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LO SCENARIO ECONOMICO
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 13
1. LO SCENARIO CONGIUNTURALE DELL’AGRICOLTURA IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO
A. TENDENZE DEL MERCATO ALIMENTARE E VOLATILITÀ DEI PREZZI
a cura di Alessio Romeo Lironcurti
Negli ultimi dieci anni l’Europa è passata da una situazione di protezione e chiusura tariffaria ad una forte e
repentina apertura alle importazioni di materie prime da paesi terzi. La forte concorrenza sui prezzi, accompagnata
dal progressivo aumento della domanda di materie prime agricole nei paesi emergenti, ha acuito il fenomeno della
volatilità dei prezzi, in un mercato dove le sempre maggiori oscillazioni e la crescita dei volumi contrattati avevano
già attirato l’interesse degli investitori finanziari. In questo scenario le imprese agricole trovano sempre maggiori
difficoltà nel rapportarsi al mercato. L’agricoltura si è confermata l’anello debole della filiera agroalimentare: nelle
fasi di mercato in cui i prezzi sono scesi ha pagato le conseguenze più alte, mentre quando le quotazioni sono salite
le imprese agricole hanno lucrato meno rispetto alla trasformazione e alla grande distribuzione.
I profondi cambiamenti che hanno interessato i mercati agricoli negli ultimi dieci anni hanno riguardato in modo
particolare il settore cerealicolo; le quotazioni delle principali varietà sia nazionali che estere sono state
caratterizzate da una crescente instabilità e da un livello di volatilità che solo raramente – e per brevi periodi – si
era riscontrata nei decenni precedenti. Questo processo, che affonda le radici negli ultimi anni Novanta, ha subito
un’accelerazione formidabile a partire dalla campagna 2007-2008.
L’analisi degli elementi che spiegano gli squilibri – e il ripetersi degli shock – che hanno destabilizzato i mercati
cerealicoli negli ultimi quattro anni (cfr. Agrisole del 21 Ottobre 2011), consente di ipotizzare che questi fenomeni
di instabilità siano da interpretarsi come fenomeni strutturali e non soltanto congiunturali, alla luce del fatto che
molti dei fattori chiave che ne sono alla base – l’interconnessione ormai stabilitasi tra i mercati food feed, ed energy,
l’altrettanto marcata interconnessione tra aree geografiche diverse, il persistere di una domanda in crescita
sostenuta su tutti e tre i fronti in vaste aree del pianeta, l’attenzione ai temi della sostenibilità ambientale e sociale
e la conseguente necessità di una diversa gestione degli input produttivi – non appaiono destinati ad attenuarsi nel
breve e nel medio periodo.
Gli effetti di questa aumentata instabilità dei mercati sulle imprese agroindustriali sono evidenti. I range di
oscillazione dei costi di approvvigionamento delle materie prime sono aumentati ed è cresciuto il peso di tali costi
nel determinare margini e competitività delle imprese. Il ruolo della funzione acquisti, all’interno delle imprese di
trasformazione, è divenuto cruciale, così come la necessità di pianificare le vendite per le imprese agricole. Emerge
il bisogno di strumenti nuovi per identificare, valutare e gestire i rischi.
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LO SCENARIO ECONOMICO
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LO SCENARIO ECONOMICO
Figura 1
Le oscillazioni dei prezzi, sia verso il basso che verso l’alto, comportano problemi specifici alle imprese agricole
quando il range, la variazione, risulta particolarmente ampio, e quando la misura della volatilità sfugge alle
proiezioni degli analisti, generando incertezza e aumento del rischio non solo per i produttori, ma anche per trader,
consumatori e decisori politici. Questa dinamica è sottolineata nel recente rapporto dell’Ocse, l’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico, diffuso alla fine del 2011 e dedicato proprio alla volatilità dei listini delle
materie prime agricole e alimentari. Il rapporto evidenzia come il fenomeno della volatilità, quando non riflette i
fondamentali del mercato (rapporto tra domanda e offerta, livello delle scorte, ecc.), genera il più delle volte
reazioni incontrollate da parte degli operatori ed una generale inadeguatezza nelle risposte che le politiche agricole
dei paesi avanzati sono in grado di mettere in campo. Dall’analisi dei trend storici emerge tuttavia, come
sottolineato in precedenza, che la variabilità dei prezzi delle derrate agricole e alimentari ha assunto una
dimensione di rilievo solo a partire dal decennio 2000. Ma un’altra conclusione cui giunge lo studio, basato sull’os-
servazione empirica del fenomeno nel lungo termine, è che a fasi di alta volatilità e di prezzi elevati sono quasi
sempre seguiti periodi di prolungata stabilità e di quotazioni relativamente contenute.
Senza dubbio, quello sperimentato a partire dal 2006 e protrattosi fino alla prima metà del 2008 è stato un evento
di portata eccezionale, nella sua dimensione statistica, che ha determinato per diverse commodity agricole, e per i
cereali in primis, rincari anche a tripla cifra se rapportati ai livelli di prezzo di metà anni 2000.
La maggiore o minore apertura ai mercati internazionali, così come l’esistenza di barriere anche non tariffarie alle
importazioni, le limitazioni all’export o le situazioni di monopolio (la presenza di un unico acquirente, quasi sempre
pubblico), sono tutti elementi che secondo gli analisti dell’Ocse influenzano sensibilmente il grado di trasmissione
della volatilità al mercato domestico, rendendolo più o meno permeabile al fenomeno. E tali effetti si amplificano
in quei paesi, in particolare quelli a minore tasso di sviluppo e di industrializzazione, che presentano ritardi o
inefficienze nell’organizzazione logistica e sul piano delle dotazioni infrastrutturali. La variabilità della componente
climatica e le sue ripercussioni sull’entità dei raccolti, la scarsa elasticità della domanda rispetto al prezzo e la
rigidità dei cicli produttivi che determinano, nella maggior parte dei casi, un consistente ritardo nella capacità di
adeguamento dell’offerta in presenza di shock, fanno sì che i mercati cerealicoli siano, più di altri, soggetti a
repentini cambi di rotta nella dinamica dei prezzi. Le crescenti pressioni demografiche legate all’incremento della
popolazione mondiale, i cambiamenti delle abitudini alimentari nei paesi emergenti e la forte crescita della
domanda di cereali a uso energetico sono altri fattori che contribuiscono ad accrescere la volatilità a livello globale,
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Max-Min prezzo
VOLATILITÀ: FRUMENTO MOLITORIO (MATIF, E/t)
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che si riflette in un’accresciuta incertezza nelle quotazioni delle borse merci nazionali. Negli anni compresi tra il
2007 e il 2009 la componente non food della domanda mondiale è arrivata ad assorbire il 9% dell’offerta di cereali
foraggeri. L’adozione di norme cogenti nell’impiego di biocarburanti in miscela con propellenti tradizionali di
origine fossile ha inoltre irrigidito ulteriormente la domanda, contribuendo ad accrescerne l’inelasticità rispetto al
prezzo. Da rilevare anche la maggiore correlazione, rispetto al passato, tra i prezzi agricoli e quelli del barile di
greggio, sia in conseguenza di una sovrapposizione della richiesta di cereali a uso non alimentare, sia della domanda
speculativa da parte di swap dealers e money managers, che rispondono in molti casi ad algoritmi costruiti su
panieri di commodity di diversa natura. Un ruolo non secondario, infine, lo ha avuto il peso crescente del comparto
energetico sulla composizione dei costi di produzione; un capitolo che ha fortemente condizionato i conti delle
aziende agricole, influenzando, implicitamente, le politiche di vendita e i movimenti dei prezzi.
Secondo l’Ocse è tuttavia possibile mitigare il fenomeno della volatilità dei listini agricoli e soprattutto le pressioni
esercitate sui prezzi internazionali da una domanda che viaggia a ritmi più sostenuti rispetto all’offerta. Gli analisti
continuano ad esempio a sottostimare le capacità di reazione degli agricoltori agli stimoli provenienti dal mercato.
Senza considerare i potenziali di crescita in termini di miglioramento delle rese, di estensione delle superfici
coltivabili e di capacità di adattamento alle modificazioni dell’ambiente esterno. Una ulteriore maggiore apertura
dei mercati – anche per mezzo di un possibile accordo in sede Wto – contribuirebbe a creare le condizioni affinché
uno shock d’offerta locale (o esteso a una determinata regione) trovi realisticamente una contropartita nei surplus
produttivi di altre aree, con conseguente minore impatto sulla dinamica dei prezzi. Alcuni interventi mirati su
ricerca e infrastrutture potrebbero incrementare la disponibilità di materie prime e migliorare il funzionamento dei
mercati agricoli locali. Tra gli strumenti utili a contrastare la volatilità dei prezzi delle commodity agricole l’Ocse
segnala anche lo sviluppo, accompagnato da un uso appropriato, dei contratti future, oltre al miglioramento
dell’informazione e della trasparenza dei mercati. Quanto a un maggiore coordinamento delle politiche di stoccaggio,
l’analisi dell’Organizzazione evidenzia come il ricorso a scorte tampone si è rivelato storicamente di scarso successo,
determinando tra l’altro elevati costi di gestione e maggiori propensioni a comportamenti speculativi.
Figura 2
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LO SCENARIO ECONOMICO
0,00
50,00
100,00
150,00
200,00
250,00(*) Media 11 mesi
1990
1991
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2005
2006
2007
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2011
*
FOOD PRICE INDEX FAO, MEDIA ANNUALE (2002-2004 = 100)
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Figura 3
La produzione mondiale di frumento nella campagna 2011-2012 dovrebbe raggiungere (in base alle ultime
previsioni formulate dall’Igc, l’International Grains Council), il livello record di 690 milioni di tonnellate,
superando così il primato del 2009. E il prossimo raccolto, secondo gli analisti britannici, si preannuncia altrettanto
abbondante, seppure in lieve flessione. Salvo complicazioni climatiche, gli esperti si attendono dunque anche
per la prossima campagna di produzione 2012-2013 un livello superiore alla media dell’ultimo quinquennio e
sufficientemente robusto per scongiurare situazioni di squilibrio o escursioni repentine dei prezzi.
La previsione dell’Igc tiene conto di diversi fattori che stanno svolgendo, e continueranno probabilmente a
svolgere, un ruolo calmieratore sui mercati internazionali, ad iniziare dal livello delle scorte, in consolidamento, e
a proseguire con una previsione di sufficiente fluidità dell’interscambio mondiale; variabili, entrambe, che in
considerazione della loro dimensione quantitativa sia nell’ottica attuale che in prospettiva, non dovrebbero
innescare situazioni di shock, né ostacolare le politiche di approvvigionamento da parte degli utilizzatori.
Alla fine dello scorso anno intanto il “Cereals price index”, l’indicatore elaborato dalla Fao che sintetizza la
dinamica dei prezzi dei prodotti cerealicoli, ha fatto registrare il quarto calo mensile consecutivo.
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LO SCENARIO ECONOMICO
Frumento
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100,0
200,0
300,0
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600,0
700,0
800,0
0,00
50,00
100,00
150,00
200,00
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300,00
350,00
400,00
Produzione (sx)
Prezzo (dx)
1989
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/11
FOOD PRICE INDEX FAO, MEDIA ANNUALE (2002-2004 = 100)
0,0
100,0
200,0
300,0
400,0
500,0
600,0
700,0
800,0
900,0
0,00
50,00
100,00
150,00
200,00
250,00
300,00Mais
Produzione (sx)
Prezzo (dx)
1989
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2000
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Figura 4
Ma nonostante i ritracciamenti di fine anno, il bilancio complessivo del 2011 si è chiuso con una rivalutazione dei
prezzi dei cereali di oltre il 35%, che fa seguito all’aumento del 5,1% registrato dallo stesso indice Fao nel 2010. Da
rilevare che nel 2009 il “Cereals price index” aveva chiuso con un calo del 27%, ribaltando di netto la dinamica
positiva del triennio precedente.
Il momento di massima tensione sui mercati cerealicoli ha coinciso, nel 2011, con il secondo trimestre, mentre il mese
di dicembre, dopo un percorso a ritroso piuttosto rapido, ha trascinato l’indicatore ai minimi dal settembre 2010.
Sono due in particolare le componenti ribassiste che secondo la Fao spiegano l'ulteriore caduta dei prezzi a
dicembre: la conferma di un record storico dei raccolti su scala globale (oltre 1,8 miliardi di tonnellate, sommando
ai frumenti anche i cereali foraggeri) e l’assenza di squilibri tra domanda e offerta sui mercati internazionali. Tutte
condizioni che hanno determinato, a livello di singole produzioni, un calo delle quotazioni nell’ordine del 6% per
il granoturco e del 4% per il frumento.
Con gennaio il quadro è tuttavia nuovamente mutato. All’incertezza sull’evoluzione della congiuntura
internazionale, che sconta nelle attese degli analisti una possibile svolta recessiva in Europa, i mercati hanno reagito
in maniera scomposta, incorporando nella dinamica dei prezzi di questo avvio d’annata anche i timori di perdite sui
raccolti di granoturco in Sudamerica, dove la siccità ha comportato in effetti alcune complicazioni.
Ad interferire sui corsi delle commodity cerealicole sono state inoltre, a gennaio, le dinamiche sui mercati valutari,
con il cross euro/dollaro che a metà mese si è portato ai minimi dall’agosto del 2010.
Come si evince dall’indicatore elaborato dell’Igc, i prezzi del mais hanno recuperato a gennaio quasi l’8% nei confronti
di dicembre. Mentre il cambio di aspettative si è materializzato solo in un minirimbalzo per i frumenti, che in media
hanno guadagnato lo 0,7%, mantenendo peraltro un rilevante scarto negativo rispetto a un anno fa (-22% circa).
Va anche rilevato il riavvicinamento tra i prezzi internazionali del mais e quelli dei frumenti; ciò ha dirottato sui
grani una crescente richiesta per usi foraggeri.
Un anno fa – prendendo a riferimento i listini dell’Hard red winter per i frumenti e del no. 3 Yellow corn per il
granoturco (entrambi benchmark sul mercato americano) – il divario dei prezzi raggiungeva gli 85 dollari per
tonnellata, mentre adesso la distanza, ancora a vantaggio del frumento, appare molto ravvicinata, risultando di
appena 15 dollari. Significativo anche il confronto con i prezzi dell’anno scorso, che a fronte di un calo di 64 dollari
per l’Hrw, segnala un aumento di 6 dollari per il 3Yc (cfr. Agrisole del 3 Febbraio 2012).
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LO SCENARIO ECONOMICO
166,9
237,8
173,7 182,6
246,8
2007 2008 2009 2010 2011
FAO CEREALS PRICE INDEX (2002-2004 = 100)
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Lo stesso fenomeno si può rilevare osservando le quotazioni del frumento tenero e del mais nelle principali Borse
merci italiane, a conferma del fatto che la volatilità dei prezzi mondiali si ripercuote più direttamente e
velocemente sulle quotazioni del frumento tenero e del mais nazionali rispetto al grano duro.
Figura 5
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LO SCENARIO ECONOMICO
Grano duro (fino) - Foggia
130,00
180,00
230,00
280,00
330,00
380,00
430,00
480,00
530,00
GEN2008
MAR MAG LUG SET NOV GEN2009
MAR MAG LUG SET NOV GEN2010
MAR MAG LUG SET NOV GEN2011
MAR MAG LUG SET NOV
Frumento tenero (panificabile) - Milano
130,00
150,00
170,00
190,00
210,00
230,00
250,00
270,00
290,00
310,00
330,00
GEN2008
MAR MAG LUG SET NOV GEN2009
MAR MAG LUG SET NOV GEN2010
MAR MAG LUG SET NOV GEN2011
MAR MAG LUG SET NOV
Mais ibrido nazionale - Bologna
110,00
130,00
150,00
170,00
190,00
210,00
230,00
250,00
270,00
290,00
GEN2008
MAR MAG LUG SET NOV GEN2009
MAR MAG LUG SET NOV GEN2010
MAR MAG LUG SET NOV GEN2011
MAR MAG LUG SET NOV
FAO CEREALS PRICE INDEX (2002-2004 = 100)
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B. L’USO E IL CONSUMO DEL SUOLO
a cura di Piero Malenotti
CONSUMO DI SUOLO: CARATTERISTICHE E DIMENSIONI DEL FENOMENO
Le conseguenze drammatiche delle alluvioni che hanno coinvolto nei mesi scorsi la Liguria e la Sicilia hanno
ricondotto all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della tutela e della manutenzione del suolo. Una
consapevolezza che tende purtroppo rapidamente a svanire dopo gli episodi estremi e che non ha ancora sviluppato
nel nostro Paese politiche territoriali in grado di evidenziare il ruolo fondamentale che la conservazione del suolo
svolge non solo per la funzione produttiva agricola, ma anche per una corretta regolazione del ciclo dell’acqua,
funzioni entrambe compromesse irrimediabilmente dalle trasformazioni urbanistiche.
Il fenomeno del consumo del suolo ha dimensioni globali ed è monitorato da alcuni anni, con attenzione, anche
dalle istituzioni internazionali. La crescita della popolazione urbana su scala mondiale è infatti inserita in un trend
che sta aumentando, nel ristretto arco temporale di un secolo dal dopoguerra alle previsioni per il 2050, i residenti
delle aree urbanizzate da circa un terzo della popolazione rurale ad oltre il doppio, con sei dei nove miliardi di
abitanti stimati al termine della proiezione che vivranno nella nuova dimensione della diffusione urbana. L’Unione
europea, con la proposta di direttiva n. 232 del 2006 ancora all’esame del Parlamento, si appresta ad assumere
l’orientamento in base al quale il suolo deve essere protetto, così come le altre matrici ambientali (aria, acqua, ecc.),
in primo luogo dai fenomeni di impermeabilizzazione e contaminazione, ed in secondo luogo come riserva di
carbonio. Alcuni Stati membri hanno del resto già adottato interessanti misure di prevenzione: la Gran Bretagna,
ad esempio, ha stabilito che almeno il 60% delle nuove urbanizzazioni debba avvenire su aree dismesse (brownfield);
mentre la Germania ha fissato un target decrescente di consumo che, partendo da una media di 30 ettari/giorno,
dovrà giungere a zero al 2050. Eurostat conduce inoltre un monitoraggio delle tendenze in atto nei Paesi membri
dell’UE che colloca l’Italia abbondantemente al di sopra della media europea, con una percentuale di aree artificiali
e cementificate intorno al 7% (Tabella 1).
