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sezione II civile; sentenza 5 aprile 2004, n. 6625; Pres. Calfapietra, Est. Malpica, P.M. Marinelli(concl. conf.); Chierichetti e altri (Avv. Galdi) c. Condominio via Diego Simonetti 54, Ostia Lido(Avv. Gargiulo). Cassa App. Roma 11 ottobre 2000 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2004), pp. 2081/2082-2085/2086Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199551 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di quella esigenza di attualizzazione si terrà conto provvedendo a rivalutare la pensione fin dal 1° gennaio dell'anno successivo
al sorgere del diritto.
Un ulteriore argomento a favore della tesi già condivisa da
queste sezioni unite, può ricavarsi dal canone dell'interpretazio ne sistematica, che tenga conto del sistema generale di previ denza per la migliore comprensione delle forme speciali.
Non manca, anche presso la dottrina, chi ritiene che nei casi
dubbi, o anche per colmare eventuali lacune, sia corretto tener
conto del sistema generale, sia pure con prudenza, in considera
zione cioè degli istituti affini e dell'assenza di una ratio idonea
a giustificare una deviazione dal sistema generale, con l'ulterio
re precisazione che si debba tener conto solo degli istituti affini
non conformati, nelle forme speciali di previdenza, a rationes
differenti.
Orbene, non è privo di significato che, nel sistema generale
gestito dall'Inps, per quanto riguarda le prestazioni erogate col
criterio retributivo consimile a quello della cassa forense nei
profili generali, la perequazione della pensione al costo della
vita decorre, secondo la normativa più recente, dal primo giorno dell'anno successivo alla maturazione dei requisiti per il diritto
alla prestazione (cfr. art. 11,1° comma, d.leg. 30 dicembre 1992
n. 503 come poi interpretato costantemente dall'Inps senza
contestazioni). Come pure è di interesse notare che, nella gestione dell'assi
curazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i
superstiti dell'Inps, al fine del calcolo della pensione col criterio
retributivo, in modo eguale per quanto attiene allo specifico pro filo considerato, non si procede alla rivalutazione degli importi relativi all'ultimo anno, e più precisamente delle settimane del
l'anno di erogazione e di quelle collocate nell'anno solare pre cedente (cfr. art. 3 1. n. 297 del 1982 con successive integrazio
ni). Onde si potrebbe ricavare — anche per tale via — che nel si
stema generale, entro i limiti di affinità prudentemente eviden
ziati, la perequazione viene attuata con decorrenza dal primo
giorno dell'anno successivo, pur quando l'erosione inflattiva
non abbia inciso su di essa, allo scopo di realizzare un raccordo
tra l'adeguamento di secondo ordine (rivalutazione della base di
calcolo) e l'adeguamento di primo ordine (rivalutazione della
pensione in godimento sin dal momento della sua maturazione).
Per tornare alla fattispecie in questione, in sostanza, può os
servarsi che se la delibera contenente i coefficienti di rivaluta
zione necessariamente indica i dati relativi all'anno precedente la sua emissione per consentire la rivalutazione nell'anno suc
cessivo, allora, se si tiene conto, come sopra detto, che, in base
all'art. 15, la rivalutazione del reddito da porre a base di calcolo
della pensione non comprende il reddito dell'anno immediata
mente precedente alla maturazione del diritto, che non viene
attualizzato, la pensione nasce già con un problema di attualiz
zazione relativo all'ultimo anno di reddito.
In definitiva, il riferimento ad una realtà presente in epoca anteriore al sorgere del credito previdenziale, lungi dall'essere
irrazionale, risponde ad una logica compensativa utilizzando
quella realtà solo come dato parametrico, quale unico rimedio
per colmare un deficit di operatività della svalutazione la quale costituisce un dato strettamente ed incessantemente connesso
alla natura pecuniaria della prestazione pensionistica. Sotto questo aspetto la lettura già proposta, in quanto rispon
dente non solo a razionalità, ma anche all'esigenza di garantire un'effettività di protezione ad un credito che riceve dalla Co
stituzione particolare attenzione (art. 38 Cost.), sfugge anche
alle censure d'illegittimità costituzionale sollevate — in via su
bordinata — dalla cassa ricorrente.
