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24 FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 la nottePer inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la...

Date post: 24-Aug-2020
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NI LOI NI TRAVAIL [pag. 2] LE ELEZIONI COMUNALI E I “DOLORI DEL GIOVANE RENZI” [pag. 4-5] SPAGNA 1936 17/18 LUGLIO [pagg. 8] USCENDO DAL CINEMA: LIQUIDAZIONE [pag. 7] TRASPORTI SCOLASTICI: CARTELLE ESATTORIALI A GUALDO CATTANEO [pagg. 8] SOMMARIO FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 24 www.alquadrivio.wordpress.com Foligno, 27 giugno 2016, il mal di pancia provoca “lo scioglimento e la messa in liquidazione della Società FILS S.r.l., ai sensi degli articoli 2484 e segg. del codice civile”! La sedu- ta del Consiglio Comunale è stata molto travagliata! L’ironia delle pa- role non appaia voluta. Il tentativo di evitare lo scioglimento da parte del consigliere Elio Graziosi, falli- to! Non avendo somministrato le “pastiglie” per tempo... Un tentativo estremo, incompatibile con quanto prescritto dalla legge di stabilità la quale imponeva ai comuni -a par- tire dal 2015- un accantonamento finanziario per quelle aziende spe- ciali, istituzioni o società partecipa- te che fossero in perdita (e la Fils lo era), ovvero che avessero presenta- to un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo. Tale accanto- namento oltretutto -come ha fatto il nostro bravo Sindaco- lo si sarebbe dovuto fare nell’anno successivo (2016), in un apposito fondo vinco- lato, e per un importo pari al risul- tato negativo non immediatamente ripianato, facendo quindi ricadere la perdita sulla stessa amministrazione di riferimento. Dunque troppo tardi per Graziosi, troppo tardi per la FILS S.r.l., totalmente inutili le “lagnan- ze” del consigliere, che peraltro ha chiesto l’istituzione di una commis- sione “per accertare tutto ciò che è accaduto, visto che i consiglieri che devono decidere hanno avuto a di- sposizione il Bilancio FILS soltanto il 17 giugno”, ed ha anche chiesto le dimissioni dell’Assessore Graziano Angeli, con delega alle partecipa- te, “vista la mancanza totale di con- trollo sulla gestione e sul Bilancio di esercizio della partecipata”. Nel suo intervento l’avv. Stefania Filipponi -di Impegno Civile- ha lamentato la mancanza di responsabilità nell’inte- ra e lunga vicenda, nonostante che la FILS fosse una società con capitale pubblico, con i soldi di tutti, anche degli stessi lavoratori. Ha lamentato -tra le tante cose- che si sia parlato di “incomprensioni” tra FILS ed uffi- ci comunali, quando “nei rapporti commerciali, imprenditoriali, le in- comprensioni non possono esiste- re”. Sia la Filipponi che la consiglie- ra Elisabetta Piccolotti di Sinistra Italiana (ex SEL) hanno soprattutto ricordato che l’Amministrazione co- munale era tenuta ad ottemperare al dovere del “controllo analogo”, cosa che -se eseguita con monito- raggi periodici- avrebbe evidenziato per tempo il problema e avrebbe consentito l’adozione dei necessa- ri correttivi. Così pure il consigliere pentastellato Fausto Savini. Altre argomentazioni, molte, dell’uno e degli altri, hanno denotato princi- palmente la mancanza di responsa- bilità da parte dell’Amministrazione comunale, della Giunta e partico- larmente dell’assessore Graziano Angeli, lo si ripete, con delega alle società partecipate. In particolare Fausto Savini ha riferito che i lavora- tori abbiano detto che l’andamen- to dei conti già da molto tempo si conoscesse e che avrebbe portato all’esercizio negativo. Che dire? Co- me per il tradimento del coniuge: il diretto interessato è sempre l’ultimo a sapere? Verrebbe solo da ridere, se non ci fosse da piangere. Diciamolo, si è cercato di nascondere il proble- ma, non è pensabile che il Sindaco non sapesse. Di contro, l’idea del Sindaco -a vo- lergli dare fiducia- e della Giunta è quella di poter ripristinare un’azien- da partecipata e strumentale, per- ché strettamente necessaria, che però abbia i requisiti per poter du- rare: sua solenne promessa! Sorge un dubbio spontaneo. Il 29 giugno vengono nominati liquidatori della FILS S.r.l. Stefano Mattioli -già Presi- dente della FILS in carica dal 2009- e l’ing. Feliciano Baliani, ex Dirigente dell’Area Lavori Pubblici del Comune di Foligno. Saranno proprio loro gli artefici del miracolo FILS, a saperne curare il mal di pancia da loro stessi non curato, essendone stati gli am- ministratori? Ci riusciranno? È lecito pensare ad un’ultima manovra per consentire di “gettare una colata di cemento” sulle responsabilità reali e specifiche del disastro e nel contem- po salvare l’attuale Amministrazione comunale, col ricatto di poter salva- re -solo in questo modo e a queste condizioni- i posti di lavoro? Certo è che il “fenomeno FILS” -a ben vedere- consentirebbe di leggere le dinami- che clientelari di Foligno come nes- sun altro esempio reale. Soprattutto Ron Mueck - Woman in Bed Il bilancio consuntivo del Comune di Foligno è stato votato da 13 con- siglieri, quello preventivo da 14. La Trombettoni è passata al gruppo mi- sto, Graziosi ha dichiarato di essere fuori dalla maggioranza. Una delibera sull’ex Zuccherificio non è stata vota- ta per mancanza del numero legale. Il Consiglio successivo ha raggiunto il numero legale grazie alla presenza in aula delle opposizioni: erano assenti quattro consiglieri di maggioranza. La riunione era priva di riscontri concreti, era solo un Consiglio in cui discutere le interpellanze, la sua importanza era solo relativa al fatto che se non fosse stata tenuta ci sarebbe stato un in- gorgo che avrebbe rallentato ulterior- mente l’iter deliberativo del Comune. Per inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la maggioranza sulla carta ne aveva 17, compreso il sin- daco. Così l’Amministrazione è in panne, non sembra in grado di governare la città, ammesso che abbia idee e progetti per farlo. I nodi sono quel- li che abbiamo più volte ricordato: l’area dell’ex Zuccherificio, che non si comprende ancora che fine farà, dato che il progetto originario è stato molto rimaneggiato; le questioni delle aziende a partecipazione municipale; i problemi del rapporto centro- peri- ferie. Questo in una situazione meno drammatica di quella di altri comuni umbri: il bilancio è in attivo, stanno arrivando soldi dall’Unione, la città, che pure avrebbe bisogno di una ma- nutenzione più accurata e in cui si ri- levano scempi urbanistici ormai usuali in tutti gli aggregati urbani umbri, non è poi messa così male. Allora da cosa deriva la crisi, il disagio diffuso che si percepisce non solo in Consiglio co- munale, ma anche nel rapporto con i cittadini? C’è in primo luogo una questione di prospettiva. Pensare che lo sviluppo passi attraverso una filiera cultura, tu- rismo e sport appare perlomeno risi- bile, specie in una città segnatamente industriale. Insomma non si riesce a capire quale sia il quadro che si pro- spetta per il futuro e già cominciano ad essere evidenti le criticità che si ma- nifesteranno nei prossimi anni: dalle questioni dei servizi socio-sanitari, a quelli affidati alle cooperative, secon- do un criterio di sussidiarietà pubblico - privato che è stata fonte di cliente- lismo e, in molti casi, di aumento dei costi. Insomma, i temi sono di carat- tere politico generale: quale ruolo del Pubblico? quali strutture permanenti? quali percorsi di partecipazione? Quali spazi per il volontariato che non siano pura distribuzione di soldi pubblici? In secondo luogo c’è un malessere ge- nerato dalle trasformazioni della poli- tica locale. È fuori di dubbio che se la società è, come si dice, “liquida” oggi le forze politiche lo siano ancora di più. Ciò fa sì che ad esempio il Partito democratico sia frammentato in molti pezzi, come del resto l’opposizione di centro destra, mentre i grillini non rie- scono a trovare il passo e la sinistra è forza residuale e nel migliore dei casi di testimonianza. Ciò spiega gli schie- ramenti in atto. Il dissenso di Cianca- leoni, Finamonti, Schiarea, visto fuori della rivendicazione del Movimento per Foligno di un posto in giunta e di quella dei socialisti dissidenti per una sostituzione dell’assessore socialista ufficiale Belmonte, si configura come una domanda di rottura definitiva con il passato e una visione orientata ver- so l’apertura maggiore alle forze no- tabilari, ai poteri diffusi nel territorio, di rottura con pezzi del blocco eletto- rale tradizionale del Pds, dei Ds e del Pd. La proposta alternativa di Graziosi e Piccolotti sembra, invece, puntare a salvaguardare tale rapporto. Non altrimenti si può leggere l’appello “a tutte le forze di sinistra e progressi- ste a immaginare un altro percorso [diverso dall’apertura al centro] che possa raccogliere l’eredità di tante cose costruite negli ultimi decenni e invertire la rotta”, aggiungendo: “non ha senso oggi, per chi si dice di si- nistra, per chi anche non di sinistra ha a cuore questioni sociali, anche dentro al Pd, continuare a prestare le proprie forze ad un progetto che va in senso contrario alle proprie convin- zioni e che perde sempre più credi- bilità di fronte ai cittadini ogni ora che passa”. Il dispositivo studiato dai due sarebbero le dimissioni del sindaco e la costituzione di una nuova giunta. Quello che non convince è l’idea che ci sia qualcuno nel Pd disponibile a raccogliere l’appello, cosa che parte dall’ipotesi tutta da dimostrare che il Pd ancora esista come partito. In ter- zo luogo, ed è il dato più interessan- te, le dichiarazioni che emergono dai vertici dell’Assindustria Folignate in occasione della rielezione del proprio presidente. Metelli, prima che avve- nisse l’elezione di Bazzica, ha com- mentato lo stato di rissa permanen- te nella maggioranza e come l’unica vera attività della giunta sia quella di mettere sempre nuove tasse e balzel- li. E’ la prima volta che l’Assindustria folignate prende una posizione così netta. Ma non è sola. La “Gazzetta di Foligno”, che ha sia pur cripticamente appoggiato Mismetti, comincia a rite- nere la situazione disperata e intima al sindaco di trovare in fretta una so- luzione. Così si comincia a parlare di rimpasto. La questione non è sempli- ce e ruota introno alla domanda di chi se ne deve andare e per fare posto a chi. Ce la farà Mismetti? Tutti, co- munque, si preparano alla soluzione estrema: le dimissioni del sindaco, il commissariamento e nuove elezioni. In questo caso il Pd non ha la forza di presentarsi come forza autonoma, ci troveremo - con ben altra autorevo- lezza rispetto al passato - di fronte a candidati “civici”, espressione di po- teri di vario genere, da quelli religiosi a quelli economici, a cui i Democratici, se vogliono restare in sella, dovranno subordinarsi: insomma mutadis mu- tandis una soluzione analoga a quella di Assisi che, non a caso, il già sena- tore Ronconi propone come modello di riferimento. *** A CHE PUNTO è la notte se ne potrebbe leggere il suo lega- me -solo metaforico, per carità- con quell’altro fenomeno costituito dalla nostra amata manifestazione cultu- rale della Quintana, capace di fare da supporto popolare e populistico ad un’Amministrazione che di populisti- co dice di non avere niente. E tutto ciò involontariamente s’intende, so- lo per caso. A questo punto restano solo da analizzare i dati relativi ai co- spicui debiti bancari... forse l’aspetto più inquietante. Ma certamente per risolvere senza danni (per chi?) il problema, saranno quelle giuste le competenze dell’attuale liquidatore Stefano Mattioli, già amministrato- re unico della FILS, quadro direttivo presso Banca Popolare di Spoleto S.p.a., con Laurea in Scienze Econo- miche e Bancarie presso l’Università degli Studi di Siena, nonché Priore del rione dell’”aquila nera”. Allegria! Alessandro Porcu
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Page 1: 24 FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 la nottePer inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la maggioranza sulla carta ne aveva 17, compreso il sin-daco. Così l’Amministrazione

NI LOI NI TRAVAIL[pag. 2]

LE ELEZIONI COMUNALI E I “DOLORI DEL GIOVANE RENZI”

[pag. 4-5]

SPAGNA 193617/18 LUGLIO

[pagg. 8]

USCENDO DAL CINEMA:LIQUIDAZIONE

[pag. 7]

TRASPORTI SCOLASTICI: CARTELLE ESATTORIALI A GUALDO CATTANEO

[pagg. 8]

SOMMARIO

FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 24www.alquadrivio.wordpress.com

Foligno, 27 giugno 2016, il mal di pancia provoca “lo scioglimento e la messa in liquidazione della Società FILS S.r.l., ai sensi degli articoli 2484 e segg. del codice civile”! La sedu-ta del Consiglio Comunale è stata molto travagliata! L’ironia delle pa-role non appaia voluta. Il tentativo di evitare lo scioglimento da parte del consigliere Elio Graziosi, falli-to! Non avendo somministrato le “pastiglie” per tempo... Un tentativo estremo, incompatibile con quanto prescritto dalla legge di stabilità la quale imponeva ai comuni -a par-tire dal 2015- un accantonamento finanziario per quelle aziende spe-ciali, istituzioni o società partecipa-te che fossero in perdita (e la Fils lo era), ovvero che avessero presenta-to un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo. Tale accanto-namento oltretutto -come ha fatto il nostro bravo Sindaco- lo si sarebbe dovuto fare nell’anno successivo (2016), in un apposito fondo vinco-lato, e per un importo pari al risul-tato negativo non immediatamente ripianato, facendo quindi ricadere la perdita sulla stessa amministrazione di riferimento. Dunque troppo tardi per Graziosi, troppo tardi per la FILS S.r.l., totalmente inutili le “lagnan-ze” del consigliere, che peraltro ha chiesto l’istituzione di una commis-sione “per accertare tutto ciò che è accaduto, visto che i consiglieri che devono decidere hanno avuto a di-sposizione il Bilancio FILS soltanto il 17 giugno”, ed ha anche chiesto le dimissioni dell’Assessore Graziano Angeli, con delega alle partecipa-te, “vista la mancanza totale di con-trollo sulla gestione e sul Bilancio di esercizio della partecipata”. Nel suo intervento l’avv. Stefania Filipponi -di Impegno Civile- ha lamentato la

mancanza di responsabilità nell’inte-ra e lunga vicenda, nonostante che la FILS fosse una società con capitale pubblico, con i soldi di tutti, anche degli stessi lavoratori. Ha lamentato -tra le tante cose- che si sia parlato di “incomprensioni” tra FILS ed uffi-ci comunali, quando “nei rapporti commerciali, imprenditoriali, le in-comprensioni non possono esiste-re”. Sia la Filipponi che la consiglie-ra Elisabetta Piccolotti di Sinistra Italiana (ex SEL) hanno soprattutto ricordato che l’Amministrazione co-munale era tenuta ad ottemperare al dovere del “controllo analogo”, cosa che -se eseguita con monito-raggi periodici- avrebbe evidenziato per tempo il problema e avrebbe consentito l’adozione dei necessa-ri correttivi. Così pure il consigliere pentastellato Fausto Savini. Altre argomentazioni, molte, dell’uno e degli altri, hanno denotato princi-palmente la mancanza di responsa-bilità da parte dell’Amministrazione comunale, della Giunta e partico-larmente dell’assessore Graziano Angeli, lo si ripete, con delega alle società partecipate. In particolare Fausto Savini ha riferito che i lavora-tori abbiano detto che l’andamen-to dei conti già da molto tempo si conoscesse e che avrebbe portato all’esercizio negativo. Che dire? Co-me per il tradimento del coniuge: il diretto interessato è sempre l’ultimo a sapere? Verrebbe solo da ridere, se non ci fosse da piangere. Diciamolo, si è cercato di nascondere il proble-ma, non è pensabile che il Sindaco non sapesse. Di contro, l’idea del Sindaco -a vo-lergli dare fiducia- e della Giunta è quella di poter ripristinare un’azien-da partecipata e strumentale, per-ché strettamente necessaria, che

però abbia i requisiti per poter du-rare: sua solenne promessa! Sorge un dubbio spontaneo. Il 29 giugno vengono nominati liquidatori della FILS S.r.l. Stefano Mattioli -già Presi-dente della FILS in carica dal 2009- e l’ing. Feliciano Baliani, ex Dirigente dell’Area Lavori Pubblici del Comune di Foligno. Saranno proprio loro gli artefici del miracolo FILS, a saperne curare il mal di pancia da loro stessi non curato, essendone stati gli am-ministratori? Ci riusciranno? È lecito pensare ad un’ultima manovra per consentire di “gettare una colata di cemento” sulle responsabilità reali e specifiche del disastro e nel contem-po salvare l’attuale Amministrazione comunale, col ricatto di poter salva-re -solo in questo modo e a queste condizioni- i posti di lavoro? Certo è che il “fenomeno FILS” -a ben vedere- consentirebbe di leggere le dinami-che clientelari di Foligno come nes-sun altro esempio reale. Soprattutto

