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3. Unsemplicemodelloperesercitare...

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3. Un semplice modello per esercitare l’intelligenza emotiva All’interno di Six Seconds abbiamo sviluppato un model- lo che consente alle persone di mettere in pratica la teo- ria dell’intelligenza emotiva. Definiamo intelligenza emo- tiva (IE) un insieme di competenze che ci permettono di integrare la parte razionale del nostro cervello con quella emozionale al fine di prendere decisioni ottimali in ambi- to lavorativo e familiare. Il modello indaga le tre aree del- l’intelligenza emotiva: self awareness (consapevolezza di sé), self management (gestione di sé) e self direction (perseguimento degli obiettivi eccellenti ed empatia); ma, prima di analizzarle a fondo, è opportuno riportare una metafora e fare un breve riassunto della storia dell’IE per facilitare la comprensione del modello. La metafora dell’iceberg Uno dei grandi vantaggi che si ottengono quando si stu- dia l’intelligenza emotiva è la possibilità di riflettere su sé stessi e sugli altri. Ciascuno di noi è una persona con una propria complessità e individualità, ciascuno possiede una propria personalità, ha una diversa maniera di vive-
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3. Un semplice modello per esercitarel’intelligenza emotiva

All’interno di Six Seconds abbiamo sviluppato un model-lo che consente alle persone di mettere in pratica la teo-ria dell’intelligenza emotiva. Definiamo intelligenza emo-tiva (IE) un insieme di competenze che ci permettono diintegrare la parte razionale del nostro cervello con quellaemozionale al fine di prendere decisioni ottimali in ambi-to lavorativo e familiare. Il modello indaga le tre aree del-l’intelligenza emotiva: self awareness (consapevolezza disé), self management (gestione di sé) e self direction(perseguimento degli obiettivi eccellenti ed empatia);ma, prima di analizzarle a fondo, è opportuno riportareuna metafora e fare un breve riassunto della storia dell’IEper facilitare la comprensione del modello.

La metafora dell’iceberg

Uno dei grandi vantaggi che si ottengono quando si stu-dia l’intelligenza emotiva è la possibilità di riflettere su séstessi e sugli altri. Ciascuno di noi è una persona con unapropria complessità e individualità, ciascuno possiedeuna propria personalità, ha una diversa maniera di vive-

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re, di relazionarsi con le altre persone e di comportarsi inun modo che gli altri spesso trovano difficile da com-prendere. Ma le persone agiscono sempre per delle ragio-ni e degli scopi e le emozioni sono un’importante fonted’informazione per capire il perché di molti comporta-menti e decisioni.

Provate a immaginare un iceberg. L’iceberg è unastruttura di ghiaccio imponente che mostra sopra la su-perficie dell’acqua circa il 15 per cento della sua massa,mentre il restante 85 per cento rimane sommerso. Quelloche noi vediamo dell’iceberg può essere paragonato a ciòche di noi stessi mostriamo agli altri e di cui siamo consa-pevoli, mentre la restante parte, che rimane nascosta sot-to l’acqua, è paragonabile ai comportamenti, alle sensa-zioni, emozioni, abitudini, ai valori e ai giudizi che tenia-mo dentro di noi. Comprendere ciò che non si vede in su-perficie e sfruttare questa consapevolezza è quanto cipermette di produrre valore in ambito lavorativo e fami-liare. L’intelligenza emotiva ci permette di esplorare ecomprendere gran parte di quello che nascondiamo sottola superficie a noi stessi e agli altri. Se riusciamo a com-prendere questi nostri stati emotivi diveniamo più capacidi usare strategicamente le nostre emozioni per poter ef-fettuare le scelte migliori.

Alcuni anni fa, un direttore di risorse umane di unasocietà di servizi finanziari partecipò al nostro corsodi certificazione sull’intelligenza emotiva, che avevasede nel Sud-Est asiatico. Asana stava vivendo un mo-mento di grande successo nel lavoro, poiché lei e il ma-rito erano entrambi dirigenti d’azienda e i loro affariandavano molto bene. Nonostante il grande impegnonel lavoro, Asana era anche una buona madre per la fi-glia, che stava attraversando l’età adolescenziale. All’i-

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nizio Asana intraprese la propria attività pensando so-lo a questioni tecniche e pratiche, senza tenere contodell’85 per cento delle sue emozioni e dei suoi sentimen-ti che rimanevano nascosti “sotto la superficie”, a séstessa e agli altri. Dopo poche settimane cominciò a ri-flettere sulla relazione che aveva con la figlia e sul lorolegame, che stava cambiando e facendosi sempre piùdebole con l’andare del tempo. Un giorno venne a confi-darsi con me dicendomi che aveva parlato con la figlia,la quale, per la prima volta, le aveva detto quanto le vo-lesse bene.

Asana era riuscita a scavare sotto la superficie, erariuscita a riflettere sulle emozioni che provava nel pro-fondo del cuore quando si rapportava a sua figlia, acomprendere ciò che la disturbava, quali erano le suepaure e sensazioni.

Se sviluppiamo la comprensione delle nostre emozionipossiamo scavare sotto la superficie e riuscire a vederela magnificenza e complessità dell’iceberg nella sua inte-rezza. Se riflettiamo su noi stessi con reale curiosità e in-teresse rimarremo sorpresi di quante cose scopriremoche prima non sapevamo di possedere.

Le origini dell’intelligenza emotiva

La maggior parte delle persone ha conosciuto l’espres-sione “intelligenza emotiva” nel 1995 con la pubblicazio-ne del libro di Daniel Goleman, Emotional Intelligence:Why It Can Matter More Than IQ (Intelligenza emotiva.Che cos’è, perché può renderci felici), che ebbe grandesuccesso. In quel lavoro Goleman affermava che fattoricome l’autoconsapevolezza, l’autodisciplina e l’empatia

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determinano in gran parte il successo personale e profes-sionale di una persona. Per scrivere il libro Goleman ave-va tratto spunto dal lavoro di numerosi scienziati e autoriche negli anni Novanta stavano conducendo ricerche sul-le competenze dell’intelligenza emotiva.

Molte informazioni riguardo alle competenze dell’IEsono emerse anche grazie allo studio di consulenti, ricer-catori, trainer e coach che hanno effettuato ricerche invari settori della società.

Le aziende più innovative accolsero subito il concettodi intelligenza emotiva. Jack Welch (2004) trattò il temadell’IE e l’Harvard Business Review (2003) la definì “lachiave del successo professionale”.

In seguito scuole, ospedali e agenzie governative han-no anch’esse preso in considerazione i concetti dell’intel-ligenza emotiva. Gli studenti delle scuole elementari e gliufficiali dell’esercito, che si sono confrontati con le abili-tà dell’IE, hanno visto aprirsi di fronte a loro nuove pro-spettive.

Ma la vera origine del costrutto intelligenza emotiva èda attribuire a due professori americani di psicologia:John Mayer e Peter Salovey.

Goleman racconta che i due psicologi inventarono ilconcetto di “intelligenza emotiva” in un giorno d’estatedel 1987, mentre stavano dipingendo una casa. Salovey(Dean dello Yale College e professore di psicologia all’U-niversità di Yale) e Mayer (docente all’Università del NewHampshire) parlavano di cognizione ed emozione e di-scutevano di politica. Il discorso cadde su un giovane po-litico aspirante alla Casa Bianca e si chiesero come pote-va essere che un uomo così intelligente e brillante stesseper mettere a repentaglio la sua carriera a causa di vicis-situdini sentimentali che gli stavano rovinando la reputa-zione. La conclusione a cui arrivarono fu che il processo

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di prendere decisioni non dipende solo dal proprio quo-ziente intellettivo (QI).

Goleman continua dicendo che, in seguito a quellaconversazione, Salovey e Mayer pubblicarono un articolomolto interessante sull’intelligenza emotiva, ma su ungiornale a scarsa diffusione nazionale. Nel momento incui Goleman sentì parlare del costrutto intelligenza emo-tiva pensò subito che avrebbe dovuto scrivere qualcosa alriguardo. Scrisse il libro, che fu stampato in 30 lingue evendette 5 milioni di copie, giungendo alla conclusioneche il mondo era pronto ad apprendere e sviluppare la co-noscenza di questo potente e importante concetto.1

Molti altri ricercatori e leader hanno contribuito alladiffusione del concetto d’intelligenza emotiva. ReuvenBarOn, dalla fine degli anni Ottanta, ha condotto ricerchesugli effetti prodotti dall’emozione sulla performance in-dividuale. In una dissertazione di dottorato usò il termine“EQ” (Emotional Quotient). Ora i ricercatori di tutto ilmondo stanno migliorando la definizione scientifica esviluppando modelli per perfezionare la scienza che staalla base del costrutto.

Salovey e Mayer aggiornarono la loro definizione del-l’intelligenza emotiva nel 1997, per concentrarsi maggior-mente sull’abilità di percepire e usare le emozioni comeparte integrante del pensiero:

L’intelligenza emotiva è l’abilità di identificare le emozioni,di accedere e utilizzare le emozioni in modo da assistere ilpensiero, comprendere le emozioni e la pratica emotiva egestire riflessivamente le emozioni così da promuovere lacrescita emotiva e intellettuale.2

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1 Freedman (2005).2 Mayer e Salovey (1997).

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Partendo dagli studi sullo sviluppo socio-emozionale, ungruppo di insegnanti di San Mateo in California crearono,nel 1967, il modello Self-Science3 (lo stesso sul quale nel1997 è stata fondata Six Seconds), che aveva come obiet-tivo primario lo sviluppo della persona. Nel libro del 1995Daniel Goleman ha dedicato un intero capitolo al pro-gramma Self-Science definendolo uno dei due migliorimodelli per l’insegnamento dell’intelligenza emotiva:“Self-Science è il pioniere, il promulgatore di un’idea chesi sta diffondendo nelle scuole di tutta l’America”.

Karen McCown, l’autrice del programma Self-Science,ha fondato in seguito una delle scuole più riconosciute alivello internazionale per l’attenzione data alle competen-ze emotive; i programmi di insegnamento si basano, in-fatti, sul principio che lo sviluppo emotivo e lo sviluppoaccademico debbano necessariamente proseguire insie-me, poiché entrambi risultano fondamentali per la cresci-ta completa della persona.

L’obiettivo che insieme ai miei colleghi ci siamo postinel tempo era quello di riunire tutti gli studi, le esperien-ze e le ricerche portate avanti in decenni di lavoro in unsistema di conoscenze in grado di partire dalle emozioni,e quindi dalla persona, per accompagnare il percorso disviluppo individuale di chi desiderava migliorarsi.

Le ricerche condotte in questi anni hanno consentitodi determinare le competenze che sono alla base dell’in-telligenza emotiva e che, se sviluppate, ci consentono dilavorare sulle nostre emozioni e sulla nostra intelligenza

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3 Self-Science è un modello efficace per lo sviluppo delle abilità socia-li ed emotive. Il programma fu lanciato nel 1967 e il primo libro al riguardofu pubblicato nel 1978. Informazioni sul modello Self-Science si trovanoonline all’indirizzo www.Self-Science.com. Mentre scriveva il suo libro,Goleman partecipò a un corso Self-Science alla Nueva School. Cfr. Gole-man (1995).

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emotiva; queste competenze, in tutto otto, sono suddivi-se in tre macro aree che analizzerò nei paragrafi che se-guono.

Il modello di Six Seconds

Il modello di intelligenza emotiva da noi proposto è statoconcepito, come più volte sottolineato, per aiutare le per-sone ad allenare la propria intelligenza emotiva; il suo fo-cus è quindi orientato all’acquisizione di: consapevolezza(cosa sto provando); intenzionalità (cosa voglio fare); di-rezione (qual è il mio obiettivo).

Il modello è suddiviso in tre aree:

– self awareness: riguarda la consapevolezza di sé. Inparticolare, considera la comprensione delle emozio-ni e il riconoscimento dei sentieri emozionali;

– self management: riguarda la gestione di sé stessi.Supporta il decision making attraverso l’utilizzo delleproprie emozioni e la capacità di scegliere consape-volmente;

– self direction: riguarda le capacità relazionali attra-verso l’empatia e la definizione di obiettivi importanti.

In un certo senso, l’area self awareness si riferisce al “co-sa”, self management al “come” e self direction al “per-ché”. L’area self direction è la chiave che fa di questo mo-dello un modello trasformazionale, facilmente applicabi-le. Agire quotidianamente avendo bene a mente i propriobiettivi, consente di prendere le decisioni migliori, svi-luppare il proprio autocontrollo e il proprio impegno ver-so gli altri.

Le tre macro aree sono a loro volta suddivise in com-

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petenze (otto) che consentono di identificare e determi-nare al meglio ciascuna delle tre aree. Ciascuna delle ottocompetenze del modello è essenziale per l’esercizio e losviluppo dell’intelligenza emotiva. Come vedremo nelcorso di questo libro, quando parliamo di sviluppo ci rife-riamo non solo al trasferimento di contenuti ed esperien-ze, cosa che accade solitamente nelle attività di traininge coaching, ma ci riferiamo anche agli strumenti che pos-sono affiancare e supportare le persone nel loro percor-so. Per esempio, uno degli strumenti più efficaci per ini-ziare a valutare e a riflettere sulle proprie competenze èrappresentato dal questionario di valutazione dell’intelli-genza emotiva (vedi Appendice).

In tutto il resto del libro mi riferirò a queste otto com-petenze cercando di spiegarne le caratteristiche e la loroapplicazione e utilità.

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Figura 3.1 Il modello di Six Seconds, suddiviso nelle tre macro areee otto competenze

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Esercitare le competenze emotive

1. Self awareness: cosa sto provando?

Generalmente proviamo più emozioni contemporanea-mente, ma è difficile riuscire a identificarle tutte. Provatea concentrarvi su una vostra situazione “critica”. Pensatea una scelta che dovete fare o a una situazione difficileche state affrontando al momento: per esempio, un affarein sospeso, una nuova iniziativa che state sviluppando,un cambiamento nel vostro lavoro o nella vostra vita op-pure un’opportunità significativa.

Provate ad annotare i segnali che il corpo vi invia, lereazioni fisiche che sono associate a questa situazione: visentite tesi? Se sì, sapreste individuare la parte del corpoche vi trasmette questa sensazione? Per esempio, il vo-stro stomaco è rilassato? Che sensazioni avvertite allostomaco ecc. Dopodiché scrivete alcune emozioni chestate provando.

La tabella 3.1 può esservi d’aiuto: la prima colonna ri-porta una serie di emozioni primarie seguite dalle lorovariazioni d’intensità.

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Tabella 3.1 Alcune emozioni primarie e le relative intensità

Emozione

Rabbia

Attesa

Gioia

Fiducia

Paura

Sorpresa

Tristezza

Disgusto

Bassa intensità

Fastidio

Interesse

Serenità

Accettazione

Preoccupazione

Distrazione

Malinconia

Noia

Alta intensità

Ira

Vigilanza

Estasi

Adorazione

Terrore

Stupore

Dolore

Ribrezzo

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Questo modello prende il nome dal suo ideatore, RobertPlutchik.

Riportate su un foglio le emozioni provate in questomomento e la loro intensità e avrete un esempio di cosasi intenda per self awareness, ovvero la capacità di pren-dere contatto con le proprie emozioni. Questo ovviamen-te non basta, una volta che so cosa sto provando devochiedermi: cosa posso fare?

Passiamo così alla seconda parte del modello.

2. Self management: come posso comportarmi?

Può essere molto difficile fare scelte giuste quando ci tro-viamo di fronte a situazioni complesse. Se usiamo abilitàquali pensiero sequenziale, navigare le emozioni, motiva-zione intrinseca e ottimismo abbiamo maggiori opportu-nità per comprendere meglio i nostri pensieri, i nostrisentimenti e le nostre reazioni.

L’area self management aiuta a individuare il modo incui far ricorso alle proprie emozioni e gestire così le si-tuazioni nelle quali si incontrano maggiori difficoltà. Par-lare di gestione delle proprie emozioni non vuol dire ap-plicare regole e stili di comportamento preconfezionati;come detto sopra, la caratteristica fondamentale di chivuole lavorare con l’IE è l’autenticità, e questo vuol direconservare e mantenere le proprie caratteristiche perso-nali, cosa che non si potrebbe fare se si fornisse una “ri-cetta” comportamentale.

Dovrete individuare il vostro approccio personale alla“gestione” dei vostri stati emotivi, ricercare il cosa e il co-me. Solo così potrete lavorare su voi stessi, comprenderecosa c’è sotto la superficie dell’iceberg e infine impararea rompere il ciclo vizioso dei sequestri emotivi e dei “per-corsi ricorrenti” di comportamento.

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3. Self direction: perché?

Come vedremo, le competenze alla base dell’area self di-rection sono rappresentate dall’empatia e dal persegui-mento degli obiettivi. Ma come vengono interpretate que-ste due competenze nel modello?

L’empatia, per esempio, è l’abilità di riconoscere e ri-spondere in maniera appropriata alle emozioni delle altrepersone; è la chiave per capire gli altri, formare relazioniinterpersonali durevoli e di fiducia. Essere empatici nonsignifica mettersi al servizio degli altri o sottomettersi,ma immedesimarsi nelle emozioni delle altre persone.Solo quando siamo in grado di comprendere realmente lenostre emozioni possiamo riuscire ad aprirci ai sentimen-ti degli altri.

Attenzione però: quello che sto dicendo non deve es-sere inteso in chiave manipolatoria; infatti, se inseguia-mo secondi fini non otterremo mai veri benefici. Non di-mentichiamo il concetto di autenticità, l’unica caratteri-stica in grado di costruire un rapporto basato sulla fidu-cia reciproca.

Il perseguimento degli obiettivi eccellenti rappresenta,invece, la competenza in cui trovano significato tutte lealtre competenze e risponde alla domanda: qual è il mioobiettivo di vita? Affrontare questo tema non è semplice;molti, per esempio, legano questa competenza a finalitàdi tipo spirituale, e in qualche modo potrebbe essere ve-ro, ma per semplicità mi piacerebbe presentarvi questacompetenza con il nome di “stella polare”. L’obiettivo ec-cellente è la nostra stella polare, il sistema di valori entroi quali ci muoviamo e che danno significato alla nostraesistenza. È ciò che per noi è importante, che fa riferi-mento alle nostre priorità personali, che modella (consa-pevolmente o meno) le nostre scelte quotidiane, i nostriobiettivi a lungo termine.

