sezioni unite civili; sentenza 23 novembre 1995, n. 12106; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est.Bibolini, P.M. Di Renzo (concl. diff.); Amici (Avv. Amici) c. Regione Marche (Avv. Cocchetti),Provincia di Ascoli Piceno, Min. ambiente. Regolamento di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 2 (FEBBRAIO 1996), pp. 563/564-571/572Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190170 .
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PARTE PRIMA
zione del consenso al traferimento della titolarità dell'azienda
goduta in affitto non equivale all'essersi questo trasferimento,
ipso iure, verificato. Un simile effetto non poteva prodursi, e
non si è certamente prodotto, in difetto del promesso consenso
negoziale dell'alienante, se non a seguito della pronuncia di una
sentenza idonea a tener luogo della mancata stipulazione del
contratto definitivo. Sentenza che, proprio per questo, ha ca
rattere costitutivo e non opera certo per il passato, essendo ol
tre tutto gli effetti traslativi dell'azienda condizionati anche al
l'offerta del pagamento del prezzo, come nella sentenza stessa
specificato. Ne consegue che, contrariamente a quanto reputato dal giu
dice a quo, il semplice maturare del diritto del Di Mare a che
la controparte si prestasse alla stipulazione del menzionato con
tratto traslativo non ha comportato alcun mutamento nella tito
larità dell'azienda; e ne consegue altresì che, stando in tal modo
le cose, il protrarsi del godimento dell'azienda medesima da parte
del Di Mare non poteva frattanto trovare altra giustificazione
giuridica se non nel perdurare del pregresso rapporto di affitto.
Ma, con tutta evidenza, ciò implica che l'affittuario, lungi dal
l'essere liberato dagli obblighi inerenti a tale rapporto, vi era
pur sempre vincolato.
Non può dunque prescindersi dal valutare in concreto la fon
datezza delle domande di risoluzione contrattuale, di pagamen to dei canoni arretrati e di risarcimento dei danni proposte dal
la beatrice, sol perché costei è rimasta inadempiente agli obbli
ghi assunti con il contratto preliminare di vendita. E, se è vero
che l'esecuzione in forma specifica di quest'ultimo contratto po trebbe rendere ormai comunque impossibile l'invocata restitu
zione dell'azienda alla predetta locatrice (ma sempre che il pro missario acquirente esegua l'offerta di pagamento cui la senten
za ha subordinato l'effetto traslativo), non è men vero che la
Di Mare conserva un interesse non irrilevante almeno all'esame
delle domande proposte per far accertare l'eventuale inadempi mento dell'affittuario, sia pure al solo scopo di conseguire il
pagamento dei canoni scaduti fino all'effettivo trasferimento della
titolarità dell'azienda o in vista — qualora ne ricorressero gli estremi — di una condanna dell'inadempiente al risarcimento
dei danni. L'impugnata sentenza dev'essere perciò cassata e la causa va
rinviata ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, che
giudicherà attenendosi al seguente principio: «Il semplice verificarsi delle condizioni alle quali le parti ave
vano subordinato l'obbligo della locatrice di prestare il proprio consenso al trasferimento dell'azienda in favore dell'affittuario, in difetto di tale consenso e fin quando il previsto effetto trasla
tivo della titolarità dell'azienda non abbia luogo per virtù della
pronuncia emessa dal giudice ai sensi dell'art. 2392 c.c., non
libera l'affitturario dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di
affitto, e non esime quindi il giudice dall'esaminare nel merito
la fondatezza delle domande con cui la locatrice ha chiesto di
accertare il mancato adempimento di tali obbligazioni, di di
chiarare risolto il contratto d'affitto e di condannare la contro
parte al pagamento dei canoni maturati ed all'eventuale risarci mento dei danni».
Il Foro Italiano — 1996.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 no vembre 1995, n. 12106; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est.
Bibolini, P.M. Di Renzo (conci, diff.); Amici (Avv. Amici) c. Regione Marche (Avv. Cocchetti), Provincia di Ascoli Pi
ceno, Min. ambiente. Regolamento di giurisdizione.
Parchi nazionali — Fauna selvatica protetta — Danni arrecati
alle colture agrìcole — Diritto al risarcimento del danno —
Esclusione — Interesse legittimo — Giurisdizione amministra
tiva (Cost., art. 42; cod. civ., art. 2043, 2052; 1. 12 luglio 1923 n. 1511, conversione in legge, con modificazioni, del
r.d.l. 11 gennaio 1923 n. 257, riguardante la costituzione del
Parco nazionale d'Abruzzo, art. 1, 6; 1. 27 dicembre 1977
n. 968, principi generali e disposizioni per la protezione e la
tutela della fauna e la discipina della caccia; 1. 11 marzo 1988
n. 67, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988), art. 18; d.m.
3 febbraio 1990, perimetrazione del Parco nazionale dei Monti
Sibillini).
Il proprietario di un fondo incluso nel comprensorio di un par co naturale (nella specie, dei Monti Sibillini) non può vanta
re, nei confronti della pubblica amministrazione, un diritto al risarcimento dei danni provocati alla coltivazione dalla fauna selvatica protetta, ma un semplice interesse legittimo alla con
cessione degli indennizzi previsti dalle disposizioni legislative in materia: pertanto, la relativa controversia rientra nella giu risdizione del giudice amministrativo. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 27 ot tobre 1995, n. 11173; Pres. V. Sgroi, Est. Garofalo, P.M.
Aloisi (conci, conf.); Lisca (Aw. Vesentini, Cersosino, G.
Guerra) c. Provincia di Verona (Avv. Tornabuoni, Capo
ni). Regolamento di giurisdizione.
Caccia e protezione della fauna — Oasi di protezione e rifugio — Fauna selvatica protetta — Danni arrecati alle colture agrì cole — Risarcimento del danno — Giurisdizione ordinaria
(Cost., art. 117; cod. civ., art. 2043, 2052; 1. 27 dicembre 1977 n. 968, art. 6, 24, 26; 1. reg. veneta 14 luglio 1978 n.
30, disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e
per la disciplina della caccia, art. 1, 20).
Il proprietario di un fondo incluso nel comprensorio di riserve
naturali vanta, nei confronti della pubblica amministrazione, un diritto soggettivo al risarcimento dei danni provocati alla
coltivazione dalla selvaggina protetta: pertanto, la relativa con
troversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (2)
(1-2) Le sezioni unite rimangono fedeli al proprio orientamento e scindono la giurisdizione a seconda che il fondo agricolo danneggiato si trovi nel comprensorio di un'oasi naturale o di un parco.
Il ragionamento adottato riposa su uno straordinario formalismo: nel
primo caso (le oasi), la 1. 968/77 prevede vere e proprie forme risarcito
rie, come tali tutelabili davanti al giudice ordinario, con un indennizzo dalla «funzione risarcitoria in senso stretto, quindi (dalla funzione) di
reintegrazione patrimoniale» dal momento che si parla espressamente di «danni non altrimenti risarcibili» (art. 26, 1° comma), di «liquida zione degli effettivi danni» (art. 6, 1° comma, lett. g) e di «criteri per la determinazione dei danni» (elementi concettualmente incompatibili con la configurabilità di un potere discrezionale della pubblica ammini strazione sia in ordine ali 'an che al quantum) e che è prevista l'obbliga torietà della costituzione del fondo regionale integrativo di quello pro vinciale previsto per il ristoro del danno eventualmente arrecato ai privati.
Nel secondo caso, invece, si ribadisce la specialità della figura dei parchi e della relativa disciplina, evocando una figura complessa all'in terno della quale la tutela della (e dalla) fauna è solo un aspetto di «una realtà coinvolgente una pluralità di situazioni che nella loro corre lazione e singolarità vengono assunte a rilevanza pubblica e rispetto alle quali (in mancanza di espressa e difforme disciplina specifica) la tutela di situazioni particolari finìce per soggiacere alla prevalente fina lità pubblica assunta a rilievo predominante». Cioè, nell'ambito premi nente della tutela ambientale, da un lato, il «compenso» cui ha diritto il privato danneggiato non viene ragguagliato all'effettività dei danni
e, quindi, non assume il carattere della certezza, almeno riguardo al
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
rispettivamente il 17, 19, e 23 luglio 1991, il sig. Felice Amici conveniva davanti al Pretore di Ascoli Piceno la provincia di
Ascoli Piceno, la regione Marche ed il ministero dell'ambiente, dei quali tutti chiedeva la condanna al risarcimento dei danni
subiti quale proprietario di due appezzamenti di terreno coltiva
ti a patate, apprezzamenti inclusi nel comprensorio del Parco
dei Monti Sibillini e che erano stati invasi in ore notturne da
cinghiali usciti dai boschi circostanti. L'attore sosteneva la responsabilità della provincia in quanto
ente che, presiedendo ai settori della caccia e della pesca, aveva
disseminato nei boschi una grande quantità di cinghiali senza
quantum. Dall'altro, non emerge normativamente alcun elemento pre fissato per la sua determinazione e liquidazione: indici, questi, che se condo la corte manifestano la subordinazione della situazione del priva to ad un interesse pubblico prevalente, che la degrada a livello di inte
resse legittimo (cfr. Cass., sez. un., 29 marzo 1983, n. 2246, Foro it., 1983, I, 2500).
Peraltro, la tutela differenziata, per il pregiudizio economico arreca
to dalla fauna selvatica, ed il suo rilievo sotto il profilo indennitario
a seconda delle varie forme normativamente previste per la correlata tutela naturalistica, non convincono appieno. Innanzitutto, la stessa Su
prema corte, nella sentenza 11173/95, ha escluso la degradazione del
diritto soggettivo ad interesse legittimo quante volte il fondo danneg giato si trovi compreso nella zona destinata ad oasi di protezione: que sto perché «la degradazione potrebbe riguardare solo i diritti e le facol
tà incompatibili con i fini perseguiti dall'ente pubblico, cioè con gli
scopi per i quali l'oasi di protezione (ma anche il parco) era stata crea
ta, e non anche il fondamentale diritto al ristoro del danno, che, se
attuato, certamente non impedisce all'amministrazione di perseguire i
fini suddetti». In secondo luogo, la 1. 968/77 ha previsto che tutti gli animali selvatici appartengono al patrimonio indispensabile dello Stato,
apparentemente rimuovendo l'ostacolo che in precedenza impediva l'in
sorgere della responsabilità, essendo gli stessi animali res nullius (e tro
vando conferma nella 1. 157/92, norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio, in Le leggi, 1992, I, 1222): conti
nuare a ritenere irrisarcibili le ipotesi di danno considerate si risolve
nell'attribuzione di un ingiustificato privilegio alla pubblica ammini
strazione, unico proprietario di animali, nel nostro ordinamento, che
non risponde dei danni arrecati dall'animale proprio. Ma giurispruden za e dottrina hanno sempre affermato l'inapplicabilità dell'art. 2052
c.c. ai danni subiti dagli agricoltori in seguito ad un provvedimento dell'amministrazione di divieto di esercizio di caccia, ammettendo una
responsabilità della pubblica amministrazione solo per il caso di illecita
esecuzione del provvedimento (cfr., in generale, Palmieri, Ripopola mento di cinghiali e danni alle colture, in Giur. agr. it., 1980, 227)
e, comunque, riconoscendo al proprietario la titolarità di una posizione di mero interesse al «compenso» (che è solo un indennizzo). Una situa
zione scomoda per i privati (che infatti, in tali casi, propongono siste maticamente regolamento perché venga dichiarata la giurisdizione del
giudice ordinario), dacché, come avverte certa dottrina (Cendon, Pro
prietà, riserva, occupazione, Camerino, 1977, 81 s.), la tutela scatta
se e quando gli organi competenti abbiano, con la discrezionalità loro
riconosciuta, deciso in merito all'opportunità di stanziare i contributi
per i fondi in parola. La scomodità dei privati degrada, però, a mero
esercizio di cortesia nel momento in cui la stessa dottrina citata esclude l'utilizzabilità dell'art. 2052 c.c., perché troppo gravoso per la pubblica amministrazione, in vista della severità del criterio di collocamento: at
teso che ogni possibilità liberatoria verrebbe ridotta al caso fortuito, cadrebbe completamente la spinta di ogni ente ad attuare il provvedi mento amministrativo di ripopolamento (nel nostro caso). Se escludia
mo anche l'operatività dell'art. 2043 c.c., non foss'altro perché manca
no, in materia, norme e riferimenti di stampo aquiliano (si è detto, infatti, che da un certo momento il pregiudizio economico non viene
