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Date post: 13-Dec-2014
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UNIVERSITY OF SIENA FACULTY OF ECONOMICS R.M. GOODWIN MARCELLO CLARICH SERVIZI PUBBLICI E DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA: L’ESPERIENZA ITALIANA E TEDESCA A CONFRONTO Simple 11/03 siena memos and papers on law and economics
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UNIVERSITY OF SIENA FACULTY OF ECONOMICS R.M. GOODWIN

MARCELLO CLARICH

SERVIZI PUBBLICI E DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA:

L’ESPERIENZA ITALIANA E TEDESCA A CONFRONTO

Simple 11/03

siena memos and papers on law and economics

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Siena Memos and Papers on Law & Economics

GARANTE SCIENTIFICO COLLANA SIMPLE

Francesco Silva

La collana di quaderni SIMPLE nasce nell’ambito della ricerca legata al Dottorato di Ricerca in Diritto ed Economia (Law and Economics), nato nel 2001 dalla collaborazione tra l’Università di Siena, l’Università di Trento, il Liuc Castellanza e la Scuola Superiore in Economia e Finanza. Il dottorato si propone di formare studiosi e dirigenti di istituzioni economico-sociali nazionali ed internazionali e di imprese per le quali sia richiesta una preparazione interdisciplinare con particolare attenzione all’area giuridico-economica. Il percorso didattico, al quale contribuiscono docenti provenienti da diverse università italiane ed estere, nonché esperti di istituzioni pubbliche e private, si propone di costruire un bagaglio di conoscenze e strumenti comuni nelle aree di diritto ed economia, partendo da basi disciplinari differenziate, come quelle offerte nella facoltà di economia, giurisprudenza e scienze politiche. In particolare, l’attività didattica e di ricerca offerta dal dottorato è rappresentata dalle seguenti macro-aree:Contratti, Diritti di Proprietà, Responsabilità; Organizzazioni economiche e Corporate Governance; Concorrenza, Regolazione e Antitrust; Istituzioni, Organizzazioni e Scelte pubbliche; Regolazione e Organizzazioni internazionali. Nell’ambito di questo percorso formativo sono previsti inoltre moduli di formazione di base per economisti e giuristi e moduli/seminari specialistici, tra i quali: diritti di proprietà intellettuale, finanza d'impresa, sistemi finanziari, analisi dell'impatto della regolamentazione, etica e impresa, diritto penale ed economia del crimine, tutela ambientale e tutela del consumatore. L’ iter formativo si divide in tre segmenti: uno di frequenza obbligatoria delle lezioni della durata di un anno e mezzo, un secondo di eventuale formazione all’estero e/o di stage presso istituzioni o enti di ricerca, di durata variabile da un semestre ad un anno, l’ultimo, focalizzato alla preparazione della tesi. L’obiettivo formativo è diretto a condurre lo studente ad una preparazione interdisciplinare orientata ad una successiva specializzazione tematica.

COLLEGIO DEI DOCENTI DEL DOTTORATO Laura Ammannati (coordinatore), Gregorio Arena, Franco Belli, Fabrizio Cafaggi, Massimo D'Antoni, Massimo Egidi, Francesco Farina, Antonia Irace, Antonio Nicita, Giovanni Ramello, Maria Elena Salerno, Lorenzo Sacconi, Francesco Silva (garante scientifico), Roberto Tamborini, Gennaro Terracciano, Mario Tonveronachi, Mario Zanchetti

http://www.unisi.it/lawandeconomics

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MARCELLO CLARICH*

SERVIZI PUBBLICI E DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA: L’ESPERIENZA ITALIANA E TEDESCA A CONFRONTO

* Ordinario di diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza

della L.U.I.S.S. “Guido Carli” di Roma

e-mail: [email protected]

Indice: 1. Premessa; 2. Cenni al contesto comunitario; 3. Servizi pubblici e diritto dell’economa: a) in Italia; 4. Continua: b) in Germania; 5. Il nuovo spirito della Costituzione economica italiana dopo la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3; 6. Stato regolatore e servizi pubblici; 7. Conclusioni.

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1. Premessa

Il diritto europeo ha rappresentato un fattore di cambiamento epocale anche nel settore dei

servizi pubblici, componente essenziale dell’esperienza dello Stato sociale (o del benessere) in

espansione per buona parte del secolo scorso. La costituzione economica europea si è via via

sovrapposta a quelle nazionali con effetti più o meno dirompenti nei singoli Paesi i cui ordinamenti

avevano incorporato, per evoluzione interna, in grado assai diversificato i principi fondanti dei

Trattati europei.

Da questo punto di vista, l’esperienza italiana nella materia dei servizi pubblici può essere

analizzata tenendo presente sullo sfondo l’ordinamento di altri Paesi e in particolare di quello

tedesco che può rappresentare, pur nelle diversità dei contesti e di grado di sviluppo economico,

un’utile pietra di paragone.

Sussistono infatti alcuni elementi storico-istituzionali di somiglianza tra i due ordinamenti,

rilevanti per il tema dei servizi pubblici. Tra di essi vanno ricordati, in particolare, la ricca e

variegata esperienza di socialismo municipale a partire dalla fine del XIX secolo (in Germania nel

periodo bismarkiano; in Italia in epoca giolittiana1) e l’espansione della presenza pubblica

nell’economia, manifestatasi già in occasione del primo conflitto mondiale ed esplosa negli anni

Trenta in connessione sia della Grande Crisi2 sia dell’affermarsi di ideologie stataliste e autoritarie3.

1 Va ricordata in particolare la cosiddetta legge Giolitti 29 marzo 1903 n. 103 sui servizi pubblici municipalizzati poi confluita nel T.u. 15 ottobre 1925, n. 2578. 2 Lo stato di insolvenza in cui caddero in Germania importanti gruppi industriali e bancari soprattutto nel 1931 rese necessarie operazioni di risanamento con massicci interventi finanziari da parte dello Stato il cui effetto finale fu anche l’assunzione da parte dello Stato della titolarità dei pacchetti azionari di controllo delle grandi banche. Su questi aspetti cfr. M. CLARICH, Le grandi banche nei paesi maggiormente industrializzati, Bologna, 1985, p. 176 e seg. E’ utile sottolineare come la privatizzazione delle grandi banche avvenne in pieno regime nazionalsocialista e ciò anche se il programma originario del partito prevedeva la “rottura della schiavitù dell’interesse” tramite la nazionalizzazione del sistema bancario. In Italia, la privatizzazione delle grandi banche oggetto di operazioni di salvataggio negli stessi anni (le cosiddette banche d’interesse nazionale, secondo la definizione della legge bancaria del 1936) avvenne solo all’inizio degli anni Novanta del secolo appena concluso. 3 Per l’evoluzione delle strutture amministrative in Italia in relazione alle funzioni via via emergenti cfr. G. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Bologna, 1996.

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La differenza forse più profonda invece emerge invece nella costituzione economica formata,

oltre che dai testi costituzionali adottati nei due Paesi nel secondo dopoguerra, e cioè la

Costituzione italiana del 1948 e la Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz) del 1948,

dall’interpretazione datane dalle Corti Costituzionali, dalla legislazione amministrativa, dalla prassi

interpretativa e applicativa4.

Il principio dell’economia sociale di mercato, pur non iscritto espressamente nella Legge

fondamentale tedesca, ma corrispondente alla visione politico istituzionale dominante nel secondo

dopoguerra, poneva le basi per un sistema economico caratterizzato, per un verso, da una

tendenziale apertura del mercato alla libera concorrenza, pur con i temperamenti correlati alla

necessità di garantire la tutela degli interessi pubblici di volta in volta in gioco; per altro verso, da

uno scarso intervento diretto dello Stato nell’economia in veste di proprietario e gestore di aziende

anche nel settore dei servizi pubblici (Stato imprenditore o gestore). Per esempio, nel settore

dell’energia elettrica hanno sempre operato numerosi produttori e distributori privati. Si pensi

ancora all’adozione di una normativa antitrust, sul modello statunitense, già nel 1957 con “la legge

contro le limitazioni della concorrenza” (Gesetz gegen di Wettbewerbseinchrankungen), approvata

anche in seguito alle pressioni delle autorità americane che già nell’immediato dopoguerra

ritenevano necessaria la dissoluzione dei cartelli industriali e la deconcentrazione del sistema

economico, come premessa per la democratizzazione del Paese5.

La Costituzione italiana del 1948 ha, com’è noto, una matrice composita che unisce in modo

non del tutto armonico principi di ispirazione liberista, socialista e cattolica6. I limiti

4 Si allude qui al triplice significato dell’espressione “costituzione economica“, comprensivo anche dello “spirito pubblico” cioè dei mutamenti dell’opinione pubblica. Cfr. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 2000, pp. 3-4. Basti ricordare come fino all’’inizio degli anni Novanta del secolo scorso nel nostro Paese concetti come “privatizzazione” e “mercato” costituivano quasi un tabù, o comunque non rientravano nell’area del “politically correct”, nel dibattito politico istituzionale. Per il concetto di costituzione economica con riferimenti al dibattito in Germania cfr. da ultimo L. GIANI, Attività amministrativa e regolazione di sistema, Torino, 2002, p. 109 ss. 5 Su queste vicende cfr. L. AMMANNATI, Il sistema tedesco di tutela della concorrenza. Un modello consolidato alla prova dei tempi, in L. AMMANNATI (a cura di), La concorrenza in Europa – Sistemi organizzativi e autorità di garanzia, Padova, 1998, p. 13 e seg. 6 Sulle varie matrici della Costituzione del 1948 cfr., per tutti, G. AMATO, La nuova costituzione economica, in G. DELLA CANANEA – G. NAPOLITANO (a cura di), Per una nuova costituzione economica, Bologna, 1998, p. 12 e

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all’espansione della presenza pubblica diretta (non solo tramite la costituzione di imprese

pubbliche, ma anche tramite interventi di nazionalizzazione, tra i quali quella del settore elettrico

nel 1962) e indiretta (sottoforma di regolazione pubblica e di interventi di pianificazione e

programmazione) nell’economia sono stati, se non inesistenti, comunque assai ridotti7.

L’art. 41 della Costituzione, soprattutto il terzo comma, ha rappresentato la base giuridica

idonea a legittimare, con l’avallo della Corte Costituzionale, interventi dirigistici quali, variamente,

il controllo generalizzato dei prezzi con finalità economiche e sociali8; la mancata previsione nel

codice civile della nullità del patto di non concorrenza9; limiti all’apertura di esercizi di

panificazione ritenuti conformi all’utilità sociale per “l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio locale

di mercato tra domanda e offerta”10; tariffe obbligatorie a forcella per gli autotrasportatori dettate

dall’esigenza di “garantire alle imprese un margine di utile, evitando situazioni di concorrenza

sleale”11.

seg. Com’è stato acutamente osservato, nell’ambito di un’analisi dell’art. 41 della Costituzione dalla quale emerge che la libertà di iniziativa privata sancita al primo comma non contiene in sé il principio di concorrenza, “la Carta repubblicana ignora l’economia di mercato”: cfr. N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, p. 96 e in termini analoghi, sempre lo stesso autore, in Economia di mercato e interesse pubblico, in Riv. Trim. di Dir. e Proc. Civ., 2000, p. 440 ove si sottolinea il contrasto della nostra Costituzione con i principi europei e si ritiene che “il criterio di definizione dell’interesse pubblico va ricavato (o va anche ricavato) dai principi comunitari, e dunque include in sé, prima tra altre, la garanzia di piena e libera concorrenza nel mercato europeo”. Per la tesi secondo la quale l’art. 41, comma 3, della Costituzione va letto alla luce del Trattato CE che in virtù dell’art. 11 della Costituzione ha portato a una modificazione della Costituzione italiana cfr. F. MERUSI, Considerazioni generali sulle amministrazioni indipendenti, in F. BASSI – F. MERUSI (a cura di), Mercati e amministrazioni indipendenti, Milano, 1993, p. 159 e seg.; G. CORSO, Attività amministrativa e mercato, in Riv. Giur. quadr. dei pubblici servizi, 1999, pp. 16-17; G. CARTEI, Il servizio universale, Milano, 2002, p. 24 e seg. con particolare riguardo all’art. 43 Cost e ai suoi rapporti con la nozione di servizio pubblico. Per le varie teorie sul fondamento costituzionale della disciplina della concorrenza cfr. R. NIRO, Profili costituzionali della disciplina antitrust, Padova, 1994, p. 97 e seg.; A. ZITO, Attività amministrativa e rilevanza dell’interesse del consumatore nella disciplina antitrust, Torino, 1998, p. 69 e seg. 7 Sulle imprese pubbliche e sulle collettivazioni, cfr. M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1985, II ed., p. 125 e seg. e pag.175 e seg. sull’art. 41 della Costituzione. 8 Si allude al d.lgs.lgt. 19 ottobre 1944 n. 347 istitutivo del Cip e dei compitati provinciali che all’art. 4 prevedeva un sistema di controllo che riguardava “i prezzi di qualsiasi merce (…) nonché i prezzi dei servizi e delle prestazioni” ritenuto costituzionale dalla sentenza della Corte Cost. 8 luglio 1957 n. 103, in Giur. Cost., 1957, I, p. 976 con nota di F. BARTOLOMEI. Sulla liberalizzazione delle tariffe e dei prezzi amministrati sotto l’influsso del diritto comunitario e per gli altri adeguamenti dell’ordinamento italiano, all’insegna dello smantellamento di regimi dirigistici, dovuti a tale influsso cfr. M. MAZZAMUTO, La riduzione della sfera pubblica, Torino, 2000, p. 155 e seg. 9 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 223 del 1982, infatti ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2596 del codice civile argomentando proprio dagli articoli 41 e 43 della Costituzione: Cfr. G. FLORIDIA, I patti di non concorrenza davanti alla Corte Costituzionale, in Giur. Comm., 1983, I, p. 811 e seg. 10 Cfr. Corte Cost. 8 febbraio 1991 n. 63, in Giur. Cost., 1991, p. 455 con nota di S. NICCOLAI. 11 Cfr. Corte Cost. 5 novembre 1995 n. 386, in Foro it., 1997, I, c. 994. Per un’analisi più completa degli indirizzi interpretativi della Corte Costituzionale cfr. M. LIBERTINI, Caratteristiche della normativa antitrust e sistema giuridico italiano. Un bilancio dei primi dieci anni di applicazione della legge 287, in Riv. dir. comm., 2000, p. 515 e seg. il quale, peraltro, osserva che il quadro della giurisprudenza costituzionale del decennio, pur non essendo del tutto

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Lo stesso art. 43, che prevede che la legge possa riservare originariamente allo Stato o a enti

pubblici imprese o categorie che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, non ha posto alcun

limite significativo al nostro legislatore12.