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Gli obiettivi eccellenti ci danno una sensazione di dire-zione, una “stella polare” appunto, utile a tarare la nostrabussola, e ci aiutano ad allineare pensieri, sentimenti eazioni con il nostro “nord”.

Che dire delle altre persone?

Spesso le persone michiedono perché il nostromodello faccia rifletteresolo sul proprio sé e nonsulle altre persone. La pri-

ma considerazione da fare è che la sola persona che sipuò realmente cambiare è sé stessi: ciascuno di noi deveimparare a farsi carico del proprio stato emotivo.

È inoltre da sottolineare che ragionando sulle proprieemozioni si acquisisce una maggiore consapevolezza del-le emozioni altrui e di come le proprie emozioni impatti-no sulla percezione delle altrui emozioni. Le nostre per-cezioni riguardo alle altre persone sono arricchite e in-fluenzate dai nostri sentimenti e dalle nostre reazioni, emeno siamo consapevoli di noi stessi meno siamo in gra-do di comprendere esattamente le altre persone.

Per esempio, quando il modello ci induce a rifletteresulle nostre scelte e sulle relative conseguenze, ci per-mette anche di misurare il nostro impatto sulle altre per-sone e divenire consapevole di come le nostre scelte in-fluenzano il mondo che ci circonda.

Quando cerchiamo di perseguire i nostri obiettivi ec-cellenti stiamo cercando di raggiungere un equilibrio colresto del mondo e di capire che tipo di impatto provo-chiamo negli altri.

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Noi non vediamo le cose percome sono, ma le vediamo aseconda di come siamo.Anaïs Nin

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Sintesi

Concetto chiave:– Il modello di Six Seconds dell’intelligenza emotiva in-

daga tre macro aree: self awareness (consapevolezzadi sé), self management (gestione di sé) e self direc-tion (perseguimento degli obiettivi eccellenti ed em-patia).

Letture di riferimento:– Joshua Freedman e al. (2002), Handle With Care: EQ

Learning Journal.

Esercizio chiave:– Quando dovete prendere una decisione chiedetevi:

che emozioni sto provando? Che scelte ho a disposi-zione? Cosa è importante fare?

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4. Self awareness: la saggezzadei sentimenti

Solo quando le persone imparano a comprendere comefunzionano le proprie emozioni e i processi che esse se-guono a livello biologico sono in grado di sviluppare unmaggiore controllo su di sé. Infatti comprendere il mecca-nismo di funzionamento di qualcosa ci aiuta a capire ilperché dell’accaduto e il come possiamo intervenire: seconosciamo il meccanismo di funzionamento di una mac-china sappiamo cosa può comportare un guasto e sapre-mo anche dove e come intervenire!

Questo capitolo è dedicato alla self awareness, ovveroalla consapevolezza di sé, e introduce una delle competenzealla base dell’intelligenza emotiva (IE): “comprendere leemozioni”.

In uno dei miei interventi formativi in Europa ho co-nosciuto il vicepresidente di una importante societàoperante nel settore finanziario (per semplicità lo chia-merò Stewart). Stewart è un uomo molto attivo, digrande successo e dallo spiccato senso dell’umorismo.Anche a lui è stato insegnato da bambino che esistonoemozioni “negative” e, come accade spesso a molte per-sone a cui viene insegnata la stessa cosa, Stewart non

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aveva mai difficoltà a esternare sentimenti piacevolicome l’amore e la gioia, mentre gli risultava sempreimpossibile manifestare emozioni spiacevoli come lapaura e la collera. Una volta mi disse: “Quando parlidella paura non so cosa intendi realmente. Capisco ilconcetto a livello intellettuale, ma non riesco a provarequesta emozione”. Più avanti Stewart comprese che ciònon valeva solo per la paura, ma per tutte le altre emo-zioni spiacevoli che non riusciva a comprendere.

Generalizzando l’esempio di Stewart possiamo affermareche l’impossibilità di comprendere alcuni tipi di emozionigenera, a sua volta, l’incapacità di manifestarli appropria-tamente e, aggravante ulteriore, non consente a chi ci cir-conda di capire cosa stiamo provando. Questi episodi so-no sicuramente fonte di frustrazione; Stewart, per esem-pio, si accorse che questa sua difficoltà lo portava a tra-sferire le proprie ansie sui figli. In questo caso Stewart

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Competenza IE: Comprendere le emozioniI sentimenti e le emozioni sono un aspetto complesso per ciascuno dinoi, sono difficili da interpretare e da capire perché richiedono atten-zione e capacità analitica. Interrogarsi su ciò che si prova e tentare didare una risposta a queste emozioni ci permette di porre più attenzio-ne verso quello che facciamo e vogliamo. Il risultato non può esserealtro che una maggiore efficacia nella definizione dei nostri obiettivi enella strutturazione di un percorso per raggiungerli. La comprensionedelle emozioni è una delle competenze cardine del modello dell’IE,spesso chiamata emotional literacy, e racchiude in sé la capacità didare un nome alle emozioni. Chi possiede un ampio vocabolario emo-tivo riesce a cogliere con più facilità e precisione le sfumature traemozioni come rabbia e rancore o felicità e gioia. La comprensionedelle emozioni identifica la capacità di riconoscere e comprendere glistati d’animo e gli umori propri e delle persone con cui ci relazionia-mo. Percepire e interpretare in maniera accurata l’informazione emo-tiva è la chiave per usare, comprendere e gestire i sentimenti.

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decise di investire parte del suo tempo nello sviluppo del-le proprie skill emotive, ma questo fu possibile solo a se-guito della sua presa di consapevolezza.

È per questo che la self awareness è alla base del mo-dello dell’intelligenza emotiva. Lavorare sulle proprieemozioni vuol dire prima di tutto imparare a dare loro unnome, ovvero a riconoscerle e a prenderne atto.

La neurobiologia del sentimento

A livello neurobiologico le emozioni sono reazioni chimi-che, più precisamente sono dei neuropeptidi, ovvero unastringa di proteine raggruppate intorno a un’unica strut-tura. Come per gli ormoni, le molecole dell’emozionescorrono attraverso il nostro corpo a partire dal cervelloe trasportano le informazioni che riguardano i nostriaspetti fisici o mentali.

C’è una parte del nostro cervello che, anche in questomomento, sta fabbricando queste molecole: l’ipotalamo.Il talamo, simultaneamente, sta regolando il flusso dei se-gnali chimici attraverso il cervello e, non appena una dif-ferente informazione sensoriale viene percepita, il tala-mo regola e fa scorrere queste informazioni in entrata in-nescando il rilascio dei neuropeptidi. Allo stesso tempoquesto mix di sostanze chimiche influisce sulle nostrepercezioni. L’ippocampo, in parte, determina dove foca-lizzare la nostra attenzione e su che cosa soffermarsi.L’ippocampo è a sua volta stimolato dalle molecole delleemozioni, consentendoci così di prestare attenzione aparti diverse del nostro ambiente (interno ed esterno).Quando immagazziniamo nuove informazioni sensorialiil talamo segnala nuovamente l’informazione al cervello,rendendo il sistema un processo ciclico di rinforzo.

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In altre parole, quando proviamo un’emozione ci foca-lizziamo su alcuni aspetti che ci circondano piuttosto chesu altri e, in alcuni casi, tale sistema è indispensabile perla nostra sopravvivenza, poiché ci tiene lontani dai peri-coli e ci garantisce sicurezza. È grazie al sistema emozio-ne-pensiero-consapevolezza che riusciamo a vivere e a ri-produrci.

I meccanismi del nostro cervello sono affascinanti ecomplessi; vi sono continue reazioni chimiche, non sem-pre lineari né stabili. Anche le cellule del nostro cervellosono in continuo mutamento e si riuniscono creando col-legamenti dalla forma di fitte ragnatele a tre dimensioni.

Fate un esperimento per rendervi conto visivamentedi come possa essere strutturata una cellula del cervello:tenete la mano destra aperta rivolta verso l’alto e il brac-cio sostenuto: il vostro palmo è il corpo della cellula, ilbraccio è l’assone e le dita sono i dendriti. Portate poi ledita della mano sinistra in corrispondenza di quelle del-l’altra mano facendole combaciare. L’apertura che si vie-ne a formare è la sinapsi. Ora immaginate milioni di que-ste interconnessioni: nel cervello umano ci sono 100 mi-liardi di neuroni e ogni neurone ha fino a 10.000 connes-sioni (sinapsi) con gli altri neuroni.

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Basandovi sulle indicazioni date nel testo, provate a disegnare un neu-rone, una sinapsi e una rete di neuroni.

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I segnali che chiamiamo “pensieri” e i segnali che chia-miamo “emozioni” sono mescolati insieme nel cervello. Isegnali elettrochimici scorrono attraverso le sinapsi (ca-riche elettriche d’intensità variabile) e le molecole. Ognimolecola ha forma e struttura uniche, perciò ogni con-nessione tra molecole è unica e irripetibile e da qui il ter-mine: incastro chiave-serratura.

Per accogliere queste informazioni esistono recettorilocalizzati in ogni cellula del nostro corpo, compreso ilcervello, i quali possono formare le serrature che chia-miamo “chiavi chimiche”. Le “chiavi” che trasportano ilmessaggio chimico viaggiano attraverso i fluidi del corpofino a che non trovano la loro “serratura”. Quando avvie-ne l’incastro, la cellula è stimolata a reagire e produce einnesca una serie di reazioni chimiche a catena.

Quindi, pensieri e sentimenti sono generati da reazio-ni elettrochimiche che vanno dal cervello al corpo allavelocità del fulmine e si raggruppano andando a formarele reti sinaptiche.

La struttura della rete cambia ogni volta che acquisia-mo nuove informazioni; i dendriti si connettono in mododifferente e vanno a formare un nuovo “nodo”; inoltre, ilrecettore si adegua al cambiamento, e infatti tendiamo asviluppare in quantità maggiore proprio quei recettoriche usiamo più frequentemente.

Da tutto questo possiamo comprendere che la rete“cervello-corpo” è in costante mutamento e si adegua aseconda di come noi la usiamo. Qualsiasi informazioneripetuta nel tempo crea un forte collegamento sinaptico,perciò le strutture cellulari si adattano alle nostre abitu-dini ovvero a ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo.

Nei millenni questo sistema complesso ed elegante siè raffinato così che, oggi, siamo in grado di reperire infor-mazioni importanti riguardo a noi stessi. Per esempio,

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sappiamo di chi fidarci, chi dobbiamo rispettare, chi evi-tare e chi amare e siamo consapevoli di ciò che riguardanoi stessi e le nostre scelte: quello che è giusto, quelloche è ragionevole, quello che ci protegge e quello che cifa crescere.

Decodificare i messaggi

Se è chiaro che disponiamo di questo complesso sistemain continuo mutamento, ci si potrebbe chiedere: “Ma do-ve è il manuale delle istruzioni? Come posso imparare adecodificare i messaggi delle mie emozioni?”.

Sempre più frequente-mente si parla di com-prensione delle emozioni,in altri termini di “alfa-

betizzazione emozionale” (emotional literacy1), ovverodare un nome alle nostre emozioni. Comprendere le emo-zioni è infatti la competenza principale grazie alla quale ri-usciamo a riconoscere e comprendere i sentimenti.

Pensate a quanto cambierebbe il modo di interpreta-re un evento se fossimo in grado di comprendere megliole nostre emozioni. Dando un nome alle emozioni siamoin grado di interpretare i nostri sentimenti, identifican-done cause ed effetti e predicendone eventuali cambia-menti.

La comprensione delle emozioni è un ponte tra le no-

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Le nostre emozioni sono i no-stri migliori percorsi di cono-scenza. Audré Lorde

1 Emotional literacy è un termine coniato dallo psicologo transazio-nale Claude Steiner, che ha pubblicato numerosi libri sul tema. Altro gran-de pioniere è Ayman Sawaf, mio grande amico e collega, il quale ha creatola Foundation for Education in Emotional Literacy (FEEL) nel 1983, è co-autore di Executive EQ (1997), produttore di due film, di uno show perbambini e autore di 21 libri sull’IE nell’infanzia.

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stre emozioni e l’analisi che ci consente di comprenderle:se il ponte è forte possiamo dare una buona interpreta-zione, se è debole probabilmente abbiamo tratto conclu-sioni sbagliate.

Anche se molti ritengono che la comprensione delleemozioni racchiuda la capacità di esprimere, gestire e di-rigere le proprie emozioni, il modello di Six Seconds inse-risce queste competenze nell’area del self management,che vedremo nel prossimo capitolo.

Dare un nome alle emozioni

Uno degli ostacoli principali alla comprensione delleemozioni è rappresentato dalla infinita quantità di voca-boli che si possono utilizzare per dare loro un nome.

Quando qualcuno ci chiede “Come stai” e noi rispon-diamo “Bene, grazie”, non dobbiamo fare confusione; di-re che stiamo bene non vuol dire che stiamo esprimendoun’emozione: lo star bene non è un’emozione! Se, al con-trario, diciamo “Oggi sono sereno”, stiamo dando un no-me alla nostra emozione.

Dobbiamo imparare a categorizzare i nostri sentimen-ti per poterli riconoscere e comprendere meglio.

La figura 4.1 fornisce un esempio di come possonoessere categorizzate le emozioni, tenendo conto di duedimensioni: piacevolezza delle emozioni (asse delleascisse) e intensità delle emozioni (asse delle ordinate).

Il quadrante I indica sentimenti molto intensi e pocopiacevoli, quali ira, dolore e disgusto.

Il quadrante II riguarda sentimenti poco intensi e spia-cevoli, come noia, irritazione o dubbio.

Il quadrante III comprende sentimenti poco intensima piacevoli, come calma, accettazione, affetto.

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Il quadrante IV racchiude i sentimenti molto intensi e pia-cevoli, quali estasi, adorazione, trionfo, vigore.

Per esercitarvi a sviluppare un ricco vocabolario emo-tivo, allo scopo di accrescere l’abilità di comprendere leemozioni, potete riprodurre il quadrante su un foglio dicarta e inserire 100 parole riferite alle emozioni legate aciascuno dei 4 quadranti. Questo processo, apparente-mente semplice, di sviluppo di un più ricco vocabolarioemozionale rappresenta il primo step per iniziare a pa-droneggiare le competenze che compongono l’IE.

Comprendere le emozioni

Guardando l’esercitazione precedente, quale quadrantevi sembra il migliore? Ce n’è uno su cui vorreste posizio-

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Figura 4.1 La categorizzazione delle emozioni

I IV

II III

10

7,5

5

2,5

0

0 2,5 5

Piacevolezza

7,5 10

Inte

nsità

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narvi per tutto il tempo? In quale quadrante emotivo vor-reste che i vostri dipendenti stessero tutto il tempo?

Forse direte: “Il secon-do quadrante, perché inquesto modo resterannofocalizzati sull’obiettivo”.Vero, ma non si confronte-ranno con i grandi proble-mi, non saranno innovati-vi e non lavoreranno piùduramente se necessario. Questo è un problema! Quindi,probabilmente vorreste che i vostri dipendenti stesserotutto il tempo nel quadrante III, dove sarebbero aperti ericettivi, ma ancora una volta non si confronterebberocon i problemi e rischierebbero di non essere innovativi.

Come nella leadership, situazioni diverse chiamano incausa sentimenti diversi. Ogni quadrante può essere per-cepito in maniera differente a seconda delle persone. Aun livello di interpretazione leggermente più sofisticatociascun quadrante ci porta a osservare aspetti differentidella realtà che ci circonda.

Partendo da un livello neurobiologico i sentimenti in-fluiscono su ciò che notiamo, dunque se non siamo con-sapevoli dei nostri sentimenti e dei loro effetti la nostrapercezione risulterà distorta.

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Tabella 4.1 Alcune delle specifiche legate ai quadranti della figura 4.1

Quadrante

I

II

III

IV

Espressioni emotive

Collera, dolore, dispera-zione

Disagio, noia

Calma, pace, attenzione

Diletto, trionfo

Effetti

Lotta contro i grandi pro-blemi

Poco confronto con pro-blemi e questioni

Apertura e accettazione

Stimolazione di creativitàe innovazione

È sorprendente come moltepersone trascorrano la propriavita senza rendersi conto che isentimenti che rivolgono allealtre persone sono determinatiin gran parte dai sentimentiche rivolgono a loro stessi.Sydney J. Harris

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Per capire ulteriormente le emozioni può essere utile ve-dere come le diverse emozioni si relazionano tra loro. Co-me detto in precedenza, ogni emozione primaria può es-sere più o meno intensa. Per comprendere la progressio-ne delle emozioni potete analizzare il modello di Plut-chik2 (figura 4.2), che ha una rappresentazione graficasimile a un fiore, in cui in ognuno dei suoi petali è descrit-

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Figura 4.2 Il modello di Plutchik

2 Questo grafico è riportato in Plutchik (2001). La riproduzione dellafigura è concessa dall’American Scientist, rivista di Sigma Xi, The Scien-tific Research Society.

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ta un’emozione primaria: al centro del fiore si trovano leemozioni più intense, mentre alle estremità dei petali leemozioni meno intense. Il fiore può essere immaginatopiegato a forma di cono, in cui si possono notare le varia-zioni d’intensità delle emozioni che mano a mano diven-gono simili.

Ora immaginate una persona che viene a lavorare pervoi e non percepisce il reale valore del suo lavoro al pun-to da non essere stimolata a cambiare e a rinnovarsi.Questa persona incomincerà a sentirsi annoiata e con ilpassare delle settimane e dei mesi la situazione non cam-bierà: non sarà in grado di gestire i suoi sentimenti e co-mincerà a lamentarsi che il lavoro non gli piace. Si senti-rà disgustata e con il tempo lo sarà sempre di più; così co-mincerà ad assentarsi dal lavoro e a produrre sempre me-no fin quando non si licenzierà.

