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Venerdì 21 dicembre 201222 Venerdì 21 dicembre 2012 23

C U LT U R A &S P E T TAC O L IIL LIBRO «LA DOPPIA VITA DEI NUMERI» DI ERRI DE LUCA, AMBIENTATO IN UNA NAPOLI ANCORA GRAVIDA DI MEMORIE DI EDUARDO

Ma poi a che cosa serveaspettare la mezzanotte?Una tombolata di San Silvestro, tra ricordi e ombre del passato

La «bela kuga» (pestebianca) è il basso tasso

di natalità del Paese(1,3 figli per donna)

L’AU TO R E Lo scrittore di origini napoletane Erri De Luca

Film muti, documentari dell’Isti -tuto Luce e molte pellicole chehanno fatto la storia del cinemarischiano di sparire per sempre:

si tratta di un milione di ore di film intutta Europa che giacciono nelle cine-mateche nazionali dove i loro supporti sistanno deteriorando. Se non verrannodigitalizzate scom-pariranno dal pa-trimonio culturaledei Paesi europei.

L’allarme lo halanciato ieri laCommissionedell’Unione euro-pea, che avverte igoverni: tra setteanni tutto quel ma-teriale sarà inuti-l i z z ab i l e.

L’impatto cultu-rale della scompar-sa di un milione diore di film è «cau-sa di enormep re o c c u p a z i o n e »per Bruxelles, chegià anni fa ha in-vitato i Paesi adavviare l’opera di digitalizzazione delleproprie cinematografie nazionali.

Una mossa che le renderebbe anchefruibili online, obiettivo della commis-saria all’agenda digitale Neelie Kroes: «Èridicolo che i nostri film siano invisibilinel XXI secolo, nel 2013 farò una pro-posta per aiutare gli Stati e i soggettiinteressati a unire gli sforzi». Perché ilproblema resta sempre il finanziamento:finora, con risorse statali date con ilcontagocce, istituti di cinema e cinema-teche sono riusciti a trasferire su sup-porto digitale solo l’1,5% del patrimonioe u ro p e o.

Una goccia in mezzo al mare, che nonriesce a fermare l'emorragia di 1200 filmche ogni anno vengono persi a causa deldeterioramento dei supporti.

[Ansa]

IL CASO VANNO DIGITALIZZATI I FILM, MA MANCANO I SOLDI

«Il cinema mutosvanisce per sempre»Sos dell’Unione Europea: fra 7 anni

UN DISCO-PUBA BELGRADO È fra lecapitali europe della vitanotturna. In basso,Sergio Marchionne,amministratore delegatodella Fiat con l’expremier serbo MirkoC v e t ko v i c .A sinistra, cartina dellaSerbia con l’indicazionedella città di Kragujevac,della quale si parlanell’articolo di Napoli.

IL VICINO EST COME IL FAR WEST LA STORIA D’UNA GIOVANE COPPIA CHE HA LASCIATO BELGRADO PER KRAGUJEVAC, VICINO LA ZASTAVA FIAT

C’è chi tiene in Serboun sogno pugliese

di DIEGO ZANDEL

Non è un romanzo l’ultimo li-bro di Erri De Luca, ma unapièce teatrale, in tre parti,dal titolo La doppia vita dei

numeri, edito, come quasi tutti i libri diquesto autore, da Feltrinelli. Si tratta diu n’opera molto legata al Natale, o me-glio alla notte di San Silvestro e con unsuo profilo autobiografico crediamo ab-bastanza spiccato. Protagonisti dellapièce sono solo due personaggi, un uo-mo e una donna sulla sessantina, siverrà presto a sapere che sono fratello esorella, riuniti per trascorrere insiemel’ultima notte dell’anno e l’inizio delnuovo. Nessun altro con loro, se non,più tardi, i fantasmi dei genitori, mortida anni. Si presenteranno, per così dire,nel corso della nottata, mentre i duefratelli, come già in passato, quandoerano due ragazzi, attendevano il nuovoanno giocando a tombola in famiglia.Prenderà così vita un gioco delle particarico di nostalgia per un tempo e per-sone amate che non torneranno più.Una nostalgia evocata in particolaredall’estrazione dei numeri per la tom-bola, ciascuno con il suo significato al-legorico, e capace di mettere in camporicordi, momenti e, soprattutto, storieche l’uomo inventa lì per lì sulla basedei numeri estratti. Tra queste storie,brandelli di vita dei due fratelli, ricordidei genitori, che «rivedranno» i lorofigli invecchiati, non più certo nell’etàche avevano quando tutti insieme aspet-tavano giocando l’arrivo del nuovo an-n o.