Ron Mueck - Woman in Bed

Il bilancio consuntivo del Comune di Foligno è stato votato da 13 con-siglieri, quello preventivo da 14. La Trombettoni è passata al gruppo mi-sto, Graziosi ha dichiarato di essere fuori dalla maggioranza. Una delibera sull’ex Zuccherificio non è stata vota-ta per mancanza del numero legale. Il Consiglio successivo ha raggiunto il numero legale grazie alla presenza in aula delle opposizioni: erano assenti quattro consiglieri di maggioranza. La riunione era priva di riscontri concreti, era solo un Consiglio in cui discutere le interpellanze, la sua importanza era solo relativa al fatto che se non fosse stata tenuta ci sarebbe stato un in-gorgo che avrebbe rallentato ulterior-mente l’iter deliberativo del Comune. Per inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la maggioranza sulla carta ne aveva 17, compreso il sin-daco.Così l’Amministrazione è in panne, non sembra in grado di governare la città, ammesso che abbia idee e progetti per farlo. I nodi sono quel-li che abbiamo più volte ricordato: l’area dell’ex Zuccherificio, che non si comprende ancora che fine farà,

dato che il progetto originario è stato molto rimaneggiato; le questioni delle aziende a partecipazione municipale; i problemi del rapporto centro- peri-ferie. Questo in una situazione meno drammatica di quella di altri comuni umbri: il bilancio è in attivo, stanno arrivando soldi dall’Unione, la città, che pure avrebbe bisogno di una ma-nutenzione più accurata e in cui si ri-levano scempi urbanistici ormai usuali in tutti gli aggregati urbani umbri, non è poi messa così male. Allora da cosa deriva la crisi, il disagio diffuso che si percepisce non solo in Consiglio co-munale, ma anche nel rapporto con i cittadini? C’è in primo luogo una questione di prospettiva. Pensare che lo sviluppo passi attraverso una filiera cultura, tu-rismo e sport appare perlomeno risi-bile, specie in una città segnatamente industriale. Insomma non si riesce a capire quale sia il quadro che si pro-spetta per il futuro e già cominciano ad essere evidenti le criticità che si ma-nifesteranno nei prossimi anni: dalle questioni dei servizi socio-sanitari, a quelli affidati alle cooperative, secon-do un criterio di sussidiarietà pubblico

- privato che è stata fonte di cliente-lismo e, in molti casi, di aumento dei costi. Insomma, i temi sono di carat-tere politico generale: quale ruolo del Pubblico? quali strutture permanenti? quali percorsi di partecipazione? Quali spazi per il volontariato che non siano pura distribuzione di soldi pubblici?In secondo luogo c’è un malessere ge-nerato dalle trasformazioni della poli-tica locale. È fuori di dubbio che se la società è, come si dice, “liquida” oggi le forze politiche lo siano ancora di più. Ciò fa sì che ad esempio il Partito democratico sia frammentato in molti pezzi, come del resto l’opposizione di centro destra, mentre i grillini non rie-scono a trovare il passo e la sinistra è forza residuale e nel migliore dei casi di testimonianza. Ciò spiega gli schie-ramenti in atto. Il dissenso di Cianca-leoni, Finamonti, Schiarea, visto fuori della rivendicazione del Movimento per Foligno di un posto in giunta e di quella dei socialisti dissidenti per una sostituzione dell’assessore socialista ufficiale Belmonte, si configura come una domanda di rottura definitiva con il passato e una visione orientata ver-so l’apertura maggiore alle forze no-tabilari, ai poteri diffusi nel territorio, di rottura con pezzi del blocco eletto-rale tradizionale del Pds, dei Ds e del

Pd. La proposta alternativa di Graziosi e Piccolotti sembra, invece, puntare a salvaguardare tale rapporto. Non altrimenti si può leggere l’appello “a tutte le forze di sinistra e progressi-ste a immaginare un altro percorso [diverso dall’apertura al centro] che possa raccogliere l’eredità di tante cose costruite negli ultimi decenni e invertire la rotta”, aggiungendo: “non ha senso oggi, per chi si dice di si-nistra, per chi anche non di sinistra ha a cuore questioni sociali, anche dentro al Pd, continuare a prestare le proprie forze ad un progetto che va in senso contrario alle proprie convin-zioni e che perde sempre più credi-bilità di fronte ai cittadini ogni ora che passa”. Il dispositivo studiato dai due sarebbero le dimissioni del sindaco e la costituzione di una nuova giunta. Quello che non convince è l’idea che ci sia qualcuno nel Pd disponibile a raccogliere l’appello, cosa che parte dall’ipotesi tutta da dimostrare che il Pd ancora esista come partito. In ter-zo luogo, ed è il dato più interessan-te, le dichiarazioni che emergono dai vertici dell’Assindustria Folignate in occasione della rielezione del proprio presidente. Metelli, prima che avve-nisse l’elezione di Bazzica, ha com-mentato lo stato di rissa permanen-

te nella maggioranza e come l’unica vera attività della giunta sia quella di mettere sempre nuove tasse e balzel-li. E’ la prima volta che l’Assindustria folignate prende una posizione così netta. Ma non è sola. La “Gazzetta di Foligno”, che ha sia pur cripticamente appoggiato Mismetti, comincia a rite-nere la situazione disperata e intima al sindaco di trovare in fretta una so-luzione. Così si comincia a parlare di rimpasto. La questione non è sempli-ce e ruota introno alla domanda di chi se ne deve andare e per fare posto a chi. Ce la farà Mismetti? Tutti, co-munque, si preparano alla soluzione estrema: le dimissioni del sindaco, il commissariamento e nuove elezioni. In questo caso il Pd non ha la forza di presentarsi come forza autonoma, ci troveremo - con ben altra autorevo-lezza rispetto al passato - di fronte a candidati “civici”, espressione di po-teri di vario genere, da quelli religiosi a quelli economici, a cui i Democratici, se vogliono restare in sella, dovranno subordinarsi: insomma mutadis mu-tandis una soluzione analoga a quella di Assisi che, non a caso, il già sena-tore Ronconi propone come modello di riferimento.

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A CHE PUNTO è la notte

se ne potrebbe leggere il suo lega-me -solo metaforico, per carità- con quell’altro fenomeno costituito dalla nostra amata manifestazione cultu-rale della Quintana, capace di fare da supporto popolare e populistico ad un’Amministrazione che di populisti-co dice di non avere niente. E tutto ciò involontariamente s’intende, so-lo per caso. A questo punto restano solo da analizzare i dati relativi ai co-spicui debiti bancari... forse l’aspetto più inquietante. Ma certamente per risolvere senza danni (per chi?) il problema, saranno quelle giuste le competenze dell’attuale liquidatore Stefano Mattioli, già amministrato-re unico della FILS, quadro direttivo presso Banca Popolare di Spoleto S.p.a., con Laurea in Scienze Econo-miche e Bancarie presso l’Università degli Studi di Siena, nonché Priore del rione dell’”aquila nera”. Allegria!

Alessandro Porcu

Page 2: 24 FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 la nottePer inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la maggioranza sulla carta ne aveva 17, compreso il sin-daco. Così l’Amministrazione

N. 24 – LUGLIO-AGOSTO 2016QUI E NEL MONDO22

Innovazione e gioco di squadraLuca Barberini è rientrato nella giunta regionale. Il De bello sanitario sembra essersi concluso. Ciò è avvenuto grazie ad un documento sottoscritto dai belligeranti i cui assi sono, come recita l’assessore umbro alla sanità in una intervista alla “Gazzetta di Foligno”, che ne ha soste-nuto sia l’uscita che il rientro in giunta, l’innovazione (una sola Asl, una riduzione dei presidi sanitari e una apertura al privato) e il gioco di squadra. Resta da capire che fine farà Orlandi, direttore generale della sanità umbra, la cui nomina da parte della presidente Marini aveva scatenato la guerra.

Mismetti nella palude Il bilancio consuntivo è stato votato da 13 voti consiglieri, quello preventivo da 14. La consigliera Trombettoni è pas-sata al gruppo misto, il consigliere Graziosi ha dichiarato di essere fuori dalla maggioranza. Una delibera sull’ex Zuccherificio non è stata votata per mancanza del nume-ro legale. Mismetti ha dichiarato che se le cose continua-no così si dimetterà. Come dargli torto?

La concretezza dei ragazziIn un incontro con gli studenti che partecipano ad un pro-getto della “Gazzetta di Foligno”, Mismetti ha affrontato con loro i vari problemi che si agitano nella città. Tra le proposte dei rappresentanti delle giovani generazioni è emersa quella di potenziare i bagni pubblici. Poi dicono che i ragazzi vivono con la testa tra le nuvole!

Lavori pubbliciGli abitanti di via Maestà di Donati protestano per i disse-sti e le buche della strada, affermando che ci sono stati incidenti che hanno portato a danni fisici e alla rottura delle automobili. Addirittura hanno scritto all’amministra-zione che ha risposto laconicamente che provvederà. La questione è quando.

Calcinacci in piazza Pare che dal restaurato palazzo del Comune siano ca-duti calcinacci dalla facciata. I cittadini preoccupati han-no pensato ad una scossa di terremoto. Niente paura. Probabilmente è stato utilizzato meno intonaco di quello necessario.

Val di ChientiCi siamo. A fine giugno il presidente dell’Anas Armani ha ispezionato il cantiere. Pare sia tutto a posto, la super stra-da può partire, il cemento mancante nelle gallerie è stato aggiunto. Il giorno dopo il sopralluogo è stato ripetuto, la mattina da Armani, Petrosino della Quadrilatero (mano era stata sciolta?) e Mismetti; il pomeriggio con Catiuscia Marini. Si è discusso anche dello svincolo di Scopoli. La risposta è stata elusiva: vedremo. Il 28 luglio Matteo Renzi taglierà il nastro. Chi meglio del rottamatore per l’inaugu-razione che sancisce la rottamazione della valle?

Bilanci ClericaliLa diocesi di Foligno ha fatto conoscere l’obolo introitato nel 2015 in relazione all’Otto per Mille. Si tratta del rag-guardevole gruzzolo di 836.652,62 euro, suddiviso in due comparti: esigenze di culto e pastorali (53%) e interventi caritativi (47%). Nel primo, la voce più consistente riguar-da la curia diocesana e i centri pastorali diocesani, ovvero il cuore dell’istituzione, con 148.350,29 euro (34 % del settore). Il secondo comparto, consistente in 396.567,11 euro, è caratterizzato dalle Opere della Caritas diocesa-na per 140 mila euro e da una distribuzione di risorse a “bisognosi” di vario tipo per un totale di 128.567,11 euro ivi includendo tossicodipendenti (15 mila euro) ed extracomunitari (10 mila). In detto secondo comparto, però, sono stati registrati anche 128 mila euro (la voce D/7) pertinenti ad una struttura immobiliare destinata alle attività istituzionali della diocesi: il che risulta mistificato-rio, giacché la somma indicata, ancorché (molto) indiret-tamente collegata alle iniziative caritative, la si sarebbe dovuta inscrivere tra gli impieghi riguardanti l’infrastrut-tura e le dinamiche funzionali del sistema cioè nel primo comparto. Non ci soffermiamo sulla motivazione piuttosto barocca che si è data per questa scelta (si legga il “Gaz-zetta di Foligno”, n. 25); a noi basta chiarire che il totale di 396.567,11 euro va decurtato di 128 mila e dunque ridotto a 268.567,11 euro, somma erogata effettivamen-te per la “carità” che è pari a 735 euro al giorno; e ciò mentre, per la funzionalità dell’apparato, sono stati spesi quotidianamente 1.942 euro. Lo ripetiamo: ciò di cui ab-biamo trattato fin qui riguarda soltanto l’Otto per Mille. Per il sostentamento del clero si attinge a fonti di tipo diverso; delle esenzioni fiscali, che di fatto costituiscono un’entrata, ignoriamo la consistenza; di altri flussi finan-ziarî non è dato sapere, e pur vi sono, e alimentano la ragnatela cattolica.

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Niente legge, e niente lavoro. Camminando per le strade di Parigi, capita spesso di imbattersi in que-sta frase, scritta sui muri o sulle panchine. Parole che certo trasmettono un messaggio particolare, soprattutto ripensando al fatto che tutta la Fran-cia è in mobilitazione da mesi contro la Legge El Khomri (conosciuta meglio come Loi Travail), una sorta di Jobs Act alla francese che il governo a gui-da socialista Hollande-Valls sta tentando in tutti i modi di far approvare. Cosa significa allora questo slogan? Perché, oltre al rifiuto della legge, il rifiuto anche del lavoro? Chi è che scrive e si riconosce in queste parole?La dinamica di ciò che sta accadendo in Francia è tutt’altro che lineare, e ancor più complesso è comprendere la composizione sociale e la natura delle rivendicazioni del variegato movimento fran-cese; per penetrare più a fondo nella questione, per andare oltre ciò che passa nei media mainstre-am e a volte anche in quelli militanti, io e altri due compagni di Siena, città dove studio all’università, abbiamo partecipato alla manifestazione svoltasi a Parigi il 14 giugno scorso e siamo poi rimasti nella capitale francese per qualche giorno, approfittan-do dell’ospitalità di alcuni contatti parigini.Le nostre giornate si sono svolte intorno a Place de la République, dove il 31 marzo scorso, sotto la statua della Marianne, è avvenuta la prima Nuit Debout, la prima “notte in piedi” di protesta, che ha reso la piazza il luogo simbolo delle mobilitazioni di questi mesi. Ma la République è anche un luogo di incontro e di discussione, in un paese sotto Stato d’Emergenza addirittura da novembre; lì abbiamo potuto fare conoscenza con diverse persone, al-cune anche italiane, e allo stesso tempo abbiamo avuto la possibilità di comprendere più a fondo il movimento francese.Innanzitutto, è necessario fare una distinzione di base: Nuit Debout non ha nulla a che vedere con i sindacati. Tale distanza è netta e fondamentale, non solo perché la composizione sociale di chi frequenta la République è assai più varia, ma so-prattutto perché assai diverse sono le prospettive e anche, in parte, le rivendicazioni. Sin dall’inizio del loro percorso, le assemblee della Nuit Debout hanno deciso di affermare una cesura netta tra la propria attività, il proprio dibattito e quelli dei sindacati. Come mai questo distaccarsi così for-temente rivendicato? Per capire meglio bisogna innanzitutto analizzare, seppur brevemente, le di-namiche che interessano il lavoro in Francia.Il mondo del lavoro francese presenta caratteri differenti da quello italiano: la sindacalizzazione è assai più bassa (secondo i dati OCSE, nel 2013 i lavoratori francesi iscritti a un sindacato erano po-co meno dell’8%, a differenza dell’oltre 37% italia-no); nonostante regole simili sulla rappresentanza e percentuali di copertura della contrattazione collettiva sulla totalità dei lavoratori molto vicine, nei contratti categoriali le diverse organizzazioni hanno margini di trattativa più ristretti e perciò, a differenza di ciò che accade in Italia, c’è sempre stata una minore cogestione del mondo del lavoro da parte dei sindacati con le associazioni padrona-li. Queste sono solo alcune delle motivazioni che hanno spinto diverse organizzazioni sindacali, in primis la CGT -simile, per storia politica, alla CGIL, e forte all’interno di alcuni comparti che possiamo definire ancora “novecenteschi”, come l’ambito portuale e petrolifero- a dare vita a uno stato di agitazione continuato e capillare: meno invischia-ti nei nodi dei rapporti con le istituzioni e con le aziende, con l’obiettivo di mantenere alto il proprio potere contrattuale e anche la propria attrattività in un paese in cui le tessere sono assai poche, per i sindacati la strada della mobilitazione è sicura-mente quella più feconda di opportunità. Appare chiaro come la conflittualità sindacale sia legata sostanzialmente alle necessità della dimensione lavorativa e che, nonostante abbia generalizzato la critica all’insieme delle politiche governative, le sue rivendicazioni non si amplieranno oltre questi confini. Ed è proprio qui che si palesa la principale cesura con gli attivisti che gravitano intorno alla République.