Ora considerate l’altro lato del modello, quello corri-spondente al petalo della “fiducia” (trust), e immaginateuna situazione opposta in cui l’impiegato che viene a la-vorare per voi si sente realmente benvoluto e in un postoche sente appartenergli. In questo modo si sentirà accet-tato, con il tempo farà sentire la sua voce e i colleghi co-minceranno a seguirlo facendolo sentire degno di fidu-cia. Con il passare del tempo queste sensazioni continue-ranno e la persona si sentirà ammirata e parte integrantedella compagnia.

Questi esempi ci fanno capire come le emozioni pos-sano tramutarsi in catene emozionali: chi prova, in unadeterminata situazione, un tipo di emozione potrà proba-bilmente sperimentarne altre della stessa famiglia con di-versa intensità (il fenomeno dell’escalation), e se riuscia-mo a dare un nome a queste emozioni sapremo ancheprevedere meglio le possibili conseguenze.

Il modello di Plutchik illustra anche come le emozioni

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primarie possono combinarsi tra loro per formare “emo-zioni secondarie”. La figura mostra solamente alcunecombinazioni, che però ne forniscono un chiaro esem-pio. Come quando ci si sente al contempo adirati (angry)e con delle aspettative (anticipation): in quel momentostiamo provando il sentimento dell’aggressività.

Il manager adirato e il fiume

La rabbia è un’emozione vista molto spesso come fontedi diversi problemi. Quando le persone sono in preda allarabbia possono agire secondo due estremi diversi e op-posti: reprimendo l’emozione o esplodendo.

Rick è un manager che lavora in un ospedale. È una per-sona collerica, anche se non vuole ammetterlo, e gli altrilo temono poiché hanno paura del suo temperamento.Quando gli fanno notare che è in collera risponde: “Iosono solo appassionato e ho standard veramente alti”.

Cheryl, invece, gestisce un team di servizi professio-nali e tende a reprimere i suoi stati di rabbia. Al con-trario di Rick, che tende ad affermare le proprie emo-zioni, lei tenta di sopprimerle dicendo: “È una cosasbagliata per me essere arrabbiata, devo trattenere que-sto mio sentimento”.

La risposta convenzionale è: “Vedi, la rabbia è un’emozio-ne negativa!”.

Ma abbiamo visto che la rabbia può anche trasformar-si in energia e informazioni: perché né Rick né Cheryl locapiscono? Perché hanno interiorizzato la credenza sba-gliata che quell’emozione sia negativa.

Il dottor William Evans lavora per aiutare le persone a

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trovare integrità e salute a livello fisico, emotivo, mentalee spirituale. Sostiene che tutti i nostri sistemi fisici sianosani solo quando “scorrono” e che i sistemi digerente, cir-colatorio, endocrino, riproduttivo e immunitario funzio-nino solo se questo flusso continua a mantenersi in movi-mento. In caso contrario possono verificarsi malattie. Sipuò dire lo stesso per le emozioni?

Immaginate un fiume: nel caso in cui l’acqua non scor-re comincerà a ristagnare emanando cattivo odore e di-ventando tossica. Cheryl si trova esattamente in questostato, anche se finge di non esserlo: reprime le sue emo-zioni impedendone lo sfogo e la manifestazione. Al con-trario, se il fiume si riempie fino all’eccesso l’acqua cau-serà un’inondazione che creerà danni ai terreni circo-stanti. Rick può essere paragonato a questo scenario, eanche lui non è consapevole di questo.

Il fiume è sano quando scorre, così vale anche per leemozioni. Andando agli estremi, ignorandole o enfatiz-zandole, denigrandole o fingendo che non esistano, nonsi lavora bene. La sfida dell’intelligenza emotiva è trovarela giusta via di mezzo.

Cause ed effetti

Per esercitarvi nella competenza della “comprensione del-le emozioni” e sintetizzare i concetti chiave di questo capi-tolo, vi consiglio di provare questo esercizio. Ogni emozio-ne ha un valore, che non sempre è visibile, ma che lo puòdiventare se si impara ad “ascoltarla” attentamente. La sfi-da è comprendere il sentimento che ne è alla base.

La premessa è che ogni emozione è un messaggio (trasé e sé) e, in generale, ogni emozione ha uno specificoscopo e segnala qualche cosa d’importante.

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Nella tabella 4.2 sono elencate, a sinistra, una serie diemozioni con le possibili cause. Se riuscite a ricordare unmomento in cui avete provato quel sentimento annotate-lo nella colonna a fianco. Cercate di individuare: che si-gnificato ha avuto quella emozione per voi in quella situa-zione? Che cosa vi segnalava? Da cosa era causata? Checosa vi ha insegnato?

Mentre fate questa prova riflettete su cosa avete ap-preso sul comprendere le emozioni.

Riassumendo, i sentimenti sono fondamentalmenteun’esperienza soggettiva e non analitica. Modelli ed eser-citazioni possono aiutare a comprendere l’incredibilecomplessità dell’argomento che stiamo trattando: i mo-delli sono solo un aiuto, non sono la verità. La mia inten-zione, nel proporli, è quella di costruire un frameworkper accompagnare la vostra riflessione. Non vuole esse-re, quindi, una super analisi o un tentativo di convertire leemozioni in una formula. Piuttosto, usate i modelli comeun sub e utilizzate una maschera a boccaglio per osserva-re le profondità del mare. In questo modo potrete esplo-rare la parte nascosta e misteriosa dell’iceberg.

Sintesi

Concetto chiave:– Le emozioni contengono informazioni riguardo a noi

stessi e agli altri; ognuno di noi può imparare a inter-pretare con precisione queste informazioni. Le emo-zioni influenzano le nostre percezioni.

Letture di riferimento:– Paul Ekman (2005), Emotions Revealed.– David R. Caruso e Peter Salovey (2004), The Emotio-

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nally Intelligent Manager: How to Develop and Usethe Four Key Emotional Skills of Leadership.

Esercizio chiave:– Prendetevi sei secondi per esaminare ciascuna di que-

ste tre aree:

• Corpo – sensazioni fisiche. Quali sono le parti delcorpo che sentite: infiammate, irritate, fredde, cal-de ecc. Prendete in considerazione queste informa-zioni sul vostro stato fisico attuale e concentratel’attenzione nel presente.

• Mente – attività cognitive. A cosa state pensando,dove è focalizzata la vostra attenzione (problemi,soluzioni, questioni, opportunità ecc.). Questo viconsentirà di conoscere come i vostri sentimenti vistanno influenzando.

• Cuore – sensazioni. Che emozioni state provandoin questo momento? Questo vi aiuterà a svilupparela vostra emotional literacy e a incrementarel’autoconsapevolezza.

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5. Dalla self awarenessal self management

In questo capitolo analizzeremo il passaggio dalla auto-consapevolezza (self awareness) alla gestione delle emo-zioni (self management) e cercheremo di comprenderequali competenze possono supportare il nostro allena-mento emotivo.

Ciascuno di noi possiede, infatti, competenze emotivefunzionali all’esercizio della leadership: il modo in cui cirelazioniamo ogni giorno con gli altri e le nostre reazionisono un biglietto da visita, ovvero l’immagine che diamodi noi all’esterno. Un leader capace riesce a far sì che lepersone si rispecchino in questa immagine, così che ilsuo stile rappresenti, per chi lo circonda, l’esempio, lacrescita, il confronto e, a volte, anche l’ispirazione.

Sostengo da tempo che le emozioni costituiscono ilpunto dal quale partire per comprendere in che modopossiamo guidare gli altri. Prima però desidero sottoli-neare un aspetto fondamentale, ovvero che leadershipnon vuol dire manipolazione e finzione, tutt’altro: l’effi-cacia di un buon leader risiede nel suo essere autentico.È inutile sforzarsi di apparire o essere quello che non si è,vale invece la pena di incanalare le nostre energie versogli altri senza snaturarci, facendo del nostro meglio per

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comprenderci e miglioraci. Se è vero che le emozioni so-no contagiose un buon leader può fare molto per conta-giare il suo team!1

Tempo fa mi trovavo a pranzo davanti a un piatto dipolpette. Non vedevo l’ora di iniziare a mangiare, sape-vo che sarebbero state esattamente come piacciono a me:squisite, sugose e delicate. Iniziai con la prima polpettama, da subito, la mia mente iniziò a naufragare, sem-brava preferire alle polpette il pensiero del lavoro, e cosìiniziai a ragionare su una questione legata a uno deinostri prodotti. Ed ecco che, senza nemmeno accorger-mene, inforchettai la seconda polpetta, iniziai a masti-care e mi resi conto di non aver ancora staccato la testadai miei pensieri, tanto che mi domandai: “Cosa c’è disbagliato in me? Non riesco a godermi in pace neancheun pranzo senza lasciarmi distrarre dal pensiero del la-voro!”. Cercai, quindi, di abbandonare i miei ragiona-menti e di godermi il resto del pranzo assaporando quel-le polpette così gustose. Alla fine mi accorsi di quantofosse stato difficile “staccare la spina” e regalarmi unapausa in cui poter assaporare anche le cose più semplicidella giornata, come un buon piatto di polpette!

Cosa sarebbe successo se fossi rimasto preda dei mieipensieri? Conoscendomi posso dire che non mi sarei af-fatto rilassato, mi sarei probabilmente innervosito e avreiavuto la sensazione di essermi perso un pezzetto dellamia vita: quello con la mia famiglia!

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1 Attualmente si stanno conducendo numerosi studi sull’“influenza” eil “contagio” delle emozioni. Una persona può influenzare le emozioni diun’altra anche solo camminando con lei in una stessa stanza. L’Institute ofHeartMath ha misurato e rilevato come le emozioni tra le persone sianocontagiose anche a prescindere dalla condivisione della stessa stanza.

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Anche in un caso, apparentemente così banale, ho do-vuto scegliere come comportarmi. Per farlo, però, è statonecessario un passaggio fondamentale, ovvero: la consa-pevolezza di quello che mi stava accadendo. Da lì ho po-tuto proseguire riuscendo a intervenire sul mio “seque-stro emotivo” e modificare i miei sentimenti. Ho “stacca-to la spina”, mi sono concentrato su ciò che in quel mo-mento mi dava piacere e così ho potuto agire in modo as-solutamente differente da come avrei fatto se fossi rima-sto preda delle mie emozioni spiacevoli.

A questo punto tocca a voi! Provate a vedere cosa ac-cade nella vostra pausa pranzo, provateci oggi stesso! Sevi accorgete di essere in preda a emozioni spiacevoli, cer-cate di vedere quanto tempo vi serve per abbandonarle,provate quindi a vedere quanto siete in grado di sceglierese essere distratti e reattivi o consci e intenzionali. Inquesto modo avrete un primo assaggio di quanto può es-sere facile o difficile per voi lavorare sulla seconda partedel nostro modello, ovvero quello relativo all’area selfmanagement.

Se volessimo sintetizzare il punto di forza di quest’a-rea potremmo dire che self management vuol dire cerca-re di vivere la vita in maniera intenzionale, dandosil’opportunità di scegliere e, conseguentemente, coinvol-gere anche chi ci circonda.

Come leader di voi stessi potete scegliere di accostar-vi alle situazioni in modi diversi e decidere, per esempio,di essere distratti e irrazionali, come è accaduto a me conla prima polpetta: in questo modo tendereste a dimenti-care molte delle cose che per voi sono importanti e vidanno sicuramente piacere (la buona cucina, la chiac-chierata con la famiglia, i momenti di relax…). Potetescegliere anche di continuare a reagire negativamente,come ho fatto io con la seconda polpetta, e influenzare

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così le persone intorno a voi (cosa che al giorno d’oggiavviene con una certa frequenza). Oppure, attraverso unsemplice spostamento di attenzione e sensibilità, potetescegliere di uscire dal vostro “sequestro emotivo” e met-tervi in uno stato d’animo in grado di contagiare piace-volmente anche gli altri godendovi così tutto il resto!

“Cosa vuoi provare e cosa vuoi che gli altri provino?”(David Caruso).2

Il ciclo della reazione

L’escalation emotiva, ovvero il percorso che ci porta areagire a ciò che ci accade intorno, può essere paragona-ta a una scala mobile in cui, a mano a mano che si sale, siattraversano livelli emotivi sempre più intensi.

Proviamo a comprendere meglio questa metafora.Quando ci troviamo alla base della scala siamo in uno

stato emotivo di calma ed equilibrio, ci troviamo in unasituazione in cui ci risulta facile gestire lo stress e lecomplessità con una certa tolleranza e poco sforzo. Do-podiché può accadere qualcosa che ci infastidisce e citurba: è a questo punto che iniziamo a salire la scala ed è

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2 David Caruso lavora con John Mayer e Peter Salovey, i pionieri delcostrutto intelligenza emotiva. Hanno costruito un test (MSCEIT) che misu-ra quanto il pensiero e il sentimento nell’individuo lavorino insieme. Da-vid mi è stato di grande aiuto per capire come realmente il pensiero e leemozioni interagiscano. Il MSCEIT, unico test di intelligenza emotiva foca-lizzato sull’abilità, restituisce un feedback rispetto alla reale capacità dipercepire le emozioni, di comprenderle, di utilizzarle in modo che siano disupporto al pensiero (cioè alla parte che possiamo definire “razionale”) edi regolarle e gestirle così da promuovere una vera e propria crescitaemozionale e intellettuale, ma consiglio di utilizzarlo quando si ha già unacerta padronanza dei concetti relativi all’intelligenza emotiva.

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in questo stato emotivo che cominciano le difficoltà: ilsenso di frustrazione aumenta insieme allo stress, e cosìil nostro corpo e la nostra mente cominceranno a inviar-ci una serie di segnali di allarme come l’insonnia, la man-canza di appetito e la difficoltà di osservare la realtà conserenità (in queste circostanze è facile, per esempio,considerare tutto quello che ci accade come negativo).In questo momento ci troviamo nel pieno di quello cheviene definito il ciclo della reazione, ovvero un percorsocircolare diviso in tre parti: preparazione, interpretazio-ne ed escalation.

La fase di preparazione è quella in cui si confeziona labomba a orologeria! Il corpo e la mente predispongonotutte le condizioni potenzialmente in grado di farci esplo-dere emotivamente. Per esempio, l’insonnia,l’alimentazione sbagliata, la forte concentrazione sulleproblematiche che stiamo affrontando sono elementi che

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Figura 5.1 Il ciclo della reazione

evento

INTERPRETAZIONE

PREPARAZIONE

reazione

RISPOSTA

stato

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influenzano il nostro stato psicofisico che, a quel punto,si dimostrerà estremamente sensibile e quindi predispo-sto alla reazione. La famosa goccia che fa traboccare ilvaso non tarderà ad arrivare (in condizioni di questo tipobasta pochissimo).

Si passa, quindi, alla seconda fase, quella dell’inter-pretazione. È in questo stato che avviene l’innesco della“bomba”, magari in seguito a una discussione, un con-fronto particolarmente “ruvido” o pensieri frustranti,stressanti o contrastanti. Di qualsiasi cosa si tratti,l’evento viene interpretato dal nostro cervello come unaminaccia, un pericolo, un problema e così via. Il tutto ac-cade in maniera molto rapida – si stima che il processoduri circa un quarto di secondo. A livello neuronale citroviamo di fronte a un affascinante meccanismo di sicu-rezza. A capo di questo processo si trova la parte del cer-vello chiamata talamo e che è deputata alla gestione e al-la regolazione del flusso delle informazioni sensoriali chesi percepiscono dall’esterno (cosa vedo, sento, ascoltoecc.). Quando il talamo percepisce una informazione co-me una minaccia trasferisce, attraverso il Sistema Nervo-so Autonomo, questa informazione alla parte più anticadel nostro cervello, l’amigdala, che a sua volta innescauna serie di reazioni chimiche a catena.

Il ciclo di reazione sfocia, infine, nella terza e ultimafase: quella di escalation, in cui tutti i nostri pensieri e lenostre emozioni interagiscono tra loro per contribuire arinforzare l’afflusso di reazioni chimiche che generanoreazioni ancestrali, come quelle di combattere, fuggire obloccarsi. Flussi di adrenalina sono liberati per potenzia-re l’attività muscolare e il cortisolo mantiene elevato lostato di allerta.

Essendo un ciclo, alla fase di escalation segue la fasedi preparazione e, in successione, il ciclo ricomincia.

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Ogni volta si procede lungo la scala mobile, sollevando illivello interno di minaccia, regolando il “radar di perico-lo” in maniera sempre più sensibile. La prima volta che siintraprende il ciclo questo può non essere visibile agli al-tri, poiché la reazione è interna e la fase viene regolataper la reazione successiva; ma a ogni ciclo si sarà semprepiù vicini a un’esplosione e ciò sarà sempre più visibilealle altre persone.

Le reazioni ricorrenti

Come mai ci troviamo a reagire molte volte nella stessamaniera? Prima di rispondere a questa domanda, vorreispiegarvi come sia possibile sostenere che le nostre rea-zioni ed emozioni siano qualcosa di assolutamente logi-co. Come ho sottolineato nel paragrafo precedente, a se-guito di quello che ci accade, ciascuno di noi è sottopostoa continue sollecitazioni fisiologiche e chimiche che, in-nescando nel nostro fisico determinate sostanze, ci co-stringono ad alzare il livello di guardia e di attenzione conl’unico scopo di aiutarci a sopravvivere.

Migliaia di anni di evoluzione hanno raffinato la no-stra capacità di proteggerci dalle minacce e dai pericoli.Non abbiamo una corazza che ci copre come le tartaru-ghe, né zanne come le tigri, ma abbiamo un cervello alta-mente sviluppato. Quando il nostro cervello percepisceuna minaccia, reagisce per salvaguardarci; in questo casoci troviamo di fronte a una risposta di sopravvivenza chesi sviluppa nel sistema limbico (detto anche “cervelloemotivo”). Considerando le nostre caratteristiche perso-nali e le nostre esperienze, la reazione alla minaccia po-trà essere il combattimento o la fuga; in altre parole, unareazione aggressiva o passiva.