Tabella 1
Fonte: EUROSTAT, progetto Lucas, dati 2009
I dati ufficiali sul fenomeno del consumo di suolo sono raccolti in Italia, con metodologie sostanzialmente diverse,
dall’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA), facente capo al Ministero dell’Ambiente, e
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LO SCENARIO ECONOMICO
CONSUMO E USI DEL SUOLO NEI PAESI EUROPEI (% SU SUPERFICIE TOTALE)
PAESE FORESTALI AREE AREE A AREE SUPERFICI AREE AREECOLTIVATE PASCOLO ARBUSTIVE FLUVIALI CEMENTIFICATE ABBANDONATE
E LACUSTRI E ARTIFICIALI
Paesi Bassi 12 24 38 1 11 13 1Belgio 26 27 33 1 2 10 1Italia 33 33 16 5 3 7 2Regno Unito 15 20 42 10 4 7 2Germania 34 32 23 1 2 7 1Francia 32 30 27 3 2 5 1Media UE 39 24 20 6 5 4 2Spagna 32 30 14 14 1 4 5Grecia 33 24 13 22 2 3 3
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dall’Istat. L’ISPRA svolge la sua rilevazione nell’ambito del progetto europeo Corine Land Cover (CLC), fondato sulla
rilevazione delle coperture del suolo, e stima una superficie urbanizzata in Italia pari a 1.474.000 ettari (dati 2006), con
un tasso di crescita di 1,4 mq/abitante/anno e un valore pro capite di 255 mq/abitante1. Da più parti è stato peraltro
osservato, anche con l’ausilio di rilevazioni più dettagliate sul campo, che il protocollo CLC sconta una sottostima del
fenomeno a causa del basso livello di risoluzione, non in grado di rilevare alcune tipologie di urbanizzazioni diffuse. I
dati Istat provengono invece dalle operazioni periodiche di aggiornamento delle basi territoriali che vengono utilizzate
per le rilevazioni censuarie e forniscono una stima al 2008 di circa 2.100.000 ettari urbanizzati, con un incremento
rispetto al 2001 pari all’8,1%2. Un dato sostanzialmente sovrapponibile con quello fornito da Legambiente nel Rapporto
“Ambiente Italia” 2011 che ha integrato e corretto il dato nazionale con le risultanze di indagini approfondite condotte
in Lombardia, Friuli, Emilia Romagna e Piemonte, ottenendo la seguente scansione regionale3:
Tabella 2
Fonte: Legambiente – Rapporto Ambiente Italia 2011
Le elaborazioni condotte dall’Istat sulle basi territoriali e riportate nel “Rapporto Annuale 2008” consentono inoltre
una più efficace descrizione delle dinamiche di trasformazione del suolo in atto e della loro localizzazione. Oltre
alle aree “storiche” di edificazione, che coincidono con i sistemi urbani esistenti, si osserva chiaramente la
diffusione di sistemi insediativi periurbani, caratterizzati da bassa densità e commistione disordinata di residenze
e attività produttive, con tendenza a saturare gli spazi disponibili su superfici molto estese. È il caso della
conurbazione che interessa la pianura padana nel triangolo veneto-lombardo-romagnolo, con una propaggine
lineare lungo la costa adriatica fino alle Marche, e del consistente aggregato territoriale, con elevati tassi di consumo
1 APAT, La realizzazione in Italia del Progetto Corine Land Cover 2000, Rapporto 36/20052 Istat, Rapporto Annuale 2008, paragrafo 3.53 Legambiente, Rapporto Ambiente Italia 2011, Edizioni Ambiente
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LO SCENARIO ECONOMICO
CONSUMO DI SUOLO NELLE REGIONI AL 2010
REGIONI SUPERFICI ARTIFICIALI % SUPERFICI ARTIFICIALI kmq
Valle d’Aosta 2,0 70Piemonte 7,6 1.900Liguria 6,3 340Lombardia 14,1 3.400Trentino Alto Adige 2,8 390Friuli Venezia Giulia 9,4 740Veneto 11,3 2.100Emilia Romagna 9,1 2.000Toscana 5,6 1.300Umbria 4,1 350Marche 5,5 540Lazio 9,1 1.500Abruzzo 3,4 360Molise 1,6 70Campania 10,7 1.450Basilicata 2,1 210Puglia 5,9 1.100Calabria 5,8 870Sicilia 7,4 1.900Sardegna 3,7 900
Italia 7,1 21.490
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di suolo, che si va formando fra Roma e Napoli, con la tendenza alla saldatura delle due aree metropolitane. Il
fenomeno viene definito a livello internazionale come urban sprawl, caratterizzato dalla dispersione dell’edilizia
abitativa, delle infrastrutture e degli stabilimenti produttivi in forma di “periferia diffusa” che si spalma sul
territorio, dando origine a fenomeni insediativi fortemente impattanti sul suolo e privi di identità.
Le aree investite con maggiore evidenza dall’urban sprawl sono certamente territori dinamici dal punto di vista
economico, ma un’analisi più approfondita dei parametri sociali e demografici indica che ad agire, più che fattori
direttamente collegati ai livelli di reddito e di popolazione, sono fenomeni profondi di trasformazione della
struttura sociale e modificazione degli stili di vita. Sempre l’Istat rileva a questo proposito che le variazioni più
consistenti in termini percentuali della superficie di territorio edificata sono avvenute, nel periodo 2001-2008, in
Basilicata e Molise, due regioni in declino demografico.
Ad evidenziare la scarsa connessione con i fenomeni, pur presenti, di disagio abitativo, sono del resto anche i dati
sulla produzione ufficiale di edilizia abitativa che certificano, fra il 1995 ed il 2006, il rilascio di concessioni edilizie
per 3,1 miliardi di metri cubi, oltre 261 milioni di metri cubi all’anno4, con una stima, comprensiva anche
dell’abusivismo edilizio, che supera i 4 milioni di abitazioni realizzate negli ultimi 15 anni. Tutto questo mentre la
tensione abitativa è rimasta costantemente elevata, in particolare nelle aree metropolitane, con oltre 61.000
procedure di sfratto in corso al 20095 e un incremento dei fenomeni di coabitazione.
Per comprendere pertanto più a fondo le forze motrici del consumo di suolo in Italia, più che ai dati demografici,
è opportuno ripercorrere l’analisi di quei settori economici che alimentano concretamente a monte il ciclo delle
trasformazioni territoriali. In primo luogo gli istituti di credito e di investimento finanziario che hanno individuato
il comparto edilizio e delle opere pubbliche quale luogo privilegiato di azione, con un livello d’impiego, risultante
dal bollettino statistico della Banca d’Italia del marzo 2010, di 131,6 miliardi di euro, peraltro con quasi 8 miliardi
di “sofferenze”. Non è da meno il comparto delle attività estrattive che fornisce le indispensabili materie prime ed
è a sua volta fonte di compromissione del territorio. Circa 8 mila cave operanti sul territorio nazionale6, un quarto
delle quali prive di regolari autorizzazioni, hanno sfornato negli anni d’oro del boom edilizio fino a 700 milioni di
tonnellate/anno di materiali inerti per l’edilizia, fra l’altro con canoni concessori particolarmente convenienti che
certamente non incentivano il riciclaggio dei prodotti. Ancora più a valle nella filiera si possono collocare gli 88
impianti che producono e lavorano il cemento, con un fatturato che supera i tre miliardi di euro all’anno e una
produzione, nell’anno 2009, di 36 milioni di tonnellate che ci posiziona al primo posto in Europa, con una
impressionante media pro capite di 601 chili all’anno.
Una filiera pertanto già fortemente strutturata a monte dell’impresa edilizia che consente di interpretare più
efficacemente l’orientamento, certamente non ostile alle trasformazioni urbanistiche, che promana dalla gran parte
degli enti preposti al governo del territorio a cominciare dagli enti locali fra l’altro alle prese con una drammatica
crisi della finanza pubblica e con una riduzione senza precedenti delle risorse da destinare agli investimenti e alla
gestione corrente. In questo contesto non è certamente estranea, ma anzi funzionale al ciclo del consumo del suolo,
la decisione assunta dal Parlamento con la Legge finanziaria del 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311) di
incrementare al 75% la quota degli oneri concessori che può essere destinata a supporto delle spese ordinarie dei
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LO SCENARIO ECONOMICO
4 Istat, Rapporto Annuale 2008, paragrafo 3.55 Legambiente, Rapporto Ambiente Italia 2011, elaborazione su dati Ministero dell’Interno e Istat6 Questo dato e quelli che seguono sulla “filiera del cemento” sono tratti da L. Martinelli, Le conseguenze del cemento,
Edizioni Altreconomia, 2011
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Comuni, eliminando sostanzialmente il vincolo di destinazione con gli investimenti pubblici indispensabili per
qualificare gli insediamenti. È una partita che vale circa 3 miliardi di euro all’anno: Roma Capitale, ad esempio, ha
previsto nel bilancio 2010 che le entrate da questa fonte saranno pari a 218 milioni di euro; 180 milioni figurano nel
corrispondente bilancio del Comune di Milano; oltre 69 nella programmazione finanziaria del Comune di Torino.
In generale comunque è un peso non indifferente nelle partite correnti di tutti i piccoli Comuni, con l’aggravante
di essere divenute entrate “ordinarie”, dalle quali è sempre più difficile prescindere per mantenere i livelli dei
servizi, ed una evidente sollecitazione a premere sull’acceleratore dell’urbanizzazione per fronteggiare
parzialmente il taglio dei trasferimenti statali e regionali.
Non depone inoltre a favore di una razionale gestione del suolo nel nostro Paese una disciplina urbanistica
storicamente carente e ulteriormente indebolita a partire dagli anni ’90. La pratica degli accordi di programma, dei
piani integrati e dei molteplici istituti che consentono di scavalcare la pianificazione generale è ormai divenuta
prassi amministrativa ed ha spianato la strada a provvedimenti più recenti, come il “Piano Casa” varato dal Governo
nazionale nel 2009, che ha introdotto forme di deregolamentazione più spinta. Un decano della materia, l’arch.
Vezio De Lucia, ha avuto modo di affermare recentemente che “si deve prendere atto che l’urbanistica, intesa
come teoria e pratica delle trasformazioni e del governo della città e del territorio, è in via di estinzione”7.
ATTIVITÀ AGRICOLA E CONSUMO DI SUOLO
Le dinamiche descritte nel paragrafo precedente impattano direttamente e in forma particolarmente aggressiva sul
territorio su cui si esercita l’attività agricola. Solo per dare un’idea delle dimensioni territoriali del fenomeno, al
ritmo indicato dai dati Istat relativi al periodo 2001-2008, in Italia viene coinvolta nel ciclo del cemento una media
di 615.000 metri quadri al giorno, come se ogni 10 mesi sorgesse nel territorio nazionale una città della stessa
superficie occupata dall’area urbana di Milano.
La competizione per l’uso del suolo deve essere inoltre rapportata alle condizioni morfologiche del nostro Paese
che presenta ampie superfici occupate da aree montane, interessate da corpi idrici o comunque precluse a vario
titolo all’uso agricolo. Indagini più dettagliate condotte a livello regionale confermano a questo proposito che
l’espansione urbanistica coinvolge prevalentemente le aree di pianura, di bassa collina e costiere che sono anche
quelle maggiormente vocate all’attività agricola. Emblematico è il caso del Piemonte8, dove la suddivisione
cartografica del territorio in classi di capacità d’uso, ha consentito ad evidenziare come l’urbanizzazione investe
costantemente le classi più produttive a fini agricoli. La “modernità” dello sprawl urbano porta quindi a compimento
una radicale inversione di tendenza nell’uso del territorio, laddove per secoli i centri abitati sono stati localizzati in
aree delimitate, con l’accortezza di salvaguardare dall’edificazione le terre più fertili.
Il ciclo dell’espansione urbana indifferenziata rischia anche di cancellare alcuni dei paesaggi più celebri del nostro
Paese, che sono stati modellati dagli agricoltori e dalle loro scelte colturali, un mosaico ancora vivo, nel quale si
leggono ormai con chiarezza i segni dell’impoverimento della diversità e di un’edilizia priva d’identità. Un
paesaggio agrario che potrebbe invece essere il volano di forme innovative di sviluppo territoriale, con riferimento
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LO SCENARIO ECONOMICO
7 Vezio De Lucia, “Il minimalismo dei massimalisti”, da “Consumo di suolo zero”, a cura di A. Sotgia, Edizioni Carta 20108 IPLA, Regione Piemonte, Carta della capacità d’uso dei suoli del Piemonte, Edizione Selca, 2010
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a quell’offerta integrata di beni culturali, prodotti agroalimentari tipici e recettività agrituristica che rappresenta già
oggi una efficace alternativa economica in alcune realtà del nostro Paese. Le stesse produzioni alimentari di qualità
si identificano, con sempre maggiore frequenza, con il territorio dal quale provengono, un territorio che andrebbe
correttamente considerato una risorsa irriproducibile.
I dati provvisori del sesto censimento nazionale dell’agricoltura (2010) indicano un calo della superficie agricola
utilizzata (SAU) di circa 300.000 ettari nel decennio trascorso, con un decremento percentuale del 2,3%. Per
comprendere più a fondo le dinamiche in atto è opportuno comunque soffermarsi sul dettaglio regionale fornito
dall’Istat, a partire, ad esempio, dalla nostra regione:
Tabella 3
Fonte: Istat - 6° censimento dell’agricoltura – dati provvisori
Nel Lazio, regione dove la presenza della Capitale e del suo hinterland induce processi urbanistici particolarmente
invasivi, il calo della SAU è più accentuato rispetto alla media nazionale e raggiunge il 10,7%. A farne le spese sono
soprattutto, in termini assoluti, le colture cerealicole, i vigneti e le colture di piante industriali (colza, girasole, ecc.),
mentre la forte contrazione dei prati-pascoli è riconducibile prevalentemente a fenomeni di abbandono nelle aree
marginali.
Particolarmente interessanti per l’area romana sono inoltre gli studi condotti da Legambiente e dall’ISPRA. La
prima ricerca, pubblicata nel Rapporto Ambiente Italia 201110, ha analizzato in dettaglio l’incremento delle aree
urbanizzate fra il 1993 e il 2008 nei Comuni di Roma e Fiumicino (Tabella 4), registrando un incremento del 12%
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LO SCENARIO ECONOMICO
LAZIO - SUPERFICIE INVESTITA (ha) PER TIPO DI COLTIVAZIONE - ANNI 2010 E 2000
COLTIVAZIONI SUPERFICIE INVESTITA VARIAZIONI2010 2000
Cereali 102.120,95 143.290,39 -28,7Legumi secchi 4.402,73 4.608,82 -4,5Patata 1.531,48 1.994,05 -23,2Barbabietola da zucchero 136,38 3.840,65 -96,5Piante sarchiate da foraggio 498,75 117,52 324,4Piante industriali 8.023,27 21.246,06 -62,2Ortive 19.847,24 16.259,40 22,1Fiori e piante ornamentali 1.143,38 986,88 15,9Piantine 483,38 374,92 28,9Foraggere avvicendate 159.669,42 121.946,66 30,9Sementi 2.517,88 1.032,24 143,9Terreni a riposo 18.228,05 27.996,24 -34,9Vite 16.027,92 29.533,41 -45,7Olivo 72.934,52 76.144,19 -4,2Agrumi 589,90 918,50 -35,8Fruttiferi 36.160,09 38.701,85 -6,6Vivai 3.753,87 412,80 809,4Altre coltivazioni legnose agrarie 519,12 6,07 845,2Coltivazioni legnose agrarie in serra 28,76 416,38 -93,1Orti familiari 2.071,02 3.596,76 -42,4Prati permanenti e pascoli 192.563,95 227.627,39 -15,4Prati permanenti e pascoli non utilizzati 726,41 - 100,0
Superficie agricola utilizzata 643.978,47 721.051,18 -10,7
10 Legambiente, Rapporto Ambiente Italia 2011, Edizioni Ambiente 2011
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dei suoli destinati ad usi urbani con 4.800 ettari trasformati nella Capitale e 400 nell’adiacente comune sede
dell’aeroporto internazionale, ed una media, relativa all’intero periodo, di un ettaro al giorno. Per quanto concerne
Roma, il territorio costruito nel quindicennio esaminato ricopre una superficie quasi tre volte superiore rispetto
all’estensione del centro storico racchiuso nelle mura aureliane. La quota di terreni agricoli sul totale trasformato è
molto elevata: 4.384 ettari a fronte di 416 di bosco e vegetazione riparia per Roma, mentre l’intera espansione del
comune di Fiumicino è avvenuta in danno di suolo a destinazione agricola. Forse ancora più inquietante è il dato,
rilevato nello stesso rapporto di ricerca, riguardante le previsioni di ulteriore sviluppo edilizio dei due comuni
desunte dai programmi urbanistici in atto: si tratta complessivamente di 9.500 ettari.
Tabella 4
Fonte: Legambiente – Rapporto Ambiente Italia 2011
L’indagine condotta dall’ISPRA11 riguarda invece la stima del consumo di suolo in 37 aree urbane del nostro Paese
e fornisce, fra l’altro, un parametro utile a completare l’interpretazione delle dinamiche in atto nella realtà romana.
Nell’intervallo temporale compreso fra il 1990 e il 2008 l’intensità d’uso del suolo a Roma (abitanti per ettaro) è
scesa da 109,5 a 80. Il ciclo della diffusione urbana è quindi in piena attività e a farne le spese è soprattutto
l’agricoltura, mentre si sono manifestati nel territorio della città fenomeni di dissesto idrogeologico, in coincidenza
di eventi meteorologici intensi, che dovrebbero preoccupare i nostri amministratori, anche in relazione al procedere
del cambiamento climatico. La percentuale di superficie impermeabilizzata ha superato nella Capitale il 26% e
potrebbe interferire, con crescente invadenza, sul ciclo dell’acqua.
Quali sono le destinazioni prevalenti nello sprawl di Roma? Certamente una disordinata disseminazione di edilizia
residenziale che non sembra arrestarsi. Il solo bando recentemente approvato dall’Amministrazione comunale per
il reperimento di aree agricole da destinare ad housing sociale prefigura una trasformazione di oltre 200 ettari. Un
ruolo non indifferente svolgono i nuovi grandi centri commerciali (oltre 70 già presenti nel Lazio, per circa 2 milioni
di metri quadrati di superficie commerciale) ai quali si dovrebbero aggiungere quelli programmati nelle “centralità”
previste dal Piano regolatore di Roma. Di rilievo anche gli interventi infrastrutturali: il previsto ampliamento
dell’aeroporto di Fiumicino, con tre nuove piste e l’annesso centro direzionale, comporta una previsione di circa
1.300 ettari di grande pregio sottratti all’uso agricolo.
