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Analisi spazio-temporali: dinamiche e processi a confronto · le scale temporali e spaziali sugli...

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EURAC book 57 Analisi spazio-temporali: dinamiche e processi a confronto
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EURAC book 57

Analisi spazio-temporali:

dinamiche e processi a confronto

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Accademia Europea Bolzano

Viale Druso, 1

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Riproduzione parziale o totale del contenuto

autorizzata soltanto con la citazione della fonte

(titolo e edizione).

Direttore responsabile: Stephan Ortner

Curatori: Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Chiara Maria Stella

Foto e immagine inizio capitoli: Uta Schirpke, Roberta Bottarin

Coordinazione: Roberta Bottarin, Uta Schirpke

Stampa: Esperia srl, Lavis (TN)

Contatto:

Istituto per l’Ambiente Alpino

Viale Druso, 1

39100 Bolzano

Tel. +39 0471 055333

E-mail: [email protected]

Si ringrazia la Provincia Autonoma di Bolzano -

Agenzia provinciale per l’Ambiente

per il contributo finanziario.

ISBN 978-88-88906-56-0

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Analisi spazio-temporali:

dinamiche e processi a confronto

XIX Congresso della Società Italiana di Ecologia

“Dalle vette alpine alle profondità marine”

Bolzano, 15-18 settembre 2009

Volume 2

Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Ulrike Tappeiner

in collaborazione con la Società Italiana di Ecologia

2010

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Contenuto

Editorial advisors 7

Prefazione 8

Introduzione 9

Mountain Ecology – terrestrial and aquatic ecosystems 11

Application of a vegetation dynamic model for mowed meadows

in an alpine valley (Stefano Della Chiesa et al.) 13

Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Settore trentino

del Parco Nazionale dello Stelvio (Mauro Gobbi et al.) 21

Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino,

Central Alps (Italy) (Alessandro Lotti et al.) 29

Indici di struttura ed accrescimento standard per la

trota fario Salmo (trutta) trutta L. in Italia centrale (Giovanni Pedicillo et al.) 39

Reticolo idrografico ed ecosistemi marini 49

Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrograici

(Roberta Bottarin & Uta Schirpke) 51

Calcolo su base biologica del delusso minimo vitale. Il caso del

Fiume Taro (Provincia di Parma) (Sara Chiussi et al.) 59

Management questions regarding a luvial Site of Community Importance:

The Case of Clitunno River (Linda Cingolani et al.) 69

Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi

quali-quantitativa in un tratto del iume Taro (Parma) (Lorenzo Pattini et al.) 77

Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio

fotograiche sui limiti inferiori delle praterie di P. oceanica dell’AMP

Capo Rizzuto (Francesco Rende et al.) 87

Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes (Bruno Rossaro et al.) 95

Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione:

un’analisi a scala di bacino dei iumi Oglio sublacuale

e Mincio (Elisa Soana et al.) 103

Integrating ecological and hydrological features to assess coastal

wetland restoration (Emiliana Valentini et al.) 113

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Ecologia microbica 123

Screening microbial diversity from vegetal wastes in aid of

bio-hydrogen production (Antonella Marone et al.) 125

Ecotossicologia 135

Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem

by the leaves of Phragmites australis. Case study: Imera Meridionale River,

Sicily (Giuseppe Bonanno) 137

La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima

del rischio ecotossicologico (Alessio Ippolito et al.) 145

Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus:

un metodo non invasivo per lo studio di contaminanti emergenti

legati al traico (Pt, Pd e Rh) (Marco Marcheselli & Marina Mauri) 155

Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione

sul polichete marino Dinophilus gyrociliatus (Marco Marcheselli et al.) 165

Frazionamento di elementi in traccianei suoli dell’area urbana di Siena

e loro assorbimento da parte dei lombrichi (Francesco Nannoni et al.) 175

Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione

del Comet Test in apici radicali di Pisum Sativum L.: caso-studio in

un sito contaminato (Silvia Panetta et al.) 187

Premio Marchetti – Valutazione dell’uso di specie ittiche

per il biomonitoraggio degli inquinanti organici persistenti

nelle acque (Silvia Quadroni et al.) 197

Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano

(Triticum aestivum L.) in un’area mineraria ed industriale

del Kosovo (Sara Rossi et al.) 213

Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica

di Pietramelina (Giuliana Taramella et al.) 225

Biorimediazione e fitorimediazione 233

Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni della metalloita

Biscutella laevigata ssp. laevigata (Filip Pošćić et al.) 235

Autori 245

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Editorial advisors

Marco Abbiati – Università di Bologna in RavennaAntonella Bachiorri – Università di ParmaAlberto Basset – Università del SalentoRoberto Bertoni – CNR sede di VerbaniaFerdinando Boero – Università del SalentoRoberta Bottarin – Accademia Europea di BolzanoSimona Castaldi – Seconda Università di NapoliRoberto Danovaro – Università Politecnica delle MarcheCarlo Gaggi – Università di SienaBruno Maiolini – Istituto Agrario San Michele all’AdigeAntonio Mazzola – Università di PalermoMarco Moretti – Swiss Federal Research InstituteRoland Psenner – Università di InnsbruckNico Salmaso – Istituto Agrario San Michele all’AdigeMassimo Tagliavini – Università di BolzanoUlrike Tappeiner – Accademia Europea di Bolzano/Università di InnsbruckPierluigi Viaroli – Università di ParmaVito Zingerle – Museo Scienze Naturali di BolzanoGiovanni Zurlini – Università del Salento

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Prefazione

Dr. Luigi Minach*

Lasciando ai ricercatori della Società Italiana di Ecologia, delle Università na-zionali ed estere, dei Centri di Ricerca e delle Agenzie per la protezione dell’ambien-te il compito di indagare, nel corso del XIX congresso della S.It.E, sull’inluenza del-le scale temporali e spaziali sugli ecosistemi, mi piace far notare come già la scelta di Bolzano quale luogo per il congresso sia la dimostrazione tangibile di come tempo, spazio, ecologia siano intrinsecamente collegati.

L’Alto Adige, terra di montagna, regione alpina, in epoche lontanissime era un grande mare: Le Dolomiti altro non sono infatti che barriere marine tropicali, te-stimonianza originale della presenza del mare in questa terra. Ma non solo le rocce testimoniano tale passato, anche la presenza di lora subtropicale in valli laterali della provincia lasciano immaginare climi e geograie diversi dagli attuali.

L’Alto Adige è inoltre dimostrazione “vivente” di come cambiamenti locali possano inluire a livello globale, penso ad esempio all’introduzione di tecniche co-struttive di risparmio energetico di casaclima, alle piccole centrali di teleriscaldamen-to a biomassa locale ino alla sensibilizzazione degli abitanti di questo piccolo territo-rio verso stili di vita che tengano conto della limitata capacità di carico degli ecosistemi alpini. Questi approcci locali, che per la loro limitata area d’inluenza po-trebbero apparire di scarsa eicacia in un’ottica globale, hanno invece attraversato i conini fondendosi e integrandosi con comportamenti e politiche ambientali virtuo-se di altre realtà.

Tenere insieme tempo, spazio, ecologia e sviluppo umano: una sida immane, da afrontare a piccoli passi (minime distanze), a lungo termine (ragionare e procede-re per tempi lunghi), con la conoscenza e rispetto di tutti gli ecosistemi interessati dai processi messi in atto dalla specie umana (sostenibilità da parte della terra nel tempo e nello spazio dell’umanità del Nord e del Sud).

Una sida non impossibile, anche il mare in Alto Adige in fondo sembrava impossibile! Come Agenzia provinciale per l’ambiente abbiamo fatto nostri nel tem-po questi compiti: conoscenza degli ecosistemi, monitoraggio dei parametri di qua-lità ambientali, misura dell’impatto delle attivita umane, ricerca ed adozione di mi-sure di riduzione di tali impatti, sensibilizzazione verso uno stile di vita sostenibile.

* Direttore di Ripartizione dell’Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano

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Introduzione

Roberta Bottarin*

I sistemi ecologici sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità sia spaziale che temporale. La scala temporale condiziona tutta l’ecologia, la descrizione dei suoi fenomeni, delle sue leggi, la vita delle specie. Il tempo va inteso, nel contesto ecolo-gico, come velocità di cambiamento: non è l’estinzione di una specie che ci dovrebbe preoccupare (le specie si sono sempre estinte…), ma la velocità con la quale essa av-viene. Non è la crescita di una popolazione di alghe che ci deve fare allarmare, ma la velocità con la quale queste si moltiplicano. Non è il cambiamento climatico che ci deve fare rilettere, ma il fatto che ciò si veriichi ad un ritmo incalzante.

L’incorporazione della scala spaziale e temporale nelle teorie, nei modelli e nei disegni di campionamento ci ha permesso negli anni di incrementare la nostra cono-scenza di come la dinamica delle popolazioni e le interrelazioni fra specie rispondono ai cambiamenti dell’ambiente, siano essi isici, quali la temperatura, o biologici, qua-li le relazioni preda-predatore.

I recenti passi avanti fatti in ambito tecnologico, software sempre più soisti-cati, tecniche analitiche sempre più speciiche hanno permesso di acquisire ed elabo-rare un numero sempre maggiore di dati, nonché di sviluppare modelli di processi ecologici a varie scale spaziali e temporali. Le interrelazioni fra scala spaziale e tem-porale e la loro scelta appropriata negli studi ecologici rimangono spesso una sida per gli ecologi.

Il XIX congresso nazionale della Società Italiana di Ecologia ha voluto mette-re in risalto l’importanza delle scale temporali e spaziali nell’ecologia e dimostrare come queste possano fornire informazioni utili per comprendere e migliorare la ge-stione degli ecosistemi nella loro complessità.

* Coordinatrice Istituto per l’Ambiente Alpino, EURAC

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Mountain Ecology –

terrestrial and

aquatic ecosystems

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Application of a vegetation dynamic model for mowed meadows in an alpine valley

Modello di vegetazione dinamica applicato ad un prato falciato in una valle alpina

Stefano Della Chiesa1,2*, Giacomo Bertoldi1, Georg Wohlfahrt2,

John D. Albertson3 & Ulrike Tappeiner1,2

1 Institute for Alpine Environment, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano2 Institute of Ecology, University of Innsbruck, Sternwartestraße 15, 6020 Innsbruck (A)

3 Department of Civil and Environmental Engineering, Pratt School of Engineering, Duke University, Durham, North Carolina (USA)

*[email protected]

Abstract

Vegetation Dynamic Modeling is an important approach for the quantitative study of biomass production, carbon cycle, evapotranspiration mechanisms, water transport in the soil water atmosphere schemes because vegetation plays a key role in regulating those interactions. Several eforts have been made in order to develop Vegetation Dynamic Models (VDM) with the purpose to predict the feedback of vegetation in changing temperature and precipitation regime. In this contribution some results in applying a simple VDM in order to simulate LAI and Biomass in intensively used meadows in the Stubai Valley in Austria are discussed. he VDM is coupled with a model for mass and energy balance (Land Surface Model – LSM), both use as input commonly measured atmospheric variables such as wind speed, Photosynthetically Active Radiation (PAR), air temperature, relative humidity, precipitation. he VDM computes the biomass budget and gives back the Leaf Are Index (LAI) to the LSM for the energy and mass balance. he VDM previously developed by Montaldo et al. (2005) for semi-arid environments is here applied for alpine mowed meadows in a climate not subjected to water stresses. Moreover, here the efects of mowing practice during the season are taken into consideration. he model is able to reproduce the biomass, LAI dynamics in our study area. Future development will be focused on simulating the feedbacks of alpine meadows within a climate change scenarios framework at plot scale and to implement the VDM on a fully distributed hydrolo-gical model.

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Stefano Della Chiesa et al.

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Introduction

Vegetation has a key role in regulating the interactions between soil and at-mosphere, exerting control over climate via its physiological properties, in particular LAI, stomatal resistance, rooting depth, albedo, surface roughness and efects on soil moisture. Vegetation Dynamic Modeling (VDM) is an important approach to the quantitative study of biomass production, carbon cycle, evapotranspiration mecha-nisms, water transport in soil-water-atmosphere schemes, because vegetation plays a key role in regulating those interactions. In the latest years several eforts have been made in order to develop Vegetation Dynamic Models aiming at predicting the feed-back of vegetation towards changing temperature and precipitation regime. A review on current VDM can be found in Arora (2002). Photosynthesis is a key process in vegetation growth, however there are diferent approaches in order to compute pho-tosynthesis, some require a wealth of information and some other might be more parsimonious. An interesting scheme is the carbon assimilation approach which computes photosynthesis starting from a maximum assimilation rate. his is there-fore reduced by coeicients that simulate environmental stresses on leaf stomata opening, such as water limitation and temperature and vapor pressure deicit. Eforts have been made to couple VDMs and hydrological models, however this is a contro-versial issue due to some constrain such as the requirement of detailed input that are often unavailable in operational applications and the problem in increasing model parameterization. An attractive compromise is the VDM from Montaldo et al. (2005) inspired by the model of Nouvellon et al. (2000), coupled with the existing LSM of Montaldo et al. (2001). he coupled model simulates (hourly timescale) land surface mass as well as energy luxes and vegetation dynamics. In this contribu-tion we pursue the objective of applying a simple VDM (Montaldo et al., 2005) de-veloped for semi-arid environment in an inner alpine valley in Austria, addressing two questions: (1) Can a VDM designed for semi-arid Mediterranean area be suita-ble for alpine mowed meadows? (2) Which are the limiting factors in an alpine meadow?

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Application of a Vegetation Dynamic Model for mowed meadows in an Alpine Valley

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Material and methods

The study area

he study site is located at a meadow in the vicinity of the village Neustift (47° 070N, 11° 190E) in the Stubai Valley (Austria) at an elevation of 970 m a.s.l., in the middle of the lat valley bottom. he average annual temperature is 6.5 °C, aver-age annual precipitation amounts to 852 mm (Hammerle et al., 2008). he vegeta-tion consists mainly of a few dominant graminoid (Dactylis glomerata, Festuca prat-

ensis, Phleum pratensis, Trisetum lavescens) and forb (Ranunculus acris, Taraxacum

oicinale, Trifolium repens, Trifolium pratense, Carum carvi) species. he soil has been classiied as a Fluvisol (FAO classiication) and is approximately 1 m deep. Below a thin (0.001 m) organic layer, an A horizon, with an organic volume fraction of ap-proximately 14 %, extends down to 0.02 m, followed by the B horizon, which is best described as a (sandy) loam. Roots reach down to 0.5 m, but 80 % of them are con-centrated in the upper 0.13 m of the soil. he ield is intensively managed with three cuts per year, in general at the beginning of June, at the end of July and in the mid-dle of September.

The VDM-LSM

he VDM-LSM (Montaldo et al., 2005) predicts dynamics of water and en-ergy luxes at land surface on hourly time step. he land cover is partitioned in bare soil and vegetated components. he model considers near surface and deep root zone soil layers. Details of the soil moisture equation are given by Noilhan & Plan-ton (1989); Albertson & Kiely (2001); Montaldo et al. (2001). he actual eva-potranspiration lux per unit ground area is given by (1),

ET = cfsoil Esoil + Tveg cfveg (1)

Esoil is the evaporation of the soil for the respective cover fraction cfsoil. Tveg is the transpiration of the vegetation cover fraction cfveg. Esoil and Tveg are estimated by Penman-Monteith (Brutsaert, 2005). Canopy resistance, which accounts for envi-ronmental stresses (2), is estimated by (Jarvis, 1976).

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Stefano Della Chiesa et al.

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(2)

he essence of this modeling coupling is that the VDM provides the leaf area index (LAI) evolution through time, which is then used by the LSM for computa-tions of the energy and water luxes (Fig. 1).

LSM and VDM coupling structure. The VDM provides the leaf area index (LAI) Figure 1:

evolution through time, which is then used by the LSM for computations of water and energy

luxes.

Vegetation Dynamic Model

he photosynthesis is computed using the carbon assimilation approach where photosynthesis is function of a maximum assimilation rate and of a series of environmental stresses dependences on canopy resistance (Nouvellon et al., 2000; Montaldo et al., 2005).

he gross photosynthesis Pg (3) is estimated from the photosynthetically ac-tive radiation (PAR), the fraction of PAR absorbed by the canopy ( ), (Charles-Edwards et al., 1986; Larcher, 2003), and is the leaf photochemical eiciency which estimates the amount of carbon ixed (in units of g DM m2 d-1) per unit of

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Application of a Vegetation Dynamic Model for mowed meadows in an Alpine Valley

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intercepted PAR. is estimated as a simple function of LAI, following the Lam-bert-Beer extinction law (Charles-Edwards et al., 1986; Larcher, 2003). rcmin is the minimum canopy resistance, while ra and rc are respectively the atmospheric and canopy resistance.

(3)

With this approach, we can estimate Pg by common monitored variables such as PAR, relative humidity, air temperature and wind speed. he change over time of the green biomass and of the root biomass is computed from the diference between the rate of biomass production (photosynthesis) and the rate of biomass de-struction, as it occurs through respiration and senescence (Cayrol et al., 2000; Larcher, 2003).

Green biomass production:

Root biomass:

LAI:

Where a a and ar are allocation partition coeicients to shoot and root com-partments, depending on a root shoot ratio scheme (Montaldo et al., 2005), Tra is the translocation of carbohydrates from the roots to the living aboveground biomass, Rg and Rr are the respirations from aboveground and root biomass, respectively, Sg

and Sr are the senescence of aboveground green and root biomass, respectively. he change of LAI over time is computed via a linear relationship with the green biomass Bag where is the speciic leaf area of the aboveground green biomass [m2/g].

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Stefano Della Chiesa et al.

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Results and Discussion

he coupled model is here applied in an inner alpine mowed meadow. Since green biomass data Bag of two growing seasons are available we calibrated the model for the year 2005 and afterwards we used the 2007 data for validation. In igure 2 the observed and simulated data for biomass are represented. he model performance is satisfactory even though the initial growth at the beginning of the season is generally over estimated, probably due to the diferent species fraction composition.

Biomass comparison. Simulated green biomass (BagFigure 2: sim) and observed green biomass

(Bagobs) for the years 2005 (calibration) and 2007 (validation).

After the cut, the model responds properly. In igure 3 the observed and simu-lated data for LAI are represented. he LAI dynamics at the beginning of the season is not as linear as we assume in the simulation, therefore the process is overestimated. After the cut, the model provided simulations in line with observed data.

he stress functions in igure 4 show that in the Stubai valley there is no water scarcity, instead the temperature is the most important limiting factor. he correla-tions of the observation and simulated Bag and LAI are signiicant for both years (Tab. 1).

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Leaf Area Index (LAI) comparison. Simulated LAI (LAIFigure 3: sim) and observed LAI (LAIobs) for

the years 2005 (calibration) and 2007 (validation).

Stress index functions: f1 (Soil moisture stress function), f2 (Soil moisture stress Figure 4:

function), f5 (Vapour Pressure Deicit (VPD) stress function). Stress index with a 0 value

indicates high stress, therefore stomata closure with photosynthesis limitation. Stress index

with a value of 1 indicates no stress condition, therefore maximum photosynthesis rate. For

both years the stronger inluence of temperature in limiting photosynthesis and smaller

inluence of soil moisture and VPD is evident . These indings relect the characteristic of the

Stubai valley being humid, cold, with consistent amounts of precipitation.

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Correlation and p values for observed and simulated LAI and Biomass.Table I:

2005 2007

Biomassr2 = 0.96 r2 = 0.93

p value = <0.001 p value = <0.001

LAIr2 = 0.98 r2 = 0.95

p value = <0.001 p value = <0.001

We can conclude that the VDM previously developed for semi-arid areas and applied here in a humid valley in Stubai performs well in our case study, notwith-standing a certain green biomass overestimation. he low temperature is the limiting factor for our case study. Due to its simplicity, this VDM can be easily implemented within hydrological models. Future work is focused on implanting the VDM in the distributed hydrological model GEOtop (Rigon et al., 2006).

References

Albertson, J. D. & Kiely, G. (2001) On the structure of soil moisture time series in the context of land surface models. J. Hydrol., 243(1–2), 101–119.

Arora, V. (2002) Modeling vegetation as a dynamic component in soilvegetation-atmosphere transfer schemes and hydrological models. Rev. Geophys., 40(2), 1006.

Brutsaert, W. (2005) Hydrology: An introduction. Cambridge university press, New York.Cayrol, P., Chehbouni, A., Kergoat, L., Dedieu, G., Mordelet, P. & Nouvellon, Y. (2000) Grassland modeling and

monitoring with SPOT-4 vegetation instrument during the 1997 – 1999 SALSA experiment. Agric. For.

Meteorol., 105, 91– 115.Charles-Edwards, D. A., Doley, D. & Rimmington, G. M. (1986) Modelling Plant Growth and Development. Else-

vier, New York.Hammerle, A., Haslwanter, A., Tappeiner, U., Cernusca, A. & Wohlfahrt, G. (2008) Leaf area controls on energy

partitioning of a temperate mountain grassland. Biogeosciences, 5, 421–431.Jarvis, P. G. (1976) he interpretation of the variations in leaf water potential and stomatal conductance found in

canopies in the ield. Philos. Trans. R. Soc. London, Ser. B, 273, 593–610.Larcher, W. (2003) Physiological Plant Ecology. Cambridge University Press, New York.Montaldo, N., Albertson, J. D., Mancini, M. & Kiely, G. (2001) Robust prediction of root zone soil moisture from

assimilation of surface soil moisture. Water Res. Resour., 37, 2889– 2900.Montaldo, N., Rondena, R., Albertson, J. D. & Mancini, M. (2005) Parsimonious Modeling of Vegetation

Dynamics for Ecohydrologic Studies of Water-Limited Ecosystems. Water Resour. Res., 41(10), W10416, doi:10.1029/2005WR00409.

Noilhan, J. & Planton, S. (1989) A simple parameterization of land surface processes for meteorological models. Mon. Weather Rev., 117, 536– 549.

Nouvellon, Y., Rambal, S., Lo Seen, D., Moran, M. S., Lhomme, J. P., Begue, A., Chehbouni, A. G., & Kerr, Y. (2000) Modelling of daily luxes of water and carbon from shortgrass steppes. Agric. For. Meteorol, 100, 137– 153.

Rigon, R., Bertoldi, G. & Over, T.M. (2006) GEOtop: A Distributed Hydrological Model with Coupled Water and Energy Budgets. J. Hydrometeor., 7, 371–388.

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Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Settore trentino

del Parco Nazionale dello Stelvio

Carabid beetle assemblages in wooded areas of the Stelvio Nation Parc

(Trentino Area)

Mauro Gobbi1*, Natalia Bragalanti2 & Valeria Lencioni1

1 Sezione di Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia, Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, Via Calepina 14, 38122 Trento

2 Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento, Via Roma 65, 38024 Cogolo di Peio (TN)

*[email protected]

Abstract

Le inalità di questo lavoro sono quelle di caratterizzare dal punto di vista faunistico le diferenti tipologie forestali presenti nel Parco Nazionale dello Stelvio (Trentino): laricete, larici-cembrete, peccete, ontanete, boschi misti di latifoglie. Nello speciico l’attenzione è rivolta alle cenosi di carabidi (Insecta: Coleoptera), noti per essere ottimi indicatori di qualità ambientale. Vengono presentati i risultati preliminari relativi alla carabidofauna (27 specie) rinvenuta in sei stazioni di campionamento mediante l’impiego, in ciascuna stazione, di 15 trappole a caduta. Ricchezza di specie, composizione delle comunità e adatta-menti morfo-funzionali (morfologia alare) della carabidofauna sono discusse in relazione alla tipologia di bosco.

Introduzione

Le foreste insieme ai pascoli e ai prati sono le principali componenti del pae-saggio alpino. Gli efetti della gestione di questi habitat sulla fauna invertebrata, che rappresenta la maggiore porzione per diversità di specie e numero di individui della biodiversità animale, non sono ancora ben noti (Lyndenmayer et al., 2000; Grand-champ et al., 2005). In questo contesto si inserisce la ricerca triennale che, a partire dal 2008, il Museo Tridentino di Scienze Naturali (MTSN) sta svolgendo nell’ambi-to del “Programma Monitoraggio Biodiversità” nel Settore trentino del Parco Nazio-nale dello Stelvio (PNS).

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Gobbi Mauro et al.

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Da più di mezzo secolo sono in atto trend che stanno portando a un cambia-mento radicale del paesaggio. Tra questi l’abbandono della pastorizia, al quale è con-nesso quello dei prati da sfalcio impiegati per la produzione del foraggio, così come l’incremento delle superici forestali che colonizzano le aree abbandonate. A questi cambiamenti nel paesaggio sono associati quelli nella fauna invertebrata, il cui studio permette di ottenere informazioni sullo stato ecologico, l’integrità e la qualità natu-ralistica dell’ambiente (Grandchamp et al., 2005; Magura et al., 2005).

Lo scopo della ricerca in corso nel PNS è di implementare le conoscenze sulla ricchezza e distribuzione dell’entomofauna, in relazione alle esigenze di conservazio-ne e gestione degli habitat forestali e prativi rappresentativi dell’area protetta. Nello speciico l’attenzione è rivolta alle cenosi di carabidi (Insecta: Coleoptera), noti per essere ottimi indicatori di qualità ambientale (Rainio & Niemela 2003; Brandmayr et al., 2005; Gobbi, 2009).

Finalità del presente lavoro è di mostrare un primo contributo alla caratteriz-zazione, dal punto di vista faunistico, delle diferenti tipologie forestali presenti nel PNS.

Materiali e metodi

Durante l’estate 2008 (luglio-ottobre) sono state indagate le principali tipolo-gie di habitat forestali presenti nel PNS: larice-cembreta (1825 m s.l.m.), lariceta al-tamente frequentate da cervi (lariceta pascolate, 1600 m s.l.m.), pecceta montana (1425 m s.l.m.) e subalpina (1680 m s.l.m.), ontaneta (1390 m s.l.m.) e boscho mi-sto di latifoglie (1250 m s.l.m.). In ciascuna delle sei stazioni indagate sono state in-nescate 15 trappole a caduta (7 cm di diametro superiore) disposte lungo un transet-to lineare. Come trappole sono stati impiegati bicchieri di plastica interrati ino all’orlo e contenenti per 2/3 una soluzione di aceto e sale (Brandmayr et al., 2005).

Per ogni stazione di campionamento sono stati rilevati i dati ambientali (tipo-logia forestale e quota) e calcolate:

la diversità di specie (Shannon’s Index); •la frequenza di specie prive di ali funzionali al volo (brachittere); la valutazione •della frequenza di specie brachittere fornisce utili indicazioni sul livello di stabili-tà dell’ambiente indagato, poiché è noto come gli habitat perturbati presentino una maggiore frequenza di specie alate rispetto a quelle brachittere (Gobbi & Fontaneto, 2008).

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Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Parco Nazionale dello Stelvio

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L’inluenza della tipologia forestale e della quota è stata testata mediante test di ANOVA sulla ricchezza di specie e sulla frequenza di specie a bassa mobilità (bra-chitteri). Per descrivere l’efetto delle variabili ambientali sulla composizione delle cenosi è stata utilizzata l’Analisi della Corrispondenza Canonica (CCA) (Gotelli & Ellison, 2004). Inine, è stata valutata la presenza di turnover di comunità tra le dif-ferenti tipologie forestali mediante l’impiego della macro di Excel sviluppata da Lei-bold e Mikkelson (2002).

Le analisi sono state elaborate mediante l’utilizzo di Excel e dei software SPSS 10.0® e MVSP®.

Risultati e discussione

Dall’analisi di 1595 individui di coleotteri carabidi sono state determinate 27 specie (Tab. I). Le specie campionate sono tipiche di ambienti forestali, salvo alcune eccezioni come ad esempio Agonum sexpunctatum, Amara erratica e Ophonus laticollis

che sono tipiche di habitat aperti quali i prati. Tra i taxa rinvenuti si segnala la pre-senza dei generi Duvalius e Philorhizus. Al primo appartengono specie endogee con particolari adattamenti morfologici e per il quale in Trentino sono presenti segnala-zioni puntiformi solo per la porzione meridionale (Stoch, 2000-2005). Al secondo, piuttosto raro, appartengono specie il cui costume di vita è ancora poco noto, ma si ipotizza corticicolo (Hurka, 1996). Gli esemplari appartenenti a questi due generi sono ancora in fase di studio presso il MTSN per la determinazione della specie. Questo risultato mostra che anche se gli ambienti forestali non possiedono cenosi di carabidi ricche di specie (n. medio = 11,3; dev. st. ±4,03) in essi sono presenti specie con notevole interesse faunistico e biogeograico.

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Elenco delle specie di carabidi campionati (nomenclatura aggiornata da Tabella I:

www.faunaeur.org).

Sp_Code Checklist Coleotteri Carabidi A B C D Mb Ub

sp1 Abax (Abax) parallelepipedus (Piller & Mitterpacher 1783) *

sp2 Agonum (Punctagonum) sexpunctatum (Linnaeus 1758) *

sp3 Amara (Celia) erratica (Duftschmid 1812) * *

sp4 Calathus (Neocalathus) melanocephalus (Linnaeus 1758) * * * *

sp5 Calathus (Neocalathus) micropterus (Duftschmid 1812) * * * * * *

sp6 Carabus (Megodontus) germarii Sturm 1815 * * * * *

sp7 Carabus (Oreocarabus) hortensis Linnaeus 1758 * * * *

sp8 Carabus (Platycarabus) depressus Bonelli 1810 * *

sp9 Carabus (Tomocarabus) convexus Fabricius 1775 *

sp10 Carabus (Mesocarabus) problematicus Herbst 1786 *

sp11 Cychrus attenuatus (Fabricius 1792) *

sp12 Cymindis (Cymindis) cingulata Dejean 1825

sp13 Cymindis (Cymindis) humeralis (Geofroy in Fourcroy 1785) * *

sp14 Dromius (Dromius) agilis (Fabricius 1787) *

sp15 Duvalius sp. Delarouzée 1859 *

sp16 Harpalus (Harpalus) latus (Linnaeus 1758) *

sp17 Leistus (Leistus) nitidus (Duftschmid 1812) * * * * *

sp18 Licinus (Neorescius) hofmanseggii (Panzer 1803) *

sp19 Notiophilus palustris (Duftschmid 1812) * * *

sp20 Ophonus (Metophonus) laticollis Mannerheim 1825 *

sp21 Philorhizus sp. Hope 1838 *

sp22 Pterostichus (Bothriopterus) oblongopunctatus (Fabricius 1787) *

sp23 Pterostichus (Cheporus) burmeisteri burmeisteri Heer 1838 * * * *

sp24 Pterostichus (Haptoderus) unctulatus (Duftschmid 1812) * * * * * *

sp25 Pterostichus (Oreophilus) multipunctatus (Dejean 1828) * * * * * *

sp26 Pterostichus (Phonias) strenuus (Panzer 1797) *

sp27 Trichotichnus (Trichotichnus) laevicollis (Duftschmid 1812) * * * *

L’analisi preliminare di collinearità tra le variabili dipendenti (ricchezza di specie “sp_rich” e frequenza di specie brachittere “ %sp_brach”) mostra che non sono autocorrelate (r = 0,11; P = 0,29) e non lo sono neppure con la quota (sp_rich vs

quota: P = 0,20; %sp_brach vs quota: P = 0,18). È stato quindi testato mediante ANOVA l’efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie e sulla frequenza di brachitteri, risultando altamente signiicativo su entrambe le variabili (Tab. II).

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Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Parco Nazionale dello Stelvio

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Efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie “sp_rich” e sulla frequenza di Tabella II:

specie brachittere “%sp_brach”.

L’efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie è rappresentato nella igura 1a che mostra come l’unica tipologia forestale che si discosta signiicativamen-te, per ricchezza di specie, è la lariceta pascolata “B”. In questa lariceta è stato rinve-nuto il più alto numero di specie. L’inluenza della tipologia forestale sulla frequenza di specie brachittere è messa in evidenza nel box-plot rappresentato nella igura 1b, dove si nota come le tipologie forestali che possiedono la maggiore concentrazione (100 %) di specie a bassa mobilità (specie brachittere) sono la pecceta montana “D”, quella subalpina “Mb” e il bosco di latifoglie ad ontano bianco (Alnus incana) “Ub”.

Box-plot raiguranti l’efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie “sp_Figura 1:

rich” (a) e frequenza di brachitteri “ %sp_brach” (b) (larice-cembreta “A”, lariceta pascolata “B”,

bosco misto di latifoglie “C”, pecceta montana “D”, pecceta subalpina “Mb”, bosco di latifoglie a

ontano bianco “Ub”).

L’analisi di meta-comunità condotta impiegando la macro di Excel sviluppata da Leibold & Mikkelson (2002), mostra come tra le diferenti tipologie forestali non vi sia turnover signiicativo di comunità (P = 0,784); l’assenza quindi di comunità mutualmente esclusive impedisce di caratterizzare con dettaglio le cenosi degli habi-

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Scatter-plot raiguranti la distribuzione dei siti (a) e delle specie (b) in relazione alle Figura 2:

variabili ambientali (stabilità ambientale e quota) e alla diversità di specie (Shannon) (per le

abbreviazioni vedere didascalia Fig 1).

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tat indagati. Tale dato è confermato anche dall’Analisi della Corrispondenza Cano-nica (CCA) (Fig. 2 a,b). L’asse 1, che rappresenta un gradiente di stabilità ambienta-le (determinato dalla frequenza di specie brachittere) e di quota, spiega il 22,43 % della varianza, mentre l’asse 2 spiega il 35,58 %. Dalla igura 2a si può notare come le tipologie forestali che presentano maggiore stabilità sono la larice-cembreta “A”, la pecceta montana e quella subalpina “D e Mb”. La igura 2b mostra invece come le tipologie forestali più perturbate, per esempio i boschi di latifoglie, siano frequentate da specie dalla dieta generalista tra cui Harpalus latus (sp.16) e Trichotichnus laevicol-

lis (sp.27). Il fatto che i boschi di latifoglie abbiano un livello di instabilità simile a quello della lariceta-pascolata è giustiicabile dalla presenza di piccoli corsi d’acqua che le attraversano e che fungono, durante la stagione di massima portata, da fattori perturbativi ma naturali.

È interessante notare come l’attività del pascolo all’interno della lariceta “B” determini la presenza di una cenosi tipica di ambienti instabili ovvero ricca di specie (Fig. 1a) ma poco strutturata poiché queste presentano valori bassi di Shannon (Fig. 2a). Probabilmente l’intenso brucamento da cervo porta ad avere un sottobosco meno denso che permette la sopravvivenza anche di specie opportuniste, e non stret-tamente silvicole, a scapito dei brachitteri che, vista la bassa mobilità, sono i primi a scomparire in presenza di fattori di disturbo. Tale risultato è in accordo con quanto dimostrato in Melis et al. (2006) per i boschi di conifere della Norvegia e suggerisce la necessità di approfondire questa linea di ricerca col ine di poter descrivere l’im-patto del brucamento della fauna selvatica sulle cenosi di insetti.

Ringraziamenti

Si desidera ringraziare Dorino Moreschini per aver collaborato all’attività di campo e il Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio, per aver co-inanziato il progetto.

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Bibliografia

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Nitrogen dynamics in high elevation environments of

Val Masino, Central Alps (Italy)

Circolazione dell’azoto in Val Masino: studi condotti in ambienti di alta quota

Alessandro Lotti*, Cristina Arese, Carlo Andrea Delconte,

Laura Passatore & Rafaella Balestrini

CNR-IRSA Istituto di Ricerca sulle Acque, Via del Mulino 19, 20047 Brugherio (MB)*[email protected]

Abstract

Nitrogen dynamics in running waters and snowpack samples were investigated in the high-elevation part of the Val Masino catchment, in the Italian Alps. his area was studied and monitored since 1994 within the CON.ECO.FOR. project. Studies of the soil solution showed a complete assimilation of nitrogen in forested areas, but the atmospheric deposition trends and the evolution of nitrate in the Masino stream suggested an intermediate condition of N saturation.In 2007 the DIVALPA project started, aiming to identify the nitrate sources and the most important biogeochemical processes responsible for nitrogen loads in the stream at 1190 m asl.Median measured N-NO3

- concentrations were 16 µeq/l in running waters, 4 µeq/l in snow and 24 µeq/l in rain. A PCA analysis was performed on the chemical species concentration of the running water sites and three principal axes, explaining 73 % of the total variation, were identiied.

Introduction

Chronic inputs of N deposition can over time lead to “N saturation”, a condi-tion in which the availability of inorganic N exceeds the N assimilation capacity of biological processes. Alpine communities are considered to be very sensitive to changes in N deposition because a combination of extreme environmental features generally limits the N uptake and retention capacity of the ecosystem. Most alpine regions, both in Europe and in the United States, receive N deposition rates that are several times higher than presumed preindustrial levels (Burns, 2003; Fenn et al.,

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2003; Preunkert et al., 2003; Hiltbrunner et al., 2005; Balestrini et al., 2006). Symptoms of advanced stages of N saturation have been reported in alpine ecosys-tems in the Rocky Mountains receiving relatively low N, i.e. 2–4 kg ha-1 yr-1, in wet deposition. he luxes reported for European alpine site at elevations above 2000 m asl are between 0.5–3 kg N ha-1 yr-1 (Hiltbrunner et al., 2005), but at lower sites the rates increase greatly.

Val Masino catchment, in the Italian Alps, was studied since 1994 within the CON.ECO.FOR. project. he irst aim was to identify the interaction between the atmospheric luxes and the forest ecosystem. In this site nitrogen circulation was studied by monitoring open-ield and throughfall depositions, soil solution at difer-ent depths and the Masino stream as the output of Val Masino catchment. he re-sults of this study showed an atmospheric deposition mean load of 12 kg ha-1 y-1, three times higher than the N critical load value suggested for remote areas (Wil-liams & Tonnessen, 2000). Also nitrate concentrations in the stream highlighted an intermediate condition of N saturation for this catchment. On the other hand soil solution suggested a total assimilation of nitrate in the forested zone (Balestrini & Tagliaferri, 2001; Balestrini et al., 2006). For these reasons and with the purpose of obtaining a further insight in nitrogen dynamics in this remote ecosystem, a sam-pling campaign of running waters, snow and soils was conducted from 2007 to 2008 in the high-elevation part of the catchment (1900 – 2600 m asl), within the DI-VALPA project (Tagliaferri et al., 2009).

Materials and methods

Study area

he DIVALPA study area is located in Val Masino in the Central Italian Alps, a typical glacial valley surrounded by an amphitheatre of mountains as high as 3500 m a.s.l. (Fig. 1) Sampling sites were located from 1900 to 2600 m asl. Addi-tional samples were collected at 1190 m asl, at the outlet of the Val Masino catch-ment. he Masino stream is a glacial stream that drains Val Masino. he geological substratum of Val Masino is granodiorite and the soils are humic cambisols. he av-erage annual rainfall is about 1300 mm and the mean air temperature is 8 °C.

