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4 Il Sole 24 OreDomenica 3 Gennaio 2016 N. 2
Le vie della ripresaL’EUROZONA A DUE VELOCITÀ
L’effetto dei piani di bailoutAtene resta in recessione mentre Dublinoè riuscita a risanare i conti e le banche
Le incogniteGrecia verso un nuovo confronto con i creditoriIrlanda al test elettorale tra febbraio e marzo
La Grecia preparail braccio di ferrocon l’Ue sul debitoBerlino vuole l’Fmi, Tsipras si oppone
di Vittorio Da Rold
A settembre, a fine campagna elettorale, in PiazzaSyntagma, il cuore poli
tico della infinita crisi greca, ilpremier uscente, poi riconfermato nelle urne, Alexis Tsipras tentò di uscire dall’isolamento in cui era finito a Bruxelles nelladrammatica notte tra il 12 e 13 luglio quando decise di cedere alle richieste dei creditori e accettare il terzo Memorandum di riforme e austerità per evitare l’uscita dall’eurozona, comeproposto a sorpresa dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble.
Tsipras fece la “kalotoumba”, la capriola in greco, accettando il terzo piano di tagli allespese sociali e aumenti di tasseche il referendum di luglio aveva clamorosamente bocciato con il 61% dei voti. Era il puntopiù drammatico toccato dalla lunga crisi dei debiti sovranidell’eurozona.
Quando Tsipras decise di accettare gli 86 miliardi di euro diaiuti in cambio di nuove misuredi austerità i ribelli di Syrizauscirono sbattendo la porta efondando un nuovo partito diUnità popolare che però nonriuscì nemmeno a entrare in Parlamento. In un’intervista rilasciata in quei giorni al quotidiano Ta Nea, il premier Tsipras sottolineò che l’obiettivoprincipale era la «formazionedi un governo progressista di sinistra che sappia rinegoziareil debito della Grecia». E ora,quattro mesi dopo, con il sopraggiungere della crisi deiprofughi, del terrorismo e delreferendum sull’uscita dellaGran Bretagna dalla Ue, Atenenon è più la priorità delle situazioni a rischio in Europa. Ma, latregua è solo apparente: sotto la cenere cova ancora il problema del suo enorme debito chenel 2019 potrebbe raggiungereil 186% del Pil.
La partita di come riportare incarreggiata la Grecia è di nuovonelle mani del Fondo monetariointernazionale che a gennaio 2016, come ha detto recentemente il suo portavoce Gerry Rice a Washington, «sulle basi delle verifiche sulle riforme greche approvate a quel punto noi finalizzeremo la nostra posizione dopo aver analizzato la sostenibilità del debito».
Il Fondo monetario vuole ridurre il debito prima di concedere nuovi prestiti (ci sono ancora 28 miliardi di euro di programmi di prestiti in scadenza a
marzo anche se l’Fmi non ha piùrilasciato soldi da giugno 2014).
Il premier Alexis Tisprasvorrebbe eliminare entro il prossimo marzo i controlli di capitale sulle banche che sonoancora in vigore da giugno. Inoltre Atene spera di riconquistare la fiducia degli investitori internazionali al punto di poter tornare a fine 2016 sul mercato dei capitali come ha pronosticato il ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos che ha sostituito il sulfureo Yanis Varoufakis, oggi messo in naftalina.
A quel punto Atene, che èquella che ne ha più bisogno,potrebbe di nuovo essere ammessa nel programma di acquisto dei titoli pubblici dellaBce, quello che consente a Francoforte di acquistare 60 miliardi di asset al mese alme
no fino al marzo 2017. Anche il mercato obbligazio
nario di Atene lancia segnali distensivi: dopo aver passato un anno sulle montagne russe irendimenti del decennale grecosono passati da un massimo diquasi il 20% nel mese di luglio, quando i timori di un’uscita della zona euro hanno raggiunto il culmine durante i colloqui tra il nuovo governo a guida Syriza e icreditori internazionali, per poiprecipitare al 7% un mese fa. Ora i rendimenti veleggiano tranquilli all’8,27%, più di 100 punti base inferiori rispetto allafine del 2014. Certo un livello ancora molto lontano dal rendimento toccato il 30 dicembre scorso dal Bund decennale tedesco allo 0,64%, che pure è passato dal minimo dello 0,05% di metà aprile al massimo dell’1% ai primi di giugno 2015.
Alexis Tsipras, che ha vintole elezioni per aver contrastatofieramente le richieste dei creditori, oggi sta attuando la politica del suo avversario, il conservatore di Nea Dimokratia,Evangelos Meimarakis, cheaveva chiesto la fine del braccio di ferro con l’Europa, dismetterla con le politiche avventuriste e di rispettare gliimpegni con la Ue per poter ottenere il sospirato taglio deldebito pubblico. A breve Tsipras vuole proprio ridurre ildebito, ma senza far entrare inpartita il Fondo monetario.Berlino, come al solito si oppone, e chiede che l’Fmi, garantetecnico non sottomesso allapolitica, debba rientrare in gioco. Sul tema del debito si sa chesia la direzione Ecofin dellaCommissione europea sial’European stability mechanism ci stanno lavorando.