Inoltre, almeno fino agli anni Novanta del secolo scorso, il corpus della legislazione

amministrativa, non solo non è stato depurato dalle leggi settoriali approvate nel ventennio

autoritario ispirate a una visione statalista e corporativa (si pensi al settore del commercio,

all’ordinamento delle professioni, ecc.), ma si è via via appesantito di normative settoriali ispirate a

logiche programmatorie e interventiste antitetiche a quella dell’economia di mercato aperta alla

concorrenza13.

La stessa adozione di una normativa antitrust, che rappresenta una delle strutture portanti di

un’economia di mercato correttamente funzionante, è stata rinviata nel tempo. Non a caso molti

interventi dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato istituita con la legge 10 ottobre

1990 n. 287 hanno avuto di mira nel primo decennio di attività soprattutto le imprese pubbliche

monopoliste o ex monopoliste e non hanno risparmiato il Parlamento e il Governo, destinatari di

numerose segnalazioni dell’Autorità volte a censurare interventi normativi contrari ai principi di

libertà di iniziativa economica e di concorrenza14.

lineare, consente di scorgere “un progressivo spostamento dei criteri di valutazione verso il pieno riconoscimento del principio di libertà di concorrenza” e auspica che “la Corte possa svolgere un ruolo decisivo per la rimozione di una serie di vincoli amministrativi ingiustificati verso la libertà di iniziativa economica e di concorrenza” (pag. 519). Sulle incertezze circa il rango costituzionale della libertà di concorrenza cfr. A. PACE, La Corte disconosce il valore costituzionale della libertà di concorrenza?, in Giur. Cost., 1999, p. 2965 e ss. a commento della sentenza 7 ottobre 1999 n. 384. 12 Sull’art. 43 della Costituzione, letto in connessione e contrapposizione con l’art. 86, comma 2 del Trattato, cfr. di recente G. CORSO, I servizi pubblici nel diritto comunitario, in Riv. giur. quadr. dei pubblici servizi, 1999, p. 9 ove si osserva che nelle tradizioni giuridiche italiana e francese “qualificare un’attività come servizio pubblico e riservarla ai pubblici poteri (statali o locali) è quasi la stessa cosa” e che una siffatta equiparazione è contenuta nell’art. 43 della Costituzione, disposizione improntata all’idea che “il monopolio è considerato negativamente dallo stesso art. 43 solo se privato”, principio ben diverso da quello desumibile dall’art. 86, comma 2 del Trattato. Cfr. altresì, A. PREDIERI, Collettivizzazione, in Enc. Dir., Vol. VII, 1960, p. 223 e seg. 13 Sulle fasi storiche nella regolazione amministrativa dei mercati cfr. M. LIBERTINI, Le riforme del diritto dell’economia: regolazione e concorrenza, in Giorn. di dir. amm., 2002, p. 802 e seg. 14 Per un’analisi della casistica degli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, cfr. G. AMATO, Il gusto della libertà – L’Italia e l’antitrust, Bari, 1998, p. 69 e seg.; M. CLARICH, L’attività di segnalazione e consultiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Dir. amm., 1997, p. 85 ss.

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In questa situazione non deve pertanto stupire se la costituzione economica europea abbia

avuto un impatto molto più dirompente sull’ordinamento italiano di quanto non sia accaduto invece

con riguardo all’ordinamento tedesco15.

Peraltro la stessa costituzione economica europea, che si ricava sia dai Trattati, sia dal corpus

delle direttive settoriali adottate negli anni Ottanta e Novanta, sia dalla prassi interpretativa della

Corte di Giustizia, non è rimasta immobile in questi decenni. In particolare, le imprese pubbliche

hanno vissuto a lungo indisturbate in una sorta di cono d’ombra della politica europea della

concorrenza: solo nell’ultimo ventennio la Commissione ha riscoperto e applicato con rigore le

disposizioni in tema di aiuti di Stato e di applicazione delle regole della concorrenza al settore dei

servizi pubblici. Le direttive di liberalizzazione dei servizi pubblici (specie quelle in materia di

telecomunicazioni e di energia elettrica e gas) hanno messo in moto un processo di revisione

profonda degli assetti normativi nazionali.

Nell’esperienza italiana, l’intera impalcatura dello Stato imprenditore è venuta

progressivamente meno in gran parte sotto la spinta del diritto comunitario ed è stata sostituita con

le nuove architetture, peraltro non ancora consolidate, dello Stato regolatore (regolazione leggera

proconcorrenziale, autorità indipendenti, ecc.)16.

In anni più recenti, peraltro, la reazione di alcuni Stati membri a interventi comunitari ritenuti

lesivi di prerogative nazionali (si pensi in particolare alla Francia, nella quale la nozione di service

publique è sempre stata al centro del dibattito politico-istituzionale e giuridico), ha determinato un

nuovo orientamento volto a porre in primo piano, accanto al principio dell’”economia di mercato

aperta e in libera concorrenza” --- stella polare dell’azione della Comunità e degli Stati membri in

base all’art. 4 del Trattato ---, i valori di coesione sociale e territoriale per la promozione dei quali è

15 Sull’impatto del regime comunitario dei servizi pubblici sulle principali normative di settore italiane in tema di trasporto ferroviario, energia elettrica e gas, telecomunicazioni e poste cfr. N. RANGONE, I servizi pubblici, Bologna, 1999; L. DE LUCIA, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Torino, 2002. 16 Cfr. M. CLARICH, Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell’amministrazione italiana, in Dir. amm., 1995, p. 519 e seg.; A. LA SPINA - G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000, p. 273 e seg.; S. FREGO LUPPI, L’amministrazione regolatrice, Torino, 1999

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indispensabile la garanzia dell’erogazione di servizi pubblici di qualità elevata all’intera

popolazione, anche al di là, ove necessario, della logica del mercato strettamente intesa.

2. Cenni al contesto comunitario.

Espressione formale dell’esigenza appena segnalata è il nuovo articolo 16 del Trattato CE,

introdotto con il Trattato di Amsterdam sottoscritto il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1°

maggio 1999, che riconosce il carattere fondamentale dei servizi di interesse economico generale in

relazione ai valori comuni dell’Unione europea e all’obiettivo della coesione sociale e territoriale e

che pertanto impegna la Comunità e gli Stati membri a provvedere “affinché tali servizi funzionino

in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti”17. L’art. 16 peraltro

fa salve alcune disposizioni del Trattato tra le quali in particolare l’art. 86. Com’è noto, l’art. 86,

comma 2, che sottopone in linea di principio anche le imprese incaricate della gestione di servizi di

interesse economico generale alle regole di concorrenza, è stato oggetto di una ricca giurisprudenza

comunitaria che ha teso a ridurre al minimo l’ambito delle attività sottratte a tali regole18.

Anche l’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali, proclamata dai presidenti del Parlamento

europeo, del Consiglio e della Commissione e pubblicata nella Guce del 18 dicembre 2000,

sottolinea come l’Unione, sempre al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale

dell’Unione, “riconosce e rispetta l’accesso ai servizi d’interesse economico generale quale previsto

17 Per una lucida sintesi dell’evoluzione cfr. M. NETTESHEIM, Mitgliedstaatliche Daseinvorsorge im Spannungsfeld zwischen Wettsbewebskonformitat und Gemeinwohlverantwortung, in R. HRBEK-M. NETTESHEIM (a cura di), Europaische Union und mitgliedstaatliche Daseinvorsorge, Baden-Baden, 2002, p. 39 e seg. 18Cfr. Sull’art. 86 (ex 90) del Trattato cfr. G. CORSO, I servizi pubblici nel diritto comunitario, in Riv. Giur. Quadr. dei pubblici servizi, 1999, p. 7 e seg.; D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999, p. 7 e seg.; G. CARTEI, Il servizio universale, op. cit., p. 125 ss.; G. TESAURO, Intervento pubblico nell’economia e art. 90, n. 2, del Trattato CE, in Il diritto dell’Unione europea, 1996, p. 719 e seg. anche per la tesi secondo la quale la giurisprudenza comunitaria degli anni Novanta del secolo scorso ha portato all’”abbandono della presunzione di legittimità dei monopoli”; P. FATTORI, Monopoli pubblici e articolo 90 del Trattato Ce nella giurisprudenza comunitaria, in Mercato, concorrenza e regole, 1999, p. 127 e seg.; da ultimo, a commento di una delle sentenze della Corte di Giustizia più recenti, A. ARGENTATI, Diritti speciali ed esclusivi e regole comunitarie di concorrenza – Commento a Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. V., 25 ottobre 2001, in Causa C-475/2001, in Giorn. dir. amm., 2002, p. 397 e seg.

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dalle legislazioni e prassi nazionali”, sempre però “conformemente al Trattato che istituisce la

Comunità europea”19.

La necessità di espandere l’ambito degli interessi della Comunità al di là di quello

strettamente economico era emersa peraltro già da tempo a livello comunitario.

Il Trattato di Maastricht del 1992 aveva già riformulato l’art. 2 del Trattato CE assegnando

alla Comunità Europea (non a caso non più solo “economica”, aggettivo espunto dall’espressione) il

compito di promuovere non soltanto lo sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme

della Comunità anche quello di realizzare “la coesione economica e sociale”20.

Nel 1996, nell’ambito del processo di preparazione della conferenza intergovernativa che ha

condotto al Trattato di Amsterdam, la Commissione espresse il convincimento che l’Europa è

costruita su una serie di valori comuni e unisce i caratteri della democrazia, del rispetto dei diritti

umani e dello Stato di diritto con quelli dell’economia aperta fondata sulle forze di mercato, sulla

solidarietà interna e sulla coesione sottolineando che questi valori includono l’accesso per tutti i

componenti della società al servizio universale o ai servizi di interesse generale con ciò

contribuendo alla solidarietà e alla parità di trattamento”21. Da qui la proposta di inserire

nell’articolo 3 del Trattato un paragrafo teso ad aggiungere ai compiti della Comunità quello di

contribuire alla promozione dei servizi di interesse generale.

19 Cfr. M. CHITI, I caratteri della Costituzione economica europea alla luce della Carta dei diritti fondamentali, in C. FRANCHINI-L. PAGANETTO (a cura di), Stato ed economia all’inizio del XXI secolo, Bologna, 2002, p, 49 e seg. Sul valore giuridico della Carta cfr. A. PACE, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. Cost., 2001, p. 193 e seg.; L.S. ROSSI, La Carta dei diritti come strumento di costituzionalizzazione dell’ordinamento dell’UE, in Quaderni costituzionali, 2002, p. 565 e seg. 20 Per questa osservazione e più in generale sul contesto comunitario che fa da cornice alla materia dei servizi pubblici cfr. E. FERRARI (a cura di), I servizi a rete in Europa – Concorrenza tra gli operatori e garanzia dei cittadini, Milano, 2000, p. XXI dell’introduzione del curatore del bel volume. La politica di coesione si è espressa fin dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso con i cosiddetti Fondi strutturali e dal 1992 con l’istituzione del Fondo di coesione. Va ricordato altresì che il Titolo XVII del Trattato è dedicato alla coesione economica e sociale e prevede numerosi tipi di intervento finanziario. 21 Cfr. COM(96) final, 28 febbraio 1996.

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Sempre nel 1996 la Commissione presentò una prima comunicazione sui servizi d’interesse

generale, ribadendo la loro importanza ai fini del conseguimento degli obiettivi fondamentali

dell’Unione europea che vanno certamente al di là di una mera visione economicistica22.

In definitiva, il nuovo articolo 16 del Trattato, adottato in gran parte in seguito alle insistenze

della Francia, preoccupata, come si è accennato, dell’erosione della concezione del servizio

pubblico nell’ordinamento interno francese dovuta alla giurisprudenza comunitaria formatasi

sull’art. 86, comma 2, del Trattato 23, è il frutto di un lungo lavoro di maturazione e di elaborazione.