Two synoptic surveys were conducted in 2007 and 30 sites were sampled to characterize chemical and physical properties of running waters between 2000 and

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2600 m asl. Eighteen sites were then selected and eight sampling surveys were con-ducted from June to October 2007 and 2008. Five snow proiles were dug between 1950 m and 2250 m asl in May 2008 within the study area and a soil analysis was conducted in October 2008.

Map site of samples in Val Masino catchments.Figure 1:

Chemical analysis

All water and snow samples were analyzed for pH, conductivity and major ions. he concentration of ionic species was determined after iltration through 0.4 µm ISOPORE polycarbonate membrane ilters. Cations (Na+, N-NH4

+, K+, Mg2+, Ca2+) and anions (Cl-, N-NO3

-, N-NO2-, SO4

2-) were measured with ion chromatog-raphy Dionex ICS2000 with a CS12A column and MSA eluent for cations and Di-onex LC25 with an AS11 column and KOH eluent for anions. Ammonium was determined using the indophenol-blue method and total nitrogen content was meas-ured using molecular absorption spectrometry UV-VIS, after a persulphate diges-tion. Dissolved organic carbon (DOC) was assayed by high-temperature catalytic oxidation (Patrolecco et al., 2000).

Snow grain structure and size were described according to international pro-cedures and snow density and temperature were measured at each snow layer. 32 snow samples were analysed for the main ion species.

Topsoil (0-10 cm) close to each of the running water sampling sites was sam-pled in three replicates and processed within 24 hours after returning from the ield.

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Soils were 2 mm sieved and extracted with 0.5 M K2SO4 for subsequent determina-tion of ammonium, nitrate and dissolved organic nitrogen (DON).

A Principal Component Analysis (PCA) was performed to identify the rela-tionship between the diferent chemical species and geophysical variability using STATISTICA for Windows R 5.0 software (StatSoft, Inc., 1995).

Results

Snow

Median inorganic N concentration in snow was about 4 µeq/l for nitrate and 5 µeq/l for ammonium (Tab. I).

Main statistical descriptors of chemical composition of snow sampled in May 2008 in Table I:

Val Masino.

c20 °C H+ N-NO3- SO42- Cl - N-NH4

+ Ca2+ Mg2+ Na+ K+

µS cm-1 µeq l-1

N 32 32 32 32 32 32 32 32 32 32

Mean 3.6 2.4 8.1 3.6 3.6 8.4 7.2 1.0 5.0 2.2

S. D. 3.0 0.8 11.4 5.0 2.7 8.8 19.1 1.7 4.8 2.1

Min 1.2 0.7 1.2 0.2 0.6 1.1 0.3 0.3 0.2 0.8

First quartile 2.1 1.8 2.4 1.2 1.4 3.2 0.8 0.4 1.3 1.5

Median 2.5 2.2 4.1 1.7 2.8 5.2 1.7 0.5 3.1 1.6

Third quartile 3.5 2.8 7.6 3.0 4.4 8.6 3.5 0.6 9.0 1.8

Max 14.7 4.1 58.9 19.8 9.7 43.5 82.6 7.5 17.7 10.5

Total N loads were low, about 8 kg ha-1. Loads of ammonium and nitrate in snowpack were not correlated with the altitude, and depended mainly on the snow height, suggesting that the (re)distribution of snow due to topography or winds ex-erts a direct control on N loading in the snowpack and subsequent input to the soil during snowmelt (Fig. 2). he loads and concentrations of inorganic nitrogen were in agreement with the values reported for other sites in the Alps (Nickus et al., 1998, Hiltbrunner et al., 2005).

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Snow height and Figure 2:

nitrogen content at diferent

altitudes.

Main statistical descriptors of the nitrogen species determined on soil samples in Val Table II:

Masino.

N-NH4+ N-NO3

- N_inorg DON

mg kg -1

N 15 15 15 15

Mean 18.7 8.8 27.5 23.6

S. D. 4.7 2.5 5.6 3.1

Min 1.5 0.8 2.4 5.4

First quartile 8.3 4.1 12.1 19

Median 15.7 4.9 23.3 22.7

Third quartile 19.7 9.1 42.7 28.2

Max 76.3 31.4 81 53.9

Soil

Soil analyses showed high concentrations of nitrate (Tab. II), i.e. within the highest range for available values of Alpine sites (Brooks et al. 1996). N-NH4

+ pools ranged from 0.11 – 6.29 g/m2 and N-NO3

- pools ranged from 0.04 – 2.2 g/m2. hese results suggest fast transformation processes for nitrogen.

Running waters

he ionic content in the diferent matrices increased from snow to running waters reaching the maximum levels in the Masino stream. Ammonia concentrations were very low, i.e. near the detection limits (Tab. III). he median N-NO3

- concen-tration in running waters was about 16 µeq/l. his value was 4 times higher than snow samples and somewhat lower than Masino stream (20 µeq/l).

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he concentration of nitrate for running waters showed a minimum in mid summer and a maximum in October. he highest values (> 40 µeq/l) were measured in sites located over 2500 m asl. Other geochemical species related to abiotic proc-esses such as Ca2+ and SO4

2- showed an increasing trend from July to October, while Cl-, a conservative species, remained stable during the whole period. Similar NO3

- and Ca2+ trends were reported for high-elevation catchments in Austrian Alps and Colorado (Battin et al., 2004, Williams et al., 2006).

Main statistical descriptors of chemical composition determined in running water Table III:

samples in Val Masino from June 2007 to October 2008.

c20 °C H+ N-NO3- SO4

2- Cl- HCO3- N-NH4

+ Ca2+ Mg2+ Na+ K+

µS cm-1 µeq l-1

N 124 126 126 125 124 125 125 125 125 124 125

Mean 9.6 0.4 16.4 21.7 4.3 47.4 0.8 64.0 5.7 14.9 7.5

S. D. 3.0 0.4 11.0 7.0 3.8 27.2 2.1 23.5 2.4 5.9 2.9

Min 4.4 0.0 0.0 8.3 0.5 2.0 0.0 22.5 1.6 5.1 1.7

First quartile 7.5 0.1 8.5 17.6 2.0 25.0 0.0 48.9 3.8 10.5 5.6

Median 9.3 0.2 15.7 21.2 2.8 46.0 0.3 60.2 5.6 13.5 6.8

Third quartile 11.7 0.4 24.1 25.2 5.0 68.0 0.9 77.8 7.4 18.0 8.6

Max 19.0 2.7 45.0 50.0 22.0 109.0 17.6 132.1 14.0 34.8 17.8

he knowledge of the origin of the water in diferent seasons is fundamental for the comprehension of this temporal evolution. Even if discharge at highest alti-tudes was not measured, the Masino stream annual hydrography (at 1190 m asl) and direct observations in the ield allowed us to identify a hydrological seasonal trend. Flow was high in June-July due to snowmelt and rainfall, and dramatically decreased to minimum levels in autumn, before the starting of snowfall. Some Authors explain the coincidence of higher concentrations during minimum hydrological lows with evapo-concentration mechanisms. he behaviour of Cl- in our study system does not support this hypothesis. Further research is necessary to identify the role of physical and biological processes producing the temporal variation in nitrate concentration.

A PCA analysis was performed on the chemical species concentration of the running water sites to interpret major trends of variation in the study system. We have found three principal axes that explain 73 % of the variability. he irst axis (45 % of variability) was related to basic cations (-0.864 < R < -0.929) and alkalinity

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(R= -0.844), representing the geochemical descriptors associated to the weathering

processes. he second axis summarized N-NO3- (R= 0.901) and DOC (R= -0.821)

and can be related to the biological processes that control the N export. he third

axes explaining 12 % of variance is deined by organic nitrogen (ON) and Cl- and is

not clearly understandable. hese axes were related with some geophysical variables.

he irst axis was highly correlated with longitude and elevation, and in fact there are

more glaciers and moraine moving from west to east. We can hypothesize that in this

macrohabitat the erosive action is more intense, which causes increasing concentra-

tions of basic cations in running waters. he second axis was correlated only with

elevation. his can be explained with the increasing importance of soil cover at low-

er altitudes as well as the richness in habitat and vegetation supporting the biological

processes responsible for the nitrate decrease and the organic matter enrichment in

the waters.

he variation of vegetation type and habitat with elevation and longitude was

annotated during the investigation and the sampling phases. Using the NATURA

2000 Map we identiied four macrohabitats in Val Masino: the siliceous screes, the

siliceous screes + siliceous alpine and boreal grassland, the siliceous alpine and boreal

grassland, the grassland (Nardetus). We found a signiicant relation between N-NO3-

and DOC concentration and the macrohabitats. Nitrate decreased from simple mac-

rohabitats (siliceous screes), characterized by boulders, thin soils without vegetation,

to more complex ones (Nardetus), with more developed and vegetated soils. While

DOC showed an inverse trend with high concentrations in simpler macrohabitats

and lower concentrations in complex ones (Fig. 3). hese trends suggest that biolog-

ical activities in the soil can regulate the nitrate concentration and the N export.

Box plot of N-NOFigure 3: 3- and DOC (mg l-1) at different macrohabitats: siliceous screes (1),

siliceous screes + siliceous alpine and boreal grassland (2), siliceous alpine and boreal

grassland (3), grassland – Nardetus (4).

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Alessandro Lotti et al.

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Discussion and conclusions

he chemical characterisation of diferent environmental matrices (running waters, snow and soils) from the high elevation zone is crucial to better understand the dynamics of nitrate in Val Masino catchment. he N-NO3

- concentration in running waters has a high variability, from no detectable levels to 45 µeq/l. his var-iability is due to seasonality, elevation, content of organic carbon and the occurrence of diferent macrohabitats. he higher concentrations were measured in autumn at the output of habitats like “rock glaciers”, while lower concentrations were detected in habitats with more complex vegetation at lower elevation. An overall analysis of the measured concentrations in the main course of Masino stream at diferent loca-tions, from to 2555 m asl to 1950 m asl, showed a decreasing trend of nitrate with elevation. From 1950 m to 1190 m asl, however, we observed a slight increase of ni-trate concentration (Fig. 4), rather unexpected considering the increase of forested areas and, in general, of more complex habitats. We can hypothesize that the occur-rence of steep slopes as well as the iniltration of water underneath the channel could reduce the interactions of waters and soils or vegetations limiting the nitrate assimi-lation. A more detailed study of the hydrology between 1100 m to 2000 m asl will be very helpful to verify this hypothesis.

Nitrogen evolution in the Masino stream at diferent altitude (m asl) in 2008.Figure 4:

Acknowledgements

We thanks ERSAF for funding the DIVALPA project and for the technical support in sampling campaigns.

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Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy)

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Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario

Salmo (trutta) trutta L. in Italia centrale

Population size structure indices and growth standard for Salmo (trutta) trutta L.

in central Italy

Giovanni Pedicillo1*, Antonella Carosi2, Lucia Ghetti3 &

Massimo Lorenzoni1

1 Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale, Università di Perugia, Via Elce di Sotto, 06123 Perugia2 Servizio Programmazione Ittico-Faunistica, Provincia di Terni, Via Plinio il Giovane 21, 05100 Terni

3 Servizio Programmazione Forestale, Faunistico-venatoria ed Economia Montana, Regione dell’Umbria*[email protected]

Abstract

Nello studio delle popolazioni ittiche una varietà di indici sono stati sviluppati per fornire indicazioni sullo stato di benessere dei pesci, sulla struttura delle popolazioni ittiche e sui loro tassi di accrescimento. Tuttavia lo sviluppo di indici che permettono di confrontare gli accrescimenti di diverse popolazioni ittiche è solo agli inizi. È, quindi, necessario individuare per la maggior parte delle specie ittiche italiane dei valori di riferimento. Lo scopo di questa ricerca è fornire un modello standard di accrescimento in lunghezza che possa servire come riferimento per le popolazioni dell’Italia centrale di trota fario Salmo (trutta) trutta Linnaeus. I valori di riferimento, espressi come percentili della lunghezza all’età, sono stati elaborati utilizzando le equazioni per l’accrescimento teorico in lunghezza, sviluppate secondo il modello di von Bertalanfy, appartenenti a 122 popolazioni di trota fario del bacino del iume Tevere.L’RSD (Relative Stock Density) ed il PSD (Proportional Stock Density) sono dei descrittori numerici, basati sulle frequenze delle lunghezze, largamente applicati alle popolazioni ittiche nordamericane per deinire la qualità della loro struttura per età. Per le popolazioni italiane di trota fario allo stato attuale non esistono in letteratura le soglie che deiniscono le categorie di lunghezza che servono a calcolare questi indici. In questo studio sono state stimate tali soglie utilizzando due metodi diferenti.

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Giovanni Pedicillo et al.

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Introduzione

La valutazione delle caratteristiche di una popolazione ittica spesso include la necessità di efettuare dei confronti tra località diverse o rispetto a condizioni stan-dard di riferimento; a questo scopo sono stati sviluppati una varietà di indici. Meto-di standardizzati per confrontare le caratteristiche tra popolazioni ittiche diferenti aumentano la comunicazione tra gli ittiologi, migliorano l’eicienza dell’analisi dei dati e forniscono indicazioni che aiutano le azioni gestionali. Uno dei primi tentativi per valutare la qualità della struttura delle popolazioni ittiche utilizzando i dati di frequenza delle lunghezze è stato proposto da Anderson (1976) che introdusse il concetto di Proportional Stock Density (PSD). Il PSD rappresenta la percentuale di esemplari di taglia stock che sono più lunghi della taglia quality, dove la prima rap-presenta la taglia che ha poco valore dal punto di vista alieutico mentre la seconda indica la taglia minima che la maggior parte dei pescatori vorrebbero catturare. La principale critica a tale approccio è che esso comprime l’intera distribuzione delle lunghezze di una popolazione ittica in un singolo numero con una probabile perdita di informazioni (Gabelhouse, 1984). È stato quindi sviluppato un altro indice (Rela-

tive Stock Density) che si basa su cinque categorie di lunghezza e che permette di va-lutare la struttura di popolazione con maggiore dettaglio (Gabelhouse, 1984). Seb-bene sia il PSD che l’RSD siano frequentemente usati in Nord America, in Europa essi sono utilizzati solo raramente.

L’accrescimento è una delle caratteristiche più studiate nei pesci poiché rap-presenta un buon indicatore della salute sia dei singoli individui che delle intere po-polazioni. L’analisi dell’accrescimento di una popolazione ittica risulta particolar-mente importante poiché fornisce una valutazione integrata delle condizioni ambientali ed endogene che agiscono sui pesci (Kocovsky & Carline, 2001); pertan-to, l’individuazione di criteri standard di riferimento permette di esprimere un giu-dizio obiettivo sulla qualità di un accrescimento e rappresenta un valido strumento per valutare la correttezza delle scelte intraprese da chi si occupa della gestione delle risorse ittiche. Nonostante siano numerose le popolazioni ittiche per le quali è stata descritta la relazione esistente tra la lunghezza e l’età degli esemplari, poche sono le metodiche che permettono di confrontare e giudicare gli accrescimenti di popolazio-ni diferenti (Hubert, 1999). Uno dei primi tentativi di costruire delle curve di rife-rimento che descrivessero l’accrescimento è stato efettuato da Hickley & Dexter (1979) utilizzando i dati di lunghezza ed età: le curve fornivano le lunghezze di rife-rimento ad ogni età di alcune specie ittiche britanniche. Casselman & Crossman

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Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario salmo (trutta) trutta l.

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(1986) usarono il modello di accrescimento di von Bertalanfy per stimare le lun-ghezze di riferimento all’età per Esox masquinongy Mitchill, mentre Hubert (1999) ha utilizzato per Ictalurus punctatus (Rainesque) i valori percentili delle lunghezze medie all’età di 102 popolazioni nordamericane. Metodi analoghi sono stati usati da Quist et al. (2003) per sviluppare i percentili standard per Sander vitreus (Mitchill) e da Jackson & Hurley (2005) per Pomoxis annularis Rainesque e P. nigromaculatis (Lesueur) in Nord America.

Lo scopo di questa ricerca è deinire le categorie di lunghezza necessarie per il calcolo dell’RSD in Salmo (trutta) trutta in Italia centrale e fornire per tale specie un modello di riferimento per valutare la qualità dell’accrescimento di una popolazione.

Materiali e metodi

In questa ricerca sono stati utilizzati i dati delle catture di trota fario efettuate in periodo compreso tra il 1992 ed il 2008 in 32 corsi d’acqua del bacino del iume Tevere (Fig. 1).

Area di studio.Figura 1:

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Giovanni Pedicillo et al.

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Le catture sono state efettuate mediante elettrostorditori di diversa potenza, a seconda delle caratteristiche del settore luviale indagato; ad ogni esemplare esamina-to è stata rilevata la lunghezza totale (LT) (±0,1 cm) (Anderson & Neumann, 1996), il peso (P) (± 1 g) e determinata l’età mediante scalimetria (Bagenal, 1978).

Per esaminare la relazione tra la lunghezza e l’età della trota fario è stato utiliz-zato il modello di accrescimento teorico di von Bertalanfy (1938), descritto dalla seguente equazione:LTt = L∞{1 – exp[-k (t – t0)]}

dove:LTt è la lunghezza totale teorica (cm) all’età t;L∞ è l’asintoto della curva, cioè la lunghezza massima (cm) che il pesce potrebbe rag-giungere se continuasse a vivere indeinitamente;k è la velocità (anni -1) alla quale la curva di accrescimento si avvicina all’asintoto;t0 è l’età teorica (anni) alla quale il pesce ha lunghezza pari a zero.

È stato inoltre calcolato il parametro Φ’ (Pauly & Munro, 1984) (Φ’ = log10k

+ 2log10L∞) che mette in relazione L∞ e k ed individua diferenze nelle caratteristiche degli accrescimenti in ambienti diversi (Abella et al., 1994), rendendo così possibile un confronto fra popolazioni di una stessa specie.

Per sviluppare lo standard di riferimento sono state analizzate 122 popolazio-ni per un totale di 29.519 esemplari; per ognuna sono stati calcolati i parametri dell’equazione di von Bertalanfy utilizzando le lunghezze medie raggiunte nelle va-rie classi di età. Dalle successive analisi sono state scartate tutte quelle popolazioni che presentavano valori di L∞ superiori del 50 % rispetto all’esemplare più grande catturato in ognuna di esse (Taylor, 1962). Utilizzando tali parametri, per ciascuna popolazione sono state calcolate le lunghezze relative ad ogni età t (LTt per 1 ≤ t ≤ 10). Sul data-set così ottenuto è stata efettuata un’analisi della distribuzione delle lun-ghezze: per ciascuna età considerata, il 10°, 30°, 50°, 70° e 90° percentile della lun-ghezza sono stati considerati come soglie per la costruzione delle curve di accresci-mento teorico in lunghezza che rappresentano gli standard di riferimento (Britton, 2007). L’accrescimento di una popolazione è giudicato molto scarso se le lunghezze all’età dei suoi esemplari risultano inferiori alla curva del 10° percentile, scarso se comprese tra il 10° ed il 30°, normale se comprese tra il 30° ed il 70°, buono se com-prese tra il 70° ed il 90° e ottimo se superiori al 90° percentile.

Per la valutazione della struttura di popolazione è stato utilizzato il Relative

Stock Density (RSD) (Gabelhouse, 1984); tale indice prevede la presenza di cinque

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Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario salmo (trutta) trutta l.

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speciiche categorie di taglia (stock, quality, preferred, memorable, trophy) ed il suo cal-colo è deinito dalla formula seguente:

RSD = (N° di pesci ≥ taglia speciica) / (N° di pesci ≥ taglia stock)

Quando si utilizza come categoria speciica la taglia quality tale indice prende il nome di Proportional Stock Density (PSD) (Anderson, 1976). Sono considerate bi-lanciate le popolazioni ittiche che presentano valori di PSD compresi tra 35 e 65 (Gabelhouse, 1984): valori inferiori a 35 indicano una troppo scarsa presenza di adulti nella popolazione, mentre valori superiori a 65 sono indice di una eccessiva presenza di adulti, una riproduzione probabilmente insuiciente o una eccessiva mortalità che incide sugli stadi giovanili. Per stimare le soglie minime delle categorie di lunghezza che servono per il calcolo dell’RSD sono stati utilizzati due metodi diferenti. Seguendo l’approccio tradizionale (Gabelhouse, 1984) (Metodo 1), la lunghezza corrispondente a ciascuna categoria di taglia è calcolata come percen-tuale rispetto alla taglia massima (LTmax) registrata su scala mondiale in S. trutta (LTmax ≈ 100 cm) (Tab. III); tale valore risulta però sovradimensionato rispetto a quanto registrato nel bacino del iume Tevere. In questa ricerca vengono pertanto proposti valori tarati sulle condizioni locali con LTmax che, sulla base delle osservazio-ni fatte, risulta pari a 60 cm.

La lunghezza media a cui un pesce di una data popolazione raggiunge per la prima volta la maturità sessuale è un importante parametro biologico per la gestione della popolazione stessa (Jennings et al., 1998). Froese & Binohlan (2000) hanno osservato che l’età di prima maturazione è soprattutto funzione della taglia. Seguen-do tale criterio ed in accordo con Gassner et al. (2003) è stato proposto un ulteriore metodo (Metodo 2). Per il calcolo delle categorie di taglia dell’RSD sono state dei-nite prima due soglie: L∞ e la lunghezza alla maturità (Lm). La prima è stata espressa come media dei valori di L∞ (L∞ media) delle 122 popolazioni analizzate per deinire il modello standard di accrescimento, mentre la seconda è stata calcolata da L∞ media per mezzo dell’equazione log10Lm = 0.8979 log10L∞ – 0.0782 (Froese & Binohlan, 2000); le lunghezze delle diverse categorie sono state, quindi, così calcolate (Gassner et al., 2003):

Stock (S) = Q-((T- Q)/3)

Quality (Q) = Lm

Preferred (P) = Q+((T- Q)/3)

Memorable (M) = Q(((T- Q)/3)2)

Trophy (T) = 80 % del valore medio di L∞

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Giovanni Pedicillo et al.

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Per valutare l’eicacia dei due metodi proposti, le soglie così computate sono state utilizzate per calcolare il PSD in 263 popolazioni di trota fario nel bacino del iume Tevere ed i risultati confrontati tra di loro.

Risultati e discussioni

Nella tabella I è riportata la statistica descrittiva dei parametri dell’equazione di von Bertalanfy calcolati per le 122 popolazioni analizzate, mentre nella tabella II viene illustrata la statistica descrittiva delle lunghezze raggiunte alle varie età ed uti-lizzate per la costruzione delle curve di riferimento per l’accrescimento teorico in lunghezza (Fig. 2).

Statistica descrittiva dei parametri dell’equazione di von Bertalanfy.Tabella I:

Media Mediana Minimo Massimo Dev. Std. Err. Std.

k (anni -1) 0,23 0,20 0,07 0,63 0,11 0,01

L∞ (cm) 44,72 42,71 23,02 89,47 12,98 1,18

t0 (anni) –0,53 –0,57 –1,56 0,67 0,37 0,03

Statistica descrittiva delle lunghezze raggiunte alle varie età utilizzate per la Tabella II:

costruzione delle curve standard.

Età (anni)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

10° perc. 9,02 14,14 18,45 21,50 23,48 25,57 26,55 27,34 27,96 28,34

30° perc. 10,54 15,91 20,62 23,99 26,77 28,83 30,56 32,05 33,14 34,17

50° perc. 11,53 17,00 21,64 25,62 28,71 31,16 33,05 34,54 35,82 36,41

70° perc. 12,19 18,10 22,94 26,91 30,09 33,07 35,40 37,25 38,77 40,00

90° perc. 13,48 19,42 24,61 28,30 31,34 34,57 37,54 40,43 42,98 45,28

Media 11,20 16,97 21,56 25,25 28,25 30,71 32,75 34,44 35,86 37,05

Minimo 3,84 12,20 16,21 19,36 21,10 21,87 22,34 22,61 22,78 22,87

Massimo 14,43 20,70 26,66 32,79 37,90 42,17 45,74 48,71 51,19 53,27

Err. Std. 0,17 0,18 0,21 0,24 0,29 0,34 0,39 0,45 0,51 0,56

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Curve di Figura 2:

riferimento per l’accre-

scimento teorico in

lunghezza con i relativi

parametri dell’equazione

di von Bertalanfy.

I valori del parametro Φ’ forniti nella igura 2 possono costituire un ulteriore strumento per poter valutare in modo sintetico la qualità dell’accrescimento di una popolazione di trota fario rispetto agli standard tipici della specie nell’area di studio.

I valori di riferimento riportati in questo studio evidenziano una considerevo-le plasticità nell’accrescimento tra le diverse popolazioni. I fattori causali, biologici ed ambientali, della plasticità fenotipica nell’accrescimento sono numerosi e molto spesso correlati ed includono, oltre a fattori genetici, anche temperatura, competizio-ne intra- ed interspeciica, habitat, disponibilità di cibo, stato troico e tipo di gestio-ne (Cowx, 2000). Anche se individui diversi in una stessa popolazione possono pre-sentare considerevoli variazioni nella lunghezza raggiunta ad una età (Pilling et al., 2002), l’uso dei parametri dell’accrescimento medio é molto spesso adeguato a de-scrivere le caratteristiche di una popolazione ittica (Sainsbury, 1980). Strumenti comparativi che permettono di valutare tali parametri, grazie alla loro facilità di in-terpretazione ed al loro ruolo nel chiarire i fattori causali delle diferenze dei tassi di accrescimento tra popolazioni, risultano preziosi nel fornire indicazioni sui fattori ambientali e sulle attività gestionali che inluenzano l’accrescimento.

L’analisi della struttura per età viene ampiamente utilizzata nella valutazione dell’integrità biotica di una popolazione ittica e costituisce, in accordo con la “Water Framework Directive” (CE-WFD) (EU, 2000), uno dei fondamentali parametri da considerare nell’uso dei pesci come indicatori biologici.

Le soglie delle categorie di taglia utilizzate per il calcolo dell’RSD stimate sulla percentuale della lunghezza massima osservata per S. trutta non su scala mon-diale (LTmax≈100 cm), come proposto da Gabelhouse (1984), ma su scala locale

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Giovanni Pedicillo et al.

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(LTmax = 60 cm) (Metodo 1) risultano molto simili a quelli riportate da Milewski & Brown (1994) per la forma di torrente di S. trutta (LTmax = 55,4 cm) (Tab. III).

Soglie minime delle categorie di taglia per il calcolo dell’RSD.Tabella III:

Categoria Metodo 1

(Gabelhouse,1984)

Metodo 2

(Gassner et al., 2003)

% LTmax Classi LT (cm)

corrispondenti a %

LTmax

Soglia

minima (cm)

Soglia

minima (cm)

stock 20 – 26 12,0 – 15,6 14 22

quality 26 – 41 21,6 – 24,6 23 25

preferred 45 – 55 27,0 – 33,0 30 29

memorable 59 – 64 35,4 – 38,4 37 32

trophy 74 – 80 44,4 – 48,0 46 36

Il metodo 2 utilizza per la determinazione delle categorie di taglia (Tab. III) la lunghezza alla maturità (Lm) e L∞ media ed i valori di tali parametri nel bacino del iume Tevere sono risultati pari a 25 cm e 44,72 cm, rispettivamente.

L’analisi dei risultati ottenuti applicando l’indice PSD alle popolazioni del ba-cino del iume Tevere rivela che la scelta del metodo utilizzato nell’individuazione dei valori soglia condiziona in modo signiicativo il giudizio sulla qualità della struttura di popolazione: su un totale di 263 popolazioni e 34.645 individui, il valore medio (± ES) del PSD calcolato con il metodo 1 (20,28 ± 1,18) risulta nettamente minore di quello calcolato con il metodo 2 (37,84 ± 1,68), con diferenze che appaiono altamen-te signiicative al t-test (t = –8,693; p = 0,000). Il metodo 1 restituisce valori di PSD sempre inferiori sopravvalutando, quindi, la presenza degli esemplari di più piccole dimensioni: tale metodo giudica bilanciate (35 ≤ PSD ≤ 65) il 16,0 % delle popolazio-ni analizzate, mentre tale percentuale sale al 37,7 % con il metodo 2 (Tab. IV).

Frequenze dei valori di PSD nelle popolazioni di trota fario del bacino del iume Tabella IV:

Tevere.

Metodo 1 Metodo 2

N° popolazioni % N° popolazioni %

PSD < 35 215 81,7 118 48,4

35 ≤ PSD ≤ 65 42 16,0 92 37,7

PSD>65 6 2,3 34 13,9

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Oltre a deinire la misura ottimale del campione e correlare PSD ed RSD ad altri parametri come, ad esempio, la condizione corporea, un importante compito per il futuro sarà quello di testare questo indice sul maggior numero possibile di po-polazioni di S. trutta, in modo da stabilire quale dei due metodi risulti più eicace nel descrivere la struttura di popolazione di tale specie.

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Reticolo idrografi co

ed ecosistemi marini

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Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrografici

From land use to the degree of naturalness of watersheds

Roberta Bottarin* & Uta Schirpke

Istituto per l’Ambiente Alpino, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano*[email protected]

Abstract

Le superici di 50 bacini idrograici dislocati in Alto Adige sono state intersecate con la carta dell’uso del suolo provinciale. Associando alle diverse tipologie dell’uso del suolo i valori di emerobia è stato poi possibile classiicare i bacini imbriferi attribuendo loro vari gradi di naturalità. Un confronto fra i livelli altitudinali mostra per esempio come i bacini idrograici molto modiicati hanno parti estese nel fondovalle, mentre quelli con buone caratteristiche di naturalità sono dislocati ad altitudini maggiori. La classiicazione “naturale” / “non naturale” non deve essere in alcun modo coercitiva, ma in molti casi esprime un’esigenza di miglioramento e l’attribuzione di un valore permette il monitoraggio. Lo studio dell’emerobia può trovare un supporto nell’am-ministrazione e gestione dei bacini imbriferi. Il grado di emerobia è prezioso nelle applicazioni, in particolare nelle carte di impatto e nei piani territoriali e nell’ambito dell’ecologia di conservazione, in quanto permette di evidenziare le aree a maggiore naturalità. Non si deve dimenticare però che i positivi cambiamenti del grado di naturalità in un bacino idrograico hanno luogo e possono essere deiniti tali solo in tempi lunghi.

Introduzione

Nell’ultimo secolo i cambiamenti dell’uso del suolo sono stati numerosi e hanno riguardato in un lasso di tempo sempre più ridotto porzioni di territori sem-pre più ampie. Il concetto di territorio “naturale” e di “intensità dell’inluenza uma-na” è poco chiaro, diicilmente confrontabile nel tempo e nello spazio e spesso trop-po oggettivo. Negli anni sono stati sviluppati una serie di indici di naturalità (Anderson, 1991; Machado, 2004), applicati quasi esclusivamente a porzioni di ter-ritorio limitate, quali per esempio i corridoi luviali. D’altra parte numerosi indici

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Roberta Bottarin & Uta Schirpke

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sono stati elaborati nell’ambito della Landscape ecology, considerando soprattutto gli aspetti geometrici e la distribuzione dei patch di territorio diversi (Farina, 2001; Dramstad et al., 2006).

Il termine di “emerobia” è stato introdotto in ambito ecologico per la prima volta da Jale (1955), che ha classiicato le piante in base alla loro capacità di resistere verso specie invasive. Il termine successivamente è stato ampliato ad intere associa-zioni botaniche (Supkopp et al., 1990) e poi, nel 1990 Kowarik con il termine di “emerobia” ha deinito “la misura dell’inlusso culturale dell’uomo sull’ecosistema”. Avendo dimostrato che le piante superiori nonché le associazioni vegetali rilettono il grado di impatto antropico, questo inquadramento sostanzialmente botanico ha permesso di attribuire un valore di emerobia anche alle varie categorie dell’uso del suolo. Le specie vegetazionali dominanti nelle varie tipologie dell’uso del suolo sono state associate ad una scala di valori ordinati in base al grado di modiicazione antro-pica subita nel tempo. Una combinazione fra le nozioni in ambito paesaggistico con la catchment ecology ha portato per la prima volta all’applicazione del concetto di emerobia su scala di bacino idrograico ai ini di trovare una metodologia semplice per caratterizzare il grado di impatto antropico nel senso di pressione che subisce la rete idrograica all’interno del bacino stesso. L’indice di emerobia a livello di bacino potrebbe integrare gli indici di naturalità che attualmente vengono applicati preva-lentemente ai corridoi luviali (Braioni & Penna, 1998).

Area di Studio

Il territorio provinciale altoatesino presenta un’orograia tipicamente alpina, con il 64 % della supericie dislocata al di sopra dei 1500 m s.l.m. Questo caratteriz-za fortemente anche il sistema agricolo, suddiviso in due fasce distinte: il fondovalle e la fascia pedemontana, dove si concentrano le coltivazioni legnose e la zona mon-tana, sopra i 900 m, caratterizzata prevalentemente dalla zootecnia e dalle coltivazio-ni foraggere. Questa suddivisione in due aree distinte è accentuata anche dall’origine glaciale di molte valli altoatesine che presentano un fondovalle abbastanza ampio, versanti piuttosto ripidi ed altipiani. Le condizioni geograiche e climatiche della Provincia hanno permesso lo sviluppo dell’allevamento, in prevalenza bovino, che è la principale e spesso l’unica forma di sfruttamento eiciente dei territori posti alle quote più elevate.

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Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrografici

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In Alto Adige l’acqua ad uso potabile viene fornita da oltre 1500 acquedotti,

di cui 548 pubblici che servono 116 comuni e 983 privati di interesse pubblico (ser-

vizi di ristorazione isolati, rifugi alpini, ecc.). Gli acquedotti pubblici o di interesse

pubblico soddisfano il fabbisogno del 95,1 % della popolazione, mentre il rimanente

4,9 % della popolazione dispone di un proprio acquedotto privato. L’acqua erogata

dagli acquedotti proviene prevalentemente da sorgenti (61,5 %) e da pozzi (38,0 %)

mentre solo lo 0,5 % dell’acqua viene prelevata da corsi d’acqua superficiali ed op-

portunamente potabilizzata.

Materiali e metodi

I bacini idrografici sono stati delimitati per 50 punti di misura selezionati, sul-

la base di un DEM (Digital Elevation Model) con maglia di 20 metri (Fig. 1). Per ot-

tenere un DEM adatto alle analisi idrologiche è indispensabile correggere eventuali

“errori” (buchi, imperfezioni, valori fuori range, ecc.) del DEM e rimuovere le depres-

sioni locali. Inoltre, la rete idrologica esistente è stato impressa nel DEM abbassando

i valori del DEM (Hellweger, 1997) per creare le direzioni di deflusso corrispondenti

a quelli esistenti. Su questa base era possibile ottenere i percorsi del deflusso superfi-

ciale, generando quindi l’area drenata per ogni punto di misura.

Dislocazione dell’area di studio e dei punti relativi alle stazioni di campionamento, Figura 1:

dalle quali sono stati calcolati i rispettivi bacini idrografici. Gli usi del suolo sono rappresentati

dai valori di emerobia (1-7) corrispondenti.

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Nel passo successivo, le superici dei 50 bacini idrograici sono state interseca-te con le varie tipologie dell’uso del suolo. Visto che il basso grado di deinizione di Corine Land Cover non consente di identiicare zone di supericie inferiore a 25 ha, è stata scelta la carta dell’uso del suolo provinciale (1:10.000) che comunque si ap-poggia alle categorie di uso del suolo deinite a livello europeo. Associando il valore di emerobia alle categorie dell’uso del suolo (Tab. 1) è stato possibile ottenere la di-stribuzione dell’impatto antropico su territorio provinciale (Fig. 1).

Deinizioni e valori di emerobia secondo Kowarik (1990) e categorie di uso del suolo Tabella I:

associato.

Emerobia Valore Uso del suolo

aemerobico 1 Roccia

Zone detritiche prive di vegetazione

Ghiacciaio

oligoemerobico 2 Arbusti contorti e pini mughi

Bosco

Aree prative

mesoemerobico 3 Zona militare

Aree prative alberate

Aree umide

Bacini d‘acqua

beta-euemerobico 4 Area verde urbana

Dighe

Siepi ed alberature

Corsi d‘acqua

alfa-euemerobico 5 Aeroporto

Attrezzature sportive e per il tempo libero

Cimitero

Seminativo

Colture permanenti

Altre superici agricole

poliemerobico 6 Tessuto urbano rado

Insediamenti minori

Case singole, case sparse

Rete stradale e spazi associati

Linee ferroviarie e spazi associati

Impianti a fune (ediici) e spazi associati

Altre attrezzature di interesse pubblico

Cave

Discariche, depositi di materiale

Impianto speciale

metaemerobico 7 Tessuto urbano denso

Superici industriali e commerciali

Area a copertura artiic. non classiicabile

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Intersecando i valori di emerobia con i conini calcolati per i singoli bacini imbriferi è stato successivamente calcolato un indice di emerobia (Steinhardt et al., 1999) per tutti bacini secondo la seguente formula:

con M = indice emerobia; = proporzione dell’area della categoria; m = nu-mero di categorie; h = valore di emerobia.

Oltre a calcolare l’emerobia per l’intero bacino imbrifero, quest’ultima è stata calcolata anche speciicamente e secondo la stessa procedura per un’area bufer di 1 km intorno ad ogni stazione di campionamento (Fig. 2).

Esempio di due stazioni di campionamento con l’area bufer di 1km di diametro che Figura 2:

delimita la zona di calcolo per l’emerobia nelle strette vicinanze del punto di campionamento.

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Risultati e Discussione

La igura 1 mostra i risultati ottenuti relativi all’intera Provincia dell’Alto Adi-ge, dislocata al centro della catena montuosa alpina. I valori più elevati di emerobia rispecchiano in modo molto chiaro il maggior grado di antropizzazione nei fondo-valle dove si trovano anche i maggiori centri urbani. Valori vicino all’unità, e quindi con un impatto antropico limitato, invece si trovano nella parte alta dei bacini im-briferi ad altitudini più elevate. Infatti, gli indici di correlazioni fra emerobia e altitu-dine risultano altamente signiicativi (p>0,01 %) se si considera l’intera supericie imbrifera (Fig. 3).

Correlazione fra indice di emerobia e altitudine media dei bacini imbriferi considerati Figura 3:

(p>0,001).

I valori di emerobia ottenuti per i 50 bacini imbriferi scelti nonché per le re-lative 50 zone bufer calcolate per ogni stazione di campionamento sono messi a confronto nella igura 4.