più qualificato in termini risarcitori, nel senso che non viene disposto alcun indennizzo ragguagliato all'effettività del danno subito), è facile
giungere alla conclusione che l'equilibrio fra i due contrapposti interessi
(della pubblica amministrazione e del proprietario) dovrà scaturire da
una valutazione delle rispettive attività. Al riguardo, occorrerà tener
conto dei rapporti cronologici fra insediamento dell'agricoltura e costi tuzione della riserva, nonché del tipo di fauna e colture presenti. Tutto
ciò rimanendo sempre all'interno di un procedimento in cui l'accerta
mento dell'effettività del pregiudizio, la quantificazione del compenso e la decisione su eventuali ricorsi sono distribuite tra organi apparte nenti alla pubblica amministrazione, i quali dovranno operare affron
tando un grado di difficoltà del tutto simile a quello che si presenta normalmente in ogni giudizio di responsabilità civile (!), nella conside razione di un pregiudizio economico che non assume il carattere della
certezza quantitativa, ma che indica, «nell'ambito prevalente di una tu
II Foro Italiano — 1996.
prevedere i danni che detti animali avrebbero arrecato alle colti
vazioni; quella della regione, quale organo legislativo ed ammi
nistrativo in materia di agricoltura e foreste; quella del conve
nuto ministero, quale organo statale che aveva istituito il Parco
dei Monti Sibillini in zona con popolazione dedita all'agricoltu ra ed alla pastorizia, senza valutare le conseguenze dannose alle colture da parte di animali selvatici disseminati e protetti.
Il pretore adito giudicando con sentenza n. 5/93 nel contrad
dittorio della provincia e della regione, ed in assenza del mini
stero dell'ambiente nei cui confronti la notifica era dichiarata
nulla, dichiarava la carenza di giurisdizione del giudice ordina
rio, rientrando la controversia in quella del giudice ammini
strativo.
In particolare il pretore accertava;
tela ambientale», la subordinazione della situazione del privato ad un interesse pubblico prevalente. Il che sembra quasi un voler affermare la bontà dell'ipotesi risarcitoria applicata a tutto campo (rectius, ...a tutti i campi). Come dire che «gli indici valutativi sono quelli del giudi zio di responsabilità, la reintegrazione patrimoniale che ne scaturisce
anche, però tutto viene lasciato in mano alla pubblica amministrazione. Tanto più che la tecnica garantisca dell'interesse legittimo può assicura re adeguata protezione» (V. Caianello, Diritto processuale ammini
strativo, Torino, 1994, 176-178), «non costituendo tutela di serie B... nella misura in cui il giudice amministrativo si liberi totalmente dal
complesso della necessaria considerazione dell'interesse pubblico consi derato in astratto e in generale» (M. Nigro, Ma che cos'è questo inte resse legittimo?, interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 481).
Un'ultima riflessione per ottenere la quadratura del nostro cerchio. Tornando alla figura di parco cui si riferisce Cass. 12106/95, occorre considerare come oggi non si sia più in presenza di parchi (e relativi
ordinamenti) nati come fenomeni isolati di conservazione della natura e con un profilo culturale che li considera alla stregua di meri strumenti di tutela del paesaggio e delle risorse naturali in funzione eminentemen te conservativa, senza tenere conto delle popolazioni residenti e della
fruibilità del territorio a fini economici da parte delle stesse (è il caso
dei parchi storici: il Gran Paradico, l'Abruzzo, lo Stelvio, il Circeo). Con la nuova disciplina introdotta dalla legge quadro 6 dicembre 1991
n. 394, infatti, le aree naturali protette vengono sottoposte ad uno spe ciale regime di conservazione e di promozione, allo scopo di perseguire, tra le altre finalità, «l'applicazione di metodi di gestione e di restauro
ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo ed ambiente
naturale, anche mediante la salvaguardia... delle attività agro-silvo
pastorali e tradizionali» (art. 1, 3° comma, lett. d). In effetti, la figura giuridica del parco naturale «integra una realtà complessa di parti ete
rogenee, strutturata in un ambito territoriale qualificato da particolari valori ambientali, e volti a sviluppare vocazioni specifiche che da una
ad un'altra zona possono assumere caratteri distinti e singolari: in que sta complessità la tutela della fauna è solo un aspetto di una realtà
complessa centrata sulla particolarità della conformazione geologica e
florofaunistica del territorio, cui non è estranea la protezione del pae saggio nel suo complesso». Questo può tradursi nell'affermazione che
la protezione dei singoli elementi, di cui il paesaggio si compone, e
dell'insieme, al quale tali elementi danno vita, si presenta in un rappor to dialettico tra esigenze di conservazione ed altre, insopprimibili istan
ze di utilizzazione delle risorse naturali, implicite negli interessi della
popolazione residente in quanto componente, non sostituibile, delle aree
naturali protette (Masini, L'esercizio delle attività agro-silvo-pastorali nelle aree naturali protette, in Dir. e giur. agr., 1992, 137). In questo
quadro, al ruolo dell'agricoltore spetta un esplicito riconoscimento, in
quanto atto ad operare una costante interazione tra processo produtti vo e tutela dell'ambiente nell'area naturale protetta, potendo e dovendo
essere consentita (anche a posteriori, con il riconoscimento di adeguata
protezione risarcitoria) la produzione agricola ottenuta nell'ambito di
compatibilità con l'ecosistema (e certamente è tale il campo di patate, la cui produzione è stata divorata da cinghiali, fauna protetta all'inter
no del parco): essa si basa sulla rigenerazione permanente della frazione
vivente del suolo, proteggendolo dall'erosione e dell'impoverimento de
gli elementi naturali (tra cui, si ribadisce, anche le specie faunistiche
protette, che evidentemente si cibano dei prodotti coltivati, arrecando
naturale danno alle coltivazioni), anche nelle zone con specifica funzio
ne conservativa di alcuni aspetti dell'ambiente (Masini, cit., 139). È appena il caso di accennare, per concludere, che lo sviluppo econo
mico delle popolazioni residenti all'interno ed in prossimità delle aree
protette dipende anche (e in molti casi soprattutto) da una fruizione
correttamente dinamica degli insediamenti agricoli. Pertanto, il quadro di valutazione costituzionale non dovrebbe ignorare il profilo della pro mozione della libertà di iniziativa economica, che nella circostanza non
sembra andare molto lontano dal concetto di «sviluppo sostenibile».