Dovrebbe essere indagata più a fondo, in questo contesto, la connessione fra la crisi dell’agricoltura italiana e la
competizione sempre più serrata per l’uso del suolo. Basti pensare all’obiettivo ostacolo al ricambio generazionale
rappresentato dagli elevati prezzi di acquisto e affitto dei terreni, mantenuti in alcune aree ben al di sopra di valori
compatibili con l’investimento agricolo proprio dalle aspettative di trasformazione urbanistica. Oggi in Italia c’è un
giovane agricoltore, con meno di 40 anni, ogni 14 conduttori agricoli che hanno superato i 65 anni. Condividiamo
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LO SCENARIO ECONOMICO
11 ISPRA, Qualità dell’ambiente urbano, VII Rapporto, 2010, paragrafo 2.1
INCREMENTO AREE URBANIZZATE (ha) NEI COMUNI DI ROMA E FIUMICINO
COMUNI INCREMENTO AREE URBANIZZATE ULTERIORI PREVISIONI STRUMENTIDAL 1993 AL 2008 URBANISTICI
ROMA 4.800 6.700di cui agricole 4.384 6.270FIUMICINO 400 2.800di cui agricole 400 2.730
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con il Portogallo il non invidiabile primato di agricoltura con il più alto tasso d’invecchiamento in Europa. Nella
Legge di stabilità, approvata dal Parlamento lo scorso mese di novembre è stato inserito un articolo (art. 7 legge 12
novembre 2011, n. 183) rivolto a facilitare la dismissione di terreni agricoli di proprietà pubblica, uno stock di circa
380.000 ettari, con diritto di prelazione per i giovani imprenditori agricoli. C’è da augurarsi che l’operazione possa
andare in porto secondo le intenzioni dichiarate e che non faciliti l’inserimento di soggetti estranei al mondo
agricolo, non essendo purtroppo stato previsto il divieto di cambio di destinazione d’uso. Anche Roma Capitale ha
imboccato la strada della dismissione dei terreni pubblici. Con delibera approvata lo scorso 15 dicembre dalla
Giunta capitolina è stata infatti costituita la “cabina di regia” che si propone di avviare operazioni di valorizzazione
e vendita dell’ingente patrimonio di immobili di proprietà comunale, composto oltre che dai terreni già nella
disponibilità dell’Amministrazione a seguito di cessioni urbanistiche, anche dai compendi di proprietà demaniale,
fra cui le aree militari dismesse, che verranno trasferite alla competenza locale. Si tratta evidentemente di una
partita di grande rilievo per l’agricoltura romana.
È sempre più urgente che si diffonda, quindi, una nuova cultura del territorio in grado di coglierne i caratteri di
bene comune. Un obiettivo che si può perseguire solo determinando la convergenza di politiche fiscali,
urbanistiche ed agricole verso una strategia comune e avviando una proficua sinergia nell’azione dei molteplici
attori istituzionali in grado di determinare un salto di qualità nelle politiche di tutela. Un nuovo percorso che potrà
compiersi solo con la partecipazione degli agricoltori e delle loro organizzazioni di rappresentanza.
C. LE COLTURE ENERGETICHE E L’UTILIZZAZIONE DELLE BIOMASSE
a cura di Carlo Hausmann
Dal secondo dopoguerra ai nostri giorni le trasformazioni in agricoltura hanno subito una rapida accelerazione, con
cambiamenti che ne hanno interessato l’occupazione e le caratteristiche produttive e strutturali. Da un’agricoltura
volta prevalentemente all’autoconsumo della popolazione rurale si è passati progressivamente ad un sistema di
produzione sempre più legato allo sviluppo industriale con una conseguente semplificazione ed intensificazione
delle produzioni.
Questo processo, che ha fatto fare notevoli passi in avanti in termini di sviluppo economico, ha anche determinato
effetti indesiderati. In generale si può affermare che il modello di sviluppo occidentale basato sull’eco-imperialismo
ha portato, con il tempo, ad una forte riduzione della biodiversità, alla distruzione di culture, di comunità locali e
tradizioni, all’esaurimento delle risorse della Terra, alimentando quindi un ciclo di distruzione e impoverimento.
Questa consapevolezza, accompagnata dall'immissione in atmosfera di gas, nonché dal picco del petrolio, ha
favorito negli ultimi anni a livello mondiale il crescente interesse per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili,
che possano sostituire o ridurre il consumo di fonti energetiche fossili non rinnovabili (carbone, petrolio, gas, ecc.).
Nella fase attuale, che potremmo definire come post-industriale, il settore agricolo si trova a recuperare vecchi
valori positivi legati al ruolo svolto nella tutela dell’ambiente e delle risorse naturali. La Green Revolution, come
è stata chiamata, è di fatto una vera e propria rivoluzione ambientale, poiché consente di mantenere i ritmi del mondo
moderno, producendo energie rinnovabili e pulite. Per realizzare questa rivoluzione c’è bisogno di un’accelerazione
del passaggio dalle fonti convenzionali a quelle rinnovabili delle aziende agricole pronte a fare “il grande salto” e
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LO SCENARIO ECONOMICO
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soprattutto della predisposizione di rilevanti incentivi. L’interesse economico è enorme: si è stimato che utilizzando
adeguatamente le potenzialità produttive di queste nuove filiere si potrebbe realizzare da un ettaro di coltura
l’equivalente di un milione di euro ed occupare 60 unità12.
Ma cosa si intende per colture energetiche e biomasse? Le colture energetiche sono tutte quelle produzioni
primarie cerealicole, oleaginose, crucifere (ovvero piante di girasole, colza, miscanto, canna da zucchero, sorgo da
fibra zuccherina, pioppo, acacia, eucalipto, ecc.) che servono a produrre biomasse. Ma le biomasse hanno origini
molto differenti: il legno ottenuto dal taglio di alberi, il recupero di residui forestali, il recupero di scarti di potatura,
ma anche le colture dedicate che sono il pioppo a rapida crescita (SRF), il sorgo da fibra, la canna comune, la
robinia, le piante oleaginose (soia, colza, girasole, ecc.), le piante per la produzione di etanolo (barbabietola), i
residui agricoli e agroindustriali, (paglia, sansa di oliva, vinacce, buccette, gusci di frutta secca, stocchi di mais, lolla
di riso), le deiezioni degli allevamenti animali (biogas). Tali risorse energetiche possono essere trasformate in loco
in energia secondaria (elettricità, calore e carburanti) oppure conferite a centrali di raccolta ed utilizzo, una sorta di
“isole energetiche” nelle quali è organizzata l'attività del settore energetico locale e altri servizi. Le biomasse sono
una fonte energetica il cui contenuto calorico può essere sfruttato attraverso molteplici processi basati su diverse
tecnologie. Il modo più semplice (e il più antico) per convertire le biomasse in energia termica ed eventualmente
elettrica è la combustione diretta. Esistono tuttavia altri processi di natura biochimica o termochimica atti a
trasformare le biomasse in vettori energetici differenti, che possono essere liquidi, solidi o gassosi. Quale che sia il
metodo o il prodotto scelto, la produzione di energia pulita consente di eliminare rifiuti prodotti dalle attività
umane, produrre energia elettrica e ridurre la dipendenza dalle fonti di natura fossile come il petrolio.
In questa rivoluzione energetica il quadro mondiale evidenzia una tendenza nel portare alla ribalta il potenziale
ruolo dell'agricoltura quale fornitrice/produttrice di energia. Questo orientamento fino ad ora ha prodotto qualche
novità a livello normativo ed un notevolissimo interesse mediatico dalle mille sfaccettature. Di fatto, parlando di
agro-energie si toccano molti argomenti: dagli accordi internazionali, alla questione ambientale, alle politiche
agricole e/o energetiche ecc.
Ma quale è la situazione attuale dei paesi più o meno industrializzati per attuare la Green Revolution e gli obiettivi
dell’Onu? Sembra che tutte le linee politiche stiano concentrandosi sulla “crescita verde” come metodologia
sicuramente efficace per combattere la recessione e lottare contro il cambiamento climatico. Primi fra tutti gli Stati
Uniti d’America, in cui il presidente Barack Obama ha più volte dichiarato il suo impegno ad incrementare le
energie pulite e rinnovabili, energie che possono guidare l’economia mondiale di questo secolo.
Non a caso, nel 2009, durante il suo primo tour in Oriente, fatto per confrontarsi con i rappresentanti delle grandi
economie e sui problemi squisitamente politici, il Presidente americano ha incontrato a Tokio il primo ministro
giapponese Yukio Hatoyama, per discutere anche del clima. Comune è stata la loro dichiarazione in cui si legge che
Giappone e Stati Uniti «aspirano a ridurre» le rispettive emissioni di C02 dell’80% entro il 2050 e ad ottenere per
quella data una riduzione globale del 50%, in linea con gli impegni del G8. Mesi prima lo stesso Presidente aveva
dato all’America la prima legge sul clima, la Clean Energy and Security Act, un piano anti riscaldamento terrestre,
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LO SCENARIO ECONOMICO
11 Vannozzi G.P, M. Nicli, (2006), “Materie prime rinnovabili: le prospettive di utilizzo di colture oleaginose per filiere alimentari ed energetiche”, in a cura di F. Rosa,Sentieri dell’innovazione nel territorio, dinamiche di sviluppo ed aggregazione – Il caso Italia-Romania, Forum, Udine.
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che ha introdotto, per la prima volta, un limite alle emissioni di gas-serra, prevedendo stimoli all’uso delle fonti
pulite e sostenibili. Un passo coraggioso e necessario, perché affronta il problema del global warming, cambiando
il modo in cui la prima economia del mondo produce e usa energia e soprattutto perché contiene la promessa di
investire sulle energie pulite, creando una nuova industria e milioni di posti di lavoro.
In questa rivoluzione energetica rientra il progetto solare in Arizona, reso noto nel luglio del 2010, e costato agli Usa
circa due milioni di euro. Il progetto prevede la creazione di una centrale solare a concentrazione da 250 MW
dell’Abengoa Solar del Colorado per l’incremento della produzione di moduli fotovoltaici a film sottile di tellururo
di cadmio. L’Abengoa Solana, con sede a Madrid, ha affermato che il progetto, ideato a 100 km a Sud-Ovest di
Phoenix, se realizzato, diverrà il più grande impianto solare a concentrazione del mondo con l’istallazione dei
trogoli parabolici e di un sistema di stoccaggio dell’energia termica a 6 ore possibile grazie all’impiego di sali fusi.
Se è dunque chiara la scelta del nuovo Presidente USA di puntare ad accelerare la transizione del paese verso
un’economia ad energia pulita, attraverso l’uso di fonti energetiche, quali l’eolico e il solare, gli impegni presi finora
dal Dipartimento dell’Energia statunitense per lo stimolo economico potranno creare fino a 3.600 nuovi posti di
lavoro a tempo e 1.600 impieghi permanenti.
La stessa corsa verso le energie rinnovabili sembra essere stata intrapresa anche dal presidente venezuelano Hugo
Chavez, che già da qualche anno sta cercando di stringere alleanze soprattutto con partner europei per portare ad
una piena maturità lo sviluppo delle fonti rinnovabili nel territorio nazionale. L’ultimo degli accordi sottoscritti da
Chavez è quello con il Portogallo, che prevede una più stretta collaborazione tra le due nazioni per realizzare
impianti eolici e solari in Venezuela, con il supporto delle tecnologie e del know how portoghesi. In questo settore,
sembra che le convinzioni di Chavez siano molto in linea con quelle di Barack Obama: la necessità di investire nelle
fonti energiche pulite, quali il solare e l’eolico, per il futuro della sua nazione.
L’avvio dell’impegno politico della Unione Europea sulle energie rinnovabili è piuttosto recente e si può datare
con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto del 1997, entrato in vigore nel febbraio 2005 e con la redazione da
parte della Commissione Europea del Libro Bianco sulle fonti rinnovabili nel 1997 e del Libro Verde nel 2000
sull’approvvigionamento energetico con la finalità della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, causa
principale dei cambiamenti climatici e del riscaldamento della Terra. Successivamente numerosi sono stati gli
interventi programmatici e normativi. Nel 2009 il Commissario europeo per l’Ambiente, Stavros Dimas, è
intervenuto ad Atene, per ricordare che “esiste un obbligo morale di protezione della natura. Ma la biodiversità è
anche alla base del benessere umano: gli ecosistemi ci assicurano acqua pulita, purificano la nostra aria, regolano il
clima e ci forniscono il cibo”. Nel 2010 è tornato sull’argomento in maniera più specifica, il Commissario europeo
per il Clima, Hedegard, che ha affermato che l’Unione Europea sta cercando di porsi l’obiettivo di tagliare, entro
il 2020, le emissioni del 30%, intraprendendo una vera e propria sfida, possibile e fattibile, sia dal punto di vista
tecnico che economico. Per questi motivi, l’UE ha preso una serie di misure previste a partire dal 2011, nell’ambito
dello sviluppo rurale e dell’agricoltura, della gestione della risorsa idrica, della sanità e dell’industria con necessità
più evidenti nel settore della ricerca, dei trasporti, dell’energia e delle tasse da applicare ai grandi inquinatori,
seguendo una nuova regolamentazione creata ad hoc per il territorio europeo e non gestita solo a livello nazionale,
come attualmente accade.
Infine, lo stesso Presidente della Commissione europea, Josè Barroso, ha più volte ribadito l’impegno della
Commissione per favorire la produzione di energia verde in Europa. Qui, ad oggi, solo il 5% circa del consumo
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LO SCENARIO ECONOMICO
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energetico finale proviene da bioenergia, ma gli investimenti in fonti rinnovabili previsti dovrebbero aumentare
fino a 2.740 miliardi l’anno entro il 202013 .
Nonostante a livello mondiale, quindi, sia ormai forte la concorrenza nel campo delle tecnologie verdi, l’Europa si
sta fortemente impegnando affinché rimanga invariata la propria posizione di leader nell’ambito della “rivoluzione
a basse emissioni” con l’intenzione di esportare questo modello vincente a livello planetario.
Nel 2008, la Germania si è collocata al primo posto con il 30,3% sul totale degli 86,9 TWh prodotti sul continente.
Anche l’Italia assume una posizione di tutto rilievo in Europa, producendo il 6,9% della produzione totale da
biomasse, rifiuti solidi urbani biodegradabili, biogas e bioliquidi e classificandosi al 5° posto, prima delle confinanti
Francia e Spagna.
Tuttavia il paese che spende di più per incentivare le fonti di energia pulita è la Gran Bretagna che sta intraprendendo
una vera e propria rivoluzione energetica locale attraverso produzione di energie rinnovabili14, tariffe agevolate e
supporto informativo agli enti, imprese e cittadini sull’energie pulite. Indicativo, in questo senso, il discorso del
nuovo segretario britannico all’energia, Chris Huhne, che oltre a confermare i finanziamenti per lo sfruttamento
delle risorse di petrolio e gas nel Mare del Nord, ha anche promesso ingenti investimenti a favore dello sviluppo e
dell’incremento delle rinnovabili e nell’impiego di combustibili fossili.
In ambito europeo, merita sicuramente un cenno anche la Danimarca, che mira entro il 2050 alla possibilità di
passare all’utilizzo esclusivo di energia generata da fonti rinnovabili (energia eolica e biomasse), con uno sforzo
economico di 2 miliardi di sterline e lo 0,5 del PIL annuo devoluto a favore dello sviluppo e della diffusione degli
investimenti pro rinnovabili. Qualora le previsioni dovessero realizzarsi il paese confermerebbe la sua reputazione
di “laboratorio green”, ossia realizzatore di soluzioni tecnologiche per la generazione di energia a zero CO2,
necessarie a livello globale. In particolare il governo danese mira a divenire leader nella produzione di componenti
per la realizzazione di impianti eolici e a dimostrare agli altri paesi che il vento è una fonte sostenibile di energia
necessaria per il futuro sviluppo.
Nel 2009 il Belpaese è riuscito a soddisfare, con le fonti rinnovabili, il 10% dell’intero fabbisogno energetico
nazionale ed il fenomeno continua ad essere in grande espansione: impianti solari fotovoltaici, solari termici, idro-
elettrici, geotermici, da biomasse e biogas, tutti nomi entrati oramai di diritto nel linguaggio corrente e ritenute
ormai tecnologie affidabili e risposte efficaci ai fabbisogni energetici in virtù anche della strategia di lotta ai
cambiamenti climatici. Per fare un esempio basti pensare che nel 2010, ben l’86% dei comuni italiani possedeva
un impianto da fonte rinnovabile ed ancora, che la produzione delle rinnovabili in un unico anno è cresciuta più
del 13%. Tuttavia a fronte di questa crescita interna degli ultimi anni l’Italia presenta ancora gravi fattori di ritardo
in tema di energie rinnovabili verso altri paesi dell’UE nonché contraddizioni ed aspetti ancora poco chiari da
migliorare se si vuol raggiungere un buon livello di efficienza energetica guardando anche al traguardo del 2020,
data entro la quale in base agli obiettivi europei il 20% dell'energia totale dovrà essere prodotta da fonte
rinnovabile.
Ma se questo è il quadro europeo, a lasciare senza parole è la situazione dell’India, che nei prossimi tre anni
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LO SCENARIO ECONOMICO
13 A ben vedere, secondo il rapporto “Real potential for changes in growth and use of Eu forests”, commissionato dalla CE a università ed enti di ricerca, per il 2020 è previsto anche un calo (dall’attuale 50% al 40%) della produzione delle bioenergie dalle biomasse a tutto vantaggio dell’eolico e del solare.
14 L’ultimo finanziamento consiste in ben 17 milioni di sterline stanziate, nel 2007, dal governo inglese, a favore dei progetti low carbon. Il progetto, gestito dalla Technology Strategy Board e dall’Energy Saving Trust, provvederà alla messa in opera di diversi pacchetti di efficienza energetica e basse emissioni di carbonio, al fine di valutare quale sia il più efficiente.
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dovrebbe produrre, con l’energia fotovoltaica ed il solare termico, ben 1000 MW. È in programma infatti un
progetto di tre colossi: l‘Asian Development Bank, la NTPC (National Thermal Power Corporation, la più grande
compagnia energetica indiana) e la Kiushu elettric Power, proveniente dal Giappone, che prevede l’aumento di
produzione energetica di fonti rinnovabili di 500 MW; vale a dire la metà di quanto, in un convegno di settembre,
le autorità governative avevano annunciato di voler produrre nei prossimi tre anni.
Ma tutto lascia pensare che a capeggiare la “Green Revolution” nei prossimi decenni sarà la Cina, la nazione
conosciuta finora come il più grande paese inquinatore, con un’industria niente affatto “pulita”.