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Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrograici

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Valori di emerobia ottenuti per l’intero bacino imbrifero (in verde) nonché per il Figura 4:

bufer di 1 km (in giallo) per i 50 bacini imbriferi analizzati.

Le diferenze fra i due valori di emerobia rappresentanti scale spaziali diverse si discostano in modo marcato in quasi tutti i 50 punti di campionamento. Fanno eccezione solo le stazioni poco antropizzate, nelle quali il territorio nelle vicinanze delle stazioni di campionamento non si discosta sostanzialmente dal rimanente terri-torio all’interno del bacino imbrifero.

Queste valutazioni si sono rilevate utili per l’individuazione sia di aree mag-giormente problematiche sia di aree particolarmente naturali in modo obbiettivo all’interno di un bacino imbrifero. La possibilità di variare la scala spaziale permette di applicare il calcolo dell’emerobia non solo ad interi bacini imbriferi, ma anche a speciiche zone scelte (es. bufer con vari diametri, ma anche fasce ripariali dei corsi d’acqua). Grazie all’impiego di dati satellitari le carte dell’uso del suolo saranno ag-giornate in periodi sempre più brevi in futuro, e questo permetterà di implicare que-sto tipo di indagini nell’ambito di programmi di monitoraggio, in grado di mettere in evidenza gli efetti antropici anche a lungo termine. Queste valutazioni possono inoltre supportare la valutazione ambientale strategica a livello della pianiicazione territoriale, essendo il grado di emerobia un indicatore che sia di agevole applicazio-ne su vari tipi di scala spaziale. Non solo: possedendo la documentazione storica si possono anche fare delle valutazioni dell’uso del suolo a ritroso per calcolare scenari possibili e se necessario intervenire repentinamente in forma preventiva.

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Roberta Bottarin & Uta Schirpke

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Calcolo su base biologica del deflusso minimo vitale.

Il caso del Fiume Taro (Provincia di Parma)

Applying the Instream Flow Incremental Methodology (IFIM) to asses

minimum river flow in the Taro River (Parma)

Sara Chiussi1*, Antonio Bodini1, Cristina Bondavalli1 &

Lorenzo Pattini2

1 Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Parma, Viale Usberti 11/A, 43100 Parma 2 Responsabile Scientifico per Arci Pesca Fisa sez. Prov. di Parma

*[email protected]

Abstract

La sempre più pressante richiesta di concessioni idriche pone seri problemi alla

gestione dei corsi d’acqua, la cui integrità passa attraverso il mantenimento di buone

condizioni garantendo il rispetto del Deflusso Minimo Vitale. Tuttavia la stima di

questo parametro spesso non tiene conto delle specifiche caratteristiche ecologiche dei

corsi d’acqua, risultando troppo generale e, di conseguenza, poco funzionale agli scopi

per i quali è stato concepito. In questo lavoro, che riporta i principali risultati di uno

studio avente ad oggetto il Fiume Taro (provincia di Parma), viene presentata una

procedura per il calcolo del DMV a partire dall’applicazione della metodologia IFIM.

Essa ha consentito di calibrare il calcolo di questo parametro a partire dalle caratteris-

tiche specifiche (idrauliche ed ecologiche) del corso d’acqua in esame, valutando gli

effetti delle modificazioni del deflusso rispetto alle esigenze di alcune specie ittiche di

interesse conservazionistico presenti in Taro: lasca (Chondrostoma genei), vairone

(Leuciscus souffia), barbo (Barbus plebejus). Combinando le informazioni relative a

caratteristiche geomorfologiche, idrauliche e biologiche entro il software EVHA è stato

possibile ridefinire operativamente il concetto di DMV distinguendo una Soglia di

Criticità, intesa come limite di sopravvivenza, e un Deflusso Vitale in grado di offrire

buone condizioni di vita. Sulla base di questi risultati sono state identificate le

componenti ittiche più vulnerabili rispetto ai regimi del fiume (lo stadio riproduttivo

del barbo) e si è modulato un valore del DMV in funzione del tempo nel periodo di

massimo prelievo della risorsa idrica dal fiume, che coincide con i mesi estivi.

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Sara Chiussi et al.

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Introduzione

La sempre più pressante richiesta di concessioni idriche pone seri problemi

alla gestione dei corsi d’acqua, la cui integrità richiede che siano mantenute buone

condizioni anche attraverso il rispetto del Deflusso Minimo Vitale (DMV). La stima

di questo parametro spesso non tiene conto delle caratteristiche ecologiche specifiche

dei corsi d’acqua, e risulta così troppo generale e poco funzionale ai suoi scopi.

Il Parco Regionale del Fiume Taro (Fig. 1) è interessato da numerose attività

antropiche: la riserva idrica sotterranea è utilizzata principalmente dall’industria

agro-alimentare (Marchiani, 1998) mentre quella superficiale è prelevata per uso ir-

riguo (Marchiani & Antonietti, 2004).

Il Piano di Tutela delle Acque (PTA, 2005) dell’Emilia-Romagna delinea un

percorso tecnico e normativo per individuare i valori di DMV per i corsi d’acqua re-

gionali e garantirne il rispetto in alveo. Esplicitato il calcolo della componente idro-

logica del DMV (per il Fiume Taro 1,6 m3/s), il PTA fissava al 31/12/2008 la data

ultima per adeguare tutte le derivazioni al DMV idrologico e al 31/12/2016 l‘inte-

grazione di questo valore con fattori di correzione.

Area di studio.Figura 1:

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Calcolo su base biologica del deflusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro

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Per un utilizzo finalizzato all’azione di salvaguardia ispirata alla Direttiva Ha-

bitat la stima del DMV deve necessariamente contabilizzare le esigenze delle specie

ittiche sottoposte a regime di tutela. Il Fiume Taro ospita oggi le seguenti specie itti-

che di interesse comunitario: Barbus meridionalis (barbo canino), Barbus plebejus

(barbo), Cobitis tenia (cobite comune), Chondrostoma genei (lasca), Leuciscus souffia

(vairone) (Direttiva 92/43/CEE). Da qui la necessità di eseguirne il calcolo tenendo

conto sia delle caratteristiche biologico-ecologiche del corso d’acqua sia della sua

specificità morfologica. Si è quindi proposto un metodo di calcolo per il DMV spe-

cifico per il fiume Taro attraverso l’applicazione del Metodo dei Microhabitat o

IFIM (Instream Flow Incremental Methodology) (Bovee, 1982).

Materiali e metodi

Il Metodo dei Microhabitat (IFIM)

IFIM è una struttura concettuale e analitica creata allo scopo di comprendere

e gestire problematiche legate alla variazione dei regimi fluviali dovuta all’azione an-

tropica (Stalnaker et al., 1995). IFIM permette di stimare le variazioni nella quantità

di habitat idoneo (ADP = Area Disponibile Ponderata) alla vita e allo sviluppo della

fauna ittica dipendenti dalle variazioni di deflusso. L’idoneità dell’ambiente fisico per

ogni “specie ittica/stadio vitale” viene stimata grazie alle curve di idoneità che asso-

ciano al valore della variabile ambientale (velocità di corrente, profondità dell’acqua

e tipo di substrato) un grado di idoneità (0÷1) per la specie cui si riferisce. Il risulta-

to è una curva ADP-Portata per specie ittica/stadio vitale dove in ascissa sono ripor-

tate le portate e in ordinata l’ADP espressa in m2/100m. Per una descrizione detta-

gliata del Metodo si rimanda a Ginot et al. (1998).

L’applicazione dell’IFIM è avvenuta tramite il software EVHA 2.0 (EValua-

tion de l’HAbitat physique des poissons en rivière, Ginot et al., 1998).

Per il Taro si sono utilizzate le curve di idoneità di: Barbus plebejus (barbo), gio-

vani, adulti e stadio riproduttivo (Rambaldi et al., 1997), Chondrostoma genei (lasca),

giovani e adulti, e Leuciscus souffia (vairone), giovani e adulti (Bicchi et al., 2006). In

figura 2 vengono riportate, a titolo di esempio, le curve di idoneità per la lasca.

L’alveo è stato rilevato a Fornovo (PR) tramite campagne di misura ad hoc

(Ginot et al., 1998).

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Sara Chiussi et al.

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Curve di idoneità Figura 2:

per la lasca (Chondrostoma

genei) (Bicchi et al., 2006); in

ascissa sono riportati i valori

della variabile ambientale

(altezza della lama d’acqua;

velocità di corrente;

granulometria del substrato)

e in ordinata il corrispon-

dente valore di idoneità che

descrive il grado di acco-

glienza nei confronti della

specie ittica di riferimento.

Risultati

Per ciascuna delle combinazioni specie ittica/stadio vitale è stata ricavata una

curva ADP-Portata. Gli output sono stati interpretati qualitativamente (Ginot et al.,

1998), come esemplificato in figura 3 per la lasca. Su ciascuna curva sono stati indi-

viduati:

Curve di ADP (Area Disponi-Figura 3:

bile Ponderata)/100m in funzione della

portata per la lasca. L’ADP/100m

identifica la quantità di habitat

disponibile per una certa specie e

stadio vitale su un tratto di fiume di

lunghezza pari a 100m (Ginot et al.,

1998).

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Calcolo su base biologica del deflusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro

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ADP Ottimale (Ginot et al., 1998): 1. ADP OTT; punto di massimo della curva,

corrisponde alle migliori condizioni che il tratto di fiume può offrire.

Soglia d’Accrescimento del Rischio: 2. SAR (Ginot et al., 1998); limite al di sotto

del quale il valore di ADP crolla rapidamente.

Livello d’Allarme: 3. LA; è un elemento qui introdotto a scopo sperimentale, valore

di portata con funzione unicamente diagnostica e gestionale: anticipa la SAR e

consiglia un aumento dell’attenzione nella gestione dei deflussi.

Tali valori sono riportati in tabella I.

Fiume Taro a Fornovo. Sintesi delle portate critiche per la sopravvivenza e per la Tabella I:

gestione di tutte le componenti biologiche esaminate.

Stadio vitale e specie Portate (m3/s) corrispondenti a

ADP ottimale Livello d’allarme Soglia d’accrescimento

del rischio

Giovani

Lasca 3,4 – 4,3 m3/s 2,1 m3/s 1 m3/s

Vairone 2,9 – 3,4 m3/s 2,9 m3/s 1,8 m3/s

Barbo 0,7 – 0,8 m3/s 0,7 0,7 m3/s

Adulti

Lasca 4,7 – 5,4 m3/s 2,3 m3/s 1 m3/s

Vairone 2,3 – 2,7 m3/s 2,3 m3/s 1,8 m3/s

Barbo – – 2,6 m3/s

Stadio Riproduttivo

Barbo – – 2,6 m3/s

Per confrontare le informazioni contenute nelle curve ADP-Portata delle di-

verse componenti ittiche ed ottenere un prospetto degli effetti complessivi dei decre-

menti di portata è stato introdotto l’Indice di Accoglienza (Ia) dato dal rapporto tra

ADP e ADP Ottimale. Esso stabilisce il livello massimo di accoglienza che l’ambien-

te nel tratto di fiume può offrire al pesce ad una data portata e può essere usato per:

a) quantificare la perdita di habitat mettendola in relazione alla potenzialità massi-

ma del tratto;

b) confrontare gli effetti della stessa portata sulle diverse componenti biologiche.

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Sara Chiussi et al.

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Il calcolo dell’Ia è limitato dalla possibilità di individuare chiaramente un

massimo entro l’intervallo di portate considerato.

Per rendere maggiormente fruibili le informazioni contenute nell’Ia i suoi va-

lori sono stati suddivisi in classi qualitative.

La figura 4 mostra come si è ottenuta la curva dell’Indice di Accoglienza per la

lasca e riporta le classi di qualità individuate per l’interpretazione di tale indice.

Indice di Accoglienza (Ia), calcolo e classi di qualità. L’Indice viene calcolato entro Figura 4:

l’intervallo di simulazione come rapporto tra l’Area Disponibile Ponderata (ADP) rispettiva per

ogni portata dell’intervallo e l’Area Disponibile Ponderata Ottimale (ADP OTT). Il valore

dell’Indice di Accoglienza viene successivamente valutato attraverso una scala qualitativa e

l’appartenenza ad una determinata classe di qualità: Ia < 0,30 Accoglienza Molto Scarsa; 0,30 <

Ia < 0,50 Accoglienza Scarsa; 0,50 < Ia < 0,70 Accoglienza Sufficiente; 0,70 < Ia < 1 Accoglienza

Buona; Ia = 1 Accoglienza Ottima.

L’Indice di Accoglienza è stato applicato a tutte le componenti biologiche.

Nella gestione del deflusso è auspicabile che l’Ia risulti Buono.

Combinando i valori ottenuti dalle curve ADP-Portata e Ia-Portata con l’infor-

mazione relativa alla presenza delle specie ittiche ai diversi stadi di crescita nel periodo

di indagine Maggio-Agosto (Tab. II), è stato possibile individuare un deflusso mini-

mo di sopravvivenza per tutta la comunità, definito chiaramente dalla componente

più sensibile, e un valore di deflusso in grado di garantire migliori condizioni di vita.

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Calcolo su base biologica del delusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro

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Fiume Taro a Fornovo. Delussi critici per componente biologica per mese modulati Tabella II:

in relazione alla struttura mensile delle popolazioni. Le caselle ombreggiate identiicano la

presenza della componente indicata in riga nel mese indicato in colonna.

Soglia d’Accrescimento del Rischio (m3/s)

Componente biologica Maggio Giugno Luglio Agosto

Lasca Giovani 1 1 1

Lasca Adulti 1 1 1 1

Lasca Ripr. \ \

Vairone Giovani 1,8

Vairone Adulti 1,8 1,8 1,8 1,8

Vairone Ripr. \ \ \

Barbo Giovani 0,7 0,7

Barbo Adulti 2,6 2,6 2,6 2,6

Barbo Ripr. 2,6 2,6 2,6

Livello d’Allarme (m3/s)

Lasca Giovani 2,1 2,1 2,1

Lasca Adulti 2,3 2,3 2,3 2,3

Lasca Ripr. \ \

Vairone Giovani 2,9

Vairone Adulti 2,3 2,3 2,3 2,3

Vairone Ripr. \ \ \

Barbo Giovani 0,7 0,7

Barbo Adulti \ \ \ \

Barbo Ripr. \ \ \

Optimum (m3/s)

Lasca Giovani 3,4 – 4,3 3,4 – 4,3 3,4 – 4,3

Lasca Adulti 4,7 – 5,4 4,7 – 5,4 4,7 – 5,4 4,7 – 5,4

Lasca Ripr. \ \

Vairone Giovani 2,9 – 3,4

Vairone Adulti 2,3 – 2,7 2,3 – 2,7 2,3 – 2,7 2,3 – 2,7

Vairone Ripr. \ \ \

Barbo Giovani 0,7 – 0,8 0,7 – 0,8

Barbo Adulti \ \ \ \

Barbo Ripr. \ \ \

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Sara Chiussi et al.

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Discussione

Per ogni mese del periodo di derivazione è stato dunque possibile individuare:Portata di criticità; obiettivo minimo di sopravvivenza per tutta la comunità, de-•inito dalla SAR della componente più sensibile;Delusso vitale; reale obiettivo di tutela che permetta alla fauna ittica di “vivere” •in ambiente adeguato alle proprie esigenze.

Per il Fiume Taro a Fornovo, l’obiettivo minimo in termini di sopravvivenza è determinato dal barbo: la portata di criticità è rappresentata durante tutto il periodo dalla SAR degli individui adulti e in riproduzione (2,6 m3/s). Raggiunta questa por-tata il iume dovrebbe garantire la sopravvivenza a giovani e adulti di tutte le specie. Poiché tale delusso costituisce una soglia di criticità, per tutelare opportunamente questi esemplari appare più ragionevole cercare di mantenere delussi superiori. Per ogni mese si è quindi proceduto ad individuare il delusso al quale si realizza il primo miglioramento signiicativo, in termini di accoglienza della fauna ittica, a mano a mano che ci si allontana dall’obiettivo minimo.

Si è così delineato il quadro dei delussi critici modulati per mese (Tab. III).

Sintesi dei delussi critici per mese. Tabella III:

Maggio Giugno Luglio Agosto

Delusso vitale 4,7 m3/s 3,4 m3/s 3,4 m3/s 2,9 m3/s

Portata di criticità 2,6 m3/s 2,6 m3/s 2,6 m3/s 2,6 m3/s

I delussi critici sono stati confrontati con la serie storica 2001-2006 delle por-tate del Fiume Taro a Fornovo. Da tale confronto è emerso che diicilmente il regime idrologico del Fiume Taro poteva garantire i delussi critici per tutto l’arco dell’anno.

Le informazioni ottenute dalle curve ADP-Portata riguardano le singole com-ponenti biologiche. Secondo l’ipotesi sempliicatrice su cui si basa la metodologia applicata, la consistenza efettiva di una popolazione di pesci deve essere direttamen-te correlata con la qualità dell’habitat (Pouilly & Souchon, 1995). Secondo Bovee (1988) il fattore habitat è necessario ma non suiciente a spiegare lo sviluppo di una determinata popolazione. Bisogna infatti tenere presente altri fattori quali le risorse nutritive, la disponibilità di ripari e rifugi, la disponibilità e distribuzione di zone adatte alla riproduzione, la qualità dell’acqua nonché le interazioni biologiche di competizione, predazione e parassitismo (Garcia de Jalon & Gortazar, 2007). Pur-

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Calcolo su base biologica del delusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro

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troppo la molteplicità delle specie, degli stadi di sviluppo e dei fattori che inluenza-no la scelta del microhabitat limitano l’eicacia dell’applicazione di curve di idoneità monovariate ed anche l’utilizzo di molteplici curve non è in grado di tradurre questa complessità (Pouilly & Souchon, 1995). Nel presente lavoro vengono utilizzate le curve di preferenza di diverse specie per avere un quadro il più completo possibile delle esigenze delle singole componenti ma si è compiuto uno sforzo interpretativo verso un risultato che tenesse conto di tutta la comunità ittica: da un lato si sono considerate le modiicazioni stagionali della struttura della comunità, dall’altro si è rilevata la necessità di confrontare le informazioni contenute nelle diverse curve ADP-Portata, trasformandole in indicazioni che illustrassero in maniera schematica gli efetti dei decrementi di portata sulla conservazione delle specie ittiche.

Conclusioni

Lo studio qui presentato consente di avanzare l’ipotesi che il DMV idrologico (1,6 m3/s) non sia tutelante nei confronti di alcuna delle specie presenti nel Fiume Taro. Durante tutto il periodo di derivazione è importante mantenere in alveo alme-no 2,6 m3/s.

La curva di durata dell’Anno Medio mostra che il Fiume può presentare de-lussi superiori ai 2,6 m3/s anche in estate. È dunque possibile gestire il delusso “di-sponibile” per le derivazioni evitando l’abuso della risorsa. Negli anni siccitosi lo sta-to d’emergenza richiederebbe misure straordinarie di gestione. Il Taro è sottoposto a prelievi anche nel suo tratto montano e la portata misurata alla stazione idrometrica di Fornovo rilette il delusso naturale a meno di quei prelievi. Nei periodi di crisi l’attuazione di misure d’emergenza dovrebbe contemplare la possibilità di attuare si-stemi di gestione integrata di tutte le derivazioni sul corso d’acqua.

Un’importante novità del presente lavoro è l’articolazione più dettagliata del concetto di Delusso Minimo Vitale. Si cerca di superare l’approccio comune che di-stingue unicamente tra due tipi di condizioni luviali: una caratterizzata da una por-tata soglia al di sotto della quale sono realistiche alcune disastrose occorrenze e una caratterizzata da tutte le altre portate (USGS, 2001; Hudson et al., 2003). In questo lavoro si distingue tra una Portata di Criticità e un Deflusso Vitale: la prima costi-tuisce un limite di “sopravvivenza” non necessariamente tutelante; il secondo indica una condizione in cui la fauna ittica ha la possibilità di “vivere” in ambiente adegua-to alle proprie esigenze.

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Sara Chiussi et al.

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Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance:

The case of Clitunno river

Problemi di gestione di un sito fluviale di importanza comunitaria

Il caso del Fiume Clitunno

Linda Cingolani1*, Rosalba Padula1, Barbara Todini2 &

Gianluca Lazzerini3

1 ARPA Umbria, Via Pievaiola str. San Sisto, 06074 Perugia 2 Libero professionista, Perugia3 Libero professionista, Firenze

*[email protected]

Abstract

A work regarding restoration of the irst part of Clitunno river (Site of Community Importance) was carried out by the Consorzio di Boniicazione Umbra during the year 2006. he actions were based above all on sediment and hydrophyte removal and bank piling. Our Agency of Environmental Protection considered convenient to investigate on the impact of such interventions on luvial wildlife. To obtain reliable results the application of French indices (GIS, IBMR) to freshwater macrophytes resulted uncorrected for: a) the large cutting operations; b) the little size of our luvial site in comparison with the French large rivers. Studies on benthic macroinvertebrates at taxonomic level of species were more useful; the investigation showed a heavy decrease of the number of organisms and species. he disappearance of Bereodes minutus, testiied by preceding studies, was the more concrete sign of an inexpert management. he damage was ascribed above all to the lack of habitats caused by indiscriminate cut of macrophytes and bank piling.

Introduction

Clitunno river is one of the most interesting ecosystems of Italy. he irst part of the stream (1.86 mi) was declared Site of Community Importance. It takes origin from springs (low 1,300 l/sec) emerging at the base of Serano mount chains. he Fonti (springs) area, particularly suggestive for the richness of aquatic biocenosys

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Linda Cingolani et al.

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(macrophytes and benthic macroinvertebrates) was classiied “Biotope of naturalistic Interest” by the Italian Botanic Society. he running water forms limpid puddles deep up to 4 m, in which a spectacular aquatic vegetation waves. he peculiarity of the site, holy for Roman people, induced in the course of time various subjects (pub-lic and private) to promote actions and behaviours, often in discordance because of the diferent points of view, but always inalized to safeguard or improve the river functionality.

For this reason the aim of our work was to verify the impact of a series of lu-vial restoration actions made by “Consorzio di Boniicazione Umbra” during the year 2006, regarding, above all, sediment removal (with consequent extirpation of hydrophytes) and piling of the river banks.

Material and Methods

he study was carried out from 2007 to 2008. he control stations were 13, 100 m in length. he investigation was based on characterization of a) benthic mac-ro-invertebrate communities (taxonomy at species level), b) aquatic and riparian macrophytes (taxonomy at species level). Employment of diferent indices was test-ed. he macroinvertebrate indices were: IBE (APAT et al., 2003) applied in all the stations for verifying pollution; Shannon diversity index H’ (Shannon & Weaver, 1949), Simpson dominance index D (Simson,1949), Menhinick richness index R (Menhinick, 1964), applied on 9 sampling points. he last three indices were con-sidered essential for evaluating the state of biodiversity (presence/absence of species, distribution of relative abundance) along the site; in this case the random samples were quantitative, as required by the methods. he macrophyte indices tested were: GIS (Haury et al., 1996), IBMR (AFNOR, 2003). he observed invertebrates, plants and algae were compared with bibliographic material existent from 1889 (in Cingolani & Padula, 2008).

In the period of investigation 16 chemical and microbiological samples were collected.

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Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance

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Results

he averages of chemical and microbiological data are showed in table I. he

values of nutrients detected along the site were very low, satisfying salmon life. he

same for the other chemical data, resulting little useful for the study. he relatively

low concentrations of D. O. were due to the numerous springs arising along the

river.

Only data coming from lateral branches of the river, where sewages were dis-

charged, showed high nutrient values, in concordance with vegetation French indi-

ces. he area Fonti and the principal branch, instead, always resulted uncontami-

nated and free of polluted substances.

Chemical and Microbiological results. Average of 16 samples/ in two years.Table I:

StationsF1 C1 C2 C3 C4 C5 C6 RS1 FV0 FV1 FV2 BM1 M1

Parameters

NH3 –mg/l <0.0004 <0.0004

NH4+ – mg/l 0.03 <0.05 <0.05 2.10

NH4+ (N) – mg/l <0.04 <0.04 <0.04 0.10 0.11 0.08 <0.04 <0.04 0.20 0.08 0.26 0.18

NO3 (N) – mg/l 0.92 1.67 0.90 1.01 0.98 1.20 1.11 1.67 1.80 1.00 1.20 1.40 1.20

BOD5 – mg/l (O2) 1.36 1.10 0.60 1.10 1.40 1.09 1.36 1.70 4.30

COD – mg/l (O2) 5.08 < 5.0 < 5.0 < 5.0 < 5.0 4.75 5.08 5.50 14.00

Cond. – µS/cm (20 °C) 746 727 774 772 643 690 668 727 534 581 681 673

Phenols – mg/l <0.005 <0.005 <0.005 <0.005 <0.005 <0.005 <0.005

Ptot. – mg/l < 0.02 0.09 < 0.02 0.02

Hydrocarbon tot. – mg/l <0.040 0.03 <0.010 <0.010 <0.010 0.17 <0.040 0.01

Orthophosphate – mg/l 0.01 0.03 0.01 0.01 0.02 0.03 0.08 0.03 0.05 0.06 0.07 0.07

DO % sat. 61.49 68.98 82.88 81.98 87.39 92.04 86.92 68.98 77.88

pH 7.50 7.43 7.53 7.52 7.58 7.76 7.69 7.43 7.55 7.69 7.74 7.73

SS tot. – mg/l 2.80 1.40 2.05 2.55 8.00 5.70 2.80 155.0

T° water – °C 12.21 12.12 11.00 10.95 10.75 10.40 10.94 12.12 14.00

MBAS – mg/l <0.05 <0.05 <0.05 <0.05 <0.05 <0.05 0.09

E.coli – ufc/100 ml 38 974 91

Macrobenthos control permitted to estimate the taxon richness and species

distribution in the communities (relative abundance, grade of dominance and rari-

ty). he obtained data (Fig. 1) showed that the most grade of evenness was along C2

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station; in fact H’ presented the highest value of diversity (2.76), conirmed by the lowest value of D (0.076) and the relatively high value of R (1.77).

Trend of the Figure 1: α – diversity indices across the investigated luvial site.

Shannon: increases with the presence of many taxa of similar abundance.

Menhinick: decreases in consequence of community simpliication.

Simpson: increases with the prevalence or dominance of few species.

he lowest value of biodiversity (H’= 1.687) was found in Station C3A, af-licted also by a modest richness of species (R= 0.666) and a high D index = 0.16h. he Station C4 presented the highest value of dominance (D = 0.25); in concord-ance also the other indices (R= 0.753, H’= 1.695) showed a very simpliied commu-nity in which the dominant organisms were Bithynia tentaculata e Agapetus nimbu-

lus. In Station C5, the last of the S.I.C., a modest improvement of diversity and equable-distribution seemed due to the habitat enlargement, in consequence of the presence of a very dense aquatic vegetation, capable to ofer more niches.he general impoverishment of taxa observed in the site, in fact, seemed connected to the con-tinuous cutting of aquatic and riparian vegetation, thrown unresponsively into the river for all the spring and summer period, without any attention about the reper-cussions on the delicate balances governing luvial ecosystems. So the found ben-thonic taxa were little and composed of few individuals.

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Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance

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All the species, furthermore, belonged to very tolerant groups, typical of pol-

luted environments. Only in proximity of the principal springs (area Fonti), com-

munity simpliication could be ascribed to natural factors like reocrenic and limno-

crenic facies. In this site only few macroinvertebrates are adaptable, like Polycelis

nigra and Agapetus fuscipes, also if not exclusive of spring waters.

he aquatic and riparian vegetal component studies required many eforts to

assess the real consistence and distribution of species. he cut of typical luvial

plants, in fact, made diicult to individuate the real presence of many species. Dur-

ing the investigation, 3 species not signalized in precedent studies were found, while

48 aquatic and riparian plants had disappeared. he cutting operation, besides mak-

ing the recognising operations diicult, seemed to have modiied the community

structure, above all in the irst part of the principal branch, where the limpid waters

once showed beautiful dances of Potamogeton natans, P. pusillus, Ranunculus aquati-

lis, R. fluitans and Vallisneria spiralis. Only for a brief period, before cuttting opera-

tions, it was possible to observe the spectacular colours of little woods of Mentha

aquatica rubra (in front of the springs) and the tangled skeins of Hyppuris vulgaris

(toward the exit of waters from area Fonti). Only in consequence of our lamenta-

tions, in the second year it was possible, sometime, to admire large lawns of Groen-

landia densa in the pools. In general, the modiications of communities seemed to

regard substitution of low growth plants with high growth essences; the phenome-

non favoured also the increase of ilamentous algal populations in the water and rud-

eral plants on the banks. For example, Ranunculus thrichophyllus was found in the

bottom of the Fonti pools only after very numerous samplings, and in a so little

amount to be absolutely invisible in the surface, choked from expansion of Galium

palustre and Apium nodiflorum. he improper managing operations might to have

contributed to the ineiciency of French indices adopted to evaluate eutrophication

phenomena (Tab. II).

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French index values in comparison with observed data regarding ammonium and Table II:

phosphates.

Sampling

Site

GIS N-NH3 μg/l

Expected

PO4— μg/l

Expected

N-NH3 μg/l

Observed

PO4— μg/l

Observed

IBMR

Trophic level

Fonti 3.3 100-150 high 100-150 high < 40 < 5 11 medium

C1 5.3 50-100 medium 50-100 medium < 40 < 5 12 medium

C2 5.2 50-100 medium 50-100 medium < 40 < 5 12 medium

C4 4.6 100-150 high 100-150 high < 40 < 5 11 medium

C5 4.3 100-150 high 100-150 high < 40 < 5 10.7 medium

FV2 4.8 100-150 high 100-150 high 100 21 10.8 medium

BM1 5.3 50-100 medium 50-100 medium 260 70 12 medium

MR1 4.6 100-150 high 50-100 medium 180 70 9.4 high

In particular, as regards the riparian vegetation, elophytes and hygrophilous spontaneous plants (Tab. III) were regularly extirpated, while arboreal essences (Sa-

lix alba, Tilia europaea and Aesculus hyppocastanum) were planted in a linear succes-sion. Such choice, as already said, took to a proliferation of ruderal herbaceous plants.

Principal Vegetal Taxa Detected in the Fluvial investigated Site.Table III:

Riparian Species Aquatic Vascular Species Filamentous Algae

Lythrum salicaria Lemna spp. Planktotrix sp.

Eupatorium cannabinum Callitriche spp. Batrachospermum moniliforme

Myosotis scorpioides Myriophyllum spp. Lemanea luviatilis

Bidens tripartite Hyppuris vulgaris Tribonema sp.

Pispalum pispaloides Groenlandia densa Vaucheria sp.

Cirsium spp. Potamogeton spp. Diatoma spp.

Equisetum spp. Ranunculus trichophyllus Ellerbeckia arenaria

Aristolochia spp. Zannichellia palustris Chara spp.

Petasites spp. Alisma plantago aquatica Cladophora sp.

Carex spp. Cardamine hirsuta Mugeotia sp.

Cyperus spp. Rorippa nasturtium aquaticum Spirogyra sp.

Holoschoenus romanus Agrostis stolonifera Ulothrix sp.

Scirpus lacustris Juncus efusus Zygnema sp.

Dipsacus lullonicum Mentha spp. LIVERWORTS

Phragmites australis Galium palustre Conocephalum conicum

Iris pseudacorus Veronica anagallis aquatica Lunularia cruciata

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Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance

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Riparian Species Aquatic Vascular Species Filamentous Algae

Eleocharis palustris Sparganium erectum Marchantia sp.

Juncus spp. Apium nodiflorum Riccia fluitans

Tipha angustifolia Berula erecta Fontinalis antipiretica

Lycopus europeus Cratoneuron felicinum

Sambucus ebulus Palustriella commutate

Ranunculus spp. Adiantum capillus veneris

Epylobium spp. Asplenium Adiantum nigrum

Poligonum spp. Asplenium trichomanes

Lysimachia spp.

Ranunculus spp.

Thalictrum flavum

Cruciata laevipes

Veronica beccabunga

Scrophularia auricolata

Solanum dulcamara

Cicuta virosa

Urtica dioica

Echinochloa crus-galli

Tussilago farfara

Xanthium italicum

Melilotus alba

Rumes hydrolapathum

Ranunculus spp.

he bank piling operations made by Consorzio di boniica “to preserve ripar-

ian site” have unpleasant consequences: Bereodes minutus (tricoper typical of the

Fonti) disappeared for elimination of his habitat, consisting in the tree roots lowing

in the water.

Discussion

In conclusion, in our opinion the uncorrected management of the river was

the principal cause of simpliication of the animal and vegetal communities in the

luvial ecosystems. Such results derived from an inadequate knowledge of biological

mechanisms of the team involved in river restoration. In consequence, the rehabilita-

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Linda Cingolani et al.

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tion actions (bank piling, vegetation cut and substation of spontaneous vegetation with big trees) were more harmful than a free evolution of the site.

As regards community studies, we thinks that French vegetation indices are no apt to the water of the investigated district, too particular for a generic and strict monitoring. In similar way the IBE index was little useful for understanding the role of macrobenthos communities in the ecosystem, in fact, taxonomy resulted too coarse for evaluating biodiversity and conservation of typical species. Biodiversity in-dices, operating at species level, were in this case more opportune.

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Effetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa

in un tratto del fiume Taro (Parma)

Effect of hydrological regime variations upon fisheries: a quali-quantitative analysis

in a section of the Taro river (Parma)

Lorenzo Pattini1*, Cristina Bondavalli2,

Sara Chiussi2 & Maurizio Biolzi1

1 Arci Pesca Fisa sez. Prov. di Parma, Strada Baganzola 7, 43100 Parma2 Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Parma, Via G. P. Usberti 33/A , 43100 Parma

*[email protected]

Abstract

Una gestione della risorsa idrica che renda compatibili i diversi usi antropici con la salvaguardia e la conservazione degli ecosistemi diventa sempre più una necessità: la sempre più pressante richiesta di concessioni idriche pone seri problemi alla gestione dei corsi d’acqua. Capire le esigenze ecologiche delle specie ittiche presenti nei iumi è importante non solo per ampliare le conoscenze sulla loro biologia, ma soprattutto per conoscere e mitigare i fattori di rischio e di minaccia, e approntare quegli interven-ti sull’ambiente e in campo gestionale, che ne permettano la difusione e la conserva-zione. Questo è il contesto in cui si pone questo studio relativo l’analisi delle popola-zioni ittiche all’interno di un tratto del iume Taro in parte compreso all’interno del territorio dell’omonimo Parco Regionale.Durante la campagna d’indagine (anno 2008), alle 3 stazione campionate, sono state rinvenute 11 specie ittiche (alborella, anguilla, barbo canino, barbo comune, caveda-no, cobite, ghiozzo padano, gobione, lasca, triotto e vairone) di cui solo 4 non assoggettate a forme di tutela o inserite all’interno di normative comunitarie (alborella, anguilla, cavedano e il trotto): tutte le specie catturate possono considerarsi autoctone.Le popolazioni campionate risultano essere destrutturate: è elevato il numero di indivi-dui giovani e di piccola taglia, mentre gli adulti sono presenti in modo sporadico.Le biomasse misurate diminuiscono progressivamente da giugno a settembre in controtendenza rispetto al numero di animali catturati. L’incremento numerico riguarda principalmente gli individui di piccola taglia. Questa fenomeno sta ad indicare che la diminuzione dei livelli idrometrici dovuta al normale regime di magra estiva e alle captazioni efettuate a scopo irriguo, inluenzano la distribuzione degli individui adulti, relegandoli nelle zone più profonde del corso d’acqua e favorendo l’insediamento dei giovani nelle rimanenti parti dell’alveo.

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Lorenzo Pattini et al.

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Introduzione e obiettivi

L’analisi delle popolazioni ittiche in un tratto del iume Taro, in parte compre-so nell’omonimo Parco, nasce dall’esigenza acquisirei aggiornare i dati sull’ittiofauna pregressi per valutarne lo stato attuale e l’evoluzione recente. I primi campionamenti risalgono al giugno del 1985 (efettuati dallo studio IND.ECO., 1995), mentre gli ultimi, più recenti, sono stati svolti tra il 1999 e il 2001 nell’ambito del Progetto LIFE 98 (Pascale, 1999). I dati raccolti sono stati confrontati con quelli della Carta Ittica Regionale in particolare per le specie segnalate, all’interno del territorio del Parco, di particolare interesse dal punto di vista conservazionistico (All. II della Dir. 92/43/CEE ). Il presente lavoro è anche parte integrante di un progetto di più ampia portata, inalizzato ad individuare gli eventuali impatti sull’ecologia del iume deri-vati dalle captazioni presenti nel tratto in esame. L’obiettivo è quello di fornire indi-cazioni riguardo al delusso minimo vitale che deve essere garantito in un corso d’ac-qua soggetto a derivazioni, al ine di tutelare gli ecosistemi luviali e, in particolare, la vita acquatica.

Materiali e metodi

Il iume Taro nasce dalle pendici del Monte Penna e sfocia in Po dopo un per-corso di 133 km. L’area presa in esame in questo studio si estende per circa 20 km, dalla conluenza con il Torrente Ceno presso il Ponte dell’Autostrada nel Comune di Fornovo sino all’attraversamento situato tra Giarola e Collecchio, nel comune di Collecchio. La zona campionata ricade per buona parte all’interno dell’area del Parco del Taro e anche all’interno del sito SIC – ZPS denominato IT 4040021. Il torrente, a carattere epipotamale per parte del suo corso, presenta, durante il periodo estivo, tratti in cui sono visibili notevoli riduzioni di portata con possibili fenomeni di sec-ca. Durante l’estate la minore diluizione degli scarichi, le elevate temperature ed il ristagno delle masse d’acqua causano ioriture algali.

Sono state identiicate tre stazioni per il campionamento:Taro 1 (a valle della conluenza del Fiume Ceno fuori dai conini del Parco): situa-1. ta a monte delle due principali captazioni, permette di ottenere indicazioni su po-polamenti ittici presenti senza risentire delle inluenze dovute ai prelievi idrici;Taro 2 (tra le località Riccò e Ozzano Taro): situata a valle della Presa del Canale 2. del Duca e a monte dello scolmatore del Canale Naviglio Taro;

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Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa

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Taro 3 (nell’attraversamento della camionabile a Collecchio): si trova a valle delle 3. due principali captazioni.

La campagna di monitoraggio prevede, per ogni stazione individuata, tre cicli di campionamento: ogni ciclo viene efettuato a distanza di circa un mese dal prece-dente. Il primo ciclo è stato efettuato nel mese di giugno, precedentemente all’aper-tura dei canali di irrigazione. Il secondo ciclo è stato efettuato nel mese di agosto ovvero nel periodo più critico per la fauna ittica e per gli ecosistemi perché corri-sponde al momento in cui è minima la disponibilità della risorsa idrica a seguito del regime di magra stagionale e del prelievo operato da parte dei consorzi di boniica a scopo irriguo. Il terzo ciclo è stato efettuato a settembre che corrisponde al termine del periodo irriguo e alla chiusura dei canali utilizzati per le derivazioni.