Certamente, cosi come dottrina e giurisprudenza intendono la posizione
dell'agricoltore (nel senso del l'irrisarcibilità dei danni subiti), il suo è
uno sviluppo affatto insostenibile. [M. Caputi]
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PARTE PRIMA
che i fondi, le cui coltivazioni avrebbero sofferto pregiudizio, rientravano nel comprensorio del Parco dei Monti Sibillini;
che in base all'art. 18 1. 11 marzo 1988 n. 67, ed in attesa
della legge quadro sui parchi nazionali, al Parco dei Monti Si
billini si doveva applicare la disciplina del Parco nazionale d'A
bruzzo; che il regolamento di detto parco prevede forti restrizioni del
diritto di proprietà e di godimento, al fine della tutela e del
miglioramento della flora e della fauna e della conservazione
dell'ambiente; che l'art. 14 del regolamento stesso prevede un «compenso»
per i danni arrecati ai prodotti del suolo dalla selvaggina protet ta, quando i proprietari dimostrino di avere posto in essere con
grui mezzi per l'allontanamento della selvaggina stessa; tanto accertato, il pretore riteneva, in coerenza con l'indiriz
zo espresso da questa corte con sentenza a sez. un. 29 marzo
1983, n. 2246 (Foro it., 1983, I, 2500), che il pregiudizio subito dall'attore non conseguisse ad atto illecito (e quindi non potesse rientrare nelle fattispecie normative degli art. 2043 e 2052 c.c.), ma ad un'attività legittima e coerente ai principi di restrizione
della proprietà privata in base al disposto dell'art. 42 Cost., nonché imposta in virù di una disposizione legislativa. In coe
renza con questa impostazione, l'eventuale indennizzo non vie
ne qualificato dal richiamato regolamento sotto il profilo risar
citorio, ma come «compenso». La situazione giuridica, quindi, che compete al proprietario
di una coltivazione danneggiata da animali selvatici del parco, secondo la sentenza di Pretore di Ascoli Piceno non integra un diritto soggettivo, ma un interesse, la cui tutela è riservata
al giudice degli interessi, e non all'a.g.o. Avverso la sentenza proponeva ricorso per regolamento di
giurisdizione il sig. Felice Amici, sulla base di un unico motivo; depositava controricorso la regione Marche; non esplicavano at
tività processuale la provincia di Ascoli Piceno né il ministero
per l'ambiente.
Motivi della decisione. — Con il mezzo di cassazione in esa
me, il ricorrente dichiara espressamente di non avere mai posto in discussione la natura pubblicistica del parco e dell'attività
che in esso venga svolta, né di avere posto in dubbio che il
numero, la specie, il ripopolamento della fauna pongano solo
questioni attinenti ed interessi.
Il ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito non abbia tenuto conto che il petitum da lui formulato era costitui
to dal ristoro dei danni; danni che, anche se cagionati da una
pubblica amministrazione, non possono non integrare un dirit
to soggettivo, quando siano arrecati dall'azione o dall'omissio
ne di dovute cautele da parte di una pubblica amministrazione
e che, in quanto tali, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorrente richiama, al fine, le sentenze di questa corte relative allo sconfinamento di animali da un parco ed ine
renti ad attività della pubblica amministrazione pregiudizievoli per i privati (Cass., sez. un., 17 ottobre 1988, n. 5627, id.,
Rep. 1988, voce Giurisdizione civile, n. 91; 20 novembre 1992, n. 12386, id., Rep. 1992, voce cit., n. 16; e 20 febbraio 1992, n. 2092, id., 1992, I, 2123).
Tanto premesso in ordine al proposto regolamento preventi vo di giurisdizione, ed alle situazioni emerse dal dibattito tra le parti, occorre innanzi tutto chiarire quale sia il senso delle
argomentazioni svolte dal ricorrenre a fronte della pronuncia del Pretore di Ascoli Piceno.
La situazione prospettata dal sig. Felice Amici con il ricorso in esame è ancorata espressamente a determinati presupposti di fatto e processuali. Egli sostiene, nella premessa in fatto ese
guita nel ricorso, che il Pretore di Ascoli Piceno ha dichiarato la carenza di giurisdizione del giudice ordinario nella causa pro mossa da esso ricorrente per ottenere il risarcimento dei danni causati «dallo sconfinamento di animali selvatici dal Parco na zionale dei Sibillini nell'adiacente fondo di proprietà dell'atto re». Il ricorrente aggiunge, nella parte argomentativa in diritto dell'atto introduttivo della presente fase di giudizio, che egli «molto più modestamente ha chiesto il ristoro dei danni causati dall'azione degli animali sconfinati dal parco».