È il caso, ancora, di osservare — per rispondere ad un rilievo
formulato dalla difesa della cassa in replica alle conclusioni del
p.g. in udienza — che se è vero che l'ultimo anno di reddito
viene rivalutato col supplemento di pensione, ex art. 2 e 7 1.
576/80, è tuttavia vero che questo può avvenire — secondo sca
denze susseguenti ivi previste — solo nell'ipotesi in cui l'avvo
cato, dopo aver maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, re
sta iscritto ad uno degli albi professionali (degli avvocati o a
quello speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni supe
riori). Le considerazioni fin qui esposte inducono queste sezioni
unite a ribadire il proprio orientamento già esposto nella citata
sentenza del 1996, e, dunque, a respingere il ricorso della cassa
forense.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 5 aprile
2004, n. 6625; Pres. Calfapietra, Est. Malpica, P.M. Mari
nelli (conci, conf.); Chierichetti e altri (Avv. Galdi) c. Con
dominio via Diego Simonetti 54, Ostia Lido (Avv. Gargiu
lo). Cassa App. Roma 11 ottobre 2000 e decide nel merito.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — As
semblea — Seconda convocazione — Deliberazioni —
Maggioranze (Cod. civ., art. 1136).
Ai fini dell'approvazione delle delibere adottate dall'assemblea
condominiale in seconda convocazione, devono sussistere
entrambi i quorum previsti dal 3° comma dell'art. 1136 c.c.,
e cioè occorre che la maggioranza sia tale non solo relativa
mente al numero dei votanti a favore, ma anche relativamente
al valore della proprietà da essi rappresentato. (1)
(1) Conformemente, nel senso che il quorum deliberativo previsto dal 3° comma dell'art. 1136 c.c. per la validità delle delibere condomi
niali adottate in seconda convocazione deve rappresentare la maggio ranza degli intervenuti all'assemblea, sia per numero (c.d. maggioranza
per teste), sia per valore (o per millesimi), v. Cass. 11 gennaio 1966, n.
202, Foro it.. Rep. 1966, voce Comunione e condominio, n. 281, nella
motivazione (riportata in Riv. giur. edilizia, 1966,1, 734, con nota favo
revole di L. Salis); e, tra le pronunzie di merito, Trib. Milano 27 mag
gio 1996, Foro it.. Rep. 1997, voce cit., n. 188 (e Arch, locazioni, 1997,
272) (nella specie, i condomini che avevano espresso voto contrario
erano in numero maggiore di quelli che avevano votato a favore della
delibera, e comunque il valore rappresentato da questi ultimi, sebbene
maggiore di quello rappresentato dai condomini dissenzienti, non rag
giungeva il quorum di un terzo richiesto dall'art. 1136, 3° comma,
c.c.); Trib. Monza 23 ottobre 1984, Foro it.. Rep. 1985, voce cit., n. 99
(e Arch, locazioni, 1984, 621), dove si rileva che il raggiungimento delle maggioranze «minime» previste dal 3° comma dell'art. 1136 c.c.
non costituisce condizione sufficiente per la validità delle deliberazioni
in questione, ove risulti che i voti favorevoli siano comunque inferiori a
quelli dissenzienti; nonché Trib. Palermo 22 aprile 1964, Foro it.. Rep.
1964, voce cit., n. 205. In senso difforme, invece, Trib. Roma 4 luglio 1990, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 200 (e Arch, locazioni, 2991, 619, la
quale, pur osservando che per l'approvazione della delibera assemblea
re in seconda convocazione «occorre anche . . . che i condomini dissen
zienti siano inferiori, per numero e per valore, ai condomini che hanno
votato a favore della deliberazione», nella fattispecie ha respinto l'im
pugnazione di una delibera adottata con il voto favorevole della mag
gioranza dei condomini partecipanti all'assemblea ma con il voto con
trario di un unico condomino rappresentante la maggioranza relativa
dei millesimi presenti, argomentando che il criterio della doppia mag
gioranza stabilito dalla norma «significa soltanto che il quorum delibe
rativo in seconda convocazione deve rappresentare la maggioranza de
gli intervenuti (per numero e per valore), ma non anche che i dissen
zienti possano costituire — essi — la maggioranza solo per numero o
solo per valore»); e, in precedenza, Trib. Milano 26 novembre 1959,
Foro it., Rep. 1960, voce cit., n. 141 (secondo cui la maggioranza do
vrebbe ritenersi raggiunta anche se i condomini dissenzienti, essendo
meno di un terzo, avessero in valore più dei consenzienti). Cass. 28 gennaio 1997, n. 850, id., Rep. 1997, voce cit., n. 214.