Sull’interpretazione e sulla cogenza giuridica del nuovo articolo 16 del Trattato si è formato

uno spettro di opinioni che va da chi ritiene che la disposizione operi una vera e propria rivoluzione

copernicana per il diritto europeo della concorrenza, o che quanto meno essa si ponga come “altro

polo” rispetto al primato della concorrenza, a chi tende invece sottolinearne il valore di norma

programmatica o meramente ricognitiva dello stato della giurisprudenza comunitaria in materia o di

mera “codificazione” del servizio universale24.

A favore delle tesi minimaliste gioca anche la dichiarazione aggiuntiva inserita negli atti

conclusivi del Trattato di Amsterdam secondo la quale il nuovo articolo “è attuato nel pieno rispetto

22 Cfr. Comunicazione del 26 settembre 1996, GU C 281. 23 Cfr. M. LONG, Service public et réalités économiques du XIX siècle au droit communautaire, in Rfda, 2001, p. 1161 e seg. e in particolare p. 1166 ; Y. GAUDAMET, Regolazione e servizi pubblici: l’esperienza continentale, in G. TESAURO-M. D’ALBERTI (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, 2000, p. 49 e seg. secondo il quale la nozione di servizio pubblico, in particolare con l’art. 16 del Trattato, è ormai riconosciuta dal diritto comunitario anche se il perimetro di esso è più circoscritto di quello della maggior parte dei sistemi continentali; J. FOURNIER, La teoria francese del servizio pubblico e il diritto comunitario, in E. FERRARI (a cura di), op. cit., p. 3 e seg. e secondo il quale per il diritto francese il regime giuridico del monopolio non era un obbligo, ma non era neppure vietato, mentre per il diritto comunitario “il monopolio è possibile soltanto quando è veramente imposto dalle esigenze del servizio, e deve essere giustificato” (p. 14). Sulla genesi e sul carattere compromissorio dell’art. 16 cfr. altresì A. TIZZANO, Il Trattato di Amsterdam, Padova, 1998, pp. 86-87 24 Per le varie posizioni cfr. J. PIELOW, Il “service public” e l’art. 16 del Trattato CE da un punto di vista tedesco, in E. FERRARI (a cura di), op. cit., p. 53 e seg.; A. TIZZANO, Il trattato di Amsterdam, Padova, 1998; L.G. RADICATI DI BROZOLO, La nuova disposizione sui servizi di interesse economico generale, in Dir. Unione europea, 1998, pp. 273 e seg. per il quale l’art. 16 del Trattato esprime l’esigenza che l’applicazione delle regole del Trattato non si risolvano in un abbassamento della qualità e della disponibilità dei servizi pubblici; F. MERUSI, Le leggi del mercato - Innovazione comunitaria e autarchia nazionale, Bologna, 2002, p. 68 in particolare per la tesi della mera codificazione del servizio universale; G. CORSO, I servizi pubblici comunitari, op. cit., p. 19 per la tesi secondo la quale l’art. 16 del Trattato è stato introdotto “più per tacitare coloro che volevano cambiare l’art. 90, dando loro il contentino di una (apparente) nuova disciplina, che per innovare effettivamente l’assetto preesistente”.

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della giurisprudenza della Corte di giustizia, fra l’altro per quanto riguarda i principi della parità di

trattamento, della qualità e della continuità di tali servizi”25.

Qualche indicazione sul significato del nuovo articolo 16 del Trattato può essere ricavata, al

di là della discussione prettamente giuridica, dalla più recente Comunicazione della Commissione

su “I servizi d’interesse generale in Europa”26, integrativa delle Comunicazione del 1996.

La nuova Comunicazione dedica un capitolo alle azioni da intraprendere in coerenza con la

nuova disposizione e con la dichiarazione dei capi di Stato e di governo espressa in occasione del

vertice di Lisbona del 23-24 marzo 2000 in base alla quale il Consiglio europeo “considera

essenziale che, nell’ambito del mercato interno e dell’economia basata sulla conoscenza, si tenga

pienamente conto delle disposizioni del Trattato riguardanti i servizi d’interesse economico

generale e le imprese incaricate della Gestione di tali servizi”.

L’impegno della Commissione dovrà svilupparsi su tre versanti: la massima apertura dei

mercati, con un’accelerazione della liberalizzazione dei settori del gas, dell’energia elettrica, dei

trasporti e dei servizi postali; il rafforzamento del coordinamento e della solidarietà in Europa ai fini

del controllo dell’operato delle autorità nazionali di regolamentazione dei servizi pubblici e di un

esame dei risultati ottenuti dai singoli Stati membri sotto l’aspetto del funzionamento dei servizi

pubblici e dell’efficacia dei quadri normativi; l’elaborazione di altri contributi a sostegno dei

servizi d’interesse generale quali, in particolare, l’attuazione del programma di reti transeuropee, la

creazione di uno spazio europeo della ricerca, l’adozione di nuove normative in materia di tutela dei

consumatori, ecc.

Come traspare dal contenuto piuttosto generico di questa parte della Comunicazione, le azioni

intraprese o ipotizzate hanno una dimensione essenzialmente di politica legislativa e di indirizzo

operativo, più che giuridica in senso proprio.

25 Cfr. Dichiarazione n. 13 in GUCE 10 novembre 1997, n. C340, p. 133. 26 Cfr. COM (2000), 580.

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E’ peraltro possibile che il nuovo articolo 16 del Trattato influisca sugli indirizzi operativi

della Commissione e sugli orientamenti della Corte di Giustizia che dovrà tener conto della

necessità di bilanciare i valori, talora non agevolmente componibili, dell’efficienza del mercato e

degli obiettivi sociali di coesione e inclusione27. Quest’ultimi potrebbero giustificare in futuro,

nella prassi interpretativa del Trattato, deroghe più ampie alle regole della concorrenza28. Più che

direttamente il diritto positivo comunitario in sé e per sé, con il nuovo articolo 16 del Trattato è lo

spirito di tale diritto che viene in parte mutato e adattato ai nuovi umori politici. Nella fase più

recente, caratterizzata da un ciclo economico recessivo e dall’incertezza degli scenari internazionali,

i principali Stati membri sembrano aver rallentato l’entusiasmo per le politiche di liberalizzazione

(per esempio nel settore dell’energia elettrica, soprattutto a causa del tentativo francese di

proteggere l’impresa monopolistica nazionale)29.

Completa il quadro delle disposizioni del Trattato in tema di servizi pubblici, l’art. 73, fatto

espressamente salvo dall’art. 16, che dichiara compatibili con il Trattato “gli aiuti richiesti delle

necessità del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servitù

inerenti alla nozione di pubblico servizio”.

Ancor più rilevanti sono alcune disposizioni in tema di reti transeuropee. Già l’art. 3, comma

1, lett. o) include nell’elenco delle azioni della Comunità l’incentivazione della creazione dello

sviluppo di tali reti. Questa disposizioni trova svolgimento nel Titolo XV, composto dagli articoli

154, 155 e 156, che impegna la Comunità a concorrere alla costituzione e allo sviluppo di reti

27 Cfr. M. FREEDLAND, Law, public services, and citizenship – New domains, new regimes?, in M. FREEDLAND – S. SCIARRA (a cura di), Public services and citizenship in European Law - Public and labour law perspectives, Oxford, 1998, p. 19. 28 Del resto la stessa Comunicazione (par. 22) riconosce agli Stati membri un’ampia libertà di definizione, soggetta a controllo solo in caso di errore manifesto, con riguardo alle attività da includere nella nozione di servizi di interesse economico generale concedendo alle imprese incaricate della prestazione di tali servizi diritti speciali o esclusivi necessari, regolamentando la loro attività e, se necessario, sovvenzionandola. 29 Il settore trainante nel campo delle liberalizzazioni continua a essere quello delle telecomunicazioni oggetto di un nuovo “pacchetto” di direttive comunitarie emanate il 7 marzo 2002 n. 19,20,21,22 tutte pubblicate nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 24 aprile 2002 L 108. Per la tesi secondo la quale nel periodo più recente, anche sulla scorta dell’introduzione dell’art. 16 del Trattato e della giurisprudenza più recente della Corte di Giustizia, “cominciano del resto a intravedersi (…) tensioni e controspinte rispetto all’ulteriore avanzamento delle liberalizzazioni” cfr. F. MUNARI, La disciplina dei cd. Servizi essenziali tra diritto comunitario, prerogative degli Stati Membri e interesse generale, in Il diritto dell’Unione europea, 2002, p. 74.

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transeuropee nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia favorendo

l’interconnessione e l’interoperabilità e l’accesso a tali reti30. In seguito ai ritocchi operati all’art.

155, il concorso della Comunità include ora non solo i progetti finanziati direttamente dagli Stati

membri, ma anche “i progetti di interesse comune sostenuti dagli Stati membri”, cioè anche quelli

finanziati con capitale privato (con le tecniche di project financing, favorite dalle normative

nazionali in materia di opere pubbliche)31.

3. Servizi pubblici e diritto dell’economia: a) in Italia;

Richiamate le principali disposizioni del Trattato in tema di servizi pubblici, è possibile

analizzare ora con maggior precisione la costituzione economica, da intendere sempre nei suoi

molteplici significati già ricordati, nell’ordinamento italiano e tedesco e l’impatto che su di esse ha

avuto la costituzione economica europea.

Per quanto riguarda il nostro Paese, si è già osservato in termini generali come la Costituzione

italiana ha eretto difese assai deboli all’intervento pubblico nell’economia. I servizi pubblici

nazionali sono stati per lo più esercitati in regime di monopolio legale (privativa o riserva

d’attività) ex art. 43 della Costituzione. Inoltre, sotto il profilo organizzativo, l’attività veniva

svolta talora direttamente dallo Stato o dagli enti locali (gestioni interne o in economia), talora

attraverso aziende-organo (statali e municipalizzate), talora da enti pubblici separati dallo Stato ma

assoggettati a poteri di indirizzo e controllo diretto (enti pubblici economici), talora da soggetti

privati in regime di concessione amministrativa32.

30 Cfr. E. CANNIZZARO, Regole di concorrenza e reti transeuropee: riflessioni sul problema della coerenza fra politiche comunitarie, in Il diritto dell’Unione europea, 2001, p. 392 e seg.; G. HERMES, Fondamenti e strutture giuridiche della responsabilità pubblica per infrastrutture, in E. FERRARI (a cura di), op. cit., p. 91 e più in generale per l’analisi della rilevanza delle infrastrutture a rete anche come presupposto di unità sociale, economica e politica. Cfr. altresì A. PREDIERI, Le reti transeuropee nei Trattati di Maastricht e di Amsterdam, in Diritto dell’Unione europea, 1997, p. 287 e seg. 31 Cfr. A. TIZZANO, Il Trattato di Amsterdam, op. cit., p. 99. 32 Per un quadro d’insieme dell’esperienza italiana cfr. S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, cit., p. 83 e seg. e p. 123 e seg. per una sintetica analisi dei tipi originari di impresa pubblica.

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In molti casi i concessionari, individuati senza alcun meccanismo di concorrenza per il

mercato (procedure di gara per la scelta del concessionario) e cioè direttamente per legge o su base

prettamente fiduciaria33, avevano essi stessi natura di enti pubblici oppure erano soggetti

formalmente privati (società per azioni), ma sostanzialmente pubblici, in quanto i pacchetti azionari

di maggioranza erano riconducibili direttamente o indirettamente ai ministeri di riferimento.

Vero è che nel diritto comunitario vige il principio della neutralità del regime di proprietà

pubblica o privata delle imprese (art. 295 del Trattato) e dunque, come chiarisce la Comunicazione

della Commissione sui servizi d’interesse generale del 20 settembre 2000 prima citata, “[n]on è

pertanto necessario privatizzare le imprese pubbliche”34. Tuttavia, dal punto di vista dei modelli di

regolazione pubblica, com’è ha rilevato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato in una

recente segnalazione al Governo e al Parlamento, “(i)l ricorso alla proprietà pubblica delle imprese

come strumento dell’intervento nell’economia è (…) meno preferibile rispetto a forme più dirette di

regolazione” e ciò a causa di diversi fattori tra cui l’inefficienza nella gestione dovuta al

perseguimento di obiettivi extraziendali, la fruizione di sussidi distorsivi della concorrenza, la

scarsa contendibilità del controllo dell’impresa, la scarsa trasparenza degli obiettivi aziendali

perseguiti35.

Inoltre, come ha sottolineato di recente l’Autorità garante della concorrenza e del mercato in

un’altra segnalazione, taluni servizi pubblici (autolinee, trasporto marittimo di linea,

radiotelevisione, ecc.) per i quali una riserva legale non era mai esistita o era venuta meno, sono

rimasti e in alcuni casi continuano a essere assoggettati a regimi di concessione amministrativa. Vi

33 Secondo la Comunicazione della Commissione del 20 settembre 2000 già citata, invece, nei casi in cui alcuni servizi di interesse generale non possono essere prestati da una pluralità di operatori perché per esempio il mercato è in grado di assicurare una redditività adeguata a un solo operatore, le autorità pubbliche concedono diritti speciali o esclusivi “sottoforma di concessioni per periodi limitati, tramite gare d’appalto. La concorrenza generata in vista dell’aggiudicazione dell’appalto dovrebbe garantire che le funzioni assegnate ad un servizio d’interesse generale saranno assolte con i minori costi per la comunità” (par. 17). Ove non sia possibile la concorrenza nel mercato, occorre garantire cioè la concorrenza per il mercato. 34 Par. 21. 35 Cfr. Riforma della regolazione e promozione della concorrenza, Segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 14 gennaio 2002, AS 226.