Insieme ai dati inerenti alla fauna ittica sono state raccolte anche alcune indi-cazioni riferite all’ambiente circostante: temperatura, lunghezza e larghezza massima del tratto campionato, caratteristiche morfologiche del substrato.

Per ogni stazione di campionamento è stata individuata una sezione longitudi-nale dell’asta del iume avente una lunghezza di 100 m e le due estremità dell’area sono state chiuse trasversalmente mediante l’utilizzo di reti (aventi maglie di grandez-za di 10 x10 mm) issate attraverso cavi scorrevoli ad appositi supporti (pali di ferro) inissi nel terreno a distanza di circa 5 m l’uno dall’altro. Tutti i campionamenti dell’ittiofauna sono stati efettuati con elettrostorditore portatile a corrente continua, pulsata ed a voltaggio modulabile (300 – 600 V). L’intensità della corrente poteva es-sere variata in funzione della tipologia ambientale (Peduzzi & Meng, 1976).

Gli individui catturati sono stati classiicati, contati, pesati e misurati. I dati raccolti hanno consentito di determinare: densità e/o indici di abbondanza numeri-ca, biomassa totale e media, stima di consistenza numerica.

La stima della popolazione (N) è ottenuta mediante il metodo dei passaggi ri-petuti (Moran, 1951; Zippin, 1958).

Risultati

Durante i campionamenti efettuati nei tre mesi del 2008 sono stati catturati 2801 esemplari di fauna ittica appartenenti a 11 specie (Tab. I).

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Lorenzo Pattini et al.

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Numero complessivo degli animali catturati e biomasse osservate.Tabella I:

Specie Numero

di individui

Numero

di individui ( %)

Biomasse

complessive (g)

Biomasse

complessive ( %)

Alborella

(Alburnus alburnus)

42 1 28 0

Anguilla

(Anguilla anguilla)

1 0 1.640 14

Barbo canino

(Barbus meridionalis)

1 0 55 0

Barbo comune

(Barbus plebejus)

490 17 3.498 30

Cavedano

(Leuciscus cephalus

394 14 2.051 17

Cobite

(Cobitis taenia Linnaeus, 1758)

144 5 444 4

Ghiozzo

(Podogobius martensii)

742 26 1.318 11

Gobione

(Gobio gobio)

299 11 683 6

Lasca

(Chondrostoma genei)

437 16 1.531 13

Triotto

(Rutilus erythrophthalmus)

1 0 7 0

Vairone

(Leuciscus souia)

250 9 480 4

Totale 2.801 11.735

Dal punto di vista numerico la specie maggiormente rappresentata è il ghiozzo con 742 individui, seguita dal barbo comune con 490 individui e dalla lasca con 437 rappresentanti. La biomassa più elevata è a carico del barbo comune che incide per il 31 % sul peso totale degli animali catturati, seguono cavedano (17 %), lasca (13 %) e ghiozzo (11 %). Il dato numerico di biomassa riferita all’anguilla incide per il 14 % rispetto al totale, ma è riferito ad un unico esemplare di grosse dimensioni (1640 g).

Valutando l’importanza delle specie catturate attraverso un indice di abbon-danza semiquantitativo riferito ad ogni stazione censita (Tab. II), si vede che barbo comune e ghiozzo sono le specie dominanti in tutte e tre le stazioni, mentre caveda-no, gobione e vairone sono dominanti solo nelle stazioni Taro 2 e 3. Il cobite è pre-sente nella stazione Taro 1, diventa frequente nella stazione Taro 2, mentre è domi-nante nella stazione Taro 3. L’alborella è assente nella stazione Taro 1, è scarsa nella stazione Taro 2 e diventa frequente nella stazione Taro 3. La lasca è abbondante nelle

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stazioni Taro 1 e 2 e diviene dominante nella stazione Taro 3. Il vairone ha un anda-mento in controtendenza in quanto risulta abbondante in Taro 1, dominante in Taro 2 per poi diminuire drasticamente (presente) in Taro 3.

Indice di abbondanza semiquantitativo (n° di individui in 100 m lineari di iume): Tabella II:

a) scarso (2-4 individui), b) presente (6-20 individui), c) frequente (21-40 individui), d) abbon-

dante (41-100 individui), e) dominante (41-100 individui).

Specie Taro 1 Taro 2 Taro 3

N° Individui Abbondanza N° Individui Abbondanza N° individui Abbondanza

Alborella 0 2 Scarso 40 Frequente

Anguilla 0 1 0

Barbo canino 1

Barbo

comune

139 Dominante 157 Dominante 194 Dominante

Cavedano 79 Abbondante 185 Dominante 130 Dominante

Cobite 6 Presente 23 Frequente 115 Dominante

Ghiozzo 138 Dominante 317 Dominante 287 Dominante

Gobione 49 Abbondante 126 Dominante 124 Dominante

Lasca 54 Abbondante 95 Abbondante 288 Dominante

Triotto 0 1 0

Vairone 47 Abbondante 198 Dominante 5 Presente

Totale 513 1105 1183

Analizzando più in dettaglio i dati raccolti, anche in relazione al periodo di campionamento (Tab. III), si vede come le densità totali attese aumentano passando da giugno (510 individui) a luglio (1232 individui) ino a settembre (1907 indivi-dui), contrariamente alle biomasse totali che invece diminuiscono passando da 5026 grammi di giugno, ai 3222 g di luglio ino ad arrivare ai 2462 g di settembre. Per al-cune specie infatti le biomasse medie diminuiscono drasticamente passando da giu-gno a settembre, nonostante il numero di individui aumenti a volte anche in modo considerevole. È il caso del barbo comune che a giugno presenta una biomassa media di 48 grammi e 52 individui attesi, mentre a settembre presenta una biomassa media di 2 grammi e una densità attesa di 346 individui. Lo stesso andamento viene osser-vato per cavedano, lasca e vairone. Per altre specie come ghiozzo, gobione e cobite, le variazioni sono minime nei tre periodi.

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Lorenzo Pattini et al.

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Dati di densità e biomassa attesa e osservata, e biomassa media nei tre periodi di Tabella III:

campionamento.

Specie Ittica Numero

tot.

Densità

attesa (Moran

e Zippin)

Biomassa

tot osservata

(g)

Biomassa

attesa (g)

Biomassa

media (g)

PERIODO

Barbo Comune 41 52 1.981 2.525 48,3 giu-08

Cavedano 58 68 1.282 1.500 22,1 giu-08

Cobite 25 26 70 71 2,8 giu-08

Ghiozzo 163 197 288 349 1,8 giu-08

Gobione 21 22 52 55 2,5 giu-08

Lasca 101 123 1.249 1.520 12,4 giu-08

Vairone 22 22 105 106 4,8 giu-08

Totale 431 510 5.027 6.126

Barbo Comune 127 182 1.419 2.030 11,2 ago-08

Cavedano 108 111 362 370 3,4 ago-08

Cobite 52 – 172 – - ago-08

Ghiozzo 294 – 547 – - ago-08

Gobione 131 197 324 486 2,5 ago-08

Lasca 322 673 266 556 0,8 ago-08

Vairone 70 71 133 134 1,9 ago-08

Totale 1.104 1.232 3.223 3.577

Alborella 40 40 24 24 0,6 set-08

Barbo Comune 322 347 755 813 2,3 set-08

Cavedano 228 317 437 608 1,9 set-08

Cobite 67 68 202 203 3,0 set-08

Ghiozzo 283 333 483 568 1,7 set-08

Gobione 139 147 307 325 2,2 set-08

Lasca 14 14 16 16 1,1 set-08

Vairone 157 64 240 978 1,5 set-08

Totale 1.250 1.907 2.463 3.535

Suddividendo gli esemplari campionati in classi di lunghezza (Tab. IV) si vede come il maggior numero di individui appartiene alle prime due classi di lunghezza e questa caratteristica è presente in tutti e tre i periodi di campionamento. In speciico un aumento numerico si evidenzia soprattutto per quanto riguarda la prima classe, mentre gli intervalli di lunghezza che vanno dai 15 ai 30 cm hanno rappresentanti solo nel primo campionamento e risultano assenti in quelli successivi. Parallelamente, la biomassa della prima classe di lunghezza aumenta dal primo al terzo campiona-mento, mentre quella del secondo e del terzo intervallo diminuisce, tanto da determi-nare un generale calo della biomassa complessiva passando da giugno a settembre.

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Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa

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Numero di individui e biomasse osservate delle specie ittiche campionate suddivisi Tabella IV:

in base a classi di lunghezza e periodo di campionamento.

Specie Ittica Numero di individui Biomassa (g)

0-5

cm

5-1

0 c

m

10

-15

cm

15

-20

cm

20

-25

cm

25

-30

cm

35

-40

cm

0-5

cm

5-1

0 c

m

10

-15

cm

15

-20

cm

20

-25

cm

25

-30

cm

Alborella 1 1 3 1 giu-08

Barbo Comune 2 27 5 4 3 7 214 193 360 1.207 giu-08

Barbo Canino 1 55 giu-08

Cavedano 8 31 14 5 19 234 525 474 giu-08

Cobite 3 22 4 66 giu-08

Ghiozzo 154 10 269 19 giu-08

Gobione 3 18 6 46 giu-08

Lasca 4 77 20 4 772 473 giu-08

Triotto giu-08

Vairone 3 19 5 100 giu-08

Totale 178 205 39 10 0 3 317 1.451 1.191 889 1.207

Alborella ago-08

Barbo Comune 42 75 9 1 37 537 189 ago-08

Barbo Canino giu-08

Cavedano 82 22 4 88 177 97 ago-08

Cobite 11 41 15 157 ago-08

Ghiozzo 273 22 482 65 ago-08

Gobione 27 102 1 44 276 4 ago-08

Lasca 307 15 199 67 ago-08

Triotto 1 7 ago-08

Vairone 63 8 90 46 ago-08

Totale 805 286 14 0 0 0 1 954 1.333 290

Alborella 40 24 set-08

Barbo Comune 265 54 3 379 322 53 set-08

Barbo Canino set-08

Cavedano 192 36 286 151 set-08

Cobite 24 43 40 162 set-08

Ghiozzo 268 15 44 40 set-08

Gobione 122 26 242 66 set-08

Triotto set-08

Lasca 13 1 13 3 set-08

Vairone 150 7 217 22 set-08

Totale 1.074 182 3 0 0 0 0 1.644 766 53

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Discussione e conclusioni

Durante la campagna di indagine svolta nell’anno 2008 all’interno delle tre stazioni campionate sono state rinvenute 11 specie ittiche (Tab. I), che sono risultate essere tutte autoctone e la maggior parte anche assoggettate a forme di tutela o inse-rite all’interno di normative comunitarie, solo anguilla, alborella, triotto e cavedano non rientrano in queste categorie. Infatti, barbo comune, barbo canino e ghiozzo pa-dano sono inserite nell’allegato 2 e 5 della Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE), nell’allegato 2 della Convenzione di Berna (1978) e, per quanto riguarda il Ghiozzo, è considerato anche una specie endemica (Zerunian, 2002).

Se la composizione in specie risulta essere di notevole pregio naturalistico, i dati rilevati durante i tre campionamenti in tutte le stazioni esaminate evidenziano che le popolazioni ittiche non sono distribuite tra le diverse classi dimensionali in modo ottimale, in quanto per diverse di loro mancano in particolar modo gli indivi-dui adulti e, in alcuni casi, anche quelli appartenenti ai primi stadi giovanili. Solo per ghiozzo, gobione, vairone e lasca nella sola stazione Taro 2, le curve riferite alla struttura di popolazione appaiono in linea con quelle tipiche di una distribuzione normale.

La composizione della struttura di popolazione, inoltre, varia da giugno a set-tembre, quando ad un aumento del numero di individui, in special modo apparte-nenti alle prime classi di lunghezza, corrisponde una diminuzione delle biomasse complessive. Quanto osservato fa supporre che la diminuzione dei livelli idrometrici dovuta al normale regime di magra estiva e alle captazioni efettuate a scopo irriguo inluenzano la distribuzione degli individui adulti, relegandoli nelle zone più profon-de del corso d’acqua e favorendo l’insediamento dei giovani nelle rimanenti parti dell’alveo.

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Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa

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Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotografiche

sui limiti inferiori delle praterie di P. oceanica dell’AMP Capo Rizzuto

Experimenting new monitoring photographic techniques for the P. oceanica meadows

lower limits in the Marine Protected Area of Capo Rizzuto (Calabria, Italy)

Francesco Rende1*, Marina Burgassi1, Domenico Rocca1,

Piero Cappa2, Simone Scalise2 & Francesco Cinelli3

1 A.C.S.D.I.S.S.D “Anna Proietti Zolla”, Via Monte Grappa 28, 01100 Viterbo eVia Marzabotto 32, 00052 Cerenova (RM)

2 Area Marina Protetta Capo Rizzuto, Via C. Colombo s.n.c., 88900 Crotone3 Dip. di Biologia, Università di Pisa, Via Derna 1, 56126 Pisa

*[email protected]

Abstract

In mediterraneo sono molteplici le attività di ricerca applicate alle praterie di Posidonia oceanica dove il monitoraggio ne risulta un valido ed indispensabile strumento per deinire lo stato di qualità dei corpi idrici marino-costieri. Questo lavoro è stato condotto con un complesso monitoraggio dei limiti inferiori delle praterie di Posidonia oceanica dell’area marina protetta di Capo Rizzuto (KR), combinando una serie di strumenti in corso di sviluppo, utilizzando un distanziale metrico con due bracci munito di bussola e GPS data logger (Rende et al., 2009a). È stata inoltre applicata una tecnica di fotomosaico; inine, è stato utilizzato il software Vision 1.0, specializzato nel calcolo del ricoprimento percentuale (Rende et al., 2009b). Con questo studio vengono presentati i risultati preliminari della sperimentazione.

Introduzione

Per quanto riguarda il monitoraggio scientiico subacqueo poche sono le tec-niche video-fotograiche scientiiche standardizzate per lo studio delle praterie di Posi donia oceanica L. (Delile) (Romero, 1985), l’ecosistema più importante del Mediter raneo in termini di produttività primaria, di rifugio e nursery per numerose

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Francesco Rende et al.

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specie animali, di regolatore dell’equilibrio sedimentologico dei litorali e di biondi-catore di alterate condizioni ambientali. Oggetto del nostro lavoro nell’Area Marina Protetta Capo Rizzuto (KR) è il monitoraggio condotto, in otto siti, dei limiti infe-riori delle praterie di P. oceanica, sorvegliati da circa cinque anni per mezzo di un “balisage” (corpi morti in cemento). Nell’ambito della prima fase d’esecuzione del progetto E1 è stata efettuata la manutenzione del balisage realizzato nel 2004, efet-tuando un nuovo posizionamento di due corpi in cemento, di cui uno munito di sonda per la misura in continuo della luce e della temperatura. Nelle seconda fase del progetto E1 è stata poi condotta la sperimentazione di una nuova tecnica video e fo-tograica mediante l’uso di un distanziale metrico munito di due bracci movibili (Rende et al., 2009a) che ci ha permesso di efettuare, in modo veloce e pratico, foto calibrate su cui sono state efettuate le misure di ricoprimento percentuale e di scal-zamento (Rende et al., 2009b). Sono stati, inine, ricostruiti i fotomosaici georefe-renziati del limite inferiore degli otto siti monitorati applicando la tecnica della foto in sequenza (Rende et al., 2009a).

Materiali e metodi

Il rilievo fotograico sui “balises” è stato efettuato mediante l’utilizzo di un di-stanziale metrico (Fig. 1c), applicando una nuova metodologia in corso di sperimen-tazione (Rende et al., 2009a). La georeferenziazione delle immagini è stata ottenuta mediante un GPS data logger modello Gosget (Fig. 1a e Fig. 1b), ed utilizzando il sof-tware di geotagging “Robogeo”. Il disegno di campionamento predisposto ha previsto, partendo dal primo balise, una ripresa fotograica random con il distanziale munito di braccio lungo (Fig. 1d) al ine di efettuare un rilievo fotograico dall’alto a circa un metro di altezza dalla prateria. Tale misura è servita per stimare il ricoprimento della prateria a livello dei suoi limiti inferiori. È stato efettuato un rilievo fotograico casua-le mediante un distanziale metrico munito di braccio corto (Fig. 1e) (Rende et al., 2009a), tale misura è servita per stimare lo scalzamento dei rizomi in cm. Le immagi-ni fotograiche sono state analizzate mediante l’applicativo Vision 1.0 per la stima del ricoprimento e con il software Visilog 6.4 per la stima dello scalzamento (Rende et al., 2009a). Per quanto riguarda il fotomosaico, il rilievo fotograico georeferenziato è sta-to efettuato con scatti in sequenza lungo il percorso del limite inferiore partendo dal primo balise, in testa, ino ad arrivare all’ultimo balise in coda; le immagini sono state elaborate con il software Panorama Factory V.1.6 (Rende et al., 2009a).

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Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotograiche sui limiti inferiori

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a) GPS data logger, b) boa con GPS Figura 1:

data logger, c) distanziale metrico con bracci,

d) rilievo con braccio 1 metro, e) rilievo con

braccio di 50 centimetri.

Risultati

L’utilizzo del distanziale, delle immagini digitali, del GPS data logger e dei software di elaborazione ci ha permesso di stimare, mediante il software Vision 1.0, un ricoprimento percentuale più elevato di P. oceanica nel sito 5 (80 %) e nel sito 6 (78 %), ed i valori minimi nei siti 2 (62 %), 3 (59,7 %), 4 (65 %) e 7 (62,2 %) (Fig. 2 e Fig. 3). Per quanto riguarda le misure efettuate con il software Visilog V. 6.4, è stato stimato,in via preliminare lo scalzamento centimetrico dei rizomi. L’analisi dei dati evidenzia uno scalzamento dei rizomi maggiore nel sito 5 (15,4 cm), nel sito 3 (8,3 cm) e nel sito 1 (6 cm) rispetto a quello osservato nei siti 4, 8 e 7 dove lo scalza-mento misurato è pari a zero, anche se nel sito 4 e nel sito 8 è stato osservato, per via dell’intenso idrodinamismo, un evidente processo di seppellimento dei rizomi (Fig. 4 e Fig. 5). Le immagini fotograiche, scattate lungo il limite della prateria, georiferi-te tramite il software Robogeo e mosaicate con Panorama Factory V.1.6, ci hanno permesso di ricostruire l’andamento “su grande scala” del limite esterno (Fig. 6). In tutto sono stati realizzati 8 fotomosaici con lunghezze medie di circa 5-10 metri (Fig. 6). Il rilievo fotograico successivo, se efettuato con le stesse speciiche, permetterà

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di veriicare l’eventuale avanzamento e/o arretramento del limite inferiore delle pra-terie mosaicate.

Valori di ricoprimento percentuale stimati con Vision 1.0.Figura 2:

Frames fotograici utilizzati per la Figura 3:

stima del ricoprimento percentuale.

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Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotograiche sui limiti inferiori

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Valori di scalzamento in centimetri stimati con Visilog 6.4.Figura 4:

Frames fotograici utilizzati per la Figura 5:

stima dello scalzamento in centimetri dei

rizomi.

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Fotomosaici dei limiti inferiori delle Figura 6:

praterie di P. oceanica monitorate.

Conclusioni

L’utilizzo del distanziale con il braccio estensibile calibrato a 1 metro ci ha permesso di stimare il ricoprimento % a livello del limite inferiore. I dati del ricopri-mento evidenziano sostanzialmente un cattivo andamento in quattro siti (2, 3, 4 e 7) su un totale di otto siti. I dati sullo scalzamento confermano l’intenso processo di movimentazione dei sedimenti posti al limite della praterie che, nel caso dei siti 4 e 8, tendono a seppellire i fasci di P. oceanica, mentre nei restanti siti è stato osservato un deicit di sedimenti con evidente scalzamento dei rizomi. La tecnica del fotomo-saico e del geotagging ci ha permesso di ricostruire l’andamento del limite inferiore dei siti monitorati. Dalle prime osservazioni e dal confronto con il precedente balisa-ge, sembrerebbe che i limiti esaminati si trovino in uno stato stazionario, nonostante la dinamica di spostamento dei sedimenti, principale fonte di pressione per i limiti inferiori delle praterie campionate, sia molto elevata. Inine, la metodologia fotogra-ica adottata si è rivelata molto pratica e, veloce e risponde alle esigenze, nelle Aree Marine Protette, di monitoraggi non distruttivi.

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Il progetto E.1 – Monitoraggio permanente delle criticità e dei sistemi am-bientali dell’A.M.P. Capo Rizzuto è stato realizzato con fondi del Ministero dell’Am-biente e della Tutela del Territorio e del Mare.

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Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes

I macroinvertebrati bentonici come bioindicatori nei laghi

Bruno Rossaro1*, Angela Boggero2, Valeria Lencioni3 &

Laura Marziali1

1 Dipartimento di Protezione dei sistemi agroalimentari e urbani e valorizzazione delle biodiversità, DiPSA, Università di Milano, via Celoria 2, 20133 Milano

2 CNR-ISE Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, largo V. Tonolli 50, 28922 Verbania Pallanza3 Museo Tridentino Scienze Naturali, via Calepina 14, 38122 Trento

*[email protected]

Abstract

Benthic macroinvertebrates are considered to be good indicators of the trophic status of lakes but in the Mediterranean area gaps in knowledge on taxonomical and autoecological traits of species hinder their potential as indicators. Seventy-eight Italian lakes were sampled, belonging to 10 types according to morphometrical, geographical and geological parameters. An unsupervised neural network (SOM analy-sis) was carried out using 65 Chironomid and Oligochaete species collected in 1865 samples. he accordance between lake types and species assemblages was tested. Indicator weight of species was calculated considering their optima for trophic variables (dissolved oxygen, TP, transparency). A Benthic Quality Index (BQI) and a weighted diversity index were then calculated to test their potential as indicators of trophic status of lakes. Alpine, volcanic and large profundal lakes were separated into diferent clusters, characterized by diferent communities, chemical and morpho-metrical parameters. On the contrary, other lake types with similar trophic status were grouped together, showing similar taxa assemblages. BQI values were in agreement with the trophic condition of lakes, while the weighted diversity index showed low values for alpine lakes due to low species numbers.

Introduction

Benthic macroinvertebrates are currently used in lake monitoring and difer-ent indexes were proposed to assess the ecological status of lentic ecosystems (Wied-erholm, 1980). A weak point in index formulation is the diiculty to correctly de-

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ine indicators. here is consensus that identiication at the species level is needed to detect changes in community composition. Yet taxonomical and autoecological knowledge of macroinvertebrate species is still scanty, especially for what concerns the fauna of the Mediterranean area.

he most commonly used indicators of trophic status of lakes are Chirono-mids and Oligochaetes inhabiting soft bottom sediments. hese taxa are particularly diicult to identify at the species level, especially when larvae (Chironomids) or im-mature stages (Oligochaetes) are the only material available. For what concerns Chi-ronomids, the collection of pupal exuviae with a Brundin net was recommended (Ruse, 2002) to improve identiication, while for Oligochaetes the collection of ma-ture specimens is needed.

A Benthic Quality Index (BQI) was developed (Wiederholm, 1976) using Chironomid species to assign lakes to 5 trophic classes. Chironomus plumosus is char-acteristic of eutrophic lakes and received a low score (1), while Heterotrissocladius

subpilosus – characteristic of oligotrophic lakes – received a high score (5). Interme-diate scores were used for Chironomus anthracinus (2), Sergentia coracina and Sticto-

chironomus rosenschoeldi (3), Micropsectra spp. and Paracladopelma nigritula (4). Nev-ertheless S. coracina, S. rosenschoeldi and H. subpilosus probably were never collected in Italy, while Micropsectra includes many species with rather diferent indicator val-ues (Rossaro et al., 2009). herefore, other indicator taxa must be selected for Italian lakes.

Another Benthic Quality Index (BQI) was developed (Wiederholm, 1980) considering Oligochaete species. Stylodrilus heringianus and Rhynchelmis limosella were considered oligotrophic species and scored 4, Spirosperma ferox was scored 3 and Potamothrix hammoniensis got a score of 2, while Limnodrilus hofmeisteri was considered a eutrophic species and was scored 1.

Except Rhynchelmis limosella which is rare in Italy, the other species can be used as indicators because they are common in Italian lakes. herefore this BQI can be tested using Italian lakes data without substantial modiications of the species list. he key point is that identiication at the species level is necessary.

he aim of the present research is to update weights assigned to Chironomid and Oligochaete taxa in a previous publication (Rossaro et al., 2007a) according to new data collected in Italian lakes. Moreover, a new trophic status index based on a modiied diversity index which takes into account total abundances and species weights will be proposed.

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Sites and data analysis

A total of 1865 samples were collected with a Petersen, Ekman or Ponar grab in 78 Italian lakes between 5 m and the maximum depth, except the 2007 samples in large lakes (see below). he investigated lakes belong to 10 diferent types accord-ing to morphometrical, geographical and geological characteristics (Buraschi et al., 2005). he database includes historical data collected from the 1950s up to recent times. In 2007-2009 further samples (about 30x30 cm2 area) were collected in large lakes by scuba divers between 5 and 25 m depth; abundances were converted into densities (individuals m2). Details about the sampling sites, sampling methods and identiication protocols were published elsewhere (Rossaro et al., 2006; 2007a). Chi-ronomid and Oligochaete species present in at least 40 samples were selected for fur-ther analysis (65 species).

An unsupervised neural network with a Self Organizing Map (SOM) was cal-culated (Park et al., 2004). Species and sites were ordered and clustered to generate groups of sites with similar species composition. Environmental data were not used for ordination, but were represented in the map after calculation.

For the 65 species optimum values for dissolved oxygen (O2), total phospho-rus (TP) and transparency (Tr) were calculated as weighted means of O2, TP and Tr values measured in the sites, where each species was found, considering species abun-dance as weight; optimum values were rescaled between 0 and 1 and used as Benthic Quality Index Weights (BQIW; Rossaro et al., 2007a). BQIW can be used to calcu-late a BQI for each site (Rossaro et al., 2007a).

A weighted diversity index (Hw) was then calculated; the BQIW weights were included in the following formula (Ozzola et al., 1992):

where s is the number of species found at a site; nj is the number of specimens belonging to species j present at a site; N is the total number of specimens at a site; BQIWj is the indicator weight assigned to species j. In this algorithm both indicator values and total abundances are considered.

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Results

Indicator weights of trophic status for the 65 more frequent species are given in table I.

Benthic quality index weights (BQIW) calculated for 65 species.Table I:

C. bicinctus 0 H. marcidus 0.5895 U. uncinata 0.6876 P. prasinatus 0.769

G. pallens 0.2172 P. choreus 0.5915 A. aquaticus 0.6898 T. luviatilis 0.7796

C. lavicans 0.3016 L. peregra 0.6128 T. gregarius 0.6926 P. austriacus 0.7868

C. vermiformes 0.3489 P. nigrohalteralis 0.6129 P. nubeculosum 0.6933 H. stagnalis 0.789

M. atrofasciata 0.3549 D. digitata 0.6195 E. tendens 0.7006 R. coccineus 0.8006

C. plumosus 0.3562 S. heringianus 0.6205 C. anthracinus 0.7047 C. scutellata 0.8033

P. lavipes 0.469 D. vulneratus 0.6452 P. albimanus 0.705 S. ferox 0.8067

P. acuta 0.4896 P. barbatus 0.6455 M. nebulosa 0.705 S. bausei 0.8307

S. lacustris 0.5034 M. pedellus 0.6516 D. tigrina 0.7072 P. orophila 0.8562

P. hammoniensis 0.5068 Hydracarina 0.6538 S. pictulus 0.7098 P. bathophila 0.8584

Sialis 0.5092 A. monilis 0.6552 A. pluriseta 0.7108 P. nigritulum 1

T. tubifex 0.5145 V. piscinalis 0.66 B. vejdoskyanum 0.7201

B. sowerbyi 0.5193 C. defectus 0.6632 P. oxyura 0.7223

E. tetraedra 0.535 P. casertanum 0.6653 C. atridorsum 0.7285

L. hofmeisteri 0.5473 B. sanguinea 0.6677 B. tentaculata 0.729

P. heuscheri 0.5787 P. olivacea 0.6708 P. camptolabis 0.7305

C. annulator 0.5825 E. stammeri 0.6768 C. pallidula 0.7356

C. viridulum 0.5855 D. nervosus 0.6781 S. lemani 0.7684

he SOM analysis emphasized a good separation of some lake types, in par-ticular alpine lakes, AL-1 and AL-2 types (Buraschi et al., 2005), were separated ac-cording to the abundance of Corynoneura scutellata, Heterotrissocladius marcidus and Paratanytarsus austriacus. Volcanic lakes Bolsena, Bracciano and Vico (ME-7 type) were also separated, being some species (e.g. Branchiura sowerbyi and Cryptochi-

ronomus defectus) more common in volcanic lakes than in other lake types. Volcanic lakes were characterized by high mineral content (conductivity in Fig. 1).

Large lakes such as Maggiore, Garda and Como (AL-3 type) were grouped into a cluster, with water depth as a key factor. Psammoryctides barbatus and Pota-

mothrix hammoniensis characterized this group, showing high abundances at great depths.

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Sites belonging to diferent lake types but characterized by a high trophic sta-tus (high phosphorus and low oxygen level) were colonized by tolerant species, such as Chaoborus lavicans, C. plumosus and C. anthracinus. Most sites in this group were from lowland lakes belonging to diferent types (AL-4, AL-5 and AL-6).

Unsupervised neural networks: Self Organizing Map (SOM) showing site clusters Figure 1:

(grey cells), species distribution and environmental variables. altit = altitude, abs lutt =

temporary inhabitants, resid = permanent inhabitants, temp = water temperature, cond =

conductivity, alc = alkalinity.

Alpine lakes showed the highest BQI index values, whereas small lowland lakes belonging to AL-5 type showed the lowest values, i.e. the most eutrophic status (Fig. 2); the highest values in lowland lakes were observed in AL-6 type lakes, here historical data from Mergozzo lake – an oligotrophic lake – were included and con-tributed to enhance the index; volcanic lakes showed high BQI index values.

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BQI index calculated as mean value for diferent lake types (Buraschi et al., 2004) and Figure 2:

in diferent sampling years. Points inside bars: median values; points outside bars: outliers;

bars: 25 and 75 percentiles.

Diversity weighted index was low for alpine lakes, which showed low species richness due to high altitude and low temperature. he highest values were for the Mergozzo lake (Fig. 3).

Shannon diversity index modiied (see text) calculated for diferent lake types Figure 3:

(Buraschi et al., 2005) and in diferent sampling years. Points inside bars: median values; points

outside bars: outliers; bars: 25 and 75 percentiles.

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Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes

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Discussion

he present analysis emphasized that Chironomids and Oligochaetes are indi-cators of trophic status of lakes (Wiederholm, 1980) because trophic variables (O2, TP, Tr, summarized into the BQI index) are strong factors structuring macroinverte-brate taxa composition.

he separation of Italian lakes into types (Buraschi et al., 2005) was supported only in part by benthic macroinvertebrates, since only some types were characterized by diferent species assemblages. Alpine lakes were separated on the basis of altitude, low temperature and low alkalinity; volcanic lakes were grouped together according to water conductivity (Fig. 1); on the contrary, sublittoral stations from AL-3, AL-5, AL- 6 type lakes were rather similar according to chemical and physical values and ac-cording to the macrofauna, therefore it was not possible to separate the three types.

For what concerns the diversity weighted index, the advantage of this algo-rithm is that both indicator values and total abundances are considered, as requested by the European Water Framework Directive 2000/60/CE. Nevertheless low values were obtained for Alpine lakes notwithstanding the good ecological quality of these lakes (Figs. 2-3). Low values were also obtained for AL-7 and AL-8 type lakes. More-over, a higher percentile range of the index was obtained in comparison with BQI.

Gaps in taxonomic knowledge are probably the most critical drawback in us-ing benthic macroinvertebrates as indicators of trophic status (and other impacts or pressures) of lakes. Species belonging to the same genus may show a diferent indica-tor value, as was emphasized for the genera Orthocladius (Formenti & Rossaro, 2009) and Micropsectra (Rossaro et al., 2009). Recently (Lencioni et al., 2007; Ros-saro et al., 2007a; 2007b; Free et al., 2009) an efort was made to ill the gaps in taxonomical and autoecological knowledge, but much research efort is still needed.

Acknowledgements

his work was performed with the contribution of ISE CNR Pallanza which furnished historical data and LIMNO database, IRSA CNR Brugherio which con-tributed to LIMNO database, ARPA Lombardia (BS, LC, VA) contributing to sam-pling and examining material. JRC (dr. Gary Free) gave a substantial contribution to sampling and to the development of database. A particular thank is for Varese scuba group (Silvia Guenzani) who recently sampled large lakes (Maggiore, Como, Garda).

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Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitrificazione: un’analisi a scala

di bacino dei fiumi Oglio sublacuale e Mincio

Nitrogen mass balances and aquatic denitrification relevance: a watershed scale

study for lower Oglio and Mincio Rivers

Elisa Soana*, Erica Racchetti, Monica Pinardi,

Marco Bartoli & Pierluigi Viaroli

Dipartimento di Scienze Ambientali, Università degli Studi di Parma, V. le G.P. Usberti 33/A, 43124 Parma

*[email protected]

Abstract

Il bilancio di massa dell’azoto rappresenta uno strumento per valutare le conseguenze dell’uso del suolo sulla qualità delle acque ed è funzionale all’adozione di strategie per la gestione e la riqualiicazione del territorio. Il presente lavoro riporta un esempio di questo tipo di approccio relativamente ai bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio. L’indagine è stata svolta con risoluzione spaziale comunale, integrando dati inerenti i comparti agro-zootecnico e civile e la qualità chimica delle acque supericiali. In entrambi i bacini gli apporti azotati alla supericie agricola utile sono oltre il doppio rispetto alle necessità delle colture e i surplus areali medi superano i 140 kg N ha-1 anno-1, con picchi ino a 400 kg N ha-1 anno-1. Il comparto zootecnico è responsabile di oltre il 50 % degli input totali. Il carico derivante dalle sorgenti puntiformi rappresenta in entrambi i casi meno del 5 % di quello di origine difusa. Il carico esportato mediante trasporto luviale costituisce il 50 % (Oglio) e il 32 % (Mincio) del surplus generato a scala di bacino. La diferenza tra surplus ed export sembra indicare un’elevata capacità di ritenzione dell’azoto all’interno dei sistemi. La potenzialità di denitriicazione nei sistemi acquatici (zone umide periluviali, reticolo idrograico secondario e connesse fasce riparie) è stata analizzata integrando misure sperimentali e dati di letteratura. Le perdite per denitriicazione risultano elevate soprattutto nel reticolo idrograico secondario in ragione della notevole estensione lineare e possono contribuire all’abbattimento di una quota importante del surplus azotato.

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Elisa Soana et al.

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Introduzione

Gli input di azoto negli ecosistemi terrestri ed acquatici sono aumentati pro-gressivamente a seguito delle attività antropiche (Galloway et al., 2003). L’eutroizza-zione luviale (Hilton et al., 2006) e la crescente preoccupazione circa la tossicità del nitrato (NO3

-) (Camargo & Alonso, 2006) hanno portato la comunità scientiica a rispondere con studi mirati alla stima di bilanci di massa dell’azoto a scala di bacino idrograico (ad es. McKee & Eyre, 2000; Boyer et al., 2006), integrati dall’analisi dei carichi esportati, misura sintetica della capacità di metabolizzazione dell’eccesso di azoto da parte dei sistemi (Caraco et al., 2003). Bilanci condotti in bacini compresi in un ampio range dimensionale hanno evidenziato che mediamente oltre il 75 % dei carichi azotati prodotti internamente non sono soggetti ad export luviale. La dif-ferenza tra surplus azotato e carico esportato (missing nitrogen quota) rappresenta il termine dei bilanci a cui è associata l’incertezza maggiore, includendo gli errori con-nessi alla stima delle altre voci di input ed output. La mancanza di stime e coeicien-ti sito-speciici e la conseguente adozione di informazioni improprie per l’area inda-gata generano inoltre errori nei calcoli inversamente proporzionali alla scala di analisi (Van Drecht et al., 2005). Emerge quindi la necessità di approfondire lo stu-dio delle dinamiche dell’azoto con risoluzione spaziale di dettaglio, impiegando da-tabase locali e integrando valutazioni dei lussi a scala di bacino con studi sito-speci-ici per meglio comprendere le trasformazioni a cui sono soggetti i carichi di azoto durante il trasporto dai siti di generazione alla chiusura dei bacini.

Il presente lavoro riporta la stima dei bilanci di massa dell’azoto in due sotto-bacini lombardi del iume Po, l’Oglio sublacuale e il Mincio, efettuati impiegando database ad alta risoluzione spaziale e coeicienti tratti dalla realtà locale. Sono stati quindi indagati i possibili sink di azoto interni ai bacini e responsabili della discre-panza tra surplus e carico esportato: il contributo dei diversi comparti acquatici e infra-acquatici all’abbattimento dei carichi di azoto mediante denitriicazione è stato valutato integrando dati sperimentali e di letteratura.

Materiali e metodi

I iumi Oglio sublacuale (154 km, emissario del Lago d’Iseo) e Mincio (75 km, emissario del Lago di Garda), drenano bacini rispettivamente di 3.700 e 775 km2, rappresentativi della realtà padana in termini di uso del suolo, pratiche agronomiche,

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Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione

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condizioni pedoclimatiche e idrologiche (Fig. 1). Lo sfruttamento agro-zootecnico del territorio, gli insediamenti urbani e la valenza turistica dei due bacini lacustri determi-nano accertati fenomeni di inquinamento da sorgenti azotate puntiformi e difuse (Regione Lombardia, 2006).

Localizzazione dei bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio con indicazione dei Figura 1:

principali immissari.

La stima dei termini del bilancio è stata efettuata integrando dati statistici inerenti i settori agro-zootecnico e civile (censimenti ISTAT, banche dati del Pro-gramma di Tutela e Uso delle Acque della Regione Lombardia) e il quadro quali-quantitativo del reticolo idrograico supericiale derivante da serie storiche di ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) Lombardia e del Consorzio dell’Oglio e da monitoraggi condotti nell’ambito dei progetti STRA.RI.FLU. (STRAtegia di RIqualiicazione FLUviale partecipata) Oglio e Mincio. In mancanza di informazioni proprie delle aree indagate si è fatto ricorso a dati di letteratura, dopo un’attenta valutazione della loro applicabilità. Secondo l’approccio del soil sy-

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Elisa Soana et al.