Se nel 2009, infatti, il governo cinese ha investito ben 35 miliardi di dollari in energie pulite, contro i 18 degli USA
e gli 11 della Gran Bretagna, nel 2010 ha decretato la chiusura di più di cento centrali elettriche alimentate a
carbone a favore di centrali più pulite, con una conseguente riduzione del 15% delle emissioni. E non è tutto: la
Cina è seconda solo alla Gran Bretagna in termini di valore percentuale degli incentivi a tagliare emissioni da
generazione di elettricità. Gli incentivi britannici sono stati valutati in 29,30 dollari per tonnellata di carbone, contro
i 14,20 dollari della Cina, i 5,10 dollari per tonnellata degli USA e i 3,10 del Giappone15.
Dopo lunghe teorie energetiche, ambientali e considerazioni etico-sociali, volendo stare dal punto di vista dell'agricoltore,
ci si dovrebbe chiedere se, in Italia, c’è un reale spazio economico per l'azienda agricola che vuole cimentarsi nella
produzione di energia. In linea generale si possono scegliere tre diversi indirizzi: il primo prevede che la produzione
di energia divenga la principale attività economica dell’azienda agricola. Se da un lato ci si assicura una collocazione
produttiva con un prezzo garantito, dall’altro sorgono difficoltà sulla necessità di affrontare investimenti notevoli,
rimangono dei dubbi sulla effettiva validità nel tempo dell’efficienza tecnologica. Diversamente si può volgere solo
una parte della propria produzione in energia, in modo da assicurarsi l’autosufficienza energetica riducendo
notevolmente i costi e vendendo, occasionalmente piccole quantità di energia prodotta.
A questa seconda ipotesi, molto attraente, se ne può aggiungere una terza che prevede la produzione di energia
come un fattore accessorio destinato ad aumentare sì l’efficienza economica dell’azienda, ma anche e soprattutto a
costruire e a comunicare al cliente una filosofia più verde del processo produttivo. È il caso dell’agriturismo o delle
produzioni con alta valenza ambientale (biologico, chilometro zero) che possono aumentare il loro appeal
comunicando il basso livello di energia che il loro processo produttivo ha richiesto.
Sembra quindi che il vero valore aggiunto delle agro energie sia un’integrazione tra un settore tradizionale come
quello dell’agricoltura e uno d’innovazione proprio del mondo energetico.
Lo sviluppo del comparto agroenergetico non deve, quindi, far dimenticare ed abbandonare la principale vocazione
a cui è chiamata l’agricoltura, ossia quella di produrre generi alimentari per il sostentamento dell’uomo. Sarebbe un
controsenso ridurre la dipendenza dell’UE nel comparto energetico ed, invece, aumentarla in quello
agroalimentare, che, è bene non dimenticarlo, rappresenta uno dei settori strategici e di maggior rilievo, in
particolare per l’agricoltura italiana.
La stessa Politica Agricola Comune, infatti sostiene il ruolo delle “agro energie intelligenti” ossia quelle che non
entrano in conflitto con il settore alimentare, ma si integrano ad essa, utilizzano solo terreni marginali e sfruttano i
sottoprodotti dei lavori agricoli per produrre energia.
Per riassumere, quindi, si sta aprendo una nuova prospettiva di sostanziale cambiamento nella produzione agricola
che potrà permettere un’importante riqualificazione del settore primario. Non solo ma tutto lascia pensare che se
30
LO SCENARIO ECONOMICO
15 Questo quanto affermano i contenuti di un report commissionato dal Climate Institute Australiano.
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 30
le potenzialità troveranno una persistenza realizzativa, la nuova economia agro-energetica potrà diventare una sorta
di rivoluzione neoagricola, sostituendo al tradizionale ciclo terra-sole-vegetali, il nuovo ciclo terra-sole-vegetali ed
energia.
Lo sviluppo di filiere agroenergetiche e l’utilizzazione delle biomasse può rappresentare una ulteriore possibilità di
integrazione delle produzioni tradizionali con positive ripercussioni sull’economia ed in generale nella riqualificazione
del settore agricolo come attività volta alla tutela ambientale e al presidio del territorio.
D. LA TENDENZA ALLA DESTINAZIONE ENERGETICA DELLE AREE AGRICOLE
a cura di Corrado Truffi
INTRODUZIONE
L’articolo è diviso in tre parti. Nella prima si fornisce un quadro statistico ed evolutivo della tendenza alla
destinazione energetica delle aree agricole, limitatamente alla produzione fotovoltaica16, nel contesto più generale
della riduzione della superficie agricola utilizzata. Sulla base di alcune considerazioni sulle criticità e sulle
potenzialità dell’uso energetico del territorio, la seconda parte individua le linee di una possibile revisione delle
politiche incentivanti e la terza parte, più direttamente, suggerisce strategie e buone pratiche per le aziende
agricole che intendano dedicarsi anche alla produzione di energia.
L’analisi è realizzata, quando possibile, con particolare attenzione ai dati del Lazio.
LA TENDENZA ALLA RIDUZIONE DELLE AREE AGRICOLE
La sottrazione di territorio all’uso agricolo non è certo un’esclusiva degli impianti fotovoltaici. Anzi, come vedremo,
la diminuzione delle aree destinate all’agricoltura (la superficie agricola utilizzata, SAU), è un fenomeno ben più
pervasivo e rilevante, all’interno della quale lo spazio “rubato” dal fotovoltaico è ben poca cosa, del tutto
governabile e, anzi, potenzialmente capace di generare effetti positivi sul mondo agricolo.
Il grafico di Figura 1 fornisce un’immagine sintetica ed eloquente dell’accrescersi del consumo di suolo nel nostro
Paese: nei soli dieci anni dal 1990 al 2000 vi è stata una notevole riduzione della SAU (poco meno di 150.000 ettari),
e un aumento sia delle superfici artificiali (“cementificazione”), sia dei boschi e delle aree abbandonate. Se si tiene
conto che questo processo di spostamento negli usi del suolo è in corso fin dai primi anni ’60 e si è intensificato
31
LO SCENARIO ECONOMICO
16 In senso lato, anche la coltivazione di colture utilizzabili per la produzione di biocarburanti rientra nella “destinazione energetica” delle aree agricole. Tuttavia, tale uso, dal punto di vista dell’agricoltore, è del tutto analogo alla produzione agricola per l’alimentazione, salvo il diversissimo mercato di sbocco cui si riferisce. Altre possibili destinazioni direttamente energetiche possono essere quelle legate alla produzione di biomasse come sottoprodotto delle coltivazioni alimentari e/o del bosco e, ovviamente, la realizzazione di parchi eolici. A quest’ultimo riguardo si deve però osservare che la collocazione delle pale eoliche, in genere sopra i crinali delle colline, sebbene abbia un impatto ambientale molto significativo ed un ingombro notevole, difficilmente è in competizione diretta con l’uso agricolo del suolo. E, in ogni caso, se si esclude il mini-eolico che costituisce per ora più una curiosità che un vero metodo produttivo, la dimensione efficiente di una wind farm è tale da escludere, nella stragrande maggioranza dei casi, che possa essere considerata fra le opzioni produttive alla portata di un imprenditore agricolo.
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 31
ulteriormente nell’ultimo decennio, appare chiaro come sia in atto, in Italia, un evidente fenomeno di abbandono
della terra. Da notare inoltre, come testimonia il confronto fra la variazione 1990-2000 e la variazione 2000-2006,
che negli ultimi anni, la riduzione della SAU in Italia avviene non più a favore delle superfici artificiali o
dell’aumento delle zone boschive e seminaturali, ma solo a favore delle zone artificiali.
I due grafici in figura mostrano anche i dati del Lazio che, come si vede, sono sostanzialmente in linea con quelli
nazionali. La differenza abbastanza evidente è fra i due periodi, nel primo dei quali il Lazio vedeva un tasso di
crescita dei suoli artificiali inferiore a quello medio italiano, mentre nel secondo il tasso laziale ha superato quello
italiano.
Figura 1
L’analisi di queste variazioni evidenzia un fenomeno globale che, per essere apprezzato, può essere ulteriormente
analizzato con l’aiuto della Tabella 1. L’aumento della superficie artificiale è pari, in percentuale, ad oltre il 6% nel
decennio 1990, e al 3,4% fra il 2000 e il 2006. In altre parole, dal 1990 al 2006 la superficie artificiale è cresciuta
ogni anno di poco meno dello 0,6%.
Con riferimento al Lazio, si può inoltre vedere che le aree artificiali, che rappresentavano nel 1990 il 5,5% della
superficie totale, nel 2006 erano cresciute al 6,1%, mentre le aree agricole passavano dal 57,3% al 56,8%.
In termini assoluti, in Italia si tratta di 1.400 km2 di superficie agricola persa negli anni ’90, e di altri 400 km2 persi
nella prima metà degli anni 2000. I corrispondenti valori nel Lazio sono di poco più di 40 e di 30 km2.
32
LO SCENARIO ECONOMICO
-1,0%
0,0%
1,0%
2,0%
3,0%
4,0%
5,0%
6,0%
7,0%
8,0%
zone umide e corpi idrici
aree boschive e seminaturali
aree agricole
aree artificiali
-1,0%
0,0%
1,0%
2,0%
3,0%
4,0%
5,0%
6,0%
7,0%
8,0%
zone umide e corpi idrici
aree boschive e seminaturali
aree agricole
aree artificiali
VARIAZIONE NEL’USO DEL SUOLO IN ITALIA E NEL LAZIO SECONDO IL MODELLO CORINE LAND COVER
2000 - 1990 2006 - 2000
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 32
Tabella 1
Fonte: elaborazione su dati ISPRA, Indagini Corine Land Cover 2000, 2000 rev, 200617
Di fronte a questa riduzione della SAU e alla crescente disponibilità di aree abbandonate, ci si può chiedere, allora,
se non sia un’opportunità da cogliere quella di utilizzare la terra per fare altro: non per cementificare, non per uso
agricolo ma – appunto – per produrre energia.
La domanda successiva è però più scabrosa: quale terra si finisce per utilizzare per produrre energia?
Proviamo ad avvicinarci alla risposta ritornando ai dati.
33
LO SCENARIO ECONOMICO
ITALIA USO DEL SUOLO IN km2
AREE ARTIFICIALI AREE AGRICOLE AREE BOSCHIVE ZONE UMIDEE SEMINATURALI E CORPI IDRICI
Anno 1990 13.422,90 157.839,00 126.174,80 3.942,90Anno 2000 14.246,30 156.406,10 126.773,10 3.951,40Anno 2006 14.865,70 157.231,00 125.288,20 3.839,50
DifferenzeDifferenze in ha 2000-1990 82.345,87 -143.298,08 59.920,91 1031,30Differenze in ha 2006-2000 rev 48.216,00 -40.213,00 -10.524,00 2524,00Differenze in % 2000-1990 6,1% -0,9% 0,5% 0,3%Differenze in % 2006-2000 3,4% -0,3% -0,1% 0,6%
Distribuzione percentualeAnno 1990 4,5% 52,4% 41,9% 1,3%Anno 2000 4,7% 51,9% 42,1% 1,3%Anno 2006 4,9% 52,2% 41,6% 1,3%
LAZIO USO DEL SUOLO IN km2
Anno 1990 951,80 9.861,70 6.129,50 265,20Anno 2000 993,90 9.819,40 6.129,50 265,50Anno 2006 1.041,30 9.770,50 6.122,90 259,70
DifferenzeDifferenze in ha 2000-1990 4.212,65 -4.233,69 -5,96 27,00Differenze in ha 2006-2000 rev 3.577,00 -3.354,00 -229,00 7,00Differenze in % 2000-1990 4,4% -0,4% 0,0% 0,1%Differenze in % 2006-2000 3,6% -0,3% 0,0% 0,0%
Distribuzione percentualeAnno 1990 5,5% 57,3% 35,6% 1,5%Anno 2000 5,8% 57,1% 35,6% 1,5%Anno 2006 6,1% 56,8% 35,6% 1,5%
17 I dati 2000 sono stati soggetti ad una revisione per renderli confrontabili ai dati 2006, dato che la metodologia di rilevazione ha subito delle modifiche. Per questo motivo, i confronti 1990-2000 non sono direttamente comparabili a quelli 2000 (rev)-2006. In pratica, non è possibile fare un confronto 1990-2006. Queste difformità di costruzione dei dati, tuttavia, non modificano la sostanza delle tendenze in atto.
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 33
Tabella 2
Fonte: elaborazioni su dati Istat
Due indagini, una risalente alla fine degli anni ’80 e molto accurata, l’altra immediatamente successiva al
censimento agricolo del 2000, hanno consentito di fotografare i dati sull’uso del suolo in Italia con una certa
precisione. La Tabella 2 evidenzia come, nel 2000, quasi 23.000 km2 erano classificati come terreni marginali e
coperture18.
LA TENDENZA ALLA DESTINAZIONE ENERGETICA DELLE AREE AGRICOLE COME CASO PARTICOLARE
DELLA TENDENZA ALLA RIDUZIONE DELLE AREE AGRICOLE
I DATI
In attesa dei risultati che potranno derivare dal nuovo censimento agricolo, e tenendo conto della costanza della
tendenza alla riduzione della SAU, possiamo quindi essere certi che oggi, nelle aziende agricole italiane, ci sono
almeno 23.000 km2 potenzialmente utilizzabili (e magari in piccola parte già utilizzati) per l’istallazione di impianti
fotovoltaici.
Chiediamoci: quanta energia si potrebbe produrre se una parte di questi terreni fosse utilizzata in tal modo? Naturalmente,
non è pensabile che tutta questa superficie sia effettivamente utilizzabile, per collocazione, per insolazione non
ottimale, per inaccessibilità (è pur sempre necessario collegare i pannelli alla rete elettrica). E tuttavia, è facile
scoprire che se anche solo un 10% di questo spazio fosse utilizzato per produrre energia fotovoltaica, si arriverebbe
a coprire circa la metà dell’attuale produzione di energia elettrica italiana (302 TWh di produzione lorda secondo i
dati Terna 2010)19:
34
LO SCENARIO ECONOMICO
TIPO DI USO DEL SUOLO NEL 2000 IN ITALIA ESTENSIONE (km2) QUOTA PERCENTUALE
Aziende agricole 226.200 75,1 %di cui: Superficie Agricola Utile (SAU) 158.340 52,5 %
Seminativi 88.037 29,2 %Coltiv. legnose permanenti 28.976 9,6 %Prati e pascoli permanenti 41.327 13,7 %
Boschi 45.240 15,0 %Terreni marginali e coperture 22.620 7,5 %
Resto del territorio (totale aree non utilizzabili a fini agricoli) 75.138 24,9 %
Totale 301.338 100,0 %
18 Esistono, essenzialmente, due diverse fonti di dati per la classificazione del suolo: la classificazione basata sul modello Corine Land Cover, curata dall’Ispra, e la classificazione Istat delle superfici delle aziende agricole utilizzata per il censimento. Sebbene le due classificazioni non siano immediatamente confrontabili ed abbiano scopi diversi, ai fini di questo articolo esse possono essere utilizzate in combinazione: i dati che forniscono, infatti, sono del tutto concordi in termini degli ordini di grandezza rilevanti per il confronto fra spazi agricoli e fabbisogno di spazio per gli impianti fotovoltaici.
19 Il calcolo della produzione annua per m2 è tratto da Domenico Coiante, Fotovoltaico e Territorio, pubblicato sul sito di Aspo Italia all’indirizzo http://www.aspoitalia.it/attachments/273_FOTOVOLTAICO%20E%20TERRITORIO_coiante.pdf. Sinteticamente, la valutazione di 75KWh per m2 deriva da una valutazione di efficienza dei pannelli dell’11%, abbastanza prudenziale, e da un fattore di occupazione del suolo di 2,5 per ciascun m2 di pannello effettivo (per tenere conto degli spazi necessari ad ottenere l’insolazione ottimale in un impianto a terra, nonché degli spazi di servizio).
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Tabella 3
Fonte: elaborazioni su dati Istat
Chiediamoci anche: quanta superficie occupa effettivamente, oggi, il fotovoltaico? La Tabella 4 fornisce qualche
indicazione, utilizzando i dati della produzione da fotovoltaico del 2010 ed applicandovi la stima di occupazione
media del suolo (produzione media per m2) della precedente tabella. Come appare evidente, anche considerando
tutti i pannelli fotovoltaici (installati al suolo o sui tetti, in zone urbane o agricole), l’ingombro in termini di km2
risulta piuttosto esiguo. Ad esempio, i 25 km2 occupati in Italia sono ben poca cosa, se confrontati con i 400 km2 di
superficie agricola persa dal 2000 al 2006. Ed infatti, il peso percentuale sulla superficie totale disponibile è
altrettanto esiguo, come indica l’ultima colonna della tabella.
Insomma, abbiamo due risultati piuttosto sorprendenti, che sembrano contraddire in radice tutti i discorsi circa la
competizione dei pannelli solari con l’uso agricolo del suolo, e anche circa gli svantaggi paesaggistici che ne
deriverebbero: se, come dimostrano i dati, basterebbe usare un 10% dei terreni marginali per contribuire alla metà del
fabbisogno elettrico italiano, dove sta il problema? E se, come anche in questo caso attestano i dati, il processo di riduzione
della superficie agricola ha motivazioni in larghissima misura indipendenti dall’utilizzo per la produzione di energia
fotovoltaica, perché preoccuparsi?
Il problema, invece, esiste, ma è diverso da quello di cui si tende a puntare l’attenzione. Non si tratta di una
questione di limite assoluto o di competizione fra usi diversi del suolo, ma di pianificazione e buon governo delle
risorse.
Per capirlo, approfondiamo i dati sul fotovoltaico in Italia e, in particolare, nelle province del Lazio.
Tabella 4
Fonte: elaborazione su dati GSE, Istat e Coiante (cit.)
Innanzitutto, il grafico di Figura 2 permette di apprezzare la vera e propria esplosione del numero e della potenza
installata negli ultimi anni (che va comunque osservata tenendo conto che i valori di partenza erano molto bassi).
35
LO SCENARIO ECONOMICO
Produzione annua per m2 75 KWhTerreni marginali e coperture 22.620 km2
Quota effettivamente utilizzabile 10 %Terreni marginali e coperture effettivamente utilizzabili 2.262 km2
Produzione annua potenziale 170 TWh
PRODUZIONE PRODUZIONE STIMA km2 PESO % SULLAFOTOVOLTAICA 2010 GWh UTILIZZATI MEDI SUPERFICIE TOTALE
Lazio 152,10 2,03 0,012 %Frosinone 10,10 0,13 0,004 %Latina 25,00 0,33 0,015 %Rieti 2,40 0,03 0,001 %Roma 40,20 0,54 0,010 %Viterbo 74,40 0,99 0,027 %
Italia 1.905,70 25,41 0,008 %
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 35
Figura 2
La Figura 3 ci aiuta ad analizzare la dimensione media degli impianti (che è cresciuta negli ultimi anni). Come si
vede, gli impianti fotovoltaici sono mediamente più grandi al sud che al nord. Il Lazio, con i suoi 28,5 MW per
impianto, si presenta con un dato leggermente superiore alla media nazionale, di 22,2 KW per impianto.