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è dunque il rischio di distorsioni alla concorrenza considerato che le imprese concessionarie sono

collocate in una posizione privilegiata rispetto alle altre imprese36.

Ancora, per numerosi servizi pubblici, esercitati sulla base di titoli abilitativi diversi dalla

concessione (licenze e autorizzazioni), la legislazione amministrativa vigente contiene restrizioni

all’entrata sul mercato, in particolare sottoforma di limiti quantitativi del numero di operatori

ammessi e di altri privilegi accordati agli operatori già presenti nel mercato. Esempio tipico è il

settore del servizio taxi in relazione al quale i Comuni fissano il numero massimo delle licenze e il

prezzo del servizio e stabiliscono sistemi di turni, ammettono solo licenze individuali escludendo

così la fornitura del servizio da parte di imprese organizzate in forma societaria meglio in grado di

assolvere agli obblighi di servizio pubblico. Analogamente, nel settore delle farmacie (per il quale

è dubbio che sussista ancor oggi l’esigenza di una qualificazione in termini di servizio pubblico,

piuttosto che di attività commerciale soggetta a un minimo di regolamentazione pubblica) il numero

degli esercenti è stabilito sulla base di parametri numerici rigidi rapportati alla popolazione dei

singoli comuni e alle distanze tra esercizi37.

Più in generale la nozione di servizio pubblico, con tutto ciò che ne consegue in termini di

regime vincolistico, ha avuto una tendenza espansiva nel nostro ordinamento. E ciò sia in seguito a

interventi legislativi, come, per esempio, a livello locale, la legge 8 giugno 1990 n. 142 che contiene

una nozione potenzialmente omnicomprensiva di servizi pubblici locali, cioè quei servizi che

abbiano per oggetto la “produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere

lo sviluppo economico e civile delle comunità locali” (art. 22 ora confluito nel Testo Unico degli

36 Cfr. Misure di revisione e sostituzione di concessioni amministrative, Segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 28 ottobre 1998, AS 152. 37 Cfr. Riforma della regolazione e promozione della concorrenza, op. cit.

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enti locali)38; sia in seguito all’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale che in passato

qualificava come servizio pubblico persino l’attività bancaria39.

Secondo uno studio recente dell’Ocse, per effetto di politiche di regolazione amministrativa

vincolistiche protrattesi per decenni, fino a una decina d’anni fa l’Italia era uno degli Stati nei quali

la presenza delle imprese pubbliche era maggiore, anche nei settori diversi da quello dei servizi

pubblici, e nei quali le inefficienze e le distorsioni dovute all’eccesso di regolazione pubblica erano

tra i più pesanti, il tutto a danno dei consumatori e degli utenti di servizi pubblici costosi e poco

efficienti40. L’inversione di tendenza all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, secondo il

documento dell’Ocse, è dovuta a una pluralità di fattori, taluni contingenti (come la grave crisi

finanziaria, con la svalutazione della lira, che colpì l’Italia nel 1992), altri strutturali come la

politica più agguerrita della Commissione in tema di aiuti di Stato, che, come si è già osservato,

innescò ampi processi di privatizzazione di imprese pubbliche e di smantellamento dello Stato

imprenditore e soprattutto, ai fini che qui interessano, il recepimento delle direttive comunitarie di

liberalizzazione di settori cruciali come l’energia elettrica, le telecomunicazioni, le poste, il gas,

ecc.41

38 Sulla dilatazione del concetto di servizio pubblico locale cfr. M. CAMMELLI – A. ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, 1999, II ed., p. 77 e seg.; G. ROSSI, I servizi pubblici locali, in Riv. Giur. Quadr. dei pubblici servizi, 1998, p. 14. 39 Cfr. G. VIGNOCCHI, Il servizio del credito nell’ordinamento pubblicistico italiano, Milano, 1973; M. NIGRO, Profili pubblicistici del credito, Milano, 1972; M. VITALE, Pubblico e privato nell’ordinamento bancario, Milano, 1977; M. CLARICH, Privatizzazioni, regole di mercato e controlli, Banca, impresa e società, 1998, p. 184-195. 40 Cfr. OECD, Reviews of Regulatory Reform: Regulatory Reform in Italy, 4 aprile 2001, anche una ricostruzione complessiva dello sviluppo storico della regolazione economica, sociale e amministrativa nel nostro Paese e per l’analisi delle tendenze più recenti che sembrerebbero, pur tra luci ed ombre, aver determinato miglioramenti significativi sia con riguardo alle privatizzazioni effettuate nel decennio scorso sia con riguardo all’alleggerimento del carico di regolazione pubblica. 41 Per un quadro completo delle modifiche intervenute nell’ultimo decennio specie nel settore dei servizi pubblici cfr., altresì, G. TESAURO-M. D’ALBERTI (a cura di), Regolazione e concorrenza, op. cit., in particolare le relazioni di Mario Monti, Pippo Ranci, Richard Wish, Enzo Cheli; F. GRASSINI (a cura di), La concorrenza nei servizi di pubblica utilità, Bologna, 1998. Sulla crisi dello Stato finanziatore e sul conseguente processo di privatizzazione delle imprese pubbliche dovuto anche alla mutata politica della Commissione in tema di aiuti di Stato cfr. M. MAZZAMUTO, La riduzione della sfera pubblica, cit., p. 161 e seg.

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b) in Germania.

Si è già accennato al modello dell’economia sociale di mercato al quale si è ispirata la

costituzione economica tedesca nel secondo dopoguerra e la spinta alla deconcentrazione del

sistema economico attraverso lo smantellamento dei cartelli industriali.

Peraltro la Legge fondamentale del 1948, più che operare una vera e propria

costituzionalizzazione di tale modello, lascia al legislatore, come chiarito da un’importante

pronuncia della Corte Costituzionale già negli anni ’50, spazi di intervento nella sfera economica

compatibili anche con altri modelli42. Del resto la Legge fondamentale legittima politiche sociali

pubbliche correlate al principio dello Stato sociale (di diritto) (art. 20) che richiede una

concretizzazione attraverso misure legislative e amministrative appropriate. In dottrina si ritiene

comunemente che la Costituzione incorpori il principio della “neutralità economico-politica”

(wirtschaftspolitischen Neutralitat”)43.

Limiti rigidi al legislatore derivano invece dai principi dello Stato di diritto, del riparto di

competenze tra Bund e Lander e soprattutto dai diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

Questi limiti hanno operato da freno all’introduzione di discipline amministrative di settore

intrusive della libertà di iniziativa economica privata.

Di particolare rilievo, accanto alla garanzia costituzionale della proprietà privata (art. 14 e art.

15), è l’art. 12 della Legge fondamentale in tema di libertà della professione (Berufsfreiheit), libertà

che include non soltanto la scelta di una professione in senso stretto, bensì di qualsiasi attività anche

materiale a rilevanza economica. Da questo principio la giurisprudenza della Corte Costituzionale

tedesca ha tratto fin dall’inizio numerose conseguenze. In linea generale, gli interventi pubblici che

42 Si tratta del cosiddetto Investitionshilfe-Urteil del 1954, in BVerfGE, 4, p. 7 e seg. che nega appunto che sia conforme al Grundgesetz soltanto il modello della Soziale Marktwirtschaft, così come invece era stato sostenuto in dottrina. Cfr. H. JARASS, Wirtschaftsverzaltugnsrecht und Wirtschaftsverfassungsrecht, cit., p. 77. 43 Cfr. P. BADURA, Staatsrecht, Munchen, 1996, p. 192; R. SCHMIDT, Offentliches Wirtschaftsrecht – Allgemeiner Teil, Springer Verlag, 1990, p. 66 e seg.

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hanno un impatto diretto su questo diritto fondamentale sono assoggettati a un controllo di

proporzionalità rigido.

A partire da una pronuncia in tema di apertura di farmacie (Apothekenurteil). la Corte ha

infatti dichiarato illegittimi regimi autorizzatori discrezionali per l’avvio di attività economiche (il

cosiddetto criterio del “bisogno del mercato” consistente in una valutazione dell’adeguatezza

dell’offerta rispetto alla domanda come condizione per il rilascio dell’autorizzazione) e normative

che imponevano limiti quantitativi al rilascio di titoli abilitativi.44 Secondo il principio di

proporzionalità, infatti, limiti obiettivi alla libertà di professione sono ammissibili “solo quando

sono strettamente funzionali a prevenire gravi pericoli provati o altamente probabili a un interesse

collettivo di straordinaria importanza”45.

La giurisprudenza costituzionale ha chiarito inoltre che non costituisce una ragione sufficiente

a giustificare limitazioni al diritto in questione, in particolare, la tutela delle imprese già presenti sul

mercato nei confronti di potenziali concorrenti46. Del pari richiedono un attento scrutinio

sovvenzioni e altre forme di sostegno a imprese che alterano la par condicio concorrenziale tra

imprese. La stessa istituzione di regimi di monopolio legale o di riserva di attività è ammissibile

quando interessi collettivi fondamentali possono trovare soddisfazione soltanto attraverso la

previsione di siffatti diritti di esclusiva47.

44 Cfr. Apothekenurteil, BverGE, 7, p. 377 e seg. Cfr. E. STEIN, Staatsrecht, Tubingen, 1988, 11 ed., p. 268 e seg.; R. Schmidt, op. cit., p. 122 e seg.; H. JARASS- B. PEROTH, Grundesetnz fur die Bundesrepublik Deutschland – Kommentar, Munchen, 2002, p. 342. 45 Cfr. BverfGE, 102, p. 197 e seg. secondo la quale limitazioni oggettive alla scelta della professione sono consentite “wenn sie zur Abwehr nachweisbarer oder hochst wahrscheinlicher schwerer Gefahren fur ein uberragend wichtiges Gemeinschaftsgut zwingend geboten sind”. Sul principio di proporzionalità anche con riguardo all’ordinamento tedesco cfr. A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998, p. 58 e seg. e p. 52 nota 36 per un riferimento all’Apothekenurteil e ai principi in essa contenuti. 46 Di tutt’altro tenore è la giurisprudenza costituzionale italiana. Basti ricordare da ultimo la sentenza della Corte Costituzionale 31 luglio 2002 n. 413 che ha escluso che costituisca violazione dell’art. 3 e dell’art. 41 della Costituzione l’art. 15, comma 10, del d. lgs. 23 maggio 2000 n. 164 di recepimento della direttiva n. 98/30/CE di liberalizzazione del settore del gas che introduce un lungo regime transitorio a favore delle imprese già presenti sul mercato ritenendo che tale regime sia tutt’altro che manifestamente irragionevole data la “necessità di intervenire in via transitoria per impedire una serie di ostacoli operativi e concorsuali con rischi – connessi all’immobilizzo di ogni acquisizione di mercato --- per il successivo reinserimento e quindi per la sopravvivenza di categorie di imprese esistenti e legittimamente operanti e aventi nel mercato italiano una consistenza tutt’altro che trascurabile, ancorché a dimensioni ridotte rispetto alle grandi aziende di altri Paesi”. 47 Cf. P. BADURA, op. cit., pp. 693-694; H. JARASS- B. PIEROTH, op. cit., p. 350.

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Sulla scorta dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nell’Apothekenurteil, molti

regimi autorizzatori discrezionali sono venuti via via a cadere. Così, in particolare, già verso la

fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, il Bundeswerwaltungsgericht considerò contraria alla

Costituzione una disposizione della legge bancaria tedesca del 1934 che consentiva all’autorità di

vigilanza bancaria di rifiutare l’autorizzazione all’apertura di imprese bancarie in base al già citato

criterio del bisogno di mercato48. La legge bancaria del 1961, pur conservando un regime di

autorizzazione preventiva, individuò in modo oggettivo i requisiti soggettivi e oggettivi per il

rilascio del titolo abilitativo, anticipando le soluzioni poi fatte proprie negli anni Settanta dalle

direttive comunitarie in materia49 e recepite in Italia solo negli anni Ottanta.

In definitiva, le garanzie al diritto d’impresa riconosciute in via indiretta dalla Legge

fondamentale rappresentano un argine già piuttosto solido, che non ha avuto bisogno, a differenza

di quanto è accaduto nell’ordinamento italiano, di ulteriori rinforzi da parte della costituzione

economica europea.

Per quanto riguarda in modo più specifico i servizi pubblici, l’art. 87 della Legge

fondamentale includeva il servizio postale, accanto ad altri servizi e attività (servizio ferroviario,

canali navigabili, ecc.), tra le competenze amministrative esclusive del Bund da esercitare in forma

di monopolio amministrativo (cioè secondo la logica dello Stato gestore). La Legge fondamentale

stessa poneva dunque una deroga all’art. 12 sulla libertà di accesso alla professione.