Come in molti hanno già notato, Nuit Debout ha tratti che la avvicinano al movimento degli Indi-gnados spagnoli o a quello di Occupy Wall Street, soprattutto per ciò che riguarda le modalità di di-scussione, la ricerca di un luogo democratico di dibattito e, in parte, la composizione sociale. Ma lo svilupparsi delle “notti in piedi” ha motivazioni e prospettive diverse, e inoltre trova le sue origini ben prima dell’annuncio della Loi Travail: il vero punto di svolta nel panorama sociale francese è stata la dichiarazione dello État d’Urgence, ov-vero dello Stato d’Emergenza, in seguito agli at-tentati del novembre scorso. La limitazione della libertà e dei diritti dei cittadini, insieme al clima oppressivo di controllo, ha diffuso tra le persone una forte condizione di disagio che, in seguito alle successive politiche governative, si è velocemente politicizzata e radicalizzata, ed è poi esplosa con la Loi Travail. Due delle persone con cui abbiamo passato la maggior parte del nostro tempo a Parigi sono ragazzi che non sono mai stati impegnati in militanza politica, o che al massimo avevano svolto un po’ di volontariato: nel giro di qualche settima-na sono diventati frequentatori abituali di Place de la République e hanno vissuto l’esperienza di sgomberi e arresti; gli eventi degli ultimi mesi han-no accelerato enormemente la formazione di una coscienza politica in ampie fette della popolazione francese, e Nuit Debout è stato uno dei risultati principali.In un certo senso, altri punti di contatto si possono ritrovare con il dissenso provocato dal Patriot Act negli Stati Uniti, e non è un caso che in un inter-vista del gennaio 2015, pubblicata su L’Espresso, si parlasse proprio di una sorta di Patriot Act fran-cese in seguito agli attentati al giornale Charlie Hebdo, una soluzione a cui si dichiarava contrario Robert Badinter, storico esponente del Partito So-cialista. Come prima, però, rispetto all’opposizione al Patriot Act è necessario indicare un’ulteriore dif-ferenza della Nuit Debout: quest’ultima presenta una forte caratterizzazione in senso antisistemico, e anche per questo è grande la distanza dalla ge-nerica critica verso il “governo del malaffare” e il capitale finanziario proveniente dagli Indignados o da Occupy Wall Street. La spinta proveniente dalla combinazione tra Stato d’Emergenza e reazione governativa ha fatto sviluppare una radicale valu-tazione dell’intero sistema francese e, in generale, capitalistico, portando larghe fette del movimento a un rifiuto totale della realtà attuale e, di conse-guenza, anche di tutti quegli aspetti e dimensioni, compresa quella lavorativa, che compongono tale realtà così com’è oggi. Ora si può comprendere meglio la distanza di prospettive tra le rivendica-zioni sindacali e Nuit Debout: per gli attivisti legati a quest’ultima il centro del dibattito non è il mondo del lavoro, non è la Loi Travail, ma l’esigenza di una critica più profonda di tutte le strutture e le istitu-zioni della società contemporanea. Se è vero che, ad esempio, una delle compagini più battagliere e avanzate della protesta è quella degli intermittents du spectacle, cioè gli artisti e i tecnici precari del mondo del cinema, della televisione e del teatro, il più profondo orientamento del movimento si espri-me in quel “Ni loi, ni travail” dell’inizio, di cui ora possiamo davvero capire il senso.Si può dunque dire che le influenze e le venature anarchiste sono assai solide tra i manifestanti, sia che si parli di coloro che frequentano la Républi-que, sia che si parli dei collettivi politici più struttu-rati e gravitanti intorno a Nuit Debout; illuminante

su queste tendenze è certamente il libro “L’insur-rezione che viene”, pubblicato nel 2007 dal Comité Invisible, il Comitato Invisibile, un gruppo militante di autori di cui non si conosce l’identità, i quali, nelle loro pagine, parlano dell’imminente collas-so del sistema capitalistico attraverso l’analisi di quelli che loro definiscono, in una sorta di metafora dell’inferno dantesco, i “sette cerchi dell’alienazio-ne”. Questo libro, tradotto in varie lingue, è stato letto da migliaia di persone diventando una sorta di punto di riferimento per ampi pezzi del movimento.Quali sono a questo punto le possibilità future delle mobilitazioni? Come abbiamo detto, le prospettive dei sindacati divergono profondamente dalla giu-sta critica portata, anche con rabbia, da un’altra fetta fondamentale della gente che scende in piaz-za; è vero che tanti tesserati della CGT si ricono-scono nel sindacato ma anche nel disagio espres-so dai militanti vicini a Nuit Debout, ma si tratta sempre di una parte nel complesso marginale. Già da tempo il governo ha tentato di criminalizzare la CGT, indicandola come responsabile dei disordini e spingendola a defilarsi dal movimento, tentan-do di operare una mistificante separazione tra un ipotetico “movimento buono” e uno “cattivo”; è altrettanto vero che la CGT fino a ora ha respinto sapientemente queste accuse. Ma proprio perché la dimensione rivendicativa entro cui si muove è ben diversa da quella della Nuit Debout, è probabi-le che concluso il picco conflittuale legato alla Loi Travail, la CGT torni a normalizzare i rapporti con le istituzioni e concluda il proprio ciclo di mobilitazio-ni. Questo significherà l’isolamento della rete for-matasi intorno alla République, una sua più facile criminalizzazione e quindi repressione: insomma, la fine di un’esperienza di protesta assai profonda, radicale e capace di aggregare, che comunque ha reso coscienti della propria condizione di sfrutta-mento e oppressione migliaia di giovani francesi.E le banlieue in tutto questo? È con questa doman-da che si apre la conclusione di questa analisi, e anche la critica maggiore al movimento. Perché, al di là di tutto, Nuit Debout rimane un movimento bianco che vede al suo interno un’altissima per-centuale di studenti universitari e tanti esponenti di un ceto medio che, seppur martoriato dalla crisi, vive di certo una condizione privilegiata rispetto a chi lo Stato d’Emergenza lo subisce da una vita, ovvero gli abitanti delle banlieue. Quando nel 2005 le periferie parigine si sollevarono contro la vio-lenza della polizia, contro l’esclusione, la povertà e il razzismo, il centro di Parigi non riuscì, e forse non volle saldarsi con quell’ondata di rivolte; una frattura che ha provocato una ferita profonda nel panorama politico francese, una ferita che ancora non è guarita. Sia da una parte, sia dall’altra, non vi è la volontà di un avvicinamento che però signi-ficherebbe una diffusione più capillare e radicata della protesta. In un certo senso, una possibilità per rendere più ampio, duraturo e forte il clima di agitazione, e anche per raggiungere un’analisi e una rivendicazione più completa. Ma i rapporti continuano a essere tesi, e la prospettiva del mo-vimento incerta. Le prossime settimane saranno di vitale importanza, così come lo saranno le posi-zioni che prenderà il sindacato e le decisioni che verranno prese nelle assemblee alla République. Staremo a vedere se potremo dire della Nuit De-bout quello che si diceva anni fa, ovvero “ce n’est qu’un début, continuons le combat!”.

Giacomo Simoncelli

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N. 24 – LUGLIO-AGOSTO 2016QUI E NEL MONDO 33

Brexit. «La Brexit possiamo riassumerla, all’ingrosso, così: gli opinionisti più tito-lati del reame ragionano in termini glo-bali orizzontali, ovvero geografici, mentre i rarissimi bastiancontrari lo fanno in termini globali verticali, ovvero spiritua-li. Sempre di globalizzazione parliamo ma, a seconda di come la intendi, tutto dipende. Prendiamo i primi, quelli per i quali la Brexit è una iattura. Ci vedo-no l’incomprensibile allergia del popolo gonzo nei confronti della “progredita civiltà”. Un melting pot signoreggiato da mercati ultracompetitivi e abitato da cit-tadini cosmopoliti danarosi, interconnes-si, multilingue, trendy & easy. Dalle loro torri di platino il futuro è fast & fashion, un brulicare di occasioni succulente. Ergo, chi vota Brexit è un rozzo stalliere bisognoso dell’amministratore di soste-gno quando si approssima all’urna. Chi ragiona in termini globali verticali, inve-ce, non è così smart, ma forse è meno pirla. Eppure, egli ha comunque una vi-sione globale, da intendersi nel senso di complessiva, sistemica, filosofica, anche se non geografica. Il suo sguardo si volge non alla materilità visibile degli spazi, ma alla immaterialità delle idee e ne decifra l’invisibile sottostruttura malata. Per lui il problema vero non è il contingente rialzo o calo del punto di pil o del differenziale di spread, ma quello di un mondo privo di umana sensatezza, dove l’economia e la finanza hanno spodestato la plitica e, in ultima analisi, proprio l’umanità. Ciò gli consente di cogliere lo stato di avanzata corruzione della macchina, ma la sua denuncia cade nel vuoto, perché i megafoni della macchina sono al servi-zio della globalità orizzontale e dei suoi

stolti cantori». Cosi l’avvocato Francesco Carraro lettore de “il Fatto Quotidiano”, il 10 luglio 2016. Andria. Il 16 luglio sono stati celebrati i co-siddetti “funerali di Stato” per taluni morti (tredici) nella recente catastrofe ferroviaria pugliese. Presenti Mattarella, Boldrini, Del Rio, Emiliano ecc. ecc. e un gran numero di persone. Secondo un andazzo che si protrae da decenni, questi funeri sono ap-pannaggio attoriale di uno stuolo corposo di preti. Saranno stati, i poveri morti, tutti cattolici, apostolici e vaticani? O vi sarà stato tra di loro qualche ateo o agnostico o disertore abituale delle sacre funzioni il quale magari avrebbe voluto onoranze ve-ramente pubbliche, di Stato appunto? Nizza. Si è letto su “il Manifesto” del 16 luglio un articolo di Maurizio Pagliassotti titolato Dopo il massacro, il silenzio. Il suc-co dello scritto è il seguente: il 15 luglio, ovvero il giorno successivo a quello della strage lungo la promenade des Anglais, tra aiuole e sole, turisti e moules frites, l’orrore è inconcepibile; cinquantaquattro bambini sono stati ricoverati in ospedale, quattro di essi lottano tra la vita e la morte. Lo scritto di Pagliassotti si conclude così: «Una piccola famiglia del Nord, giunta sulla Costa azzurra per godere delle vacanze si raccoglie intorno a un tavolo e alla doman-da sul perché di questa continua mattanza prende l’argomento di petto: il padre, un meccanico sorridente, lo dice con candore: “Noi li bombardiamo in Siria, loro ci bom-bardano qui. Siamo in guerra, no? Noi gli ammazziamo i bambini, loro ci ammazza-no i bambini”. Stanno sorseggiando il caf-fè, lontani dai luoghi della mattanza [del 14 luglio]. Interviene la moglie, inferocita, e gli risponde a muso duro che la Francia non uccide nessun bambino, né l’ha mai fatto. Gli animi si accendono ma presto tornano alla normalità, in attesa che il tempo pas-si”. Sembra di trovarsi in una situazione alla Raymond Queneau.

Turchi. «L’immagine che l’Occidente aveva dell’Oriente ottomano, costituita da un’ampia gamma di visioni contra-stanti nei secoli XVI e XVII, assunse i caratteri di un’unica coerente ostilità nel XVIII secolo. Ma questo processo di cam-biamento proseguì, e non sempre nella stessa direzione. Nel primo periodo l’im-magine era stata di una semplice tiran-nia, nel secondo periodo di un dispoti-smo più complesso. E se consideriamo la storia successiva fin dentro il XIX secolo, la forma cambia di nuovo. Dopo il 1829, quando gli ottomani abbandonarono le seducenti sete e pellicce e misero da parte il turbante a favore del fez e delle finanziere stambouline, cominciarono a essere dipinti in Occidente come uomini nuovi, incamminati sulla strada del pro-gresso. Ma portavano ancora la tabe del-le loro origini, come Gladstone la presen-tava nella sua disputa del 1876: Essi non sono i teneri maomettani dell’India, né i cavallereschi saladini della Siria, né i colti mori della Spagna. Sono stati nell’insie-me, dal giorno oscuro in cui per la prima volta entrarono in Europa, l’unico gran-de esemplare anti-umano dell’umanità. Come criterio guida della vita presente, avevano un fatalismo implacabile: la sua ricompensa era nell’aldilà, in un paradiso sensuale». Si veda Andrew Wheatcroft, Infedeli. 683-2003: il lungo conflitto tra cristianesimo e islam, Roma-Bari, Later-za, 2004, pp. 323-324. L’Autore prende la citazione dall’opuscolo (definito “di-sputa”) The Bulgarian Horrors and the Question of the East che William Ewart Gladstone scrisse e pubblicò nel 1876 (arrivò a stamparne 100 mila copie) sulla rivolta sanguinosissima dei Bulgari con-tro l’Impero ottomano (1876-77).Grecia. Il 5 luglio di quest’anno ricorreva il primo anniversario dell’OXI, il Grande NO dei Greci all’Europa dell’opprimente ordoliberismo. Se ne sono ricordati in po-