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stem budget (Oenema et al., 2003) sono stati quantiicati gli apporti – spandimenti di relui zootecnici, fertilizzazioni chimiche, issazione biologica, deposizioni atmo-sferiche e acque di irrigazione – e le perdite di azoto – assimilazione delle colture, volatilizzazione di ammoniaca (NH3) e denitriicazione nei suoli agrari – attraverso la Supericie Agricola Utilizzata (SAU). I termini sono stati calcolati con risoluzione comunale, quindi corretti in base alla frazione di area comunale compresa entro i conini dei rispettivi bacini idrograici.

Il carico generato dall’attività zootecnica è stato calcolato impiegando dati di consistenza del patrimonio allevato (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000), pesi vivi medi e coeicienti di produzione di azoto delle diverse cate-gorie animali (D.G.R. 21/11/2007, n° 8/5868). Informazioni relative alle vendite annuali di fertilizzanti (Tavole Provinciali su Agricoltura e Zootecnia, ISTAT, 2000) e ai contenuti medi di azoto per le diverse tipologie (Vitosh, 1996) sono state utiliz-zate nella stima dell’apporto imputabile alle pratiche di concimazione chimica. La stima dell’input da issazione biologica è stata efettuata sulla base delle estensioni occupate da specie azoto-issatrici (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000) e dei relativi tassi medi (Smil, 1999; McKee & Eyre, 2000). È stato conside-rato un carico da deposizioni atmosferiche di 8 kg N ha-1 anno-1 come azoto organi-co e NO3

- (Tagliaferri et al., 2006). L’azoto convogliato ai campi mediante le acque di irrigazione è stato inine quantiicato in base ai fabbisogni idrici delle colture (Buzzacchi et al., 2008) e alle concentrazioni medie di azoto totale (TN) nelle acque ad uso irriguo (monitoraggi ARPA e progetti STRA.RI.FLU.).

L’asportazione ad opera delle colture è stata stimata impiegando le esten-sioni delle superici agricole occupate dalle diverse colture (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000), le rese medie annuali (Tavole Provinciali su Agricol-tura e Zootecnia, ISTAT, 2000) e i relativi coeicienti di rimozione (Piano di Svilup-po Rurale 2007-2013, Regione Lombardia). In assenza di misure dirette nell’area indagata, i tassi di volatilizzazione di NH3 e di denitriicazione nei suoli agrari sono stati desunti dalla letteratura. Le perdite per volatilizzazione di NH3 sono state issa-te nel 30 % degli input di azoto da eluenti zootecnici e nel 20 % degli input da fer-tilizzazioni chimiche (Ferm, 1998), considerando però una ri-deposizione media del 60 % nei pressi della sorgente di emissione. La denitriicazione nei suoli è stata inine stimata considerando perdite del 10 % degli apporti azotati totali da pratiche agro-zootecniche (Smil, 1999).

Il carico generato dal comparto civile è stato calcolato dalla consistenza della popolazione (XIV Censimento Generale della Popolazione e delle Abitazioni, ISTAT,

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Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione

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2001) mediante un coeiciente di produzione giornaliera di azoto dell’Abitante Equivalente (Provini et al., 1998). Sebbene non inserito nel computo del bilancio azotato a livello del suolo agrario, il calcolo ha permesso un confronto a livello di or-dine di grandezza tra sorgenti difuse e puntiformi.

I carichi azotati esportati annualmente dai bacini mediante trasporto luviale sono stati quantiicati in base a valori medi di portate e concentrazioni di TN alle stazioni di chiusura (monitoraggi ARPA 2000-2008 e progetti STRA.RI.FLU.).

Risultati

Il carico derivante dal comparto zootecnico ha rappresentato la fonte princi-pale di azoto in entrambi i bacini (Tab. I), con apporti areali anche superiori a 500 kg N ha-1 SAU anno-1, imputabili prevalentemente agli allevamenti bovino (55 %) e suino (30 %). La seconda fonte di azoto per importanza è risultata essere l’applicazio-ne di fertilizzanti di sintesi, mentre la issazione biologica, le deposizioni atmosferi-che e le acque di irrigazione hanno costituito complessivamente in media il 20 % degli input totali.

Bilancio dell’azoto nei bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio (t N annoTabella I: -1).

Oglio Sublacuale Mincio

Input

Relui zootecnici 42.521 11.178

Fertilizzazioni chimiche 27.640 5.902

Fissazione biologica 7.975 2.988

Deposizioni atmosferiche 1.845 473

Acque di irrigazione 4.074 758

∑ input 84.055 21.299

Output

Asportazione delle colture 34.259 8.324

Volatilizzazione di NH3 10.147 2.641

Denitriicazione nel suolo agrario 7.016 1.708

∑ output 51.422 12.672

∑ input -∑ output 32.633 8.627

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L’uptake da parte delle colture ha rappresentato il principale sink di azoto (circa il 50 % imputabile alla coltivazione del mais), con la denitriicazione nei suo li agrari e la volatilizzazione responsabili invece delle rimanenti perdite (circa il 35 % degli output totali). È emerso come la disponibilità teorica di azoto a livello di suolo agrario sia ampiamente superiore alla domanda delle colture, con surplus medi a livello di bacino di oltre 140 kg N ha-1 SAU anno-1 e valori massimi ino a circa 400 kg N ha-1 SAU anno-1 in alcune realtà comunali (Fig. 2).

Distribuzione spaziale del surplus azotato rispetto alla Supericie Agricola Utile (SAU) Figura 2:

a scala comunale nei bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio (kg N ha-1 SAU anno-1).

I carichi generati dal comparto civile, costituenti l’insieme delle sorgenti azotate puntiformi (circa 5.000 t N anno-1 per l’Oglio e circa 900 t N anno-1 per il Mincio), sono risultati trascurabili rispetto a quelle difuse, considerando un ulterio-re abbattimento del 70-80 % in seguito ai trattamenti di depurazione (D. Lgs. n° 152/2006, Allegato 5 alla Parte III).

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Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione

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Discussione

L’analisi dell’export di azoto dai bacini idrograici consente di stimare il con-tributo dei processi di trasformazione dell’azoto rispetto all’eccesso di questo elemen-to. Il carico esportato in Po su base annuale (16.000 t N per l’Oglio e 2.700 t N per il Mincio) rende conto di circa il 50 % del surplus esistente nel bacino dell’Oglio su-blacuale, mentre la quota si riduce al 32 % per il Mincio. Il rapporto tra carichi esportati e carichi generati (0,19 per l’Oglio e 0,13 per il Mincio) ricade all’estremo inferiore dell’intervallo relativo ad un ampio dataset di bacini idrograici (Boyer et al., 2006), facendo ipotizzare l’esistenza di importanti sink interni ai sistemi.

Relativamente al bacino dell’Oglio sublacuale, per il quale è disponibile un quadro dettagliato di informazioni relative al reticolo idrograico, nonché studi sito-speciici sulle dinamiche di ritenzione dell’azoto, è stato stimato il contributo del processo di denitriicazione in diversi comparti acquatici e infra-acquatici all’abbat-timento del surplus. Gli ambienti periluviali connessi idraulicamente al iume risul-tano in grado di rimuovere tra 150 e 1260 kg N ha-1 anno-1 (Racchetti et al., submit-ted), tassi tra i maggiori ritrovabili in letteratura (Pina-Ochoa & Alvarez-Cobelas, 2006), a conferma della funzionalità di questi ecosistemi quali “hot spot” di denitri-icazione (McClain et al., 2003). Estendendo il tasso massimo a tutte le zone umide nel bacino la rimozione teorica annuale complessiva ammonterebbe a circa 250 t N, valore di ben tre ordini di grandezza inferiore al surplus annuale nel bacino. Il con-tributo di questi ecosistemi alla dissipazione dei carichi azotati appare infatti trascu-rabile, dato il rapporto altamente sbilanciato tra superici coltivate (circa 230.000 ha) e superici di ambienti umidi (circa 200 ha). Un contributo rilevante in termini di rimozione potrebbe essere imputabile al reticolo idrograico secondario, in con-sidera zione della notevole estensione lineare (oltre 12.500 km). Sebbene misure sperimen tali di tassi di denitriicazione non siano disponibili per l’area in esame, dall’impiego del modello di Christensen et al. (1990) che stima il potenziale di denitriica zione sulla base del tenore di ossigeno, della disponibilità di NO3

- nelle acque e della domanda sedimentaria di ossigeno (monitoraggi ARPA e progetto STRA.RI.FLU.), si ricava una rimozione teorica nell’intero bacino di oltre 5.500 t N durante il periodo in cui i canali del reticolo minore sono attivi per l’irrigazione (maggio-settembre). L’asportazione del reticolo verrebbe inoltre incrementata di ul-teriori 3.000 t N applicando agli oltre 9.500 km tra siepi e ilari adiacenti ai corsi d‘acqua (Regione Lombardia, 2007) i tassi massimi di abbattimento dell’azoto ritro-vabili in letteratura (Mander et al., 1997) per ambienti della medesima tipologia.

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Considerazioni analoghe sul destino dell’eccesso di azoto rimangono valide anche per il bacino del Mincio. La minor quota di surplus soggetto ad export (32 %) rispetto al bacino dell’Oglio sublacuale è probabilmente imputabile al rapporto mag-giore tra superici occupate da ambienti lentici e superici coltivate.

Queste stime, seppur accompagnate da un ampio margine di incertezza data l’estrema variabilità di condizioni, evidenziano come le perdite per denitriicazione nelle acque supericiali possano spiegare oltre il 50 % della frazione di surplus non esportato dal bacino. Fertilizzazioni azotate frequenti ed eccedenti le necessità coltu-rali determinano inoltre l’accumulo di pool di azoto organico nel suolo aventi lunghi tempi di turnover (Grimvall et al., 2000), nonché contaminazione da nitrati delle falde.

In conclusione, il presente lavoro ha evidenziato come i bacini di Oglio subla-cuale e Mincio, sebbene fortemente impattati dalle attività agro-zootecniche, conser-vano una buona capacità di metabolizzazione dell’azoto. Le perdite per denitriica-zione nelle acque supericiali contribuiscono all’abbattimento di una quota rilevante del surplus azotato: importanti appaiono in particolare i processi di dissipazione nel reticolo minore durante il periodo irriguo, in ragione della notevole estensione line-are di questo e dei ripetuti lavaggi che le acque operano sul territorio. La denitriica-zione nelle acque profonde può rappresentare un’importante pathway di rimozione dell’azoto, sebbene l’entità di questo processo rimanga ad oggi diicilmente quanti-icabile.

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Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione

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Elisa Soana et al.

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Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration

Integrazione di evidenze ecologiche ed idrologiche finalizzata al risanamento

di aree umide costiere

Emiliana Valentini1*, Matteo Conti1, Giancarlo Bovina2,

Sergio Cappucci3 & Massimo Gabellini1

1 ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Via di Casalotti 300, 00166 Roma2 Geosphera – Studio Associato, Via Cesare Battisti 18, 04100 Latina

3 ENEA – Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico SostenibileVia Anguillarese 301, 00123 – Roma*[email protected]

Abstract

Wetlands and transitional habitats between aquatic and terrestrial environments are key elements of coastal systems which require speciic restoring and management strategies. In the present study we show the Natural Reserve of Sentina case study. Since wetlands are rapidly disappearing, this system, located in the lower part of the Ascoli Piceno Plain, represents one of the latest coastal stepping stone along Adriatic-Eurafrican migratory lyways. Dryness of soils arises and bioclimatic indices in two diferent time range, 1950-1989 (regional scale) and 1996-2007 (local scale) shows an increase of evapotranspiration rate. At local scale a reduction of precipitation during summer and mid-seasons was observed and regional data conirm this trend with a constant rising temperature. he values of potential available moisture, obtained by subtracting potential evapotranspi-ration from precipitation, show a higher moisture deicit during summer. In addition, marine intrusion into the backshore increase with the over-pressure condition of supericial ground water. To obtain quantitative evaluation of net water balance, surfaces and distribution of wetland boundaries between 1954 and 2007 were investigated. Information on birds population sizes of individual species have been used to set priorities in restoration allowing the conservation efort to be focused on some species. he inluence of water luctuation and habitat structure, including vegetation distribution, have been assessed and inundation scenarios visualized in 3D maps. he results of the present study highlight that the assessment of the water balance to obtain potential inundation scenarios stabilizes the fragmented nature of the residual wetlands.

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Emiliana Valentini et al.

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Introduction

Climate variability, dynamical and suricial process such as, marine, luvial and ground water, strictly inluenced by anthropogenic uses, can generate spatially and temporally highly variable environmental conditions, mostly in coastal wetland areas (Good et al., 1999; Zedler, 1996, 2000). Under this variability, the structure and growth of wetlands, can luctuate over time in response to seasonal pattern of water levels and suricial extension. Wetlands are complex and vulnerable ecosys-tems, characterized by diferent soil conditions in adjacent uplands, and by vegeta-tion adapted to diferent wet conditions (Zhonghua & Wan, 2006). Such transition-al zones may be diversity hotspots, because of the edge efect that enhances species richness and ecosystem services (Harris, 1988; Costanza et al., 1997). In this frame, ecological and hydrological results are integrated to establish restoration strategies for disappearing wetlands and provide a tool to stakeholders to eiciently manage coastal wetlands.

Study area

he Natural Reserve of Sentina has an extension of 178 ha and is bordered to the south with the armed mouth of the Tronto River and to the north it is delimited by a collector of organic dumping, with the emerged breakwaters that represent the outskirt of the town (Fig. 1). hanks to the application of conservation and protec-tion strategies the area is included in the NATURA 2000 sites (‘Birds Directives’ EC, 409/1979 and ‘Habitats Directive’ EC, 43/1992) as a key element within the eco-logical networks both at regional and local scale. Land-use changes, agriculture irri-gation and coastal erosion led to the loss of natural wetlands important for birds and for biological community in the whole and caused also signiicant decreases in eco-system functions through altered hydro period and salt balance. In the last decades the presence of Sentina Natural Reserve saved the lower part of Tronto Valley from building activities (usually carried out without planning permission). At the same time, some evidence of dumping areas was found, suggesting that a wetland reduc-tion is related to the diversion of channel network and to coastline evolution. he narrow unprotected beach is strongly inluenced by the absence of breakwaters and groins that characterise most of the Adriatic coasts; by a negligible sediment dis-charge from Tronto River and by management of dredged sediment from the har-

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Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration

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bour of San Benedetto del Tronto. he site is vulnerable because of the indirect con-nection with tourism of the adjacent beaches and the original extent of wetland areas are now dependent on seasonal rainfall and on the intensity of storms during au-tumn-winter period.

he dryness of summer leads to soil salinity increase and steppic habitat re-placing wet grassland. Some of the pioneer annual vegetation and Salicornia patula, species that usually colonize muddy and sandy deposits, are disappearing. Mediter-ranean salt meadows (Juncetalia Maritime) and, in more elevated areas, Artemisia

coerulescens are moving toward lower salinity areas. he emerged beach is character-ised by ine-medium sand with some rippled areas showing paths of aeolian trans-port and some lat, rounded limestone shingles. Discontinuous colonisation of psammo-halophytic vegetation was observed during surveys.

Ortophoto 2007 of the study site, georeference: UTM33 projection, datum WGS84. Figure 1:

a) Wetland extension and shoreline in 1954. b) Tin obtained on two meters contour lines with

ArcMap 9.2 R.

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Emiliana Valentini et al.

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Climate settings

Mediterranean weather conditions in Adriatic coastal areas are characterized by wet winter and dry summer with occasional precipitation. Protection or restora-tion of coastal wetlands requires a good understanding of the relationship between water supply and soil wetness. To obtain qualitative evaluation of aridity period length, the Bagnouls-Gaussen (1953) ombrothermic technique was used (Fig. 2). his technique shows months having the ratio between precipitation (mm) and tem-perature (C°) less than two (P<2T) and was employed as a proxy for ecosystems’ vul-nerability to climatic stimuli. he Sentina area is characterized by hot summer, mean annual temperature of 16 °C and rainfall not higher than 550 mm. he ombrother-mic technique ofers the possibility to highlight gradual shifts that occur during sea-sonal pattern, their relative lengthening, as well as corresponding seasonal draught conditions and precipitation overabundance. Results, based on the last ten years data (1996-2007) show the presence of aridity from May to September.

Bagnouls-Gaussen ombrothermic diagrams. In ordered mean monthly rainfall (mm) Figure 2:

and temperature (C°) on two diferent scale (P=2T), in abscissa the twelve months of the year.

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Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration

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Materials and methods

Water balance analysis

In the present study the hornthwaite and Mather (1957) classiication system

was used to perform quantitative water balance assessment of the soil. his method

uses air temperature as an index of the energy available for evapotranspiration, as-

suming that it is correlated with the integrated efects of net radiation and other driv-

ers of evapotranspiration. We used daily data from 1996 to 2007 of S. B. del Tronto

meteorological station, compared with the elaboration of oicial meteo-climatic data

of Marche region from 1950-1989 (Amici & Spina, 2002; Spina et al., 2007).

Morphological and ecological analysis

To obtain quantitative evaluation of net water balance, we investigated areal

extent and distribution of wetland boundaries within the table of 1954 and the

available ortophotos of 1985, 1995 and 2007 in GIS (ArcMap 9.3R). In the past

(1954) the collector channel by looding the area was the principal element in wet-

lands water supply. he original wetlands were extended on a surface of 6-7 ha,

probably not deeper than 3 m of brackish water. he quantiication of hydrogeolog-

ical balance was made by integrating information and data about water availability

in the site. At present, most of the water used for intense agriculture is directed from

Tronto River into the irrigation network but into the backshore there is also evi-

dence of water rise due to capillarity. A ield campaign during spring 2008 lead to

the stratigraphic analysis with six hand (Eijkelkamp) cores of the irst 2 m of soil

along three transect normal to the shore line and along it, and shows a very complex

intercalation system of silty-clay, sandy and coarse lenses.

he quantitative ecological and economical analysis of suitable scenarios was

also based on the results of a census for implementation of bird species check-list

(ISPRA, 2008). We collected information of migratory and breeding practice, about

the inluence of water luctuation, physical and biological environment, about am-

phibian and the entire biological community, including vegetation distribution.

hese data help in hypothesize looding scenarios that would favour biodiversity, in-

creases in the usability from the avian and tourist users and that will be maintained

by rainfall, external waters and sea storms.

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Emiliana Valentini et al.

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he implementation of the shore development was provided by the following relation:

F = l0/2√πA (1)where l0 is the wet perimeter; A is the area of inundated land in m2. his rela-

tion allows to quantify the irregularity/heterogeneity by geometric features of wet-lands extracted by 1954 – 1985 – 1995 – 2007 maps, useful to compare them with morphological restoring hypothesis.

Results and discussions

Net water balance

he evapotranspiration rate during the draught season is about 150 mm/month, which corresponds to a water deicit balance of about 5 mm/d/m2 (Fig. 3).When the rainfall is less than the evapotranspiration values, soil vegetation needs to withdraw water from groundwater. Such process contributes to the salt water intru-sion within Sentina Natural Reserve, and locally dryness of suricial soil may arise.

Evapotranspiration of two diferent time range, 1950-1989 (regional scale) and Figure 3:

1996-2007 (local scale); in the table, the P-Ep values at local scale.

In the last ifty years, frequency of marine intrusion that occurs during storms increased with the sensitive retreat of shoreline. We have estimated a loss of territory of 20 ha in the period between 1954 and 2007, corresponding to 50 % of original

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Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration

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wetlands areas disappeared during this interval. Moreover, on the 1954 map, wet-land inondation was developed over a surface of about 65,000 m2 in the Northern part of the reserve close to the backshore. One of the evidence of this comparison is that coastal system in the whole is seriously afected by a synergy of climate and an-thropogenic forces that forced to a shoreline retreat of 20 m between 1985 and 1995 and 30 m between 1995 and 2007, with a loss of 8.5 ha of emerged beach.

Geomorphic and ecological evidences

Rising of water level observed immediately after coring, suggests an over-pres-sured water table, located between 0.8 m and 1.4 m of depth, that corresponds to 0.1 and 0.8 a.s.l. Water salinity ranges between 2.5 g/l and 22 g/l. Soil aridity means that in addition to the hydrological deicit, highlighted by the hydrological and bio-climatic balance, we have also to consider the loss for iniltration mechanisms, lat-eral and vertical, that involves natural sandy, clay and silty soils, characterized by low permeability with a K coeicient in the order of 10-5-10-6 cm/s. In such conditions losses of iniltration correspond to a water blade from 50 to 5 mm/day. As an exam-ple, in presence of a permeability of 5 x 10-5 cm/s, that corresponds to silty-clay de-posits found during surveys, the losses by terrain are of about 15 l/s/ha.

he upward trend in arid conditions is faced with the need of inding new sources of water supply for maintaining the stability of levels. It was estimated that by the simple compensation of evapotranspiration water losses the needs should be considered in a maximum order of 10-12 mm/day, corresponding to a power of about 1.4 l/s/ha.

A GIS based evaluation and the shore development (F) based on the 1954 shapes show articulated areas, with irregular marshes with less heterogeneity under the bathymetric proile, probably deeper in the north of the backshore. Wetlands in the past had an F value comprised between 1.63 (l0 = 530 m, A = 7,800 m2) and 2.14 (l0 = 1825 m, A = 57,800 m2). With these F values, and with the great species diversity in avifaunal community, morphological restoration will include high F values . To ensure the presence of birds, mudlats with scarce vegetation within sub-emerged habitat and very shallow waters are favoured. Equally, with the great pres-ence of Passeriformes, attracted by seminative or to serve tuft of reed within sube-merged ponds for Acrocephalus paludicola (IUCN, 2007), structural diferentiation is a sensitive question to evaluate.

he irst scenario represents a suricial inundation with 2 m above the actual surface morphology. If we hypothesize the removal of some land, we can obtain

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Emiliana Valentini et al.

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more surface and deeper permanent waters. In the irst scenario wetlands are extend-ed on a surface of 130,000 m2 and net water requirements are 10 l/sec. (Fig. 4a). In case of inundation up to the 0.8 m and the removal of the top 0.4 m of soil, we can have 57,000 m2 of ponds and astatic seasonal areas (Fig. 4b) having a storage volume of about 25,000 m3. In this case, 4.6 l/s of water are requested to compensate the evapotranspiration rate (Fig. 4b).

Scenarios hypothesis and modelling. In a) no land will be moved from the site, in b) Figure 4:

25000 m3 are removed.

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Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration

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Conclusions

Within the Sentina Natural Reserve, aridity and water scarcity combined with salinity intrusion let wetlands presence only with additional water supply because the natural precipitation is not enough to maintain stable ground water tables. At present, the irrigation system provides water supply for agriculture in most of the area and this water is picked up from the neighbouring Tronto River. he results ob-tained by the inundation’s scenarios showes that in order to produce a irm wet con-dition, the water supply should vary seasonally, according to the seasonal rates of evapotranspiration and the consequent recharging time of ponds. To obtain 5-6 ha of inundated wetland, an external supply of 10-12mm/d with an average low rate of 1.4 l/s/ha should guarantee a constant inundation through the year. In particular, a supply of 5 l/sec to the southern part of the area and 7-8 l/s to the northern part is proposed to realize such intervention. At present, the most promising option pro-posed to stabilize wetlands is to use the Tronto River’s waters, that shows “good” wa-ter quality (ARPA Marche, 2005). In addition, land and soil handling and manage-ment will help heterogeneity in terms of sinuosity, varying slope and depth of ponds, presence of small islands and shoals which are fundamental to trigger competition and coexistence among diferent species.

Ackwoledgement

he present study have been funded by the city council of San Benedetto del Tronto and the Natural Reserve of “La Sentina” (Marche Region).

Special thanks to Andrea Taramelli and Lorenzo Rossi for supporting reviews and GIS mapping.

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Emiliana Valentini et al.

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Ecologia microbica

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Screening microbial diversity from vegetal wastes in aid of

bio-hydrogen production

Indagine sulla diversità microbica di rifiuti vegetali finalizzata

alla produzione biologica di idrogeno

Antonella Marone*, Silvia Rosa, Antonella Signorini,

Giulia Massini, Chiara Patriarca, Cristiano Varrone & Giulio Izzo

ENEA, Casaccia Via Anguillarese 301, 00123 Roma*[email protected]

Abstract

Hydrogen production by dark anaerobic fermentation of organic wastes is a promising strategy to obtain renewable and clean energy in a sustainable way: it solves the problem of energy production and waste disposal at the same time. A pivotal question in bio-hydrogen production processes is the isolation and identiication of new highly eicient bio-hydrogen producing anaerobic bacteria.In this study microbial strains were isolated from non pretreated vegetable kitchen waste, under mesophilic anaerobic conditions. 11 strains out of 63 isolated were selected on the basis of H2 production capacity. Comparison with the 16S rRNA genes in the GenBank showed that all the producers had sequence similarities ≥ 98 % with known strains. Ten were ailiated with phylotype of Enterobacteriaceae (γ – proteobacteria) and one of Streptococcaceae (Firmicutes). Seven strains (Erwinia sp. MK14; Pantoea agglomerans and P. sp. 57917; Enterobacter sp. 638 and E. aerogens strain C4-1; Lactococcus lactis strain R-30; Citrobacter freundii strain MH0711) belonged to species already known as hydrogen producers, while four strains (Pectobacterium carotovorum strain E161 and strain NZEC23; Endophyte bacterium SS10; Raoultella ornithinolytica) were characterized for the irst time for their ability to produce H2. Hydrogen producing performance of isolates was investigated in batch by dark fermentation using glucose as substrate and compared under the same experimental conditions. Cumulative H2 production, H2 yield and the amount of soluble metabolites were determined for each strain.

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Antonella Marone et al.

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Introduction

Hydrogen is considered to be the fuel of the future mainly due to its high conversion eiciency, recyclability and non polluting nature. Among the methods for its production, the most promising and environmentally friendly one seems to be the dark fermentation of organic wastes as it solves both the problem of energy pro-duction and waste disposal (Benemann, 1996).

he dark H2 fermentation is carried out by fermentative H2-producing micro-organisms, such as facultative and obligate anaerobes.

One way to improve the eiciency of H2 production is to identify and to se-lect bacterial strains with high H2 producing abilities from diferent substrates (Kalia & Purohit, 2008), and to characterize the microbial metabolism, in order to under-stand and optimize the whole process.

his work has two main aims: 1) to isolate and to identify potential H2 pro-ducer bacterial strains developed in vegetal waste under mesophilic anaerobic condi-tions; 2) to characterize the fermentation process of the isolates in batch cultures us-ing glucose as a nutrient source.

Materials and methods

Vegetable kitchen waste

Vegetable kitchen waste, composed of green vegetables (V) and a mix of green vegetables and potatoes peelings (VP) was chosen as substrate. he waste was col-lected from the canteen at the ENEA Research Centre-Casaccia.

It comes from the irst processing of food and represents a typical daily waste produced during the year.

Screening for H2 producing bacteria

he isolation of microbial colonies was organized as follows: two extracts were obtained by homogenizing 1g of the samples V and VP in sterile saline solution (0.9 % v/v). Serial dilutions of the two extracts were plated on the basal fermentation

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Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production

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medium (BFM) with 0.1 M KH2PO4–Na2HPO4 bufer solution, pH 6.8 (Pan et al., 2008). Plates were incubated at 28 °C for 48 h in anaerobic jar. In order to isolate bacteria, single distinct colonies showing diferent morphologies were picked up from plates of 102-103-104 fold dilutions. Each colony was re-streaked on fresh plates under anaerobic chamber more than three times to ensure the purity of the isolates. All isolates were cryopreserved in glycerol (30 % v/v) at –80 °C until use.

Single colonies were picked up from BFM plates and inoculated in 25 ml bot-tles containing 10 ml of BFM liquid medium and H2-producing bacteria were se-lected on the basis of the presence of H2 in the evolved gas.

16S rDNA sequencing and phylogenetic analysis

DNA of each bacterial isolate was prepared by lysis of 2-3 colonies grown overnight on BFM plates according to the procedure described by Vandamme et al. (2002).

he ampliication of the 16S rRNA gene was carried out using eubacterial universal primers 27f (5’-GAGAGTTTGATCCTGGCTCAG-3’) and 1492r (5’-CTACGGCTACCTTGTTACGA-3’) with 2µl of each cell lysate suspension in 20µl of Quiagen Taq bufer with 0.5 U of Taq DNA polymerase, as reported by Di Cello et al. (1997). PCR products were puriied using the Sephadex TM G-100 res-in according to the supplier’s instructions and quantitatively analyzed using the spec-trometer hermo Scientiic NanoDropTM.

Sequencing reactions were prepared using the sequencing kit Applied Biosys-tem Big Dye Terminator® version 3.1, according to the manufacturer’s instructions, and analyzed with an ABI PRISM 310 Genetic Analyzer Perkin-Elmer, at the ENEA Genome Research Facility DNA Sequencing Laboratory (Genelab, ENEA C.R. Casaccia, Italy). hermal cycling was performed with a gene Amp PCR System 9700 instrument (Applied Biosystems).

he raw sequences of both strands were analyzed by the software Chromas Pro and DNA star and the consensus sequences were compared with those deposited using the BLAST network service of the NCBI db (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/BLAST/). For phylogenetic analysis, identiication of 16S rRNA gene sequences was performed with RDP Classiication Algorithm (http://rdp.cme.msu.edu/classiier/classiier.jsp).

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Antonella Marone et al.

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Batch tests for H2 production

he bacterial strains were renewed in pre-culture basal medium as reported in Pan et al. (2008). After anaerobic incubation at 28 °C with shaking at 120 rpm for 24 h, the cultures were used as inocula. he production tests for each strain were car-ried out in 125 ml serum bottles, containing 50 ml of BFM. he medium was steri-lized by autoclaving (121 °C for 15 min) while the minerals, vitamins and glucose, previously prepared in stock and iltered with ilters 0.22 µm, were added later. he bottles capped with rubber stopper were inoculated 1% (v/v) ratio, with pre-activat-ed bacterial cells and lushed for 2 min with iltered (0.22 µm) pure nitrogen gas to remove oxygen. he bottles were incubated in the dark at 28 °C in an orbital shaker at 120 rpm. he total gas volume was measured using water displacement equip-ment (Kalia et al., 1994). he pH of the cultures was also measured, while liquid and gaseous product composition was analyzed, as described below.

Analytical methods

Biogas analysis

he H2 percentage of biogas in the headspace of the reactors was measured us-ing a gas chromatograph (Focus GC, by hermo) equipped with a thermal conduc-tivity detector (TCD) and a 3 m Stainless Steel column packed whit Hayesep Q (800/100 mesh).

he volume of produced H2 was calculated by the mass balance equation (Lo-gan et al., 2002):

VH,i=VH,i –1+CH,i(VG,i -VG,i – 1)+VH(CH,i-CH,i – 1)where VH,i and VH,i–1 are cumulative H2 gas volumes at the current (i) and pre-

vious (i–1) time intervals, respectively; VG,i and VG,i–1 are the total biogas volumes at the current (i) and previous (i–1) time intervals; CH,i and CH,i–1 are the fraction of H2 gas in the headspace at the current (i) and previous (i–1) time intervals, and VH is the total volume of headspace in the reactor.

Fermentation products

he metabolic products of fermentation (Volatile Fatty Acids, lactate, and ethanol) and glucose were analyzed by a high performance liquid chromatograph (hermo Spectrasystem P4000) equipped whit both an UV detector (λ = 210 nm) and a refractive index detector.

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Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production

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he column, a 300 mm × 7.8 mm Rezex ROA-Organic Acid H+ (8 %) col-umn (Phenomenex) with a 4×30 mm security guard cartridge Carbo-H (Pheno-menex), was operated at 65 °C, using a solution of 5 mN H2SO4 as mobile phase (low rate, 0.5 ml/min). he liquid samples were diluted 1:10 and pretreated with 0.22 µm membrane ilter before injection to the HPLC.

Results

Diversity of microbial isolates

Totally 63 single distinct colonies were selected, showing diferent morpho-logies, 16 from V (numbered from 1 to 16) and 47 from VP (numbered from 17 to 63). 11 of the isolates that were grown on liquid medium, were selected for H2 pro-duction (yield ≥ 0.2 mol H2/mol glucose): seven V-isolates (2, 3, 4, 5, 9, 10, 15) and four VP-isolates (47, 54, 56, 57). Comparison with the 16S rRNA genes in the Gen-Bank showed that all isolates had sequence similarities ≥ 98 % with known strains (Tab. I). Ten isolates were ailiated with phylotype of Enterobacteriaceae (γ–pro teo-

bacteria) and one of Streptococcaceae (Firmicutes).

Phylogenetic ailiations of 16S rRNA gene.Table I:

a: sequence similarities between rDNA gene sequences of strain and those of the closest relatives in the NCBI

database.

b: identiication performed with RDP Classiication Algorithm. Bootstrap conidence values are given between

brackets (classiication is well supported for conidence > 80 %).

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Antonella Marone et al.

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H2 production by microbial isolates

Preliminary tests were carried out for evaluating the efect of glucose concen-trations (5.5 mM, 27.5 mM, 55.5 mM) on H2 yield (mol H2/mol glucose). Results show (Fig. 1) that the yield decreases with increasing substrate concentrations for all strains except for strains 3 and 54. he higher eiciency was observed at glucose 5.5 mM for all the strains except for 3 and 54 (55.5 mM). hese concentrations were used for production tests.

Efect of glucose concentra-Figure 1:

tions on H2 production eiciency.

Results of H2 production expressed by all strains are summarized in table II. he gases detected from the anaerobic fermentation process were H2 and CO2; CH4 was never detected. Nine strains (2-Pectobacterium carotovorum E161, 4-Pantoea sp. 57917, 5-Pectobacterium carotovorum strain NZEC23, 9-Enterobacter sp. 638, 10-En-

dophyte bacterium SS10, 15-Enterobacter aerogens C4-1, 47-Raoultella ornithinolytica,

56-Lactococcus lactis R-30 and 57-Citrobacter freundii MH0711) were able to utilize glucose for H2 production and they revealed as good H2 producers. In contrast, two strains (3-Erwinia sp. MK14 and 54-Pantoea agglomerans) could not utilize glucose and no H2 production was observed. he H2 production yield showed a range from 1.6 ± 0.0 to 2.7 ± 0.2 (mol H2 / mol glucose). Pantoea sp. 57917 exhibited the best Hydrogen producing performance corresponding to cumulative production of 18.3 ± 1.5 ml and 19 %.

H2 production followed a variable trend during the experiments: an earlier production (3-6 hours) was observed for P. carotovorum E161, Enterobacter sp. 638,

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Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production

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E. bacterium SS10, R. ornithinolytica and C. freundii and a more prolonged time of production was expressed by R. ornithinolytica that ended production after 48 hours.

pH of 6.8 was found to be suitable for hydrogen production and did not show any signiicant variation with a slightly decrease to 5.4 for Enterobacter sp. 638.

Summary of parameters characterizing HTable II: 2 production by all isolates.

a: V, strains isolated from green vegetables

b: VP, strains isolated from green vegetables and potatoes peelings

c: start time and end time (hours) of H2 production

d: highest parameters of production

e: medium pH at ended production

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Antonella Marone et al.

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Composition of soluble metabolites

Soluble metabolites analyses were performed. In table III only results ob-tained at ended production are summarized. he main metabolites produced from all H2 positive strains were acetic acid, formic acid and ethanol, while a smaller amount of propionic acid and lactic acid was also formed. A diferent pattern was observed for Erwinia sp. MK14 and P. agglomerans strains that produced respectively the higher concentration of lactic acid, formic acid and ethanol. Butyric acid was produced only by Erwinia sp. MK14.

In table III residual glucose concentration is also reported. All glucose added was used by all nine producing strains, while residual concentrations were pointed out for not producing strains.

End fermentation soluble metabolites and residual glucose.Table III:

a: V, strains isolated from green vegetables

b: VP, strains isolated from green vegetables and potatoes peelings

*: 5.5mM of glucose added

+: 55.5mM of glucose added

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Discussion

After verifying the capacity of the waste’s endogenous microorganisms to pro-duce H2 in auto-fermentation (Marone, 2009), we isolated eleven bacterial strains from endogenous microbial population of vegetable waste. Among the producing strains P. carotovorum strains E161 and NZEC23, E. bacterium SS10 and R. ornithi-

nolytica were characterized for the irst time. heir potential in H2 production was comparable to the other known strains (Kalia & Purohit, 2008).

he experimental conditions used were suitable for H2 production from all microbial isolates except for Erwinia sp. MK14 and P. agglomerans. hese strains were not able to convert glucose to H2 as shown from all parameters (Tab. II and III).

he H2 producing strains metabolized all glucose forming acetic acid, formic acid and ethanol as soluble metabolites (Tab. III). hey expressed a mixed acid fer-mentation of glucose characterized by two pathways: the acetic and the formic acids fermentations. hese are characteristic pathways of Enterobacteriaceae anaerobic fer-mentation that occurs through the action of both periplasmic hydrogenases and of cytoplasmic formate hydrogen-lyase complex (FLH) (Mathews & Wang, 2009). In-duction of FLH complex and therefore the degradation of formic acid to H2 bufers the drop of pH (Hallenbeck, 2009) and this is consistent with our data. Since H2 is derived from formic acid, and a maximum of two molecules of formates are formed per glucose, maximum H2 yield can be predicted to be 2H2/glucose.

he results of this work show that it could be possible to improve both H2 production and yield from fermentation of vegetal waste using autochthonous pure bacterial strains as starters.

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Antonella Marone et al.

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Ecotossicologia

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Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves

of Phragmites australis. Case study: Imera Meridionale River, Sicily

Biomonitoraggio di metalli pesanti in un ecosistema fluviale

mediante foglie di Phragmites australis. Caso studio: il fiume Imera Meridionale, Sicilia

Giuseppe Bonanno

Department D.A.C.P.A., University of Catania, via Valdisavoia 5, 95123 [email protected]

Abstract

Heavy metal contamination of aquatic ecosystems is nowadays a matter of great concern, especially when waters are intended for human needs. On the basis of the Water Frame-work Directive 2000/60 (WFD), which is the main European reference in the policy of water safeguard, the water ecosystems of Community States should meet good quality standards by 2015. A basic aspect of the WFD is the use of bioindicators to be integrated with the classical methods of water assessment based on chemical, physical and bacterio-logical analyses. In this study, the leaves of Phragmites australis (common reed) were used as heavy metal biomonitors to assess the anthropogenic inluence on the Imera Meridionale river, the longest watercourse of Sicily. Phragmites australis is a perennial herbaceous plant widespread throughout the world, living in wetlands and tolerant to highly toxic environ-ments. he heavy metals analyzed were Cd, Cr, Cu, Hg, Mn, Ni, Pb, Zn, which were de-tected in three sampling sites next to the river. he source area, located in the Madonie Park, was chosen as control site whereas the other two stations were located in the middle course, where farming is predominant, and at the mouth, afected mainly by urbanization and intensive farming. Results indicated a signiicant heavy metal bioaccumulation in the anthropogenic sites but only Cr, Mn and Pb exceeded the phytotoxic threshold. his study showed that the Imera Meridionale river is a stressed ecosystem which requires suitable safeguard actions aiming at limiting human inluence along the course. In particular, heavy metal contamination can be mainly due to agricultural chemicals such as fertilizers, and exhaust fumes of vehicular traic, especially at the mouth. Possible restoration strategies should consider the granting of subsidies for those farmers willing to reduce the use of cer-tain chemicals, and the creation of protection belts where human activities are regulated.