Cosi riferendo i dati della propria domanda originaria, il ri corrente sostiene che il Pretore di Ascoli Piceno sarebbe incorso in un «equivoco», per avere del tutto omesso di considerare il petitum.
Tanto premesso, appare chiaro che il ricorrente propone la
Il Foro Italiano — 1996.
questione di giurisdizione su un presupposto di fatto che egli assume di avere addotto nella controversia di merito davanti
al pretore, e che costituirebbe la causa diretta a sorreggere il
petitum svolto sotto il profilo del richiesto risarcimento dei danni; il fatto, vale a dire, che il terreno di sua proprietà era sito al
di fuori del parco, e che venne danneggiato da animali selvatici usciti dal parco.
Poiché il difetto di giurisdizione deve in ogni caso riferirsi alle domande che costituiscono oggetto del processo, cosi' come
introdotto e condotto davanti al giudice adito, e deve essere
rapportato alla fattispecie legale dedotta in causa, occorre valu
tare quale sia il petitum sostanziale dedotto dall'attore nella causa
promossa davanti al Pretore di Ascoli Piceno.
Il pretore ha affermato che la domanda formulata dal sig. Felice Amici riguardava, nella sua originaria e non modificata
proposizione, il pregiudizio subito da due appezzamenti di sua
proprietà «siti nel comune di Montemocano ed inclusi nel com
prensorio del Parco dei Monti Sibillini», ribadendo nella parte motiva che «nel caso in esame è pacifico che il fondo è incluso
nel comprensorio». Detta individuazione della causa petendi relativa alla situa
zione dedotta in controversia, è coerente con quanto il sig. Feli
ce Amici aveva indicato nell'atto di citazione originario e con
quanto egli stesso aveva dimostrato.
Questa corte, avvalendosi del potere di esaminare direttamen
te gli atti processuali al fine di valutare il presupposto della
dedotta questione di giurisdizione (il petitum sostanziale), non
può non rilevare che il sig. Felice Amici nella citazione intro
duttiva del giudizio ebbe specificamente a dichiarare «che l'ubi cazione dei terreni suddetti ricade nel comprensorio del parco dei Monti Sibillini dove, per i decreti ministeriali del 3 febbraio 1990, è vietato esercitare la cacciagione». A comprova della si
tuazione indicata, l'attore aveva indicato i mappali dei propri terreni assertivamente danneggiati ed aveva prodotto copia del
decreto 3 febbraio 1990 del ministro dell'ambiente avente ad
oggetto la «perimetrazione del Parco nazionale dei Monti Sibil
lini», nonché la correlata mappa del parco con l'indicazione
dei dati catastali dei terreni. E indubbio, quindi, che l'attore originario aveva qualificato
come situazione giuridica piena e perfetta quella derivante dal
danno subito da propri terreni coltivati, siti nel parco in ogget
to, danno arrecato da animali selvatici, e in relazione a detta situazione la pronuncia sulla giurisdizione deve essere emessa.
La diversa esposizione fatta nel ricorso per regolamento non
è idonea a mutare i termini della controversia e del petitum
sostanziale, nonché della fattispecie sulla quale il giudizio sulla
giurisdizione deve essere pronunciato. La fattispecie, quindi, è quella di un danno subito da terreni
di un privato compresi in un parco nazionale, ed opera di ani
mali selvatici protetti. Né, per il solo fatto che l'attore abbia proposto azione risar
citoria sul presupposto della addotta lesione di un diritto la con
troversia dove ritenersi attinente a diritti.
Ed invero, la giurisdizione si determina in base al petitum sostanziale, e per la relativa determinazione non è sufficiente
che la parte qualifichi come «diritto» la situazione giuridica po sta a base della pretesa. Indipendentemente dalla qualificazione data dalla parte alla situazione giuridica dedotta in controversia e posta a base della pretesa esercitata con l'azione, al giudice della giurisdizione compete il potere di qualificare la situazione come diritto o come interesse, riconoscendo o negando la giuri sdizione della a.g.o.
Nella specie, l'art. 18, sub c), 1. 11 marzo 1988 n. 67 aveva
disposto, in attesa dell'approvazione della legge-quadro sui par chi nazionali e sulle riserve naturali, l'istituzione di alcuni par chi nazionali, tra cui quello dei Monti Sibillini, disponendo al tresì l'applicazione ai parchi nazionali cosi istituiti, in quanto compatibili, le nuove norme vigenti per il Parco nazionale d'A
bruzzo.
Richiamando espressamente detta norma, il ministro dell'am
biente, con decreto in data 3 febbraio 1990, aveva disposto la
perimetrazione provvisoria del parco nazionale dei Monti Sibil
lini, dando anche una disciplina limitativa relativa alle attività esercitabili in detta zona, con il divieto, tra l'altro, dell'attività venatoria e della costruzione di recinzioni su zona agricola, sal vo quelle per le attività accessorie a quelle agro-silvo-pastorali e per la sicurezza degli impianti tecnologici.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La disciplina del Parco nazionale d'Abruzzo, richiamata, pre vedeva la funzione di tutelare e migliorare la fauna e la flora
e di conservare le speciali formazioni geologiche, costituendo
11 territorio del parco a riserva di pesca e di caccia (art. 1 1.
12 luglio 1923 n. 1511), prevedendo espressamente (art. 6) un
«compenso» ai proprietari dei terreni in virtù delle limitazioni
di sfruttamento che l'istituzione del parco comportava. Il relati
vo regolamento (r.d. 27 settembre 1923 n. 2124), in coerenza
con il regime legislativo, prevedeva un compenso (art. 14) an
che per i territori limitrofi al parco, cui fosse stato esteso il
divieto di caccia, per i dnnni arrecati dalla selvaggina protetta.