puntualizza che la mancanza della maggioranza qualificata prescritta
per taluna delle delibere inserite all'ordine del giorno dell'assemblea
non incide sulla validità delle altre delibere adottate, il cui oggetto ri
chieda una maggioranza semplice. Nel senso che per le delibere concernenti le materie indicate dal 4°
comma dell'art. 1 136 c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore
(nonché la sua conferma; cfr. Cass. 4 maggio 1994, n. 4269, id., Rep.
1994, voce cit., n. 184), è comunque richiesto, anche in seconda convo
cazione, il quorum deliberativo stabilito dal 2° comma (e cioè un nume
ro di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la
metà del valore dell'edificio), v. Cass. 26 aprile 1994, n. 3952, ibid., n.
225, e 9 febbraio 1980, n. 901, id.. Rep. 1980, voce cit., n. 131.
Sulla particolare maggioranza (delle sole quote millesimali) richiesta
(in deroga agli art. 1136 e 1120 c.c.) dall'art. 26, 2° comma, 1. 10/91
per la trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento con
dominiale in impianti unifamiliari a gas, cfr. Cass. 29 gennaio 2002. n.
1166, id., Rep. 2002, voce cit., n. 139; 25 maggio 2001, n. 7130, id.,
Rep. 2001, voce cit., n. 140; 26 maggio 1999, n. 5117, e 11 febbraio
1999, n. 1165, id., 1999,1, 3281, con nota di richiami.
Sul computo delle maggioranze assembleari in caso di conflitto di
interessi tra taluno dei condomini ed il condominio, v., da ultimo. Cass.
22 luglio 2002, n. 10683, id., 2003, I, 540, con nota di richiami.
Sul controllo delle quote di partecipazione al condominio ai fini del
computo delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 c.c., cfr., inoltre,
Cass. 23 giugno 1998, n. 6202, id., Rep. 1999, voce cit.. n. 229.
In dottrina, in senso conforme alla pronunzia che si riporta, v. A. Vi
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PARTE PRIMA 2084
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata in data
21 novembre 1997, Poggiarelli Serena ed altri venti proprietari
pro quota di una unità immobiliare facente parte del condomi
nio di via Diego Simonetti 54 di Ostia Lido, convennero in
giudizio il predetto condominio per sentir dichiarare nulla, per difetto assoluto del quorum di legge, la delibera assembleare
assunta in seconda convocazione il 22 ottobre 1997, con la
quale erano stati approvati i bilanci consuntivo dell'esercizio
1995/1996 e preventivo per l'anno 1997/1998. A fondamento
della domanda dedussero gli attori che, nell'occasione, i dis
senzienti erano risultati prevalenti sia per espressione di voto
che per valore dell'edificio.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6908 del 1999, accolse
la domanda dichiarando nulla la delibera impugnata. All'esito del giudizio d'appello promosso dal condominio, la
Corte d'appello di Roma, con sentenza 13 giugno 2000, in ac
coglimento dell'impugnazione, dichiarò valida ed efficace la
delibera assembleare in questione e condannò gli appellati alla
rifusione delle spese. Osservò la corte territoriale che nella specie i voti favorevoli
all'approvazione del bilancio consuntivo e di quello preventivo erano risultati, rispettivamente, di 63 e 59, pari ad un terzo della
somma complessiva dei voti personali (in totali di 149), mentre
il valore rappresentato era risultato pari rispettivamente a mille
simi 406,42 e 375,45, corrispondente in entrambi i casi ad un
terzo del valore complessivo dell'edificio. Si era pertanto rea
lizzato il quorum richiesto dalla legge per le deliberazioni in se
conda convocazione che esigono, appunto, un numero di voti
favorevoli che rappresenti il terzo dei partecipanti al condomi
nio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
Ritenne la corte d'appello che non potesse condividersi il ra
gionamento del primo giudice il quale aveva affermato che non
era sufficiente all'approvazione della delibera in seconda con
vocazione un numero di voti che rappresentasse un terzo dei
partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'e
dificio perché i voti contrari per i due punti all'ordine del giorno
oggetto di causa erano stati in numero rispettivamente di 55 e di
50, e quindi superiore al terzo dei partecipanti al condominio e
rappresentativi di un valore millesimale superiore (819,98) ri
spetto a quello rappresentato dai voti favorevoli (781,67). Ad
avviso del giudice d'appello il tribunale aveva invertito il prin
cipio contenuto nell'art. 1136, 3° comma, c.c. sostituendo alla
regola del consenso quella del dissenso, atteso che la maggio ranza, alla stregua della citata norma, va relazionata ai voti fa
vorevoli e non certamente ai voti dei dissenzienti.