Figura 3
36
LO SCENARIO ECONOMICO
0
20000
40000
60000
80000
100000
120000
140000
160000
180000
2007 2008 2009 2010
Num
ero
impi
anti
0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
70000
80000
Pote
nza
inst
alla
ta (K
W)
NumeroKW
21,611,5
16,018,7
16,210,5
8,725,1
15,219,6
31,928,5
20,630,3
21,170,6
30,216,2
19,513,3
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0
PiemonteValle
LombardiaTrentinoVeneto
FriuliLiguriaEmilia
ToscanaUmbriaMarche
LazioAbruzzo
MoliseCampania
PugliaBasilicataCalabria
SiciliaSardegna
TAGLIA MEDIA IN KW
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I prossimi due grafici, analizzati insieme, evidenziano come l’uso del terreno per l’impianto di pannelli fotovoltaici non
si associa alla presenza delle aziende agricole come attori dell’imprenditoria fotovoltaica. Detto in altri termini, sebbene
gli impianti a terra siano una tipologia particolarmente diffusa proprio nel Lazio (e in Puglia), l’analisi del settore
merceologico dei soggetti che gestiscono tali impianti mostra una netta prevalenza del settore industriale e una
presenza assai limitata dell’imprenditoria agricola.
Figura 4
37
LO SCENARIO ECONOMICO
1252
15666
12242
5113
5132
6844
254
2041
924
3752
1.041
592
13885
8632
780
3812
2237
184
2548
817
3129
763
821
7819
12520
3175
4928
92163
249
39594
3318
8720
1.666
0% 20% 40% 60% 80% 100%
PiemonteValle díAosta
LombardiaTrentinoVeneto
FriuliLiguria Emilia
ToscanaUmbriaMarche
Lazio Abruzzo
Molise Campania
Puglia Basilicata Calabria
Sicilia Sardegna
Italia
Integrato ParzialmenteA terra
481
5644
3322
2102
19724
15728
486
1027
26521
1492
18677
19826
5182
7046
12116340
834
56034
2780
402.047
271
5620
2693
3619
820
345
428
417
820
9382
431
7427
7335
544
2912
1832
152
1534
514
3027
521
0% 20% 40% 60% 80% 100%
Agricoltura Industria Terziario Domestico
PiemonteValle d’Aosta
LombardiaTrentinoVeneto
FriuliLiguria Emilia
ToscanaUmbriaMarche
Lazio Abruzzo
Molise Campania
Puglia Basilicata Calabria
Sicilia Sardegna
Italia
IMPIANTI FV 2010 PER TIPO DI INTEGRAZIONE ARCHITETTONICA - VALORI IN MW
IMPIANTI FV 2010 PER SETTORE - VALORI IN MW
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 37
Per interpretare adeguatamente tale fenomeno occorrerebbe, evidentemente, disporre di ulteriori dati di dettaglio, in
particolare sul tipo di superficie a terra effettivamente utilizzata e sulla sua classificazione dal punto di vista dell’uso
del suolo. Tuttavia, non si è certamente lontani dal vero se si arguisce che la cessione di aree dall’agricoltura al
fotovoltaico, nella misura in cui è avvenuta, nel Lazio si associa non ad una diversificazione dell’attività dell’imprenditore
agricolo, quanto più semplicemente ad uno spostamento di attività verso il settore industriale. Si confronti, a tale
proposito, sempre in Figura 4, la situazione di Emilia Romagna e Trentino Alto Adige dove, pur in presenza di un
minor peso degli impianti a terra, il ruolo dell’agricoltura è decisamente più rilevante.
La situazione settoriale del Lazio, peraltro, deriva da una distribuzione del peso del settore agricolo nella
produzione fotovoltaica piuttosto differente a seconda delle province: come mostra la Figura 5, l’agricoltura
contribuisce in modo significativo solo nelle province di Latina e Frosinone, con Rieti appena sotto la media
nazionale, mentre Viterbo e Roma hanno potenze “agricole” installate estremamente ridotte.
Figura 5
GLI ASPETTI NEGATIVI DEL FENOMENO
Proviamo a trarre qualche conclusione dai dati esaminati, affrontando prima gli aspetti negativi del fenomeno
dell’utilizzazione energetica della superficie agricola. In linea generale, si possono individuare due fattori critici:
• In primo luogo, la tendenza all’uso di terreni agricoli per gli impianti fotovoltaici s’inserisce in una più
generale tendenza alla riduzione della superficie agricola utilizzata, che ha molteplici e complesse
motivazioni di lungo periodo; è quindi assai probabile che l’opportunità economica di utilizzare la terra per
produrre energia sia un fattore il quale può contribuire a rafforzare ulteriormente questa tendenza negativa.
• In secondo luogo, in particolare nel Lazio l’uso energetico del terreno non sembra essere colto come
un’opportunità di diversificazione e integrazione del reddito da parte di aziende che mantengono comunque
la propria vocazione agricola, ma si sostanzia nella pura e semplice cessione o trasformazione dell’attività.
38
LO SCENARIO ECONOMICO
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Lazio
Frosinone
Latina
Rieti
Roma
Viterbo
Italia
DISTRIBUZIONE PER POTENZA INSTALLATA IN MW 2010
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 38
LE CONTROMISURE DELLE AMMINISTRAZIONI LOCALI
Le contromisure adottate da molte amministrazioni locali, che hanno emanato regolamenti per la corretta
applicazione dei contributi del conto energia, sono quasi sempre orientate alla salvaguardia degli aspetti
paesaggistici. Ciò sia con riferimento al fotovoltaico con integrazione architettonica, sia con riferimento agli
impianti a terra. Notevole attenzione (e spiccati atteggiamenti Nimby20) si concentra poi sull’installazione dei parchi
eolici e degli impianti fotovoltaici di maggiore dimensione.
Per quanto riguarda l’uso dei terreni agricoli, già la norma incentivante contiene dei vincoli che dovrebbero limitare
la possibilità, per ciascuna impresa, di trasformare la destinazione d’uso da agricola a fotovoltaica21. Tuttavia, la
definizione di “terreni abbandonati da almeno cinque anni”, da certificare a seconda delle norme vigenti in
ciascuna Regione, apre il fianco all’interpretazione e ad un facile scavalcamento dei criteri. Inoltre, tale definizione
invita in un certo senso a percorrere un modello a due fasi che si autoalimenta: abbandono della terra in vista del
futuro riuso fotovoltaico.
PER UNA POLITICA ATTIVA DELL’ENERGIA AGRICOLA
Allargando lo sguardo, quindi, si può dire che le contromisure sono da un lato insufficienti ad arginare un fenomeno
che ha solide motivazioni economiche (l’abbandono della terra a favore di attività più profittevoli nelle condizioni
date del mercato agricolo) e dall’altro si dimostrano in una certa misura anche miopi, in quanto rivolte a contrastare
non l’abbandono delle terre ma semplicemente la produzione di energia solare, che ha anche un valore positivo per
la comunità.
Come abbiamo visto prima, del resto, il sorprendente risultato della Tabella 3 sulla potenzialità produttiva dei
terreni marginali, ci suggerisce che il rapporto fra fotovoltaico ed agricoltura potrebbe/dovrebbe essere non di
sostituzione e competizione, ma di coordinamento e reciproco vantaggio: un gioco win-win che avvii una vera e
propria politica attiva dell’energia agricola: l’imprenditore agricolo come attore del cambiamento e gestore
consapevole delle trasformazioni.
L’IMPRESA AGRICOLO-ENERGETICA
Proviamo dunque a immaginare l’impresa agricolo-energetica come un modello vincente dal punto di vista
economico ma, anche, sostenibile da punto di vista dell’impatto ecologico e paesaggistico.
39
LO SCENARIO ECONOMICO
20 Not in my back yard (non nel mio giardino)21 Dalle FAQ del sito GSE: A quali condizioni gli impianti collocati a terra in aree agricole possono accedere alle tariffe
incentivanti? Gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole possono accedere alle tariffe incentivanti a condizione che:a) la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MWb) nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 kmc) non sia destinato all’installazione degli impianti più del 10% della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente/soggetto responsabileTali limiti non si applicano:• ai terreni abbandonati da almeno cinque anni• agli impianti che hanno conseguito il titolo abilitativo entro il 29 marzo 2011, o per i quali sia stata presentata richiesta per
il conseguimento del titolo entro il primo gennaio 2011 a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro il 29 marzo 2011.
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In primo luogo, gli incentivi alla produzione fotovoltaica sono una grande opportunità soprattutto se non si
sostituiscono ma completano il core business dell’azienda agricola. Infatti, il modo migliore di “fare” produzione
fotovoltaica su media scala può essere tratteggiato dagli elementi seguenti.
1. Usare quel che si spreca (tetti dei capannoni, delle stalle, interstizi di terreno marginale, zone poco
fertili, bordi di strade)
2. Saper gestire il territorio dedicato ai pannelli, anche qualora si fosse deciso, sulla base di un ragionevole
calcolo economico, di sottrarre una quota di spazio alla coltivazione:
• i pannelli fotovoltaici, anche di un campo solare di vaste proporzioni, sono strutture relativamente leggere
che non richiedono opere infrastrutturali fisse;
• quindi, possono essere collocati su pali senza cementificazione del terreno, e possono essere posti ad altezze
sufficienti per consentire la crescita dell’erba e perfino di alcune colture al di sotto;
• pannelli fotovoltaici e pastorizia sono dunque perfettamente compatibili;
• non solo: autorevoli studi tedeschi22 dimostrano che l’installazione di campi fotovoltaici, liberando alcune
zone dalla coltura intensiva, favorisce il recupero di biodiversità;
• per tale via, nel medio periodo si ottiene un vantaggio per l’equilibrio del territorio rendendo più adatta la
zona per lo sviluppo dell’agricoltura biologica o basata sulla lotta integrata;
• il maggior valore aggiunto realizzabile con i prodotti biologici, quindi, può essere un ulteriore driver positivo
del matrimonio fra produzione energetica ed agricoltura.
3. Avere il coraggio di innovare e sperimentare soluzioni nuove per la gestione non invasiva del territorio e del
paesaggio:
• si avranno meno problemi di autorizzazione, eventuali contestazioni, e ci si sarà mossi in una direzione
aperta a ulteriori sviluppi, dato che una buona integrazione paesaggistica è la condizione per altre direzioni
di diversificazione dell’imprenditoria agricola, come l’agriturismo;
• sarà possibile dotarsi più facilmente di tecnologie agricole utili quali pompe, impianti di irrigazione, da
alimentare con parte della produzione energetica resa disponibile dal parco solare.
4. Individuare, in funzione della dimensione della propria azienda e del potenziale di autoconsumo della
produzione energetica ottenibile, il modello di produzione più adeguato:
• Scambio sul posto, in genere in caso di taglie produttive medio piccole23;
• Ritiro dedicato, quando l’estensione del campo solare diventa rilevante, ma l’attenzione resta concentrata
sull’attività agricola e il reddito da fotovoltaico costituisce un utile complemento cui affidarsi senza
richiedere una gestione complessa24;
• Vendita diretta sul mercato elettrico, solo quando le dimensioni crescono e la competenza sul business
dell’energia è consolidata.
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LO SCENARIO ECONOMICO
22 German Renewable Energies Agencies - Solar Parks – Opportunities for Biodiversity, December 201023 Lo scambio sul posto è un meccanismo che consente, in generale, di immettere in rete l’energia elettrica prodotta ma non
immediatamente autoconsumata, per poi prelevarla in un momento successivo per soddisfare i propri consumi.
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5. Saper utilizzare il miglior metodo di finanziamento e/o cercare collaborazioni d’affari:
• Farsi finanziare dal sistema bancario, valutando la persistenza di un ritorno d’investimento positivo: molte
banche offrono linee di credito specializzate;
• Affittare lo spazio a un’impresa specializzata, che pensi all’installazione e alla gestione nel primo periodo
dell’impianto;
• Puntare sulla produzione congiunta di energia da solare e biomasse (animali o vegetali): in questo quadro,
un’azienda agricola interessata potrebbe, ad esempio, provare ad esplorare le opportunità dell’accordo
Coldiretti - Enel Green Power recentemente stipulato25.
CONCLUSIONE
Come si è visto, la tendenza alla destinazione energetica delle aree agricole è in una certa misura inevitabile, in
quanto iscritta in un più vasto processo di abbandono delle terre.
Eppure paradossalmente questa tendenza, se ben utilizzata, potrebbe essere trasformata proprio in un’opportunità
per invertire il processo di riduzione delle superfici agricole utilizzate e di abbandono dell’attività agricola: in fondo,
è la prima occasione tecnologica significativa che si presenta agli agricoltori per realizzare una produzione congiunta
(energia più prodotti agricoli) che consenta di recuperare redditività per le loro aziende.
Anche la questione della tutela del paesaggio e della conservazione all’uso agricolo dei terreni più fertili è un
problema che potrebbe essere portato facilmente a soluzione: certo, se c’è incapacità di governare il territorio da
parte delle amministrazioni, se c’è scarsa consapevolezza di questi problemi da parte di alcuni imprenditori, o
addirittura atteggiamenti di “rapina” del territorio, è chiaro che si finisce per far danni anche gravi. E tuttavia, vi
è tutto lo spazio fisico necessario a sviluppare un’imponente produzione fotovoltaica in terreni marginali e su
superfici artificiali.
In fondo, sarà solo la nostra capacità di far bene, come singoli e come collettività, che determinerà un destino
virtuoso o, al contrario, distruttivo dell’avventuroso matrimonio fra agricoltura ed energia.
FONTI PRINCIPALI
GSE, Rapporto Statistico 2010 - Solare Fotovoltaico.
ISPRA, Annuario dei dati ambientali 2010.
ISTAT, Annuario delle statistiche ambientali 2009.
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LO SCENARIO ECONOMICO
24 Il ritiro dedicato si configura come una vera e propria vendita indiretta dell’energia elettrica immessa nella rete, attraverso l’intermediazione di GSE che ne semplifica la procedura e la gestione.
25 L’accordo è recente e quindi certamente ancora in fase di rodaggio. Dovrebbe comunque offrire opportunità interessanti per le aziende agricole.
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E. LA DINAMICA DEI VALORI FONDIARI
a cura di Bernardo Minocci
IL MERCATO FONDIARIO
Il mercato fondiario si contraddistingue come un mercato largamente imperfetto in cui il meccanismo di
formazione del prezzo si discosta dalle condizioni necessarie del mercato perfetto.
La genesi dei valori fondiari si spiega in ragione delle peculiarità del bene fondiario, un bene difficilmente
surrogabile e disomogeneo, in quanto non vi è una porzione di suolo perfettamente identica ad un’altra. Il mercato
di riferimento che si viene a generare è pertanto strutturalmente distante dalla condizione di mercato
perfettamente concorrenziale in quanto la limitatezza della risorsa suolo non lo rende accessibile a tutti gli
operatori.
Il mercato fondiario è caratterizzato da ridotta trasparenza vista la riservatezza delle contrattazioni, dai costi elevati
per i lunghi tempi di contrattazione e per l’intervento di intermediari, con un grado limitato di attività in quanto la
superficie compravenduta annualmente risulta pari a circa 1-2% di quella totale.
L’elemento che distingue il mercato di concorrenza perfetta rispetto ad altre forme di mercato è l’unicità del prezzo
che si determina dall’azione congiunta dell’imprese e dei consumatori. Tali componenti operano in una condizione
di polverizzazione della domanda e della offerta non potendo pertanto influenzare con le loro decisioni la
formazione del prezzo di mercato.
In un mercato di concorrenza perfetta l’impresa non può assolutamente variare il prezzo, ma lo subisce “Price
Taker” e lo assume come vincolo. Il mercato fondiario si presenta generalmente frazionato in una molteplicità di
operatori e nella maggior parte dei casi non appare ammissibile che un soggetto, sia esso compratore o venditore,
riesca a influenzare il prezzo di mercato, né tanto meno a stabilirlo in maniera libera.
Vi possono essere tuttavia casi in cui il bene presenta caratteristiche tali da limitare il numero dei possibili soggetti
interessati allo scambio, il mercato può allora avvicinarsi all’oligopolio (quando la proprietà degli immobili e
concentrata in poche mani) e/o monopsonio (i potenziali acquirenti di un bene immobile possono essere assai pochi
o addirittura uno solo).
Tuttavia tali situazioni sul versate della domanda e dell’offerta non sono riconducibili alla natura strutturale del
mercato, quanto a situazioni contingenti.
I FATTORI CHE INFLUENZANO I VALORI FONDIARI
Il sistema economico che ha caratterizzato e tuttora caratterizza la crescita dei paesi occidentali ha determinato un
ridimensionamento del settore agricolo in termini economici e occupazionali rispetto agli altri settori produttivi.
Le dinamiche dei valori fondiari risiedono nella trasformazione in atto nel sistema “agricoltura”, a sua volta
condizionato dalle politiche economiche e sociali degli stati, ma anche dalle congiunture economiche al di fuori del
settore agricolo che determinano particolari segmenti di mercato con dinamiche assolutamente diverse tra loro.
I valori fondiari dei terreni agricoli sono influenzati da fattori di derivazione socio-economica, tra i quali è
annoverabile l’andamento demografico e dell’economia locale, le disposizioni normative e agevolative riguardanti
la proprietà fondiaria, la pianificazione territoriale, l’attuazione delle politiche agrarie. I fenomeni relativi al mercato
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LO SCENARIO ECONOMICO
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fondiario traggono perciò origine da cause sia di tipo endogeno, cioè all’interno dell’agricoltura, sia di tipo esogeno,
dovuto al comportamento di operatori non agricoli (Brizi 1958).
La conseguente domanda di terra che si viene a generare è plurima e finalizzata a soddisfare diversi tipi di bisogni.
La terra è il principale fattore produttivo in agricoltura. La ricerca di beni fondiari ad esclusiva destinazione agricola
genera una domanda proveniente in prevalenza da agricoltori che puntano alla capacità del bene fondiario di
generare reddito agricolo e di accedere al credito nel lungo periodo.
I valori immobiliari che scaturiscono da tale tipo di mercato dipendono essenzialmente dalle caratteristiche
intrinseche ed estrinseche dei fondi, come la collocazione climatica e territoriale, la fertilità, la vocazione agricola
della zona, i piani e i vincoli territoriali vigenti. Nella fattispecie prevalgono analisi legate al reddito agricolo
conseguente dall’andamento dei principali mercati dei prodotti agricoli e agli indirizzi di politica agraria adottati.