48 Cfr. BverwGE, 8, p. 14 e seg, in NJW, 1959, p. 592 e seg. che dichiarò incostituzionale l’art. 4, comma 1 b, del Kreditwesensgesetz del 1934. Cfr. H. SPRENGEL, Keine Bedurfnisprufung mehr bei der Neugrundung von Kreditinstituten und der Errichtung von Zweigstellen, in Sparkassen, 1959, p.123 e seg. 49 Cfr. art. 32 e seg. del Kreditwesensgesetz del 1961. Per un sintetico parallelo tra queste disposizioni e le corrispondenti del Testo unico delle leggi bancarie e creditizie del 1993 (art. 14) cfr. M. CLARICH, Privatizzazioni, regole del mercato e controlli, in Banca, impresa e società, 1998, pp. 192-193. Per l’osservazione che il regime tedesco, fondato sull’art. 12 della legge fondamentale, ispirò il sistema comunitario dell’autorizzazione vincolata, cfr. F. MERUSI, Le leggi del mercato, op. cit., p. 43. Cfr. in generale L. GRAMLICH, Recht der Bankwietschaft, in R. SCHMIDT (a cura di), Offentlicheswirtschaftsrecht – Besonderer Teil 1, Sprinter, 1995, p. 421 e seg. t p. 501 e seg. sul regime delle autorizzazioni. Il caso dell’autorizzazione bancaria è particolarmente significativo nell’ambito della nostra analisi, se si tiene conto che la legge bancaria italiana del 1936 (art. 28), che conteneva disposizioni analoghe a quelle contenute della legge bancaria tedesca del 1934, è stata superata, non per esigenza di adeguamento ai principi della Costituzione del 1948, ma solo in seguito al recepimento della direttiva comunitaria 77/780 del 12 dicembre 1977 ad opera del Dpr 27 giugno 1985 n. 350. Una conferma in più della diversità tra le costituzioni economiche dei due Paesi. Sul tema cfr. R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 1994, p. 54 e p. 267 e seg.; M. PORZIO, La disciplina giuridica dell’esercizio del credito, Napoli, 1991, p. 203 e seg.

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La posta federale era un’impresa pubblica titolare del monopolio nella spedizione della

corrispondenza e delle comunicazioni a distanza. La liberalizzazione del settore delle

comunicazioni sulla base delle direttive comunitarie ha dunque richiesto una modifica

costituzionale con l’introduzione di una nuova disposizione (art. 87 f)50 improntata ai principi dello

Stato regolatore.

Il primo comma impone infatti al Bund soltanto un obbligo di garantire servizi postali e di

telecomunicazione adeguati e sufficienti su tutto il territorio. I servizi in questione sono però

“erogati come attività economiche private svolte da imprese derivanti dal patrimonio speciale della

posta federale tedesca e da fornitori privati” (comma 2). La disposizione opera dunque una

privatizzazione sostanziale dell’attività, nel senso che rientra tra i compiti del Bund essenzialmente

la predisposizione di un quadro di regolamentazione atto a garantire l’universalità del servizio,

fermo restando che la gestione del medesimo è affidato a imprese (private o pubbliche) in regime di

concorrenza. Inoltre, la disposizione enuncia un dovere costituzionale di privatizzazione, almeno

formale, della posta federale in ottemperanza del quale la legge per il riordino della posta e delle

telecomunicazioni del 14 settembre 199451 ha trasformato l’ente in società per azioni di diritto

privato52.

Un sistema analogo vige per il servizio ferroviario ora disciplinato dall’art. 87 e), introdotto in

seguito a una modifica della legge fondamentale operata con la legge costituzionale 20 dicembre

199353 che trasforma l’amministrazione ferroviaria in una società per azioni controllata dal Bund e

50 Cfr. legge di modificazione della legge fondamentale del 30 agosto 1994, in BGBL, 1994, I, p. 2245. 51 Cfr. BGBL, I, p. 2325. 52 Su questo tema cfr. J. C. PIELOW, Problemi giuridici attuali dopo l’apertura del mercato delle telecomunicazioni in Germania, in E. FERRARI (a cura di), op. cit., p. 213 e seg.; H. JARASS- B. PEROTH, op. cit., p. 958 e seg. a commento dell’art. 87 f.; W. HOFFMANN-RIEM, Offentliches Wirtschaftsrecht der Kommunikation und der Medien, in R. SCHMIDT (a cura di), Offentliches Wirtschaftsrecht – Besonderer Teil I, cit., p. 590 e seg. e p. 608 e seg. sull’organizzazione del servizio postale. 53 Cfr. BGBL, I, p. 2089. Cfr. U. STEINER, Recht der Verkehrswirtschaft, in R. SCHMIDT (a cura di), Offentliches Wirtschaftsrecht – Besonderer Teil II, cit., p. 181 e seg.; H. JARASS- B. PEROTH, op. cit., p. 955 a commento dell’art. 87 e). Sul tema dei servizi a rete in Germania cfr. i due saggi G. HERMES, Fondamenti e strutture giuridiche della responsabilità pubblica per infrastrutture, Problemi dell’accesso alla rete, in E. FERRARI (a cura di), op. cit., p. 75 e seg. e p. 97 e seg.; P. BADURA, op. cit., p. 541 e seg. (con riferimenti anche alle poste e telecomunicazioni).

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crea i presupposti per l’apertura del settore alla concorrenza sulla base della distinzione tra proprietà

della rete e delle infrastrutture e gestione dei servizi.

Quanto al settore dell’energia elettrica, si è già osservato come l’esperienza tedesca sia stata

sempre caratterizzata da un sistema decentrato e pluralista (con un migliaio di imprese locali e

regionali)54. Alle esigenze di coordinamento necessarie alla sicurezza e alla continuità delle

forniture provvede un complesso sistema di accordi tra operatori e tra associazioni imprenditoriali

(espressione sia dei fornitori di energia sia dei grandi clienti industriali) che trova copertura sotto il

profilo antitrust per effetto di deroghe espresse contenute nella legge contro le restrizioni della

concorrenza già citata. A differenza di quanto accade nel settore delle ferrovie e delle

telecomunicazioni, manca anche un’autorità di regolazione specializzata e le competenze in materia

sono ripartite tra Lander e livello federale (art. 74 n. 11 che include la materia “Energiewirtschaft”

tra le competenze legislative concorrenti). Al ministero dell’economia spetta comunque un potere

per così dire di ultima istanza finalizzato a garantire l’universalità del servizio, a regolare l’accesso

alle reti, a risolvere le controversie tra gli operatori.

In conclusione, la sovrapposizione della costituzione economica europea a quella nazionale

non ha provocato nell’esperienza tedesca scosse travolgenti nei rapporti tra Stato ed economia,

specie per quanto riguarda l’approccio alla regolazione amministrativa e alla disciplina dei servizi

pubblici. Il recepimento delle direttive comunitarie ha richiesto modifiche costituzionali minime e

puntuali, tese a emendare alcuni limitati vincoli relativi al settore postale e ferroviario dettati dal

testo originario della Legge fondamentale e l’aggiornamento della legislazione settoriale.

54 Sul settore dell’energia elettrica, cfr. J.C. PIELOW, Caratteri generali della liberalizzazione del mercato dell’energia in Germania, in E. FERRARI (a cura di), op. cit., p. 305 e seg.; P. J. TETTINGER, Recht der Energiewirtschaft, in R. SCHMIDT (a cura di), Offentliches Wirtschafts Recths – Besonder Teil 1, op. cit., p. 691 e seg.

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4. Il nuovo spirito della costituzione economica italiana dopo la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.

L’ordinamento italiano ha seguito un percorso diverso segnato da una revisione profonda

della legislazione nazionale e dell’assetto organizzativo dei poteri pubblici, non accompagnata,

però, come forse ci si sarebbe aspettati, da una revisione organica della Costituzione volta a

modificare le disposizioni rilevanti per il diritto pubblico dell’economia espungendo quelle

obsolete55.

In realtà, partendo da quest’ultimo aspetto, un mutamento costituzionale si è pur verificato, in

parte in via interpretativa e in parte in modo accidentale.

Per un verso, infatti, come si è già osservato56, è in atto in via interpretativa un’opera di

”ibernazione” del terzo comma e di contemporaneo “risveglio” del primo comma dell’art. 43, cioè

di quel diritto di iniziativa privata al quale, com’è, noto si riaggancia, come testa di capitolo della

normativa antitrust, l’art. 1 della legge 10 ottobre 1990 n. 28757. La giurisprudenza amministrativa

più recente ha ben colto, con una sensibilità che non sembra invece ancora del tutto acquisita da 55 Alcuni progetti organici in tale senso erano già stati predisposti in sede dottrinale anche sulla base dei testi costituzionali in vigore in altri paesi: cfr. G. DELLA CANANEA – G. NAPOLITANO (a cura di), Per una nuova costituzione economica, Bologna, 1998, Appendice I. Anche altre disposizioni della Costituzione del 1948, oltre a quelle già citate, appaiono invecchiate. Si pensi ai riferimenti alla bonifica delle terre, alla trasformazione del latifondo contenute nell’art. 44, oppure a quelli alla proprietà diretta coltivatrice contenuta nell’art. 47 che rispecchiano un’economia ancora in gran parte agricola. 56 Cfr. nota 6. In particolare, secondo G. CORSO, Attività amministrativa e mercato, cit., pp. 16-17 “Se si dovesse prendere alla lettera l’indicazione della Corte costituzionale circa la collocazione delle norme del diritto europeo sullo stesso piano delle norme costituzionali e fossimo convinti della inconciliabilità fra l’art. 41 u.c. e le norme sulla concorrenza contenute nel Trattato, dovremmo concludere, in applicazione del criterio cronologico che regola le antinomie fra norme di pari grado, che l’art. 41 u. co. è stato abrogato. Se, invece, accettiamo l’ulteriore assunto della giurisprudenza costituzionale che si tratta di norme appartenenti a due diversi ordinamenti, allora dovremmo concludere che le norme del Trattato impongono la disapplicazione della norma costituzionale (piuttosto che determinarne l’abrogazione). Nell’uno come nell’altro caso il disposto dell’art. 41 co. 3 non è (più) utilizzabile”. Per la tesi secondo la quale invece l’art. 41, comma 3, mantiene intatta la sua vigenza e anzi giustifica interventi definiti di “regolazione in senso forte”, cfr., di recente, L. DE LUCIA, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Torino, 2002, p. 127 e seg. 57 Cfr. , già in sede di primo commento della legge n. 287, R. ALESSI – G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e del mercato, Torino, 1991, p. 3 e seg. Per il dibattito sui rapporti tra mercato, disciplina antitrust e costituzione economica cfr. R. NIRO, Profili costituzionali della disciplina antitrust, Padova, 1994, p. 97 e seg.; M. ANTONIOLI, Mercato e regolazione, Milano, 2001, p. 69 e seg.; AAVV, Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Bari, 1999 per una serie di interventi sul volume di N. IRTI citato in una nota precedente. Cfr., da ultimo, F. MERUSI, Giustizia amministrativa e autorità amministrative indipendenti, Dir. amm., 2002, p. 183 ove viene ripresa la tesi dell’abrogazione dell’art. 41, comma 3, sottolineando come ormai si sia verificata una “rottura” della Costituzione che ha portato alla qualificazione della libertà economica come diritto fondamentale (nota 2 di pag. 183); cfr. altresì F. MERUSI, Democrazia e autorità indipendenti, cit., p. 13.

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parte della Corte Costituzionale, che la libertà di concorrenza costituisce “un principio generale del

diritto comunitario, di cui le istituzioni degli Stati membri devono tener conto nell’esercizio del loro

potere discrezionale (…) applicabile non soltanto agli atti normativi, ma anche a quelli

amministrativi”58.

Per altro verso, in occasione della revisione del Titolo V della Costituzione ad opera della

legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, cioè nel contesto di un ripensamento generale dei rapporti

tra Stato, Regioni ed enti territoriali all’insegna del principio di sussidiarietà, ha fatto ingresso

nell’art. 117, comma 2, lett. e) della Costituzione, la “tutela della concorrenza”, inserita tra le

materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. L’elenco include anche la

“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che

devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (lett. m), un riferimento cioè indiretto ai

servizi pubblici e, in particolare, al loro contenuto di universalità che costituisce uno dei collanti del

modello europeo di società. Si tratta, com’è stato osservato, di disposizioni che non definiscono

“materie” in senso proprio (come accade, per esempio, nel caso dei pesi e misure, dell’agricoltura,

ecc.) ma che impongono il perseguimento di “valori” dell’ordinamento e che hanno ricadute di tipo

trasversale59. Su questa linea argomentativa, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di

chiarire, proprio con riguardo alla lett. m) sopra citata, che “non si tratta di una “materia” in senso

stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle 58 Cfr. Cons. St., IV Sez., n. 5714 del 2002 che, richiamando due precedenti sul principio di proporzionalità, trae l’implicazione che “i provvedimenti incidenti sulla libertà di concorrenza dei cittadini, tutelata dal diritto comunitario, debbano essere idonei (id est adeguati all’obiettivo da perseguire) e necessari (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace ma meno negativamente incidente sia disponibile)”. 59 Cfr. E. FOLLIERI, Le funzioni amministrative nel nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, Relazione tenuta al IV Convegno annuale dell’associazione dei professori di diritto amministrativo – Torino 3-4 ottobre 2002, p. 18 del dattiloscritto ove si osserva che in particolare la tutela della concorrenza ha attinenze a molte altre materie tra le quali, per esempio, le acque minerali e termali, l’agricoltura, l’artigianato, il commercio, le fiere e mercati, energia, industria, lavori pubblici e appalti, spettacolo e turismo e industria alberghiera, ecc. Secondo Follieri, la disposizione costituzionale sulla tutela della concorrenza, così come le altre riferite a materie-valori, non ripristina un’ampia competenza legislativa esclusiva, ma consente allo Stato l’individuazione di principi. Così, “lo Stato, ad esempio, non può intervenire con legge nel commercio o nell’industria per la tutela della concorrenza, ma può fissare i principi generali che vanno rispettati per assicurare la concorrenza che la regionale non può violare nel disciplinare il commercio e l’industria” (pag. 2 del dattiloscritto). Cfr. altresì M. LIBERTINI, Le riforme del diritto dell’economia: regolazione e concorrenza, op. cit., p. 804 per un’interpretazione della nuova disposizione costituzionale nel senso di attribuire una rilevanza alla tutela della concorrenza non solo nell’ambito privatistico, ma anche in quello delle regolazioni amministrative dei mercati in modo tale da evitare che ci possano essere mercati liberalizzati in una regione e fortemente regolamentati in altre.