Secondo le notizie (avare) di stampa, il raggruppamento politico di Sinistra Italiana (Si), riunitosi il 16 luglio scorso in assemblea nazionale, si concentrerà su alcune questioni del momento; tra queste, la più importante è senza dub-bio la tematica lavoro-pensioni-sanità che loro intendono declinare secondo la logica di un “social compact” volen-do - immagino - suscitare una qual-che attenzione in quei settori operai e popolari che vanno sotto il nome di “popolo di sinistra”. Resta misteriosa la strada attraverso la quale i nostri amici pensino di favorire una radicale inver-sione delle tendenze in atto visto l’im-perio di “fiscal compact”, disciplina di bilancio, patto di stabilità e compagnia cantando; ma tant’è: se gli Italosinistri ritengono di potersi battere contro le diseguaglianze sociali tanto (e giusta-mente) deprecate senza far conver-gere il “rancore popolare” contro le ragioni strutturali e soggettive che ne sono all’origine, mobilitandolo contro di esse, facciano pure. Per quanto acco-modanti, attendisti, istituzionalisti essi siano non dovrebbero ignorare che il nodo di fondo è sistemico: pertiene alle dinamiche capitalistiche e alle po-litiche di comando applicate nel conti-nente europeo, tanto che, se da questo nodo dipende persino lo smaltimento della “monnezza”, figuriamoci quanto ne dipendano il lavoro, le pensioni, la sanità e tutto ciò che si voglia include-

re nell’orizzonte della trasformazione radicale dei rapporti economico-socia-li esistenti. Trattandosi di una riunione che dove-va affrontare argomenti “di fase”, va da sé che i grandi temi programmatici, di prospettiva strategica siano stati assen-ti: ammesso che dalle parti di Sinistra Italiana si abbia qualche interesse per il Sol dell’Avvenire; è da rilevare tuttavia come l’Europa non sia stata neppure sfiorata (sempre stando alle scarse fon-ti). Eppure due esponenti di primo pia-no hanno recentissimamente battuto un sonoro colpo in proposito (tanto sonoro da disturbare i sacri timpani dell’ultra-destro Sergio Cofferati). Il 4 luglio, infatti, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre hanno firmato un Manifesto Europeo per l’Uscita dall’Eurolan-dia su posizioni di sinistra, in sigla Lexit cioè Left (Sinistra) Exit (uscita). Con i due parlamentari, firmano (tra gli altri) Tariq Ali, notissimo scrittore britannico di origine asiatica, Sergio Cesaratto, economista dell’Università di Siena, e l’economista greco Costas Lapavitsas, professore all’Università di Londra, agguerritissimo da sinistra contro l’euro. L’apertura del Manifesto “Lexit” non la-scia spazio a equivoci: Per la democrazia e la sovranità popolare, contro l’integra-zione neoliberista e una unione moneta-ria fallimentare. Prima della Grande Re-cessione (2007-2009), si legge, l’Unione

Europea ha configurato un progetto di ristrutturazione dell’economia con-tinentale in senso neoliberista; con il procedere della fase critica, il carattere regressivo dei trattati che definiscono la UE è diventato sempre più eviden-te, i rapporti asimmetrici e le relazioni gerarchiche di potere (centro-periferia) «hanno raggiunto il culmine con il do-minio tedesco sugli orientamenti di politica economica», la «minaccia alla democrazia e alla sovranità popola-re» è diventata incombente. L’Unione Monetaria (Um) all’insegna dell’euro è in crisi; la crisi è il prodotto di un “er-rore di concezione” e di un “difetto di costruzione”, giacché sin dal principio l’Um aveva due obiettivi prioritari: l’au-sterità e il contenimento dell’inflazione. In buona sostanza, e qui entriamo nel nucleo centrale dell’argomentazione, l’Um «ha finito per alimentare pesanti squilibri macroeconomici (crescenti defi-cit delle partite correnti non solo nell’Eu-ropa meridionale più periferica, ma an-che in Francia e in Italia, cui hanno corri-sposto crescenti surplus in Germania e in altri paesi), e ha condotto, in una prima fase, a ingenti flussi di capitali dal centro alla periferia dell’Eurozona. La disponibi-lità di credito a buon mercato ha alimen-tato bolle speculative immobiliari e finan-ziarie, determinando un aumento consi-stente del debito privato e, in alcuni casi, di quello pubblico». Il contenimento del costo del lavoro in Gemania ha favorito in modo significativo la nascita e lo svi-luppo degli squilibri macroeconomici indicati. L’indirizzo adottato è noto: si è riorganizzata la filiera produttiva delle esportazioni germaniche impiegando

lavoro sottopagato dell’Europa orien-tale, applicando politiche differenziali sul piano salariale e fiscale, tagliando la spesa sociale. Ne è derivata «una forte pressione sulle economie più deboli perché aumentassero la ‘competitività internazionalÈ dei rispettivi settori pro-duttivi nell’industria e nei servizi». Ma la competitività non poteva rialline-arsi sul piano valutario data la gabbia di Eurolandia, per cui la svalutazione doveva muoversi all’interno dei sin-goli Paesi: smantellando lo stato so-ciale, privatizzando servizi e strutture pubbliche, decurtando salari e spesa sociale, incentivando la concorrenza fiscale, attaccando la contrattazione salariale collettiva, riducendo il peso dei sindacati, demonizzando e licen-ziando i dipendenti pubblici. In quanto «strumento a vantaggio del capitale finanziario», l’euro «costringe chi lo adotta ad una concorrenza al ribasso, per la quale la posizione economica di ciascuno Stato membro può miglio-rare soltanto adottando politiche che vanno contro l’interesse della maggio-ranza della popolazione e a beneficio del capitale internazionale. Crea una spirale di progressiva riduzione delle retribuzioni, delle pensioni, delle pre-stazioni sociali, dell’impiego pubblico, degli investimenti pubblici». Giacché i livelli di produttività dei fat-tori produttivi sono molto differen-ziati e le strutture economiche tanto diverse, l’Eurozona non è e non può diventare un’area monetaria fun-zionante. Per diventarlo «necessite-rebbe tra le altre cose di ingenti trasfe-rimenti finanziari in grado di compen-

sare gli squilibri economici. Stime at-tendibili mostrano che occorrerebbe redistribuire qualcosa come il 10 per cento del Pil dalle economie più forti a quelle più deboli». Peraltro, ciò sa-rebbe auspicabile? il Manifesto “Lexit” lo esclude: «Un passo del genere non solo non è realizzabile politicamente, è anche indesiderabile: come dimo-strano tutti i precedenti nella stessa Eurozona, i governi dei paesi finan-ziatori userebbero la loro posizione per influenzare le politiche nazionali nei paesi percettori dei finanziamenti, calpestando la democrazia. Negli an-ni più recenti abbiamo visto con quale rapidità un tale sistema possa minare la sovranità popolare, dividere i popo-li europei e alimentare la xenofobia. In definitiva, l’opzione di uno Stato europeo democratico e federale che non rifletta le attuali disparità di pote-re tra gli Stati membri richiederebbe una società civile europea che al mo-mento non c’è, e che non può essere creata dall’alto». E dunque? Le «forze di emancipazione» presenti e attive in Europa devono pertanto «avanzare la proposta di una Lexit (left exit)», ovvero «un’alternativa internaziona-lista basata sulla sovranità popolare, sulla fraternità, sui diritti sociali e sulla difesa delle condizioni dei lavoratori e dei beni comuni». Alcuni firmatari del Manifesto “Lexit” andranno al Forum Internazionale che si terrà in Italia nella seconda metà del prossimo settembre. Fassina e D’At-torre che faranno?

il Moro

Sepolti, con cura certosina, in un sarcofago a tenuta nucleare, il pollo di Trilussa, l’indice di Gi-ni, il moltiplicatore di Keynes e, alla rinfusa, i concetti base della Teoria della Distribuzione, gli Ar-dimentosi Legislatori del Mondo Obeso guardano con malinconia sconfinante quanto è rimasto sulla crosta, pericolosamente alla vista dei terrestri ancora infetti da amore inguaribile per la divisione dei pani e dei pesci.Non disperate, Adoratori della Crescita Qualunque, c’è ancora un po’ di spazio nel sarcofago.Affidiamo intanto al sonno perpe-tuo la parabola di Lazzaro e del Ricco Epulone ed altre parimenti moleste. Occhio al coperchio, che sia serrato bene e ben sigillato contro ogni testarda infiltrazione di vita.E se poi la rana di Fedro scoppia, don’t worry, non sentiremo nien-te, la rana siamo noi.Non può finire però solo così. Pro-seguirà, anche in forma di eco immortale, da ogni angolo dell’or-be imborghesito, a sbatacchiare la voce di conio, che promette eterna sazietà all’abitatore del gessato, stirato solo sul davanti.

C.C.

chissimi. Del resto il primo a dimenticarsi dell’OXI è stato proprio Alexis Tsipras che a quel NO li aveva chiamati.Portogallo. Il 13 luglio, l’Ecofin, cioè la cupola dei ministri finanziari europei, ha deciso di sanzionare il Portogallo (e la Spagna) giacché non ha contenuto il deficit di bilancio attestandosi al 4,4 per cento anziché al 2,7. Insomma è stato violato il Fiscal Compact. Il corso delle procedure sanzionatorie è iniziato, l’e-sito, mentre scriviamo, non si conosce. Catarina Martins, coordinatrice del Blo-co de Esquerda che sostiene insieme al Partito Comunista Portoghese il governo progressista di Antonio Costa, ha stig-matizzato il diktat eurogermanico come «attacco alla democrazia, un attacco alla possibilità del paese di decidere cosa fa-re della sua vita collettiva [sferrato con l’intento di colpire] il risultato espresso nelle elezioni a ottobre e che ha permes-so una nuova maggioranza parlamenta-re». Venezuela. Anche il Venezuela, come gran parte dell’America Latina progres-sista, è sotto attacco. Nicolas Maduro ha rilasciato una lunga intervista alla giornalista Geraldina Colotti nella quale, tra l’altro, ha detto: «Vogliono seminare guerra anche in questa nuova America Latina che ha iniziato, con Chavez, cam-biamenti profondi [..], una nuova epoca di rivoluzioni democratiche, popolari, pa-cifiche ma in una prospettiva socialista, che ha saputo unire tutte le forze pro-gressiste sulla via della pace, della so-vranità: fidando sul consenso, la cultura, i diritti, sulla forza delle donne». Si veda “il Manifesto” del 12 luglio. Criminali di guerra. Tony Blair, faro idealpolitico dello statista di Rignano sull’Arno, è un criminale di guerra. Lo ha certificato la Commissione Chilcot.

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L’APPROFONDIMENTON. 24 – LUGLIO-AGOSTO 201644

Matteo Renzi alla direzione del Pd ha sostenuto che la valutazione dei dati elettorali delle recenti comunali è molto meno semplice e lineare di quanto si faccia sulla stampa e in generale sui media, ma soprattutto che non è probante per quello che riguarda il quadro politico ed elettorale nazionale. Più semplicemente le amministrative non c’entrano nulla con quanto avverrà un domani nelle elezioni per il parlamento nazionale. Troppe sarebbero le varianti che hanno giocato: le personalità dei candidati, le dinamiche e i contesti locali, le liste e le coalizioni, ecc. Ha ragione o si tratta di giustificazioni volte a limitare gli effetti polemici che affiorano nel dibattito politico e nello stesso Pd? Per accertarlo è opportuno analizzare con un po’ di attenzione i dati elettorali. Il confronto naturalmente non può essere fatto che con le elezioni comunali precedenti ed in particolar modo con quelle dei comuni con più di 15.000, dove i partiti si presentano con le loro sigle e simboli. Ma prima di prendere in esame i dati vale la pena di fare due premesse obbligate. La prima, ormai rituale, è che gli elettori sono calati, rispetto al confronto elettorale di cinque anni fa, di un altro cinque per cento. Siamo ormai a poco più del 60% dei votanti. Quando ciò avviene con la frequenza con cui si verifica in Italia ogni volta che si vota, mette in evidenza come ormai esista una quota consistente della popolazione che ha maturato un distacco permanente dalla politica, ritenendo che non abbia nessun riflesso sulla sua vita quotidiana, sulle sue speranze per il futuro. In altri termini il 40% degli elettori pensa che il proprio voto non abbia nessun peso sulle vicende economiche, sociali e politiche del paese. La seconda premessa è che tale dato si accentua in caso di ballottaggio. Al secondo turno ha votato circa il 50% degli aventi diritto. Ciò evidenzia come da una parte, sempre meno si voti il meno peggio: quando il proprio candidato è fuori della competizione, quando non c’è più il traino delle liste e dei candidati, si preferisce evitare i seggi. Dall’altra parte sul piano pratico risulta come i sindaci sono sempre meno rappresentativi delle città e dei cittadini. Ciò non ha naturalmente nessun contraccolpo sulla governabilità, lo ha tuttavia sui meccanismi del consenso e getta una luce sinistra sulla legge elettorale approvata per il parlamento, in parte ricalcata su quella delle comunali. C’è, infine, un altro dato da sottolineare: la rivoluzione dei sindaci è finita, i cittadini vivono chi governa le amministrazioni locali con la stessa estraneità che esprimono nei confronti del governo nazionale.

L’universo indagatoNei 150 comuni sopra i 15.000 abitanti gli elettori sono circa 8.300.000 sugli oltre 13 milioni chiamati al voti nelle comunali del 5 giugno. Un test, quindi, di una certa rilevanza. Tra i 150 comuni si contano 25 capoluoghi di provincia, dei quali 7 (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Cagliari) capoluoghi di regione. Quello che emerge nel confronto con le comunali precedenti è riassunto nella tabelle che seguono.

Tab. 1. Elezioni comunali 2016

Regioni CS LC CD Centro Destra LN M5S Sinistra Totale

Piemonte 0 2 3 0 1 0 3 1 10

Liguria 0 0 0 0 1 0 0 0 1

Lombardia 10 1 6 0 2 0 1 0 20

Veneto 0 2 3 0 3 2 1 0 11

Friuli V.G. 1 0 2 0 1 0 0 0 4

Emilia Romagna

4 2 1 0 1 0 1 0 9

Nord 15 7 15 0 9 2 6 1 55

Toscana 1 1 3 0 0 0 0 1 6

Umbria 2 0 0 0 0 0 0 0 2

Marche 0 0 1 0 0 0 1 0 2

Lazio 2 6 1 0 1 0 5 0 15

Centro 5 7 5 0 1 0 6 1 25

Abruzzo 4 1 0 0 0 0 0 0 5

Molise 0 0 0 0 1 0 0 0 1

Campania 10 5 2 0 0 0 0 1 18

Basilicata 1 0 0 0 0 0 1 0 2

Calabria 2 1 1 1 0 0 0 0 5

Puglia 5 5 2 2 0 0 2 1 17

Sud 22 12 5 3 1 0 3 2 48

Sardegna 2 1 1 1 0 0 1 1 7

Sicilia 6 4 1 0 0 0 4 0 15

Isole 8 5 2 1 0 0 5 1 22

Totale 50 31 27 4 11 2 20 5 150

CS = Centro Sinistra; LC= Liste Civiche; CD= Centro Destra; LN= Lega Nord; M5S= Movimento Cinque Stelle-

Tab. 2. Elezioni comunali precedenti

Regioni CS LC CD Centro Destra LN M5S Sinistra Totale

Piemonte 8 0 0 0 0 0 0 2 10

Liguria 1 0 0 0 0 0 0 0 1

Lombardia 12 2 5 0 0 1 0 0 20

Veneto 2 2 3 0 0 4 0 0 11

Friuli V.G. 3 0 1 0 0 0 0 0 4

Emilia Romagna

8 0 1 0 0 0 0 0 9

Nord 34 4 10 0 0 5 0 2 55

Toscana 5 1 0 0 0 0 0 0 6

Umbria 1 0 1 0 0 0 0 0 2

Marche 1 1 0 0 0 0 0 0 2

Lazio 7 3 4 0 0 0 0 1 15

Centro 14 5 5 0 0 0 0 1 25

Abruzzo 5 0 0 0 0 0 0 0 5

Molise 1 0 0 0 0 0 0 0 1

Campania 11 1 5 0 0 0 0 1 18

Basilicata 1 0 0 1 0 0 0 0 2

Calabria 2 1 2 0 0 0 0 0 5

Puglia 10 1 5 1 0 0 0 0 17

Sud 30 3 12 2 0 0 0 1 48

Sardegna 7 0 0 0 0 0 0 0 7

Sicilia 6 6 3 0 0 0 0 0 15

Isole 13 6 3 0 0 0 0 0 22

Totale 91 18 30 2 0 5 0 4 150

I numeri sono impietosi. Il Centro sinistra perde 41 amministrazioni (il 45% di quelle che aveva), il Centro destra 3, la Lega nord ne cede anch’essa 3, le Liste civiche ne guadagnano 13, i Cinque stelle 16, la Destra 11, il Centro 2, la Sinistra 1. Emerge la caduta delle amministrazioni egemonizzate dal Pd, mentre si manifesta lo spappolamento del blocco di centro destra. Le Liste civiche, quando non sono cavalli di troia di vecchi schieramenti, rappresentano l’isolazionismo delle città e dei territori, spesso trasversali. Una forma parallela ai Cinque stelle, di rivolta spesso notabilare nei confronti dei vecchi assetti politici.