Erri De Luca ci entra con la cautelacaratteriale che gli è propria, che ha inantipatia le situazioni omologate, im-poste dalle convenzioni, e di cui è por-tatore, nella pièce, l’uomo. Il fatto chel’autore metta molto di se stesso in que-sto personaggio è dato proprio dall’at -teggiamento simile, la stessa idiosin-crasia, che egli prova nei confronti dianaloghe situazioni. Alla sorella – edErri De Luca ha una sorella - che loobbliga all’attesa della fatidica mezza-notte risponde: «Mi urta i nervi la mez-zanotte. Per convenzione è diventatapiù desiderata, che so, delle undici. Epoi non mi piace aspettare l’arrivo diu n’ora. Non è un treno e non ho nes-suno da aspettare, tanto meno i minuti

di un orario. Mezzanotte non è cima diniente, non è una vetta da dove si ve-dono le stelle più vicine. Io poi la saltotutti i giorni a occhi chiusi».

Frase che rivela, da una parte la pas-sione dell’autore per le arrampicate dimontagna e, dall’altra, la sua abitudine,nella vita di tutti i giorni, di andare adormire presto la sera, per svegliarsiall’alba del giorno dopo e scrivere (an-che l’uomo della pièce è scrittore) odedicarsi agli alberi da frutto che hanella sua casa fuori Roma, verso Brac-ciano. Così come si viene a sapere chel’uomo è, appunto, capitato a Napoli,dalla quale ormai manca da anni, soloper l’occasione e, con i ricordi del quar-tiere di Montedidio a Napoli, dove loscrittore è cresciuto (scenario di un suoromanzo Montedidio, appunto, del 2001),testimonia un suo distacco fisico, manon spirituale dalla città. Così comerivela, in un passaggio, i suoi legamifamigliari, per via di madre, con l’Ame -rica (per cui il suo chiamarsi Enrico èdiventato Henry e perciò Erri). Il ri-chiamo a Eduardo De Filippo, alla suaNapoli Milionaria, quella di «Adda pas-sà a nuttata» è abbastanza esplicito, an-che se, in una significativa, quanto in-

tensa, introduzione al testo De Luca ci-ta Le voci di dentro, in particolare ilpersonaggio di zi’ Nicola, partendo dauna considerazione preliminare: che«nessun napoletano nato nel 1900 puòprescindere» da Eduardo. Quanto allanapoletanità, fortemente presente e vi-va in La doppia vita dei numeri è sim-bolicamente sottolineata sempre nellaintroduzione quando Erri De Luca fariferimento a certi aspetti tipici di essa,come la mimica, da scrivere: «A Napolila mimica è inflessibile, non si può sba-gliare l’angolo del polso, il raggruppa-mento delle dita, il ritmo sincopato del-la mossa che deve significare ‘Tu chebbu o ’?’, tu che vuoi? Il forestiero si tra-disce subito, prima che apra bocca, nonla sa eseguire. ‘Tu che bbuo?’ è un’ese -cuzione e lascia minimo scampo di ri-sposta». È il senso che si ricava daquesta lettura, dopo la quale non c’èscampo alla scheletrica, essenziale ne-cessità di ogni battuta «dove la parola èpalla di biliardo spinta a rimbalzare trasponde, senza governo sulle sue caram-bole».

l Erri De Luca, La doppia vita deinumeri, Feltrinelli, pag. 70, euro 8,00

di ALESSANDRO NAPOLI

Ha nevicato molto in que-ste due ultime settima-ne nel Nord della Ser-bia, da Belgrado in su.

Per strada, anche di notte e comesempre, c’è però tanta gente, tantemacchine, tanti taxi. Dal freddo cisi ripara e poi qui non è umido e sisopporta bene. Negli innumerevoliristoranti, bar, pub, discotecheaperti fino a notte fonda il serbo èovviamente la lingua che prevale,ma non ce n’è uno dove alla linguanazionale non si affianchi il solitoinglese-lingua-franca e sempre piùspesso l’italiano. Italiani dapper-tutto, italiani di tutti i tipi e le età.Gli altri stranieri, per quanto sem-pre più numerosi, sono molto menovisibili. Una italijansko vece (se -rata italiana), a base di musica esnack offerti gratuitamente sta di-ventando un’istituzione in tutti ilocali pubblici. Quelli che non nehanno organizzata ancora una so-no a caccia di musicisti e animatoriitaliani disponibili. Di andare acaccia di clienti italiani e soprat-tutto italofoni o italofili non c’è bi-

sogno: una serata italiana riempieun locale (e le casse dei proprietaridei locali) senza bisogno di sforzi dicomunicazione: basta il passapa-ro l a .