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La cosa certa è che risulta praticamente impossibileevitare questi impulsi: noi reagiamo e ci difendiamo dalleminacce istintivamente. Di fronte alla minaccia ciascunodi noi può però “scegliere” in che modo difendersi, sereagire o se lavorare sulle proprie emozioni. Naturalmen-te dalla nostra reazione dipende molto e, soprattutto, ilmodo in cui anche l’altra persona ci risponderà. La “ri-sposta alla minaccia” rientra tra quelle modalità che Da-niel Goleman ha chiamato “sequestro amigdalico”, benspecificato nella ricerca condotta da Joseph LeDoux.3

L’amigdala, infatti, è uno dei principali centri emotivi delcervello; la sua funzione essenziale consiste nel provoca-re una reazione alla percezione del pericolo.

Come afferma Peter Salovey, questa reazione è real-mente un esempio dell’intelligenza delle nostre emozioni,poiché segue una “logica emotiva” e non razionale, fattoche spiegherebbe come a volte le decisioni vengano pre-se con poco o nessun pensiero intellettivo; il problema èche pochi studiosi hanno sviluppato questo aspetto dellanostra intelligenza.

Cosa costituisce una “minaccia” per l’amigdala? Peresempio, un qualsiasi tipo di interazione in cui qualcunocerca di prevaricare su qualcun altro, incolpando, con-fondendo, giudicando, screditando. Questi sono alcunidegli episodi che possono innescare la cosiddetta “rispo-sta di sopravvivenza” e possono verificarsi soprattutto incontesti lavorativi, ma anche nell’ambito familiare e nellascuola.

Una persona che si sente minacciata o vulnerabilepuò reagire, per difendersi, manifestando rabbia e ag-gressività; imparare a osservare questo tipo di reazioniaiuta a sviluppare la nostra consapevolezza. Ognuno di

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3 LeDoux (1994).

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noi segue dei pattern ricorrenti di reazione; quando pen-siamo o avvertiamo delle sensazioni in un determinatomodo, rispondiamo inconsapevolmente utilizzando unparticolare set di pensieri, emozioni e azioni. Per esem-pio: quando riteniamo di essere minacciati, reagiamo at-taccando; quando pensiamo che qualcuno stia giudican-do le nostre idee, assumiamo una posizione difensiva.

La competenza “riconoscere i sentieri emozionali” cifa osservare questo processo in azione e, insieme allacompetenza “comprendere le emozioni”, ci permette diacquisire una maggior consapevolezza delle nostre rea-zioni e dei nostri pattern emotivi, e imparare a osservaree a comprendere noi stessi – self awareness – ci consentedi comprendere e di riconoscere i pattern emotivi dellealtre persone e il nostro ruolo in questo processo.

È importante riuscire a riconoscere i propri patternper poi saperli gestire e utilizzare a seconda delle circo-stanze. Ecco perché parlo di questa competenza (che ri-cordiamo appartiene all’area self awareness) all’internodel capitolo dedicato al self management. Cosa acca-

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Competenza IE: Riconoscere i sentieri emozionaliPer rispondere più velocemente agli input esterni, il cervello umanosegue sentieri, chiamati anche schemi, o vie neurali. Gli schemi, chegenerano un insieme di idee e sentimenti, non sono altro che le gui-de che utilizziamo per osservare e interpretare il mondo. Riconosce-re gli schemi ci aiuta a predire le nostre reazioni e ad agire in manie-ra consapevole, senza rimanere preda dall’inconscio e delle reazioniricorrenti, cosa che può inibire la performance ottimale. Senza que-sta abilità, i leader si lasciano guidare dall’inconscio nelle loro deci-sioni e azioni, anziché agire con consapevolezza e chiarezza.Riconoscere i modelli è la chiave per divenire “profondi conoscitoridel proprio sé”, ovvero essere in grado di riconoscere i propri senti-menti, pensieri e azioni in situazioni tipiche. Allenarsi nel riconosci-mento dei propri schemi rappresenta, quindi, il primo passo verso la“gestione” delle proprie emozioni.

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drebbe, infatti, se non avessimo consapevolezza dei no-stri schemi ricorrenti/pattern? Sicuramente il primo ri-schio consisterebbe nell’ostacolare il raggiungimento deinostri obiettivi o nell’influenzare gli altri in maniera nega-tiva, sebbene in maniera non esplicita né intenzionale.

Quando assumiamo la posizione di attacco nei con-fronti di un’altra persona, quasi certamente anch’essareagirà per la sua “sopravvivenza” e ciò contribuirà ad al-zare i toni del confronto inasprendo la situazione. Po-tremmo anche pensare di controllarci, ma è altrettantovero che, se ci sentiamo danneggiati o arrabbiati, esplo-diamo e ciò accade quasi sempre in modo del tutto incon-sapevole. Anch’io, come tanti altri, tendo a restare sor-preso e sbigottito quando vedo le persone reagire con at-teggiamenti di difesa. Tuttavia, se vogliamo davvero com-prendere, è importante cercare di capire cosa sta provan-do quella persona in quel momento.

Spesso è facile innescare un meccanismo di difesa nelnostro interlocutore anche quando cerchiamo di mante-nere toni tranquilli e un clima sereno. Anche quando cisforziamo di mettere da parte le nostre emozioni gli altririescono a stupirci reagendo come se li stessimo attac-cando. Questo tipo di interazione è un ulteriore esempiodi meccanismo di sopravvivenza del nostro sistema lim-bico; infatti, non reagiamo solo per proteggerci, ma sia-mo sensibili persino alle minacce potenziali.

In questo caso, il sistema limbico rileva le emozionidelle altre persone che possono rappresentare un segna-le di pericolo e, agendo come un vero e proprio “radar”,segnala i pericoli potenziali, determinati dalle emozioniche percepisce essere ostili: rabbia, frustrazione, timore,ansia. L’ansia è uno dei fattori più diffusi, e il nostro cer-vello ci avvisa costantemente per prepararci a un even-tuale attacco.

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Facciamo un altro esempio. Immaginiamo di aver in-staurato un dialogo: io vi sto parlando mentre voi stateascoltando le mie parole; nello stesso istante in cui mistate ascoltando il vostro sistema limbico sta svolgendola sua funzione di controllo, sta facendo il “radar”. Io, dalcanto mio, sto cercando di apparire ai vostri occhi serenoe calmo, anche se sono realmente frustrato, ovviamentenon a causa vostra ma, per esempio, per qualcosa che miè stato riferito in una precedente telefonata. In questo sta-to d’animo continuo a parlare con voi chiedendovi di la-vorare a un progetto; le mie parole non sono irragionevo-li, ma il vostro radar percepisce qualcosa di strano. Perce-pite che le mie parole e le mie emozioni non sono coeren-ti tra loro; le mie parole comunicano qualcosa mentrel’espressione del mio volto, il tono della mia voce e la po-stura del mio corpo ne comunicano un’altra. Naturalmen-te non potete sapere esattamente che cosa sto provando,ma avvertite che c’è un problema. Non vi sentite a vostroagio e avvertite un senso di timore – dopo tutto, vi sto na-scondendo qualcosa e il vostro sistema limbico sa chequando la gente cerca di “nascondere qualcosa” può cer-care di ingannarvi o danneggiarvi. Cominciate a rispon-dermi in tono sempre più rigido mentre io, che in quelmomento avrei bisogno di sentirmi supportato e vorreievitare ulteriori scontri, mi sento frustrato anche da voi!

Ecco come si può innescare un processo di reazioneche, passando da me a voi, ha contribuito ad aumentarein me la tensione e a generare in voi uno stato d’animoche prima di incontrarmi non vi apparteneva.

Il nostro radar è molto efficiente ed è in grado non so-lo di segnalarci i pericoli, ma anche di elaborare e inter-pretare le espressioni visive e il tono di voce dei nostri in-terlocutori, offrendoci una visione a 360 gradi del nostrointerlocutore.

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Come avrete sentito dire più volte, uno studio condot-to da Albert Mehrabian a UCLA ha stabilito che solo il 7per cento della comunicazione proviene dalle parole, ilresto dipende dal tono di voce, dal linguaggio del corpo edall’espressione visiva.4

Anche il lavoro di Paul Ekman sulle espressione fac-ciali rinforza questa conclusione; Ekman ha condottostudi sulle microespressioni, ovvero sulle sfumatureespressive rintracciabili sul volto delle persone.5 Questistudi hanno dimostrato che non è possibile leggere accu-ratamente i particolari di un flusso di microespressioni.In poche parole, possiamo dire che qualcuno è irritato esta provando a nasconderlo, ma non siamo in grado di di-re cosa ha provocato il suo fastidio. Siamo quindi in gra-do di riconosce i significati e i meccanismi generali delleespressioni, ma troviamo molto complesso identificare lesfumature espressive e rintracciarne le ragioni.

Di seguito propongo un breve esercizio attraverso ilquale potrete esercitarvi nel riconoscimento dei vostrischemi ricorrenti.

Abbiamo visto che uno schema è una sequenza di pen-sieri, emozioni e azioni che la mente usa per far fronte al-le diverse situazioni. Le conseguenze positive di unoschema sono rappresentate dalla convenienza e dalla co-modità (per esempio, fare automaticamente alcune cose

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4 Albert Mehrabian ha studiato negli anni Settanta la comunicazionenon verbale all’UCLA (University of California, Los Angeles) e ha rilevatoche quando parliamo delle nostre preferenze, ovvero di ciò che ci piace eche non ci piace, e delle nostre emozioni, solo il 7 per cento di ciò che tra-smettiamo proviene dalle nostre parole; il 38 per cento dal tono della vocee il restante 55 per cento dai movimenti del corpo. Cfr. Mehrabian (1981).

5 In uno studio sulle emozioni primarie nelle varie culture Paul Ekmanha rilevato che ciascuna emozione muove muscoli diversi, generando cosìsfumature espressive diverse che variano a seconda della cultura di ap-partenenza. Cfr. Ekman (2003).

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ci fa risparmiare tempo). La conseguenza negativa è chepossono farci perdere di vista i dettagli e portarci a con-seguenze negative! Servendovi della rappresentazionedella figura 5.2, provate a tracciare il sentiero di un vo-stro schema abituale.

Reazione di attacco o fuga: il riconoscimentodei nostri pattern

In questo paragrafo vedremo che le nostre reazioni nonsono qualcosa di irrazionale e illogico ma, al contrario,seguono percorsi assolutamente razionali e riconducibili

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Figura 5.2 Esercizio per riconoscere gli schemi

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a determinate spiegazioni fisiologiche. A questo scopo miservirò di un’immagine per cercare di fermare, nella no-stra mente, il concetto al quale desidero associare l’areadel self management.

Vi è mai capitato di vedere una di quelle fontane in cuiuna grande sfera di pietra sembra galleggiare su un soffi-ce cuscino d’acqua? Il peso della sfera scivola nei cerchidelle turbine e, apparentemente, sembra che questo pro-cesso non richieda il minimo sforzo.

Sarebbe fantastico poter interagire con le persone conquesta stessa facilità ottenendo risultati eccellenti con ilminimo sforzo! Altrettanto esaltante sarebbe se la nostracapacità di leadership potesse procedere con la stessa

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Figura 5.3 La Fontana Millennium Ball in Amarillo, Texas (la sfera pesaoltre una tonnellata e può venire spostata da un bambino)

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scorrevolezza e facilità con la quale un capitano fiero edeterminato dirige la sua nave lungo le rotte di un marecalmo e privo di insidie. Il leader potrebbe così dirigere lasua squadra e portarla a raggiungere le mete più lontanesenza preoccuparsi di altro se non di attendere che ilviaggio giunga a termine con successo.

Purtroppo, o per fortuna, la realtà è molto più com-plessa e ci richiede continui sforzi e costante attenzioneverso quello che accade in noi e attorno a noi.

Sappiamo bene quanto sia facile essere preda di ten-sioni e conflitti che, il più delle volte, si intensificano finoa farci esplodere. Sappiamo anche quanto bisogno abbia-mo di proteggerci da tutto questo, quanto sia essenzialeriuscire a portare le cose a un livello di normalità e diequilibrio.

L’area self management, se sviluppata, aiuta ad avvici-narci a tutto questo, ad apparire come la sfera della fon-tana che riesce a trasferire una immagine di assoluta cal-ma e sicurezza proprio grazie a un complesso sforzo diingegneria. Il self management ci consente di lavorarecon le nostre emozioni per arrivare a ottenere risultati dieccellenza.

L’area self manage-ment si compone di quat-tro competenze chiaveche ci consentono di valu-tare le nostre scelte e svi-luppare emozioni e com-portamenti; le competenze sono: utilizzare il pensiero se-quenziale, navigare le emozioni, trovare la motivazioneintrinseca, esercitare l’ottimismo.

Per arrivare ad analizzare queste competenze è impor-tante fare un ulteriore passaggio nell’area self awarenessper analizzare la seconda competenza relativa al ricono-

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Desideriamo che i fatti misuri-no i pregiudizi. Quando non lofanno, è più facile ignorare ifatti che cambiare i pregiudizi.Jessamyn West

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scimento dei “sequestri amigdalici”, ovvero dei nostrischemi ricorrenti di reazione e comportamento.

In un’ottica di leadership è estremamente importantelavorare su tutti questi aspetti: se dobbiamo guidare lepersone nel processo di cambiamento, è importante im-parare a consumare le nostre lotte interiori autonoma-mente, senza trasferirle sugli altri.

Ritorniamo per un attimo al dialogo ipotetico tra me evoi proposto precedentemente. In quella circostanza ab-biamo visto come sia stato facile innescare una modalitàrelazionale distorta a causa del percepito di entrambe leparti. Le emozioni emergevano e ci influenzavano reci-procamente, così che le reazioni erano innescate a se-conda del significato che si dava al percepito. Nessunadelle due parti sapeva esattamente che cosa stava pro-vando l’altra e soprattutto perché, ma la mancanza dicongruenza e autenticità percepita tra le parole e i “se-gnali deboli” inviati dal corpo è stata sufficiente per farandare la conversazione in una certa direzione. Cosa ac-cade quando avvertiamo che c’è qualcosa che non va?Quando percepiamo incoerenza?

Sulla base delle nostre emozioni, delle esperienze edella nostra interazione con gli altri, il nostro sistema lim-bico agisce preoccupandosi di trasmettere le informazio-ni ritenute “ambigue” alla nostra amigdala (l’organo de-putato alla difesa) e, in seguito a questa trasmissione, ini-ziamo a reagire. Una volta acquisita questa conoscenza,non abbiamo di che stupirci nel constatare quanto tempoed energia spendono le persone ad attaccarsi e a difen-dersi, a ritenere di essere sempre nel giusto e che gli altrisiano in errore.

Dopo questo ragionamento ci appare ancor più arduae sfidante l’impresa di somigliare alla fontana, ovvero ap-parire autenticamente equilibrati e “navigare” le nostre

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emozioni calibrando con cura percezioni, pensieri e azio-ni. Un valido contribuito verso il raggiungimento di que-sta capacità ci viene da una delle competenza racchiusenell’area self management. Nel modello, la capacità diessere consapevoli di quello che ci sta accadendo a livel-lo emozionale e di saper gestire questo ciclo viene defini-ta “pensiero sequenziale”. Questa competenza ci consen-te di guardare in avanti e valutare le situazioni in modocritico favorendo l’analisi dei costi e benefici dei nostristati emotivi. Ovviamente il pensiero sequenziale non vaconfuso con la progettazione strategica; infatti, nel no-stro caso, quando parliamo di analisi costi/benefici ci ri-feriamo esclusivamente alle informazioni che possonogiungere dalle emozioni. Portare avanti questo tipo dianalisi ci permette di considerare le nostre emozioni e lenostre idee, siano esse visibili “sopra la superficie” dell’i-ceberg siano esse sommerse – nel qual caso interessanol’85 per cento di ciò che rimane nascosto. Per ricordare ilsignificato di questa competenza basterà sapere chequando decidiamo di agire in realtà stiamo controllandoil nostro impulso “di reagire per primi” sapendo che:

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Competenza IE: Utilizzare il pensiero sequenzialeL’utilizzo del pensiero sequenziale rappresenta la capacità di valuta-re le proprie scelte anticipandone costi e benefici. È la chiave per ge-stire i nostri impulsi e agire con intenzionalità (così come reagire).Questa abilità permette di esaminare le relazioni di causa ed effettodelle proprie scelte riducendo l’impulsività a vantaggio dell’intenzio-nalità. Il pensiero sequenziale è diretto verso gli obiettivi e i risultati.Questa abilità permette di prendere in considerazione il passato e ilfuturo delle decisioni/azioni imminenti al fine di identificare le sceltemigliori.I leader che non possiedono questa competenza sono impulsivi,reattivi e si sorprendono dei propri risultati. Le persone che non utiliz-zano il pensiero sequenziale sono viste come volubili e meno degnedi fiducia.

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– le persone si difendono quando percepiscono il peri-colo;

– la nostra amigdala è sempre in allerta e vigile verso leemozioni che vengono percepite pericolose, come larabbia o il timore; ogni incongruenza fra le parole, leespressioni e i sentimenti viene percepita come un pe-ricolo;

– l’ansia o lo stress aumentano “il livello di soglia del pe-ricolo” e ci rendono ancora più sensibili;

– la percezione di un qualsiasi “attacco” nei nostri con-fronti fa scattare la difesa, nonostante il tentativo dinascondere frustrazione e rabbia.

Tante persone, me compreso, trovano lontano dal pro-prio modello relazionale la logica del “reagire per primo”.Questo perché si è capaci di relativizzare e comprendereche non sempre, quando il nostro “radar” ci segnala unpericolo, vuol dire che siamo realmente di fronte a unaminaccia. L’esperienza avrà di certo insegnato a ciascunodi noi quanto, a volte, i pregiudizi e i luoghi comuni pos-sano sviare il nostro giudizio; è per questo che diventaancora più importante imparare a riconoscere e gestire inostri schemi ricorrenti di reazione (pattern), solo cosìpotremmo costruire giudizi coerenti circa ciò che stiamoosservando.