Una dèbacleI quadri riassuntivi che riportiamo di seguito rendono ancor più evidente quanto prima si affermava.

Tab. 3. Elezioni comunali 2016. Quadro riassuntivo dei comuni superiori a 15000 abitanti nel 2016 e nelle elezioni comunali precedenti

Com. cap Regionali

Com.cap. provinciali

Com. sup. a 15000 ab

2016 El. prec. 2016 El. prec. 2016 El. prec. Totali. Diff.

CS 3 6 5 14 42 71 50 91 -41

L. Civiche 2 29 18 31 17 14

CD 1 7 4 19 26 27 30 -3

Centro 1 3 2 4 3 1

Destra 2 9 11 0 11

Lega Nord 0 2 5 2 5 -3

M5S 2 1 17 20 0 20

Sinistra 1 1 0 4 3 5 4 1

Totale 7 7 18 18 125 125 150 150 0

Il Centro sinistra perde 3 capoluoghi regionali e 9 capoluoghi provinciali, otto se si calcola Salerno conquistata dal cacicco De Luca, che non ha presentato liste di partito al fine di riaffermare il suo ruolo centrale nella vita politica cittadina.Dal punto di vista dei risultati concreti per il centro sinistra a trazione Pd renziano siamo di fronte ad una débacle, che solo i corifei del premier non vedono o, meglio, non vogliono vedere. I motivi di questa caduta sono vari e diversi: dal perdurare della crisi, ai fermenti internazionali, alla caduta dell’Europa nell’immaginario collettivo, ecc. ma su tutti primeggia la ormai attestata inefficacia di quella che viene definita la “narrazione” del presidente del consiglio, la caduta, da lui stesso voluta, della residua forza del suo partito. Sta sorgendo all’interno del popolo italiano un fastidio, un’avversione inestinguibile di fronte ad un racconto che fa a pugni con la realtà dei fatti. Non a caso il termine “gufi” è caduto ormai in disuso: sono troppi e tendono a crescere.

Voti e percentuali di Pd, sinistre e 5 stelle: gli andamenti per regioni ed aree geograficheSe la situazione è questa ne deriva che siamo di fronte ad un mutamento del quadro politico elettorale che va oltre le vittorie pentastellate a Roma e Torino o a quella di misura di Sala a Milano. Per misurarla siamo andati a vedere le performance di tre schieramenti politici: il Pd, i grillini, la sinistra. Per quest’ultima abbiamo sommato i dati delle diverse sinistre (liste unitarie di opposizione, di SI, di Sel di Rifondazione, dei comunisti italiani) indipendentemente dal fatto che siano in coalizioni di centro sinistra o siano andati autonomamente al confronto elettorale. C’è da premettere alcuni elementi che rendono più chiaro il quadro e che riguardano la presenza di liste nei singoli comuni. Il Pd si presenta con proprie liste nel 2016 in 138 comuni su 150, nelle precedenti elezioni i comuni erano 141. I Cinque stelle passano da 63 presenze a 122, la sinistra da 119 a 55. In sintesi resta inalterata la presenza del Pd, cresce, quasi raddoppiando, quella dei pentastellati, si riduce drasticamente quella della sinistra, sintomo di difficoltà politiche ed elettorali crescenti. C’è da tenere presente per i Cinque stelle il fatto che chi certifica le liste è Grillo, che non ha concesso il simbolo in comuni capoluogo importanti come Rimini e Ravenna, dove il Movimento aveva presenze rilevanti già alle scorse comunali.

Il Pd complessivamente perde in voti assoluti, tra le due elezioni, 254.757 suffragi, la Sinistra ne ha 131.726 in meno, i 5 Stelle ne realizzano 612.264 in più. Complessivamente sono circa 90.000 voti quelli che separano i pentastellati dai piddini. Complessivamente deludenti i risultati delle sinistre, in calo ovunque. Segno che esse non costituiscono una alternativa credibile alla deriva centrista del Pd e che i loro elettori preferiscono o astenersi o votare per i grillini, ritenuti maggiormente titolati a scuotere l’albero democratico.

Tab. 4. Elezioni comunali 2016 e elezioni comunali precedenti. Pd, Sinistre, M5S.VA

Regioni Elezioni comunali 2016 Elezioni comunali precedenti

Voti liste PD Sinistre M5S Voti liste PD Sinistre M5S

Piemonte 495878 133330 24610 133774 550819 169514 38628 35276

Liguria 28961 6352 1441 7013 31979 8758 3220 2695

Lombardia 765412 203314 45451 77770 884387 226987 60891 30178

Veneto 113262 15369 895 15907 127004 19871 3061 6931

Friuli 110891 20567 3997 16812 119290 26115 8592 4920

Emilia R. 365412 123787 23786 35762 400948 146100 34503 38376

Nord 1879816 502719 100180 287038 2114427 597345 148895 118376

Toscana 105144 25610 6420 14930 114534 38176 10360 2040

Umbria 35958 8571 3295 2889 35688 8895 1868 0

Marche 30732 6105 1535 2133 33638 7936 1850 1038

Lazio 1443461 235198 40247 441997 1301402 310447 91700 137809

Centro 1615295 275484 51497 461949 1485262 365454 105778 140887

Abruzzo 84610 12295 2979 4675 87263 13547 4645 1270

Molise 12735 1074 310 1013 13263 2172 945 0

Campania 800811 87688 21364 58499 877490 117954 46688 11467

Basilicata 20636 3477 0 2804 21588 3040 1059 0

Calabria 113466 10666 1154 5561 117567 11887 5466 381

Puglia 277931 30684 3373 23909 288070 46407 16895 558

Sud 1310189 145884 29180 96461 1405241 195007 75698 13676

Sicilia 211001 19410 0 26817 224050 33187 6068 1453

Sardegna 154069 25926 11477 16273 175368 33187 14932 1780

Isole 365070 45336 11477 43090 399418 66374 21000 3233

Totale 5170370 969423 219645 888436 5404348 1224180 351371 276172

Se si guarda poi ai dati percentuali il quadro diviene ancora più esplicito. Il Pd perde il 3,91% e ciò si verifica in tutte le aree del paese. C’è da considerare che il Pd che andò alle comunali precedenti è il vituperato partito bersaniano, non quello del glorioso 41% delle Europee di due anni fa, che ormai appaiono distanti anni luce. Per contro i pentastellati guadagnano oltre 600.000 voti e il 12%. Infine le sinistre variamente collocate e con sigle diverse. Tutte insieme – sia in coalizione con il Pd o presentandosi autonomamente - perdono circa 130.000 voti e passano dal 6,51% al 4,25%. È il sintomo di una crisi per alcuni aspetti irreversibile e dell’esaurirsi di una contiguità di bacini elettorali tra sinistra moderata e sinistra radicale, frutto anche della modificazione antropologica dell’elettorato del Pd. Chi deve votare in rotta di collisione con il sistema politico dominante individua come voto di rottura i Cinque stelle o si rifugia nell’astensione, non vedendo nelle sinistre un’alternativa credibile.

Buone vacanze! Ci rivediamo a Settembre...

Page 5: 24 FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 la nottePer inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la maggioranza sulla carta ne aveva 17, compreso il sin-daco. Così l’Amministrazione

L’APPROFONDIMENTON. 24 – LUGLIO-AGOSTO 2016 55

Attesa al Plateatico

I dolori del giovane Werther - Acquaforte di Tony Johannot, 1844

Voti e percentuali di Pd, sinistre e 5 stelle: gli andamenti per regioni ed aree geograficheSe la situazione è questa ne deriva che siamo di fronte ad un mutamento del quadro politico elettorale che va oltre le vittorie pentastellate a Roma e Torino o a quella di misura di Sala a Milano. Per misurarla siamo andati a vedere le performance di tre schieramenti politici: il Pd, i grillini, la sinistra. Per quest’ultima abbiamo sommato i dati delle diverse sinistre (liste unitarie di opposizione, di SI, di Sel di Rifondazione, dei comunisti italiani) indipendentemente dal fatto che siano in coalizioni di centro sinistra o siano andati autonomamente al confronto elettorale. C’è da premettere alcuni elementi che rendono più chiaro il quadro e che riguardano la presenza di liste nei singoli comuni. Il Pd si presenta con proprie liste nel 2016 in 138 comuni su 150, nelle precedenti elezioni i comuni erano 141. I Cinque stelle passano da 63 presenze a 122, la sinistra da 119 a 55. In sintesi resta inalterata la presenza del Pd, cresce, quasi raddoppiando, quella dei pentastellati, si riduce drasticamente quella della sinistra, sintomo di difficoltà politiche ed elettorali crescenti. C’è da tenere presente per i Cinque stelle il fatto che chi certifica le liste è Grillo, che non ha concesso il simbolo in comuni capoluogo importanti come Rimini e Ravenna, dove il Movimento aveva presenze rilevanti già alle scorse comunali.

Il Pd complessivamente perde in voti assoluti, tra le due elezioni, 254.757 suffragi, la Sinistra ne ha 131.726 in meno, i 5 Stelle ne realizzano 612.264 in più. Complessivamente sono circa 90.000 voti quelli che separano i pentastellati dai piddini. Complessivamente deludenti i risultati delle sinistre, in calo ovunque. Segno che esse non costituiscono una alternativa credibile alla deriva centrista del Pd e che i loro elettori preferiscono o astenersi o votare per i grillini, ritenuti maggiormente titolati a scuotere l’albero democratico.

Tab. 4. Elezioni comunali 2016 e elezioni comunali precedenti. Pd, Sinistre, M5S.VA

Regioni Elezioni comunali 2016 Elezioni comunali precedenti

Voti liste PD Sinistre M5S Voti liste PD Sinistre M5S

Piemonte 495878 133330 24610 133774 550819 169514 38628 35276

Liguria 28961 6352 1441 7013 31979 8758 3220 2695

Lombardia 765412 203314 45451 77770 884387 226987 60891 30178

Veneto 113262 15369 895 15907 127004 19871 3061 6931

Friuli 110891 20567 3997 16812 119290 26115 8592 4920

Emilia R. 365412 123787 23786 35762 400948 146100 34503 38376

Nord 1879816 502719 100180 287038 2114427 597345 148895 118376

Toscana 105144 25610 6420 14930 114534 38176 10360 2040

Umbria 35958 8571 3295 2889 35688 8895 1868 0

Marche 30732 6105 1535 2133 33638 7936 1850 1038

Lazio 1443461 235198 40247 441997 1301402 310447 91700 137809

Centro 1615295 275484 51497 461949 1485262 365454 105778 140887

Abruzzo 84610 12295 2979 4675 87263 13547 4645 1270

Molise 12735 1074 310 1013 13263 2172 945 0

Campania 800811 87688 21364 58499 877490 117954 46688 11467

Basilicata 20636 3477 0 2804 21588 3040 1059 0

Calabria 113466 10666 1154 5561 117567 11887 5466 381

Puglia 277931 30684 3373 23909 288070 46407 16895 558

Sud 1310189 145884 29180 96461 1405241 195007 75698 13676

Sicilia 211001 19410 0 26817 224050 33187 6068 1453

Sardegna 154069 25926 11477 16273 175368 33187 14932 1780

Isole 365070 45336 11477 43090 399418 66374 21000 3233

Totale 5170370 969423 219645 888436 5404348 1224180 351371 276172

Se si guarda poi ai dati percentuali il quadro diviene ancora più esplicito. Il Pd perde il 3,91% e ciò si verifica in tutte le aree del paese. C’è da considerare che il Pd che andò alle comunali precedenti è il vituperato partito bersaniano, non quello del glorioso 41% delle Europee di due anni fa, che ormai appaiono distanti anni luce. Per contro i pentastellati guadagnano oltre 600.000 voti e il 12%. Infine le sinistre variamente collocate e con sigle diverse. Tutte insieme – sia in coalizione con il Pd o presentandosi autonomamente - perdono circa 130.000 voti e passano dal 6,51% al 4,25%. È il sintomo di una crisi per alcuni aspetti irreversibile e dell’esaurirsi di una contiguità di bacini elettorali tra sinistra moderata e sinistra radicale, frutto anche della modificazione antropologica dell’elettorato del Pd. Chi deve votare in rotta di collisione con il sistema politico dominante individua come voto di rottura i Cinque stelle o si rifugia nell’astensione, non vedendo nelle sinistre un’alternativa credibile.

Tab. 5. Elezioni comunali 2016 e elezioni comunali precedenti. Pd, Sinistre, M5S.V%

Regioni Elezioni comunali 2016 Elezioni comunali precedenti

Piemonte

Voti liste

100

Pd

26,89

Sinistre

5,37

M5S

26,98

Voti liste

100

Pd

30,78

Sinistre

7,02

M5S

6,41

Liguria 100 21,94 5,48 24,22 100 27,39 10,07 8,43

Lombardia 100 26,57 5,94 10,16 100 25,67 6,89 3,42

Veneto 100 12,57 0,79 14,05 100 15,65 2,41 5,46

Friuli 100 18,55 3,61 15,16 100 21,9 7,21 4,13

Emilia R. 100 33,88 6,51 9,79 100 36,44 8,61 9,58

Nord 100 26,75 5,33 15,27 100 28,25 7,05 5,6

Toscana 100 23,36 6,11 14,2 100 33,34 9,05 1,79

Umbria 100 23,84 9,17 8,04 100 24,93 5,24 0

Marche 100 19,87 5 6,94 100 23,6 5,5 3,09

Lazio 100 16,3 2,79 30,62 100 23,86 7,05 10,59

Centro 100 17,06 3,19 28,6 100 24,61 7,13 9,49

Abruzzo 100 14,54 3,52 5,53 100 15,53 5,33 1,46

Molise 100 8,44 2,44 7,96 100 16,38 7,13 0

Campania 100 10,95 2,67 7,31 100 13,45 5,32 1,31

Basilicata 100 16,85 0 13,59 100 14,09 4,81 0

Calabria 100 9,4 1,02 4,91 100 10,11 4,65 33

Puglia 100 11,04 1,22 8,61 100 16,11 5,87 20

Sud 100 11,14 2,23 7,37 100 13,88 5,39 0,98

Sicilia 100 9,2 0 12,71 100 14,82 2,71 0,65

Sardegna 100 16,83 7,45 10,57 100 18,93 8,52 1,02

Isole 100 12,42 3,15 11,81 100 16,62 5,26 0,81

Totale 100 18,75 4,25 17,19 100 22,66 6,51 5,11

Il voto nelle grandi città, neicapoluoghi di provincia e nei comuni con più di 15.000 abitantiDi un qualche interesse infine è individuare non solo dal punto di vista geografico i cali e la crescita del consenso elettorale delle tre formazioni politiche prese in considerazione, ma anche come tale dinamica si manifesti a seconda delle dimensioni delle città chiamate al voto. In altri termini come gli elettori si sono comportati nelle 7 città capoluogo di regione, nei 18 capoluoghi di provincia e nei 125 comuni sopra a 15.000 abitanti. È quanto si è fatto nella tabella 6.