Per la cassazione della ricordata sentenza hanno proposto ri
corso Chierichetti Carlo, Nigro Anna, Colambrosi Nadia, Pittino
Pia, Poggiarelli Serena, Mezzetti Oscar, Dell'Abate Di Fabio
Guido e Torre Salvatore, affidato ad un unico motivo, cui resiste
con controricorso il condominio di via Diego Simonetti 54 in
Ostia.
sco, Le case in condominio, Milano, 1967, 966 ss.; G. Branca, Comu nione - Condominio negli edifici, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, 644; R. Triola, L'assemblea di condominio, Milano, 1991, 62 ss.; M. Dogliotti-A. Figone, Il condominio, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da W. Bigiavi, Torino, 2001, 355. Di di verso avviso, invece, G. Terzago, L'assemblea condominiale: doppia o
tripla maggioranza, maggioranze e minoranze, votazione, «quorum», in Arch, locazioni, 1995. 513, e Id., Maggioranze assembleari nel con dominio. Casi clinici, id.. 1996. 631 (secondo il quale, una volta rag giunto il doppio quorum —
per teste e per valore — richiesto in secon da convocazione dal 3° comma dell'art. 1136 c.c., «non importa valuta re se i dissenzienti abbiano o meno raggiunto la maggioranza o delle
quote o delle teste», giacché le delibere devono ritenersi validamente
approvate, così come pure «nel caso in cui le teste di ciascun gruppo (pro e contro) siano in numero pari, ma ... un gruppo sia portatore di valori maggiori all'altro»). Sul funzionamento del principio maggiori tario nel condominio, v., anche, S. Maglia, Il concetto di maggioranza alla luce dell'evoluzione della disciplina condominiale. I problemi sul
tappeto. La posizione della giurisprudenza, ibid., 465; R. Corona, Proprietà e maggioranze nel condominio negli edifici, Torino, 2001, passim; e, da ultimo. A. Celeste, L'assemblea, Miiano, 2003, 288 ss.
(il quale rileva che attraverso l'adozione del sistema misto della doppia maggioranza il legislatore del 1942 ha inteso evitare possibili prevari cazioni della componente numerica su quella dei valori millesimali, e viceversa, rese altrimenti possibili dalla diversa distribuzione di questi ultimi tra i vari partecipanti al condominio); G. Terzago, Il condomi nio, 5'1 ed., Milano, 2003, 295 ss.
Il Foro Italiano — 2004.
Motivi della decisione. — Va preliminarmente osservato che
deve essere esclusa Rosellini Emma, che ha rilasciato la procura in calce al ricorso, ma non era parte nel giudizio, al quale aveva
partecipato Rosellini Ludovico; peraltro non è indicata la qualità che eventualmente legittimi la predetta al giudizio, né essa è in
clusa tra i ricorrenti nell'intestazione del ricorso.
Va altresì rilevato che nell'intestazione della sentenza impu
gnata è erroneamente indicato il nome di «Chierichetti Nigro», in luogo dei nomi di Chierichetti Carlo e Nigro Anna, errore
che, tuttavia, non può essere corretto d'ufficio in questa sede.