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quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero

territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti,

senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”60.

Per quanto riguardo invece la tutela della concorrenza, la giurisprudenza amministrativa ha

rilevato analogamente che la nuova disposizione costituzionale “indica qui una materia che coincide

con un valore comune a molti settori dell’ordinamento”, che cioè va riferita non soltanto, in modo

specifico, alla legge antitrust n. 287 del 1990, “ma si spinge fino alle singole discipline di settore,

per regolare quanto meno gli aspetti più importanti, relativi all’instaurazione e regolazione di un

mercato nazionale aperto e concorrenziale”61.

Ancora, l’art. 117, comma 1, assoggetta la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni ai

“vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, tra i quali, ai fini del tema che qui interessa,

rientrano certamente gli articoli 82, comma 2, e 16 del Trattato prima analizzati e dunque le regole

della concorrenza.

Le potenzialità di questi emendamenti alla Costituzione sono state colte subito dall’Autorità

garante della concorrenza e del mercato. La segnalazione prima ricordata sottolinea che esse

dovrebbero trovare un seguito in una revisione della regolazione statale, regionale e locale in senso

pro-concorrenziale. Infatti, ha ritenuto che “la garanzia dell’universalità dei servizi di pubblica

utilità sia ineludibile anche in un contesto di parziale o completa liberalizzazione, poiché il diritto

alla “prestazione minima” è ormai da considerarsi principio generale di rango costituzionale”, anche

se la regolazione delle prestazioni minime “non deve divenire l’occasione per introdurre

ingiustificate restrizioni della concorrenza”62.

60 Cfr. Corte Cost, 26 giugno 2002 n. 282.

61 Cfr. Cons. St., IV Sez., 17 maggio 2002 n. 2922 che sulla base degli argomenti richiamati nel testo ha ritenuto che anche nel nuovo contesto costituzionale resti ferma la competenza statale a dettare norme sulla liberalizzazione del mercato elettrico. 62 Cfr. Segnalazione del 14 gennaio 2002 (AS226), cit.

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Quasi per eterogenesi dei fini, la riforma del Titolo V della Costituzione potrebbe dunque

produrre effetti ben oltre l’ambito dei rapporti tra centro e periferia, investendo i rapporti tra Stato e

mercato.

Per un verso infatti, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato potrebbe essere

indotta a imboccare con maggior decisione un cammino da essa già da tempo individuato,

sanzionando comportamenti anticoncorrenziali da parte di imprese posti in essere con una

“copertura normativa” di leggi statali e regionali contrastanti con i principi del Trattato in tema di

concorrenza63.

Per altro verso la Corte Costituzionale, sulla scorta di quanto ha fatto, come si è visto, il

giudice delle leggi tedesco, ben potrebbe smantellare il reticolo di norme con effetti anticompetitivi

ancora contenute in numerose leggi statali e regionali nel settore dei servizi pubblici e della

regolazione economica, che avviluppa gran parte delle attività imprenditoriali e che comprime

dunque, senza che sussista una dimostrata esigenza di tutela di interessi pubblici, il diritto

d’impresa64. Oggi l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è investita soltanto di un

63 Per questo tipo di prospettiva, cfr. G. TESAURO, Testo letto per la presentazione della Relazione annuale dell’Autorità garante della Concorrenza e del mercato il 30 aprile 1998, in Dieci anni di Antitrust 1990-2000 – Testi letti per la presentazione delle relazioni annuali, in Bollettino settimanale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 2000, n. 33-34, Supp. n. 1, p. 117 ove si ipotizza che l’Autorità “nell’ipotesi in cui applichi direttamente gli articoli 85 e 86 del Trattato, ben potrà disporre, in funzione dei casi sottoposti al suo esame, di margini più ampi al fine di sanzionare fattispecie restrittive della concorrenza. E’ ormai pacifico, infatti, che al preciso scopo di salvaguardare l’effetto utile di tali disposizioni, è possibile sanzionare anche comportamenti d’imprese derivanti, direttamente o indirettamente, da misure normative”. Un chiarimento su questo punto da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee potrebbe esser dato tra breve. Infatti, il Tar del Lazio, Sez. I, ordinanza 4 aprile 2001 n. 2919, in I Tar, 2001, I, p. 739 ss. ha rimesso alla Corte ai sensi dell’art. 234 del Trattato la questione pregiudiziale se “in presenza di circostanze per cui un’intesa fra imprese provoca effetti pregiudizievoli al commercio comunitario, e qualora l’intesa stessa sia imposta o favorita da un provvedimento legislativo nazionale, che ne legittima o rafforza gli effetti, con specifico riguardo alla determinazione dei prezzi e alla ripartizione del mercato, l’art. 81 del Trattato C.E. impone o consente all’Autorità nazionale preposta alla tutela della concorrenza di disapplicare comunque tale disciplina, e di provvedere a sanzionare o almeno a vietare per il futuro il comportamento anticoncorrenziale delle imprese, e con quali conseguenze giuridiche”. Nelle more il Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 luglio 2001 n. 4053, in Giorn. di dir. amm., 2002, p. 157 ss con nota di S. D’ANTONIO ha ritenuto illegittimo un provvedimento dell’Autorità antitrust che mirava a sanzionare il coordinamento nelle politiche di prezzo di distribuzione dei carburanti favorito da atti normativi nazionali. 64 Già prima della riforma del Titolo V in dottrina erano emerse voci a favore di una siffatta svolta interpretativa. Cfr., in particolare, G. CORSO, L’attività amministrativa, Torino, 1999, 57 secondo il quale, poiché la costituzione economica italiana risulta oggi dalla combinazione delle norme contenute nella Costituzione del 1948 e delle norme contenute nel Trattato, “Le conseguenze sul piano dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione sono incalcolabili: Le norme europee squalificano come costituzionalmente illegittimi politiche economiche, indirizzi legislativi e apparati organizzativi che sono stati concepiti con l’intento di dare attuazione all’art. 41, comma 3, Cost.”; cfr. altresì M. LIBERTINI in una recensione al volume di N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, op. cit., pubblicata

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potere di segnalare al Parlamento, al Governo e agli enti territoriali i casi di particolare rilevanza di

atti normativi che determinano distorsioni ingiustificate della concorrenza (art. 21 della legge n. 287

del 1990), segnalazioni che restano in molti casi senza un seguito concreto65.

De jure condendo, un raccordo organico tra il giudice delle leggi e l’Autorità garante della

concorrenza e del mercato potrebbe essere istituito attribuendo a quest’ultimo il potere di sollevare

innanzi al primo la questione di costituzionalità delle leggi sotto il profilo della violazione dei

principi costituzionali in tema di concorrenza. La natura paragiurisdizionale dell’Autorità,

desumibile dal fatto essa non svolge funzioni di amministrazione attiva per la cura di interessi

pubblici diversi dalla corretta applicazione della legge antitrust, potrebbe giustificare questa

innovazione66.

Ma vi è un’altra novità rilevante per il tema dei servizi pubblici che è stata introdotta con la

legge costituzionale n. 3 del 2001. Si tratta dell’inserimento nell’elenco delle materie attribuite alla

competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni di materie come i “porti e

aereoporti”, le “grandi reti di trasporto e di navigazione”, l’”ordinamento delle comunicazioni”, la

“produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica” (art. 117, comma 3). In

pratica, i grandi servizi a rete, in precedenza rimessi alla competenza esclusiva dello Stato, verranno

disciplinati dallo Stato solo attraverso l’individuazione dei principi fondamentali, mentre spetterà

alle Regioni l’adozione della disciplina di dettaglio e l’eventuale emanazione di regolamenti

in Europa e diritto privato, 1998, pp. 1219-1223 secondo il quale se la reinterpretazione dell’art. 41 della Costituzione implicitamente contenuta nell’art. 1 della legge n. 287 prima richiamato nel testo “fosse assecondata dalla Corte costituzionale, gran parte delle regolazioni amministrative antiquate, che sono presenti nel nostro ordinamento, potrebbero essere eliminate “per vie interne”, senza attendere modifiche costituzionali o interventi dell’Unione europea”. In senso analogo cfr. M. LIBERTINI, La regolazione amministrativa del mercato, in F. GALGANO (a cura di), Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, Vol. III, Padova, 1979, pp. 508-509. 65 Sulla casistica delle segnalazioni effettuate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, cfr. G. AMATO, Il gusto della libertà – L’Italia e l’antitrust, op. cit., p. 93 e seg. ; M. CLARICH, il ruolo dell’Autorità Garante nella promozione della concorrenza, in Atti del Convegno su “La tutela della concorrenza: regole, istituzioni e rapporti internazionali – Roma, 20-21 novembre 1995, pubblicazione a cura dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Temi e problemi, ottobre 1996, p. 259 e seg. 66 Per questo tipo di prospettiva, argomentata anche sulla base del precedente costituito dalla legittimazione della Corte dei Conti in sede di controllo, funzione per propria natura diverse da quella giurisdizionale, a sollevare questioni di legittimità costituzionale cfr. G. AMATO, Testo letto per la presentazione della Relazione annuale dell’Autorità garante della Concorrenza e del mercato il 30 aprile 1996, in Dieci anni di Antitrust 1990-2000 – Testi letti per la presentazione delle relazioni annuali, in Bollettino settimanale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, 2000, n. 33-34, Supp. n. 1, p. 79.

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attuativi, potestà quest’ultima che lo Stato non può più esercitare nelle materie di legislazione

concorrente (art. 117, comma 6)67.

Il nuovo articolo 117 non menziona invece espressamente i servizi pubblici locali, che non

possono certamente rientrare tra le “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città

metropolitane” (comma 2 lett. p) riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato68.

Il nuovo equilibrio tra Stato e Regioni nel campo della disciplina dei servizi pubblici

costituisce oggi un’incognita. Sono stati peraltro sollevati da più parti dubbi sulla bontà delle scelte

operate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 che potrebbero penalizzare l’efficienza dei grandi

servizi pubblici nazionali ove fossero assoggettati a discipline non omogenee sul territorio. Vi è

anche la preoccupazione che l’ampliamento dei poteri di regolazione delle attività economiche delle

Regioni, e a cascata degli enti locali, aggravi il rischio dell’iper-regolazione e porti alla

reintroduzione a livello locale, dove la pressione degli interessi costituiti è più forte, di restrizioni e

vincoli aboliti da interventi di riforma nazionali69.

5. Stato regolatore e servizi pubblici.

Non è questa la sede per dar conto in modo esaustivo delle modifiche intervenute nella

legislazione italiana e nell’assetto organizzativo dei poteri pubblici in conseguenza dei processi di

67 Sul nuovo riparto di competenze applicato al settore dell’energia elettrica, ma con considerazioni estensibili anche agli altri settori, cfr. S. CASSESE, L’energia elettrica nella legge costituzionale n. 3/2001, Relazione alla giornata di studio su “La riforma del Titolo V della Costituzione” organizzata dalla Rassegna giuridica dell’edilizia – Roma 1 luglio 2002, in corso di pubblicazione, secondo il quale “la disciplina di servizi di dimensione nazionale, come le telecomunicazioni e l’energia elettrica è sottoposta (…) ad un sistema di legislazione ripartita o concorrente Stato regioni che è suscettibile di porsi in contraddizione con le esigenze di ordinamento e gestione unitari delle materie indicate” (pag. 6 del dattiloscritto). Cfr. altresì R. GALBIATI-G. VACIAGO, Il governo dell’energia dal decentramento alla riforma costituzionale: profili economici, L. PERFETTI, Il governo dell’energia tra federalismo e liberalizzazione. Profili di ricomposizione del quadro delle competenze, in Mercato, concorrenza e regole, 2002, p. 360 ss. e p. 376 ss, 68 Sui servizi locali alla luce delle nuove disposizioni costituzionali cfr. L BENVENUTI, Discrezionalità amministrativa e gestione dei servizi pubblici locali, Relazione al convegno organizzato dal Dipartimento di Pianificazione dello IUAV su “La nuova disciplina dei servizi pubblici locali” – Venezia, 27 settembre 2002, in Il diritto della Regione Veneto, 2002, in corso di pubblicazione. 69 Cfr., in particolare, la Segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dl 14 gennaio 2002 (AS 226), op. cit., ove si auspica l’estensione anche alle Regioni e agli enti locali dell’obbligo degli strumenti di democrazia procedurale come la partecipazione e lo stesso AIR ai quali si farà cenno in seguito nel testo.