Tab. 6. Elezioni comunali - Comuni sopra 15000 abitanti. Valori assoluti e valori %

2016 Val. assoluti Elezioni precedenti Val. assoluti

Voti liste Pd Sinistre M5S Voti liste Pd Sinistre M5S

Capoluoghi di regione

2744791 588764 143406 664392 2779008 750354 227940 203578

Capoluoghi di provincia

705403 121757 17290 48341 769835 155808 39662 26711

Comuni > 15.000 ab. 1720176 258902 58449 175703 1855595 318018 83769 45883

Totale 5170370 969423 219645 888436 5404348 1224180 351371 276172

2016 Val. assoluti Elezioni precedenti Val. assoluti

Capoluoghi di regione

100 21,45 5,23 24,21 100 27 8,21 7,33

Capoluoghi di provincia

100 17,26 2,46 6,86 100 20,34 5,16 3,47

Comuni > 15.000 ab. 100 15,05 3,4 10,22 100 17,14 4,52 2,48

Totale 100 18,75 4,25 17,19 100 22,66 6,51 5,11

Gli elementi che emergono sono un calo del Pd del 5,5% nei capoluoghi di regione cui corrisponde un aumento di quasi 17 punti percentuali dei Cinque stelle, analoga è la caduta delle sinistre che perdono circa il 3%. Più contenute le perdite dei democratici nei comuni capoluogo si provincia (poco più del 3%) e ancora inferiori nei comuni minori (poco più del 2%), andamento analogo quello delle sinistre, -2,6% nei capoluoghi e -1,1% negli altri centri con più di 15.000 abitanti. Altalenante, nei capoluoghi e nei centri minori, l’andamento dei grillini: la crescita nei capoluoghi è inferiore a quella dei altri centri. Insomma la sofferenza di Pd e sinistre è più evidente nelle città, nei grandi agglomerati urbani, ed è

alimentata non solo da fenomeni di corruzione e cleptocrazia (Roma), ma anche dall’identificazione del Pd con la rete dei poteri cittadini (Torino) o, nel caso delle sinistre, dalla non evidente alterità rispetto agli stessi, spesso dovuta ad un coinvolgimento nei governi locali.

Punto e a capoCome si vede Renzi – nonostante si sia rifiutato di commentare il voto comunale e abbia voluto relegarlo all’ambito locale – non può non tenerne conto e non può pensare che esso non abbia un carattere di indicazione generale. Emergono infatti due dati che lo dovrebbero preoccupare e che preoccupano i suoi alleati interni al Pd. Il primo è la liquefazione del partito che ormai non ha sempre meno il ruolo di corpo intermedio, di organizzatore del consenso e neppure quello di comitato elettorale. Il secondo è l’appannamento della sua leadership. Ciò spiega l’andamento ondivago del premier, le accelerazioni e le marcie indietro, dovute anche a sondaggi riguardanti la madre di tutte le battaglie: il referendum istituzionale di autunno in cui tutte le opposizioni esterne ed interne al Pd tendono a saldarsi. È troppo presto per dire che lo statista di Rignano sia alla frutta, certo è che si trova in una situazione difficile che è possibile divenga ancor più precaria nei prossimi mesi.

Re.Co.

Buone vacanze! Ci rivediamo a Settembre...

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N. 24 – LUGLIO-AGOSTO 201666

Un’egemonia non contrastata. «Quando apro le finestre al matti-no, in questi giorni dell’estate 2015, lo sguardo mi cade inevitabilmente sul Mont Pèlerin, al di là del lago di Ginevra. È una montagnola svizze-ra a pochi chilometri da Montreux, nota sin dagli anni Venti per i buo-ni alberghi e il clima mite. È anche il luogo da cui ha avuto inizio, con la fondazione della Mont Pèlerin Society (Mps) nel 1947, la lunga marcia che ha portato il neoliberali-smo a conquistare un’egemonia to-talitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa, con le dramma-tiche conseguenze di cui facciamo ancor oggi esperienza». Era quanto si leggeva su “la Repubblica” del 27 luglio 2015, e oggi sto rileggendo: righe iniziali di un articolo esem-plare scritto da Luciano Gallino, intitolato La lunga marcia verso l’egemonia; articolo che riprendo in mano in questa rubrica di note-relle sia per la permanente attua-lità del suo contenuto, giacché sia-mo tuttora schiavi dell’egemonia liberalistica, sia perché la critica dell’eminente sociologo torinese trova la propria fonte primaria in taluni concetti basilari del pensie-ro di Antonio Gramsci. Il passo appena proposto, infatti, così pro-segue: «Gramsci avrebbe trova-to di grande interesse la strategia adottata dalla Mps per conquistare l’egemonia, intesa nel suo pen-siero come un potere esercitato con il consenso di coloro che vi sono sottoposti. Anziché costituire l’ennesima fondazione o un think tank specializzato nel promuovere questo o quel ramo dell’economia, Mps scelse di costruire su larga sca-la un “intellettuale collettivo”». Va ricordato che nel 1947 si riu-nì all’Hotel du Parc sulla “monta-gnola svizzera” un piccolo gruppo (trentotto persone) di economi-sti (tra questi Ludwig von Mises, e Milton Friedman) e intellettuali (tra i quali Karl Popper) convocati da Friedrich von Hayek, il capo-scuola del più radicale individua-lismo economico (v. La società libera, 1960), una “lista di amici” suoi, per usare l’espressione di uno dei convocati, George Stigler economista della Chicago Scho-ol. Diventati più di mille entro la fine del Novecento, i membri della Mps hanno prodotto una mole imponente di studi tendenti ad illustrare i punti essenziali del neoliberalismo: la totale liberaliz-zazione dei movimenti di capitale, la superiorità del mercato, la con-cezione dello Stato come mero garante di capitale e mercato. Nel contempo, in particolare con gli anni Ottanta, alcuni di essi hanno assunto ruoli chiave negli assetti istituzionali statunitensi, britannici, francesi e tedeschi; benché prati-camente assenti dalle strutture di comando del capitalismo italiano

(in esse si ricordano, tra ieri e oggi, soltanto Luigi Einaudi e Antonio Martino, per qualche tempo esi-larante ministro berlusconiano), non minore influenza hanno avu-to da noi le loro tesi. I soci della Mps hanno vinto, scrive Gallino, e sebbene la realtà smentisca le loro teorie, tanto che si devono attribuire a loro ed ai politici loro subalterni i dispositivi che hanno determinato l’immensa crisi in cui ci dibattiamo, essi continuano a determinare le politiche econo-miche dell’Unione Europea. Perché tale predominio? Ecco la risposta di Gallino: «Se si potes-se chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque de-nominate, a cominciare da quella italiana, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo parti-ta nel 1947 dal Mont Pèlerin, forse risponderebbe: perché non li avete saputi imitare. Al fiume di pubbli-cazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete sa-puto opporre niente di simile per dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsisten-ti. Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che, rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico, si cimen-tano a provare ogni giorno, con so-lidi argomenti la superiorità tecni-ca, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quel-le private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime da parte dei media e dei politici, sulla base in genere di dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del No-vecento; dell’importanza econo-mica e politica dei beni comuni, sull’assurdità delle privatizzazioni? Poiché la natura ha orrore del vuo-to, il vuoto culturale, politico, morale delle sinistre è stato via via riem-pito dalle successive leve di lettori, elettori, docenti, funzionari di parti-to e delle istituzioni europee istru-ite dall’intellettuale collettivo sorti-to dalla Mps. Il consenso bisogna costruirlo, e la Mps ha dimostrato di saperlo fare. Le sinistre non ci hanno nemmeno provato». Hanno fatto di peggio, abiurando con lo-gica suicida dai princìpi, e abban-donando l’alterità antisistemica. Consapevolmente.

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L’articolo di Gallino, il quale è morto nel novembre 2015, è ora riproposto nella raccolta postuma di suoi scritti apparsi su “la Repubblica” negli anni 2010-2015, raccolta data alle stampe con il titolo Come (e perché) uscire dall’euro, ma non dall’Unione Europea, Roma-Bari, Laterza, 2016, pp. 7-11.

TRA PASSATO E PRESENTE

DC Vallle Umbra Sud e Valnerina

Carissimi, vorrei prima di tutto ringraziare tutti i cittadini che hanno posto la loro firma sui quesiti referendari e un grande ringraziamento a tutti i volontari che hanno contribuito alla raccolta delle firme sui banchetti che abbiamo allestito, raggiungendo in questo modo un risultato per il nostro territorio molto importante.Un patrimonio questo che ci ha permesso di crescere e conoscerci meglio, un patrimonio che dobbiamo consolidare per le battaglie future.Voglio ricordare a tutti che siamo nati come coordinamento CDC nell’aprile del 2015 da una proposta del mensile ‘al Quadrivio’. D’allora abbiamo fatto diverse iniziative lanciando appelli a tutte le forze democratiche per la difesa della costituzione e l’invito ad aderire al nostro comitato.Questo periodo ci ha visti impegnati nella campagna referendaria per il No alle trivelle costituendo un comitato ad hoc, ci ha visti im-pegnati a costituire comitati territoriali per il No sull’Italicum, nel referendum per la scuola, nel referendum proposto nella CGIL sulle questione del lavoro, in quello sull’Umbricellum, la legge elettorale regionale, e non per ultimo ma tra i più importanti nei comitati per la riforma costituzionale.Sono stati pochi i soggetti politici e sociali che ci hanno dato un contributo fattivo. Per questo credo che la nostra battaglia continui sulla strada che abbiamo intrapreso e perciò non permettiamo e non permetteremo a nessuna forza politica o sociale (come non abbiamo permesso fino adesso) di utilizzare e usufruire dei nostri slogan e dei nostri contenuti e, dirò ancor di più, non permetteremo a nessuno di strumentalizzare il lavoro che abbiamo fatto fino ad ora.Siamo aperti a confronti con chiunque e non a strumentalizzazioni.

Francesco GianniniCoordinatore CDC VUS-VN

«Il 18 luglio 1936 i generali Franco e Goded si pronunciavano contro il legitti-mo Governo della Repubblica Spagnola. Era, tecnicamente, uno di quei ‘pronun-ciamientos’ frequenti nella storia della Spagna: Goded relegato dal Governo nelle Baleari e Franco alle Canarie, rag-giungono rispettivamente Barcellona e il Marocco; i generali e i preti sono con loro, con loro la Guardia Civile; le guar-nigioni si pronunciano o, come quella dell’Alcázar di Toledo, fingono fedeltà al Governo per ricevere nuove armi e muni-zioni, da impiegare poi contro la Repub-blica. Niente di più di un classico, e se si vuole perfetto, esempio di ‘pronuncia-miento’. Ma proprio in quanto ‘pronun-ciamiento’ il movimento, di tecnica così esemplare, fallisce: diventa guerra civile lunga e sanguinosa; e i preti e i generali chiuderanno a loro vantaggio la lotta solo per l’intervento massiccio di forze rego-lari tedesche e italiane». È l’apertura di un saggio dal titolo La sesta giornata, che Leonardo Sciascia scrisse nel 1956 per “Officina”, la prestigiosa rivista di Ro-versi, Leonetti e Pasolini. A vent’anni da quel golpe, il giovane scrittore siciliano (era nato nel 1921) riproponeva un pas-saggio saliente della storia europea e, nel contempo, della propria maturazione ‘civilÈ. E puntava l’attenzione acutamen-te su di un esito cruciale: «Il colpo di Sta-to fallisce – notava Sciascia – nel senso che l’esercito non riorganizza i suoi pote-ri che su una parte limitata del territorio; altrove la popolazione lo disarma, e il Go-verno non si confessa vinto nonostante la distruzione dello strumento militare. Questo è l’elemento che i generali Fran-co, Goded, Sanjurjo non avevano previ-sto: la resistenza del popolo spagnolo». Un colpo di Stato si trasforma, dunque, in “guerra civil”, lunga e sanguinosa (per usare gli aggettivi dell’Autore), che si conclude il 1° aprile 1939, il giorno suc-cessivo alla caduta di Alicante.Ma quali gli antefatti? Sciascia ne richia-mava quello più rilevante: «Il 16 febbraio di quell’anno [1936], attraverso libere elezioni, il popolo spagnolo aveva dato

alle sinistre una maggioranza sorpren-dente: al punto che governatori di pro-vincia abbandonarono il loro posto senza aspettare i provvedimenti di destituzione. Ora contro la sollevazione militare, contro la ‘Spagna nera’, quel risultato elettorale il popolo scendeva a difendere: come in una nuova guerra d’indipendenza, come nel 1808 contro i francesi. Giuseppe Bonaparte disse allora che in Spagna le persone oneste non gli erano più fedeli della canaglia: giacché è appunto carat-teristica della vera rivoluzione il fatto che le persone oneste e la canaglia si trovino dalla stessa parte della barricata. Il ge-nerale Franco dalla sua parte non ebbe né le persone oneste né la canaglia: e tra le persone oneste ci furono i poeti, quelli della generazione del ’98 e quelli della generazione del ’25. A parte la canaglia, che nelle rivoluzioni assurge, alla Victor Hugo, ad eroiche sublimazioni, Giuseppe Bonaparte ci suggerisce l’elogio più vero e concreto di coloro che per l’indipen-denza, la libertà e la giustizia resistono: persone oneste. Quali che siano stati gli errori, le necessarie o gratuite atrocità dei repubblicani spagnoli, noi sappiamo che la parte onesta della Spagna era per la Repubblica e che con sofferenza e sangue fino all’estremo la difese».Il ’36 di Sciascia era l’anno di un quin-dicenne; nel “continente” (per dirla con i Siciliani), un ventunenne Pietro Ingrao fu anch’egli folgorato dalla tragica grandez-za degli iberici eventi. Questo il suo bre-ve, asciutto racconto: «Presto il mese di luglio portò nuove angosce [oltre a quella derivatagli dalla sopraggiunta tubercolosi del fratello]: più gravi. Il 17 esplose la ri-volta franchista in Spagna. [..] La notizia del putsch di Franco me la diede Antonio Amendola: con una telefonata allarmata e amara, che sottilmente alludeva an-che all’esitare mio e di altri amici dinanzi all’impegno nello scontro politico. Mi pre-cipitai a un’edicola che stava allo sbocco di via Volturno sul piazzale di Termini, a un passo da casa. Là giungeva – non so dire per quale privilegio particolare – “Le Temps ”, quell’altero giornale francese che io avevo cominciato a comprare re-golarmente. Ancora per qualche giorno sperai ardentemente che il colpo di ma-no fallisse. Non accadde. Con Antonio Amendola cercammo convulsamente di

mettere in atto un incontro fra i giovani coetanei con cui già era avviato un di-scorso antifascista. Ma buona parte or-mai era fuori Roma, per le vacanze. Come appariva grande la sproporzione tra quei nostri gracili tentativi di cospirazione e la dimensione degli eventi che esplodevano in Europa! Presto si vide che non era solo una vicenda spagnola. Franco mandò i suoi messi a Roma e a Berlino. E senza indugi o scrupoli Mussolini inviò un eser-cito a sostenere quel gruppo di militari ribelli. Scattava in Europa la nuova guerra di massa che dal Mediterraneo sarebbe dilagata nel mondo. Cadde il mio deside-rio di fare del cinema. Non tornai più nel Centro sperimentale di via Foligno. E finì presto anche la speranza che là in Spa-gna si trattasse solo di un putsch che ra-pidamente abortiva: come era stato, anni prima, con il complotto di Sanjurjo».Commentando l’effetto che ebbe su di lui la lunga e sanguinosa guerra, Sciascia nel ’56 scriveva: «Personalmente, alla guerra civile spagnola dobbiamo la ri-velazione di un mondo, la rivelazione del mondo (diciamo del mondo umano)». E, più avanti ribadendo il concetto, aggiun-geva: «La guerra civile spagnola è nella nostra formazione un avvenimento noda-le; e resta come un avvenimento chiave nella recente storia del mondo». Anche ottantuno umbri (40 comunisti, 18 antifascisti, 10 anarchici, 8 socialisti, un repubblicano ed altri quattro militan-ti non meglio identificati sotto il profilo politico) parteciparano a questo “avve-nimento chiave” inquadrati nelle Brigate Internazionali. Quattro erano di Foligno: Giuseppe Battistini, Elio Cagnoni, Anto-nio Santarelli morto in combattimento a Casa de Campo durante la battaglia del-la Città Universitaria di Madrid, e Quinto Santarelli. Un miliziano era di Gualdo Cattaneo: Domenico Fucile, ferito sul fronte dell’Ebro.