Tale essendo il regime giuridico dei terreni agricoli compresi nel Parco dei Monti Sibillini, per estensione di quello del Parco d'Abruzzo, non può non rilevarsi che le limitazioni imposte ai
privati trovano una giustificazione nell'interesse sociale e collet
tivo, alla cui soddisfazione la costituzione dei parchi nazionali
sopraintende e che prevale sulle situazioni dei privati, i quali
possono subire pregiudizio dalle attività del parco. Le situazioni, quindi, di eventuale pregiudizio che i proprie
tari dei fondi agricoli inclusi possono subire o per limitazione dirette di attività, o per una forma indiretta di limitazione di
sfruttamento (derivante dalla impossibilità di abbattimento de
gli animali selvatici), sono situazioni meramente conseguenti e
connesse alla tutela dell'interesse collettivo, rispetto al quale la
situazione giuridica del privato viene degradata ad interesse. La
stessa compensabilità (non risarcibilità) dei pregiudizi subiti, se condo la previsione normativa, è indice dell'insussistenza di un
diritto risarcitorio del danno, in presenza di una disciplina che,
con norme di azione, non di relazione, lascia all'amministrazio
ne una larga discrezionalità amministrativa e tecnica nella deli
mitazione delle zone, e dei divieti, connessi alla sussistenza del
parco nazionale ed alla tutela della fauna selvatica.
Questa corte, affrontando analoga questione in riferimento
ad altro parco (Cass., sez. un., 20 marzo 1983, n, 2246, cit.,
relativo al Parco naturale della Maremma), ha già riconosciuto
che la posizione del proprietario di un fondo, per i danni che
riceva dal moltiplicarsi degli animali selvatici non suscettibili di abbattimento, non ha natura di diritto soggettivo e non è
quindi tutelabile con azione risarcitoria davanti al giudice or
dinario. Né contrasta con detto indirizzo una più recente e diversa
pronuncia (Cass., sez. un., 16 maggio 1991, n. 5501, id., Rep.
1991, voce Caccia, n. 9), la quale trae spunto e ragione al rico
noscimento di un diritto risarcitorio al proprietario del fondo
danneggiato ad opera di animali selvatici, dal dettato degli art.
6 e 26 1. 27 dicembre 1977 n. 968, legge peraltro specificamente
inerente a figure a tutela della fauna, non coincidenti con quel
la del parco naturale.
Il pregiudizio economico arrecato dalla fauna selvatica, ed
il suo rilievo sotto il profilo indennitario, non è soggetto ad
una disciplina uniforme, ma ad una tutela differenziata a se
conda delle varie forme normativamente previste per la correla
ta tutela naturalistica.
In particolare, i principi enunciati dalla legge quadro 27 di cembre 1977 n. 968 «per la protezione e la tutela della fauna
e la disciplina della caccia», prevedono vere e proprie forme
risarcitone, come tali tutelabili davanti alla giurisdizione ordi
naria, a favore dei conduttori dei fondi che subiscano danno
alle produzioni agricole da parte della selvaggina. Tale è la di
sciplina dell'art. 6, sub g), della legge quadro predetta, che de
manda alle regioni l'emissione di norme per la determinazione
degli indennizi volti alla «liquidazione degli effettivi danni» da
parte della selvaggina nei terreni utilizzati per gli scopi di cui
ai punti a) e b) dello stesso articolo. I punti a) e b) disciplinano l'istituzione delle oasi di protezione nonché le zone di ripopola
mento e cattura dei selvatici, per finalità che, ancorché in parte
coincidenti con quelle dei parchi naturali, non esauriscono la
funzione di questa singolare figura di protezione nauralistica
alla quale, quindi, non è estensibile in quanto tale la disciplina
tipica di ben distinte figure di tutela della fauna selvatica. Le
figure delle oasi, delle zone di ripopolamento, dei centri pubbli ci o privati per la produzione di selvaggina anche allo stato
brado (art. 6 sub c e d della predetta legge), non sono sovrap
ponibili a quella del parco nazionale, per cui anche la normati
va relativa alla disciplina generale della caccia non è sic et sim
pliciter estensibile a quella dei parchi nazionali stessi. È sufficiente rilevare che l'art. 18 1. 11 marzo 1988 n. 67,
Il Foro Italiano — 1996.
disponendo l'istituzione dei nuovi parchi nazionali, richiama l'e
mananda legge quadro sui parchi nazionali e le riserve naturali,
nella previsione di una futura disciplina unitaria di queste figu re, sul presupposto peraltro della loro estraneità ad altre situa
zioni già regolate dalla legge quadro sulla caccia. È sufficiente
ricordare che il predetto art. 18, pur essendo già vigente la legge
quadro sulla caccia e la tutela faunistica 968/77, ha adottato
per i nuovi parchi un regime transitorio (in attesa, come ricor
dato, della legge quadro sui parchi nazionali) non correlato alla
legge quadro già vigente, ma alla disciplina del Parco nazionale
degli Abruzzi; indice chiaro della specialità della disciplina dei parchi nazionali rispetto a quella generale sulla tutela faunistica.
In effetti, la figura giuridica del parco naturale si connota
con la enucleazione di tratti differenziali rispetto agli altri isti
tuti inerenti alla protezione faunistica, alla valorizzazione e frui
zione dell'ambiente, integrando essa una realtà complessa di parti
eterogenee, strutturata in un ambito territoriale qualificato da
particolari valori ambientali, e volti a sviluppare vocazioni spe cifiche che da una ad altra zona possono assumere caratteri
distinti e singolari. Nella complessità della figura del parco na
turale, la tutela della fauna è solo un aspetto di una realtà cmples
sa centrata sulla particolarità della conformazione geologica e
florofaunistica del territorio, cui non è estranea la protezione del paesaggio nel suo complesso. Si tratta, quindi, di una realtà
coinvolgente una pluralità di situazioni che nella loro correla
zione, e singolarità, vengono assunte a rilevanza pubblica e ri
spetto alle quali (in mancanza di espressa e difforme disciplina
specifica) la tutela di situazioni particolari finisce per soggiacere
alla prevalente finalità pubblica assunta a rilievo predominante. Nella singolarità della figura del parco, assume rilievo il fatto
che, nella disciplina applicata per il Parco dei Monti Sibillini, non venga richiamata l'applicazione di alcuna norma regionale,
non sia disposto alcun indennizzo ragguagliato all'effettività dei
danni che singole coltivazioni possano avere subito ad opera
dei selvatici all'interno del territorio destinato alla finalità natu
ralistica costituente la funzione eminente del parco, e sia dispo sto al fine un «compenso», senza che emerga normativamente
alcun elemento prefissato per la sua determinazione e liqui
dazione.