Un altro tipo di domanda a tratti sovrapposta e collegata alla prima dipendente dalla destinazione d’uso del fondo,
anche solo potenzialmente, alternativa a quella agricola come quella legata alle attività industriali e commerciali,
agli usi turistici, residenziali e ricreativi, alle infrastrutture. Allora le caratteristiche della domanda sono più
frammentate e i valori della terra non risultano più definiti in base a parametri di redditività dell’attività agricola.
Tale fenomeno è ben evidenziato, non soltanto nelle periferie dei centri urbani dove la rendita edilizia crea
fortissime tensioni sul mercato dei terreni agricoli, ma anche in quelle aree dove lo sviluppo economico diffuso e
non programmato ha creato una commistione negli usi del suolo (Merlo, 1980).
Infine, il bene fondiario per le sue peculiarità di bene immobile è comunque considerato in particolari momenti di
congiuntura economica un “bene rifugio” nel quale investire i propri risparmi. In questi casi il valore di mercato
che si viene a determinare dipende dall’azione congiunta di operatori agricoli ed extra-agricoli. I beni fondiari sono
oggetto di investimento per il risparmiatore in quanto sono dei beni a “fecondità ripetuta”, non esauribili con un
solo ciclo produttivo, in grado di generare un reddito in maniera continuativa e con una esigua manutenzione.
L’insieme di queste tipologie di domanda che si vengono a generare per i beni fondiari determina un mercato di
riferimento non sempre facilmente decifrabile. In un prossimo futuro le dinamiche dei valori fondiari in Europa
saranno largamente influenzate dall’obiettivo di preservare lo stato di “fertilità” dei terreni agricoli e di destinarli
alla coltivazione di derrate alimentari, visto il crescente aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.
Tutto ciò è ancora più importante se si pensa che, a livello europeo, le superfici adatte all’agricoltura diminuiranno
presumibilmente di 20 milioni di ettari nel 2030. Tale decremento è ascrivibile allo sviluppo urbano che sottrae
aree all’agricoltura, per la destinazione dei terreni agricoli a colture energetiche o ad impianti fotovoltaici e per la
naturalizzazione delle superfici agricole già esistenti.
Su scala mondiale l’emergenza alimentare connessa al previsto aumento della popolazione mondiale, che passerà
entro il 2050 da sei a nove miliardi di persone, sembra essere il fattore che maggiormente inciderà sull’accaparramento
di terra da destinare alle coltivazioni agricole, soprattutto in quei paesi ad elevata crescita demografica, come la
Cina, deficitari di materie prime agricole.
L’ANDAMENTO DEL MERCATO FONDIARIO IN EUROPA E IN ITALIA
Le tendenze del mercato fondiario in Italia sono verificate annualmente e a partire dagli anni cinquanta dalle indagini
di mercato svolte dall’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) e pubblicate sull’Annuario dell’agricoltura
italiana.
43
LO SCENARIO ECONOMICO
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L'indagine consente di fornire in maniera sintetica la situazione del mercato fondiario italiano mediante
l'elaborazione di prezzi medi della terra e di indici su base regionale. I valori fondiari sono riferiti a 5 tipi di coltura
(seminativi, prati e pascoli, frutteti e agrumeti, oliveti e vigneti) rilevati a livello provinciale con suddivisione per
zona altimetrica.
Per meglio evidenziare la variabilità del valore della terra sono riportati anche i valori (medi) minimi e massimi
rilevati in specifiche regioni agrarie. I valori così ottenuti sono da considerarsi indicativi dell'evoluzione in atto nel
mercato fondiario. Lo studio in oggetto così come pubblicato dall’INEA ha evidenziato nel periodo di riferimento
1992-2010 una crescita costante dei valori fondiari in termini nominali.
In tale periodo il prezzo della terra è aumentato di circa il 22% con i vigneti che segnano, anche se con variazioni
differenziate, la crescita maggiore +28%, seguiti dai seminativi +25%, mentre in ultima posizione si trovano i terreni
investiti a frutteto, oliveto e prato-pascolo che incrementano il loro valore del al 7-10%. Inoltre i valori medi dei
terreni manifestano differenze sostanziali nelle diverse aree geografiche e zone altimetriche di ricadenza.
Nel sud Italia nessun valore medio supera i 16.000 euro per ettaro, mentre valori medi intorno ai 20.000 euro per ettaro
si riscontrano nelle aree di pianura del Centro Italia. Nelle regioni settentrionali la maggior parte dei prezzi medi è
superiore ai 20.000 euro, con un massimo di 44 mila euro per ettaro di terreno di pianura nel Nord-Est (Figura 1).
Figura 1
Fonte: INEA, Banca dati dei valori fondiari
L’analisi dei dati riferiti all’anno 2010 ha evidenziato che in Italia il valore medio della terra è pari 18.400 euro/ha,
più che in Germania (13.000 euro/ha) e in Francia (6.000 euro/ha) ma meno che in Danimarca e Olanda (oltre
30.000 euro/ettaro). Il suo valore rimane stabile nel confronto con l'anno precedente (18.000 euro/ettaro) anche se
non è uniformemente distribuito su tutta la Penisola variando fino al 150% da Sud a Nord (Tabella 1).
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LO SCENARIO ECONOMICO
0
5.000
10.000
15.000
20.000
25.000
30.000
35.000
40.000
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Media Italia Nord-ovest Nord-est Centro Meridione Isole
ANDAMENTO DEI VALORI FONDIARI
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Tabella 1
Fonte: INEA, Banca dati dei valori fondiari.
NB: I dati presenti in questa tabella non sono confrontabili con quelli pubblicati negli anni precedenti a seguito di un
aggiornamento della banca dati dei valori fondiari.
Il maggior valore dei terreni nelle regioni settentrionali (valori medi superiori a 25.000 euro/ettaro) rispetto a quelli
del Centro-Sud (valori medi prossimi a 10.000 euro/ettaro) è congiunto alla maggiore redditività della terra, ma
anche alla presenza di importanti infrastrutture e di dinamiche economiche locali positive.
Inoltre la maggiore disponibilità economica degli investitori del Nord porta gli stessi ad allocare i propri risparmi
nel mercato immobiliare rurale. Per quanto riguarda gli imprenditori agricoli professionali, la difficoltà di accesso
al credito continua a rappresentare un motivo di stagnazione delle attività di compravendita, che in considerazione
della reale produttività delle colture agricole sono orientati ad ampliare la disponibilità fondiaria attraverso l’affitto
dei terreni, considerato più flessibile rispetto all’oneroso indebitamento derivante dall’accensione di un mutuo.
Di certo, le conseguenze della crisi economica hanno un peso rilevante sulle decisioni di investimento. Rimane
invece maggiormente attivo il mercato dei terreni più fertili e meglio collegati, e quelli destinati a colture di pregio.
Le superfici in affitto o gestite a titolo gratuito sono in costante aumento nell’ultimo decennio (+56%) e nel 2010
hanno raggiunto il 39% della Superficie agricola utile totale.
Come per il mercato delle compravendite anche quello degli affitti è più dinamico nel Nord Italia, nella fattispecie
nel Nord-Ovest, dove la domanda supera l’offerta, con canoni che tendono al rialzo anche nel caso di terreni da
destinare alle colture energetiche. Nelle zone del Centro-Sud la situazione è stabile mentre al meridione è
aumentata la sottoscrizione di contratti di breve o brevissima durata.
Per il futuro, lo studio dell’INEA prevede un’evoluzione dei prezzi degli affitti legata alla recente ripresa dei prezzi
agricoli; la crescente domanda di terreni da destinare a colture energetiche potrebbe determinare fenomeni
speculativi sulle quotazioni dei canoni, sia nei casi del biogas che del fotovoltaico.
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LO SCENARIO ECONOMICO
EVOLUZIONE DEI VALORI FONDIARI MEDI (2010)ZONA ALTIMETRICA TOTALE
montagna montagna collina collina pianurainterna litoranea interna litoranea
Valori per ettaro in migliaia di euro
Nord-Ovest 5 26 21,2 77 34,9 24,3 Nord-Est 19,7 - 39,5 29,6 44,2 37,3 Centro 7,6 10,3 11,3 16,8 19,9 12,3 Sud 6,7 10 10,7 16,5 15,1 11,6 Isole 5,9 8,8 7,7 10,6 14,8 9,3
Totale 9,2 9,8 13,6 15,3 31,3 18,4
Variazione percentuale 2010/2009
Nord-Ovest 0,9 1,5 1,7 2 1,8 1,7 Nord-Est -1,4 - 2,5 2,4 2 1,7 Centro 0,3 -0,8 -1,8 -0,9 -1,2 -1,2 Sud 0,2 0 -0,1 0,1 0 0 Isole -0,3 -0,4 -0,4 -0,1 -0,8 -0,5
Totale -0,5 -0,1 0,3 -0,1 1,5 0,8
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 45
IL MERCATO FONDIARIO NELLA PROVINCIA DI ROMA
L’evoluzione dei valori fondiari nell’ambito della provincia di Roma è influenzata certamente dalle destinazioni
agricole e dalle caratteristiche proprie dei terreni; non si può dimenticare però come, nella definizione dei valori
fondiari di ampie porzioni del nostro territorio, intervengano dinamiche connesse ai grandi interessi urbanistici,
commerciali ed industriali che si manifestano in ambito provinciale.
È innegabile infatti che i valori fondiari siano correlati alla specifica destinazione colturale ed alla localizzazione dei
singoli terreni all’interno di un territorio. Nella nostra provincia tuttavia, è proprio la localizzazione ad avere un peso
preponderante sulla dinamica di definizione del valore di un terreno.
In questo senso infatti la domanda di superfici con possibili destinazioni d’uso anche alternative a quelle agricole
(attività industriali, commerciali, turistiche, residenziali, ricreative, infrastrutturali, ecc.), è particolarmente forte
nell’immediata cintura periferica della città di Roma così come su tutte le principali direttrici che a Roma
conducono.
La crescita della Città, con tutto ciò che ne deriva in termini di sviluppo urbanistico, crea infatti una notevole
richiesta di superfici agricole per le quali, come immediata conseguenza, il valore fondiario cresce notevolmente
rispetto ad analoghi terreni con destinazioni esclusivamente agricole.
Si pensi infatti ai casi di terreni agricoli ricadenti in ambiti sottoposti a vincoli (ad esempio terreni ricadenti in area
parco, o a quelli ricadenti in aree vincolate dal punto di vista paesaggistico, archeologico o idrogeologico) che ne
possono limitare lo sviluppo extra agricolo; tali situazioni rappresentano un vero e proprio freno alla crescita dei
valori fondiari, con la conseguente definizione di quotazione che risultano correlate semplicemente alle
caratteristiche intrinseche ed estrinseche dei fondi, così come alla loro collocazione climatica e territoriale, alla
fertilità, alla vocazione agricola della zona in cui ricadono.
Nei territori invece non soggetti a vincoli di edificabilità, specie se posti in specifiche aree che costituiscono le
cinture concentriche che circondano la Capitale, il valore fondiario sale a livelli molto superiori a quelli riscontrabili
per terreni analoghi ma ricadenti in aree sottoposte a specifici vincoli di inedificabilità e quindi, destinabili
solamente alla conduzione di attività agricole.
Nella Tabella 2, riportata nel seguito, è possibile notare le quotazioni dei terreni, riscontrate nel corso del 2010 dalle
rilevazioni INEA, in base alla localizzazione territoriale ed alla qualità della coltura; è possibile notare come i valori
fondiari siano per tutte le categorie sensibilmente più alti rispetto alle medie riscontrare per il Centro Italia.
46
LO SCENARIO ECONOMICO
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 46
Tabella 2
Fonte: INEA, Banca dati dei valori fondiari – Indagine sul mercato fondiario
In più, è da segnalare come l’offerta di terreni sia prevalentemente sostenuta da imprenditori che terminano
l’attività agricola o da conduttori anziani che, privi spesso di ricambio generazionale, sono portati a mettere sul
mercato i loro fondi. Non mancano tuttavia le situazioni nelle quali aziende con ampia disponibilità fondiaria, sono
disposte a mettere sul mercato singole porzioni dei propri terreni, a fronte di quotazioni interessanti e sostenute
proprio dalle dinamiche precedentemente segnalate.
Se da un lato le quotazioni dei terreni in ambito provinciale sono alte, anche gli importi dei canoni di affitto
normalmente riscontrabili sono molto sostenuti (Tabella 3) e, comunque, soggetti ad ampie oscillazioni di anno in
anno.
Tabella 3
Fonte: INEA, Banca dati dei valori fondiari – Indagine sul mercato fondiario
Anche in questo ambito, la presenza di una spinta urbanistica della città verso il territorio agricolo della provincia
influisce parzialmente sulle dinamiche di definizione dei costi dell’affitto. Spesso infatti, i proprietari preferiscono
non vincolare i propri terreni per periodi di tempo eccessivamente lunghi, al fine di poter mantenere un ampio
grado di libertà in una possibile azione di vendita.
47
LO SCENARIO ECONOMICO
QUOTAZIONI DEI TERRENI NEL 2010 PER TIPI DI AZIENDA E PER QUALITÀ DI COLTURA (migliaia di euro per ettaro)
QUALITÀ DI COLTURA QUOTAZIONIMinime Massime
Ortive nel Maccarese 80 150Seminativi nella piana del Tevere (RM) 15 28Seminativi irrigui nel litorale romano 60 80Seminativi asciutti nell'Agro Romano 40 50Vigneti DOC nei Castelli Romani (RM) 77 140Noccioleto specializzato nelle colline di Palestrina (RM) 30 35Oliveti specializzati nella zona dei Castelli Romani (RM) 36 52Frutteti nelle colline dei Tiburtini (Guidonia, Marcellina) (RM) 26 41Vigneti DOC nei Colli Albani 60 80Orti irrigui nei Colli Albani (RM) 28 52Frutteti specializzati nei Castelli Romani (RM) 50 60Seminativi asciutti nella collina interna della provincia di Roma 25 30
CANONI DI AFFITTO NEL 2010 PER TIPI DI AZIENDA E PER QUALITÀ DI COLTURA (euro per ettaro)
QUALITÀ DI COLTURA CANONIMinime Massime
Contratti in deroga per seminativo collinare asciutto (RM) 300 400Contratti in deroga per seminativi irrigui da destinare a ortive (RM) 1.200 1.500Contratti in deroga per seminativi asciutti (RM) 300 350Contratti in deroga per frutteti specializzati (RM) 700 900Contratti in deroga per oliveti collinari (RM) 210 360Contratti in deroga per vigneto comune (RM) 900 1.100Contratti in deroga per vigneti DOC (RM) 1.200 1.800Contratti in deroga per seminativi irrigui del litorale romano da destinare a carote (RM) 2.200 2.500
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 47
In questi ultimi anni, proprio questo tipo di motivazione, così come l’esigenza dei proprietari di attendere
l’evoluzione ed il chiarimento dello scenario politico connesso con la definizione della nuova PAC (2013-2020),
hanno contribuito a mantenere diffusa l’abitudine di non affittare i terreni per periodi di tempo prolungati.
La proprietà è normalmente propensa a cedere i terreni con contratti annuali o addirittura stagionali (sia attraverso
le opzioni consentite dai patti in deroga sia attraverso forme di compartecipazione o simili1), e tale situazione
contribuisce a creare tensioni ed oscillazione dei canoni.
Questa tendenza è peraltro confermata anche dalla domanda di terreni che, proprio in provincia di Roma, vede i
pastori particolarmente presenti e disponibili a pagare canoni molto elevati pur di ottenere pascoli e prati pascoli
sia stagionali che annuali per l’allevamento ovino.
In conclusione, e malgrado le dinamiche analizzate, non si può fare a meno di segnalare come negli ultimi dieci
anni, si sia manifestata una spinta verso una forma di ricomposizione fondiaria che ha portato la superficie delle
aziende agricole attive in ambito regionale da 5,4 ha di SAT (Superficie Agricola Totale) nel 2000 a 9,5 ha nel 2010.
Questo dato, rimane quindi un segnale importante della necessità di sviluppare l’attività agricola anche attraverso
un aumento della dimensione aziendale, nonostante le difficoltà economiche, burocratiche e procedurali da
affrontare.
NOTA BIBLIOGRAFICA
1. Il Punto Coldiretti, Settimanale di informazione per le imprese nel sistema agroalimentare, Coldiretti n. 28,
19-25 (Luglio 2011);
2. Andrea Povellato (1997) Il Mercato Fondiario in Italia, INEA;
3. Andrea Povellato (2010), L’Andamento del Mercato fondiario in Italia - Sintesi dei risultati 2010 - INEA;
4. Andrea Povellato (2011), Forme di impresa e dimensione fisica. La terra come fattore di sviluppo,
Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana - Confagricoltura. Fare Impresa in Agricoltura. Scenari e
prospettive per le forme di conduzione e il mercato fondiario - Roma 29 Settembre 2011, Palazzo della
Valle, Roma;
5. Ilaria Borri e Stefano Trione, Istituto Nazionale di Economia Agraria (2008), Domanda di terra e valori
fondiari - Agricoltura 72;
6. Sito internet istituzionale INEA, www.inea.it;
48
LO SCENARIO ECONOMICO
1 Rif. INEA - Indagine sul mercato degli affitti in Italia Rapporto regionale 2010
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 48
F. LA BORSA MERCI DI ROMA E LA DINAMICA DEI PREZZI DELLA FILIERA DEL FRUMENTO DURO
a cura di Valentina Canali
SCENARIO DI RIFERIMENTO
Nel comparto agricolo esistono diverse tipologie di mercati, prevalentemente all’ingrosso, riconducibili a due
grandi categorie in funzione della natura delle transazioni:
1. mercati dell’effettivo
2. mercati di copertura.
Nel mercato dell’effettivo le operazioni hanno una funzione di approvvigionamento, dal momento che i contratti
si riferiscono a partite ben definite di prodotto ed hanno esecuzione attraverso la materiale consegna, che potrà
essere immediata o differita, del prodotto stesso. La consegna infatti così come il pagamento può avvenire “a
pronti”, ovvero per consegna immediata, o per consegna differita (forward contract).
Quest’ultimo contratto non deve confondersi con la tipologia del contratto a termine di copertura in uso nella
seconda tipologia di mercato.
In particolare, i mercati dell’effettivo si distinguono in mercati all’ingrosso nei quali si opera in presenza delle merci
(e questo è il caso dei mercati dedicati a prodotti a forte deperibilità come quelli per i prodotti ittici freschi, gli
ortofrutticoli, le carni fresche) ed in mercati in cui si tratta in assenza delle merci, dedicati ai prodotti non deperibili.