Con l'unico motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione dell'art. 1136 c.c. perché la corte di merito ha rite
nuto validamente approvata la delibera benché la citata norma — nel fissare il doppio quorum necessario nell'ipotesi di secon
da convocazione — presupponga comunque che il numero dei
condomini che hanno votato a favore e la proprietà che essi rap
presentano sia superiore rispetto al numero di coloro che hanno
votato contro e al valore da essi rappresentato. La corte territoriale, osservano i ricorrenti, non ha rilevato
che la norma in esame si limita a fissare la «soglia minima» per consentire che una maggioranza assembleare approvi delibere
che diventino obbligatorie per tutti, mentre nella specie ha dato
esclusiva rilevanza al fatto che il «consenso» avesse raggiunto il
quorum di un terzo, ritenendo di non poter prendere in conside
razione il «dissenso», scardinando in tal modo il principio mag
gioritario. Il ricorso è fondato.
L'art. 1136 c.c. prevede che la deliberazione assunta dell'as
semblea condominiale, in seconda convocazione, è valida se ri
porta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio.
La corte territoriale, facendo propria un'interpretazione lette
rale della norma del tutto avulsa dal contesto dell'intera dispo sizione, ha ritenuto che, ai fini dell'approvazione di una delibe
ra in seconda convocazione, sia sufficiente il raggiungimento di
una maggioranza di voti favorevoli pari ad un terzo dei presenti a condizione che rappresentino almeno un terzo della proprietà, ritenendo del tutto irrilevante che la «minoranza» contraria pos sa rappresentare un valore della proprietà superiore a quello della maggioranza.
L'erroneità del principio affermato e la sua illogicità emergo no in modo palese dall'interpretazione complessiva dell'art.
1136 c.c. Il 1° e 2° comma dell'articolo in esame, che concer
nono la validità delle delibere in prima convocazione, prevedo no un doppio quorum costitutivo e un doppio quorum delibera
tivo, con l'espressa menzione che i voti favorevoli devono rap
presentare «la maggioranza» degli intervenuti e almeno la metà
del valore (quest'ultimo quorum può non essere «maggioranza» solo in caso di assemblea totalitaria, ma anche in tal caso non
sarebbe comunque «minoranza»); il 3° comma — riferito all'i
potesi che in prima convocazione non sia stato possibile rag
giungei-e il numero legale, e al fine di consentire che il condo
minio possa comunque operare — fissa (implicitamente) il quo
rum di presenza ad un terzo dei partecipanti al condominio che
rappresenti almeno un terzo del valore, ponendo lo stesso dop pio quorum come limite minimo per la validità delle delibera
zioni. È evidente, perciò, che in caso di partecipazione all'as
semblea di un solo terzo dei condomini (che rappresenti almeno un terzo del valore) la deliberazione sarà valida se approvata al
l'unanimità, mentre in caso di più nutrita partecipazione, la de
liberazione sarà soggetta comunque al raggiungimento, da parte della maggioranza dei votanti a favore, del doppio quorum. Non
è, infatti, sufficiente che la maggioranza dei votanti a favore sia
rappresentativa di almeno un terzo del valore, ma è necessario
altresì che coloro che abbiano votato contro l'approvazione non
siano rappresentativi di un valore maggiore rispetto agli altri, anche se numericamente inferiori. In sostanza occorre che la
maggioranza sia tale non solo relativamente al numero dei vo tanti a favore, ma anche relativamente al valore del bene da essi
rappresentato. D'altra parte, diversamente argomentando, si conferirebbe, ai
fini dell'approvazione delle delibere, una rilevanza maggiore al
numero dei votanti rispetto al valore che essi rappresentano,
principio che non trova alcun supporto nel disposto dell'art.