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Giuseppe Bonanno

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Introduction

Monitoring of freshwater ecosystems is a matter of growing concern due to the progressive impoverishment and contamination of water resources. Over the past decades, biological monitoring has risen to the forefront of environmental impact assessments and routine programs (Wang et al., 1997). A great impetus for biomon-itoring came from the Water Framework Directive (WFD 2000/60), that is the main regulatory reference of the European Community in the policy of water pro-tection, according to which the water resources of Community States should reach good quality standards by 2015. One of the major aspects of such regulations con-cerns the integrated use of chemical and physical analytical methods of water moni-toring with the aquatic biota such as lora, invertebrates and ish. Biological moni-toring measures the loss of naturalness of aquatic habitats, has a good response to minor pollution events and has a longer time dimension by recording the efects of chemical and hydrological events which may have lasted years (Chapman, 1996; Bargagli, 1998). Compared with other plant and animal species, macrophytes have been reported to show better capacity for metal accumulation (Jana, 1988), and can be ideal in situ biomonitors of metal contamination because they can tolerate high concentrations in water and sediment (Lin & Zhang, 1990). However, local condi-tions and availability of macrophytes afect largely the selection of plant species for biomonitoring. Among aquatic ecosystems, the condition of rivers reveals much about the consequences of human actions because rivers integrate all that happens in their landscapes.

he aim of this study was to biomonitor the heavy metal contamination of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis (common reed), a macrophyte widespread throughout the world. As case study, the Imera Meridionale River, Sici-ly’s longest water course, was considered, and the concentrations of Cd, Cr, Cu, Hg, Mn, Ni, Pb, Zn were analyzed in the leaf tissues of Phragmites australis in three sam-pling points with diferent degree of disturbance. Restoration actions were also dis-cussed.

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Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis.

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Materials and methods

he research focused on the Imera Meridionale River, Sicily’s longest water course (144 km). he watershed is 2120 km2 wide, with an annual discharge of 8 m3/s. Average temperature and rainfall are 18 °C and 600 mm, respectively. he predominant human activities are farming, in particular intensive agriculture in greenhouse is widespread in the lower course. Several towns are located near the riv-er, but only one is crossed by it (Licata, mouth). his river is also called “Salso” for the high salinity of its waters. hree sampling sites were considered: one in the upper course as control site, the other two in the middle stem and at the mouth (Fig. 1). he control site was chosen within the park of the Madonie Mountains near the town of Petralia Sottana (PA); the second site was located at Mount Capodarso (EN), in an area subject to high vehicular traic due to the Caltanisetta-Gela free-way; the mouth was considered as second anthropogenic site because afected by the massive urbanization of the town of Licata (40,000 inhabitants).

As experimental unit, the plant Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steud., called “common reed”, was examined. his species is a large perennial grass living in lakes, rivers, and brackish wetlands, prefers eutrophic and stagnating waters, toler-ates a moderate salinity, and is worldwide distributed. It belongs to the Poaceae fam-ily and it is the only species of the Phragmites genus. he sampling campaign was performed during January-May 2009 in days with the same weather conditions, and the sampling dates were sunny and not windy. In each sampling site, ive samples of Phragmites australis were randomly collected, put in plastic bags, and taken to the laboratory for dissection. he upper leaves of each plant were removed to form the basic sample for chemical analysis. Such leaves were not washed. he heavy metals analyzed were Cd, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Zn by ICP-MS, whereas Hg was detected by AAS. Data were statistically processed by a one-way ANOVA with the site as inde-pendent variable, and log-transformation was adopted if necessary. he post-hoc Tukey test was applied to ascertain the signiicant diferences among the mean values (p < 0.05). he statistical processing was conducted using the software SPSS version 17.0.

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Giuseppe Bonanno

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Location of the study area and sampling points.Figure 1:

Results

he metal concentrations are shown in table I with the corresponding toxic thresholds (Allen, 1989; Chaney, 1989; Kabata-Pendias & Pendias, 2000).

he results are summarized as follows:concentrations decrease in the order of Mn > Zn > Pb > Cu > Hg > Ni > Cd > Cr1. metals with a signiicant increasing trend are Cr, Cu, Mn, Pb, Zn2. metals with similar concentration in anthropogenic sites are Cd, Hg, Ni3. metals above toxic threshold are Cr, Mn, Pb 4. metal above toxic threshold in both anthropogenic sites is Mn 5. metal with the highest control/anthropogenic concentration ratio is Mn (1:10)6.

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Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis.

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Heavy metal concentrations in leaf tissues [mg kgTable I: -1].

Metal Site 1

control

Site 2

anthropogenic

Site 3

anthropogenic

Toxic

threshold

Cd 0.22 ± 0.01a 0.68 ± 0.08b 0.78 ± 0.10b 5

Cr 0.10 ± 0.01a 0.42 ± 0.05b 0.69 ± 0.06c 0.5

Cu 4.05 ± 0.37a 5.88 ± 0.69b 7.32 ± 0.28c 25

Hg 0.55 ± 0.13a 0.86 ± 0.15b 0.91 ± 0.09b 1

Mn 30.25 ± 4.89a 295.75 ± 15.63b 343.63 ± 14.72c 50

Ni 0.35 ± 0.07a 0.71 ± 0.11b 0.85 ± 0.07b 5

Pb 13.59 ± 2.43a 26.36 ± 4.21b 34.72 ± 5.61c 30

Zn 16.75 ± 3.52a 31.22 ± 5.19b 37.23 ± 2.53c 500

Note: diferent letters mean signiicant diferences among sites

Discussion

his study showed that the Imera Meridionale river is a signiicantly human impacted ecosystem because most heavy metals (Cr, Cu, Mn, Pb, Zn) varied accord-ing to an increasing gradient. he progressive environmental worsening is also em-phasized by the levels of Cr, Pb and Mn which passed the toxic threshold. Cr is an element considered as toxic for plants, and its dangerous levels at the mouth are like-ly due to agricultural chemicals. Similarly, Pb is not essential in plant species and is potentially harmful. According to Ye et al. (1997), Phragmites australis may have an innate tolerance to Pb because insuicient evidence was found to support the idea that common reed populations living in metal-contaminated sites have evolved to a Pb tolerant ecotype. Pb contamination is often linked to the exhaust emission of ve-hicles. In turn, Mn is an essential micronutrient for plants, especially in the activity of various types of enzymes. he ten-fold level of Mn compared to the control site is indicative of massive use of fertilizers. In particular, the fact that Mn bioaccumula-tion was dangerously toxic in both anthropogenic sites implies that farming is the primary source of disturbance as compared to vehicular traic on a basin scale. Agri-cultural activities are now considered the dominant source for non-point pollution of rivers (Jones, 1997), and manganese is one of the most common contaminants due to agriculture (Beke et al., 1993; Kelly, 1997). Heavy metal concentrations may be also afected by a salinity gradient (Wang & Liu, 2003), especially at the mouth (site 3). However, salinity should be considered relatively constant in site 3 because of the short stretch of sampling, thus implying low efects on bioaccumulation.

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Aquatic lora relects the metal content of its environment (Sawidis et al., 1995). Bioaccumulation of heavy metals is afected by numerous environmental fac-tors that include water, soil, atmospheric deposition, seasonal physiology, species-speciic capacities for uptake, translocation and compartmentalization of trace ele-ments (Bargagli, 1998). Rooted macrophytes such as Phragmites australis are generally inluenced more by metals in sediment than by those in water. In particu-lar, once released into the aquatic environment, a part of heavy metals is transferred to sediments by the processes of adsorption onto suspended matter and sedimenta-tion (Zwolsman et al., 1993). Sedimentation of polluted particles results in high metal contents in the soil of wetlands, which are generally considered as a sink (Hart, 1982). Several authors showed that macrophytes act as “biomonitors” because they register metal temporal luctuations, thus providing historical information on past environmental conditions (Žáková & Kočková, 1999; Fränzle, 2006; Vardanyan & Ingole, 2006). Biomonitors, deined as organisms providing quantitative assessment of the environmental quality, could detect not only the presence of anthropogenic stressors but also the adverse impact that stressors are having on the environment (Wang et al., 1997; Chang et al., 2009).

Over the last two decades, river ecosystems have experienced signiicant al-terations that afected profoundly the biota and the abiotic environment. Only through a constant monitoring can land planners implement suitable actions to eco-logically improve the health of rivers. Regarding the Imera Meridionale River, feasi-ble protection strategies should aim on the one hand at regulating activities related to agriculture and breeding such as granting subsidies for those farmers willing to reduce certain chemicals, on the other at creating safeguard bufers where human ac-tivities are controlled.

Conclusions

his study indicated that the Imera Meridionale River is an impacted ecosys-tem afected by an increasing gradient of heavy metals. In particular, the levels of bioaccumulation in the leaves of macrophyte Phragmites australis showed a signii-cant toxicity of Cr, Mn, and Pb. Restoration strategies should put into practice ac-tions controlling farming on a basin scale.

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Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis.

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La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella

stima del rischio ecotossicologico

Ecosystem vulnerability in ecotoxicological risk assessment

Alessio Ippolito, Serenella Sala* & Marco Vighi

Università degli Studi di Milano-Bicocca, Piazza della Scienza, 1, 20126 Milano*[email protected]

Abstract

La valutazione sito-speciica del rischio ecotossicologico è attualmente basata sulla sensibilità di un ristretto numero di specie a speciici fattori di stress. Le procedure generalmente usate non tengono conto della complessità ecologica degli ecosistemi. Questo lavoro propone un nuovo approccio quantitativo basato sul concetto di vulnerabilità degli ecosistemi, focalizzandosi su ecosistemi di tipo luviale. La capacità di recupero (resilienza) e la suscettibilità a esposizioni nocive di intere comunità, così come l’alterabilità potenziale degli habitat, sono fattori fondamentali per valutare i reali efetti in ambiente procurati da fattori di stress. Vengono discussi i vantaggi e le diicoltà del metodo, mettendo in evidenza la necessità di una più approfondita informazione ecologica per migliorare il processo di valutazione sito-speciica del rischio ecotossicologico.

Introduzione

Le procedure attualmente utilizzate per la valutazione del rischio ecotossicolo-gico sono costruite basandosi sul mero confronto fra stime di esposizione ad un fat-tore di stress ed efetti tossicologici misurati sperimentalmente su ristretti numeri di specie.

La valutazione comparativa di questi due fattori risulta tuttavia più vicina alla deinizione di “pericolo” (hazard) che a quella di “rischio” (Cairns et al., 1979; Cai-rns, 1980). In generale, anche astraendo dall’ambito ecologico, il pericolo è deinito dal prodotto di una esposizione ad un fenomeno potenzialmente nocivo per il grado

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di magnitudine di tale fenomeno. In quest’ottica il pericolo può essere considerato come il potenziale di produzione di un rischio.

Anche in ecologia i concetti di pericolo e di rischio, sebbene intimamente connessi, non possono essere considerati coincidenti. Il rischio ecotossicologico vie-ne deinito come la probabilità, legata ad un dato pericolo, che si veriichi un evento avverso o indesiderabile, valutata attraverso indicatori riguardanti tre diversi aspetti: esposizione; efetti causati dal fattore di stress; caratteristiche del sistema biologico potenzialmente esposto. In particolare è necessario valutare la vulnerabilità del siste-ma, determinata da caratteristiche e da meccanismi, spesso assai complessi, intrinseci al sistema stesso. In letteratura il concetto di vulnerabilità degli ecosistemi è stato i-nora scarsamente trattato (De Lange et al., in press).

Nell’ambito del presente lavoro il concetto di vulnerabilità degli ecosistemi si riferisce all’insieme delle caratteristiche di un ecosistema che ne determinano una maggiore o minore condizione di alterabilità delle funzioni ecologiche in relazione ad uno speciico stress/contaminante. Quanto più tali caratteristiche sono deinite, tanto più realistica potrà essere la valutazione della vulnerabilità del sistema, special-mente se viene integrata una valutazione sito-speciica.

Gran parte delle Direttive Europee inerenti la regolamentazione di sostanze pericolose richiedono valutazioni di rischio non sito-speciiche. Il rischio in questi casi viene caratterizzato solo sulla base del rapporto fra un indicatore di efetto (ten-denzialmente end-point ecotossicologici determinati in laboratorio, es. EC50, NOEC) o una PNEC (Predicted No Efect Concentration – Concentrazione prevista di non efetto), e un indicatore di esposizione come una PEC (Predicted Environmen-

tal Concentration).I rapporti PEC/PNEC (EC, 2003) e TER (Toxicity Exposure Ratio) (EC,

1991) sono spesso utilizzati come indicatori di rischio, assumendo come target di protezione un ideale “ecosistema medio europeo” (acquatico o terrestre) e come in-dicatori di efetto dati tossicologici su organismi standard, assunti come rappresenta-tivi dei principali livelli troici.

Le caratteristiche intrinseche dell’ecosistema esposto e quindi la vulnerabilità dell’ecosistema non vengono assolutamente considerate e le procedure non sono si-to-speciiche: si riferiscono a scenari ambientali generici a diversa scala. Esse rispon-dono alla necessità di misure di controllo a livello europeo e non sono pertanto adat-te alla valutazione del rischio efettivo su ecosistemi speciici.

Al contrario, per una valutazione del rischio sito-speciica la conoscenza delle caratteristiche della comunità biologica e dell’ambiente isico in cui questa si inseri-

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La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico

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sce, divengono fondamentali (Sala & Vighi, 2007), come richiesto in diversi conte-sti, tra i quali la Direttiva Quadro sulle Acque (Water Framework Directive; EC, 2000).

Struttura metodologica per la stima della vulnerabilità

di una comunità biologica

Il presente lavoro ha come obiettivo la declinazione del concetto di vulnerabi-lità ecologica, al ine di gettare le basi metodologiche attraverso cui sia possibile, nel futuro, efettuare delle valutazioni della vulnerabilità che siano il più possibile com-plete ed ecologicamente realistiche (De Lange et al., in press).

La stima della vulnerabilità di un ecosistema deve necessariamente tener con-to di una quantità considerevole di fattori, e consta della valutazione della vulnerabi-lità della comunità e della vulnerabilità dell’habitat che la ospita. Infatti, l’ecosistema è costituito da una comunità biologica inserita in un ambiente che con le sue carat-teristiche isiche, chimiche, climatiche, geograiche e morfologiche è parte integrante dell’ecosistema stesso. Tali stime sono intimamente congiunte, dal momento che un fattore di disturbo in grado di produrre signiicativi cambiamenti nell’habitat di una certa comunità biologica ha una grossa probabilità di generare uno stress diretto o indiretto sulla comunità stessa.

Il processo di valutazione della vulnerabilità della comunità si fonda princi-palmente sull’analisi di tre caratteristiche: Sensibilità; Capacità di recupero (resilien-za); Suscettibilità all’esposizione.

Il primo passo è rappresentato da un’indagine il più possibile approfondita sulla composizione della comunità oggetto di valutazione e delle sue dinamiche al ine di consentire di concentrarsi maggiormente sulle popolazioni più rappresentati-ve o aventi un ruolo ecologico determinante (specie chiave), dal momento che racco-gliere dati ed informazioni di dettaglio su tutte le specie presenti in un ecosistema risulterebbe certamente molto arduo se non addirittura impossibile. È opportuno raccogliere quante più informazioni possibile sulla composizione, distribuzione e sulla struttura delle singole popolazioni, oltre a dati autoecologici e isiologici.

L’individuazione e la caratterizzazione del fattore di stress o, nel caso in cui ce ne sia più di uno, delle relazioni esistenti fra le diverse fonti di disturbo, rappresenta un passaggio fondamentale nel processo di valutazione della vulnerabilità, in quanto necessariamente stress-speciica.

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Valutazione della sensibilità della comunità

Una volta individuati i fattori di stress è possibile procedere alla valutazione degli efetti che questi provocano sulla comunità. Le stime di sensibilità efettuate nell’ambito della valutazione del pericolo hanno un carattere generalista: si efettua-no test su poche specie standard ritenute rappresentative dei diversi livelli troici di un ecosistema. Invece, l’approccio proposto per la valutazione della sensibilità nell’ambito della stima della vulnerabilità è di tipo sito-speciico. Le specie sulle qua-li si decide di indagare per valutare gli efetti di un fattore di stress sono efettivamen-te presenti nell’ecosistema oggetto di studio, ed anzi giocano un ruolo rilevante per rappresentatività e/o per importanza nelle dinamiche della comunità. La sensibilità delle diverse specie all’interno della comunità può essere rappresentata in termini probabilistici utilizzando il metodo della Species Sensitivity Distribution (SSD, Van Straalen & Denneman, 1989; Posthuma et al., 2002). In mancanza di dati speri-mentali sulle specie che compongono la comunità, la risposta di specie diverse ad una stessa tipologia di stress può essere prevista sulla base di determinate caratteristi-che (traits) delle specie stesse (Baird & Van den Brink, 2007). Un altro possibile me-todo previsionale è rappresentato dalle QICAR (Quantitative Interspeciic Chemical

Activity Relationships, Dimitrov et al., 2000; Tremolada et al., 2004). Un altro importante problema per la valutazione della sensibilità della comu-

nità biologica è la stima degli efetti indiretti a seguito di uno stress.

Valutazione della capacità di recupero della comunità

Il danno efettivo che una comunità biologica può subire a seguito di una esposizione ad un fattore nocivo non è determinato unicamente dalla sensibilità, espressione della resistenza della comunità. La valutazione della resilienza della co-munità permette di valutare la risposta delle popolazioni nel tempo successivo all’esposizione (ammettendo che questa sia discontinua o comunque limitata nel tempo) e la capacità delle comunità di ritornare allo stato di organizzazione struttu-rale e funzionale precedente alla variazione indotta da un fattore di stress. Il recupero a livello di popolazione può dipendere da proprietà individuali (e.g. capacità di de-tossiicazione, metabolizzazione) oppure da proprietà collettive (e.g. strategie r o K, potenziale riproduttivo).

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Valutazione della suscettibilità all’esposizione

Ogni specie possiede delle caratteristiche intrinseche che rendono più o meno probabile un certo livello di esposizione, a parità di concentrazione prevedibile in un determinato comparto ambientale (PEC). Tutto l’insieme dei fattori comportamen-tali può essere determinante in questo senso: il tipo ed il grado di mobilità, l’attitu-dine a frequentare particolari zone o strutture, naturali e non, la variazione stagiona-le del comportamento, sono tutti fattori che possono determinare una maggiore o minore probabilità di essere esposti ad un fattore di rischio.

La igura 1 propone lo schema riassuntivo per la metodologia di valutazione della vulnerabilità di una comunità biologica. Alcune frecce sono state evidenziate per segnalare le maggiori criticità in alcuni passaggi del processo.

Struttura metodologica della valutazione della vulnerabilità ecologica di una comunità. Figura 1:

La valutazione della vulnerabilità di una comunità, nelle tre componenti che si è scelto di prendere in considerazione, parte da stime riferite a livello di popolazione. Sensibilità, capacità di recupero e suscettibilità all’esposizione, vengono tutte inizial-mente indagate su ciascuna delle popolazioni della comunità ritenute rilevanti. All’in-terno di un ecosistema infatti la popolazione rappresenta l’unità, gerarchicamente più

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elevata, che possa essere considerata ecologicamente omogenea: è quindi naturale che anche in questa valutazione il punto di partenza sia collocato a tale livello.

Ciononostante, com’è possibile osservare in igura 1, le maggiori criticità emergono proprio nel passaggio di scala dal livello di popolazione a quello di comu-nità. In efetti, per nessuno dei tre elementi considerati le proprietà della comunità possono essere dedotte dalla somma delle caratteristiche delle popolazioni che la compongono. La presenza di proprietà emergenti, date dalle complicate interazioni fra le diverse specie presenti in ogni ecosistema, impedisce l’adozione di un approc-cio riduzionistico in questa fase. Ad oggi mancano strumenti in grado di efettuare questo “salto di scala” che pure risulta essere fondamentale in un processo di valuta-zione realistica della vulnerabilità, e più in generale del rischio ecotossicologico. La sida per il futuro dovrebbe quindi essere l’implementazione di metodologie in grado di estrapolare, dalle informazioni disponibili sulle singole popolazioni, dei risultati più generici riferiti all’intera comunità.

Stima della vulnerabilità degli habitat

Il concetto di vulnerabilità dell’habitat deve essere afrontato da un punto di vista alquanto diferente, soprattutto se si considera che col termine di habitat si con-siderano sia entità biologiche (ad esempio gli alberi di una foresta) sia entità abioti-che (il letto di un iume).

In questo caso, la sensibilità sarà prevalentemente funzione di fattori di stress diversi dall’efetto tossico di microcontaminanti (ad esempio alterazioni isiche, cam-biamenti climatici).

Anche in questo caso è possibile valutare la resilienza di un ambiente partico-lare a seguito di un’alterazione e il concetto di suscettibilità all’esposizione ricono-scendo che ogni ambiente ha una sua evoluzione temporale, anche solo su base sta-gionale, per cui possono esserci delle situazioni temporanee in cui un certo ambiente è più suscettibile ad alterazioni provocate da una determinata fonte di disturbo.

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La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico

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Stima del rischio e vulnerabilità ecologica

Lo schema rappresentato in igura 2 riporta sinteticamente tutte le varie fasi del processo di valutazione, sottolineando in particolare come la valutazione del rischio scaturisca dall’integrazione della stima del pericolo e di quella della vulnerabilità.

Schema metodologico per la valutazione del rischio ecotossicologico negli ecosistemi.Figura 2:

I processi di valutazione di vulnerabilità di comunità ed habitat sono concet-tualmente sovrapponibili, benché l’analisi della comunità risulti nella pratica più complesso, sia per una maggiore necessità di dettaglio, sia per la complessità organiz-zativa a diverse scale di cui è necessario tener conto.

La vulnerabilità degli ecosistemi fluviali: un caso applicativo

È possibile applicare il concetto di vulnerabilità sia ad ecosistemi reali, sia ad ecosistemi potenziali (nel caso siano disponibili suicienti informazioni o riferimen-ti). Per questo motivo è possibile usare la vulnerabilità per stabilire criteri di prote-zione degli ecosistemi che si riferiscano ad un obiettivo di qualità ecologica per eco-sistemi ideali o di riferimento, come richiesto da alcune normative.

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Alessio Ippolito et al.

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Il concetto di vulnerabilità ecologica è stato applicato al caso degli ecosistemi luviali con speciico riferimento al Fiume Serio e al Fiume Trebbia per prevedere gli efetti causati dall’immissione di sostanze in un sistema ambientale naturale, grazie alla valutazione degli efetti avvenuti nel tempo in un sistema già impattato.

Entrambi appartengono al bacino del Po e presentano caratteristiche idrologi-che e geomorfologiche simili. Nonostante la somiglianza delle loro caratteristiche na-turali, il livello di qualità ecologica di questi due iumi è assai diferente. Il Serio pre-senta un considerevole inquinamento organico; il gran numero di derivazioni pone seri problemi di portata. Il Trebbia invece presenta una minore pressione antropica e si trova ancora in condizioni semi-naturali. Un buon numero di dati sulle comunità naturali è stato raccolto da dati di letteratura e da campagne di monitoraggio: in tal modo si ha una prospettiva storica delle risposte ecologiche a stress pregressi. Per i ri-sultati dell’applicazione e i dettagli metodologici: Ippolito et al., 2009.

Conclusioni

Con il presente lavoro sono state gettate le basi metodologiche per la deini-zione di un nuovo approccio nel processo di stima del rischio ecotossicologico e sono inoltre state poste importanti questioni che dovrebbero costituire una nuova sida per l’ecotossicologia. L’obiettivo generale, una volta consolidata la metodologia, sarà la costruzione di indici di vulnerabilità da impiegare in processi di valutazione del rischio ecotossicologico.

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La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico

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Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo per lo studio di contaminanti

emergenti legati al traffico (Pt, Pd e Rh)

Bioaccumulation in hair of the small mammal Apodemus sylvaticus:

a non-invasive method for the evaluation of traffic emitted metals (Pt, Pd e Rh)

Marco Marcheselli* & Marina Mauri

Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, via Campi 213/D, 41125 Modena

*[email protected]

Abstract

L’aumento della concentrazione di metalli rari quali Pt, Pd e Rh nell’aria, nei suoli e nel biota a seguito dell’introduzione delle marmitte catalitiche sta assumendo un crescente interesse nell’ambito della ricerca ambientale per il potenziale impatto sugli ecosistemi terrestri e la salute dell’uomo. Il roditore Apodemus sylvaticus si presenta come un ottimo bioindicatore per la valutazione del rischio di esposizione per l’uomo, caratterizzato da livelli e distribuzio-ne dei metalli pesanti nei tessuti del tutto similari a quelli nei tessuti umani. L’utilizzo rilevante di mammiferi catturati in natura a scopo di biomonitoraggio pone però problemi dal punto di vista etico e conservazionistico, perciò approcci alternativi che non presuppongono il sacriicio dell’animale, quali lo studio del bioaccumulo di microinquinanti nel pelo, possono presentare un alto potenziale applicativo. Ai ini della validazione del metodo per il biomonitoraggio dell’esposizione a microinquinanti da traico, la distribuzione di Pd, Pt e Rh nei peli di esemplari di A. sylvaticus è stata studiata in relazione al bioaccumulo nei tessuti target per eccellenza, fegato e rene, e alle concentrazioni nel suolo supericiale in quattro siti di campionamento in provincia di Modena, rispettivamente un’oasi faunistica, un terreno agricolo, due siti urbani nelle strette vicinanze di strade a diverso impatto di traico.Le analisi dei tessuti hanno indicato un carico di questi metalli signiicativamente maggiore nei due siti urbani rispetto a quelli di controllo, in accordo con i livelli nei suoli. I peli sono risultati ottimi accumulatori e, soprattutto, hanno mostrato una correlazione altamente signiicativa con i livelli di metallo in reni e fegato. Indici di

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Marco Marcheselli & Marina Mauri

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stress isiologico quali il rapporto delle concentrazioni rene/fegato e del peso rene/corpo, evidenziano segnali di alterazione della capacità omeostatica per gli individui dei due siti caratterizzati dal traico. Il bioaccumulo di Pt, Pd e Rh nei peli degli animali selvatici ofre un’ottima possibilità di interpretazione dell’esposizione ambientale e segnala la validità di questi metalli rari come traccianti della speciica fonte di emissioni atmosferiche costituita dal traico veicolare.

Introduzione

La contaminazione da metalli pesanti che caratterizza l’ambiente terrestre ur-bano deriva da decenni di emissioni provenienti da diferenti sorgenti, tra cui, ad esempio, le industrie manifatturiere, i processi di incenerimento dei riiuti e, soprat-tutto, il traico veicolare.

In particolare, a seguito dell’introduzione delle marmitte catalitiche negli anni ’80, la ricerca ambientale si è occupata dei cosiddetti PGE (Platinum Group Ele-

ments), vale a dire platino (Pt), palladio (Pd) e rodio (Rh). Questi metalli, una volta emessi con i gas di scarico nella loro forma metallica o come ossidi, possono intera-gire nell’ambiente con diversi ligandi, diventare solubili e quindi entrare nella rete alimentare (Colombo et al., 2008).

La concentrazione di questi elementi è andata progressivamente aumentando negli ultimi due decenni nell’atmosfera (Rauch et al., 2006), nel suolo (Zereini et al., 2007) e nella polvere a bordo strada (Jackson et al., 2007), ma anche nella vegetazio-ne (Djingova et al., 2003), nei sedimenti degli ecosistemi acquatici urbani (Hopp-stock & Sures, 2004) e in organismi sia acquatici che terrestri (Ek et al., 2004; Zimmer mann et al., 2005). Molti studi hanno mostrato come i valori più alti di PGE siano ritrovabili nelle aree ad alto traico veicolare, in particolare in prossimità (< 10 m) di strade, incroci e rotatorie (Parry & Jarvis, 2006).

L’incremento dei livelli di questi metalli ha stimolato un acceso dibattito sul loro impatto sugli ecosistemi terrestri ed, in ultimo, sulla salute dell’uomo. Nella loro forma metallica, i PGE sembrano non essere pericolosi, ma si sa che alcuni loro composti sono altamente tossici ed allergenici (WHO, 1991, 2002; Colombo et al., 2008). La letteratura internazionale generalmente concorda sul fatto che siano anco-ra insuicienti le informazioni sulla potenziale tossicità dei PGE e che sia oggi anco-ra diicile una seria valutazione dei rischi legati alla loro presenza nell’ambiente (Wi-seman & Zereini, 2009).

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Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo

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I piccoli mammiferi, e in particolare i roditori, sono considerati bioindicatori sensibili ed eicaci nel monitoraggio dell’ambiente urbano, perché sono presenti in buon numero, si muovono sul territorio in un’area limitata e hanno una vita sui-cientemente lunga per valutare efetti a lungo termine. Il topo selvatico Apodemus

sylvaticus è difusissimo nelle aree verdi urbane e suburbane, e la sua dieta consiste primariamente di semi e piccoli invertebrati presenti nel suolo. In quanto specie ad alto livello di complessità biologica, questi animali possono essere buoni bioindica-tori anche per la previsione di rischi per la salute dell’uomo. Numerosi studi hanno valutato il livello dei principali metalli pesanti nei tessuti di questo e altri roditori in relazione all’esposizione ambientale (Beernaert et al., 2007; D’Havè et al., 2005), ma non esistono a tutt’oggi dati sul bioaccumulo dei PGE. Con questo progetto di ricer-ca si è inteso studiare il bioaccumulo di microinquinanti, nel caso speciico i PGE, nel bioindicatore A. sylvaticus, veriicando la fattibilità di un approccio, quale l’ana-lisi del pelo che non presuppone il sacriicio dell’animale, alternativo all’analisi dei più utilizzati tessuti, reni e fegato. Questo metodo non invasivo può presentare infat-ti un alto potenziale applicativo nella sorveglianza ambientale, dal momento che per-metterebbe di superare gli ostacoli etici e conservazionistici al prelievo di individui da popolazioni naturali ad alto livello di complessità biologica.

Materiali e metodi

Siti di campionamento

I campionamenti sono stati efettuati in quattro siti della provincia di Mode-na (Italia), rappresentativi di diverso uso e impatto antropico: CONTR, una riserva faunistica lontana dall’area urbana; AGRIC, un sito agricolo nella campagna mode-nese; SUBURBAN, un terreno boschivo alla periferia del centro abitato a ianco di una strada altamente traicata; URBAN, un’area verde urbana nelle vicinanze di un incrocio molto frequentato. In ciascun sito esemplari adulti di A. sylvaticus sono sta-ti campionati mediante trappole. Per ciascun sito è stata individuata un’area di circa 2250 m2, corrispondente all’areale di A. sylvaticus, nella quale sono stati casualmente scelti 10 punti in cui prelevare campioni di suolo. Per ogni punto è stato formato un campione, ottenuto miscelando 5 sub-campioni di suolo supericiale (5x5x10 cm) rappresentativi di un area di 1 m2.

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Trattamento dei campioni

I campioni di suoli sono stati seccati (40 °C per 48 h) e setacciati (< 2 mm). Un grammo di suolo per ogni campione è stato digerito in HNO3 (69 %, Merck) in forno microonde (Milestone ETHOS TC Labstation) e successivamente riscaldato con l’aggiunta di H2O2 (30 %, Merck) Il metodo scelto consente di determinare il metallo totale biodisponibile (US EPA 3050B). Il pH dei campioni di suolo è stato misurato in CaCl2 0,01 M (ISO, 1994) mediante un pH-metro CRISON micropH. Fegato e reni sono stati dissezionati, seccati e sottoposti a mineralizzazione acida in forno microonde con HNO3, separatamente per ogni individuo e tessuto. Un’ali-quota di pelo (0,5 g) da ogni esemplare è stato lavato in Triton X-100 per rimuovere i contaminanti esterni, seccato e mineralizzato in forno microonde con una miscela 1:2:4 di HCl, H2SO4 and HNO3 (Borella et al., 1998). La concentrazione di Pt, Pd e Rh è stata rilevata mediante un sistema ICP-MS (Inductively Coupled Plasma-Mass

Spectrometry, hermo Fisher Scientiic) con analizzatore di massa a quadrupolo. Accu-ratezza e precisione analitiche sono state veriicate utilizzando materiale standard di riferimento (NIST 2977). L’errore strumentale si è mantenuto al di sotto del 5 %.

Analisi statistiche

Per tutti i dati è stata controllata la normalità distributiva (Shapiro-Wilk’s test). Per saggiare le diferenze tra i diversi siti riguardo a: concentrazione di metalli e pH dei suoli, condizione biologica degli animali (lunghezza e peso), concentrazioni di metalli nei diversi organi e indici calcolati di stress isiologico, è stata prima testata la omoschedasticità (Bartlett’s test) ed è stata poi applicata l’analisi della varianza (ANO-VA a una via) seguita da confronti a coppie (Duncan). Il t-test di Student è stato ap-plicato per saggiare diferenze tra i sessi. Per valutare la relazione fra le concentrazio-ne di metallo nel pelo e nei tessuti interni è stato calcolato il coeiciente di correlazione di Pearson. È stata inoltre efettuata l’analisi delle componenti principa-li (PCA) separatamente per i dati di concentrazione nei suoli e nei tessuti. Altre tec-niche di analisi multivariata (ANOSIM e RELATE) sono state utilizzate per studiare la distribuzione dei campioni nello spazio bidimensionale. Per le analisi sono stati usati i software statistici SPSS e PRIMER. Il valore di signiicatività (p-value) è stato issato a 0,05.

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Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo

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Risultati e discussione

Contenuto di metalli nei suoli

Non sono state individuate diferenze signiicative nel pH tra i diversi siti (range 8-8,4). Sono state invece rilevate nei terreni dei siti urbani concentrazioni di tutti i metalli analizzati di un ordine di grandezza superiore rispetto ai siti di control-lo (URBAN, SUBURBAN > AGRIC, CONTR; ANOVA) come riportato in igura 1. Le alte concentrazioni di PGE (Pd > Pt > Rh) riscontrate nei suoli urbani rispetto ai suoli più distanti dal traico veicolare (CONTROL e AGRIC), sono presumibil-mente associabili alle emissioni del traico veicolare e sono sugli stessi valori riporta-ti in letteratura per terreni o campioni di polvere raccolti in altre aree cittadine euro-pee (Haus et al., 2007; Jackson et al., 2007; Moldovan et al., 2001).

Concentrazione di Pt, Pd e Rh Figura 1:

nei suoli dei 4 siti considerati (media ± D.S.;

ng/g peso secco).

Contenuto di metalli nei tessuti e relazione con i livelli ambientali

Non è stata rilevata nessuna diferenza signiicativa tra sessi né per quanto riguar da la condizione biologica degli animali campionati né per quanto riguarda i livelli di metalli nei tessuti.

Le concentrazioni di Pt, Pd e Rh nei diversi tessuti sono riportate nelle igure 2a - 2c. I livelli di tutti i PGE sono risultati più alti negli individui catturati nei siti URBAN e SUBURBAN rispetto ai siti di controllo AGRIC e CONTR. Non sono disponibili in letteratura dati per il confronto sul bioaccumulo di questi metalli nei roditori. L’analisi ha rivelato inoltre un accumulo di Pd maggiore in tutti i tessuti ri-spetto a Pt e Rh. Questo dato risulta in accordo coi risultati di altri autori (Moldo-

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van et al., 2001; Sures et al., 2001) che riportano, per altre specie, sia terrestri che marine, una biodisponibilità dei PGE nello stesso ordine (Pd>Pt>Rh). Il rene si con-nota come il principale organo bersaglio, ma anche i peli sono risultati ottimi accu-mulatori.

a-c) Concentrazione di Pd, Pt e Figura 2:

Rh nei tessuti di Apodemus sylvaticus nei

quattro siti campionati (media ± D.S.;

ng/g peso secco).

Le analisi PCA efettuate sia sui dati di bioaccumulo che su quelli ambientali evidenziano un ottimo accordo. In entrambi i casi le unità statistiche (esemplari di A. sylvaticus o campioni di suolo) si dispongono nello spazio bidimensionale con il medesimo pattern (Fig. 3), separando nettamente i siti urbani da quelli di controllo. L’analisi ANOSIM mostra che sia URBAN che SUBURBAN diferiscono signiica-tivamente da CONTROL e AGRIC (pairwise comparisons, R = 1), mentre è notevo-le la vicinanza tra URBAN e SUBURBAN (R = 0,2) e tra CONTROL e AGRIC (R = 0,3). L’analisi RELATE inine conferma che i due set di variabili (concentrazioni di metallo nei suoli e nei tessuti di Apodemus) condividono lo stesso pattern. Il coei-ciente di correlazione (ρ = 0,6) rivela infatti un’ottima corrispondenza tra i dati am-bientali e quelli di bioaccumulo.

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Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo

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a)

b)

PCA per i dati di concentrazione di Pd, Pt e Rh relativi ai suoli (a) e ai tessuti (b). Figura 3:

Ognuno dei simboli riportati nei graici rappresenta rispettivamente un campione di suolo o

un esemplare di A. sylvaticus.

Relazione tra il bioaccumulo nel pelo e i livelli di metallo nei tessuti interni

Le concentrazioni di Pt, Pd e Rh nel pelo sono fortemente correlate con i li-velli riscontrati sia nel fegato che nei reni, indicando questa matrice biologica come possibile alternativa ad uguale eicacia rispetto ai tessuti più comunemente utilizzati nel biomonitoraggio. Altri studi hanno riportato una relazione tra il bioaccumulo di metalli non essenziali nel pelo e quello riscontrabile negli organi interni (D’Havè et

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al., 2005; Beernaert et al., 2007). Questi risultati dimostrano, per la prima volta, come questa relazione sia valida anche per quanto riguarda i PGE.