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liberalizzazione del settore dei servizi pubblici innescati in gran parte dalle direttive comunitarie

settoriali70.

Può essere qui sufficiente individuare le novità strutturali derivanti dal passaggio dallo Stato

gestore allo Stato regolatore segnalando alcuni profili problematici.

a) Una prima novità attiene alla comparsa di nuovi soggetti regolatori e all’eclissi delle

vecchie forme di gestione dei servizi pubblici. Sotto il primo profilo, è ormai quasi un luogo

comune ricordare come le autorità di regolazione indipendenti o semindipendenti dal Governo

pongono problemi ancor oggi in parte irrisolti circa la collocazione istituzionale nel panorama dei

pubblici poteri71. L’istituzione di autorità nazionali di questo tipo è in taluni casi imposta dal diritto

comunitario (anche al fine di realizzare una vera e propria rete di regolatori europei). Da ultimo,

per esempio, la cosiddetta direttiva quadro in materia di comunicazione elettronica 2002/21/CE

prevede che gli Stati membri istituiscano un’autorità di regolazione che sia indipendente sia dalle

imprese regolate, sia, nel caso di imprese ancora in mano pubblica, dai soggetti pubblici proprietari

e che eserciti i propri poteri in modo imparziale e trasparente (art. 3)72.

Sotto il secondo profilo, va ricordata la scomparsa pressoché totale dell’ente pubblico

economico e dell’azienda-organo predominanti fino a un decennio fa e del dominio ormai

70 Sul senso generale delle novità e sugli elementi strutturali che caratterizzano la regolazione, cfr. S. CASSESE, Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Mercato, concorrenza e regole, 2002, p. 265 e seg.; S. CASSESE, I rapporti tra Stato ed economia all’inizio del XXI secolo, in Giorn. di dir. amm., 2001, p. 96 e seg.; F. TRIMARCHI BANFI, Considerazioni sui “nuovi” servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2002, p. 945 ss. 71 La letteratura in argomento è ormai sterminata. Cfr. per tutti S. CASSESE- C. FRANCHNI (a cura di), I garanti delle regole, Bologna, 1996; M. PASSARO, Le amministrazioni indipendenti, Torino, 1996; F. MERUSI, Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, 2000; F. GRASSINI (a cura di), L’indipendenza delle autorità, Bologna, 2001 anche per una valutazione del documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sulle autorità indipendenti svolta dalla I Commissione della Camera dei Deputati nella scorsa legislatura (pubblicata in appendice). Di particolare interesse per il dibattito è il Ciclo di seminari sulle Autorità indipendenti di regolazione e garanzia organizzati dall’ISAE tra il 2000 e il 2002 la cui pubblicazione è stata curata in alcuni quaderni dell’istituto. 72 Sulla direttiva quadro cfr. S. CASSESE, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in Giorn. di dir. amm., 2002, p. 689 e seg. In questo contesto può essere ricordata anche una recente decisione della Commissione del 23 ottobre 2001 2002/344/CE pubblicata in GUCE del 7 maggio 2002 L 120/19 che ritiene la legislazione francese in materia di servizio postale in contrasto con l’art. 86, comma 1, del Trattato in quanto contiene il controllo tariffario sulle condizioni applicate dall’impresa in mano pubblica francese (La Poste) alle imprese di smistamento concorrenti con la stessa La Poste è esercitato dal ministero, cioè da un’autorità pubblica non sufficientemente indipendente e neutrale.

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incontrastato del modello societario di diritto comune73. Nel caso dei servizi pubblici, la

trasformazione in società per azioni funzionale ai processi di privatizzazione è stata accompagnata

da garanzie sotto forma di poteri speciali (compresa la golden share) finalizzati a mantenere un

controllo pubblico rafforzato. Più di recente si è anche cercato di porre limiti alle acquisizioni da

parte di società straniere, titolari di diritti speciali ed esclusivi nel proprio ordinamento nazionale

tali da precludere o rendere difficile l’ingresso di altri operatori nel mercato, in società italiane che

operano nei settori dei servizi pubblici liberalizzati74.

Per i servizi pubblici locali a rilevanza industriale, il nuovo art. 113 del Testo unico delle

leggi sull’ordinamento degli enti locali, come sostituito dall’art. 35 della legge 29 dicembre 2001, n.

448, rende obbligatoria la società di capitali (cioè la cosiddetta privatizzazione “fredda”, che muta

la veste giuridica di strutture che rimangono sostanzialmente pubbliche), individuata attraverso

l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica sia per i gestori del servizio sia per i

gestori delle reti e degli impianti. Per quest’ultimi, allo scopo di garantire il controllo da parte degli

enti locali di “assets” fondamentali, le nuove disposizioni prevedono il vincolo della partecipazione

maggioritaria degli enti locali che si sostanzia un vero e proprio divieto di privatizzazione “calda”,

che è invece incentivata per le società che gestiscono il servizio75.

La struttura di società di capitali è dunque una precondizione necessaria per favorire i processi

di privatizzazione dei gestori dei servizi pubblici e garantisce maggiore trasparenza e parità di

condizioni concorrenziali nel mercato. Inoltre, per i gestori di servizi pubblici ancor oggi titolari di

diritti speciali o esclusivi, la società per azioni costituisce ormai l’unico strumento consentito per

73 Cfr. L. AMMANNATI (a cura di), Le privatizzazioni delle imprese pubbliche in Italia, Torino, 1995; F. BONELLI, La privatizzazione delle imprese pubbliche, Milano, 1996, M. RENNA., Le società per azioni in mano pubblica, Torino, 1997; M. CLARICH, Privatizzazioni e trasformazioni, op. cit., p. 528 e seg. 74 Sulle vicende della legge 30 luglio 1994 n. 474 (delle sue successive modifiche ad opera dell’art. 66 della legge finanziaria 23 dicembre 1999 n. 488) oggetto di una pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità europee che ne ha accertato la contrarietà rispetto al Trattato (Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 maggio 2000, causa C-58-59) e sul decreto legge 25 maggio 2001, n. 192 adottato dal Governo italiano per ostacolare la scalata di Montedison da parte dell’Electricité de France (EDF) monopolista nel mercato francese dell’energia, cfr. E. FRENI, L’incompatibilità con le norme comunitarie della disciplina sulla golden share, in Giorn. di dir. amm., 2001, p. 1145. 75 Sulle nuove disposizioni cfr. M. DUGATO, I servizi pubblici degli enti locali, in Giorn. di dir. amm., 2002, p. 218 e seg.

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poter estendere la propria attività in altri mercati e ciò essenzialmente al fine di prevenire il rischio

di sussidi incrociati76.

La forma societaria delle imprese che gestiscono i servizi pubblici non comporta però

necessariamente il venir meno della natura pubblica delle medesime. Sta anzi prendendo corpo un

orientamento giurisprudenziale, che meriterebbe maggior attenzione da parte della dottrina, volto a

ripristinare la categoria della società per azioni-ente pubblico, oggetto agli albori dell’esperienza

dello Stato imprenditore e del sistema delle partecipazioni statali di un ampio dibattito dottrinale e

di contrasti giurisprudenziali77.

b) Una seconda novità consiste nell’abbandono degli strumenti di regolazione tradizionali ---

quali in particolare, la concessione amministrativa, le direttive amministrative, piani e programmi,

fissazione autoritativa dei prezzi --- a favore di strumenti più compatibili con la libertà d’impresa e

la garanzia della par condicio concorrenziale. In tale novero rientrano, variamente, le autorizzazioni

vincolate (o conformi al diritto comunitario)78, le autorizzazioni generali (i cui confini con l’attività

normativa in senso stretto tendono a sfumare79), i contratti di servizio, gli obblighi a negoziare

accordi tra gli operatori in tema di accesso alle reti e di interconnessione che escludono, almeno in

prima battuta, provvedimenti unilaterali autoritativi dell’autorità di regolazione.

76 I commi da 2-bis a 2-sexies dell’art. 8 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, aggiunti dall’art. 11, comma 3, della legge 5 marzo 2001, n. 57 “Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati” non consente più alle imprese pubbliche in regime di monopolio di utilizzare, in particolare, lo strumento meno rigoroso della semplice separazione contabile e introduce un regime di comunicazione preventiva all’Autorità garante della concorrenza e del mercato delle operazioni di costituzione di società e di acquisizione di partecipazioni di controllo in società operanti in altri mercati. 77 Cfr. Cons. St., VI, 2 marzo 2001, n. 1206 in Urbanistica e appalti, 2001, p. 632 e seg. con nota di R. GAROFOLI e Cons. St., VI, 15 marzo 2002, n. 1303, in Guida al diritto, 2002, n. 18, p. 80 e seg. con nota di G. CARUSO, che hanno ritenuto che la società Poste Italiana abbia natura di soggetto pubblico e Cons. St., 17 settembre 2002, n. 2724 con riguardo a ENEL Spa. Il problema in passato si pose in particolare per la qualificazione giuridica dell’Agip spa. Cfr. sul tema G. MIELE, Scritti giuridici, Milano, 1987, p. 414-415. 78 Sull’influenza del diritto comunitario sui caratteri delle autorizzazioni, cfr. F. FRACCHIA, Autorizzazione e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, 1996, p. 317; N. RANGONE, op. cit., p. 265 e seg. 79 Cfr. in particolare la definizione di autorizzazione generale contenuta nella direttiva comunitaria in materia di autorizzazioni nel settore delle telecomunicazioni 2002/20/CE del 7 marzo 2002 già citata, secondo la quale per autorizzazione generale si intende “il quadro normativo istituito dallo Stato membro che garantisce i diritti di fornitura di reti o di servizi di comunicazione elettronica e stabilisce obblighi specifici per il settore applicabili a tutti i tipi o a tipi specifici di servizi e di reti di comunicazione elettronica” (art. 2, comma 2). In relazione a tale regime alle imprese può esser imposto esclusivamente un obbligo di notifica e l’avvio dell’attività non può essere subordinato all’adozione di una decisione esplicita di un atto amministrativo di assenso (art. 3, comma 2). In generale sulle autorizzazioni generali cfr. M. CLARICH, I procedimenti di regolazione, in AAVV, Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, in Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, 1999, p. 14 ss.

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Il senso generale dell’evoluzione consiste nel passaggio da un sistema nel quale il diritto

d’impresa era sovrastato da poteri di conformazione pubblici pressoché illimitati a un sistema nel

quale è il potere di conformazione a essere a sua volta rigidamente conformato dalla legge in

funzione di garanzia del diritto d’impresa.

L’esempio forse più eclatante, nell’ambito dei servizi pubblici, di “conformazione del potere

di conformazione”80 è costituito dalla direttiva comunitaria sulle autorizzazioni per le reti e i servizi

di comunicazione elettronica 2002/20/CE del 7 marzo 2002 che fa parte del nuovo pacchetto

direttive in tema di comunicazioni elettroniche e che dovrà essere recepita entro il 24 luglio del

2003. La conformazione del potere autorizzatorio si spinge fino al punto di limitare rigidamente i

casi in cui gli Stati membri possono istituire regimi di licenza individuale preventiva in luogo

dell’autorizzazione generale (correlata quest’ultima a una mera attività di notifica senza che sia

necessario da parte dell’amministrazione di un atto di assenso esplicito), di elencare in modo

tassativo e analitico le condizioni apponibili all’autorizzazione, di ridurre al minimo gli obblighi

informativi a carico dell’impresa, di correlare i contributi che possono essere richiesti alle imprese

ai meri costi amministrativi, di graduare secondo criteri di stretta proporzionalità il potere

sanzionatorio81.

c) Una terza novità attiene ai procedimenti per l’esercizio dei poteri normativi di competenza

delle autorità di regolazione.

Nei servizi pubblici soggetti a rapida evoluzione tecnologica e di mercato, il legislatore non

può far altro che stabilire per legge pochi principi e criteri generali delegando alle autorità di

regolazione amplissimi poteri normativi82. Questa tendenza pone ovvi problemi sotto il profilo

della legalità sostanziale e mette ancor più in luce la questione della legittimazione democratica dei

80 In generale sul potere di conformazione in base all’art. 41 della Costituzione, cfr. M. S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, op. cit., p. 176 e seg. 81 Per un’analisi più puntuale cfr. M. CLARICH-A. BOSO CARETTA, Il nuovo sistema delle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2002, p. 685 e seg. 82 Cfr. M. CLARICH, Intervento al Seminario organizzato dall’ISAE su “Regole o discrezionalità tecnica nel controllo del mercato – Roma 26 febbraio 2002, in F. KOSTORIS PADOA SCHIOPPA (a cura di), Le autorità indipendenti e il buon funzionamento del mercato, Milano, 2002, p. 87 ss.

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nuovi apparati che, in apparente deroga al principio della separazione dei poteri, esercitano poteri

normativi, amministrativi e di risoluzione delle controversie.

Da qui l’idea di accentuare le garanzie della legalità procedurale. L’Autorità per l’energia

elettrica e il gas ha emanato un regolamento che disciplina la formazione degli atti normativi e

amministrativi a contenuto generale prevedendo una fase di consultazione e partecipazione dei

soggetti interessati prima che venga adottato il provvedimento finale83.