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Lo stralcio da Sciascia si legge ora in Idem, Fine del cavaliere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989), Milano, Adelphi Edizioni, 2016, pp. 59-70 e 220-223; il passo di Ingrao sta in Idem, Volevo la luna, Torino, Einaudi, 2006, pp. 58-64; il caso regionale è illustrato da Lucia-na Brunelli e Gianfranco Canali, L’antifascismo umbro e la guerra civile di Spagna, Foligno, Editoriale Umbra, 1992.

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CULTURA E SPORTN. 24 – LUGLIO-AGOSTO 2016 77

Chiamarla confusione sarebbe un eufemismo, quello che sta succe-dendo nella sede di via dei Mille è un vero caos da film hollywoo-diano. Circa un mese fa dopo una brevissima trattativa, la società Citta di Foligno è stata venduta da Roberto Damaschi e dall’allora Direttore Generale Volume, al no-to imprenditore romano Gianluca Ius e all’ ex fischietto italiano Mas-simo De Santis. Subito i nuovi pro-prietari del Foligno Calcio hanno iniziato la loro “campagna eletto-rale” facendo proclami che pur-troppo troppo spesso la gente di Foligno sente e che difficilmente poi vengono mantenuti. Fatto sta che per i nuovi vertici di via dei Mille il Foligno Calcio avrebbe su-bito lottato per la Lega Pro, senza se né e senza ma, Ius e De Santis hanno garantito un investimento iniziale di cinquecento mila euro, che sarebbero serviti per il mer-cato e per il nuovo organigram-ma. Pronti via si comincia per una nuova stagione esaltante dei falchetti, ma come si comincia? Senza Allenatore? Senza Squadra (ad oggi 3 tesserati)? Senza DS?

Senza Stadio? Senza strutture? Sì perché ad oggi il Foligno Calcio è questo. Di tutte le promesse fatte nulla e dico nulla è stato mante-nuto. Forse Gianluca Ius non ave-va fatto i conti con alcuni debiti da risolvere, con il clima attorno a questa squadra, con la mancanza di strutture idonee per portare avanti questo tipo di progetto. Ma ancora una volta sicuramen-te c’è da far notare come le Isti-tuzioni siano lontane da questa società. I campi di allenamento del Foligno Calcio (Campo di Marte) si trovano in condizioni di degrado, lo stadio è paragona-bile ad una serra, insomma vuoi per una società troppo sbruffona, vuoi per i soliti mancati adempi-menti comunali, il Foligno Calcio di nuovo si trova in torbide ac-que. Si perché proprio l’ 8 luglio il Foligno Calcio è entrato in si-lenzio stampa dopo che varie personalità attorno alla Società hanno fatto filtrare che c’è il se-rio rischio di una non iscrizione nel campionato di Serie D 2016-2017. Insomma la realtà è che c’è sempre più timore che il Falco sia stato definitivamente abbattuto, e che solo una grossa sberla co-me potrebbe essere la retroces-sione in seconda categoria possa riaprire un nuovo ciclo sportivo

a Foligno. Però mentre una parte della città si scatena sui vari social network prendendosela con tutti dai giornalisti troppo chiacchie-roni, alla Società per finire con le Istituzioni, un’ altra esulata a dir poco. Si perché forse non tutti sanno chi è in realtà Gianluca Ius e che legami ha avuto nel suo passato. Il nuovo presidente del Foligno Calcio è stato più volte avvicinato a Massimo Carmina-ti il boss di Mafia Capitale, per via della società Suiconsulting srl, società ritenuta orbitante al clan siciliano Santapaola. La paura che la mafia si infiltri a Fo-ligno con questa nuova proprietà è molto alta e seria tanto da aver già creato una rete sociale di pro-testa contro la nuova proprietà, per motivi che vanno al di là dello sport. Libera Foligno per prima in una nota recente ha espres-samente manifestato preoccu-pazione per la nuova proprietà e oltre a Libera Foligno anche altre associazioni hanno alzato la voce. Quello che è certo è che una so-cietà potenzialmente criminale e una disfatta sportiva come quella che stiamo vivendo non è di sicu-ro quello che si merita la nostra città e la sua gente.

Aldo Vraschi

Francesco Guarino“Mi scusi”, chiedo alla bibliotecaria di turno, “ può verificare se in dotazione avete un libretto di poesie dialettali, di cui non ricordo il titolo, di un certo Fran-cesco Guarino?” Lei spalanca gli oc-chi ed io, non so perché, credo di co-gliervi un pizzico di scetticismo. “Guar-di che, aggiungo, me l’ha indicato il Prof. Fabio Bettoni, che con la biblioteca ha una notevole confidenza.” “Non lo met-to in dubbio, risponde, mi dia soltanto il tempo di verificare.” Armeggia un po-co con i tasti del computer poi, sfode-rando un sorriso da orecchio ad orec-chio, proclama soddisfatta: “ne abbia-mo tanti!” “Quanti?” “ Sedici. Le leggo qualche titolo?” “Magari.” “Abbazie be-nedettine in Umbria; Acque fluviali; L’ ar-chivio delle società mandamentali di ti-ro a segno; Consorzio idraulico del fiu-me Topino.” “La prego, le dico interrom-pendola, non ci siamo proprio. Sono le tre del pomeriggio, non ho ancora pran-zato e questa fame boia mi fa torna-re alla mente qualcosa che ha a che fa-re con il culetto del pane. Forse fa prima a cercare un titolo decisamente dialetta-le.” Smorza il sorriso, abbassa lo sguar-do e con santa pazienza si concentra di nuovo sullo schermo ma, come succe-de con un grosso mazzo di chiavi, quel-la che cerchi è sempre l’ultima a capitar-ti fra le mani. Si sa che il tempo, anche se lo scandiamo in modo uguale, come diceva Einstein, è sempre relativo, e fi-nalmente dopo un’eternità, torna il sorri-so e la notizia che, forse, ci siamo. “L’u-rellittu de lu pane, se non è questo mi faccio monaca.” “E io, frate.” Firmo, lo afferro e me lo porto a casa. Lo apro, lo appoggio alla bottiglia del vino e, men-tre trangugio una squisita insalata di ri-so, comincio a leggere i trentacinque su-

L’INDIRIZZO È:“[email protected]”,

oppure“[email protected]”.

Non sono uno di coloro che hanno vissuto gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso come una primavera che prometteva di essere interminabile, mi riesce difficile però dovermi abituare a questa protratta pluridecennale oscurità culturale, malgrado la nuvolosa e calda estate presente. Ogni evento politico e culturale che accade mi punge con la sua insolenza: non mi ritraggo al pungi-glione ma, nell’autodifesa, spesso è come mulinare nel vuoto le braccia, roteare gli occhi di fronte a un avversario invisibile. A Foligno direbbero è come fa’ a cappel-late co’ le sorche. Rendo pubblica una lettera scritta poco più di un anno fa al dirigente del settore cultura del Comune della nostra città e per conoscenza all’assessora competen-te. Questa lettera non ha avuto alcuna risposta scritta: un casuale e frettoloso incontro con l’assessora in via Mazzini, dove la questione rimaneva appesa ad una confidenziale constatazione del me-todo adottato, come se fossimo stretti nella stessa morsa, un silenzio imper-turbabile della dirigenza, una telefonata laconica di Massimo Stefanetti, spinto da un obbligo non vincolante, poiché era, secondo me, proprio lui la parte in causa di tutta la manovra riorganizzativa del Festival Segni Barocchi, - ché di questo sto parlando - che nel frattem-

nitti in djalettu fulignate. Con la speran-za che non mi vada niente di traverso, approccio la prima quartina del primo sonetto: “A contrastà l’azzurru de lu ce-lu/ passa, viloce, nera rondinella/ a lisciu de ‘na nuvolitta snella,/ leggera e chiara come ‘n viancu telu./ Caspita, merita un sorso di vino! Dopo l’ultima terzina, mi accorgo di aver finito il bicchiere. Chiudo il libro e rimando la lettura perché la mia dolce metà mi osserva. Solo, nella mia stanzetta, per rimanere in tema, dei so-netti ne faccio un sol boccone. Sono lie-vi, leggeri, la rima è sciolta, senza no-di. Voli via con gran piacere e in un bat-ter d’occhio giungi al punto in cui Fran-cesco ti dice:Se a legghie tutte quante ‘ste mattane/ lu tempu che c’hai missu t’è fugghiatu/ è da sperà che nun so’ fregne strane/ s’in quarghi modu t’honno ‘nteressatu./ Se-mo a la fine. E quillu che c’armane/ a dillu paru paru ‘n fulignatu/ è come l’uril-littu de lu pane/ cottu da pocu e subbi-to sfornatu./ Vonu, che scrocchia, friscu, sapuritu/ che co’ ‘n goccetto d’ojo e co’ lu sale/ te ce vène da ‘ntignece lu ditu./ Parlàne lu dialettu nun è male/ com’a scola c’aviono ‘struitu. / È ‘n modu pÈ capi’ quant’unu vale./Caro Francesco voglio dirti che la tua poesia è lu culittu de lu pane, fresco e saporito, mai intinto nel grasso delle pa-role volgari e sguaiate. Poiché mi risul-ta che vivi esule in quel di Bastia Um-bra voglio far conoscere a tutti quel che pensi della tua città nativa.Quanno, sonate l’otto della sera/ artorno sulu sulu a casa mia,/ me pare de vedè Fulignu vera/ e m’arrempu lu core de ‘rmunia./ Allora artrovo quella timosfe-ra,/ mischiata a ‘n ticchiu de malinconia,/ ch’arpenzo a ‘stu paese se com’era/ trent’anni fa, co’ tanta nostargia./ Cara Fulignu, quantu sii cammiata!/ e quanta jente nova hai arcutuiatu!/ Nisciunu più sa di’ ‘ndo si’ ‘rriata!/ Cuscì ‘n poru pue-ta scojonatu/ co’ ‘n sunittu te fa ‘na sere-nata/ e piagne su lu tempu ch’è passatu.

po è stato liquidato, almeno nella sua formula originaria che si è riprodotta per ben 36 edizioni. La lettera di con-vocazione, cui rispondevo, firmata dal sindaco, aveva come oggetto “Comitato per lo sviluppo del progetto Foligno Città Barocca e per il programma del Festival Segni Barocchi 2015 e dichiarava che il comitato era composto da Rita Barbetti (assessora cultura, scuola e alta forma-zione), Piero Lai (dirigente area cultura e turismo), sul versante istituzionale e poi in ordine quasi alfabetico da Eleono-ra Beddini, Michelangelo Bellani, Mario Gammarota, Paolo Giri, Francesca Gre-co, Marco Gubbiotti, Domenico Metelli, Emiliano Pergolari, Marco Pontini, Marco Scolastra, Massimo Stefanetti, Roberto Lazzerini. Ecco la lettera:“Egregio dirigente, continuo a ricevere inviti (2, forse 3, non ho tenuto il con-to) a riunioni, in orari impossibili per me, ché ancora lavoro ogni mattina della set-timana, dal lunedì al venerdì, con rientro pomeridiano il mercoledì, di un comitato di cui nulla so, se non che sembra essere un comitato per la città barocca e per la programmazione del vecchio festival, giunto ormai all’edizione che sappiamo. Trovo singolare il reiterato invito a tali riunioni senza che vi siano né un docu-mento né un richiamo alla riorganizza-zione del festival in questione che sosti-tuisce, almeno così mi pare, senza alcun preavviso, il vecchio comitato organizza-tore, anche se, lo riconosco senza imba-razzo, sempre più spettrale nel tempo. [Nota postuma: in verità, già nel passaggio dalla 35ª alla 36ª edizione, sottoscrivente la stessa assessora, il comitato era cambiato con un sof-fio ed un’abracadabra sul castello di

carta dei nomi: nella 35ª il comita-to era costituito da Enrica Bizzarri, Ambretta Ciccolari-Micaldi, Stefano Trabalza, Franco Valentini ed infine, sempre in rigoroso ordine extralfa-betico, Roberto Lazzerini, fregiato di una specializzazione cinematogra-fica. Nella 36ª, invece, senza alcuno squillo di tromba o rullo di tamburo, il comitato diventato comitato per lo sviluppo del Progetto già citato, era costituito dal Comune di Foligno con i suoi rappresentanti istituzio-nali in carica, dall’Ente Giostra della Quintana con i 3 membri di Presi-denza, Vicepresidenza e Presidenza della commissione artistica, e nel corteo della Soprintendenza Artisti-ca del Festival seguivano, in altro or-dine che quello alfabetico, Pierluigi Mingarelli, Marco Scolastra, Marco Pontini, Roberto Lazzerini, Miche-langelo Bellani, Emiliano Pergolari, Francesca Greco, Eleonora Beddi-ni, tutti fregiati di varie apposizioni. Inalterati, rimanevano gli uffici or-ganizzazione e promozione. Questa coupure era introdotta ex cathedra e vi si può leggere un rivolgimento politico-culturale inespresso]. I difetti indubbi di collegialità della direzione del festival sono noti ma ampiamente ripa-gati dalla totale gratuità delle prestazioni, e del comitato e dei consulenti, se quel difetto fosse emendabile con quella inu-suale appariscente performance. Per non parlare della volatilità e dell’occasionalità delle proposte dei singoli membri del comitato. Nel tempo, diciamo almeno l’ultimo decennio, il direttore artistico ha provveduto alla stesura del programma con il suo staff tecnico ed io ho accom-

pagnato il programma con uno o due film, ogni anno commentandoli nel pre-giato libretto festivaliero. Il resto è silen-zio. Politico e culturale. Dimmi tu, però, se conosci un festival, giunto alla stessa vecchiaia, che non sia quello dell’Unità o della Democrazia a venire, i cui orga-nizzatori e consulenti non percepiscano nemmeno un baiocco, il cui programma sia circondato da una così evidente soli-tudine cittadina. Insomma, una maggiore gratitudine sarebbe stata più apprezzata. Nel tempo abbiamo ragionato spesso sulla formula del festival (io stesso, non unico, certo, in un lontano convegno, avanzai precise proposte di riorganizza-zione. Ne conservo memoria scritta). La memoria di quelle proposte, non solo delle mie, è spezzata? Il sedicente rinno-vamento sa il travaglio che lo precede o non importa mantenere legami, che non sarebbero fruttuosi per le opere che si apprestano? Insomma non capi-sco molto bene questa riorganizzazione, soprattutto non apprezzo il metodo con cui si è proceduti. Inoltre ho dato un’occhiata ai nomi e non riesco a ve-dere la loro possibile fusione alchemica perché il crogiuolo non mi sembra atto alla fusione. Di che progetto si tratta? Si può rintracciare qualche riga esplicativa da qualche parte? Capirai bene le mie perplessità: da anziano uomo di lettere, in senso volterriano, quando ricevo il nudo elenco dei partecipanti, sobbalzo. Non per snobismo. Anzi, tra i presenti, ce ne sono alcuni (loro lo sanno) per cui ho sincero affetto e stima e vorrei che imprendessero ed operassero con più agio e libertà nei loro ambiti di compe-tenza. Ma vistose sono le assenze, che invece sarebbero necessarie al compito

ambizioso propostosi. Soprattutto man-ca il filo della memoria culturale del fe-stival, che il solo direttore artistico non può garantire, perché Mnemosyne è un intreccio di ricezione e trasformazione delle esperienze passate, la rinnovata e creativa reinvenzione di una tradizione inventata. La mescolanza di culturale e politico, che spesso trasforma l’impegno disinteressato in disbrigo ripagato, in un modo o in un altro, e l’incombenza della Quintana, che minaccia di trasformare ogni libero cittadino in quintanaro, co-stituiscono per me due nodi inquietanti. Per tutti questi motivi, in disordine spar-so disseminati, ti chiedo se puoi inviar-mi una qualche informazione esatta su questa iniziativa. Se non ci fosse nulla, soltanto il circletime degli incontri e del-le riunioni mattutine già svolte, sarebbe bene che il mio nome nell’elenco dei convocati, che aggetta con singolare biz-zarria, o con aggiunta frettolosa dell’ulti-mo momento, fuori dall’ordine alfabeti-co, come la canestra di Caravaggio, fosse cancellato”. Cosa che è avvenuta, ringraziando gli dèi, visto il silenzio degli uomini. Così avviene ormai da tempo, nell’ambito del decisio-nismo. Il Segni Barocchi festival, inviso da sempre al partito che più ha contato e governato in città, nel clima euforico, regionalpopolare e pseudodionisiaco della Quintana Costituente, nel periodo culturale più squallido di questo stivale geomorfico, viene liquidato da quel vec-chio mutato partito, anzi da quella rete di comitati che lo compongono, resosi spettrale da se medesimo. Liberare gli spalti è un compito irrinunciabile.