Non lasciamoci, però, spaventare: applicare e allenareil pensiero sequenziale è molto più semplice di quanto sipossa pensare; basterebbe porsi qualche domanda in piùe prendersi un po’ più di tempo per analizzare la realtà:per esempio, provando a chiedere al nostro interlocutoredi spiegarsi meglio, di farci capire cosa intende dire evi-tando di saltare da soli a conclusioni troppo affrettate. Si-curamente penserete che per fare questo ci vuole tempo,tempo che spesso non si ha. Tuttavia, mi sento di dire che

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il più delle volte questo è un alibi, in realtà è difficile ri-nunciare alle nostre certezze e “demolire” i nostri schemiricorrenti. Per ottenere dei risultati è necessario impe-gnarsi e allenare le nostre competenze emotive per impa-rare a “vivere nel flusso”. Non è semplice, ma una voltaacquisita questa competenza riusciremo ad applicarla na-turalmente proprio come accade a un’atleta che impara acorrere nel modo corretto: correrà sempre in quel modo,a meno che non si alleni a farlo diversamente!

La potenza dell’acqua: navigare le emozioni

L’acqua è l’elemento naturale che più mi affascina; la suacalma e la sua potenza non derivano dall’impeto e dallaforza con la quale scorre ma, al contrario, dalla sua consi-stenza e dal suo equilibrio. La fontana a cui accennavoprima, con la sua sfera in equilibrio sull’acqua, può esse-re paragonata alla nostra vita emotiva, in cui noi siamo lasfera e l’acqua rappresenta le nostre emozioni nelle qualici troviamo a “navigare” costantemente e nelle quali cicapita a volte di galleggiare perfettamente e a volte di af-fondare.

La sfida, per me, consiste nel comprendere in che mo-do possiamo riuscire a mantenere la sfera in equilibriotra i nostri infiniti flussi emotivi. Come fare, quindi, a rag-giungere e a mantenere uno stato di benessere e presidioemotivo, a raggiungere quella condizione che alcuni chia-mano pace e altri ancora “zona”? In questo stato ci trove-remo nella condizione migliore per gestire lo stress quoti-diano e navigare i nostri stati d’animo riuscendo ad appa-rire come la sfera.

Attenzione però, l’obiettivo non è quello di apparireprivi di emozioni ma, al contrario, consapevoli di esse,

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tanto consapevoli da riuscire a navigare tra queste man-tenendo la nostra rotta e la nostra intenzionalità.

Ripercorriamo brevemente quello che abbiamo dettofino ad ora: nella prima parte del capitolo abbiamo parla-to di cosa sono e come funzionano i “sequestri emotivi” eho suggerito di lavorare sui propri pattern cercando diacquisire consapevolezza dei propri schemi ricorrenti.Per esempio, il mio principale schema ricorrente è comu-ne a quello di molte persone, ovvero: la paura di perdereil controllo e quindi la mia efficacia personale. Quandoho timore di perdere il controllo, cado nello sconforto; inquesti momenti di disequilibrio cerco di mostrare, princi-palmente a me stesso, che non sono preoccupato e provoad apparire calmo e di far vedere quanto sono capace agestire i problemi; mi sforzo di apparire così a tutti: aimiei colleghi, agli impiegati, al mio capo, a mio figlio, amia moglie e a mia madre; soprattutto, mi sforzo di averela risposta pronta per ogni mio problema. È in queste si-tuazioni che mi rendo conto di quanto i miei pensieri inte-ragiscano con le mie emozioni. A volte hanno la meglio leemozioni, altre volte, invece, lo ha il pensiero; tutto sisvolge in un costante scambio.

Avere consapevolezza della “danza” che avviene fra lenostre emozioni e i nostri pensieri rappresenta la chiaveper sviluppare l’intelligenza emotiva. È sicuramente com-plicato acquisire questa sensibilità e consapevolezza,perché nel processo di escalation vi è un sistema, un flus-so; vi sono pensieri, emozioni e azioni che si influenzanogli uni con gli altri proprio come abbiamo visto nelle pri-me pagine di questo capitolo.

Poiché il sistema limbico ricerca attivamente inputdall’esterno e, in particolare, dalle persone che ci circon-dano, è fortemente influenzato e condizionato da queste,dai loro pensieri, dalle loro emozioni e dalle loro azioni.

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Ciò non significa che siamo vittime degli altri, ma che sia-mo in relazione con gli altri e che tutti noi siamo “condan-nati” a influenzarci continuamente. La nostra società haminimizzato, banalizzato e perfino denigrato le emozionial punto che alcune persone non ammettono di provarne.

Il pensiero cognitivo è stato definito “alto ordine dipensiero” perché gli scienziati ritenevano che i processirazionali fossero più “avanzati” rispetto alla confusioneprovocata dall’espressione delle emozioni. Per fortunanegli ultimi dieci anni c’è stata una svolta di tendenza, fi-nalmente le persone stanno rivalutando il ruolo delleemozioni, riconoscendo a esse cittadinanza.

Antonio Damasio sostiene che la coscienza e la consa-pevolezza dei nostri pensieri sia generata da un’emozio-ne.6 Nel corso di una conversazione un giorno Damasiomi disse: “la tua vita è come un film e la tua consapevo-lezza dipende da come guardi questo film. Sono le tueemozioni che creano la consapevolezza della tua vita”.Senza le emozioni, afferma Damasio, perderemmo real-mente di vista ciò che è importante per noi, compreso ilnostro ruolo in questa vita. In ogni caso, molti di noi sonocresciuti pensando che fosse più conveniente mettere daparte le emozioni, e quello che spero di riuscire a fare èoffrire spunti di riflessione e considerazioni in grado discalfire, se non demolire completamente, questa falsacredenza.

La questione con cui dobbiamo scontrarci non è aboli-re le emozioni ma imparare a gestirle, ed è con questaaspettativa che introduco la seconda competenza che ap-partiene all’area self management e che ho già iniziato aenunciare nelle pagine precedenti. Sto parlando dellacompetenza chiamata “navigare le emozioni”, ovvero la

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6 Damasio (1999).

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capacità di “controllare” le emozioni, ascoltarle, com-prenderle e trasformarle.

L’obiettivo di questa competenza consiste nel costitui-re un’alleanza tra la componente razionale e la compo-nente emotiva del nostro cervello. Ritornando all’esem-pio della fontana con la pietra a forma di sfera: senzal’acqua la pietra rimarrebbe attaccata alla base, ma è al-trettanto vero che, senza la pietra, l’acqua stagnerebbenon avendo la forza di essere messa in movimento.

Quando la fontana è in stato di equilibrio, l’acqua flui-sce riuscendo a esercitare una costante pressione sullapietra; ai nostri occhi l’acqua appare calma, in continuomovimento, in grado di modificare la sua forma senza pe-rò spruzzare gocce attorno a sé.

Noi possiamo decidere di comportarci allo stesso mo-do, possiamo scegliere in che modo esprimere le nostreemozioni: se farlo in maniera equilibrata e intenzionaleoppure istintiva. Sicuramente agire in maniera intenzio-nale, ovvero essere coscienti di cosa si vuole fare e delleconseguenze a cui potremmo andare incontro, ci aiute-

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Competenza IE: Navigare le emozioniAlle persone viene spesso detto di sopprimere emozioni come rab-bia, gioia o paura e di tagliarle fuori dal processo decisionale. Ma isentimenti forniscono consapevolezza, energia e sono la base veraper quasi tutte le decisioni. Navigare le proprie emozioni identifical’abilità di accettare i propri sentimenti, e l’accettazione è una condi-zione necessaria in quanto solo così è possibile utilizzare le proprieemozioni. Se non accetto la rabbia che provo nei confronti di una per-sona non saprò nemmeno gestirla e superarla.L’efficacia di questa competenza sta nel valorizzare le proprie emo-zioni. Ciò richiede tempo e attenzione. È necessario considerare leproprie emozioni e ricercare in esse le ragioni che stanno dietro aisentimenti. Se si applica questa abilità, si assiste a un incrementodella produttività e a un miglioramento della relazione con gli altri.

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rebbe a valutare meglio le nostre azioni e le nostre scelte.A seguito delle nostre valutazioni, infatti, possiamo deci-dere di vivere le emozioni in modi differenti come:

– farle scorrere o provando a resistere a esse;– cercare di esprimerle o di soffocarle;– provarle in maniera debole o forte.

Imparare a esprimere e u-sare le emozioni non è cer-to facile, ma nemmenoimpossibile. Potrebbesembrare che questo pro-cesso di consapevolezza eanalisi abbia bisogno dimolto tempo e che quindi sia poi difficile metterlo in prati-ca nella vita reale, ma questo è solo un luogo comune. In-fatti, una volta che acquisiremo sensibilità ci verrà sponta-neo applicare queste attenzioni allo stesso modo in cui im-pariamo a guidare una macchina: all’inizio siamo attenti aogni piccola mossa, ma a mano a mano che prendiamoconfidenza con la guida agiamo in maniera automatica ap-parendo e sentendoci del tutto naturali.

Sicuramente un primo punto di partenza è rappresen-tato, come già più volte sottolineato, dalla conoscenza deinostri pattern; rispetto a questi, una volta che avremochiari quali sono i nostri schemi ricorrenti, sarà anche piùfacile prevedere modalità per non incorrere nei pericoli acui sappiamo di andare incontro.

Cautela: considerare le resistenze!

Sicuramente incontreremo sempre delle resistenze nell’e-sercitare e nell’utilizzare le nostre emozioni, soprattutto

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Nel tempo, modifichiamo le no-stre vite e cambiamo. Il pro-cesso non finisce mai fino ache non moriamo e le scelteche facciamo sono una nostraresponsabilità.Eleanor Roosevelt

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quando siamo convinti che alcune emozioni siano sbaglia-te o pericolose. Per esempio, quando mia figlia è arrabbia-ta si comporta in un modo che io non approvo e che con-sidero negativo; in quel momento, anche se mi dispiaceper lei, non riesco ad avvicinarmi e fino a qualche tempofa mi risultava molto difficile cercare di comprenderla. Misono però reso conto che se mi interessava davvero aiu-tarla a crescere e farle abbandonare quel comportamentodovevo affrontare quegli atteggiamenti per me tanto fasti-diosi e verso i quali sarebbe stato più facile punirla o ur-larle contro. Ho dovuto imparare a gestire le mie emozio-ni di fastidio e delusione se volevo ottenere un risultatoefficace con lei, ho imparato a “navigare” la mia rabbia e aprovare a mettermi nello stato d’animo giusto per poterlaascoltare e farmi comprendere.

Cosa accade in questi momenti? Perché ci risulta diffi-cile affrontare situazioni che riteniamo “spiacevoli”?

Anche in questo caso il perché può essere ricercatonei meccanismi che presiedono il funzionamento del no-stro cervello. Come abbiamo visto, il cervello emotivo ècostantemente impegnato a tutelarci e a garantirci sicu-rezza e, per farlo bene, cerca di opporre resistenza a tuttociò che gli appare pericoloso. Ecco così che, più frequen-temente di quanto possiamo immaginare, di fronte a statid’animo poco piacevoli cerchiamo di non prestare atten-zione a quello che stiamo provando: in questo modo è piùfacile andare avanti senza mettere in discussione le no-stre certezze.

Il punto è che le emozioni, come abbiamo già detto,non possono essere ignorate perché in un modo o nell’al-tro riusciranno a emergere. Se evitiamo di dare ascolto ai“segnali deboli” che le nostre emozioni ci lanciano, ri-schiamo di innestare un meccanismo di malessere chespesso sfocia nel disagio e nella difficoltà ad affrontare le

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situazioni. Pensate a quante volte ci poniamo un obietti-vo, anche molto semplice, che razionalmente riteniamosensato ma che emotivamente non riusciamo a sostene-re! Una dieta iniziata a mai portata avanti, un progetto in-trapreso e mai concluso, un viaggio organizzato e mairealizzato e così via. In ciascuna di queste situazioni il no-stro “cervello razionale” ci dice che è giusto o desiderabi-le comportarci in un certo modo, ma alla fine il nostro“cervello emotivo” sembra remarci contro. Come mai?

Il concetto della resistenza mi aiuta a introdurre la ter-za competenza dell’area self management, ovvero: la“motivazione intrinseca”, attraverso la quale potremmotentare di comprendere meglio il perché di alcuni nostriinsuccessi e successi. Questa competenza ci supporta, in-fatti, nel perseguimento di ciò che per noi è importante.

Pensate a che cosa accade quando tentiamo di muove-re un dito su una superficie liscia e oleosa: anche se ci im-pegniamo affinché il nostro dito percorra tutta la superfi-cie e raggiunga il punto che ci siamo prefissati, questocontinuerà a scivolare. Non servirà a nulla tentare di im-primere maggiore forza sul dito; infatti, continueremo ascivolare fino a quando l’olio non sarà completamente ri-mosso.

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Competenza IE: Trovare la motivazione intrinsecaLa motivazione intrinseca rappresenta la capacità di ricercare dentrodi sé le leve motivazionali che ci spingono all’azione, l’energia perso-nale piuttosto che quella proveniente dall’esterno, in linea con i no-stri valori personali.La motivazione intrinseca è un’abilità che dà all’individuo l’energiaper un maggior impegno, raggiungere dei risultati, una maggiore indi-pendenza, nonché collaborazione e interdipendenza con le altre per-sone. Se si utilizza la motivazione intrinseca non si avverte il bisognodi ricevere lodi e ricompense dagli altri, perciò si spende meno tem-po a ricercare il consenso generale e si riesce, con maggiore effica-cia, a non perdere di vista la propria meta.

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La motivazione intrinseca può essere paragonata allacondizione in cui, nelle nostre azioni, è assente l’olio. È,quindi, lo stato d’animo nel quale ci troviamo quando ab-biamo fatto piazza pulita di tutte le resistenze, gli alibi e ipregiudizi che solitamente rischiano di farci scivolarelungo il tragitto. La motivazione intrinseca è la spinta cheproviene dal nostro interno, legata a ciò che per noi èrealmente importante e che ci fa stare bene e quindiamiamo fare. Un punto essenziale della motivazione in-trinseca è che quello che per noi è importante non è sem-pre chiaro ai nostri occhi, molte volte siamo confusi daciò che è comunemente giusto e ciò che desideriamo nelnostro profondo e, spesso, l’incoerenza tra queste duespinte genera il famoso “olio”.

Avere consapevolezza di ciò che è importante per noifacilita lo sviluppo della nostra motivazione intrinseca eci aiuta nel perseguimento dei nostri obiettivi. Quando lamotivazione intrinseca è elevata riusciamo a focalizzarcimeglio sui nostri interessi, riusciamo a essere maggior-mente determinati e, soprattutto, a non farci distoglieredal parere degli altri. Se una cosa è realmente importanteper me, se sono convinto che è quello che voglio, riusciròa essere meno sensibile alle opinioni altrui.

Cosa vuol dire questo per un leader? È facile immagi-nare come una persona che occupi ruoli di leadershippossa aver sviluppato una forte motivazione intrinseca.Infatti, un leader efficace non può essere spinto solo damotivazioni esterne (estrinseche), deve aver sviluppatoun buon allineamento tra ciò che è importante per lui e ilsenso e il significato del proprio ruolo. Un leader con unaforte motivazione intrinseca, tuttavia, ha un ulteriorecompito, ovvero: essere capace di sviluppare questacompetenza anche nei propri collaboratori. Creare unteam responsabile in cui tutti siano in grado di rintraccia-

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re in sé stessi le proprie leve è fondamentale; se un colla-boratore ha ben chiaro cosa è importante per sé sapràanche comunicarlo e condividerlo con il proprio respon-sabile il quale, a sua volta, potrà avere a disposizione in-formazioni in più per gestire la relazione.

Adattare l’intelligenza!

Una volta chiesi a uno psicologo di annunciare la no-stra conferenza internazionale NexusEQ nella sua mai-ling list. Mi rispose: “Ognuno di noi sa perfettamenteche le emozioni sono irrazionali e non analizzabili inmaniera logica, perciò l’intera idea dell’intelligenzaemotiva è un ossimoro!”.

Dopo aver riflettuto a lungo – e non vi nascondo cheebbi bisogno di “navigare” abbondantemente le mieemozioni – decisi di rispondergli chiedendogli: “Haimai avuto dubbi o difficoltà a risolvere un problema dilogica? Ognuno di noi ha intelligenza emotiva, questotuttavia non vuol dire che tutte le nostre emozioni sia-no intelligenti! Non tutte le emozioni sono utilizzabiliin ogni momento e non tutte le persone ne sanno rico-noscere la differenza. Il nostro obiettivo è quello di mi-gliorare questa intelligenza. Così come abbiamo impa-rato l’algebra, possiamo scegliere se imparare a risolve-re con successo le equazioni emotive nella nostra vita”.

L’intelligenza emotiva si sviluppa perché le emozioni so-no fonti ricche di informazioni e influenzano le nostre de-cisioni. Le emozioni ci forniscono informazioni su ciòche accade dentro noi stessi e nelle nostre relazioni conle altre persone. Queste informazioni possono esseresoppresse e ridotte se assumiamo, come abbiamo visto,un atteggiamento di resistenza o di difesa nei confronti

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delle nostre emozioni; esercitandole, invece, aumentere-mo la comprensione e la consapevolezza di noi stessi.