1136 c.c. che appare, invece, ispirato al principio opposto. In
fatti, il 2° comma della citata norma, in tema di maggioranza ri
chiesta per le deliberazioni in prima convocazione, dimostra di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
privilegiare il valore dell'edificio, in quanto, mentre prevede come sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli in
tervenuti (in ipotesi, la metà dei due terzi dei partecipanti al
condominio più uno, cioè un terzo più uno), esige poi che detta
maggioranza rappresenti comunque almeno la metà del valore;
analoga prevalenza del valore è riscontrabile nella previsione del 5° comma dell'art. 1136 c.c. in tema di innovazioni, laddove
per l'approvazione delle relative delibere è richiesta la maggio ranza dei partecipanti al condominio (in ipotesi la metà più
uno), ma a condizione che abbiano una rappresentatività non
minore dei due terzi del valore. La previsione del 3° comma,
dedicata alle deliberazioni in seconda convocazione, si fa carico
dell'esigenza che il condominio possa comunque prendere le
necessarie deliberazioni, ponendo il doppio quorum richiesto in
valore paritario, previsione che rappresenta di per sé uno stru
mento coerente per soddisfare le suddette esigenze, e che non
potrebbe essere stravolta in via interpretativa con un ingiustifi cato ribaltamento del rapporto tra numero dei partecipanti e la
loro rappresentatività. È evidente quindi che per l'approvazione delle delibere as
sembleari in seconda convocazione devono sussistere entrambi i
quorum previsti dal 3° comma dell'art. 1136 c.c., ed entrambi
devono risultare maggioritari, rispetto al numero e alla rappre sentatività dei partecipanti contrari all'approvazione.
Il ricorso va pertanto accolto, e la sentenza impugnata va cas
sata senza rinvio, in quanto questa corte può decidere diretta
mente nel merito, rigettando, alla luce del principio sopra af
fermato, l'appello proposto dal condominio, perché palesemente infondato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 aprile
2004, n. 6487; Pres. Saggio, Est. Ceccherini, P.M. Velardi
(conci, diff.); De Lucia (Avv. Di Criscio) c. Comune di Poz
zuoli (Avv. Allodi, Starace). Conferma App. Napoli 14 giu
gno 2000.
Riscossione delle imposte e delle entrate dello Stato e degli
enti pubblici — Ingiunzione fiscale — Opposizione —
Onere della prova (Cod. civ., art. 2697; r.d. 14 aprile 1910 n.
639, approvazione del t.u. delle disposizioni di legge relative
alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, art. 3).
Nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale di cui al r.d. 14 aprile 1910 n. 639, l'opponente assume la veste sostan
ziale di attore, con la conseguenza che allo stesso compete
l'onere di provare l'infondatezza dell'avversa pretesa. (1)
(1) Contra, Cass. 3 settembre 1999, n. 9280, Foro it., 1999,1, 3172;
6 novembre 1999, n. 12359, id., Rep. 2001, voce Riscossione delle im
poste, n. 170, e, più di recente, Cass. 4 marzo 2004, n. 4394, id., Mass.,
296, tutte nel senso che, proposta opposizione ad ingiunzione fiscale,
l'onere della prova del fondamento della pretesa incombe sull'ammini
strazione opposta (così anche, con espresso riferimento a crediti della
pubblica amministrazione riconducibili all'ambito dei rapporti obbli
gatori di diritto privato, Cass. 9 luglio 1999, n. 7179, id.. Rep. 2000,
voce cit., n. 246; 8 giugno 2000, n. 7844, ibid., n. 245; 18 maggio 2001,
n. 6813, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 169; 24 luglio 2002, n. 10821, id.,
Rep. 2002, voce cit., n. 163).
Cass., ord. 11 giugno 2003, n. 9421, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 191,
citata in sentenza come favorevole alla tesi espressa in massima, si li
mita in realtà a pronunciare in tema di competenza. Per ulteriori riferimenti, v. Cass. 22 giugno 1995, n. 7048, id., 1996,
I, 971, con nota di richiami, ove si dà conto delle diverse soluzioni of
ferte dalla Suprema corte al problema della ripartizione dell'onere pro batorio nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale.
Il Foro Italiano — 2004.
Svolgimento del processo. — In data 14 maggio 1990, il co
mune di Pozzuoli notificò al sig. Gennaro De Lucia ingiunzione di pagamento, emessa ex r.d. 14 aprile 1910 n. 639 il 29 settem
bre 1989 e vidimata il 28 novembre 1989, per la somma di lire
39.115.598, dovute per fornitura idrica all'immobile, sito alla
via Campana di quella città e denominato Castello dei Barbari.
