
po di tutelare il compratore da eventuali abusi del venditore
(tant'è, che è prevista la riduzione della penale convenzionale
di cui al 2° comma dell'art. 1526 c.c.) ed ha una sfera di inter
vento più generale, nel senso che, per tutti i contratti, potrà
essere invocato il diritto alla restituzione; si tratta cioè di uno
strumento di diritto comune, di cui potrà avvalersi anche il cu
ratore, laddove ritenga ne sussistano i presupposti (ovverosia,
eccessività dei canoni pagati rispetto al tempo di utilizzazione
del bene).
Purtuttavia, va dato atto che, in passato, la giurisprudenza
che si è occupata dell'argomento, ha ritenuto (con riferimento
all'istituto della vendita a rate — e non del leasing —) che,
ove il curatore non subentri nel contratto, le rate pagate non
possono essere oggetto di azione revocatoria: in particolare si
è sostenuto che non ricorrono gli estremi della lesione della par
condicio creditorum, trovando piena applicazione le regole co
muni dettate dall'art. 1526 c.c., ove si riconosce al venditore
il diritto all'equo compenso: (Cass. 28 settembre 1979, n. 4998,
id., Rep. 1980, voce cit., n. 328; 17 maggio 1979, n. 2826, id.,
Rep. 1979, voce cit., n. 246; 17 luglio 1974, n. 2142, id., 1975,
I, 392; 5 novembre 1959, n. 3279, id., 1960, I, 1539).
Ad avviso del collegio, non può essere condiviso l'orienta
mento della corte regolatrice, secondo il quale difetterebbe il
requisito del «danno» nell'ipotesi in esame, cosi come non può
essere prestata adesione a quella interpretazione dottrinale che
esclude l'utilità dell'azione in presenza del rimedio di diritto comune.
Quanto al primo aspetto, va osservato che non è ben chiaro
per quale ragione il pagamento di una rata a favore del vendito
re che si sia riservato la proprietà sul bene, non sarebbe lesiva
della par condicio.
Certamente, deve escludersi che l'assenza di danno possa es
sere ricavata dal fatto che il pagamento serve all'imprenditore
per garantirsi la disponibilità del bene, atteso che è assoluta
mente pacifico, in giurisprudenza, che sono revocabili i paga
menti «contestuali» all'incremento del patrimonio del debitore.
Ma è altrettanto certo che la lesione non viene meno per il
semplice fatto che, in concreto, le somme ricavate dall'accogli
mento della revocatoria dovrebbero poi essere restituite al ven
ditore che vanta il diritto a trattenere l'equo compenso.
Infatti, mentre da un lato il credito del compratore per la
restituzione dei canoni ex art. 1526 c.c. è rivolto nei confronti
del venditore e si trova in una relazione di reciprocità con il
credito del venditore consistente nel diritto di trattenere una
parte delle rate sino a concorrenza dell'equo compenso, il credi
to della curatela ex art. 67 1. fall., in quanto credito della mas
sa, non può essere compensata (difettando, appunto, la reci
procità).
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3359 PARTE PRIMA 3360
Né, si può sostenere, come pure ha fatto la giurisprudenza, che cosi facendo, il curatore pone in essere una «manovra per
aggirare» l'effetto compensativo, dal momento che, se certa
mente non è revocabile la compensazione come fenomeno estin
tivo della obbligazione, è, invece, revocabile l'atto che costitui
sce il presupposto della compensazione. Infatti, ciò che il falli mento intende revocare è il pagamento di alcune rate, la cui
ricezione da parte della Roma Leasing realizza l'effetto com
pensativo con il debito ex art. 1526 c.c.