Nell'ambito preminente di una tutela ambientale, il termine
di «compenso» con cui viene qualificato l'indennizzo di un pre
giudizio economico, non assume il carattere della certezza, quanto meno nel quantum; indice della subordinazione della situazione
del privato ad un interesse pubblico prevalente, che la degrada
al livello di interesse.
La specialità, quindi, della disciplina prevista, sia pure in via
provvisoria, dalla legislazione statale istitutiva del parco dei Monti
Sibillini, e la estraneità di detta disciplina alle figure ed ai prin cipi enunciati dalla legge quadro 968/77 ed attuati con leggi
regionali (nella previsione di una distinta legge quadro sui par
chi naturali), consente di ritenere che la situazione vantata dal
sig. Felice Amici per i danni subiti da un fondo agricolo incluso nel Parco dei Monti Sibillini ad opera di animali selvatici, non costituisce un diritto soggettivo, ma un interesse, per il quale deve dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo.
II
Fatto e svolgimento del processo. — 1. - Giorgio Da Lisca,
proprietario di un'azienda agricola in Lavagno, compresa nella
«zona rifugio» della selvaggina in base all'art. 20 1. 14 luglio
1978 n. 30 della regione Veneto, assumendo che nell'anno 1984
le colture di orzo e frumento del suo fondo avevano subito dan
ni a causa dei passeri che, in quantità eccessiva, si trovavano
nella suddetta zona, chiese al Pretore di Verona condannarsi
l'amministrazione provinciale di Verona, ritenuta responsabile,
al risarcimento del danno.
L'amministrazione convenuta resistette e, in via pregiudizia
le, eccepì il difetto di giurisdizione dell'adito giudice, spettando la stessa al Tar del Veneto.
Il pretore dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice or dinario.
2. - Il Tribunale di Verona, con sentenza del 2 febbraio 1993,
confermò la pronuncia di primo grado, ritenendo inapplicabili
al caso in esame gli art. 2052 e 2043 c.c. — non riguardando
la prima di dette norme animali selvatici — ed osservando che
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PARTE PRIMA
il ristoro dei danni arrecati alle colture, sotto forma di inden
nizzo, poteva essere richiesto soltanto al giudice amministrati
vo, in quanto solo a quest'ultimo era concesso giudicare in or
dine alle gestione della fauna selvatica da parte dell'ammini
strazione.
3. - Il Da Lisca ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, successivamente illustrato con memoria chie
dendo affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario. L'ente
intimato ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorrente denuncia violazio
ne degli art. 19 1. reg. veneta 14 luglio 1978 n. 30 — in relazio
ne alla 1. 27 dicembre 1977 n. 968 — e 2052 e 2043 c.c., per non avere il tribunale considerato che l'ente gestore della riser
va, cioè l'amministrazione provinciale di Verona, era obbligato a vigilare sulla vita e sul comportamento degli animali e sulla
loro riproduzione (nella specie, eccessiva) adottando, se del ca
so, adeguati piani di cattura: non avendo l'amministrazione pro vinciale esercitato il suo potere di sorveglianza e di controllo, essa, a norma dell'art. 2052 c.c., era responsabile del danno
subito dalle colture del ricorrente; ed essendo il danno stesso
eziologicamente collegato con il comportamento dell'ammini
strazione, esso era risarcibile anche nell'ottica dell'art. 2043 c.c., trattandosi di danno ingiusto che non poteva rimanere privo di ristoro; sul punto — inoltre — il tribunale aveva omesso di fare applicazione al caso in esame del disposto della 1. reg. veneta 14 luglio 1978 n. 30, la quale prevedeva espressamente il risarcimento del danno arrecato alle colture dei fondi com
presi nella riserva da animali ivi custoditi, secondo criteri espres samente predeterminati e con esclusione di ogni discrezionalità
da parte dell'amministrazione. 2. - Osserva la corte che l'invocato art. 2052 c.c. sancisce
la responsabilità dei proprietari degli animali, che può trasferir
si a terzi se costoro si siano serviti degli animali e solo per il
tempo in cui li abbiano avuti in uso; conseguentemente, il solo
affidamento per ragioni di custodia, cura, governo o manteni
mento, non costituendo trasferimento del diritto di usare gli animali al fine di trarne vantaggio, non sposta a carico dei terzi
la responsabilità per danni cagionati dagli animali stessi; nel caso in esame la citata norma è stata erroneamente invocata,
posto che gli uccelli, in quanto fauna selvatica, appartenevano al patrimonio indispensabile dello Stato ed erano tutelati nel
l'interesse della comunità nazionale, ex art. 1 I. 27 dicembre 1977 n. 968; neppure conferente si palesa, per altro aspetto, il richiamo all'art. 2043 c.c., dovendo la giurisdizione essere
regolata avendo riguardo alle specifiche norme contenute nella
citata legge dello Stato ed in quella regionale veneta del 14 lu
glio 1978 n. 30 e sulla base del petitum sostanziale dedotto in causa e costituito dalla richiesta di condanna al pagamento di una somma determinata spettante pel ristoro di una lesione pa trimoniale, nella misura già liquidata o da liquidare sulla base
dell'accertamento all'uopo previsto. 3. - La questione va quindi risolta (conformemente a quanto
già ritenuto da queste sezioni unite con sentenza 16 maggio 1991, n. 5501, Foro it., Rep. 1991, voce Caccia, n. 9) tenendo conto del disposto sia della legge «quadro» del 27 dicembre 1977 n. 968 che della legge regionale veneta; ed infatti l'art. 6, 1° com
ma, della prima legge (alla quale risulta ispirata la seconda), dopo aver previsto la creazione di oasi di protezione e di rifugio della fauna selvatica, zone di ripopolamento e cattura e centri
pubblici di produzione di selvaggina, anche allo stato naturale — vedansi lett. a), e b) e c) della norma — esplicitamente pre vede — alla lett. g) — l'emanazione di norme che «fissano i criteri per la determinazione degli indennizzi in favore dei con duttori di fondi per la liquidazione degli effettivi danni alle pro duzioni da parte della selvaggina nei terreni utilizzati per gli scopi di cui ai punti a) e b)»; mentre il successivo art. 26 dispo ne che per «far fronte ai danni non altrimenti risarcibili» arre cati alle produzioni agricole dalla selvaggina, è costituito... «un fondo regionale, al quale deve affluire anche una percentuale dei proventi di cui all'art. 24 della legge»; la legge regionale ha poi, a sua volta, previsto all'art. 1 le zone di rifugio e di
produzione della selvaggina, con affidamento del relativo terri torio e della sorveglianza all'amministrazione provinciale (con la precisazione che il regime di appartenenza degli animali è
regolato dalla legge dello Stato n. 968 del 1977) mentre l'art.