La Ue vorrebbe allungare itermini e ridurre gli interessi o al massimo concedere periodi di grazia, ma senza ridurre il debito per evitare precedenti pericolosi. Jeroen Dijsselbloem, ilpresidente dell’Eurogruppo, aveva evocato la possibilità diporre un limite del 15% del Pil come tetto massimo per gli oneri sul debito, ma il governo greco lo ha bocciato ritenendolo troppo elevato.
Anche per il 2016 i colpi discena non mancheranno adAtene. Una partita che se lasciata solo in mano agli ideologidell’austerità potrebbe spingere Atene di nuovo sull’orlo dell’abisso e mettere in crisi l’unitàdell’euro nonostante il whaterever it takes della Bce.
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Il ritorno della Tigre celtica. Il rilancio dell’export e della domanda interna contribuisce a ridurre il debito e la disoccupazione
E l’Irlanda cresce a ritmi cinesidi Michele Pignatelli
Commerzbank l’ha ribattezzata la Fenice che rinasce dalle sue ceneri. Una
nuova metafora per celebrare la ripresa sempre più convinta dell’Irlanda, dopo gli anni seguiti all’esplosione della bolla immobiliare e al dissesto bancario e poi economico che l’avevano trasformata da Tigre celtica in Cenerentola d’Europa.
Appena cinque anni fa il Paeseera costretto a chiedere aiuti internazionali per 67,5miliardi ed entrava in un piano di salvataggio triennale costato dolorosa austerity e povertà crescente; oggi – alla vigilia di un voto che, tra febbraio e marzo, sancirà il giudizio degli elettori sull’operato del governo – l’Irlanda si conferma l’economia a crescita più rapida dell'area Ocse, a ritmi“cinesi”, sta riportando i conti sotto controllo, ha ridimensionato la disoccupazione.
I punti di forza dunque sonomolti, anche se restano alcune fragilità e qualche interrogativo legato agli scenari globali e alla direzione che prenderà la ripresa.
Nel terzo trimestre dell’annoscorso il Pil di Dublino è cresciuto del 7% rispetto allo stesso periodo del 2014: un trend che spinge ormai diversi analisti a prevedere che questa sarà la performancedell’economia per l’intero 2015, ben oltre il +6,2% che lo stesso go
verno aveva stimato a ottobre. Nel 2014 l’Irlanda era cresciuta del 5,2% e per il 2016 si prevede unincremento tra il 4 e il 5 per cento.Sono numeri importanti, sebbene qualcuno – tra gli altri l’ex governatore della Banca centrale Patrick Honohan – inviti a valutarli con cautela, visto il peso che su un’economia piccola come quella irlandese hanno le multinazionali. E bisogna tener conto che finora Dublino ha molto beneficiato dello stato di salute di
Stati Uniti e Gran Bretagna, maggiori destinazioni del suo export
Analizzando le componentidella crescita, c’è però un’importante considerazione: a determinarla non è più solol’export ma anche la domandainterna. Commerzbank nota che, mentre nel biennio 20112013 il surplus commerciale faceva da traino all’incremento del Pil e la domanda interna eraun freno, negli ultimi due annic’è stata una consistente ripresa dei consumi (le vendite diauto, per esempio, sono cre
sciute l’anno scorso del 30%) e,in parte, degli investimenti. Segnali di un’economia più equilibrata, capace di reggere meglio gli shock esterni.
Stando agli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze, il deficit 2015 si attesterà al 2,1% del Pil, oltre 12 punti percentuali in menodel 2009, picco negativo della crisi. Il debito rimane alto (al 97% del Pil) ma è comunque calato di 23 punti rispetto al 2012 e, soprattutto, lo ha fatto molto più rapidamente del previsto.
I risultati ottenuti sul fronte deldeficit sono frutto in primo luogodei robusti tagli alla spesa di questi anni (oltre 30 miliardi), ma anche del gettito fiscale superiore alle attese, in particolare la corporate tax che Dublino ha mantenuto al 12,5 per cento. Grazie ai buoni risultati e all’extragettito (3miliardi più del previsto nel 2015)il governo ha potuto varare un budget espansivo, con un inevitabile occhio alle elezioni: prima una riduzione delle tasse, poi un aumento della spesa. E qualcuno ha iniziato a storcere il naso.
Il Fiscal Advisory Council,l’authority indipendente istituita nel 2011 per monitorare la politica di bilancio, ha messo in guardia dall’utilizzo di entrate inattese per finanziare incrementi permanenti della spesa, una scelta – sottolinea il Consiglio – «che riecheggia errori passati e va controi nuovi criteri di bilancio». Di al
tro segno la critica del mondo delbusiness, con l’Ibec, la principaleassociazione imprenditoriale, che invita piuttosto a impiegare quelle risorse per incrementare gli investimenti, pubblici e privati: abitazioni, strade, trasporto pubblico, istruzione, sanità.