Italiani di tutti i tipi, di tutte leetà. In Serbia abbastanza difficilida distinguere dai serbi, perché ve-stiti quasi allo stesso modo. Mi-metizzati come camaleonti, a pro-prio agio come «nativi». Ci sonogiovani che qui cercano di costruir-si una carriera che non riescono acostruirsi in Italia: nella cultura,nell’istruzione, nella consulenza apotenziali investitori stranieri, nel-la ristorazione, nei piccoli commer-ci. Ci sono tecnici e dirigenti man-dati dalle case madri di grandibanche, assicurazioni e industriemanifatturiere: dalla Fiat a BancaIntesa e a Unicredit, da Fondiaria eGenerali a Benetton, da Geox aPompea o a Calzedonia, solo percitare alcune delle imprese che han-no fatto della Serbia una base perentrare in un mercato più ampiooppure il proprio reparto-officina.A due passi da casa (cinque ore diautostrada separano Trieste daBelg rado).

Ci sono poi i piccoli imprenditoriche sognano di rifarsi una vita,anzi una storia, in un Paese dove ilprelievo fiscale sui redditi d’impre -sa si ferma al 12% ma che quandoarrivano in esplorazione capisco-no che la Serbia è sì un Paese estre-mamente aperto agli investimentidiretti esteri, ma non un Far West(o Near East, per la precisione).Sono quelli che ripetono «il guaiodell’Italia sono i politici, sono i sin-dacati, sono i miei colleghi che nonpagano le tasse». Già, perché a nonpagare le tasse sono sempre gli altrie perché si aspettano che «i politici»siano una specie umana perma-nentemente residente in una sortadi cabina di regia e selezionata permettere tutto a posto, e soprattuttoper elargire sovvenzioni. Riempio-no i voli low-cost dagli aeroporti delNord Est a Timisoara o a Buda-pest, con trasferimento in macchi-na o minibus oltre frontiera.

Non mancano i meridionali, so-prattutto pugliesi. Ci sono i piccoliimprenditori che sognano di piaz-zare o già piazzano merce sul mer-cato serbo e su quello degli altriPaesi dell’area di libero scambio

dei Balcani Occidentali (CEFTA) oaddirittura, attraverso un accordodi libero scambio fra Serbia e Fe-derazione Russa, producendo o as-semblando in Serbia e spedendo inRussia. C’è chi fa il lavoro tecnicoche gli è stato assegnato, chi si met-te in discussione e rischia (con suc-cesso e soddisfazioni o con insuc-cessi e frustrazioni), chi viene,esplora e poi resta, anche a costo dienormi sacrifici e persino della fa-me. Colpito da una sindrome, il«mal dei Balcani», più persistentedel vecchio mal d’Africa: una voltache ne sei colpito si cronicizza. Unavolta qui, staccarsene diventa dif-ficile, soprattutto per i più giovani,appassionati da una vita con pochelimitazioni, molte sfide, molti ri-s ch i .

Milovan parla italiano. Quandomi conobbe gli bastarono una de-cina di minuti di conversazione (inserbo, non in italiano) per iden-tificarmi come barese: riusciva acogliere qualcosa di non propriofacile da cogliere: la proiezione diun accento regionale italiano nellalingua del suo Paese. Sposato, èvissuto per decenni nella sua Bel-

grado, dove era arrivato da bam-bino al seguito dei genitori. Avevaperso il lavoro negli anni più dif-ficili della transizione, mentre lamoglie, cassiera in un supermer-cato, metteva insieme l’unico red-dito a disposizione della coppia.Passava il tempo a guardare le se-rie spagnole e quelle turche in te-levisione e i talk-show del pome-riggio sulle reti italiane. E poi lepartite di calcio. Niente figli: questacoppia, come tantissime altre, ave-va deciso che non avrebbe mai po-tuto permetterseli. Vittima di quel-la che in Serbia si chiama belakug a, letteralmente peste bianca,espressione che si usa per definire ilbassissimo tasso di natalità delPaese (1,3 figli per donna). Con30.000 dinari al mese (290 euro) Mi-lovan e la moglie non avrebberomai potuto sopravvivere senza leincursioni di fine settimana al vil-laggio dei genitori in Serbia Cen-trale. Partenza con il portabagaglivuoto, ritorno a Belgrado con ilportabagagli colmo di uova, polli,formaggi, slanina (pancetta affu-nicata).