In questa ultima tipologia di mercato, la definizione della merce può avvenire su campione, attraverso descrizione
riferita a tipologie standard, oppure attraverso documentazione analitica. Si tratta per grandi partite di prodotto, tra
produttori, grossisti, importatori e grandi utilizzatori.
Nei mercati di copertura, invece, le contrattazioni non sono finalizzate ad un effettivo approvvigionamento, bensì
a garantire gli operatori rispetto a determinati rischi per cui al contratto non segue, di regola, la consegna della
merce.
Nella teoria mercantile e nell’esperienza internazionale le Borse vengono considerate prevalentemente come
mercati di copertura: nelle Borse estere infatti, l’effettivo ha un ruolo del tutto secondario.
In Italia invece a parte una esperienza durata un decennio ed interrotta nel 1964 presso la Borsa Merci di Milano,
la funzione delle Borse Merci come mercato di copertura, risulta del tutto obsoleta. Di recente Borsa Italiana ha
iniziato a lavorare ad un contratto future sul grano duro che tuttavia non è ancora operativo per i tempi tecnici
connessi all’individuazione dei tre market makers, coloro cioè che possano sostenere liquidità e volumi nella fase
iniziale. Si tratta di uno strumento di grande interesse per gli operatori della filiera per i meccanismi di garanzia che
porta con sé e che contribuirebbe a dare una iniezione di fiducia e dinamismo in un momento di crisi. È invece una
realtà da diversi anni la Borsa Merci Telematica Italiana mercato telematico regolamentato dei prodotti agricoli,
agroalimentari ed ittici. Attraverso una piattaforma telematica di negoziazione, BMTI consente lo scambio
quotidiano e continuo delle merci e delle derrate agricole da postazioni remote. La piattaforma è stata accolta con
grande favore da quanti vedevano nelle procedure di accertamento dei prezzi delle Borse Merci una realtà
condizionata dalle pressioni che potrebbero prodursi all’interno della commissione e limitata al giorno della
riunione di Borsa, mentre con le transazioni telematiche - un sistema ad asta continua - domanda e offerta si
incrociano in modo automatico e pubblico, rendendo di fatto difficile manipolare il prezzo. Nel caso della Borsa
49
LO SCENARIO ECONOMICO
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 49
Merci di Roma tuttavia, tale rischio è stato di fatto arginato grazie al lavoro di ridefinizione sia delle componenti
chiamate a far parte del Comitato incaricato di provvedere alla redazione del Listino, che degli strumenti e delle
fonti informative a disposizione degli operatori su cui ci soffermeremo più avanti.
Il grafico di raffronto delle quotazioni del frumento duro di qualità superiore dell’ultimo biennio della Borsa Merci
di Roma e della Borsa Merci Telematica (Figura 1) evidenzia la sostanziale assimilazione dell’andamento tra i due
mercati con un margine minimo di scostamento imputabile alle differenti caratteristiche qualitative del prodotto.
Figura 1
Fonte: elaborazione BMTI
Il compito istituzionale di una Borsa Merci è dunque quello di facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di
merci e prodotti, funzione che viene assolta attraverso:
a) la concentrazione delle contrattazioni in modo che ogni domanda di prodotto possa trovare una adeguata
contropartita;
b) la trasparenza del mercato, realizzata grazie alla informazione sull’andamento delle contrattazioni per prezzi
e quantità anche raccolte dalle altre piazze;
c) la prestazione di servizi accessori per agevolare l’attività degli operatori;
d) la selezione degli operatori (al mercato sono ammessi unicamente gli operatori accreditati e quindi titolari
di una postazione di lavoro o di un abbonamento annuale).
Un elemento che caratterizza l’attività delle Borse italiane è la grande importanza che viene attribuita dagli operatori
alla frequentazione fisica del mercato allo scopo di scambiare informazioni, acquisire elementi utili alla valutazione
dell’andamento di un determinato prodotto, rispetto alla funzione strettamente commerciale di stipula dei contratti.
Per questo motivo, ancora oggi, le Borse di importanza nazionale situate nei principali capoluoghi di regione
(Milano, Bologna, Roma, Napoli) operano secondo un calendario consolidato che evita la concomitanza di riunioni,
per consentire agli operatori interessati di essere presenti, in giorni successivi, su più piazze.
In centri minori esistono anche delle Sale di Contrattazione istituite con deliberazione della Giunta della locale
Camera di Commercio, di fatto organizzate operativamente come una Borsa Merci ma prive del riconoscimento
ministeriale.
50
LO SCENARIO ECONOMICO
0
50
100
150
200
250
300
350
lug-09 set-09 nov-09 gen-10 mar-10 mag-10 lug-10 set-10 nov-10 gen-11 mar-11 mag-11 lug-11 set-11 nov-11
Roma Borsa Merci BMTI
CONFRONTO TRA QUOTAZIONE BMTI E QUOTAZIONE BORSA MERCI ROMA GRANO DURO FINO
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 50
LA BORSA MERCI DI ROMA E ROMACEREALI
Nella Borsa Merci di Roma si opera prevalentemente in funzione di approvvigionamento su prodotti in larga parte
di origine agricola e di produzione nazionale. Gli operatori presenti non hanno alcun obbligo formale o sostanziale
che vincola il modo con cui vengono condotte le contrattazioni e vengono stipulati i contratti. L’unico obbligo è
quello di rispettare le leggi ed i Regolamenti, generale ed interno, che disciplinano l’attività del mercato, in
particolare assoggettandosi alle disposizioni relative all’arbitrato ed ai provvedimenti della Deputazione che ha
funzioni di vigilanza e controllo. Ogni mercoledì, giorno di apertura del mercato, la Borsa Merci di Roma diviene
punto di riferimento degli operatori di diverse regioni dell’Italia Centrale. Le trattative riguardano in prevalenza i
prodotti agricoli, specificatamente i cereali, le loro prime trasformazioni, alcuni comparti del settore alimentare.
Prima in Italia, nel Listino della Borsa di Roma è stata inserita anche una sezione dedicata ai prodotti da agricoltura
biologica.
Figura 2
Fonte: elaborazione Borsa Merci Roma
Quello della redazione del Listino ufficiale è senz’altro il momento di maggiore rilevanza nello svolgimento
dell’attività del mercato ed avviene a cura di un apposito Comitato, al termine della fase più intensa della giornata
di Borsa. Il Comitato, che provvede anche alla diretta vigilanza sull’attività dei mediatori e sul funzionamento del
mercato, viene nominato annualmente dalla Camera di Commercio, ed è composto da un numero variabile di
componenti scelti tra gli operatori accreditati alla Borsa.
Le quotazioni riportate sul Listino sono infatti ricavate da una valutazione globale di tutte le contrattazioni
avvenute sulla piazza ed hanno la funzione di orientare gli operatori dei diversi settori merceologici analizzati, fino
al successivo giorno di mercato.
Il Listino di ciascuna singola Borsa può avere un numero variabile di referenze - a Roma sono circa 300 - tutte
rigorosamente standardizzate, per ciascuna delle quali viene indicato un prezzo massimo ed uno minimo, i valori
estremi - correlati alla qualità del prodotto - entro i quali si sono svolte le transazioni.
Per meglio indirizzare gli operatori viene anche indicata la “fase di scambio”, la cui conoscenza è indispensabile per
51
LO SCENARIO ECONOMICO
Servizi9%
Commercio19%
Produzione34%
Mediazione7%
Trasformazione31%
RIPARTIZIONE PER SETTORI DI ATTIVITÀ DEGLI OPERATORI DELLA BORSA MERCI DI ROMA
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 51
la determinazione del prezzo (Ovviamente per il medesimo prodotto, una quotazione “franco arrivo” sarà superiore
a quella “franco partenza” in quanto la prima è comprensiva anche del costo di trasporto).
Nella Borsa Merci di Roma il Comitato, ferma restando la responsabilità collegiale dell’organismo rispetto alla
pubblicazione del listino, è strutturato in sottocommissioni che riuniscono gli esperti delle diverse categorie
merceologiche. Il numero di componenti di queste commissioni varia in relazione al peso fatto registrare dalle
diverse merci nell’ambito delle contrattazioni. La commissione che conta il maggior numero di esperti è quella
relativa al settore cerealicolo con una ripartizione di posti assegnata in parti uguali a rappresentanti del mondo della
produzione, del commercio, della trasformazione.
Il Listino è consultabile on line già pochi minuti dopo il termine della riunione del Comitato sul sito ufficiale della
Borsa (www.borsamerciroma.com) dove è anche possibile consultare l’archivio storico dei listini degli ultimi 14
anni. Il sistema consente anche di analizzare entro un arco temporale definito, l’andamento di ciascun prodotto,
eventualmente anche mettendolo a confronto con un altro.
Ai frequentatori della Borsa viene garantita la massima informazione sull’andamento dei mercati nazionali
attraverso un servizio, Prodotti e Mercati attivo anche su maxi schermo. Il sistema informativo si struttura su diversi
tipi di informazione: i prezzi dei prodotti di interesse rilevati sui mercati internazionali (cbot, matif ecc.) e nazionali,
uniformati ove necessario per quanto riguarda valuta e unità di misura (e/t o $/t), le notizie di interesse per gli
operatori raccolte da diverse fonti e le quotazioni dei principali indicatori finanziari (oro/petrolio).
Ma lo sforzo maggiore della Borsa Merci di Roma per fornire agli operatori del mercato un quadro informativo per
supportarli nell’affrontare un mercato sempre più globalizzato è il Meeting internazionale Romacereali, nato nel
2008 in un momento di particolare crisi ed indefinitezza dello scenario mondiale per la filiera cerealicola. Da allora
Romacereali ha saputo conquistarsi il ruolo di appuntamento autorevole ed irrinunciabile - nel 2011 si sono
accreditate oltre 230 imprese - per confrontarsi con i rappresentanti degli operatori dei Paesi fornitori di materie
prime più importanti, attivi sul mercato nazionale.
Si tratta infatti di una giornata tecnica di confronto con alcuni interventi introduttivi finalizzati ad una definizione
dello scenario della successiva campagna per i cereali, sia in termini di qualità e quantità dei raccolti che in termini
di orientamento commerciale, aperta a tutti gli operatori interessati.
Diversi i contributi che vengono presentati, tra i quali ISMEA per la definizione del panorama nazionale, mentre
per l’estero oltre ad un quadro generale elaborato dagli analisti dell’IGC (International Grain Council), vengono
raccolte delle informazioni sulla base di una scheda normalizzata sottoposta ad un rappresentativo numero di
operatori qualificati attivi sui diversi mercati di interesse per le attività di commercializzazione dei cereali (Gran
Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Messico, Turchia, Canada, Argentina...).
Alcuni di questi operatori (privilegiando quelli dei Paesi di maggior interesse per la campagna di riferimento)
vengono invitati a partecipare al Meeting, mentre tutto il materiale raccolto, inclusa la sintesi dei lavori della
giornata, confluisce in un report pubblicato su www.romacereali.com, con l’intento di offrire un contributo originale
all’analisi degli scenari della nuova campagna.
I prodotti presi in esame sono frumento, colza, orzo, mais e biodiesel, anche se è il frumento ed in particolare il
duro che fa registrare il maggiore interesse dei partecipanti.
52
LO SCENARIO ECONOMICO
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 52
PROFILO OPERATORI ITALIANI PARTECIPANTI A ROMACEREALI
53
LO SCENARIO ECONOMICO
1) Area geografica di provenienza
Nord9%
Centro52%
Sud ed isole39%
2) I prodotti di maggiore interesse (possibili risposte multiple - dati percentuali)
75,3
43,341,2
frumento duro frumento tenero mais
3) Il campo di attività professionale (possibili risposte multiple - dati percentuali)
21,6
36,1
14,4
3,1
15,5
24,7
11,5
prod
uzio
ne
com
mer
ciotra
sfor
maz
ione
man
gim
istica
sem
enti
serv
izi
altro
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 53
LA FILIERA DEL FRUMENTO DURO
Il prodotto su cui si concentra la maggiore attenzione degli operatori che partecipano al Meeting è dunque il frumento,
in particolare il frumento duro, che viene prodotto nell’alto Lazio anche se l’ultimo quinquennio ha fatto registrare
una progressiva contrazione delle superfici investite che ha toccato l’apice nel 2009 con una riduzione del 60%.
Sul fenomeno ha influito l’incidenza della modifica dei criteri della PAC: 1) il sostegno al grano duro di qualità è
stato abolito e l’aiuto, confluendo nel regime dei pagamenti disaccoppiati, è completamente slegato dall’effettiva
coltura in campo; 2) l’aiuto specifico per grano duro, per grano tenero e mais che era connesso all’utilizzo delle
sementi certificate è stato sostituito – a favore delle sole regioni del Centro-Sud – con un sostegno vincolato al
rispetto dell’obbligo di avvicendamento biennale per il pagamento del sostegno nel rispetto dei requisiti e delle
condizioni di cui all’art. 39, paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 1698/2005, con finalità ambientali. Gli agricoltori
in assenza di aiuti, stanno progressivamente dismettendo una coltura che diviene, con la crescita dei costi di
produzione, sempre meno redditizia con i prezzi che superano ormai ogni logica localistica.
La criticità della situazione è evidenziata da una analisi delle voci per acquisto di beni e servizi che concorrono alla
spesa media per ettaro (700 euro) che oggi l’agricoltore sostiene:
Figura 3
Fonte: elaborazione Borsa Merci Roma su dati Consmaremma
54
LO SCENARIO ECONOMICO
• lavorazioni pre-semina 150 euro/ha
• concimazione (in 2 tempi: in fase di semina e in primavera): 145 euro/ha
tra materia prima e macchine per la prima e 85 euro/ha per la seconda,
per un totale di 230 euro/ha
• semina 135 euro/ha
• diserbo 75 euro/ha
• raccolta 85 euro/ha
• varie 25 euro/ha
Totale 700 euro/ha
RaccoltaE 85,00
12%Varie
E 25,00 4%
Pre-seminaE 150,00
21%
ConcimazioneE 230,00
33%
DiserboE 75,00
11%
SeminaE 135,00
19%
RIPARTIZIONE VOCI DI SPESA SU COSTI ESPLICITI DI PRODUZIONE
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 54
Considerato che la resa media per ettaro nel Lazio è di circa 3,5 tonnellate, otteniamo un costo di produzione di 200
euro a tonnellata. Il Listino della Borsa Merci di Roma nel mese di febbraio 2012 fa registrare una quotazione media
della voce duro fino di qualità superiore (peso specifico min 80, bianconato fino a 35% umidità massima del 12%) che
oscilla tra un minimo di 271 euro a tonnellata ed un massimo di 274 euro per merce resa franco partenza magazzino
del centro di raccolta.
Assumendo il valore medio di 273 euro a tonnellata, il ricavo dell’agricoltore si attesta intorno ai 73 euro a tonnellata,
pari a 255,50 euro a ettaro. Il problema si fa sentire maggiormente in annate in cui uno di questi fattori (rese per ettaro-
quotazioni) cambia. Facciamo il caso del raccolto 2011 che ha fatto registrare una resa media per ettaro più bassa, di
circa 2,8 tonnellate. Con il costo di produzione a 700 euro per ettaro, in questo caso abbiamo un costo a tonnellata di
250 euro. La media della quotazione da settembre 2011 a febbraio 2012 è stata di 280 euro a tonnellata. Ciò porta ad
avere un guadagno di 30 euro a tonnellata che moltiplicato per le 2,8 tonnellate di resa media per ettaro, porta ad un
ricavo di 84 euro per ettaro.
Figura 4
Fonte: elaborazione Borsa Merci Roma
Nel periodo 2000-2010, a parte il picco fatto registrare per alcuni mesi nel 2008 con la quotazione record di 525 euro
a tonnellata, ci sono stati due momenti, nel 2000 e nel 2005, in cui con la quotazione del prodotto ai minimi storici
(tra i 130 ed i 140 euro a tonnellata), i produttori hanno coperto i costi con gli aiuti PAC. Di qui il rischio concreto
di un abbandono della coltura nel 2013, con la riduzione degli aiuti calcolati in base alla superficie aziendale e non
sul seminato. Se il comparto produzione evidenzia criticità, anche la trasformazione non è da meno con la
55
LO SCENARIO ECONOMICO
0,00
100,00
200,00
300,00
400,00
500,00
600,00
Min Max Media
2000
0120
0007
2001
0120
0107
2002
0120
0207
2003
0120
0307
2004
0120
0407
2005
0120
0507
2006
0120
0607
2006
1220
0706
2007
1120
0805
2008
1120
0905
2009
1120
1005
2010
11
MEDIA MENSILE NEL PERIODO 2000-2010 VOCE 5 (GRANO DURO FINO) LISTINO BORSA MERCI ROMA
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 55
progressiva chiusura delle principali industrie molitorie del territorio per la difficoltà a stare al passo delle
fluttuazioni delle quotazioni della materia prima, visto il margine di redditività sulle semole che è il più basso di
tutto il settore alimentare. I commercianti sono presi tra due fuochi con la difficoltà ad incassare quanto dovuto dai
produttori per la fornitura di mezzi tecnici e dagli industriali per la fornitura di prodotto, lamentando la mancanza
di strumenti a garanzia dei contratti.
La situazione rilevata nel Lazio è coerente con la realtà nazionale considerato che nel 2010 le importazioni italiane
di frumento duro hanno sfiorato quota 2,6 milioni di tonnellate, attestandosi, secondo le rilevazioni dell’Istat, a
2.597.940 tonnellate. Si tratta del livello più alto registrato dal 1991 (data di inizio della serie storica Istat). Su base
annua i quantitativi importati sono cresciuti del 20,7%. Anche se in valore l’aumento rispetto al 2009 risulta limitato
al 4,1%. Nel 2010 infatti la spesa per le importazioni è stata pari a 542,8 milioni di euro, contro i 521,2 milioni del
2009, a conferma di un’annata particolarmente negativa, soprattutto nel primo semestre, per le quotazioni. Dunque
la priorità appare quella di una inversione di tendenza con un incremento delle quantità prodotte dal momento
che i circa 3,2 milioni di tonnellate di frumento prodotti a livello nazionale coprono meno del 55% del fabbisogno
della nostra industria di trasformazione, circostanza questa che potrà realizzarsi se gli agricoltori saranno incentivati
a farlo.
In conclusione, la filiera richiederebbe una attenzione a livello di programmazione strategica di settore ben diversa
con politiche anche a livello comunitario di incoraggiamento e supporto al settore produzione trattando il frumento
duro - unico cereale destinato solo all’alimentazione umana - non alla stregua di una commodity ma di un bene
primario, strettamente collegato alla tradizione ed alla storia del nostro paese.