Indici di stress

Sono stati calcolati indici di stress isiologico, quali il rapporto concentrazioni di metallo rene/fegato e il rapporto peso rene/corpo, segnalati in letteratura come biomarkers isiologici (Ma, 1989; Ek et al., 2004; ). Il rapporto delle concentrazioni di PGE rene/fegato (circa =1 nei siti di controllo; >2 nei siti URBAN e SUBUR-BAN) e del peso rene/corpo (0,2 nei siti AGRIC e CONTR; 0,3 nei siti urbani) evi-denziano segnali di alterazione della capacità omeostatica per gli individui dei due siti caratterizzati dal traico veicolare.

Conclusioni

Gli alti livelli di Pd, Pt e Rh riscontrati nei suoli urbani e il loro accumulo nei tessuti di A. sylvaticus dimostrano la necessità di mantenere alta l’attenzione su questi metalli, la cui presenza nell’ambiente sta divenendo sempre più tangibile.

Anche se il bioaccumulo riscontrato nei tessuti non raggiunge i livelli che sono associati in letteratura ad una tossicità acuta (WHO, 1991; 2002), riteniamo che il carico rilevato negli organi interni e i valori alterati di alcuni importanti indici isiologici riscontrati per le aree urbane oggetto della ricerca confermino che, al livel-lo di contaminazione che sperimentano, queste popolazioni del roditore A. sylvaticus possano essere sottoposte a condizioni di stress.

I risultati di questo studio dimostrano l’eicacia dell’utilizzo di A. sylvaticus nel caratterizzare siti sottoposti a diferente carico di inquinanti, suggerendo l’utilità di questa specie bioindicatrice nel biomonitoraggio di aree antropizzate. È stata con-fermata inoltre la validità dei metalli rari come traccianti della speciica fonte di emissioni atmosferiche costituita dal traico veicolare.

Il bioaccumulo di questi elementi nei peli si è dimostrato capace di un’ottima responsività all’esposizione ambientale, confermando l’ipotesi di un impiego più esteso di questa metodologia non invasiva, ad esempio in studi su altre specie selva-tiche quali gli ungulati, indicatori di area vasta, al ine di un monitoraggio di quegli ecosistemi che possono essere inluenzati da contaminanti provenienti da fonti difu-se e dispersi e trasportati a lunghe distanze.

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Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo

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Marco Marcheselli & Marina Mauri

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Effetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul

polichete marino Dinophilus gyrociliatus

Short- and long-term effects of the antifouling zinc pyrithione on the

marine polychaete Dinophilus gyrociliatus

Marco Marcheselli*, Marina Mauri & Roberto Simonini

Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, via Campi 213/D, 41125 Modena

*[email protected]

Abstract

Il biocida zinco piritione (ZnPT) è uno degli additivi più utilizzati nelle vernici antivegetative applicate alle imbarcazioni. Si è voluto studiarne gli efetti a breve e a lungo termine sul polichete marino Dinophilus gyrociliatus, tipico degli habitat costieri e possibile target non voluto del biocida. Oltre a test di tossicità acuta (96 h LC50 = 7,77 nM al buio e 11,52 nM in condizioni di luce) sono stati allestiti “Life Table Response Experiments” (LTRE), per valutare gli efetti su ciclo biologico e demograia del polichete.Concentrazioni nanomolari dell’inquinante (0,5 and 1,0 nM), già riscontrabili in natura in alcuni ambiti portuali europei, hanno mostrato di avere efetti su sopravvi-venza e riproduzione, ma anche a livello di popolazione, alterando alcuni dei principali indici demograici, quali l’aspettativa di vita e0 (ino a –33 % rispetto al controllo), il tasso netto d’accrescimento R0 (ino a –63 %) e il tasso di crescita della popolazione λ (ino a –9 %), importante indicatore della itness biologica di una popolazione.Il sospetto di efetti sul potenziale di crescita di D. gyrociliatus suggerisce la pericolosità del biocida per questa ed altre specie aini e il rischio di alterazione della biodiversità nell’ambiente marino costiero, imponendo la necessità di una più ampia valutazione degli efetti cronici dell’utilizzo su larga scala di questo biocida nelle pratiche anti-fouling.

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Marco Marcheselli et al.

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Introduzione

Il divieto sull’utilizzo di tributilstagno (TBT) nei prodotti antifouling ha dato una notevole spinta verso l’uso di biocidi alternativi. In particolare lo zinco piritione (ZnPT) è divenuto negli ultimi anni uno dei principi attivi più impiegati nelle ver-nici anti-vegetative applicate alle imbarcazioni.

ZnPT viene commercializzato come neutrale e non persistente nell’ambiente marino, per via della sua rapida fotolisi sotto l’efetto diretto della luce solare per dare composti meno tossici (Turley et al., 2005). Tuttavia la radiazione che risulta dare origine a fotolisi sembra essere riscontrabile solo nei pressi della supericie dell’acqua. In condizioni di luce scarsa, come quelle riscontrabili nei porti a causa della torbidità dell’acqua o dell’ombreggiamento, ZnPT è risultato persistente in ac-qua di mare (Dahllöf et al., 2005).

Test di tossicità acuta condotti su embrioni di invertebrati marini hanno evi-denziato efetti dannosi del composto anche a bassissime concentrazioni (Sánchez-Bayo & Goka, 2006; Bellas, 2008), ma non sono disponibili dati sull’efetto a lungo termine su sopravvivenza e riproduzione di organismi marini non-target.

Il polichete interstiziale Dinophilus gyrociliatus è da tempo studiato per le sue risposte a contaminazione chimica (Mauri et al., 2003) e accreditato come specie te-ster nei protocolli ASTM (ASTM, E 1562-00). D. gyrociliatus è comune nelle incro-stazioni biologiche (biofouling) che rivestono i substrati duri degli habitat costieri coninanti, ambienti particolarmente soggetti all’inquinamento da ZnPT a causa dell’elevato traico nautico. Questa specie può quindi essere inclusa tra quelle che possono risentire degli efetti di biocidi e altri contaminanti chimici liberati nell’am-biente costiero senza esserne il bersaglio diretto.

Allo scopo di determinare gli efetti di ZnPT nei confronti di D. gyrociliatus sono stati efettuati test di tossicità acuta ed esperimenti a lungo termine (Life Table

Response Experiments, LTRE).L’obiettivo della ricerca è contribuire alla conoscenza degli efetti ambientali

di ZnPT al ine di una più informata valutazione di tale composto quale alternativa sostenibile agli antifouling contenenti TBT.

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Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino

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Materiali e metodi

Colture e soluzioni di esposizione

Le colture di D. gyrociliatus sono mantenute in condizioni costanti (24 °C, 30 psu, ciclo luce/buio 12:12 h) in acqua marina artiiciale (Reef Crystals, Instant

Ocean®). Seguendo le procedure standard (ASTM, E 1562-00), femmine neonate sono state trasferite in Boveri da 10 mL e utilizzate per formare le coorti speri men-tali.

Sono state preparate soluzioni stock sciogliendo ZnPT (soluzione acquosa 48 %, Rutgers chemicals AG) nel solvente organico non tossico dimetil solfossido (DMSO, Carlo Erba) 2 ore prima dell’inizio degli esperimenti. Le soluzioni speri-mentali sono poi state allestite diluendo la soluzione stock nell’acqua marina artii-ciale. Tutte le soluzioni di esposizione e di controllo contenevano la stessa concentra-zione inale di DMSO (1 ‰) e sono state mantenute nel corso dell’esperimento in condizioni costanti di temperatura e salinità (24 °C, 30 psu).

Test pilota e test di tossicità acuta

Poiché non esistevano dati riguardanti l’efetto di ZnPT su D. gyrociliatus, sono stati condotti esperimenti pilota a breve termine in assenza di luce per identii-care un range di concentrazioni per i successivi test di esposizione.

Sono stati allestiti test di tossicità acuta (96 h) sia in condizioni di assenza di luce che di ciclo luce/buio 12:12 h, per determinare i valori di LC50 e per individua-re concentrazioni sub letali e non letali utili per il successivo esperimento a lungo termine LTRE.

Dieci coorti di 15 individui, suddivisi egualmente in tre Boveri da 10 mL, sono state esposte a ZnPT alle seguenti concentrazioni nominali: 0 (controllo) -0,5-1-2-3-4-8-16-32 e 64 nM. Le osservazioni e il conteggio degli individui sopravvissu-ti sono stati efettuati ogni giorno.

Esperimenti LTRE

Sono stati allestiti esperimenti a lungo termine LTRE, nei quali coorti di indi-vidui sono state esposte a concentrazioni non letali di ZnPT (0,5 e 1 nM, vale a dire 0,15 e 0,30 µg/L), associabili ad una sopravvivenza a 96 h maggiore del 90 %, secon-

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do i risultati dei test di tossicità a breve termine. È stata inoltre predisposta una co-orte di controllo, mantenuta in acqua artiiciale e DMSO.

Per ogni gruppo sperimentale sono state utilizzate 25 femmine neonate, sud-divise equamente in cinque Boveri da 10 mL. Le soluzioni sono state cambiate ogni 48 ore, 6 ore dopo avere aggiunto 0,5 mL di una soluzione 0,5 % di spinaci per nu-trimento. Ogni due giorni tutti i Boveri sono stati controllati con l’ausilio di uno stereomicroscopio per veriicare il numero di animali sopravvissuti e di uova deposi-tate. Solo gli individui vivi sono stati quindi trasferiti in nuovi Boveri puliti conte-nenti la soluzione appropriata. Le osservazioni sono state eseguite intanto che tutti gli animali non sono morti. Tutte le coorti sono state mantenute in condizioni di ci-clo luce/buio 12:12 h per tutta la durata dell’esperimento.

Analisi statistica e indici demografici

Per stimare i valori di LC50 è stato utilizzato il metodo Trimmed Spearman-

Karber. Per quanto riguarda gli esperimenti LTRE, i dati relativi alla sopravvivenza e alla fecondità di ciascun campione (life-table) sono stati impiegati per costruire un modello di popolazione classiicata per età con periodo di proiezione di un giorno: in particolare dalla life-table di ciascun gruppo sperimentale è stata ottenuta una matri-ce di proiezione (matrice di Leslie) seguendo la metodica di Caswell (2000) per spe-cie a riproduzione semicontinua. L’aspettativa di vita e0, il tasso netto di accresci-mento R0, il tempo di generazione T, il tasso di crescita della popolazione λ in risposta alle variazioni nella sopravvivenza e nella fecondità età-speciiche per ogni gruppo sperimentale, sono state calcolate seguendo le indicazioni di Prevedelli e Si-monini (2001). Le analisi statistiche sui dati demograici sono state realizzate usando metodi di ricampionamento. L’intervallo di conidenza al 95 % dei parametri è stato stimato usando il metodo dei percentili, basandosi su 2000 stime generate con una tecnica di ricampionamento bootstrap. Per evidenziare diferenze signiicative tra controllo e trattati nei parametri demograici sono stati efettuati test di permutazio-ne (Caswell, 2000).

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Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino

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Risultati e discussione

Tossicità acuta di ZnPT

Le curve di sopravvivenza relative agli esperimenti a breve termine sono ripor-tate in igura 1.

L’efetto a breve termine Figura 1:

di ZnPT sulla sopravvivenza di

D. gyrociliatus, in condizioni di buio

e di ciclo luce/buio 12:12 h. CONT

si riferisce al gruppo di controllo.

In condizioni di buio, quindi in assenza di fotolisi, è stato determinato un va-lore di LC50 a 96 ore pari a 7,77 ± 1,73 nM (2,47 ± 0,55 µg/L), mentre una concen-trazione di ZnPT pari 4 nM si è rivelata già suiciente a causare una mortalità attor-no al 20 % dopo 4 giorni. Tuttavia, ZnPT presenta un chiaro efetto sulla sopravvivenza di D. gyrociliatus già a concentrazioni molto basse anche in condizioni di luce, nelle quali, almeno parzialmente, dovrebbe decomporsi dando luogo a com-posti secondari meno tossici. In condizioni di ciclo luce/buio 12:12 h, si è potuto calcolare un valore di LC50 a 96 ore di 11,52 ± 3,12 nM (3,66 ± 0,99 µg/L). Questo dato contrasta con la teoria di una riduzione veloce della tossicità di ZnPT in condi-zioni di luce, sollevando dubbi anche sul reale destino ambientale del composto, pe-raltro già espressi da diversi autori (Dahllöf et al., 2005; Mackie et al., 2004).

I valori di LC50 stimati per D. gyrociliatus risultano di almeno un ordine di grandezza inferiori rispetto a quelli riportati per altri invertebrati marini, quali il cro-staceo Daphnia magna (Sánchez-Bayo & Goka, 2006) o il mitilo mediterraneo Myti-

lus galloprovincialis (Marcheselli, 2009), mentre si attestano sui livelli delle concen-trazioni EC50 calcolate per gli embrioni del riccio di mare Paracentrotus lividus e del bivalve Mytilus edulis (7,7 e 8,0 nM rispettivamente, Bellas et al., 2005).

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Marco Marcheselli et al.

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Effetto a lungo termine di ZnPT

I risultati dell’esperimento LTRE suggeriscono che l’esposizione a ZnPT alle due concentrazioni testate inluisca sia sulla sopravvivenza che sulla riproduzione di D. gyrociliatus.

Le curve di sopravvivenza riferite al controllo e ai gruppi esposti presentano già a partire dai primi giorni di esposizione evidenti diferenze nel loro andamento (Fig. 2). Nella coorte di controllo tutti gli individui raggiungono la maturità sessua-le. La sopravvivenza diminuisce gradualmente a partire dalla terza settimana di vita. Il 50 % degli individui sopravvive ino al 40° giorno, mentre la durata massima della vita è di circa 60 giorni.

Curve di sopravvivenza per Figura 2:

il polichete Dinophilus gyrociliatus

esposto a due diverse concentrazio-

ni di ZnPT a confronto con il gruppo

di controllo. Il graico mostra la

percentuale di animali vivi durante

tutta la durata dell’esperimento.

Il trend della sopravvivenza della coorte esposta a ZnPT 0,5 nM è simile a quello riscontrato per il controllo, ad eccezione del tratto compreso tra 3-6 settimane di vita in cui si osserva una maggiore mortalità. Il 50 % degli individui iniziali so-pravvive ino al 35° giorno. Al contrario, nel gruppo esposto alla concentrazione più elevata (1 nM), la mortalità è maggiore rispetto agli altri due gruppi sperimentali. Alcuni individui muoiono ancora prima di raggiungere la maturità sessuale e sola-mente la metà degli individui iniziali riesce a sopravvivere ino al 25° giorno. La du-rata massima della vita osservata in questo gruppo sperimentale è di 46 giorni.

Le diferenze tra il controllo e i gruppi trattati sono ancora più marcate per quanto riguarda le curve della fecondità (Fig. 3). Nel controllo gli individui comin-ciano a riprodursi dopo 8-10 giorni e il picco di fecondità (circa 6 uova(individuo· 2gg)-1) viene raggiunto durante la terza settimana di vita. Successivamente la fecon-

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Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino

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dità diminuisce rapidamente e le ultime deposizioni sono state osservate nel 35° giorno di vita. ZnPT non sembra modiicare l’età del raggiungimento della maturità nei gruppi trattati rispetto al controllo, provoca invece un netto calo della fecondità già nei primi eventi riproduttivi, anche alla concentrazione più bassa 0.5 nM. I pic-chi della curva di fecondità sono stati 3,8 e 3,2 uova(individuo · 2 gg)-1 nei gruppi esposti rispettivamente a 0,5 e 1 nM. Anche la durata del periodo riproduttivo sem-bra essere inluenzata da ZnPT: nella coorte di policheti esposti a 1 nM gli ultimi eventi riproduttivi sono stati osservati al 30° giorno.

Curve di fecondità per Figura 3:

D. gyrociliatus esposto a due diverse

concentrazioni di ZnPT a confronto

con il gruppo di controllo. Il graico

mostra il valore della fecondità

(uova (individuo · 2gg)-1) durante

tutta la durata dell’esperimento.

L’efetto di ZnPT su sopravvivenza e fecondità si ripercuote sugli indici de-mograici (Tab. I). Gli indici calcolati per il gruppo di controllo confermano che l’aspettativa di vita di D. gyrociliatus è di circa 6 settimane, con un tempo di genera-zione di poco più di tre settimane. Il tasso netto di riproduzione è di 33 uova “fem-minili”/individuo, mentre il tasso di crescita della popolazione è molto elevato (circa 1,3/2 giorni). L’esposizione a ZnPT determina una drastica riduzione nel tasso netto di riproduzione (–41 % e -63 % rispetto al controllo a 0,5 e 1 nM, rispettivamente) e nell’aspettativa di vita (–10 % e –33 % rispetto al controllo). Il tasso di crescita del-la popolazione (λ), usato generalmente come indicatore della itness, risente signiica-tivamente degli efetti della presenza di ZnPT su sopravvivenza e fecondità. In parti-colare i valori di λ più bassi sono stati calcolati per la coorte esposta alla concentrazione maggiore (–9 % rispetto al controllo). Al contrario non è stato osser-vato un efetto signiicativo del tossico a livello del tempo di generazione (T).

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Marco Marcheselli et al.

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Parametri demograici ottenuti per le coorti di Tabella I: D. gyrociliatus esposte a ZnPT.

ControlloZnPT (nM)

0,5 1

Aspettativa di vita (e0, giorni) 42 38 28

2,5 percentile 41 37 27

97,5 percentile 43 39 30

Permutation test (Trattato vs. Controllo) * *

Tasso netto d’accrescimento (R0, uova femminili) 33 19 12

2,5 percentile 32 18 11

97,5 percentile 34 20 13

Permutation test (Trattato vs. Controllo) * *

Tempo di generazione (T, giorni) 23 22 22

2,5 percentile 22 21 21

97,5 percentile 24 24 23

Permutation test (Trattato vs. Controllo) n.s. n.s.

Tasso di crescita della popolazione (λ/2giorni) 1,31 1,24 1,19

2,5 percentile 1,29 1,22 1,17

97,5 percentile 1,32 1,26 1,21

Permutation test (Trattato vs. Controllo) * *

* diferenza signiicativa tra controllo e trattato (Permutation test, p<0,05).

n.s. = diferenza non statisticamente signiicativa.

Conclusioni

I valori di LC50 qui stimati testimoniano la notevole sensibilità del polichete marino D. gyrociliatus anche a concentrazioni nanomolari di ZnPT. I risultati dell’esperimento LTRE suggeriscono poi che la presenza del biocida, anche a dosi molto basse, che si prevede saranno raggiunte a breve in molti ambiti marino-costie-ri (Madsen et al., 2000) e che sono già riscontrabili in alcune aree portuali (Mackie et al., 2004), può avere un efetto a livello ecologico, riducendo la sopravvivenza e la fecondità della specie non target D. gyrociliatus. ZnPT ha mostrato di inluire nega-tivamente non solo sulle caratteristiche della life history individuale, ma anche sulla itness a livello di popolazione del polichete.

Questi risultati confermano i sospetti di una notevole attività biologica e tos-sicità del biocida anche in condizioni di luce, imponendo l’esigenza, da un lato, di aumentare la disponibilità di dati sperimentali sugli efetti ad alto livello di comples-sità biologica, e, dall’altro, di approfondire ulteriormente quali siano il comporta-

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Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino

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mento e il destino ambientale di questo ormai difusissimo composto, allo scopo di saggiare l’opportunità di un approccio precauzionale con una più restrittiva regola-zione nell’uso.

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Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena

e loro assorbimento da parte dei lombrichi

Fractionation of trace elements in soils and their uptake by earthworms

in the Siena urban area

Francesco Nannoni1*, Carlo Gaggi2, Giuseppe Protano1 &

Francesco Riccobono1

1 Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, U. R. Geochimica Ambientale, Università degli Studi di Siena, Via del Laterino 8, 53100 Siena

2 Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, U. R. Valutazione della Qualità Ambientale e degli Impatti Ecotossicologici, Università degli Studi di Siena, Via P. A. Mattioli 4, 53100 Siena

*[email protected]

Abstract

Le aree urbane rappresentano ambienti a rischio di contaminazione da specie chimiche organiche ed inorganiche in quanto soggette alla pressione di diverse attività antro-piche, tra cui il traico veicolare. Nell’area di Siena è stato condotto uno studio volto a valutare l’impatto del traico veicolare sulla presenza e distribuzione areale di alcuni elementi in traccia nel suolo di zone urbane, peri-urbane ed extra-urbane, ed il loro trasferimento ai lombrichi della specie Nicodrilus caliginosus. I lombrichi sono organismi sensibili alla presenza di elementi in traccia nel suolo e per questo eicace-mente utilizzati negli studi dei livelli di contaminazione. Nei campioni di suolo e negli esemplari di lombrico sono stati misurati i contenuti di Cd, Co, Cr, Cu, Ni, Pb, Sb, U e Zn, ed è stata deinita la loro ripartizione nelle principali frazioni del suolo: solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale. Pb e Sb sono risultati gli elementi il cui contenuto nel suolo è maggiormente inluenzato dal traico veicolare, seguono Zn, Cd e Cu. Per tutti questi elementi le concentrazioni più elevate contraddistinguo-no i suoli urbani s.s. Gli elementi considerati mostrano tre diversi pattern di ripartizio-ne nelle frazioni del suolo: Co, Cr, Cu, Ni, Sb, U e Zn sono presenti prevalentemente nella frazione residuale, Pb nelle frazioni riducibile e residuale, Cd principalmente in quella estraibile. Per Cd, Cu, Pb, Sb e Zn l’apporto del traico veicolare si distribuisce a vario grado in tutte le frazioni non residuali. Negli esemplari di lombrico le concen-trazioni degli elementi in traccia rivelano un modello di distribuzione analogo a quello descritto per i loro contenuti totali nel suolo. Le modalità ed il grado di assorbimento degli elementi in traccia da parte dei lombrichi appaiono inluenzate dal tipo di

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Francesco Nannoni et al.

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ripartizione nel suolo. Nel complesso la frazione estraibile è quella che maggiormente determina le concentrazioni di Cd, Pb, Sb e Zn nei lombrichi, mentre un contributo minoritario è dovuto anche alle frazioni solubile ed ossidabile; la frazione ossidabile è quella che regola in maggior misura i contenuti di Cu nei lombrichi.

Introduzione

Le aree urbane rappresentano ambienti a rischio di contaminazione in quanto interessate dalle emissioni prodotte dalle attività antropiche che immettono nell’am-biente urbano elementi e sostanze tossiche che inluenzano soprattutto la chimica dell’aria e del suolo. Attualmente, in molte aree urbane il traico veicolare rappresen-ta la fonte primaria di contaminanti, tra cui gli elementi in traccia; tra questi Cd, Cr, Cu, Ni, Pb, Sb e Zn provengono essenzialmente dai gas di scarico e dal deteriora-mento di varie componenti veicolari (Manoli et al., 2002; Wang et al., 2003).

L’importanza del suolo nell’ambiente urbano deriva soprattutto dal fatto che può accumulare i contaminanti atmosferici e regolare il loro trasferimento alla bio-sfera. In tale ottica, lo studio del frazionamento chimico degli elementi nel suolo for-nisce importanti indicazioni circa il loro comportamento geochimico e destino am-bientale, soprattutto in termini di mobilità e biodisponibilità per gli organismi vegetali e terricoli quali ad esempio lombrichi (Morgan & Morgan, 1999; Kennette et al., 2002). A tale riguardo i lombrichi (phylum Annelida, classe Oligochaeta), im-portanti membri della comunità del suolo, sono considerati bioindicatori della qua-lità del suolo sensibili a fattori di stress antropici, tra cui quelli dovuti alla presenza di elementi in traccia, e tra i taxa più eicacemente utilizzati negli studi di valutazione dei livelli di contaminazione.

Questo lavoro riporta i risultati di uno studio intrapreso nell’area urbana di Siena volto a valutare l’impatto del traico veicolare sulla presenza di Cd, Co, Cr, Cu, Ni, Pb, Sb, U e Zn nel suolo ed il loro trasferimento ai lombrichi. Scopo della ricerca è quello di deinire per i suddetti elementi: i) i livelli e la distribuzione nel suolo in relazione all’intensità del traico veicolare; ii) il tipo di frazionamento nel suolo, con attenzione rivolta soprattutto alla mobilità ed alle variazioni indotte dagli apporti antropici; iii) le concentrazioni nei lombrichi; iv) le relazioni tra la ripartizio-ne nel suolo e l’assorbimento da parte dei lombrichi.

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Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento

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Materiali e metodi

L’area di studio comprende il centro urbano e le zone limitrofe di Siena, una città di dimensioni medio-piccole in cui le attività industriali sono piuttosto limitate e dove la principale sorgente di contaminanti è riconducibile prevalentemente al traf-ico veicolare. Nell’area di studio sono stati individuati 30 siti di campionamento del suolo che per posizione e relazione con il traico si diferenziano in: extra-urbani (n = 6) in terreni incolti in aree rurali distanti dal centro urbano e da arterie viarie, verdi cittadini (n = 4) in zone verdi pubbliche all’interno o immediatamente a ridosso del centro, peri-urbani (n = 9) in prossimità delle principali arterie stradali ad intenso traico che circondano la città, urbani (n = 11) vicino alle più importanti strade cit-tadine. Nei settori urbano e peri-urbano il campionamento è avvenuto entro una distanza massima di 2 m dal margine stradale.

In ogni sito è stato prelevato un campione di suolo (0-20 cm) costituito da 3 sub-campioni. In laboratorio i campioni sono stati essiccati e setacciati al vaglio di 2 mm, ed il passante è stato omogeneizzato e polverizzato. Circa 0,2 g di suolo polve-rizzato sono stati solubilizzati mediante una miscela di acidi ultrapuri in bombe di telon ed un digestore a microonde.

In 15 siti, rappresentativi dei diversi settori dell’area di studio, sono stati rac-colti 150 lombrichi della specie Nicodrilus caliginosus (Savigny), in numero di 10 esemplari per sito. In laboratorio i lombrichi sono stati sciacquati con acqua deioniz-zata e, per permettere l’egestione dei contenuti intestinali, posti per 96 h in capsule Petri rivestite con carta da iltro inumidita. Ciascun esemplare è stato congelato a –80 °C, lioilizzato e solubilizzato con una miscela di reagenti ultrapuri.

Lo studio del frazionamento degli elementi in traccia è stato efettuato sui 15 campioni di suolo in cui sono stati raccolti i lombrichi, ed ha riguardato le frazioni solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale. Allo scopo è stata utilizzata una procedura di estrazione sequenziale basata su 5 step (Tab. I) che riprende quella BCR (Community Bureau of Reference; Quevauviller et al., 1993).

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Francesco Nannoni et al.

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Schema della procedura di estrazione sequenziale adottata con indicazione delle Tabella I:

frazioni del suolo considerate, i reagenti utilizzati e le condizioni operative di ciascuno step.

Step Frazione Reagente/i Condizioni operative

A Solubile fasi solide solubili in acqua 5 g suolo : 10 ml Acqua

ultrapura

Agitazione per 1 h a

temperatura ambiente

B Estraibile scambiabile + acido-solubile

(per lo più associata ai

carbonati)

1 g suolo : 40 ml Acido

acetico 0,11 M

Agitazione per 16 h a

temperatura ambiente

C Riducibile legata essenzialmente agli

ossidrossidi di Fe e Mn

40 ml Idrossilammina

cloroidrata 0,5 M

Agitazione per 16 h a

temperatura ambiente

D Ossidabile legata essenzialmente alla

sostanza organica

20 ml Perossido di idrogeno

8.8 M + 50 ml Acetato di

ammonio 1M

Riscaldamento a +85 °C

per 2 h Agitazione per 16 h

a temperatura ambiente

E Residuale presente nei reticoli cristallini

dei minerali residuali e di

neoformazione

HNO3 + HCl + HF + HClO4 Solubilizzazione in digestore

a microonde

I contenuti totali degli elementi in traccia nel suolo, le loro concentrazioni nelle frazioni del suolo nonché negli esemplari di lombrico sono stati determinati tramite spettrometria di massa accoppiata al plasma induttivo (ICP-MS).

Risultati e discussione

Contenuto totale e distribuzione degli elementi in traccia nel suolo

Al ine di quantiicare il livello di contaminazione di ciascun elemento in trac-cia nel suolo è stato determinato il background geochimico locale, in ottica cautelati-va rappresentato dal valore massimo del contenuto totale misurato nei suoli extra-urbani (Tab. II). Quindi, quale indice dell’apporto antropico, è stato utilizzato il fattore di arricchimento (FA), calcolato dal rapporto tra il contenuto di un elemento nel suolo ed il valore del suo background.

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Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento

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Contenuto minimo, massimo, medio e deviazione standard degli elementi in traccia Tabella II:

nei suoli di Siena raggruppati per area (extra-urbana, verde cittadina, peri-urbana ed urbana).

Area Cd

mg/kg

Co

mg/kg

Cr

mg/kg

Cu

mg/kg

Ni

mg/kg

Pb

mg/kg

Sb

mg/kg

U

mg/kg

Zn

mg/kg

Extra-urbana Min 0,10 10,1 59,2 21,9 36,6 16,3 0,8 1,4 68,7

Max 0,17 15,4 81,6 24,7 60,5 37,5 1,3 2,5 90,1

Media 0,15 12,5 71,7 23,2 43,6 23,0 1,0 1,8 77,6

Dev. Std. ± 0,03 ± 2,3 ± 7,6 ± 1,1 ± 8,7 ± 7,8 ± 0,2 ± 0,5 ± 9

Verde

cittadina

Min 0,05 6,8 47,6 32,2 24,8 35,5 1,2 1,2 57,2

Max 0,23 10,2 58,9 55,8 30,9 77,6 3,5 1,4 120,0

Media 0,16 8,2 54,4 39,0 28,4 54,2 2,4 1,3 90,7

Dev. Std. ± 0,08 ± 1,4 ± 5,3 ± 11,3 ± 2,7 ± 17,5 ± 0,9 ± 0,1 ± 31,6

Peri-urbana Min 0,06 8,2 55,8 26,2 32,9 28,0 1,1 1,1 67,3

Max 0,35 15,4 92,0 82,1 55,6 258,9 8,9 2,6 121,0

Media 0,22 11,7 76,3 45,4 45,3 81,9 3,1 1,6 96,8

Dev. Std. ± 0,08 ± 2,2 ± 12,9 ± 15,7 ± 6,9 ± 31 ± 1,1 ± 0,5 ± 17,7

Urbana Min 0,07 5,9 50,4 14,2 29,8 24,8 0,9 0,9 60,2

Max 0,48 11,7 75,3 101,0 48,7 178,0 14,8 2,7 206,8

Media 0,27 8,4 64,7 43,7 41,0 104,5 5,1 1,5 121,6

Dev. Std. ± 0,10 ± 1,7 ± 8,9 ± 17,2 ± 5,9 ± 43 ± 2,5 ± 0,6 ± 32,5

In base al valore medio del fattore di arricchimento, piombo ed antimonio sono risultati i principali contaminanti dei suoli di Siena. Pb e Sb sono caratterizzati da signiicativi arricchimenti nei suoli urbani e peri-urbani (FAmedio>2) e mostrano un trend di variazione delle concentrazioni e del fattore di arricchimento in relazione al settore di campionamento. I più bassi contenuti medi di Pb (23 mg/kg) e Sb (1 mg/kg) contraddistinguono i suoli extra-urbani (Fig. 1 e Tab. II). Il FAmedio nelle aree verdi, pari a 1,4 per Pb e 1,8 per Sb, è probabilmente indice della circolazione atmo-sferica ad ampio raggio di questi elementi. Nei suoli peri-urbani il FAmedio dei due elementi si colloca poco sopra 2, in considerazione di un contenuto medio di 81,9 mg/kg per Pb e 3,1 mg/kg per Sb. Questi elementi raggiungono le più alte concen-trazioni medie nei suoli urbani (Pb = 104,5 mg/kg e Sb = 5,1 mg/kg), a cui corrispon-de un FAmedio rispettivamente di 2,8 e 3,9 (Fig. 1). I picchi di Pb e Sb misurati nei suoli urbani in prossimità di semafori e rotatorie sono verosimilmente da imputare alla presenza di ostacoli che frenano la difusione dei contaminanti nonché ad una loro maggiore immissione connessa ai frequenti “stop and go” dei veicoli.

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Francesco Nannoni et al.

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Contenuto medio (in mg/kg) e fattore di arricchimento medio (FA) di Pb, Sb, Cd e Ni Figura 1:

nel suolo dei siti extra-urbani, verdi cittadini, peri-urbani ed urbani di Siena.

Nel suolo cadmio, rame e zinco mostrano una distribuzione simile a quella descritta per piombo ed antimonio, diferenziandosi da questi per un minore livello di arricchimento nei suoli urbani e peri-urbani (FAmedio tra 1 e 2). Per esem-pio, nei suoli extra-urbani il cadmio ha un contenuto medio analogo a quello dei siti verdi cittadini (Fig. 1 e Tab. II), mentre mostra un incremento in quelli peri-urbani (0,22 mg/kg, FAmedio = 1,3) ed urbani (0,27 mg/kg, FAmedio = 1,5).

Nei suoli raccolti nei vari settori di Siena non sono state riscontrate diferenze di concentrazione per Co, Cr, Ni ed U (Tab. II). Ne consegue che l’abbondanza di questi elementi nel suolo rimane pressoché uniforme al variare dell’intensità del traf-ico veicolare, con valori di concentrazione che ricadono all’interno dei rispettivi background (FA ≤ 1).

Frazionamento degli elementi in traccia nel suolo

Lo studio del frazionamento degli elementi in traccia nel suolo è stato inaliz-zato principalmente alla deinizione della loro mobilità e biodisponibilità. I dati ana-litici relativi al frazionamento di ciascun elemento sono riportati in termini di inci-denza percentuale rispetto al suo contenuto totale, quale sommatoria dei 5 step di estrazione. Inoltre, è stata confrontata la presenza percentuale nelle frazioni dei suoli extra-urbani non contaminati con quella dei suoli contaminati urbani e peri-urbani.

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Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento

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Il piombo mostra una preferenziale presenza nelle frazioni riducibile (48,5 %, in media) e residuale (42,8 %; Fig. 2). Questo tipo di frazionamento è in linea con l’usuale distribuzione del piombo nel suolo, dove risulta fondamentalmente associa-to sia a minerali residuali che di neoformazione, in particolare agli ossidrossidi di ferro e manganese (Li et al., 2001; Wong & Li, 2004). Dal confronto tra i due grup-pi di suoli risulta che l’apporto antropico di piombo si ripartisce in tutte le frazioni e che nei suoli contaminati è maggiore la presenza dell’elemento nelle frazioni riduci-bile ed ossidabile (Fig. 2).

L’antimonio è associato prevalentemente alla frazione residuale (93,4 %, in media), mentre l’aliquota restante è ripartita pressoché equamente tra le altre frazio-ni. La distribuzione percentuale dell’elemento non varia tra i suoli extra-urbani e quelli urbani e peri-urbani.

Il cadmio è principalmente associato alla frazione estraibile, con un’incidenza media del 61,3 % (Fig. 2); ciò evidenzia la notevole mobilità di questo elemento. L’input antropico di cadmio interessa soprattutto le frazioni estraibile e riducibile dei suoli contaminati.

Il rame è preferenzialmente presente nella frazione residuale (74,8 %, in me-dia; Fig. 2), in accordo con la sua usuale ripartizione nel suolo (Tao et al., 2003). Il più marcato arricchimento di rame è stato riscontrato nella frazione ossidabile dei suoli contaminati.

Lo zinco è per lo più presente nella frazione residuale (76,8 %, in media), e subordinatamente in quella riducibile (13,5 %) ed ossidabile (6,9 %; Fig. 2). Nel complesso questa ripartizione è in linea con l’usuale distribuzione dello zinco nel suolo (Kaasalainen & Yli-Halla, 2003). L’apporto di zinco derivante dal traico vei-colare interessa tutte le frazioni dei suoli contaminati e determina una diversa ripar-tizione rispetto a quella dei suoli non contaminati.

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Francesco Nannoni et al.

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Frazionamento medio (in %) e ripartizione percentuale di Pb, Cd, Cu e Zn nelle Figura 2:

frazioni dei suoli non contaminati (extra-urbani) e contaminati (urbani e peri-urbani) di Siena.

Cobalto, cromo, nickel ed uranio sono presenti essenzialmente nella frazione residuale, con aliquote medie comprese tra 54 % (Co) e 86 % (Cr). Lo schema di fra-zionamento di questi elementi è piuttosto uniforme in tutti i campioni in studio, in accordo con il fatto che la loro presenza nel suolo non è inluenzata dal traico vei-colare. Di conseguenza, non si riscontrano apprezzabili diferenze tra i suoli non contaminati e quelli contaminati.

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Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento

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Nel complesso risulta che gli elementi in traccia considerati in questo studio hanno 3 diversi pattern di ripartizione nel suolo, cui fa seguito una loro diversa mo-bilità e biodisponibilità. L’apporto antropico di Pb, Sb, Cd, Cu e Zn determina con-sistenti arricchimenti nelle frazioni più mobili e redox-sensibili del suolo nonché marcate diferenze del loro frazionamento tra i suoli extra-urbani non contaminati e quelli urbani e peri-urbani contaminati.

Contenuto degli elementi in traccia nei lombrichi

I contenuti corporei di piombo ed antimonio mostrano apprezzabili diferenze tra gli esemplari di lombrico raccolti nei suoli extra-urbani e quelli prelevati negli altri settori dell’area di studio. Le più basse concentrazioni medie dei due elementi con-traddistinguono i lombrichi dei siti extra-urbani (Pb = 1,2 mg/kg, Sb = 0,1 mg/kg), mentre quelle più elevate sono di pertinenza degli esemplari provenienti dal settore urbano (Pb = 3,1 mg/kg, Sb = 0,5 mg/kg; Fig. 3).

Concentrazione media (in mg/kg) di Pb, Sb, Cd e Ni nei lombrichi raccolti nei siti Figura 3:

extra-urbani, verdi cittadini, peri-urbani ed urbani di Siena.

I contenuti di piombo ed antimonio nei lombrichi aumentano con l’incre-mento del loro contenuto totale nel suolo (R2 = 0,86 per Pb, 0,89 per Sb, p < 0,05).

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Anche le concentrazioni medie di cadmio, rame e zinco nei lombrichi aumen-tano in funzione dell’incremento degli input dovuti al traico veicolare, seppur in maniera meno marcata rispetto a piombo ed antimonio, risultando signiicativamen-te correlate con il contenuto totale dei rispettivi suoli di raccolta (R2 = 0,73 per Cd, 0,46 per Cu e 0,49 per Zn, p < 0,05). Negli esemplari dei settori urbano e peri-urba-no si nota un incremento delle concentrazioni di Cd (Fig. 3), Cu e Zn rispetto a quelli delle zone extra-urbane.