Occorre, allora, ricordare che in giurisprudenza, la prevalen za dell'art. 56 1. fall, rispetto all'art. 67 1. fall, significa soltanto
riconoscere che l'effetto estintivo provocato dalla compensazio ne sulla obbligazione a carico del fallito, resiste all'azione revo
catoria della curatela; diversamente, se la curatela impugna il
pagamento (o il negozio che costituisce il presupposto della com
pensazione, nessun limite incontra l'applicazione dell'art. 67 1.
fall., si vedano, Trib. Torino 29 novembre 1984; Trib. Roma
18 febbraio 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 182). Escluso, cosi, che la revocatoria travolge il principio di cui
all'art. 56 1. fall., deve ritenersi ammissibile l'azione ex art. 67
1. fall, per ottenere la declaratoria di inefficacia dei pagamenti
eseguiti dal compratore in un contratto di compravendita con
patto di riservato dominio, con la conseguenza che il credito
del venditore per l'equo compenso dovrà essere insinuato al pas sivo ex art. 71 1. fall., secondo le medesime modalità che gover nano una normale azione revocatoria di pagamenti fatti dal fal
lito per acquistare un bene.
Posto che, nel caso che ci occupa, la disciplina del contratto
di leasing può essere equiparata a quella della vendita ex art.
1523 c.c., ne consegue che vanno dichiarati inefficaci i paga menti dei canoni relativi ai contratti di locazione finanziaria
stipulati dalla Edil impresa con la Roma Leasing (in ordine alla
revocabilità del pagamento di canoni di contratti di leasing, si
vedano, Trib. Venezia 12 maggio 1988; Trib. Grosseto 5 giugno 1985; App. Milano 13 dicembre 1983, ined.).
In tale contesto, il tribunale ritiene che parte attrice abbia
pienamente assolto al proprio onere probatorio; pertanto, va
dichiarata l'inefficacia dei pagamenti e la convenuta va condan
nata al pagamento della somma di lire 40.292.700. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 4 feb
braio 1992, n. 1147; Pres. Quaglioni, Est. Francabandera, P.M. Amirante (conci, conf.); Soc. Frigodaunia (Avv. Pe
scatore, Gasperoni) c. Rai-Tv (Aw. Giorgianni, Esposito, Irti, Ruffolo); Rai Tv c. Soc. Frigodaunia. Cassa App. Ro ma 11 giugno 1986.
Responsabilità civile — Giornalista — Colpa professionale —
Buona fede — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2043). Responsabilità civile — Datore di lavoro — Giornalista Rai —
Responsabilità della concessionaria pubblica — Fattispecie (Cod. civ., art. 2049).
Responsabilità civile — Unità o pluralità di eventi dannosi —
Evento dannoso imputabile a più soggetti — Efficienza cau sale delle singole condotte — Accertamento del giudice del merito — Fattispecie (Cod. civ., art. 2055).
Responsabilità civile — Denuncia di reato perseguibile d'ufficio — Denuncia infondata — Esercizio dell'azione penale — Ef ficienza causale — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art.
1223, 2056). Danni in materia civile — Erronea interpretazione di test chimi
co — Trasmissione televisiva — Natura del danno — Deter minazione — Criteri (Cod. civ., art. 1223 , 2056).
Posto che l'attività del giornalista televisivo presuppone un ele vato grado di prudenza, in relazione alla divulgazione di ri sultati di un'analisi chimica effettuata su alcuni prodotti ali mentari (nella specie, sì trattava di pesce surgelato), il giorna lista, che abbia diffuso una notizia obiettivamente falsa in
li Foro Italiano — 1993.