Bene finché sono vissuti i geni-

tori. A Milovan è rimasta la casa.In una settimana hanno chiuso ba-racca e burattini, chiuso con la vitada esclusi nella capitale e presopossesso della casa al villaggio ri-cevuta in eredità. Milovan ora sioccupa dell’orto e del frutteto. Perora niente lavoro sicuro. La mogliefa la cassiera al supermercato an-che qui. La macchina l’hanno ven-duta. In tre anni hanno fatto trefigli (altro che peste bianca). Vi-vono in un villaggio vicino a Kra-gujevac, proprio dove nell’ex-sta -bilimento Zastava Fiat Serbia pro-duce le Cinquecento. L’e f fe t t o - F i a tnon è ancora arrivato nel villaggiodove vivono. Ma Milovan è con-vinto che stia per arrivare: «la miavita cambierà». «Guarda, lì (e in-dica una specie di garage) apriròun ristorante. Io di cucina italianame ne intendo. Ci verranno le fa-miglie degli operai ricchi per fe-steggiare matrimoni, e poi gli ita-liani che vengono qui per control-lare che la fabbrica funzioni». Ementre fa buio, il sogno italianoarriva: mi piacciono gli italiani esoprattutto i pugliesi. Lavoratori epieni di idee, li conosco bene».

UNO SGUARDO SUI BALCANI «ITALIANIZZATI»Ristoranti, pub e discoteche: i nostri connazionali sono

ovunque, espatriati per lavorare o fondare imprese.Fanno scuola in molti campi, a cominciare dalla cucina

Ve t r i n aSCARICABILE GRATIS, CONTIENE NOTIZIE E ARCHIVIO

Nasce una «app» Cinecittà per iPadprimo pacchetto dedicato alla Storian Una nuova applicazione per la diffusione del

cinema italiano. È la App Cinecittà per iPad,scaricabile gratuitamente da App Store, chepermette di scoprire i migliori contenuti diIstituto Luce Cinecittà e avere aggiornamenticostanti da Cinecittà News direttamente sulproprio dispositivo. Uno strumento diversifi-cato per accedere alla «library» (cioè il ca-talogo) di film e documentari di Luce-Cine-città, ai filmati e foto d’Archivio. La App (di-sponibile anche in inglese) consente di acqui-stare contenuti extra. Il primo pacchetto, di-sponibile da oggi, è un omaggio alla nostraStoria: «Viva l’Italia», dedicato al racconto perimmagini sulla nascita del nostro Paese. Adaprire questa prima raccolta «Allonsanfan», ilcelebre film di Paolo e Vittorio Taviani; poi unraro gioiello di animazione come «La lungacalza verde», il film documentario di Gian-franco Pannone «Ma che Storia» e molto altroancora.

RODOLFOVA L E N T I N OIl divo pereccellenzadel cinemamuto

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LA VICENDA LO ANNUNCIA LA CASA D’ASTE BOLAFFI: «HA PENALIZZATO I PRIVATI»

Cimeli di Toscanini: ricorsocontro il vincolo del Mibac

La casa d’aste Bolaffi po-trebbe presentare ricorsocontro la decisione del mi-nistero per i Beni cultu-

rali di vincolare alcuni dei cimelidel direttore d’orchestra Arturo To-scanini, battuti giovedì sera all’astae in parte già acquistati dal Mi-b a c.

«I rigidi vincoli imposti dalloStato hanno fortemente penalizzatoil normale svolgimento dell’asta eimpedito una leale competizione –ha spiegato Maurizio Piumatti, am-ministratore delle aste Bolaffi Am-bassador – hanno infatti escluso apriori tutti i clienti stranieri elimitato la partecipazione di moltisoggetti italiani». Quindi la casad’aste «non esclude di presentare

ricorso al secondo gruppo di lottinotificati, anche se ciò compor-terebbe un onere non indifferenteper la dilatazione dei tempi bu-ro c r at i c i » .

Sono solo 13 i lotti all’asta chenon sono stati sottoposti al vincolo.Gli altri cimeli sono stati acquistatidirettamente dal ministero mentreun secondo gruppo di oggetti, giàvenduto a privati, grazie alla di-chiarazione di interesse culturalenazionale potrà essere rilevato dal-lo Stato entro 60 giorni. Comples-sivamente l’asta Toscanini ha rea-lizzato 220mila euro, mentre la se-zione dell’asta di autografi e libriantichi ha totalizzato 650mila euro(230mila solo per quelli appartenutia Toscanini).

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