Abbiamo visto che si ha sempre una scelta: quando ri-maniamo vittime dei nostri schemi ricorrenti possiamoreagire con l’attacco o con la fuga oppure navigando lenostre emozioni per fornire una risposta intenzionale. Inentrambi i casi avremo dei costi o dei benefici e occasio-ni di sfida o di opportunità. Scegliere di navigare le pro-prie emozioni significa scegliere di vivere liberandosi deipropri timori principali, legati, il più delle volte, alle per-cezioni e ai giudizi provenienti dall’esterno. Se sviluppia-mo realmente la nostra motivazione intrinseca questi ti-mori diminuiranno o, quanto meno, assumeranno una di-mensione di consapevolezza che ci consentirà di com-prendere meglio cosa sta accadendo. Cambiando il modocon cui ci relazioniamo alle nostre emozioni può cambia-re, quindi, l’approccio che diamo a determinate cose e si-tuazioni. Alcune precisazioni:

– navigare (lasciar fluire) non è sinonimo di debolezza:darsi tempo per riflettere e agire senza cedere alla no-stra amigdala ci consente di essere intenzionali;

– non farsi prendere dalla paura che le emozioni possa-no soffocarci; quello che si può fare è esserne consa-pevoli e imparare a gestirle: pensiamo alla sfera chegalleggia in maniera costante nell’acqua;

– se apparire diversi ci sembra un rischio, pensiamo chela vita è nostra e l’unico modo che abbiamo per sentir-ci realizzati è quello di agire in linea con ciò che è im-portante per noi e non per gli altri;

– diamoci tempo per crescere e migliorare, non mettia-moci fretta: ogni cambiamento ha bisogno di esseremetabolizzato, altrimenti si rischia di collezionare in-successi;

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– sovente la paura di sbagliare tende a frenare le nostreazioni: questo non deve portarci a non agire ma, piut-tosto, a comprendere se e dove sbagliamo. L’apprendi-mento procede spesso per tentativi ed errori a cui ènecessario aggiungere la consapevolezza per potercomprendere.

Riassumendo, vorrei ricordare che le emozioni hannol’obiettivo di garantire la nostra sicurezza mentale e fisica,per questo spesso ci accade di provare forti sensazioni oreagire in maniera eccessiva; è fondamentale ricordarse-ne, perché ci aiuterà a comprendere meglio quello che ac-cade a noi o alle persone che ci circondano. Sicuramenteda ora in avanti sapremo che dietro a un’emozione forte ospiacevole vi è un messaggio che una certa parte di noipuò ritenere pericoloso. Allo stesso modo, quando qual-cun altro ha una reazione forte sapremo che questa perso-na sta percependo in quel momento un segnale di pericolo.Non banalizziamo questa reazione, ma riconosciamola co-me valida e importante per individuare in che modo sup-portare chi ci è accanto e aiutarlo a superare i suoi timori.

Propongo un’esercitazione che credo sintetizzi benequanto appena detto, infatti una delle più grandi difficol-tà che insorge in momenti di forte affaticamento emotivoè proprio lo stress. Cosa si può fare per affrontare lostress? Purtroppo non esiste una ricetta efficace per tutti,tuttavia è possibile individuare piccole azioni che aiutanoa gestire meglio queste situazioni.

Rispondete alle domande che seguono e provate ascrivere il vostro antidoto antistress.

– Come reagisco di solito alle situazioni stressanti: cosafaccio?

– Quali sono gli effetti sulle persone che mi circondano?

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– Di cosa avrei bisogno per sentirmi meglio?– Cosa faccio per sentirmi meglio?– Ora provate a riassumere la vostra ricetta antistress

prendendo spunto dalle risposte precedenti. Cosa de-vo fare per combattere lo stress?

Sotto la scala mobile: ottimismo e rinnovamento

Come detto in preceden-za, la reazione “di attac-co” è parte di una sequen-za. Quando abbiamo unareazione di attacco è per-ché ci stiamo mettendo in

una certa predisposizione d’animo che ci porterà a intra-prendere la salita sulla scala mobile. Lungo la scala, an-che il più piccolo problema si trasforma in un grande pro-blema, questo perché diventiamo più vulnerabili e reatti-vi e perdiamo efficacia in quanto diventiamo facile predaper lo stress.

Molti uomini di business (forse dovrei dire la maggiorparte) spendono gran parte del loro tempo soffermandosinella parte superiore della scala mobile al punto che nonsanno neppure riconoscere che il loro livello minimo distress è vicino al punto di esplosione. Non si ricordano co-sa c’è nella parte inferiore della scala mobile, e pensano diessere rilassati quando sono vicino all’apice della scala!

Anche intere organizzazioni seguono pattern/schemiricorrenti e poco funzionali al punto da innescare mecca-nismi di distorsione attraverso i quali è facile intrapren-dere decisioni sbagliate, perdere il senso di responsabili-tà, accantonare la comunicazione fino a indebolire le ba-si organizzative dell’azienda.

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Come esseri umani, la nostragrandezza non è la possibilità dirifare il mondo – quello è il mitodell’era atomica – ma la possi-bilità di rinnovare noi stessi.Mahatma Gandhi

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Ciò che Richard Boyatzis e Annie McKee discutono inResonant Leadership è di importanza fondamentale percomprendere in che modo la persona e l’azienda possonoagire per migliorare la tossicità di alcuni meccanismiconsolidati e nocivi all’azienda. Se siamo consapevoli dinoi stessi (self awareness), sappiamo riconoscere a chepunto siamo della scala mobile. Se siamo in grado di ge-stire noi stessi (self management), avremo gli strumentiche ci consentiranno, se lo vorremo, di migliorare.

L’intero modello di Six Seconds agevola il processo disviluppo personale. Se siamo in grado di riconoscere lenostre emozioni, di identificare le varie opportunità, didirigerci verso i nostri obiettivi, potremo scendere dallascala mobile e ristabilire il nostro equilibrio.

Tra le competenze che compongono il modello mancada analizzare e conoscere l’ultima, ovvero: l’“ottimismo”.Si parla molto di ottimismo e ciascuno di noi attribuisceindubbiamente a questa parola un proprio significato.Per me essere ottimisti non vuol dire pensare che andràsempre tutto bene, ma più semplicemente guardare alle

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Competenza IE: Esercitare l’ottimismoL’ottimismo permette alle persone di vedere oltre il presente e diprendere consapevolezza del futuro. In questo modo le persone so-no in grado di incrementare il numero di scelte disponibili. Una pro-spettiva ottimistica consente un’analisi e un processo decisionalemaggiormente produttivo.Esercitare l’ottimismo permette di trovare soluzioni innovative e con-sente a sé e agli altri di vedere al di là delle scelte ovvie, in modo dapoter generare ulteriori possibilità. L’ottimismo aiuta a gestire più ef-ficacemente sentimenti di disperazione e frustrazione, i quali potreb-bero interferire con altri sentimenti maggiormente piacevoli.In altre parole, l’ottimismo aiuta a superare le avversità e contribui-sce al conseguimento della salute e della felicità. La nostra ricercamostra come alti livelli di ottimismo predicono un buono stato di sa-lute.

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alternative. Mi spiego meglio, ciascuno di noi attraversafasi di ottimismo e pessimismo, l’interpretazione pessi-mistica delle cose fa sì che i problemi sembrino più gran-di e insormontabili di quello che in realtà sono.

Martin Seligman è uno psicologo che ha studiato ma-lattie mentali per parecchi anni e ha potuto constatareche curare la malattia non era abbastanza: gli psicologidevono infondere nel paziente la serenità. La sua vasta ri-cerca sull’ottimismo indica che uno stile ottimista di pen-siero può essere appreso, dimostra che gli ottimisti vivo-no più a lungo, ottengono maggiore successo, vivono inmaniera più sana e, infine, riescono a costruire rapporticoniugali migliori.

Sviluppare un approccio ottimistico alla vita vuol diremodificare pensieri come: “Non otterrò mai di meglio”oppure “Questo problema sta rovinando tutta la mia vita”e “Non c’è niente che io possa fare”.

In poche parole, esercitare un atteggiamento ottimistaci aiuta a prendere consapevolezza del fatto che i proble-mi sono provvisori (passeranno), specifici (non riguarda-no tutti gli ambiti in generale) e che ciascuno di noi puòfare molto per cambiare le cose (non abbiamo già prova-to tutto).

Una ricerca condotta dal nostro team ha dimostratoche l’ottimismo è un’importante componente della lea-dership e predice circa il 20,5 per cento della salute fisicae mentale della persona.7

Esercitare l’ottimismo è, quindi, una componente es-senziale per diventare un buon leader.

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7 In Learned Optimism Martin Seligman riporta diversi studi sulla re-lazione tra salute fisica e mentale e l’ottimismo. Abbiamo avvalorato que-sti risultati con lo strumento SEI Assessment (cfr. Freedman, Ghini e Fie-deldey-Van Dijk, 2005).

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Sintesi

Concetto chiave:– Possiamo scegliere come reagire. Per gestire le nostre

emozioni è necessario iniziare dalla consapevolezza diesse, la quale ci porterà ad anticipare i “pericoli” delciclo della reazione e dell’escalation emotiva. In que-sto modo riusciremo a recuperare e a mantenere unsano equilibrio.

Letture di riferimento:– Richard Boyatzis e Annie McKee (2005), Resonant

Leadership.– Martin Seligman (1991), Learned Optimism: How to

Change Your Mind and Your Life.

Esercizio chiave:– Navigare le emozioni. Anziché controllare le vostre

emozioni a un livello superficiale, lasciatele esprime-re, ascoltatele, esploratele e lasciate che vi guidinoverso un eventuale cambiamento.

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6. Self direction: dal successoal significato

“Cosa faresti se non fossi preoccupato?” (George McCown).

George McCown è il presidente della McCown De Leeuw& Co., un’azienda di private equity che opera negli StatiUniti. In particolare, la McCown De Leeuw & Co. acquistae gestisce una quarantina di attività commerciali fatturan-do, attualmente, 1,2 miliardi di dollari; dal 1984 ha acqui-stato e fatto funzionare 40 società che oggi guadagnanocomplessivamente più di 6 miliardi di dollari l’anno. Co-me è stato possibile ottenere tutto questo?

McCown e i suoi soci avevano ben chiaro il proprioobiettivo sin dall’inizio: costruire e far crescere aziende ingrado di fare la differenza. McCown non nasconde che,quando decise insieme al suo team di confrontarsi conWall Street, aveva molti timori: come avrebbero presoquella strana missione? Accadde qualcosa di sorprenden-te: il mercato rispose bene e le persone erano entusiastedi potere unire il business a qualcosa di più profondo. Aposteriori, possiamo dire che l’elemento di successo dellaMcCown De Leeuw sia stato proprio il fornire un senso.

Quando riusciamo ad allineare le nostre azioni quoti-diane con una visione, un sogno, un perché, la nostra ca-

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pacità di leadership diventa irresistibile. È proprio que-sto il tema che affronteremo in questo capitolo: cerchere-mo di analizzare e comprendere le dinamiche che ci por-tano a raggiungere i nostri successi e, quindi, l’importan-za dell’allineamento tra le nostre azioni e i nostri valori eobiettivi, ovviamente sempre in riferimento alla compo-nente emotiva e al nostro modello.

Spesso sento dire che la società attuale conduce all’e-goismo e che, in conseguenza di ciò, le persone sono es-senzialmente focalizzate sul proprio sé restando indiffe-renti alle esigenze del prossimo. Tuttavia posso dire, peresperienza personale, che ciascuna delle persone con cuisono entrato in contatto mi ha sempre dimostrato di ave-re un profondo desiderio di contribuire a cambiare, an-che nel proprio piccolo, il mondo. Immagino che ce nesiano tante altre a cui non interessi affatto questo ma,non avendole mai incontrate, mi sento quanto meno di di-re che siano in numero inferiore.

Molte delle persone con cui ho lavorato hanno spessodichiarato di sentirsi motivate dalla possibilità di fare ladifferenza nella vita personale e in quella professionale.

A questo punto è d’obbligo una domanda: voi, ritenetedi fare la differenza? Mi rendo conto che non è facile for-nire una risposta, perché significa entrare nella sfera per-sonale. Semplicemente, vorrei invitarvi a fare quello chespesso ci dimentichiamo (me compreso) di chiederci, ov-vero: cosa ci faccio qui, intendo dire, in questo mondo?Quale significato può assumere, per me e per gli altri, lamia vita e che contributo riesco a dare nel mio piccolo?

Certo, siamo poco abituati a riflettere su queste cose,spesso viviamo sorvolando su queste domande che po-trebbero aprire voragini nel nostro animo, potrebberomettere in discussione quello che stiamo facendo e comelo stiamo facendo. Tuttavia rappresenta un passaggio ob-

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bligato perché se è vero, come abbiamo dimostrato, chela consapevolezza è fondamentale per sviluppare le no-stre competenze emotive, allora sarà altrettanto vero chela consapevolezza non può prescindere dalla conoscenzadi ciò che ha significato per noi, dei nostri valori e dei no-stri obiettivi.

Per capire se il vostro modo di comportarvi e di agire èin grado di fare la differenza chiedetevi: cosa potrebberodire di me, in futuro, i miei figli, nipoti, amici, familiari?

In uno dei miei interventi didattici ho potuto lavorareper l’amministratore delegato di un’azienda sanitaria.I suoi collaboratori erano profondamente motivati dalloro lavoro e dalla volontà di salvare vite umane, men-tre per lui la priorità era rappresentata dagli aspettieconomico-finanziari e, quindi, dalle esigenze di bud-get e di fatturato. Si trovò a fronteggiare una crisi dimercato e iniziò a ripetere ai suoi: “Dovete fare del vo-stro meglio, perché se non lo fate l’azienda chiuderà”.Più volte gli ho ripetuto che i suoi impiegati non sipreoccupavano dell’aspetto finanziario dell’azienda,ma dei pazienti e delle vite da salvare. Le cose funzio-narono, ma solo per un breve periodo di tempo; in se-guito alcuni medici decisero di licenziarsi e passare al-la concorrenza, mentre altri ripresero a non considera-re l’aspetto economico-finanziario della loro società.Cosa era accaduto?

L’impegno dei medici verso un obiettivo comune po-teva rappresentare una forte leva di successo per attua-re il cambiamento e mantenere in vita quella aziendasanitaria, ma ciò non accadde, perché il leader non fucapace di collegare la motivazione provata verso il pro-prio lavoro con un obiettivo a lungo termine che fornis-se un senso. L’azienda fallì in meno di due anni.

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Al contrario Grant Bannen, direttore generale delloSheraton Studio City a Orlando, riuscì in un intentosimile a quello appena descritto. Grant aveva ricevutol’incarico di dirigere un hotel molto importante con ol-tre 500 camere, una sfida molto ardua che lui accettòvolentieri. Poiché per natura Grant sapeva di essere unperfezionista severo e inflessibile, era consapevole cheavrebbe rischiato di essere considerato un critico e undespota se non fosse riuscito a far comprendere ai di-pendenti il suo approccio. In un’occasione, però, riuscìquasi inaspettatamente a spiegarsi molto bene. Unevento, in particolare, mise a dura prova tutto lo staffdell’hotel. Doveva essere ospitato un gruppo molto im-portante, l’arrivo non era stato programmato e questocomportò un grande sforzo da parte di tutti, Grantcompreso, che in quei giorni era preda di un fortissimoattacco di artrite. In quell’occasione, nonostante le suecondizioni, aiutò a sistemare letti e stanze in tempoper l’arrivo del gruppo. Questo comportamento lo aiutòa guadagnarsi la stima dei collaboratori, che comprese-ro quanto significasse per lui il suo lavoro e, soprattut-to, la cura dell’ospite.

Il successo di Grant ci dimostra come una leadershipemotivamente intelligente può essere raggiunta conl’autenticità e l’impegno, non solo con il piacere. Ho lavo-rato con Grant e la sua squadra per quasi un anno, facen-do training allo staff sul tema dell’intelligenza emotiva.In quell’anno incrementarono la quota di mercato del 24per cento e ottennero i più alti punteggi mai raggiuntinella storia dell’hotel. Si aggiudicarono, inoltre, il prima-to nella classifica sulla customer satisfaction percepitadagli ospiti che avevano soggiornato in varie strutture al-berghiere negli ultimi tre mesi dell’anno. Alla fine dell’an-

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no – incredibile! – Grant si congratulò con tutto il perso-nale, dopodiché tornò serio e, in piedi, davanti a tutti,disse: “Ma non perdete la testa. Abbiamo ancora moltolavoro da fare qui! Il motto per quest’anno sarà: nessunautocompiacimento”.

Molti leader allontanerebbero il personale se adottas-sero uno stile di leadership brusco e determinato comequesto, ma lo staff di Grant sapeva che l’atteggiamentodel loro leader era riconducibile a una ragione ben più im-portante del mero successo finanziario. Grant era riuscitoa farsi conoscere e accettare per quello che era e, quindi,tutti sapevano bene che il suo stile dimostrava semplice-mente un genuino senso di preoccupazione e premuraper il prossimo; desiderava profondamente che gli ospitisi sentissero circondati di attenzioni ed era autentica-mente orientato a questo, tanto che lui per primo si impe-gnava a trasferire questo messaggio a partire dal modo incui camminava lungo i corridoi. Ecco perché il personaleprovava un profondo rispetto per “il signor Grant” (cosìlo chiamano affettuosamente). Ogni giorno Grant era inprima linea a dimostrare al suo staff come fare per pren-dersi cura degli ospiti nel migliore dei modi possibili.

Il suo impegno è tuttora contagioso, influenza positi-vamente il personale e, cosa ancora più importante, con-tribuisce a creare un clima interno piacevole, come di-mostra uno dei dati più significativi che siano stati rag-giunti, ovvero l’abbassamento del turnover. Recentemen-te Grant mi ha scritto: “Il trend di miglioramento sta con-tinuando. Da 24 mesi consecutivi stiamo aumentando laquota di mercato; alla fine del 2005 rispetto al 2003 (il mioprimo anno completo di lavoro) i ricavi sono aumentatidel 64 per cento e i margini addirittura del 429 per cento”.Nel 2004 Grant è stato definito GM (General Manager) del-l’anno.

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Leadership risonante

In Primal Leadership Goleman, Boyatzis e McKee parla-no di leadership risonante, ovvero di leader che sviluppa-no un forte livello di intelligenza emotiva attraversol’allenamento delle proprie competenze. Nella loro descri-zione, i leader risonanti sono capaci di portare il gruppo aconnettersi con un significato. È questo il perno dell’areaself direction, che ha come obiettivo la costruzione delsenso.

Le persone che riconosciamo come leader o, comun-que, come uomini o donne di valore, sanno creare attor-no a sé un clima di particolare fascino in cui tutti posso-no sentirsi coinvolti. A me è capitato di vivere questaesperienza qualche tempo fa.