Questo modello, che riprende quello del “notice and comment” introdotto negli Stati Uniti

dall’Administrative Procedure Act del 1946, potrebbe essere esteso a tutte le autorità di regolazione,

com’è stato suggerito nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato più

volte citata84.

Inoltre, la proporzionalità e l’adeguatezza degli interventi regolativi delle Autorità ben presto

potrebbe essere promossa attraverso la cosiddetta analisi di impatto della regolazione (AIR), già

prevista in via sperimentale per gli atti normativi del Governo e dei ministeri dall’art. 5 della legge

8 marzo 1999, n. 50 e che un disegno di legge governativo propone di estendere alle autorità di

regolazione85. Costringendo il regolatore a valutare ex ante l’impatto, in termini di + “costi di

adeguamento” per i destinatari (compliance costs) di analisi costi-benefici, delle misure proposte

83 Cfr. Art. 5 della Delibera n. 61/97 “Disposizioni generali in materia di svolgimento dei procedimenti per la formazione delle decisioni di competenza dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas che prevede una sequenza di questo tipo: pubblicazione con avviso sul Bollettino dell’avvio del processo di regolazione contenente anche il termine entro il quale gli interessati possono far pervenire osservazioni e memorie scritte, eventuale pubblicazione dello schema di provvedimento con richiesta di osservazioni scritte, eventuale convocazione di audizioni speciali anche individuali. Su questa soluzione e, più in generali sulle garanzie procedurali rinforzate previste per le autorità indipendenti, cfr. Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, in Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, 1999. Sulla necessità di una rigorosa applicazione di queste garanzie procedurali si è pronunciata di recente la giurisprudenza amministrativa: cfr. Cons. St., VI Sez., 1 ottobre 2002 n. 5105. 84 Cfr. Segnalazione del 14 gennaio 2002 (AS226), cit. 85 Cfr. art. 8 del disegno di legge n. 776 del 2001 “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge di semplificazione 2001”. Cfr., in generale, A. NATALINI, Le semplificazioni amministrative, Bologna, 2002, p. 75 e seg. Per una valutazione positiva dell’AIR nell’esperienza avviata nel nostro Paese cfr. OECD, Regulatory reform in Italy, cit., pp. 69-70. La legge n. 50 ha trovato una prima attuazione attraverso una direttiva del Presidente del consiglio dei ministri del 27 marzo 2000, seguita da una “Guida alla sperimentazione dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e da un’ulteriore Direttiva del 21 settembre 2001. Il Dipartimento della funzione pubblica ha poi curato la pubblicazione di alcuni volumi illustrativi della tematica, tra i quali in particolare cfr. Dipartimento della Funzione Pubblica, La valutazione dei costi e dei benefici nell’analisi dell’impatto della regolazione, Rubettino, 2001. Cfr. altresì E. MORFINI, L’introduzione dell’Air in Italia: la prima fase di sperimentazione, in Giorn. dir. amm., 2002, p. 729 ss.

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comparate con possibili misure alternative (inclusa la cosiddetta opzione zero consistente nella

rinuncia a introdurre una regolazione), l’AIR mira a contenere il rischio di ”iper-regolazione”.

d) Un’ulteriore novità che caratterizza i processi di liberalizzazione dei servizi pubblici

consiste nell’emergere di una trama più complessa di relazioni giuridiche verticali e orizzontali.

Essa sostituisce la sequenza lineare, di tipo discendente e connotata da caratteri di

autoritarietà, dei rapporti tra ministero competente, titolare di poteri di direttiva e del potere di

rilasciare la concessione, e impresa (di regola pubblica) concessionaria in esclusiva del servizio, e

tra questa e gli utenti destinatari del servizio, sprovvisti di adeguata protezione giuridica in caso

disservizi.

La nuova trama è composta dai rapporti interni tra soggetti pubblici che a vario titolo

assumono un ruolo di regolazione (politica e tecnica in senso lato) e di garanzia della qualità del

servizio erogato (ministero che rilascia la licenza o altro titolo abilitativo, autorità di regolazione di

settore, enti locali) che vanno analizzati in base ai principi dell’organizzazione delle

amministrazioni pubbliche; dai rapporti tra i soggetti regolatori e le imprese che gestiscono il

servizio e in particolare dal fascio di diritti e obblighi nascenti dal contratto di servizio; dai rapporti

orizzontali tra le imprese concorrenti, cioè dal complesso dei diritti e obblighi, talora reciproci e

talora imposti solo agli operatori dominanti a favore delle imprese nuove entranti (accesso alla rete,

interconnessione, condivisione dei siti, regolazione asimmetrica, ecc.); dai rapporti tra gestori e

utenti, che ruotano attorno ai diritti attribuiti a quest’ultimi dalle carte dei servizi86 e

all’applicazione del diritto comune, senza particolari esenzioni a favore dei primi, in relazione alla

responsabilità nel caso di disservizio87.

86 Cfr. A. MASSERA, Diritti degli utenti e regolazione della concorrenza: le carte dei servizi e le autorità indipendenti, in D. SORACE (a cura di), Le responsabilità pubbliche, Padova, 1998, p. 31 e seg.; G. VESPERINI- F. BATTINI, La carta dei servizi pubblici. Erogazione delle prestazioni e diritti degli utenti, Rimini, 1997; G. NAPOLITANO, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Roma, 2000; dello stesso autore, Il servizio universale e i diritti dei cittadini utenti, in Mercato, concorrenza e regole, 2000, p. 429 e seg. 87 Significativa a questo riguardo è la sentenza della Corte Cost., 20 giugno 2002 n. 254 che ha dichiarato illegittimo l’art. 6 del codice postale approvato con dpr 29 marzo 1973 n. 156 nella parte in cui dispone che l’amministrazione e i concessionari del servizio telegrafico non incorrono in alcuna responsabilità per il mancato recapito dei telegrammi e

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e) Al moltiplicarsi delle relazioni giuridiche corrispondono nuovi tipi di conflitti giuridici per

i quali vengono previste sempre più di frequente forme di risoluzione delle controversie alternative

alla giurisdizione88. Per le controversie che insorgono tra le imprese poste in concorrenza e tra

queste e gli utenti finali sono previsti infatti meccanismi di conciliazione e risoluzione che fanno

capo alle autorità di regolazione. L’esempio forse più significativo è costituito dal “Regolamento

concernente la risoluzione delle controversie tra organismi di telecomunicazioni” adottato

dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n. 148/01/Cons. che disciplina in

modo organico la materia89.

6. Conclusioni.

Ad una valutazione complessiva, le novità istituzionali segnalate nei paragrafi che precedono

portano a inquadrare il settore dei servizi pubblici entro coordinate assai diverse da quelle che

hanno caratterizzato l’esperienza del nostro Paese fino a pochi anni fa. La costituzione economica

europea ha richiesto una revisione del nostro ordinamento molto più ampia di quella imposta, come

si è visto, all’ordinamento tedesco. Il processo avviato nell’ultimo decennio non è ancora concluso,

né può dirsi irreversibile.

ciò argomentando in relazione alla “definitiva perdita del carattere autoritario degli atti in cui si estrinseca il rapporto tra il gestore e gli utenti del servizio postale e con la conseguente assimilazione della relativa disciplina a quella di diritto comune” che rende l’esenzione dalla responsabilità prevista nella disposizione “un anacronistico privilegio, privo di connessione con obiettive caratteristiche del servizio”. 88 Cfr. in particolare l’art. 2, comma 24, lett. b della legge 14 novembre 1995 n. 481 e l’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997 n, 249u queste forme di tutela alternative alla giurisdizione cfr. M. CHITI, le procedure giurisdizionali speciali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Vol. IV, Milano, 2000, p. 3651 e seg.; L. DE LUCIA, op. cit., p. 342 e seg. 89 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 aprile 2001, n. 85.

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La cultura delle liberalizzazioni infatti deve ancora consolidarsi nel nostro Paese90. Lo spirito

pubblico che anima la nostra costituzione economica non è sempre in linea con quello prevalente a

livello europeo.

Si spiega così perché il nostro legislatore abbia scelto in molti casi di ridurre al minimo la

portata delle novità. Così, per esempio, in occasione del recepimento del primo pacchetto di

direttive comunitarie in materia di telecomunicazioni, la normativa italiana ha continuato ad

assoggettare a regime di licenza individuale un numero di attività superiore a quello di altri Paesi91.

In sede di recepimento della normativa comunitaria in tema di servizi postali si è scelto di non

superare la soglia minima di liberalizzazione92. Nel settore dei servizi pubblici locali, l’art. 35

della legge n. 448 del 2001 prima citata ha introdotto un regime transitorio così lungo da rinviare a

un futuro lontano l’apertura effettiva dei mercati locali alla concorrenza e proprio per questo è stato

oggetto di rilievi in sede comunitaria93.

Riemergono poi periodicamente tentazioni dirigistiche, per esempio, sottoforma di blocchi

tariffari94 o di obblighi a carico delle imprese di praticare agli utenti condizioni tariffarie sull’intero

territorio nazionale95. La stessa opinione pubblica, ogni qual volta si presentano problemi che

interessano la collettività (aumento dei prezzi, crisi di grandi aziende, ecc.), reclama controlli e

interventi diretti dello Stato, piuttosto che più concorrenza e mercato. 90 Cfr. P. BERSANI, Regolazione e concorrenza: le prospettive per l’Italia, in G. TESAURO- M. D’ALBERTI (a cura di), Regolazione e concorrenza, op. cit., p. 231 e seg. 91 Cfr. Dpr. 19 settembre 1997 n. 318 “Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni” che assoggetta a regime di licenza individuale numerose attività (art. 6, comma 6). Come chiarisce la relazione della Commissione in preparazione della nuova direttiva in materia di autorizzazioni emanata il 7 marzo 2002, già citata, il precedente sistema normativo ha consentito agli Stati membri di istituire un numero di licenze individuali variabili da un minimo di 2 a un massimo di 18: Cfr. Proposte della commissione – Documento 5000PC0386 In generale, sul primo pacchetto delle direttive comunitarie in materia cfr. F. CARDARELLI- V. ZENO ZENCOVICH, Il diritto delle telecomunicazioni, Bari, 1997. 92 Si tratta del recepimento della direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997 con d.lgs. 22 luglio 1999 n. 261 sulla quale cfr. U. ARRIGO-M. BECCARELLO, L’ampliamento del monopolio postale in Italia: tutela del servizio universale o dell’inefficienza del gestore?, in Mercato, concorrenza, regole, 2000, p. 599 e seg.; 93 Nel giugno 2002 la Commissione delle Comunità europee ha inviato al Governo italiano una lettera di contestazione di infrazioni del diritto comunitario. 94 Si pensi al blocco delle tariffe relative al settore dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile disposto dall’art. 2 del decreto legge 28 marzo 2000 n.70 convertito in legge dall’art. 1, comma 1, della legge 26 maggio 2000 n. 137 e, da ultimo, nel settore dei servizi pubblici di cui alla legge 14 novembre 1995 n. 481 ad opera del decreto legge 4 settembre 2002 n. 193 “Misure urgenti in materia di servizi pubblici” convertito in legge 28 ottobre 2002 n. 238. 95 Cfr. l’art. 22 della legge 12 dicembre 2002 n. 273 rubricato “Disposizioni per la trasparenza dei servizi assicurativi per i veicoli a motore” che modifica l’art. 12-bis della legge 24 dicembre 1969 n. 990.

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Anche il dibattito sulle autorità di regolazione dei servizi pubblici, che si è svolto sia

nell’ambito della commissione di esperti nominata nel 2001 dal Dipartimento della Funzione

pubblica sia in altre sedi politiche e istituzionali, dimostra come stia riemergendo la tentazione di

ricondurre all’interno dei ministeri alcune funzioni ad esse delegate. Alcune leggi recenti hanno

già iniziato per così dire a “rosicchiare” competenze delle autorità96.

Persino la recente riforma costituzionale, che amplia i poteri normativi delle Regioni anche

nel settore dei servizi pubblici, potrebbe determinare un rallentamento del processo riformatore,

visto che la pressione degli interessi costituiti è più forte in sede locale. Molto dipenderà anche

dall’estensione che verrà attribuita dalla giurisprudenza costituzionale la materia (rectius, valore)

della tutela della concorrenza attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dal nuovo

articolo 117 della Costituzione 97.

96 Ciò è avvenuto in particolare per ciò che attiene al potere di rilasciare le autorizzazioni generali e le licenze individuali del quale è nuovamente titolare il ministero: Cfr. legge 20 marzo 2001 n. 66 e legge 3 agosto 2001 n. 317. Sul tema cfr. M. LIBERTINI, I rapporti tra Ministero e Autorità garante delle comunicazioni, in Giorn. di Dir. Amm., 2001, p. 1287 e seg. 97 Basti ricordare in proposito alla riforma del commercio volta a liberalizzare in parte il settore, varata dal d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, ma poi attuata dalle Regioni reintroducendo vincoli e rigidità: cfr. L. PELLEGRINI, Da riforma a controriforma – La regolamentazione deo commercio, in Mercato, concorrenza e regole, 2000, p. 311 e seg.; B. ARGIOLAS, L’attuazione della riforma del commercio al dettaglio tra liberalizzazione e decentramento, in Giorn. di dir. amm., 2002, p. 907 e seg.


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