Con citazione 4 giugno 1990, il De Lucia si oppose all'in
giunzione, deducendo che egli aveva ceduto l'immobile ad una
società nel 1980, e che il complesso era stato requisito dal co
mune negli anni 1981 e 1982, per alloggiarvi nuclei familiari
rimasti privi di alloggio a seguito del terremoto, sicché i consu
mi dovevano essere addebitati all'ente locale o agli effettivi oc
cupanti dell'immobile. L'opponente si fece autorizzare a chia
mare in causa la società in nome collettivo Montebarbaro di
Viola & C., che rimase contumace. Il comune si costituì e resi
stette all'opposizione. Con sentenza in data 29 maggio 1997, il tribunale respinse
l'opposizione. Il tribunale rilevò, in via preliminare, che nella
seconda comparsa conclusionale l'opponente aveva dedotto la
nullità dell'ingiunzione perché notificata dopo l'entrata in vigo
re del d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43, che aveva introdotto la ri
scossione mediante ruolo di quelle entrate patrimoniali, ma che
l'ingiunzione era stata emessa il 29 settembre 1989, e quindi
prima dell'entrata in vigore del citato decreto.
La Corte d'appello di Napoli, investita del gravame proposto dal De Lucia contro la sentenza di primo grado, respinse l'ap
pello, osservando tra l'altro che l'eccezione di nullità dell'in
giunzione, basata sull'abrogazione del r.d. 639/10, era stata dal
primo giudice ritenuta tardivamente sollevata, e che la relativa
statuizione, non impugnata, era passata in cosa giudicata, sicché
doveva ritenersi inammissibile il motivo di appello proposto dal
De Lucia sullo stesso punto concernente la violazione del d.leg.
43/88. Per la cassazione della sentenza, il De Lucia ricorre con atto
notificato il 7 maggio 2001, con due motivi.
Il comune di Pozzuoli resiste con controricorso notificato al
De Lucia il 15 giugno 2001, nel domicilio eletto.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso si
impugna la statuizione concernente la formazione del giudicato
interno, ritenuta dalla corte territoriale, in ordine all'eccezione
sollevata dal De Lucia circa la regolarità dell'ingiunzione fi
scale, siccome sollevata per la prima volta con la seconda com
parsa conclusionale di primo grado. Premesso che la questione
sollevata non costituiva eccezione in senso tecnico, ma dedu
zione dell'inesistenza giuridica dell'atto, rilevabile d'ufficio, si
deduce che il tribunale aveva ritenuto il rilievo del De Lucia in
fondato, perché l'ingiunzione era stata emessa prima dell'en
trata in vigore del d.p.r. 43/88, così ponendosi in contrasto con
la giurisprudenza di questa corte, secondo la quale la nuova
normativa trova applicazione anche per le ingiunzioni emesse
prima della sua entrata in vigore, ma notificate dopo. Il motivo è infondato nella sua prima parte, nella quale si de
duce, in sintesi, che la questione della nullità dell'ingiunzione
fiscale, perché notificata dopo l'abrogazione del r.d. 14 aprile
1910 n. 639 (ancorché emessa prima), costituiva una mera dife
sa vertente su questione rilevabile d'ufficio, sicché per essa non
potevano ravvisarsi preclusioni alla prospettazione dopo la
contestatio litis.
Deve premettersi che, secondo l'insegnamento assolutamente
costante e consolidato di questa corte di legittimità, nel proce
dimento monitorio fiscale, apprestato per la spedita riscossione
delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici
minori (r.d. 14 aprile 1910 n. 639), l'atto formale dell'ingiun
zione cumula le caratteristiche del titolo esecutivo stragiudiziale
e del precetto, di guisa che l'opposizione del debitore costitui
sce la domanda giudiziale che apre un ordinario processo co
gnitivo, diretto a contestare il diritto all'esecuzione e ad ottene
re un accertamento negativo a favore del debitore stesso, che
viene ad assumere vera e propria veste di attore (così la giuris
prudenza di legittimità, almeno da sez. un. 9 ottobre 1967, n.
2339, Foro it., Rep. 1967, voce Esazione, n. 121, sino alla più
recente Cass., ord. 11 giugno 2003, n. 9421, id., Rep. 2003, vo
ce Riscossione delle imposte, n. 191).
Ora, poiché l'opposizione all'ingiunzione fiscale si qualifica
come esercizio di un'azione di accertamento negativo della le
gittimità della pretesa dell'amministrazione, l'opponente, assu
mendo la veste sostanziale o formale di attore, non può dedurre
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