L’attrattività fiscale che Dublino ha saputo mantenere, conmisure vecchie e nuove (peresempio l’istituzione di un regime fiscale agevolato, al6,25%, sui ricavi da royalties), ha permesso al Paese di restarecalamita per gli investimentidiretti esteri, con la conseguente creazione di posti di lavoro:136mila nel settore privato dal2012. In questo modo anche ladisoccupazione, che aveva toccato il 15%, è scesa l’anno scorsoal 9,5 per cento.
In un quadro ampiamente positivo come quello tratteggiato restano tre criticità. La prima è ilsettore bancario. I bilanci si sononettamente ridimensionati rispetto agli anni precedenti il crollo (dall’800% del Pil al 300%) e si ha la sensazione di unamaggiore solidità, grazie alle fusioni, che hanno portato da cinque a tre i principali istituti, e all’introduzione di requisiti di capitale più stringenti. Resta il credit crunch: il credito a famiglie e imprese continua a calare o non riparte, pesando soprattutto sulle imprese irlandesi.
La seconda incognita è Brexit:
un’uscita della Gran Bretagna dall’Ue peserebbe sulla crescita irlandese e sul mercato del lavoro. L’interscambio tra i due Paesi ammonta oggi a circa 50 miliardi all’anno; secondo uno studio effettuato dall’Esri, thinktank di ricerca socioeconomica basato aDublino, Brexit ridurrebbe gli scambi di un quinto, prima di tutto a causa della reintroduzione dibarriere tariffarie. Le ripercussioni sul Pil sarebbero inevitabili.Quanto al mercato occupazionale, il ripristino di restrizioni nellalibertà di spostarsi per motivi di lavoro in Gran Bretagna potrebbe far salire il tasso di disoccupazione (Londra ha sempre funzionato da valvola di sfogo, assorbendo forza lavoro irlandese in tempi di crisi) e calare i salari, dirottando verso l’Irlanda lavoratori Ue meno qualificati che oggiscelgono la Gran Bretagna.
L’ultima incognita sono leelezioni politiche, da fissare trafebbraio e marzo. I partiti oggial governo sembrano destinatia pagare il pedaggio politicodei sacrifici imposti negli annidi crisi. Anche se secondo gliultimi sondaggi la coalizione èin ripresa (il Fine Gael, centrodestra, al 31% e i laburisti all’8%dei consensi), rimane 16,5 punti percentuali al di sotto del risultato del 2011. Sono calati soprattutto i laburisti, scavalcatia sinistra dai nazionalisti delSinn Fein, paladini dell’antiausterity. Un cambio di maggioranza che dovesse includerli potrebbe rimettere in discussione molte cose.
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IL NUOVO MIRACOLO L’anno scorso il Pil irlandeseè aumentato quasi del 7%approfittando della crescitadei due mercati di riferimento: Gb e Stati Uniti
L’ALFA E L’OMEGA
Il caose il lieto fineL a Tigre celtica, dopo
l’esplosione della bolla immobiliare e il conseguente dissesto bancario ha saputo raddrizzare la barra e tornare, anche grazie a una fiscalità superagevolta, a celebrare la ripresa. Dublino ha saputo tornare in poco tempo a ritmi di crescita cinesi. Molti dei suoi giovani che si erano visti costretti ad emigrare stanno facendo ritorno a casa dove trovano occupazione. Una storia a lieto fine, senza dimenticare i duri sacrifici e le cicatrici sociali che le politiche di austerità hanno lasciato nella vita quotidiana degli irlandesi.
Tutta un’altra storia la vicenda ellenica che non riesce ancora a voltare pagina e scacciare il fantasma della Grexit. Ieri il governatore della Banca centrale di Grecia, Yannis Stournaras, ha invitato il governo di sinistra guidato da Alexis Tsipras ad approvare le riforme (tra cui i tagli alle pensioni e gli aumenti della imposte agli agricoltori) per far tornare la fiducia e i depositi nelle banche appena ristrutturate. Due storie diverse che disegnano un’eurozona a due velocità . Con una politica monetaria centrale ma senza una politica fiscale comune, senza la quale il progetto europeo sarà sempre zoppicante.
Nota: dato 2015 e 2016, previsioni della Commissione Europea Fonte: Eurostat
Grecia
Irlanda
1° bailout 2° bailout 3° bailout
110 miliardi246 miliardi
86 miliardi
442
I BAILOUT (salvataggi)In miliardi di euro
’06’04 ’14’12’10’08 2016-9
-6
-3
3
6
0
+5,0 -1,3
IL PILVariazione %
’06’04 ’14’12’10’08 2016-9
-6
-3
3
6
0
+4,6 +4,5
’06’04 ’14’12’10’08 20160
36
72
144
180
108
102,7 173,5
IL DEBITOIn% del pil
’06’04 ’14’12’10’08 20160
36
72
144
180
108
28,2 95,4
’06’04 ’14’12’10’08 20160
6
12
24
30
18
10,6 23,2
LA DISOCCUPAZIONEIn % della forza lavoro
’06’04 ’14’12’10’08 20160
6
12
24
30
18
4,5 8,7
Nel novembre 2010 l’accordodi bailout è stato raggiunto in seguitoalla crisi delle banche irlandesi
67,5
Grecia e Irlanda, economie a confronto
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