56
LO SCENARIO ECONOMICO
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 56
Tabella 2.28
Fonte: Istat - Conti economici regionali 2012
Grafico 2.23
Fonte: Istat - Conti economici regionali
B.2.9 USO AGRICOLO DEL SUOLO
Indagare l’uso agricolo del suolo significa principalmente studiare ed analizzare la composizione della SAU, ovvero
la ripartizione fra seminativi, prati permanenti e pascoli, orti familiari e colture legnose agrarie. Così facendo è
possibile comprendere quali sono gli ordinamenti colturali prevalenti e in quale comparto si concentrano le
principali attività produttive. Questi dati hanno un’importanza fondamentale anche per effettuare confronti
temporali, che consentano di osservare i principali mutamenti che hanno riguardato l’agricoltura di un’intera
nazione, regione o provincia, causati da ragioni di carattere politico (Pac in primis), economico (redditività delle
colture), sociale (disponibilità di manodopera, flussi migratori) e territoriale (aree vocate, produzioni locali).
La fotografia effettuata dal Censimento generale del 2010 mostra che gli ordinamenti colturali del Lazio e della
provincia di Roma rispecchiano la “gerarchia” nazionale (Tabelle 2.29 e Grafico 2.24); infatti, prevalgono i seminativi
(51%), seguiti da prati permanenti e pascoli (30%) e, infine, dalle coltivazioni legnose agrarie (19%).
Nel Lazio e nella provincia capitolina, tuttavia, la pressione dell’urbanizzazione ha determinato nel periodo 2000-
2010 una rilevante perdita di SAU, distribuita eterogeneamente fra le diverse classi colturali (Tabelle 2.30 e Grafico
127
LO SCENARIO ECONOMICO
VALORE AGGIUNTO LORDO NEI SETTORI SECONDARIO E TERZIARIO (2005=100)
UNITÀ SETTORE 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011D'ANALISI
Italia Industria 100,0 104,3 107,2 108,0 112,4 115,1 120,3 127,3 127,5 115,1 117,5 117,6Servizi 100,0 106,1 110,6 115,3 120,0 123,9 127,3 132,4 135,8 134,5 136,7 139,4
Lazio Industria 100,0 104,8 104,7 107,7 112,6 113,4 126,2 130,3 130,6 127,3 133,3 127,3Servizi 100,0 107,5 114,5 118,0 126,0 130,1 132,0 139,1 140,4 139,3 138,8 141,6
90
100
110
120
130
140
150
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
ItaliaIndustria
Italia Servizi
LazioIndustria
Lazio Servizi
VALORE AGGIUNTO LORDO NEI SETTORI SECONDARIO E TERZIARIO (2005=100)
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 127
2.25). Infatti, nonostante la diminuzione percentuale dei seminativi nel Lazio (-7,6%) sia stata superiore alla media
nazionale (-4,4%), particolarmente rilevante è stata la diminuzione di superficie regionale investita a pascoli e prati
permanenti (-15,5%) – in netta controtendenza rispetto al dato italiano (+0,5%) – nonché la forte diminuzione della
superficie investita a coltivazioni legnose agrarie (-17,8%), evidente soprattutto nella provincia di Roma (-31,8%).
In conclusione, l’eterogenea distribuzione della diminuzione della SAU fra le varie classi colturali ha determinato
fra il 2000 ed il 2010 un aumento dell’incidenza percentuale dei seminativi a livello regionale (+2,4%) e provinciale
(+4,4% - Tabella 2.31 e Grafico 2.26), a scapito soprattutto dell’arboricoltura da frutto, uno dei comparti agricoli più
importanti insieme alla zootecnia estensiva (quest’ultima particolarmente diffusa nella provincia romana).
Tabella 2.29
Fonte: Istat – Censimento agricoltura 2010
Grafico 2.24
Fonte: Istat – Censimento agricoltura 2010
128
LO SCENARIO ECONOMICO
COMPOSIZIONE DELLA SAU. ANNO 2010
UNITÀ SEMINATIVI COLTIVAZIONI LEGNOSE PRATI PERMANENTI SAUD’ANALISI AGRARIE PASCOLI
ha % SAU ha % SAU ha ha haItalia 7.009.310 54.5 2.380.768 18.5 3.434.073 26.7 12.856.047Lazio 321592 50.4 122300 19.2 192652 30.2 638.601Prov. Roma 90.386 51.4 29.446 16.7 55.730 31.7 175.977
54,5
18,5
26,7
50,4
19,2
30,2
51,4
16,7
31,7
0
20
40
60
Seminativi Coltivazioni legnose agrarie Prati permanenti e pascoli
Italia
Lazio
Prov. Roma
INCIDENZA DEI CONDUTTORI CON UN’ALTRA ATTIVITÀ REMUNERATIVA SUL TOTALE DEGLIAGRICOLTORI (VALORI ESPRESSI IN PERCENTUALE). ANNO 2010
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 128
Tabella 2.30
Fonte: Istat – V e VI Censimento agricoltura
Grafico 2.25
Fonte: Istat – V e VI Censimento agricoltura
Tabella 2.31
Fonte: Istat – V e VI Censimento agricoltura
129
LO SCENARIO ECONOMICO
VARIAZIONE COMPOSIZIONE DELLA SAU NEL PERIODO 2010-2000 (VALORI IN PERCENTUALE)
UNITÀ SEMINATIVI COLTIVAZIONI LEGNOSE PRATI PERMANENTI SAUD’ANALISI AGRARIE PASCOLI
Italia -4.4 -3.2 0.5 -2.7Lazio -7.6 -17.8 -15.5 -11.9Prov. Roma -0.4 -31.8 -5.8 -8.9
-3,2
0,5
-2,7
-17,8-15,5
-11,9
-0,4
-31,8
-8,9
-4,4
-7,6-5,8
-40
-30
-20
-10
0
10
Seminativi Coltivazioni legnoseagrarie
Prati permanenti epascoli
SAU
Italia
Lazio
Prov. Roma
VARIAZIONE COMPOSIZIONE DELLA SAU NEL PERIODO 2010-2000 (VALORI IN PERCENTUALE)
VARIAZIONE DELL’INCIDENZA PERCENTUALE DI CIASCUNA CLASSE COLTURALE SULLA SAU NEL PERIODO 2010-2000 (VALORI ESPRESSI COME DIFFERENZA FRA PERCENTUALI)
UNITÀ D’ANALISI SEMINATIVI COLTIVAZIONI LEGNOSE AGRARIE PRATI PERMANENTI PASCOLI
Italia -1.0 -0.1 0.8Lazio 2.4 -1.4 -1.3Prov. Roma 4.4 -5.6 1.0
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 129
Grafico 2.26
Fonte: Istat – V e VI Censimento agricoltura
B.2.10 STRUTTURE DELLE AZIENDE AGRICOLE
L’ultimo indicatore proposto è in realtà composto da una serie di misurazioni riguardanti il numero di imprese
agricole presenti, la SAU, la dimensione fisica media delle aziende, la distribuzione delle medesime aziende per
classe di dimensione fisica e, infine, la manodopera impiegata in agricoltura. Nel loro insieme questi dati offrono
una panoramica generale, ma di grande importanza, sulla struttura dell’agricoltura.
La netta sproporzione fra la diminuzione (contenuta) della SAU (Tabella 2.32 e Grafico 2.27) e la forte diminuzione
del numero di aziende agricole avvenute nel periodo decennio 2000-2010 (Tabella 2.33 e Grafico 2.28) ha prodotto
nel Lazio e, soprattutto, nella provincia romana un rilevante aumento della dimensione media aziendale (Tabella
2.34 e Grafico 2.29). Ciononostante la dimensione media regionale (6,5 Ha) è ancora inferiore a quella nazionale e
provinciale (8 Ha) (Grafico 2.30).
I cambiamenti della struttura delle aziende agricole nel Lazio, manifestatisi nel decennio 2000-2010, sono stati
causati dal dimezzamento del numero di aziende con meno di 5 ettari di SAU, che tuttavia rappresentano ancora
l’80% dell’universo delle aziende agricole laziali e della provincia romana (Tabelle 2.35 e 2.36 e Grafici 2.31 e 2.32).
130
LO SCENARIO ECONOMICO
-1,0
-0,1
0,8
2,4
4,4
-5,6
1,0
-1,4 -1,3
-6
-4
-2
0
2
4
6
Seminativi Coltivazioni legnose agrarie Prati permanenti e pascoli
Italia
Lazio
Prov. Roma
VARIAZIONE DELL’INCIDENZA PERCENTUALE DI CIASCUNA CLASSE COLTURALE SULLA SAU NEL PERIODO 2010-2000 (VALORI ESPRESSI COME DIFFERENZA FRA PERCENTUALI)
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 130
La dimensione media economica provinciale (28.880 e) è superiore a quella regionale (24.910 e), ma inferiore a
quella nazionale (30.515 e) (Tabella 2.37 e Grafico 2.33). Come a livello nazionale, anche nel Lazio e nella provincia
romana circa i tre quarti (3/4) delle aziende hanno una dimensione economica inferiore ai 15.000 e (Tabella 2.38).
Il numero di aziende agricole con dimensione economica inferiore ai 4.000 e nel Lazio e nella provincia di Roma è
addirittura superiore alla media nazionale; rientra in questa categoria, infatti, più del 50% delle aziende (Grafico 2.34).
Nel periodo considerato, infine, si è assistito ad una costante diminuzione dell’occupazione nel settore primario
laziale, relativamente maggiore rispetto al trend italiano (Tabelle 2.39, 2.40 e Grafico 2.35).
In conclusione, l’agricoltura laziale e quella della provincia romana nel periodo analizzato hanno assistito ad un
processo di concentrazione ed ingrandimento delle dimensioni aziendali, che con ogni probabilità nel prossimo
futuro determinerà un ancor più incisivo scardinamento delle loro strutture tradizionali.
Al momento, tuttavia, tale processo si rivela ancora del tutto insufficiente ad innescare quei cambiamenti necessari
per migliorare l’efficienza produttiva (ben 8 aziende su 10 coltivano superfici inferiori ai 5 ettari), accrescere la
dimensione economica (nel 50% dei casi inferiore a 4.000 e) ed aumentare, in extrema ratio, la competitività delle
aziende agricole regionali e provinciali.
Tabella 2.32
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Grafico 2.27
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
131
LO SCENARIO ECONOMICO
VARIAZIONE SAU NEL PERIODO 2010-2000
UNITÀ D’ANALISI SAU 2000 SAU 2010 VARIAZIONE %
Italia 13.206.296 12.856.048 -2.7Lazio 724.751 638.601 -11.9Prov. Roma 1 93.092 175.977 -8.9
-2,7
-11,9
-8,9
-14
-12
-10
-8
-6
-4
-2
0Italia Lazio Prov. Roma
VARIAZIONE SAU NEL PERIODO 2010-2000 (VALORI IN PERCENTUALE)
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 131
Tabella 2.33
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Grafico 2.28
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Tabella 2.34
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
132
LO SCENARIO ECONOMICO
VARIAZIONE AZIENDE AGRICOLE PRESENTI NEL PERIODO 2010-2000
UNITÀ D’ANALISI SAU 2000 SAU 2010 VARIAZIONE %
Italia 2.396.274 1.620.884 -32.4Lazio 189.505 98.216 -48.2Prov. Roma 51.397 21.631 -57.9
-32,4
-48,2
-57,9-60
-40
-20
0Italia Lazio Prov. Roma
VARIAZIONE AZIENDE AGRICOLE PRESENTI NEL PERIODO 2010-2000 (VALORI IN PERCENTUALE)
VARIAZIONE AZIENDE AGRICOLE PRESENTI NEL PERIODO 2010-2000
UNITÀ D’ANALISI DIMENSIONE MEDIA DIMENSIONE MEDIA VARIAZIONE %AZIENDALE 2000 AZIENDALE 2010
Italia 5.5 7.9 43.9Lazio 3.8 6.5 70.0Prov. Roma 3.8 8.1 116.5
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 132
Grafico 2.29
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Grafico 2.30
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
133
LO SCENARIO ECONOMICO
43,9
70,0
116,5
0 20 40 60 80 100 120 140
Italia
Lazio
Prov. Roma
VARIAZIONE DELLA DIMENSIONE FISICA MEDIA DELLE AZIENDE AGRICOLE (PERIODO 2010-2000)VALORI IN PERCENTUALE
5,5
3,8 3,8
7,9
6,5
8,1
0
2
4
6
8
10
Italia Lazio Prov. Roma
2000
2010
DIMENSIONE FISICA MEDIA DELLE AZIENDE AGRICOLE (PERIODO 2010-2000)
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 133
Tabella 2.35
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Grafico 2.31
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Tabella 2.36
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
134
LO SCENARIO ECONOMICO
AZIENDE AGRICOLE PER CLASSI DI SAU (PERIODO 2010-2000)
<5ha e senza SAU 5-50 ha >50 ha Totale
2000 2010 2000 2010 2000 2010 2000 2010 Unitàd'analisi
N.aziende % tot. N.aziende
% tot. N.aziende
% tot. N.aziende
% tot. N.aziende
% tot. N.aziende
% tot. N.aziende
% tot. N.aziende
% tot.
Italia 1.929.585 80.5 1.182.320 72.9 430.149 18.0 393.862 24.3 36.540 1.5 44.702 2.8 2.396.274 100 1.620.884 100
Lazio 168.717 89.0 78.541 80.0 19.201 10.1 17.730 18.1 1.587 0.8 1.945 2.0 189.505 100 98.216 100 Prov.Roma 46.746 91.0 17.122 79.2 4.148 8.1 3.886 18.0 503 1.0 623 2.9 51.397 100 21.631 100
72,980,0 79,2
24,318,0
18,1
2,8 2,0 2,9
0%
25%
50%
75%
100%
Italia Lazio Prov. Roma
>50 ha
5-50 ha
<5 ha e senzaSAU
RIPARTIZIONE SAU IN CLASSI DI SAU (ANNO 2010)
VARIAZIONE AZIENDE AGRICOLE PER CLASSI DI SAU (PERIODO 2010-2000)
UNITÀ D’ANALISI <5 HA E SENZA SAU 5-50 HA >50 HAN.aziende % tot. N.aziende % tot. N.aziende % tot.
Italia -747.265 -38.7 -36.287 -8.4 8.162 22.3Lazio -90.176 -53.4 -1.471 -7.7 358 22.6Prov. Roma -29.624 -63.4 -262 -6.3 120 23.9
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 134
Grafico 2.32
Fonte: ISTAT, V e VI Censimento generale agricoltura
Tabella 2.37
Fonte: ISTAT - VI Censimento generale agricoltura
135
LO SCENARIO ECONOMICO
-38,7
-8,4
22,3
-53,4
22,6
-63,4
-6,3
23,9
-7,7
-80 -60 -40 -20 0 20 40
<5 ha e senza SAU
5-50 ha
>50 ha
Prov. RomaLazioItalia
VARIAZIONE AZIENDE AGRICOLE PER CLASSI DI SAU (PERIODO 2010-2000)
DIMENSIONE ECONOMICA MEDIA22 DELLE AZIENDE AGRICOLE (ANNO 2010)
UNITÀ D'ANALISI DIMENSIONE ECONOMICA MEDIA 2010Italia 30.514.4Lazio 24.907.8
Prov. Roma 28.876.7
22 La dimensione economica media esprime il rapporto fra la produzione standard (ex reddito lordo standard) e il numero di aziende agricole.
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 135
Grafico 2.33
Fonte: ISTAT - VI Censimento generale agricoltura
Tabella 2.38
Fonte: ISTAT - VI Censimento generale agricoltura
136
LO SCENARIO ECONOMICO
30,5
24,9
28,9
0
5
10
15
20
25
30
35
Italia Lazio Prov. Roma
Mig
liaia
DIMENSIONE ECONOMICA MEDIA DELLE AZIENDE AGRICOLE (ANNO 2010)
DISTRIBUZIONE DELLE AZIENDE AGRICOLE PER CLASSE DI DIMENSIONE ECONOMICA (ANNO 2010)
UNITÀ D’ANALISI < 4MILA E 4MILA-15MILA E 15MILA-50MILA E 50MILA-250MILA E > 250MILA E TOTALEN.aziende % tot. N.aziende % tot. N.aziende % tot. N.aziende % tot. N.aziende % tot. N.aziende % tot
Italia 782.158 48.3 413.361 25.5 248.095 15.3 148.091 9.1 29.179 1.8 1.620.884 100
Lazio 54.541 55.5 21.480 21.9 12.626 12.9 8.128 8.3 1.441 1.5 98.216 100
Prov. Roma 11.352 52.5 5.103 23.6 2.982 13.8 1.819 8.4 375 1.7 21.631 100
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 136
Grafico 2.34
Fonte: ISTAT - VI Censimento generale agricoltura
Tabella 2.39
Fonte: ISTAT, Conti economici regionali
Tabella 2.40
Fonte: ISTAT, Conti economici regionali
137
LO SCENARIO ECONOMICO
48,355,5 52,5
25,521,9 23,6
15,3 12,9 13,8
9,1 8,3 8,4
1,8 1,5 1,7
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Italia Lazio Prov. Roma
>250mila
50-250mila
15-50mila
4-15 mila
<4mila
DISTRIBUZIONE DELLE AZIENDE AGRICOLE PER CLASSE DI DIMENSIONE ECONOMICA (ANNO 2010)
MANODOPERA AZIENDALE NEL SETTORE PRIMARIO23 ESPRESSA IN UNITÀ DI LAVORO (UL). PERIODO 2000-2009.
UNITÀ 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010D'ANALISI
Italia 1.425,8 1.439,6 1.391,6 1.328,1 1.324,5 1.282,5 1.296,1 1.255,0 1.229,2 1.195,2 1.208,2
Lazio 81.6 88.8 85.1 68.3 67.5 65.3 71.5 68.0 64.3 63.7 62.7
MANODOPERA AZIENDALE IN AGRICOLTURA ESPRESSA IN UNITÀ DI LAVORO (UL). PERIODO 2000-2009. ANNO 2005=100
UNITÀ 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010D'ANALISI
Italia 100 101.0 97.6 93.1 92.9 89.9 90.9 88.0 86.2 83.8 84.7
Lazio 100 108.8 104.3 83.7 82.7 80.0 87.6 83.3 78.8 78.1 76.8
23 Comprende agricoltura, caccia e silvicoltura.
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 137
Grafico 2.35
Fonte: ISTAT, Conti economici regionali
138
LO SCENARIO ECONOMICO
70
75
80
85
90
95
100
105
110
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Italia
Lazio
MANODOPERA AZIENDALE IN SETTORE PRIMARIO ESPRESSA IN UNITÀ DI LAVORO (UL). PERIODO 2000-2009. ANNO 2005=100
SAR Parte 1 2013 11-04-2013 10:11 Pagina 138