Roberto Lazzerini

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Page 8: 24 FOLIGNO – Luglio-Agosto 2016 la nottePer inciso la maggioranza minima è di 13 consiglieri, la maggioranza sulla carta ne aveva 17, compreso il sin-daco. Così l’Amministrazione

N. 24 – LUGLIO-AGOSTO 2016

MENSILE DI MILITANZA CIVILE FONDATO DA PIERO FABBRI

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una copia del libro Annuario Folignate 1911, a cura di Fabio BETTONI.

Direttore Responsabile: Cinzia Gubbini.

Periodico iscritto al Registro periodici del Tribunale di Spoleto n. 4 del 19/11/2013Editore: Il Formichiere di Marcello Cingolani, Via Cupa n. 31, 06034 Foligno (Pg), cell. 331 2664217, tel./fax 0742 67649, P. Iva: 03018580542, Cod. Fisc. CNGMCL53P17D653Y, [email protected], Rea Perugia n. 257926, Codice Inps 24861719719RF, www.ilformichiere.it.Grafica: Vania Buono – Impaginazione: Dimensione Grafica – Spello (PG) – Tel. 0742/450500. Chiuso in redazione: il 16 luglio 2016. Tiratura: n. 1.500 copie. Stampa: Dimensione Grafica snc – Tel.: 0742/652677. Caporedattore: Piero Dosi. In redazione: Fabio Bettoni, Vania Buono, Renato Covino, Alessandro Placidi, Alessandro Porcu, Roberto Tavazzi. Hanno collaborato a questo numero: Carlo Cappotti, Andrea Cimarelli, Luciano Falcinelli, Francesco Giannini, Roberto Lazzerini, Giacomo Simoncelli, Sara Trionetti, Aldo Vraschi. Pagina Web: Alice Porcu.Stampato su carta riciclata al 100% sbiancata senza cloro. DISTRIBUZIONE GRATUITA

88 GUALDO CATTANEO e GIANO DELL’UMBRIA

Dagli inizi di novembre dello scorso anno, alcuni cittadini del Comune di Gualdo Cattaneo hanno iniziato a ricevere, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, solleciti di pagamento relativi agli abbona-menti per il trasporto scolastico. La richiesta di pagamento fa riferimen-to al periodo che va dall’anno sco-lastico 2010/2011 all’anno scolastico 2013/2014. La missiva invita a “proce-dere al relativo pagamento entro 30 giorni” dalla data di ricezione, e “tra-scorso inutilmente detto termine si procederà all’azione di recupero del credito e delle eventuali spese ag-giuntive, nei modi e nei tempi pre-visti dalla legge”, precisando però che “qualora il pagamento fosse già stato effettuato si deve presentare la documentazione attestante l’avve-nuto pagamento”.In seguito alla ricezione di questa cartella, la prima domanda che si

sono sicuramente posti i genitori sarà stata: ma come è possibile? E la seconda invece: ma come la pago? Si, perché si richiede di saldare in toto il debito in un lasso di tempo molto breve, potendo comunque scegliere anche la rateizzazione e non solo il pagamento in un’unica soluzione. Le difficoltà maggiori so-no ovviamente per chi ha più figli e si è visto recapitare più di una cartel-la. L’inghippo è emerso a seguito di normali controlli d’ufficio, congiun-tamente al servizio Umbria Digitale e di Poste Italiane. Ciò ha comporta-to che la Pubblica Amministrazione ha pagato il servizio offerto senza però riceverne il rimborso da parte di molti utenti. Così è stato per an-ni. Alcuni inadempienti lamentano il fatto che non si sono visti reca-pitare i bollettini per il pagamento e a tal proposito il Sindaco Andrea Pensi imputa tale mancanza al ser-

vizio di Poste Italiane. Ancora più scomoda risulta essere la posizione di chi, pur avendo pagato il servizio, ha ricevuto comunque sollecito di pagamento dello stesso, ma non es-sendo più in possesso delle ricevute di pagamento ha dovuto, non senza complicazioni, chiarire la propria si-tuazione.Voglio però puntualizzare che la dif-ficoltà nel pagare il debito non giu-stifica l’utilizzo abusivo di un servizio senza nemmeno interessarsi al fun-zionamento di esso. Probabilmen-te il problema nasce da un sistema gestito e organizzato in modo sba-gliato. Al momento i bollettini ini-ziano ad arrivare alla fine dell’anno scolastico, indipendentemente dalla rateizzazione o meno, e fanno rife-rimento all’anno scolastico prece-dente. Stesso sistema per il servizio mensa. È una spesa che le famiglie sanno di dover sostenere, prima poi, ma se il pagamento fosse dilazio-nato nel corso dell’anno scolastico con scadenze mensili, la spesa a cui dover far fronte inciderebbe sicura-mente meno sul bilancio familiare, già fortemente provato. È questa la proposta avanzata dai rappresen-tanti dei genitori, proposta che sem-

brerebbe però difficile da attuare.Complessivamente sono state verifi-cate 1271 posizioni e di queste 433 sono risultate non paganti (con una o più annualità non in regola) rela-tivamente al periodo sopra citato. Agli inizi di maggio del 2016 erano già state regolarizzate 153 posizio-ni, anche con sistema di rateizza-zione, arrivando così ad incassare € 12.432,00. Stando a quanto dichiara-to dal primo cittadino nella risposta all’interrogazione posta dal consi-gliere Enrico Cerquiglini, la bolletti-zazione relativa all’a.s. 2014/2015 si è conclusa in data 08/04/2016 e per quanto riguarda l’a.s. 2015/2016 è giunta al mese di gennaio. A segui-to di questo spiacevole episodio, è opportuno, avendo anche ascoltato i pareri di alcuni genitori, trovare un sistema di gestione del servizio che impedisca certo l’abusivismo, ma che soprattutto costituisca una spe-sa economica più gestibile da parte delle famiglie. Questo probabilmen-te impedirebbe l’utilizzo improprio del servizio a favore della pubblica amministrazione e di conseguenza di tutti i cittadini.

Sara Trionetti

Previsioni meteo. Anche quest’an-no è arrivata l’estate a S.Terenziano, Grutti e Giano dell’Umbria. Sole, gambe scoperte, gelati e interruzione dell’erogazione dell’acqua. Ma non ci illudiamo. Se è vero che una rondine non fa primavera, non è detto che un rubinetto chiuso faccia estate! Ma d’altronde un po’ d’acqua (dal cielo) potrebbe essere una vera manna.

La gara crollata. Quando sembra-va che la gara fosse finalmente vin-ta e che i lavori del muro crollato a Gualdo Cattaneo potessero iniziare, nessun vincitore è salito sul podio. Quindi armatevi di pazienza: altro gi-ro, altra corsa e altra gara! Prima o poi qualcuno salirà al numero uno. E come nelle migliori gare si stapperà una bottiglia. Magari, si spera, per inaugurare il muro.

Scioglilingua. La storia dell’inse-gnante che deve insegnare l’italiano ai profughi accolti nel comune di G. Cattaneo che parlano solo inglese. L’insegnante però non parla inglese. Ci vuole allora l’insegnante di inglese che insegni l’inglese all’insegnante di italiano, così che l’insegnante d’ita-liano, possa finalmente insegnare l’i-taliano ai ragazzi che parlano inglese e che vogliono imparare l’italiano.

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I tempi si fanno sempre più duri per il Comune di Gualdo Cattaneo, soprattutto per il suo capoluogo, da anni vittima di un lento quanto inesorabile fenomeno di spopola-mento ed abbandono. I dati forni-ti dal sito www.tuttaitalia.it (fonte Istat) parlano chiaro, negli ultimi 5 anni il numero delle cancellazio-ni dall’anagrafe per trasferimenti in comuni limitrofi è stato sempre maggiore alle 100 unità, e solo gra-zie alle rettifiche amministrative post-censimento 2011 è stato pos-sibile registrare un +59 al saldo mi-gratorio del 2013. Scenario che si fa ancora più impietoso se si guarda al saldo naturale, in serie negativa dal 2007 o all’indice di natalità, che nel 2015 è sceso addirittura sotto le 6 nascite per mille abitanti (3 punti al di sotto della già tragica media nazionale). E il fatto che il trend del comune gualdese sia in linea con quello dell’Italia intera, che solo lo scorso anno ha visto contrarsi la propria popolazione comples-siva per una cifra equivalente alla città di Salerno (139 mila unità), è una ben magra consolazione. Sì, perché, andando ad approfondire ulteriormente le numerose tabel-le disponibili sul sito in questione, emerge un altro dato piuttosto inquietante, per altro ampiamente confermato dal DUP (Documento Unico di Programmazione) relati-vo al biennio 2016/2018: la crisi, più che demografica è lavorativa. Tutti gli indici intenti a valutare la situa-

zione occupazionale del territorio in-fatti, ci descrivono un comune in pie-na agonia che vede crescere non solo il numero di persone a carico ogni 100 lavoratori, cifra che l’anno scorso ha raggiunto quota 60, ma anche e soprattutto l’età media dei lavorato-ri, che nonostante la lieve riduzione dello scorso anno è di oltre 40 punti percentuali al di sopra dell’equilibrio fra neo impiegati e prossimi alla pen-sione. I fattori che concorrono a de-terminare uno scenario tanto difficile sono molti, non ultimo l’ormai pros-sima dismissione della centrale Enel P. Vannucci, che da diversi anni ha attivato una politica di ricollocazione del proprio personale. Per certi versi, quella del polo energetico di Ponte di Ferro potrebbe essere una meta-fora perfetta per descrivere la situa-zione dell’intero comune, che vede progressivamente scemare le oppor-tunità di lavoro fornite dal territorio, negli ultimi sei trimestri si sono perse 34 imprese, e si dimostra incapace di reagire. Perché a ben vedere, la tri-ste verità che si nasconde dietro allo spopolamento è la rassegnazione. Quel rattrappimento di ali che Gaber diagnosticava al popolo comunista dei suoi tempi, si è fatto ormai con-tagioso ed ha colpito l’intera società civile italiana, sempre più sfiduciata, sempre più intenta a riporre le proprie speranze altrove. Eppure, l’unico van-taggio dell’indecente sistema econo-mico che signoreggia sui nostri tem-pi è che per lo meno sa farsi veicolo di opportunità. E ovviamente non parlo solo dell’ormai evidentemente sovrastimata valorizzazione delle pe-culiarità, tanto artistiche quanto eno-gastronomiche, del nostro territorio. Parlo bensì della capacità di leggere

Il “campetto” è stato per anni il luogo di ag-gregazione dei ragazzi di Gualdo Cattaneo: in passato dopo un gelato o una partita a carte al bar in Piazza, le lunghe e calde giornate estive si trascorrevano sopra l’in-fuocato quarzo rosso del campo polivalente del Capoluogo, struttura costruita per volere del Parroco del paese e da sempre in attesa prima di essere terminata e poi recuperata. Ai progetti di rilancio promessi dall’Enel, il suo miglioramento (campo sportivo più piscina) doveva essere un’opera “compen-sativa” e di contorno alla Centrale Termo-elettrica di Ponte di Ferro, o dalle ammini-strazioni Comunali susseguitesi, i giovani non hanno mai fatto tanto caso: quello che importava era un pallone e la voglia di di-vertirsi. Pallone lontano anni luce dai milioni dei diritti televisivi, dal calcioscommesse, dal doping, dai bilanci taroccati ma vicino al cuore. Del resto si sa il Calcio di strada, quello vero, è del popolo e nessuno lo potrà mai comprare.Con il passare degli anni quel luogo tanto magico è sembrato spegnersi. Ad una fles-sione del suo utilizzo, troppo spesso alle

partite vere si sono sostituite quelle alla play station, è corrisposto uno stato di abbando-no sempre più evidente. Oggi grazie ad un gruppo di volenterosi ragazzi per qualche giorno quel luogo è tornato a vivere: ribat-tezzato Red Camp, manutenzionato e tirato a lucido è stato teatro di alcune giornate dedicate allo Sport, alla musica, al diverti-mento, all’integrazione e alla solidarietà che ha visto coinvolti molti giovani del territorio. Al di là del contributo delle poche attività ri-maste in vita nel capoluogo e al doveroso aiuto dell’Amministrazione Comunale che ha messo a disposizione alcuni operai per un giorno il merito è tutto dei giovani orga-nizzatori. Alla faccia di chi non crede nelle generazioni future, alla faccia del razzismo dilagante e dell’individualismo che imper-versa nella nostra società, in barba ai cavilli burocratici che bloccano in fondo ai cassetti i progetti istituzionali, questo manipolo di ragazzi ci insegna che, attraverso la parte-cipazione e l’impegno, piccoli gesti come il recupero di uno spazio pubblico in disuso o la condivisione di momenti di vita reale per far integrare i migranti Africani, possono es-sere grandi passi verso un mondo migliore.

Alessandro Placidi

le situazioni che si profilano al muta-re dello status quo. Con la sostanziale dismissione del settore produttivo statale a favore dell’economia di mer-cato più concorrenziale, è entrata in crisi l’Italia intera, perché un tessuto sociale fondato sulla famiglia come il nostro non è in alcun modo adatto al mantra dell’“elasticità” sul lavoro tan-to caro ai politicanti contemporanei. Quindi? Quindi, visto che del lavoro non si può fare a meno, si inizia a fare a meno di quello che ormai è diven-tato d’intralcio alla possibilità stessa di lavorare: la famiglia. Ogni politica statale intenta a contenere tale feno-meno si è rivelata fallimentare perché è la scelta stessa di un modello eco-nomico tanto distante dall’umanità degli individui che ne fanno parte a renderlo inevitabile. Solo chi può contare, guarda caso, sull’aiuto dei genitori rischia qualcosa in più e fa un tentativo, ma sarà difficile che questo paradigma lavorativo non ci impon-ga giocoforza anche un diverso pa-radigma a livello di struttura sociale. Per questo l’innovazione è indispen-sabile, perché dalla realizzazione di un sistema economico umanamente sostenibile passa la possibilità stessa di dare un futuro al posto dove siamo nati, vissuti e cresciuti, sia esso Gual-do, o l’Umbria o l’Italia intera. Il primo passo? Abituarsi all’idea che non tutto il male viene per nuocere. Ha chiuso l’ultimo mini market del centro stori-co? Perché non provare ad organizza-re un servizio di consegna della spesa a domicilio, magari con un’app; infon-do, quando non si ha niente, cosa c’è di meglio che provare ad investire su se stessi e sulle proprie idee?

Andrea Cimarelli


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