Mi trovavo a un congresso a cui erano presenti moltivincitori del premio Nobel per la Pace, come DesmondTutu (arcivescovo che ha reso possibile il processo di pa-ce e di riconciliazione in Sudafrica), Oscar Arias (presi-dente che ha disarmato unilateralmente il Costa Rica) eJody Williams (che ha condotto la campagna internazio-nale a Ban Landmines). In questo ambiente, vi assicuroche era facile percepire coinvolgimento verso coloro cheavevano significato così tanto per altre persone e che,grazie alle lotte e all’impegno personale, avevano contri-buito a migliorare una parte del mondo. Io stesso mi sen-tii bene pur senza aver parlato con nessuno, vedevo lorocome un possibile esempio di ciò che l’uomo può fare dicostruttivo e la mia stessa motivazione verso i miei inte-ressi personali sembrava acquistare maggior forza.

Non sto promuovendo il “culto della personalità” o af-fermando la necessità di acquisire uno “status sociale”,ovvero quella condizione descritta egregiamente da Ro-bert Cooper: “Se non hai un titolo e un ufficio d’angolo,

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chi ti seguirebbe?”. Ritengo che, a prescindere dal ruolo edalla posizione ricoperta da ciascuno di noi nella società,ciò che segna realmente la differenza tra l’essere uno deitanti e una persona da ricordare sia la passione con cuiperseguiamo i nostri obiettivi. L’esempio che diamo è de-terminante per motivare i nostri collaboratori; le perso-ne, infatti, fanno solo il 30 per cento di quello che dicia-mo loro di fare, mentre per il restante 70 per cento fannoquello che ci vedono fare.

Essere un leader riconosciuto ed efficace non derivada un titolo o da una posizione (o almeno questo può rap-presentare solo una parte formale del riconoscimento),qualunque leadership è determinata dalla possibilità chesappiamo offrire alle altre persone di rispecchiarsi in noi.Dipende da noi e da quanto siamo capaci di influenzarechi ci circonda. Attenzione però: come più volte sottoli-neato, influenzare non vuol dire manipolare.

Uno dei migliori complimenti che abbia mai ricevutomi è stato fatto da un ragazzo di nome Norm al termine diun lavoro condotto insieme. Avevamo collaborato a ungrosso progetto formativo che ci aveva portato a impe-gnarci molto e senza sosta arrivando spesso a fare anchenotte fonda. Io ero il consulente esterno dell’aziendapresso la quale lavorava Norm, mentre lui era il responsa-bile interno del progetto. Al termine della fase di proget-tazione e preparazione del corso anche Norm prese parteall’itinerario formativo, quindi ebbe modo di riflettere eallenare le proprie competenze emotive. Il percorso diformazione aveva l’obiettivo di portare i partecipanti adacquisire maggiore consapevolezza del loro sé (self awa-reness) e delle loro emozioni e di osservare in questastessa ottica anche quello che stava accadendo nella loroazienda. Volevamo aiutarli a gestire il cambiamento econsiderare le opportunità che ciascuno di essi aveva per

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contribuire al successo dell’azienda (self management).Infine, abbiamo affrontato l’ultimo passaggio in cui cia-scun partecipante ha potuto mettere in relazione le pro-prie scelte con la mission dell’azienda (self direction) ecomprendere così in che ottica era possibile vivere e im-plementare il cambiamento.

In questo tipo di progetto, in cui il cambiamento e losviluppo sono posti come obiettivi a medio-lungo termi-ne, può essere difficile rendersi conto da subito se i pro-pri sforzi stanno avendo successo. Spesso, però, i segnaliarrivano in momenti inaspettati e non programmati, co-me accadde a me con Norm. La sera di chiusura del corsostavamo facendo ritorno in hotel e, di punto in bianco,Norm mi disse: “Josh, sei una brava persona e un buonleader, hai conquistato la mia fiducia; ora mi lascerei gui-dare da te anche in un palazzo in fiamme”.

Non furono tanto le parole a colpirmi quanto l’emozio-ne con cui le pronunciò. Inoltre, mi fece piacere notarecome Norm avesse assimilato i contenuti affrontati in au-la, che avesse deciso di allenare le proprie competenzeemotive e che in quel momento stesse facendo il suo pri-mo tentativo: aveva provato a prendere consapevolezzadelle proprie emozioni (self awareness) e aveva deciso diutilizzarle piuttosto che nasconderle (self management),dicendomi quello che sentiva e pensava in quel momento.D’altro canto, io percepii l’autenticità e la sincerità dellesue parole, perché era stato fortemente empatico (self di-rection) ed era riuscito a farmi sentire realmente in con-nessione con lui.

Per esperienza so che quando le persone si comporta-no in questo modo riescono a cambiare e migliorare leproprie skill emotive e relazionali. Il gesto di Norm, oltrea essere stato importante per lui (perché segnalava la suavoglia di mettersi in gioco), ha avuto un forte significato

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anche per me che, da allora, cerco di tenere sempre amente come quelle parole abbiano sintetizzato molto be-ne il significato del mio “obiettivo eccellente”.

Empatia elusiva

L’empatia è una delle competenze più importanti dell’IE e,indubbiamente, anche unadelle più provocatorie. Es-sa identifica il grado in cuile risposte che diamo allepersone sono appropriatealle loro emozioni, cioè a quello che stanno provando inquel momento.

L’empatia afferisce alla sfera dell’accettazione dell’altroe, per essere esercitata, ha bisogno che nel rapporto tra mee gli altri si sviluppino la fiducia e l’ascolto. Queste duecomponenti, infatti, sono determinate dalla percezione chel’altro ha del mio reale e autentico desiderio di interessar-mi a lui. Se sono interessato alla persona che mi è di frontee, soprattutto, se sono interessato alle sue emozioni, aquello che prova e a cosa sente saprò applicare l’empatia.Anche in questo caso è necessaria una puntualizzazione ecioè: stabilire un contatto con l’altro non vuol dire giudi-carlo, ma accettarlo in modo disinteressato e sincero.

Per meglio comprendere questo concetto, vi invito apensare a una persona che ritenete sia riuscita a entrarein empatia con voi e a stabilire una connessione sinceranel momento in cui ne avevate bisogno. Provate a ricor-dare come vi ha fatto sentire, se avete percepito il suo au-tentico interesse verso il vostro racconto e se, a fronte diqueste sensazioni, è aumentata anche la vostra fiducianei suoi confronti.

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Finché non proverà compassio-ne verso tutte le cose viventi,l’uomo non troverà pace.Albert Schweitzer

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È importante comprendere bene il significato del termi-ne empatia e soprattutto non confonderlo con l’effetto il-lusorio che potrebbero suscitare gli atteggiamenti appa-rentemente empatici. Proviamo a pensare a cosa accadequando, per esempio, ci troviamo a prenderci cura diqualcuno. Sicuramente possiamo scegliere di comportar-ci in diversi modi, a fronte dei quali produrremo effetti di-versi nella persona di cui dobbiamo occuparci.

Nel caso in cui fossimo disinteressati all’altro (magariperché mossi da secondi fini o, semplicemente, dal dove-re) le nostre emozioni (disinteresse, fastidio, noia, indiffe-renza) troveranno certamente modo di esprimersi attra-verso comportamenti come la fretta, la distrazione, la su-perficialità, le espressioni del nostro volto. In questo casochiediamoci: l’altro si sentirà in contatto con noi? Quantotempo impiegherà prima di percepire il nostro disinteres-se? A mio avviso, in breve tempo, sarà tutto molto chiaroe quello che saremo riusciti a produrre non sarà altro cheun effetto illusorio del nostro interesse verso di lui.

In un secondo caso potremmo, invece, ottenere effettiopposti; se fossimo realmente interessati a prenderci cu-ra di questa persona i nostri modi di agire sarebbero co-

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Competenza IE: Far crescere l’empatiaL’empatia rappresenta la capacità di riconoscere e di rispondere inmaniera appropriata alle emozioni degli altri. È la chiave grazie allaquale possiamo entrare in reale contatto con le persone che ci cir-condano comprendendone i sentimenti, senza giudicarle e favoren-do la creazione di una relazione durevole e di fiducia. L’empatia per-mette di creare un collegamento con l’altra persona attraversol’attenta osservazione delle proprie e altrui emozioni.Essere empatici, però, non significa “fondersi completamente conl’altro” ma essere in grado di “entrare nei panni dell’altro”, avendoben chiaro quali sono i propri sentimenti e le proprie emozioni e qua-li invece appartengono all’altra persona.

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erenti con i nostri stati d’animo e le nostre emozioni. Inquesto modo non impiegheremmo molto a far percepireil nostro interesse e la nostra autenticità anche a chi cicirconda e da questo ad arrivare alla fiducia.

Come vedremo, l’empatia è un concetto sottile, delica-to, complesso da mettere in atto e che può arrivare a de-generare nella falsità e nell’egoismo. D’altra parte, biso-gna dire che si tratta di una competenza che ci appartienesin dalla nascita: infatti, ciascuno di noi possiede inizial-mente un certo grado di empatia, basti pensare ai bambi-ni; ciò vuol dire che siamo geneticamente in grado di da-re risposta empatiche agli altri attraverso il minimo impe-gno. Tuttavia, come spesso accade, una volta cresciuti lenostre attitudini primordiali subiscono forti mutazioni.Da adulti si fa molta più fatica a creare una connessionecon chi ci circonda, perché le nostre esperienze (piace-voli e non) influenzano il nostro comportamento. È perquesto che diventa necessario allenarsi per recuperare lecapacità sopite e uscire dai nostri schemi ricorrenti e dal-le nostre inclinazioni al pre-giudizio.

Personalmente ho dovuto lavorare duramente sullamia empatia. Sono, infatti, caratterialmente molto impa-ziente e per questo rischio, a volte, di essere troppo diret-to con le persone. Rendendomi conto degli effetti chequesto mio modo di fare aveva sulle altre persone ho pro-vato ad allenarmi e a migliorare la mia empatia. Certonon è stato semplice, ancora oggi so che in momenti diforte stress rischio di ricadere nei miei “schemi ricorren-ti”, tuttavia esserne consapevole mi aiuta molto e mi con-sente di essere maggiormente presente e intenzionale. Sevogliamo lavorare sulla nostra empatia è necessario im-parare a chiudere la bocca e ad aprire le orecchie e il cuo-re, ed è per questa caratteristica fondamentale chel’empatia rientra nell’area della self direction.

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Non si tratta solo di gestire le proprie emozioni, peressere realmente empatici è necessario rinunciare a unaparte della nostra sfera individuale e rivolgere il nostrosguardo verso l’altro. Il focus deve necessariamente spo-starsi dal sé all’altro, solo così sapremo ascoltare vera-mente.

Avrete sicuramente fatto esperienza di quanto possaessere difficile ascoltare realmente una persona: il piùdelle volte ci capita di sentire quello che gli altri ci stannodicendo e contemporaneamente pensare a quello che po-tremmo dire noi. Essere empatici vuol dire interessarsiall’altro invece che pensare a quello che potremmo o vor-remmo dire noi, significa spostare la nostra attenzioneverso l’esterno.

A questo punto è lecito chiedersi cosa potremmo fareper sviluppare l’empatia.

L’empatia può svilupparsi in diversi modi, il più impor-tante è senza dubbio l’esercizio all’ascolto e al riconosci-mento delle emozioni dell’altro. È fondamentale ricono-scere le emozioni dell’altro, identificare il suo statod’animo e cercare di comprendere (a prescindere dai no-stri giudizi e dalle nostre opinioni) quello che il nostro in-terlocutore sta provando. Questo è il punto di partenza.Solo dopo questo passaggio potremmo arrivare a metterein pratica azioni “empatiche”. Se, per esempio, ricono-sciamo il disagio e la difficoltà di un nostro collaboratoreverso un certo compito saremo anche in grado di agire inmaniera empatica, ci sarà possibile, per esempio, offrirglisupporto, riflettere insieme sulle sue difficoltà e costrui-re possibili scenari di soluzione. Anche in questo caso èd’obbligo fare una precisazione: tutto quello che stiamodicendo non può prescindere dall’autenticità. Se un lea-der vuole esercitare l’empatia non può fare a meno di es-sere realmente interessato ai propri collaboratori anche

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se, come abbiamo già sottolineato, le buone intenzionispesso non sono sufficienti per assicurare un risultatoeccellente. È più facile, infatti, irritarsi con le personeche entrare in empatia con esse.

Recentemente ho avuto difficoltà a negoziare un accor-do. Subito ho cominciato a sentirmi frustrato, a metter-mi sulla difensiva e ad arrabbiarmi. Ho pensato che sistessero approfittando di me e così ho iniziato a incol-parli.

Il mio schema abituale, quando penso che un “avver-sario” non mi stia ascoltando, è quello di cercare disminuirlo, minimizzando la sua importanza e cercan-do di portarlo verso il mio punto di vista. È un modo diagire sbagliato, ma per me, in quelle circostanze, è mol-to più svilente pensare a come potrei sentirmi se fossicolpito alle spalle da qualcuno. Mi risulta più facilesminuire l’altro perché in quel momento è come se stes-si dicendo a me stesso che in realtà mi sto solo “appro-fittando” di chi non mi apprezza e di chi non mi staascoltando e in futuro potrebbe ingannarmi. Sonopreoccupato che gli altri mi danneggino per primi, percui cerco di anticiparli e danneggiarli prima io e piùin fretta. Questo impulso incomincia a circolare in mequando mi sento vittima di una situazione. Così inizioa reagire utilizzando, per esempio, una pungente iro-nia, che ha come effetto quello di farmi allontanare dalmio interlocutore.

Questo è un esempio di come un’emozione spiacevole (lapaura) generata da una credenza personale (essere vitti-ma di qualcuno) può rivelarsi determinante per costruirerelazioni complesse. In questo modo continua a raffor-zarsi la convinzione di essere attaccati da qualcuno e si

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perde l’occasione di costruire una relazione, per esem-pio, con un nuovo cliente.

Per comprendere e superare questo mio schema misono state molto utili le osservazioni circa il mio compor-tamento di un amico, il quale aveva soprannominato que-sto mio schema il circolo “scatto-inerzia”. Si cominciacon il reagire in un certo modo a quello che infastidisce(scatto) e, poiché a seguito di questa reazione si provauna sensazione piacevole, si continua a comportarsi e areagire sempre allo stesso modo. Più mi comporto così epiù cerco di proteggere il mio ego, dimostrando a mestesso di stare al di sopra degli altri, di essere nel giusto e,proprio per questo, di essere una vittima.

A questo stato di cose possiamo reagire provocando, aposteriori, due effetti egualmente negativi: crolla l’illusio-ne di essere potenti e di essere nel giusto (che avvienenon appena le emozioni lasciano il posto alla riflessione);in secondo luogo, la consapevolezza di essersi comporta-ti in maniera non intenzionale e di essere stati vittima diun proprio schema ricorrente.

La cosa affascinante da osservare, per quanto mi ri-guarda, è che nello stesso istante in cui reagisco istintiva-mente alle mie paure una parte di me è perfettamenteconsapevole che sto agendo in preda a uno “scatto” e chepresto me ne pentirò, che mi distoglierà dai miei realiobiettivi e mi farà allontanare sempre di più dalle perso-ne con cui mi sto relazionando. Le osservazioni del mioamico e la mia curiosità mi hanno aiutato a uscire da que-sta situazione, perché ho cominciato a chiedermi cosastava accadendo alle altre persone. Ho quindi cominciatoa esercitare l’empatia provando a indossare i panni del-l’altro, a riflettere su cosa stava provando o pensando ilmio interlocutore quando mi diceva quelle cose.

Non nascondo che in questo percorso di crescita mi

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ha aiutato molto il mio lavoro, che mi costringe a con-frontarmi quotidianamente con gli altri e a supportarliesercitando necessariamente l’empatia. Se voglio fare be-ne il mio lavoro e portare qualcuno verso un cambiamen-to è necessario che io costruisca un rapporto di fiducia efaccia sentire l’altro realmente compreso.

Per condurre una persona ad acquisire consapevolez-za di sé e degli altri esistono solo due strumenti in gradodi fare la differenza: il primo è l’abilità nel porre le doman-de, il secondo è la capacità di esercitare l’empatia. Spessole persone mi chiedono come riesco a facilitare le discus-sioni e a renderle stimolanti. Onestamente non lo so, macredo che, nonostante io sia una persona impaziente e ab-bia fretta di arrivare alla soluzione e alla conclusione, inrealtà ho imparato con il tempo a non farlo trasparire, ov-vero a gestire dentro di me questo stato emotivo e risol-verlo prima che arrivi agli altri. L’immaginazione mi è mol-to di aiuto: spesso mi immedesimo nelle loro posizioni,cerco di capire cosa desiderano e come mi sentirei io sefossi in loro. Forse il consiglio più utile che posso dare aun leader è cercare di rendere sempre chiaro ed esplicitoagli altri quello che vuole realmente: se volete risolvere iproblemi in modo durevole dovete sempre vedere la si-tuazione attraverso gli occhi dell’altro. L’empatia è la chia-ve per trovare soluzioni di lunga durata.

I cinque step dell’empatia

Sono 5 le fasi che abbiamo individuato per esercitarel’empatia:

– Riconoscere il linguaggio del corpo: i segnali che deri-vano dal movimento del corpo ci permettono di capire

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le emozioni delle altre persone. Come nella competen-za “comprendere le emozioni”, questi segni ci consen-tono di comprendere l’alfabeto emotivo degli altri.

– Ascolto: dobbiamo “ascoltare le idee” degli altri, ascol-tare il loro cuore. Cercare di comprendere anche ciòche non hanno espresso con le parole.

– Percepire il dolore: con le parole e il linguaggio del cor-po una persona può lasciar trasparire il proprio senti-mento di dolore. Magari voi non avete mai provato unvero dolore, ma qualcosa di simile l’avrete sicuramen-te provato. Forse questa persona ha perso un figlio evoi non avete mai avuto figli, ma certamente ricordere-te cosa avete provato nel perdere una persona cara.