grado di compromettere la commerciabilità dei prodotti ana
lizzati, può sostenere di avere agito in buona fede soltanto
se abbia provveduto ad effettuare accertamenti tesi a verifica re l'attendibilità del risultato pubblicizzato. (1)
La Rai risponde dell'operato del giornalista, suo dipendente, che, nel diffondere i risultati di un'analisi chimica, effettuata su alcuni prodotti alimentari, ne abbia travisato il risultato
(nella specie, il giornalista, senza aver prima controllato l'esi
to del test, aveva omesso di specificare che la presenza di
tetraciclina residuava dall'iniziale trattamento del pesce e, per
tanto, era priva del suo potere attivo, lasciando credere che
la sostanza antibiotica fosse stata aggiunta come additivo vie
tato dalla legge). (2) In relazione a più condotte pregiudizievoli per gli interessi di
un terzo, compete al giudice del merito stabilire se si sia in
presenza di un evento dannoso imputabile a più soggetti, sta
bilendosi, altresì, l'efficienza causale di ciascuna condotta, ov
vero se si sia in presenza di una pluralità di eventi dannosi. (3)
L'effetto pregiudizievole di una denuncia di reato perseguibile
d'ufficio resta assorbito all'attività pubblicistica dell'organo titolare dell'azione penale, che toglie alla denuncia ogni effi cienza causale, salvo che il denunziante abbia agito con
dolo. (4) In seguito alla diffusione, nel corso di una trasmissione televisi
va, dei risultati di un'analisi chimica condotta su un prodotto
alimentare, il danno connesso al calo delle vendite non è qua
lificabile come futuro e per la quantificazione dello stesso de
ve tenersi conto, oltre che della differenza negativa del volu
me di vendita del prodotto, anche dell'aumento di spese di
pubblicità e dei premi d'incentivazione, verificatisi nell'arco di tempo trascorso tra il fatto illecito e la proposizione della
domanda introduttiva del giudizio; quanto agli eventuali dan
ni futuri, la loro risarcibilità presuppone la certezza degli stessi
in ordine tanto alla loro esistenza, quanto alla loro derivazio ne dal fatto illecito in esame. (5)
(1-5) La sentenza si può leggere in Foro it., 1992, I, 2127, con nota di richiami di R. Simone; se ne riproducono le massime per pubblicare l'articolo di V. Roppo.
* * *
Diffamazione per «mass media» e responsabilità civile dell'editore. (*)
1. -1 tre problemi della responsabilità civile. Parlare di responsabilità dell'editore per gli illeciti e i danni che si producono nell'esercizio di attività informativa significa essenzialmente — come accade del resto tutte le volte che si parla di responsabilità civile — rispondere a tre domande: una sul «se», un'altra sul «quanto», ed un'altra sul «chi».
Il primo problema è se vi sia responsabilità: e cioè, nell'ambito qui considerato, quali siano gli elementi costitutivi dell'illecito civile di dif famazione, o più in generale di lesione degli altri diritti personali o patrimoniali, realizzata tramite «mass media». Ma a questo problema — altrove ampiamente indagato — non si dedica qui attenzione.
Cosi come si trascura, qui, il secondo problema: il problema di defi nire quanto si debba pagare al danneggiato, una volta accertata la re sponsabilità del danneggiarne; il problema dei parametri ai quali com misurare il risarcimento dovuto dall'autore alla vittima dell'illecito.
Queste pagine si concentrano invece sulla questione di individuare chi può essere chiamato a rispondere, in caso di illecito di diffamazione.
Al riguardo, i soggetti che vengono in gioco sono essenzialmente tre (anche, se come si vedrà fra breve, a determinate condizioni può essere evocato un quarto soggetto): il giornalista, autore del messaggio lesivo; poi il direttore della testata, o comunque il responsabile della pubblica zione o del programma che ha diffuso il messaggio; infine l'editore, al quale saranno in prevalenza dedicate le considerazioni che seguono.
2. - «Civile» e «penale» nella responsabilità per diffamazione via «mass media». In questa sede ci si occupa, come è ovvio, dei profili civilistici della responsabilità per diffamazione da «mass media». Ma, nella spe cifica materia, è pressoché inevitabile, e comunque molto utile, intro durre qualche elemento di comparazione fra regime civile e regime pe nale della responsabilità derivante dall'esercizio di attività informative.
Osservo subito che se il regime civile e quello penale della responsabi lità in questione si presentano in apparenza molto divaricati quanto
(*) Destinato anche a «Scintillae Iuris». Studi in memoria di Gino Gorla.
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