20, dopo aver premesso che la gestione delle zone di rifugio è a carico della provincia, precisa che, per i danni cagionati
Il Foro Italiano — 1996.
dagli animali alle colture dei terreni inclusi nelle suddette zone, è corrisposta ai conduttori, a titolo di indennizzo, una somma
di denaro «determinata in proporzione del valore di mercato», desunto da listini, versata non oltre centoventi giorni.
Dal tenore di ciascuna delle citate norme emerge pertanto che
l'indennizzo da esse previsto ha funzione risarcitoria in senso stretto e quindi di reintegrazione patrimoniale, tanto è dato de
sumere, infatti, sia dall'espressione «danni non altrimenti risar
cibili», contenuta nel 1° comma, dell'art. 26 citato, sia dalla
frase «liquidazione egli effettivi danni», di cui al 1° comma, lett. g), dell'art. 6, sia dall'altra espressione «criteri per la de
terminazione dei danni» (tutte concettualmente incompatibili con la configurabilità di un potere discrezionale dell'amministrazio
ne sia in ordine all 'an che al quantum debeatur), sia, infine,
dall'obbligatorietà della costituzione del fondo regionale inte
grativo di quello provinciale previsto al fine precipuo del risto
ro del danno eventualmente arrecato ai privati; mentre deve ri
tenersi che la legge regionale abbia attuato il principio della risarcibilità del danno enunciato dalla legge «quadro» ed in li
nea con il principio fondamentale di cui all'art. 117 Cost., lad
dove essa, all'art. 20 (con testo mutuato dalla legge dello Stato) ha stabilito la costituzione, a cura della provincia, di «un fondo
destinato agli indennizzi» con la espressa riserva dell'emanazio
ne di un regolamento per la concreta determinazione del
quantum. 4. - Né a diversa conclusione potrebbe pervenirsi sul rilievo
che, essendo stato il fondo dell'attore incluso nella zona desti
nata ad oasi di protezione, i diritti soggettivi sarebbero degra dati ad interessi legittimi ed affidati, per ciò stesso, alla cogni zione del giudice amministrativo, dal momento che la degrada zione potrebbe riguardare solo i diritti e le facoltà incompatibili con i fini perseguiti dall'ente pubblico, cioè con gli scopi per i quali l'oasi di protezione era stata creata — e non anche il
fondamentale diritto al ristoro del danno, che, se attuato, cer
tamente non impedisce all'amministrazione di perseguire i fini
suddetti —; né potrebbe, per altro aspetto, fondatamente soste nersi l'appartenenza della controversia alla giurisdizione del giu dice amministrativo sul rilievo che le norme regolanti l'inden
nizzo siano norme c.d. di azione, perché non finalizzate a tute
lare direttamente ed immediatamente il privato, bensì destinate
a regolare il comportamento della pubblica amministrazione; e che, in relazione alla detta natura delle norme stesse, la posi zione soggettiva dei privati avrebbe consistenza di interesse le
gittimo, cosi che l'indennizzo sarebbe espressione di un potere meramente discrezionale dell'amministrazione, dal momento che la citata 1. 27 dicembre 1977 n. 968 e la 1. reg. veneta 14 luglio 1978 n. 30 hanno esplicitamente sancito, come premesso, il di
ritto soggettivo all'indennizzo da parte dei proprietari dei fondi
danneggiati, indennizzo da determinarsi, alla stregua di proce dimento ad hoc, senza discrezionalità dell'amministrazione in ordine sia all'an che al quantum debeatur.
Pertanto, alla stregua delle richiamate disposizioni di legge, deve conclusivamente ritenersi che, essendo le stesse volte alla tutela immediata del proprietario del fondo danneggiato, me diante l'accertamento dell'effettiva sussistenza del danno e la
successiva precisa quantificazione, si verta in tema di diritto
soggettivo invocabile innanzi al giudice ordinario, mentre ogni altra questione — attinente alla fondatezza della proposta do manda — riguarda il merito della domanda stessa ed esula dal
regolamento della giurisdizione. 5. - Il ricorso deve quindi essere accolto, dichiarandosi la giu
risdizione del giudice ordinario e cassandosi la sentenza impu gnata con rinvio della causa al giudice di primo grado (il Preto re di Verona, erroneamente dichiaratosi privo di giurisdizione).
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