– Rispondere verbalmente: usate le vostre parole per ri-flettere su quello che l’altra persona vi sta dicendo;sottolineate ciò che l’altro ha espresso (anche se nonsiete d’accordo o non ne avete compreso del tutto il si-gnificato fatelo, perché è importante per lei). Non di-te: “so cosa stai passando”, perché non potete saperlorealmente.

– Rispondere con l’azione: le parole da sole non bastanoper esercitare empatia, bisogna agire. Alle volte può ba-stare sedersi più vicino e più a lungo di fronte all’altro,guardarlo e sorridergli educatamente; altre volte, inve-ce, occorre agire in maniera più visibile. L’azione empa-tica non serve a risolvere il problema, ma a far percepi-re alla persona che gli siete emotivamente vicini.

Agire in profondità

Perseguire un obiettivo eccellente è certamente impor-tante per un leader, ma come si fa a perseguirlo con intel-ligenza emotiva?

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Le ricerche dimostrano che esistono due modi per ge-stire le emozioni. Il primo consiste nell’“agire di faccia-ta”, ovvero fare uno sforzo di volontà per riuscire a sop-primere un impulso. In questo caso ci piacerebbe gridarele nostre emozioni e i nostri pensieri contro qualcuno, maci controlliamo limitandoci a ripeterci qualcosa per disto-gliere la nostra attenzione da quello che stiamo provan-do; in poche parole, reprimiamo le nostre emozioni.Comportarsi in questo modo è una necessità sociale, e inmolti Paesi, come in Asia, è un imperativo culturale.

Rispetto a questa modalità di “apparente gestione”delle nostre emozioni possiamo dire che essa comportauno sforzo detto “lavoro emozionale”, che induce allostress. Quando agiamo di facciata, infatti, ci controlliamoe produciamo in noi uno sforzo emotivo molto forte chespesso ci succhia energia impedendoci di andare avantiserenamente, per cui cominciamo ad avvertire comestressante quello che ci accade. Un secondo effetto diquesta modalità è che le persone possono accorgersi chestiamo simulando, anche se noi pensiamo di farlo in ma-niera egregia.

Nel suo lavoro sull’espressione emotiva Paul Ekmanillustra come il viso di una persona possa assumere inpochi istanti centinaia di piccole espressioni. Queste mi-croespressioni rivelano il messaggio emotivo nascostoall’interno della persona rendendolo chiaro a qualunqueosservatore. Nei nostri corsi di formazione abbiamo im-parato a lavorare su tali aspetti facendo attenzione amettere le persone di fronte alla realtà delle proprieespressioni emotive. Per esempio, utilizzando la tecnicadella videoripresa mostriamo le espressioni facciali cheabbiamo rilevato in alcuni momenti tra i partecipanti eragioniamo con l’aula sui possibili significati di questeespressioni. Se abbiamo rilevato un sentimento di fru-

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strazione, chiediamo ai partecipanti di dare un nome aquesta emozione e li invitiamo a ragionare sul significatoche questa emozione ha per loro. Quando chiediamo allapersona protagonista della ripresa cosa stava provandoin quel momento osserviamo di frequente quanto sia dif-ficile farla ragionare sul significato di questa emozione,di solito questa tende a minimizzare l’intensità delle emo-zioni e a fare affermazioni del tipo: “Bene, ero un po’ in-fastidito, ma solo per un secondo”. A questo punto pro-viamo a riproporle la scena a rallentatore, mettendolacosì di fronte all’oggettività del messaggio trasferito dal-l’emozione, e finalmente riusciamo ad aprirci la stradaverso una riflessione.

Questo esempio dimostra che, anche quando pensia-mo di aver controllato le nostre emozioni agendo di fac-ciata, ci sottoponiamo a uno sforzo che non ripaga, anzi,ci fa perdere di credibilità; inoltre, il fatto di non aver sor-tito apparenti effetti nelle persone che ci circondano nonvuol dire che queste non abbiano percepito nulla. Eccoperché per un leader diventa fondamentale guardare infaccia i propri collaboratori se vuole avere un primo e im-mediato feedback rispetto a quello che stanno provandole persone in quel momento.

In alternativa alla modalità “di facciata” possiamo de-cidere di “agire in profondità”, ovvero trasformare real-mente le nostre emozioni in modalità più funzionali allenostre intenzioni. Spostarsi dalla frustrazione all’accetta-zione, dall’impazienza all’empatia, dal giudizio alla curio-sità può segnare realmente la differenza. Inoltre, è impor-tante comprendere che non è complesso e non servonotempi lunghi: tutto può accadere in pochi secondi e senzaeccessivi sforzi. Il vantaggio dell’agire in profondità è chenon ci assorbe energia mentre ci fa guadagnare in auten-ticità. Ma come si può riuscire a fare questo?

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Lo strumento essenziale è avere consapevolezza delproprio “obiettivo eccellente”.

Ritorno per un attimo a George McCown. George è in-telligente e brillante, ma si è sempre dimostrato moltoimpaziente. Così, quando qualcuno lo irrita, o semplice-mente non risponde alle sue richieste, è facile che Geor-ge reagisca negativamente. Per fronteggiare gli effettidell’impazienza, George aveva imparato a reprimere lesue emozioni agendo di facciata. Anche in questo modo,però, non riusciva a ottenere i risultati che desideravadavvero raggiungere. Nei nostri incontri di training ab-biamo dedicato molto tempo all’individuazione dell’o-biettivo eccellente di George e, alla fine, lo abbiamo iden-tificato nelle seguenti parole: “rendere migliori gli altri”.Questo, infatti, trovava riscontro nel suo costante impe-gno a sostenere gli altri, ad aiutarli nel fare del loro me-glio e a spronarli nel rintracciare sempre, in quello che sifaceva, un aspetto positivo.

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Competenza IE: Perseguire obiettivi eccellentiLa capacità e la determinazione nel perseguire obiettivi eccellentiagisce significativamente su tutte le altre abilità che concorrono acaratterizzare il quoziente emotivo (QE). Perseguire obiettivi eccel-lenti significa saper definire, attraverso l’individuazione dei proprivalori, gli obiettivi a lungo termine che guideranno le nostre azioni,così da gestire più facilmente i processi decisionali a lungo termi-ne. Chiarire a sé stessi i propri obiettivi e verso cosa ci si vuolemuovere fa acquisire validità e importanza al perché migliorarel’intelligenza emotiva.È necessario verificare continuamente se ci si sta allontanando o cisi sta muovendo verso i propri obiettivi eccellenti, affinché le energiemigliori della persona non vengano disperse o portino a decisioni po-vere. Occorre considerare, infatti, che ogni decisione presa (nei pro-pri pensieri, sentimenti e azioni) ci allontana o ci avvicina agli altri. Unobiettivo eccellente rende la vita significativa, perciò è importanteperseguire i propri obiettivi e aiutare anche gli altri a realizzarli.

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L’identificazione del suo obiettivo eccellente e, di rifles-so, dei suoi valori lo portarono ad affrontare un passag-gio fondamentale verso la gestione della sua impazienza.Ora, quando si rivolge agli altri, sa perché lo sta facendo,è consapevole di cosa è realmente importante per lui, hascandagliato i suoi valori e sa cosa è necessario fare perarrivare a realizzare il suo obiettivo. In caso contrarionon riuscirebbe a esercitare efficacemente l’empatia e lepersone non arriverebbero a fidarsi di lui. Quando pensaa questo riesce a gestire la sua impazienza e immediata-mente a passare dall’impazienza e dal giudizio e pre-giu-dizio alla curiosità e all’empatia.

Nelson Mandela è un otti-mo esempio di quantostiamo dicendo. Mandelaha dovuto subire molti an-ni di prigionia, tuttavianon è rimasto preda dei

suoi sentimenti di rabbia e di paura: in maniera più o me-no consapevole, aveva chiaro quale fosse il suo scopoprofondo, creare una nazione libera e giusta. Grazie aquesto obiettivo ha potuto gestire e trasformare le pro-prie emozioni in potenza e forza personale per arrivare araggiungere i risultati che tutti conosciamo e ammiriamo.

Un obiettivo eccellente è uno strumento che ci rendecapaci di diventare padroni delle nostre emozioni. Graziealla consapevolezza di ciò che è profondamente impor-tante per noi siamo in grado di uscire dalla passività etrovare la motivazione per fare del nostro meglio. Da qui,per un buon leader, il passaggio verso il coinvolgimentodegli altri diventa più semplice.

Qual è il significato che volete raggiungere voi? Comepotete metterlo in azione ogni giorno?

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Non è abbastanza impegnarsi;va bene solo per le formiche.La domanda che ci dobbiamoporre è: in cosa ci stiamo impe-gnando? Henry David Thoreau

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Sicuramente imparare a conoscerci e, quindi, diventarepiù consapevoli, ci consente di scegliere se e quando tor-nare indietro nella nostra scala mobile per navigare leemozioni ed essere intenzionali al raggiungimento diquello che abbiamo identificato come il nostro obiettivo.Se diventiamo abili in ciascuna delle tre aree del modello(self awareness, self management e self direction) sare-mo in grado di controllare e utilizzare efficacemente lenostre emozioni, che altro non sono che informazioni es-senziali e profondamente importanti, segnali che ci aiuta-no a vivere i nostri valori, a comprendere cosa è impor-tante per noi rendendoci maggiormente riflessivi, più in-tenzionali, ispirati.

Costruire un obiettivo eccellente

Abbiamo detto che un obiettivo eccellente (Noble Goal)è uno scopo che ci prefiggiamo di raggiungere a lungotermine, che si lega ai nostri valori aiutandoci a valutarele nostre scelte e ad avere ben chiara la nostra mission. IlNoble Goal coinvolge ogni ambito della nostra vita (per-sonale, professionale, sociale ecc.), ispirandoci a fare delnostro meglio.

Ma quali sono le caratteristiche che rendono un obiet-tivo eccellente?

Per identificarlo possiamo dire che è necessario cherisponda ad alcuni criteri, ovvero deve:

– essere duraturo e influente, in grado di mantenerci fo-calizzati sui propositi a lungo termine;

– essere rivolto all’esterno, poiché gli effetti dell’avereun obiettivo a lungo termine ci influenza nel rapportocon gli altri;

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– integrare tutte le dimensioni della nostra vita: perse-guire un obiettivo eccellente in un ambito, come peresempio quello del lavoro, influisce anche sugli altriambiti, come la famiglia. Questo ci consente di rag-giungere un nostro equilibrio;

– motivare a un livello profondo. Questo ci aiuta a tro-vare l’energia quando dobbiamo ottenere qualcosa diimportante.

Claire Nuer è un’insegnante che ha fondato un’organizza-zione chiamata Learning as Leadership e che da sempreha come obiettivo eccellente “generare un contesto adat-to a tutti”, ovvero un contesto in cui ognuno può comple-tamente svilupparsi e avere la possibilità di apprendere.Osservando il modo di lavorare di Claire e della sua squa-dra, siamo riusciti a studiare e definire meglio il concettodi obiettivo eccellente; di seguito provo a riflettere e adapprofondire, attraverso una serie di esercitazioni, i prin-cipi appena enunciati.

Il nostro obiettivo eccellente deve allinearsi con i no-stri valori e i nostri principi.

Quali sono i vostri valori? Cosa è importante per voi?

Facciamo un esempio.

Albert ha assunto la direzione delle vendite per un’a-zienda di servizi finanziari che aveva margini di gua-dagno bassi. La fonte di entrata più importante di que-sta azienda era rappresentata da un gruppo di commer-cialisti i quali, un giorno, chiesero ai dirigenti un trat-tamento di prima classe: pasti costosi, trattamento pre-ferenziale degli affari e possibilità di accedere a infor-mazioni interne. Albert mise in discussione le richieste

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avanzate da questo gruppo con il direttore generale poi-ché riteneva che le persone in questione stessero eserci-tando un’influenza eccessiva nelle politiche aziendali.Come avrebbe dovuto rispondere il direttore generale?

Riflettete anche voi su come avrebbe dovuto reagire il su-periore alle osservazioni di Albert e che tipo di segnaleavrebbe dovuto dargli. La tabella 6.1 riporta alcuni valo-ri, provate a segnare quelli in cui vi riconoscete e che vor-reste fossero rispettati nella decisione che il superiore diAlbert dovrà prendere.

Vorrei ora portare la riflessione sui concetti di valore eprincipio, ovvero sulle regole che ci aiutano a raggiunge-re i nostri obiettivi e a mettere in pratica i nostri valori.Per esempio, se siamo persone che danno valore alle rela-zioni, il nostro principio guida potrebbe essere “mantene-re con le persone rapporti armoniosi”; se invece apprez-ziamo il valore della vittoria e la sfida, il nostro principiopotrebbe essere “cercare di raggiungere il massimo”.

Provate a individuare i principi che secondo voi guida-no le vostre azioni, le scelte e i pensieri. Scrivetele su unfoglio e poi provate a compilare la tabella 6.2 risponden-do a questa domanda: “Se avessi un anno sabbatico, co-me distribuirei il mio tempo?”. Considerando che i princi-

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relazione armonia profitto associazioneequità equilibrio sicurezza speranza

umanità competitività forza orgoglioumiltà apertura mentale protezione vittoria

Provate a sintetizzare la possibile risposta data ad Albert dal suo superiore:

Tabella 6.1 Esercizio per costruire un obiettivo eccellente. Quali valorisono importanti?

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pi si legano al vostro obiettivo eccellente, pensate a quan-to tempo impegnereste, nell’arco di questo intero anno,per ciascuno dei vostri principi. Sapendo che le spese dibase sono coperte per tutto l’anno, non dovrete preoccu-parvi di altro se non della realizzazione del vostro obietti-vo eccellente. Che cosa fareste per tutto quel tempo? Ave-te 52 settimane, in cui a ognuna di esse potete assegnareattività importanti (potete riportare la tabella su un foglioe inserire altre colonne in relazione con i vostri focus).

Ora, tenendo conto della tabella 6.2, considerate levarie attività che avete segnalato. Ce ne sono alcune checompaiono in più colonne? Elencate le tre o quattro piùimportanti:

1) …2) …3) …

Considerate nuovamente le tre attività che ritenete impor-tanti e rispondete per ognuna di esse a queste domande:

1) Perché è importante?2) In cosa differisce dalle altre?3) In che modo mi aiuta a raggiungere i miei obiettivi?

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Tabella 6.2 “Se avessi un anno sabbatico, come distribuirei il mio tem-po?”

Area Carriera Famiglia Salute/Benessere Amici Altro

Quante settimane:

Obiettivi importantida raggiungere(più di uno):

Attività da svolgere:

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Provate a formalizzare il vostro obiettivo eccellente. Ri-prendete la tabella precedente, riflettete su quanto avetescritto e cercate di sintetizzare il vostro Noble Goal. Aiu-tatevi con la tabella 6.3, in cui troverete anche alcuni ver-bi che potrete utilizzare per rispondere alla domanda:qual è il mio obiettivo eccellente?

Questo esercizio richiede un po’ di tempo, ma i risulta-ti sono efficaci.

Agire secondo i Noble Goal

Quando abbiamo ben chiaro in mente il nostro obiettivoeccellente siamo in grado di controllare le nostre reazio-ni e fare del nostro meglio, abbiamo l’energia necessariaper gestire eventuali cambiamenti e riuscire a sostenereprocessi di decision making.

Reazioni. Se vi accorgete di reagire secondo schemi ri-correnti, provate a riconsiderare il vostro Noble Goal eagite di conseguenza. Chiedetevi: “Sto agendo secondo imiei schemi ricorrenti o secondo i miei obiettivi eccellen-ti?”. È un modo semplice per valutare il vostro comporta-mento. Ogni sera, prendetevi il tempo per riflettere sullevostre azioni quotidiane. In che momento della giornataeravate in linea con i vostri obiettivi? Quando avete agito

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Tabella 6.3 “Qual è il mio obiettivo eccellente?”

ispirare sostenere impegnare aumentarearricchire consolidare alimentare creareimparare esercitare formare promuovere

Riportate la vostra dichiarazione:

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tenendo conto del vostro Noble Goal e quando, invece,non ne stavate tenendo conto? Ogni giorno è un’occasio-ne in più per esercitarsi.

Energia. Agite sempre in maniera attiva ed energica perrelazionarvi con gli altri e svolgere i vostri compiti, ma ri-cordate: senza aver definito cosa è importante per voi ri-sulterà tutto meno efficace. Ricordate che ogni vostrapiccola o grande azione è finalizzata ai vostri Noble Goal;per esempio, se i vostri obiettivi eccellenti sono “il rispet-to e la pace”, considerate se nell’ambito familiare o nel la-voro state facendo qualcosa che può contribuire, anchese in piccola parte, a portare il rispetto e la pace nel mon-do. Cercate di comportarvi ogni giorno secondo i vostriobiettivi eccellenti, così facendo vi impegnerete maggior-mente in ciò che fate e otterrete performance migliori.

Decision making. Scegliete sempre tra varie opportunità,piccole o grandi che siano, ogni giorno. È una sfida vede-re quali sono le più significative, quali danno più soddisfa-zione o suscitano più emozioni. In base a cosa fate questescelte? Chiedetevi, per esempio, se state agendo secondoi Noble Goal dell’azienda di cui fate parte o secondo quel-li delle persone con cui vi relazionate in determinate si-tuazioni. Scegliere in base ai propri principi e ai propri va-lori garantisce un successo maggiore e più duraturo.

Sintesi

Concetto chiave:– Self direction: perseguire i propri obiettivi eccellenti

ed esercitare l’empatia fa accrescere la propria auto-stima, la propria influenza e la propria esperienza.

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Letture di riferimento:– Stephen Covey (2004), The 8th Habit: From Effective-

ness to Greatness.

Esercizio chiave:– È importante decidere e agire secondo i propri Noble

Goal. Avere a mente e ben chiaro il proprio obiettivoeccellente consente di impegnarsi a fondo nelle cose ein maniera regolare così da fare sempre del propriomeglio. Ogni volta che dovete prendere una decisione,chiedetevi: è in linea con il mio obiettivo eccellente?

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