In linea con l’omogeneità dei contenuti nel suolo, le concentrazioni di cobal-to, cromo, nickel ed uranio nei lombrichi non mostrano sostanziali diferenze in re-lazione al settore di campionamento.

Relazioni tra il contenuto degli elementi in traccia nei lombrichi e

nelle frazioni del suolo

I lombrichi assorbono gli elementi chimici attraverso 2 modalità: i) dermale, per contatto con le specie chimiche disciolte nella soil solution; ii) intestinale, attraver-so l’ingestione di suolo (ad es., Lanno et al., 2004; Hobbelen et al., 2006). La questio-ne di quale sia la modalità di assorbimento predominante, così come quali frazioni del suolo inluenzino maggiormente questo processo, è tuttora oggetto di dibattito.

Allo scopo di fornire indicazioni a riguardo, le concentrazioni degli elementi in traccia nei lombrichi sono state correlate con i loro contenuti nelle frazioni solu-bile, estraibile ed ossidabile del suolo (Tab. III).

Valori del coeiciente di correlazione di Pearson tra le concentrazioni degli elementi Tabella III:

in traccia nei lombrichi e quelle nelle frazioni solubile, estraibile ed ossidabile del suolo.

Elemento Fraz. Solubile Fraz. Estraibile Fraz. Ossidabile

Cd 0,882 *** 0,898 *** 0,635 *

Co –0,221 NS 0,347 NS 0,637 *

Cr –0,279 NS –0,004 NS –0,081 NS

Cu 0,484 NS 0,498 NS 0,729 **

Ni –0,280 NS –0,418 NS –0,090 NS

Pb 0,896 *** 0,939 *** 0,930 ***

Sb 0,664 ** 0,946 *** 0,880 ***

U 0,230 NS 0,133 NS 0,246 NS

Zn 0,590 * 0,850 *** 0,761 ***

* Signiicativo per p < 0,05 *** Signiicativo per p < 0,001

** Signiicativo per p < 0,01 NS Non signiicativo

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Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento

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Le correlazioni statisticamente signiicative riguardano gli elementi in traccia individuati come i principali contaminanti del suolo (Cd, Cu, Pb, Sb e Zn) ed indi-cano che il loro tipo di frazionamento inluenza la modalità di assorbimento da par-te dei lombrichi. Infatti, le correlazioni tra i contenuti di Cd nei lombrichi e nelle frazioni estraibile e solubile (Tab. III) sono spiegabili dal pattern di ripartizione di questo elemento nel suolo, risultato il più mobile tra quelli considerati. Il tipo di fra-zionamento di Pb, Sb e Zn giustiica le correlazioni tra i loro contenuti nei lombrichi e nelle frazioni estraibile ed ossidabile, indicando che le loro concentrazioni corporee dipendono essenzialmente da tali frazioni. Il contenuto tissutale di rame è signiica-tivamente correlato con quello della frazione ossidabile (Tab. III), suggerendo un ruolo predominante della componente organica nell’assorbimento di questo elemen-to da parte dei lombrichi.

Nel complesso tutte le frazioni del suolo contribuiscono all’assorbimento; tut-tavia, la frazione estraibile appare quella che determina maggiormente i contenuti degli elementi in traccia nei lombrichi, suggerendo un suo possibile utilizzo come il migliore predictor della loro biodisponibilità nel suolo. L’assorbimento intestinale è la modalità predominante, anche se le relazioni riscontrate con la frazione solubile sug-geriscono un contributo minoritario da parte dell’assorbimento dermale.

Nessuna delle frazioni del suolo considerate sembra inluenzare l’assorbimen-to degli elementi presenti nel suolo in contenuti naturali.

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Francesco Nannoni et al.

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Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test

in apici radicali di Pisum Sativum L.: caso-studio in un sito contaminato

Assessing gradients of genotossicity in polluted soils whit comet test using Pisum sativum L. clones:

a case study from a polluted site

Silvia Panetta1*, Gina Galante1, Fausto Manes1,

Patrizia Cesaro2 & Graziella Berta2

1 Dpt. Biologia Vegetale, Area Ecologia, Università “Sapienza” di Roma, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma2 Dpt. Scienze Ambientali, laboratorio Biomolecolare, Università del Piemonte orientale

“Amedeo Avogadro”, Via Teresa Michel 11, 15121 Alessandria*[email protected]

Abstract

In questo studio è stato valutato il gradiente di tossicità dei suoli nell’area riparia del iume “Sacco” (Lazio, Italia). La zona è interessata da un elevato inquinamento di origine industriale e dalla presenza di metalli pesanti e sostanze organo-clururate (esacolorcicloesano) nel suolo e nei sedimenti luviali. Attraverso tecniche GIS è stata approntata una carta di uso del suolo e degli hot-spots di contaminazione sulla base della quale sono state scelte le stazioni di campionamento dei suoli. Il “Comet-test” è un test che mette in evidenzia gli efetti genotossici dei contaminanti ambientali a livello cellulare. In questo lavoro è stato valutato l’efetto genotossico di Pb, Cr, Cd, e Zn in apici radicali di cloni di Pisum sativum L. attraverso il “Comet-test” e comparato i risultati determinando la concentrazione nei suoli dei metalli in studio con spettro-scopia ad assorbimento atomico (SAA). Dalle analisi è stato riscontrato un gradiente crescente di inquinamento dalla sorgente alla foce del iume. Il test di genotossicità ha messo in evidenza danni al materiale nucleare di Pisum sativum L.

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Introduzione

Le attività antropiche quali i processi industriali, attività estrattive, urbane e agricole hanno determinato un consistente aumento della concentrazione di metalli pesanti e altri inquinanti nell’ambiente (Clijsters et al., 2000). La “Valle dei Latini” nota anche come “Valle del Sacco” è stata dichiarata sito da boniicare di Interesse Nazionale a seguito di gravi e ripetuti episodi di inquinamento da sostanze organiche ed inorganiche. Il iume annovera tra le sue problematiche un elevato grado di inqui-namento da metalli pesanti a causa dell’immissione diretta di relui chimici e indu-striali. Le critiche condizioni della Valle sono state portate alla luce da numerose morie di bestiame che si sono veriicate nel corso degli anni e che sono state ampia-mente documentate dai media nazionali. Gli inquinanti attraverso il processo di bio-magniicazione si sono accumulati ino ai più alti livelli della rete alimentare: metalli pesanti e sostanze organoclorurate sono state riscontrate nei prodotti lattiero caseari. In questo studio è stato eseguito il “Comet test”, una tecnica che prevede l’esecuzione di una elettroforesi su gel a livello di singole cellule (SCGE). Il “Comet-test” è un test rapido, sensibile e relativamente semplice per individuare danni al DNA causati da contaminanti (Singh, 1988). Il test combina tecniche biochimiche per l’individua-zione di sequenze interrotte nel DNA, siti alcalo-labili e cross-linking. L’immagine ottenuta al termine dell’esperimento ed osservata al microscopio a luorescenza ha l’aspetto di una „cometa“ con un capo distinto, composto di DNA intatto ed una coda, costituita da DNA danneggiato; la lunghezza della cometa è proporzionale alla dimensione dei frammenti di DNA, l’intensità luminosa risulta proporzionale al quantitativo di DNA migrato verso l’anodo durante la corsa elettroforetica, questi parametri sono in diretta relazione con l’entità del danno (Fairbairn et al., 1995). Il metodo misura con alta sensibilità anche bassi livelli e basse frazioni di catene nucle-ari interrotte. Diverse revisioni del metodo sono state pubblicate in questi ultimi anni per evidenziarne procedure, vantaggi e limiti sia a livello genotossicologico che ecotossicologico (Fairbairn et al. 1995; Dixon et al., 2002; Collins, 2004). Il test è inoltre stato realizzato con successo in cellule vegetali (Gichner et al., 2004; Gichner et al., 2006). I principali vantaggi del Comet-test comprendono: (a) l’analisi di dati a livello delle singole cellule, con conseguenti analisi statistiche più accurate; (b) la ne-cessità di un piccolo numero di cellule per campione (< 10.000); (c) la sensibilità per il rilevamento di danni al DNA e (d) la possibilità di utilizzare tipi cellulari di specie diverse, sia in vitro che in vivo, tra le quali le cellule ottenute da popolazioni umane e da organismi acquatici e vegetali per studi eco-genotossicologi e di monitoraggio

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Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test

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ambientale (Collins et al., 1997; Dixon et al., 2002; Jha, 2004). In questo test una sospensione di cellule viene mescolata in agarosio, successivamente viene effettuata la lisi delle cellule con detergenti e soluzioni ad alta concentrazione salina. Il DNA ri-lassato viene poi sottoposto ad elettroforesi eseguita a pH controllato. Lo svolgimen-to del DNA e l’elettroforesi a pH superiore a 12,6 mette in evidenza i siti alcalino-labili (ALS).

Materiali e metodi

Industrie, discariche e punti di confluenza delle acque reflue nel fiume, sono stati identificati attraverso una categorizzazione di una recente immagine tele rilevata (anno 2009, software Envi 4.3), la classificazione è stata poi importata su un suppor-to GIS (ArcGIS 9.2). Le fasi successive hanno previsto la sovrapposizione in formato vettoriale del corso del fiume sull’immagine categorizzata, l’implementazione di dati inerenti la qualità di acqua e sedimenti (ARPA 2008) nel GIS. Sulla base di queste informazioni sono state scelte quattro stazioni di campionamento (Fig. 1) seguendo un gradiente longitudinale dalla sorgente alla foce ed un gradiente d’inquinamento crescente avente stessa direzione geografica.

Ortofoto, risoluzione Figura 1:

1 pixel/metro. Visualizzazione

del corso fluviale nell’area

di Colleferro e delle stazioni di

campionamento. Ortofoto

a colori del 2000. Nella tabella

sono visualizzati i valori

di concentrazione dei metalli

pesanti nel sedimento.

Valori in mg·kg-1.

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I suoli sono stati prelevati lungo il corso del fiume considerando il punto di campionamento come il centro di un quadrato di lato di 1 metro; il prelievo è stato effettuato ad una distanza di circa 1,5 metri dalla sponda del fiume, eseguendo il ca-rotaggio ad una profondità circa di 20 cm. È stato prelevato 1 kg di suolo in ogni stazione per ovviare alla diminuzione di peso dovuta alla perdita di acqua nel succes-sivo essiccamento all’aria. Al termine del periodo di essiccamento i terreni sono stati pestati nel mortaio per uniformarne la granulometria e setacciati con setaccio di ma-glia 2 mm. Per ogni terreno sono state approntate tre repliche in cui sono stati semi-nati 20 cloni di Pisum sativum L.. Dopo il periodo di germinazione, della durata di tre giorni, e le indagini preliminari sull’accrescimento dell’apparato radicale dei sin-goli individui, le radichette dei cloni di Pisum sativum L. sono state omogeneizzate per l’estrazione dei nuclei che sono, in seguito, stati sottoposti ad elettroforesi su gel. I set di controllo sono stati allestiti su sabbia. L’analisi viene condotta sul materiale nucleare che in presenza di danni tende a migrare portando alla formazione della co-meta caratteristica, l’incremento della migrazione del DNA nel campo elettrico e as-sociata all’incremento dell’effetto genotossico. Mediante l’utilizzo di un microscopio ottico a fluorescenza vengono acquisite le immagini poi analizzate mediante il soft-ware “Comet score” che permette di valutare parametri morfologici della cometa di DNA come altezza e larghezza, da questi è possibile ottenere informazioni di tipo quantitativo sul danno presente (Fig. 2).

(a) Esempio di comete estratte dal campione controllo con il cadmio. (b) Esempio di Figura 2:

raggiere. Foto dal MO a fluorescenza.

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Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test

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Le analisi per la valutazione del quantitativo di metalli pesanti sono state efet-tuate mediante spettroscopia ad assorbimento atomico (AAS) con esclusione della fase di mineralizzazione allo scopo di quantiicare la frazione di metalli efettivamen-te disponibili per l’assorbimento da parte delle piante.

Risultati

Dalle analisi statistiche eseguite è stato veriicato che non esistono diferenze signiicative tra i campioni; a dimostrazione che la crescita dei cloni di Pisum sativum

L. non risulta inluenzata dalle possibili sostanze inquinanti presenti nel terreno. Os-servando la igura 3 non solo è possibile afermare che non vi è diferenza statistica tra i diversi campioni ma si nota che diversamente da quanto atteso sulle piastre con-tenenti i campioni di suolo sono germinati più semi rispetto al controllo su sabbia.

Le analisi statistiche condotte sulla lunghezza radicale non evidenziano dife-renze signiicative tra i diversi campioni che risultano, invece, meno sviluppati ri-spetto al controllo, a conferma della presenza di sostanze in grado di inibire la cresci-ta (Fig. 4).

Efettuando l’analisi statistica dei risultati elaborati dal software “Comet-score” si osserva (Fig. 5) che i campioni sono statisticamente diferenti dal controllo e tra di loro. Il controllo allestito su sabbia presenta un quantitativo di comete inferiore ri-spetto a tutti gli altri campioni. Il campione che presenta lunghezza maggiore a livel-lo delle code delle comete è quello allestito sul suolo prelevato dalla stazione 2, se-guono in ordine la 1 e la 4 che presentano medesima signiicatività. I danni causati nei piselli seminati su questi terreni risultano di intensità simile. Leggermente diver-sa dagli altri campioni è risultata la stazione 3 che presenta comete con code di di-mensioni molto inferiori rispetto a tutti gli altri campioni.

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Germinazione di cloni di Figura 3: Pisum sativum L.

Allungamento delle radichette di Figura 4: Pisum sativum L.

Lunghezza delle comete espressa in pixel.Figura 5:

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Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test

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Tramite AAS sono stati valutati i quantitativi di metalli biodisponibili, cioè quella frazione di metalli assimilabili dalle piante (Tab. I). Il Cd è l’elemento presen-te in quantità minore in tutte le stazioni; piombo e rame presentano valori elevati in tutti i campioni, questo risultato dimostra la presenza omogenea di entrambi questi elementi nel territorio. La stazione 4 è quella che presenta maggiori concentrazioni di tutti e quattro i metalli esaminati.

Concentrazione dei metalli pesanti biodisponibili nelle quattro stazioni esaminate.Tabella I:

Stazione 1 Stazione 2 Stazione 3 Stazione 4

Cu 2,12 mg kg –1 2,42 mg kg –1 3,88 mg kg –1 4,96 mg kg –1

Zn 1,38 mg kg –1 1,80 mg kg –1 1,56 mg kg –1 5,24 mg kg –1

Pb 3,52 mg kg –1 4,09 mg kg –1 5,61 mg kg –1 5,90 mg kg –1

Cd 0,11 mg kg –1 0,19 mg kg –1 0,23 mg kg –1 0,28 mg kg –1

Discussione

Esaminando i risultati ottenuti dalle diverse indagini è possibile apprezzare, che la germinazione dei cloni di Pisum sativum L., non risulta inluenzata negativa-mente dalla presenza nei terreni di eventuali sostanze ad azione tossica. È possibile escludere la presenza di sostanze che condizionino lo sviluppo dei cloni soprattutto perché diversamente da quanto atteso sono germinati più semi nei campioni di suo-lo rispetto al controllo, circostanza dovuta all’elevato carico di nutrienti che caratte-rizza le zone di campionamento situate nei pressi di coltivi e prati-pascolo. Lo studio dei risultati delle misure di allungamento radicale ha mostrato che le variazioni di lunghezza delle radici nei terreni campione rispetto a quelli di controllo mostrano diferenze statisticamente signiicative. La lunghezza delle radichette dei piselli è ri-sultata molto simile, invece, nei quattro campioni di suolo analizzati: le radici dei piselli seminati nel set di controllo sono cresciute di più rispetto alle radici dei cam-pioni di suolo. Da questo risultato si può concludere che vi è presenza di sostanze tossiche nei suoli campionati nel bacino del Sacco. Il test di genotossicità evidenzia la presenza di comete in misura diversa in tutti i campioni di suolo analizzati, per-tanto è possibile confermare la presenza di sostanze nocive che anche se non hanno inluenzato la germinazione hanno causato danni al DNA dei cloni di Pisum sativum L. Il campione che presenta lunghezza delle comete maggiore è quello della stazione 2, stazione posta a valle degli insediamenti industriali di Colleferro e dei fossi che

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drenano le discariche di riiuti tossici, che risulta essere la più compromessa. Seguo-no nell’ordine la stazione 1, la stazione 4 e la stazione 3.

La stazione 1 è situata a monte dei fossi di drenaggio dei relui tossici indu-striali e per questo presenta un inquinamento leggermente inferiore alla stazione 2, che raccoglie le acque provenienti dal plesso urbano ed industriale di Colleferro. La stazione 3, che presenta un grado di inquinamento dei suoli inferiore rispetto a tutte le altre, è situata lungo un tratto di iume che presenta caratteristiche di naturalità maggiori rispetto alle altre stazioni. Lungo questo tratto luviale, oltrepassato l’abita-to di Colleferro, infatti, il iume è costeggiato da una vegetazione di ripa ben conser-vata, gli insediamenti urbani ed industriali sono assenti ed i processi di diluizione delle acque e di iltraggio della vegetazione migliorano la qualità di suoli e sedimenti. Nei pressi della stazione 4 il corso luviale raggiunge nuovamente i poli industriali della cittadina di Anagni, e l’impatto dell’industria sui suoli torna a farsi evidente in termini di tossicità. Analizzando il quantitativo di metalli biodisponibili si nota in generale che piombo e rame risultano essere presenti in concentrazioni maggiori ri-spetto allo zinco e al cadmio; osservando inoltre la tabella I è possibile apprezzare la presenza di un gradiente di concentrazione crescente di queste sostanze dalla sorgen-te alla foce. La stazione 3 caratterizzata da un pH del suolo leggermente più basico (8,4 rispetto al 7,5 delle stazioni 1, 2, 4), pur presentando elevate concentrazioni di piombo, risente in maniera minore degli efetti tossici di questo elemento in quanto maggiormente chelato nella matrice. Lo stesso principio è alla base della minor di-sponibilità di piombo per quel che riguarda la stazione 4.

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Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test

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Premio Marchetti

Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio degli

inquinanti organici persistenti nelle acque

Using fish species for POP biomonitoring in waters

Silvia Quadroni1,2*, Roberta Bettinetti1, Fabrizio Capoccioni3,

Eleonora Ciccotti3 & Silvana Galassi2

1 Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria, Via Valleggio 11, 22100 Como

2 Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Milano, Via Celoria 26, 20133 Milano

3 Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Via della Ricerca Scientiica 1, 00133 Roma

* [email protected]

Abstract

Di recente l’anguilla europea (Anguilla anguilla) è stata proposta per il biomonitorag-gio della contaminazione da POP (Persistent Organic Pollutants) in sostituzione delle analisi dell’acqua previste dalla Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE).Pur condividendo la necessità di utilizzare organismi bioaccumulatori per il monito-raggio di sostanze altamente lipoile, nutriamo seri dubbi sulla scelta di questa specie come organismo sentinella universale per le acque interne.Sia dall’analisi dei dati di letteratura sia dai risultati dei livelli di DDT e di PCB determinati in una nostra recente indagine eseguita in tre diverse zone di pesca italiane (Fiume Tevere, Laguna di Caprolace e Laguna di Lesina) si è riscontrata una variabilità intra-sito molto elevata della contaminazione che potrebbe essere in parte dovuta alla variabilità delle caratteristiche morfometriche e isiologiche dell’animale: individui prelevati nei tre siti, pur avendo la stessa lunghezza, sono risultati di età molto diversa e con un contenuto lipidico in alcuni casi estremamente variabile anche nell’ambito della stessa classe di età. A diferenza di altre specie ittiche, l’età e quindi il tempo di esposizione alla contaminazione non sono risultati positivamente correlati alle concentrazioni di DDT e PCB nel tessuto muscolare. Si ritiene, quindi, che nonostante il fatto che l’anguilla sia un buon bioaccumulatore e che nessun’altra specie abbia un areale così ampio in Europa, la sua longevità e alcune

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sue caratteristiche biologiche ed ecologiche siano argomenti a sfavore del suo utilizzo a scopi normativi per il monitoraggio delle acque. A questi motivi si aggiunge la diicoltà di cattura di questo pesce, soprattutto nel caso dei laghi profondi. Poiché non è facile individuare in ambito europeo un’altra specie cosmopolita, per il biomonitoraggio si potrebbero utilizzare specie diverse ma ecologicamente equivalenti. Resta comunque importante continuare a monitorare la contaminazione delle anguille sia per la loro importanza commerciale sia perché i livelli di alcuni composti potrebbe-ro rappresentare uno dei fattori di rischio che minacciano l’estinzione di questa specie.

Introduzione

Con la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) è diventato obbligatorio per gli Stati Membri dell’Unione Europea il monitoraggio nei corpi idrici supericia-li di 33 sostanze pericolose deinite prioritarie, tra cui alcuni microinquinanti orga-nici persistenti (POP), al ine di assicurare l’integrità di questi ecosistemi acquatici e la salute dell’uomo che li utilizza. Tale monitoraggio deve essere eseguito direttamen-te mediante analisi chimiche della matrice acquosa, per cui sono già stati issati degli standard di qualità ambientale (EQS; Direttiva 2008/105/CE).

Per i composti più lipoili, come pesticidi clorurati e policlorodifenili (PCB), la Direttiva stessa (2008/105/CE) propone di efettuare analisi aggiuntive dei sedi-menti e degli organismi acquatici senza speciicarne però le linee guida e i relativi standard di qualità.

In efetti l’analisi di sostanze idrofobiche risulta complicata soprattutto quan-do le concentrazioni in acqua sono molto basse: occorrerebbe processare decine di litri d’acqua (Tran & Zeng, 1996) per riuscire a quantiicare i singoli contaminanti con le strumentazioni oggi a disposizione nei laboratori d’analisi. Inoltre se in un ambiente acquatico esiste una situazione di disequilibrio tra la contaminazione dei suoi diversi comparti potrebbe essere valutato in modo errato il rischio ecosistemico: ad esempio in un lago la concentrazione in acqua dei contaminanti lipoili varia no-tevolmente in dipendenza dell’abbondanza e della distribuzione delle comunità ito-planctoniche, che sono in grado di ab-adsorbire e bioconcentrare queste sostanze (Dachs et al., 2000; Söderstrom et al., 2000), e dei fenomeni idro-geologici che in-teressano tutto il suo bacino imbrifero. Questa variabilità spazio-temporale della contaminazione dell’acqua rende poco attendibile l’analisi di campioni puntiformi ed istantanei di questa matrice per la valutazione dell’esposizione degli organismi ac-quatici agli inquinanti più idrofobici.

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Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP

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Come suggerito dalla Direttiva 2008/105/CE, per superare queste diicoltà si dovrebbe sostituire il monitoraggio dell’acqua con quello di organismi acquatici bio-accumulatori, ossia specie indicatrici del livello di contaminazione dell’ambiente in cui vivono, in grado di evidenziare la frazione biodisponibile di inquinanti lipoili e di determinarne il destino lungo la catena troica (Cairns & van der Shalie, 1980). Infatti, oltre ad un vantaggio legato al metodo analitico, essi sono in grado di fornire un’informazione riguardante la minaccia che questi inquinanti rappresentano per loro stessi, per tutta la vita acquatica e, nel caso in cui facciano parte della dieta uma-na, anche per l’uomo.

Tutte le specie acquatiche possono essere considerate bioaccumulatori, ma gli organismi idonei per il biomonitoraggio devono:

essere tolleranti alla contaminazione e alle variazioni dei parametri chimico-isici •dell’ambiente in cui vivono;avere un’elevata capacità di accumulare un ampio range di sostanze presenti •nell’acqua;essere rappresentativi dello stato di salute dell’intero corpo idrico da cui proven-•gono;essere ubiquitari per permettere il loro utilizzo su un’ampia scala geograica;•essere facili da campionare in numero e biomassa adeguati;•avere isiologia, anatomia ed etologia note;•avere bassi costi di monitoraggio ed analisi;•appartenere ad un livello troico deinito;•avere un ciclo vitale pluriennale;•essere stanziali;•essere svincolati dal sedimento;•essere in grado di fornire misure attendibili e riproducibili se ripetute nell’ambito •di individui della stessa popolazione nel medesimo momento storico.

Per agevolare i confronti tra ambienti diversi la scelta di una sola specie indi-catrice sarebbe ideale; però individuare un’unica specie sentinella su scala europea che soddisi i requisiti è praticamente impossibile, innanzitutto perchè la maggior parte degli organismi possiede areali ristretti o comunque limitati dalla barriera im-posta dal clima mediterraneo (Griiths, 2006).

Negli ultimi decenni molte specie, appartenenti a diversi taxa animali e vege-tali, sono state utilizzate come indicatori dello stato di salute di diversi ecosistemi acquatici. Tra queste, quelle appartenenti al phylum Mollusca – classe Bivalvia sono state ampiamente adottate per confrontare la distribuzione spazio-temporale di con-

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taminanti sia organici che inorganici negli ambienti d’acqua dolce e salata (Goldberg et al., 1978; Hellou & Law, 2003). Questi organismi attraverso la respirazione e la iltrazione sono in grado di accumulare i contaminanti in essa presenti in continuo. Per il monitoraggio delle acque costiere marine solitamente vengono utilizzate diver-se specie appartenenti al genere Mytilus (de Kock, 1986), mentre nel caso delle ac-que interne viene usata Dreissena polymorpha (Galassi & Cassi, 2001). Questa specie è però caratteristica solo della zona bentonica litorale, mentre sono i pesci i migliori rappresentanti della zona pelagica lacustre, così come lo sono dei iumi. Il problema di questo taxon animale consiste nella diicoltà di trovare specie ubiquitarie anche all’interno dello stesso ecosistema: i iumi, ad esempio, presentano una zonazione per cui generalmente i salmonidi si trovano solo vicino alla sorgente mentre i ciprinidi nei pressi delle foci (Huet, 1949; Ferreira et al., 2007).

I dati di letteratura mostrano come ino ad ora anche considerando uno stesso Paese della Comunità Europea siano state diverse le specie ittiche utilizzate ai ini del biomonitoraggio (Binelli & Provini, 2003; Orban et al., 2006; Elia et al., 2007).

Recentemente Belpaire & Goemans (2007) hanno proposto lo stadio preri-produttivo dell’anguilla europea (Anguilla anguilla), in cui viene denominata gialla, come modello ideale per valutare lo stato chimico delle acque nel caso dei composti lipoili all’interno della Direttiva 2000/60/CE. Le ragioni avanzate sono le seguenti:

ha un ampio areale che arriva a coprire la maggior parte dei corpi d’acqua europei •e che permette di confrontare lo stato di salute di diversi ambienti e di formulare standard di qualità su ampia scala; è sedentaria;•possiede un’elevata capacità di accumulo di molte sostanze lipoile a causa del suo •alto contenuto lipidico e delle sue abitudini alimentari (specie carnivora e bento-nica), cosa che permette di registrare anche contaminanti non rilevabili in ac-qua;ha una taglia abbastanza grande da fornire suiciente materiale per le analisi; •è molto longeva; •è una specie eurialina e univoltina. •

Inoltre, secondo questi autori (Belpaire & Goemans, 2007), il monitoraggio su scala europea con questa specie consentirebbe di perseguire altri due obbiettivi ol-tre alla valutazione della qualità ambientale, ossia stimare il rischio sanitario derivan-te da questo pesce di enorme importanza commerciale e veriicare il grado di inqui-namento delle diverse sottopopolazioni di Anguilla anguilla in funzione dei piani di recupero internazionali di questa specie, dichiarata a rischio di estinzione.

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Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP

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Con questo lavoro, sulla base delle nostre osservazioni, abbiamo cercato di capire il valore dell’anguilla come “indicatore universale europeo”. A questo scopo, oltre ad aver analizzato i dati di letteratura, abbiamo determinato i livelli di DDT e PCB in anguille provenienti da tre diversi siti italiani (Fiume Tevere, Laguna di Caprolace e Laguna di Lesina).

Materiali e metodi

Area di studio e campionamento delle anguille

Gli esemplari di anguilla sono stati pescati mediante bertovelli in tre aree del-la penisola italiana aventi caratteristiche ecologiche e pressioni antropiche diferenti: il Fiume Tevere, la Laguna di Caprolace e la Laguna di Lesina (Fig. 1).

Nel caso del Fiume Tevere e della Laguna di Lesina il campionamento è avve-nuto nell’autunno 2007 (ottobre-dicembre), mentre per la Laguna di Caprolace è stato eseguito nell’inverno 2008 (febbraio-marzo).

N

Laguna di Lesina

Laguna di Caprolace

Fiume Tevere

km

0 500250

Area di Figura 1:

studio: Fiume Tevere,

Laguna di Caprolace e

Laguna di Lesina.

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Il Tevere (Fig. 1) è il terzo iume più lungo d’Italia (405 km), secondo per am-piezza del bacino idrograico (17.375 km2); nasce su una cima degli Appennini (Monte Fumaiolo, 1268 m s.l.m.), attraversa quattro regioni passando per la capitale e sfocia nel Mar Tirreno nella parte centrale della penisola (Lazio). A Roma presenta una portata media di 267 m3/s. Nel suo percorso sono presenti tre laghi artiiciali (Montedoglio, Corbara e Alviano) e parecchie dighe per la produzione di energia idroelettrica. Il suo bacino è ricco di aluenti e sub-aluenti tra cui i principali sono l’Aniene, il Nera e il Chiascio. Le anguille sottoposte ad analisi chimica (N = 24) sono state pescate nel basso corso di questo iume, nei 40 km che intercorrono tra la foce e la diga di Castel Giubileo, a monte di Roma, che costituisce un ostacolo alla migrazione delle anguille. In questo tratto vi è l’immissione dell’Aniene e la pesca avviene da maggio a novembre.

La Laguna di Caprolace (Fig. 1) è localizzata all’interno del Parco Nazionale del Circeo sulla costa tirrenica (Lazio), tra i laghi di Fogliano e di Sabaudia, con i quali costituisce il sistema dei laghi Pontini. Presenta un’area di 2,3 km2, una profon-dità media di 1,3 m e massima di 2,9 m. È collegata al Lago di Sabaudia e al mare tramite due canali artiiciali ed è dotata di sponde regolari e argini cementiicati. Pos-siede acque salmastre con una salinità pari a 33-44 ‰. La temperatura varia annual-mente tra 10 e 32 °C ed il periodo di pesca è compreso tra novembre e marzo. In questa stazione sono state catturate 23 anguille.

La Laguna di Lesina (Fig. 1), così come quella di Caprolace, è una zona umida mediterranea d’importanza comunitaria (S.I.C.). Essa è localizzata nella parte sud del Mar Adriatico (Puglia) con cui comunica attraverso due canali (Acquarotta e Schiap-paro), dotati di chiuse meccaniche per regolare gli scambi idrici. Gli apporti di acqua dolce sono garantiti da numerosi piccoli corsi d’acqua che drenano i terreni circo-stanti, destinati in gran parte a colture agricole di tipo intensivo. La sua salinità è pari a 10-27 ‰ e presenta un gradiente Est-Ovest. La temperatura varia annualmente da 5 a 30 °C. Lunga 22,2 km e larga mediamente 2,5 km, ha una supericie pari a 51,4 km2. La sua profondità media è pari a 0,7 m, quella massima è di 1,5 m. È un corpo d’acqua dove la pesca professionale dell’anguilla, che si svolge nel periodo compreso tra ottobre e marzo, è una tradizione e in cui l’acquacoltura si è sviluppata intensa-mente in anni recenti. Le anguille prese in esame in questo lavoro (N = 31) sono sta-te catturate in due diversi punti: centro laguna (N = 9) e canale di marea (N = 22).

Dopo essere stati sacriicati, tutti gli esemplari sono stati pesati e misurati ed è stata eseguita la determinazione dello stadio, del sesso attraverso ispezione viscerale e dell’età mediante lettura degli otoliti. In seguito sono stati conservati a –20 °C.

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Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP

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Determinazione di DDT e PCB nel tessuto muscolare delle anguille

Sono state individuate tre diverse classi di lunghezza: < 30 cm, 30-40 cm e > 40 cm. Gli individui provenienti dal Fiume Tevere e dalla Laguna di Lesina apparte-nenti alle prime due classi sono stati analizzati costituendo dei pool, mentre su quelli aventi una lunghezza maggiore di 40 cm e nel caso di tutte le anguille di Caprolace l’analisi è stata svolta singolarmente. Un sub-campione (0,5 g p.s.) di tessuto muscola-re lioilizzato (Freeze dryer Mod. 24, Edwards, USA) è stato estratto con una miscela acetone-n-esano (Carlo Erba per analisi dei residui) 1:1 in ditali in microibra di vetro (19 mm d.i. x 90 mm di lunghezza, Whatman, England) mediante l’utilizzo di un ap-parato Soxhlet modiicato (VELP SCIENTIFICA – ECO 6 thermoreactor). Dopo l’evaporazione del solvente è stata efettuata la determinazione gravimetrica dei lipidi. Questi sono stati poi risospesi in 2 mL di n-esano e digeriti con 5 mL di acido solforico (98 % Carlo Erba). I composti clorurati sono stati recuperati mediante lavaggi succes-sivi con n-esano. L’estratto esanico è stato concentrato a circa 2 mL e puriicato su Flo-risil (colonna 4 x 0,7 cm). 1 µL di ogni campione è stato introdotto mediante iniezione on-column in un gascromatografo (Carlo Erba TOP 8000) dotato di una colonna ca-pillare (WCOT, CP_Sil 8CB, Varian USA, 50 m x 0,25 mm, spessore del ilm 0,25 µm) e accoppiato ad un rivelatore a cattura di elettroni 63Ni (Carlo Erba ECD 80, hermoQuest Italia), riscaldato a 320 °C. È stato preparato uno standard di riferimen-to per DDT a partire da composti puri (Pestanal, Sigma-Aldrich, Germany) disciolti in iso-ottano (Carlo Erba per analisi dei residui) a una concentrazione di 10 µg/L; Aroclor 1260 (Alltech, IL, USA) con aggiunta dei congeneri 28, 52 e 118 è stato invece usato come standard di riferimento per la quantiicazione dei PCB. Sono stati estratti e ana-lizzati in triplo i materiali di riferimento BCR-598 e BCR-349 (olio di fegato di mer-luzzo, Community Bureau of Refe rence – BCR Brussels) rispettivamente per DDT e per PCB; la % di recupero del pp’-DDE è stata pari a 107,5 (± 4,0 %), del pp’-DDD 106,2 (± 4,0 %), del pp’-DDT 106,2 (± 3,0 %) e dei PCB tra 91,3 (± 1,1 %) e 102,2 (± 1,6 %). Il limite di rilevabilità è di 0,1-0,5 ng/g lipidi, a seconda del composto.

Analisi statistica

Per l’analisi statistica le concentrazioni sono state espresse come ng/g lipidi in quanto il quantitativo di grasso nel muscolo inluenza il bioaccumulo dei contami-nanti indagati. È stato eseguito il test di Grubbs (p < 0,05) per l’individuazione degli outlier ed in seguito una trasformazione logaritmica dei dati per ottenere una distri-

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buzione gaussiana. In seguito, utilizzando il software STATISTICA, sono state iden-

tificate eventuali correlazioni e sono stati applicati l’analisi della varianza (one-way

ANOVA; p < 0,05) e il test post hoc di Scheffè (p < 0,05) per confrontare i livelli di

contaminazione e i parametri morfo-fisiologici delle tre stazioni o il test t di Student

per variabili indipendenti per i confronti tra due sole classi di lunghezza all’interno

della stessa area di studio (Laguna di Lesina e Fiume Tevere).

Risultati

Per ogni esemplare di anguilla proveniente dal Fiume Tevere, dalla Laguna di

Caprolace e dalla Laguna di Lesina sono state determinate la lunghezza totale, il

peso, lo stadio, l’età e il sesso. Per ogni stazione è stato calcolato il valore medio e la

deviazione standard per ciascuno di questi parametri, eccetto lo stadio e il sesso, con-

siderando gli individui suddivisi nelle tre diverse classi di lunghezza (< 30 cm, 30-40

cm e > 40 cm) e poi nel loro insieme (Tab. I).

Caratteristiche morfometriche e fisiologiche delle anguille provenienti dal Fiume Tabella I:

Tevere, dalla Laguna di Caprolace e dalla Laguna di Lesina divise per tre classi di lunghezza e

nel totale (N = numero individui; LT = lunghezza totale media (ds); P = peso medio (ds); stadio:

G = gialle e A = argentine; età media (ds); sesso: I = indifferenziate; M = maschi; F = femmine).

N LT (cm) P (g) stadio età (anni) sesso

F. Tevere

< 30 cm 9 24,61 (2,72) 23,81 (9,05) 9G 4,33 (0,71) 8I-1M

30-40 cm 8 34,80 (3,40) 75,99 (26,17) 7G-1A 5,75 (1,39) 5I-3M

> 40 cm 7 45,43 (5,56) 170,99 (66,52) 7A 6,71 (1,70) 6M-1F

totale 24 34,08 (9,41) 84,13 (71,65) 16G-8A 5,50 (1,59) 13I-10M-1F

L. Caprolace

< 30 cm 7 26,11 (4,01) 26,91 (12,26) 7G 6,00 (1,63) 6I-1M

30-40 cm 8 35,68 (1,17) 65,71 (12,27) 8G 6,75 (1,16) 5M-3F

> 40 cm 8 50,24 (8,05) 202,24 (102,20) 6G-2A 8,38 (2,00) 8F

totale 23 37,83 (11,26) 101,39 (96,63) 21G-2A 7,09 (1,86) 6I-6M-11F

L. Lesina

< 30 cm 8 28,31 (1,41) 31,35 (3,13) 8G 3,00 (1,20) 8I

30-40 cm 13 34,94 (2,83) 65,14 (18,22) 13G 3,62 (0,65) 2I-11F

> 40 cm 10 58,83 (10,25) 399,24 (224,98) 6G-4A 6,00 (1,25) 10F

totale 31 40,94 (14,14) 164,19 (206,62) 27G-4A 4,23 (1,61) 10I-21F

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Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP

205

In tutte e tre le aree di studio la lunghezza è strettamente correlata al peso (r = 0,95; p < 0,05) ed è presente una correlazione positiva anche tra lunghezza ed età (r = 0,64-0,82; p < 0,05). Le anguille provenienti dalla Laguna di Caprolace risultano avere un’età maggiore rispetto a quelle del Fiume Tevere, che a loro volta sono più vecchie degli esemplari della Laguna di Lesina (p < 0,05).

Il Fiume Tevere è caratterizzato dalla maggior percentuale di argentine sul tota-le (33,33 %), le quali costituiscono tutto il gruppo di anguille più lunghe di 40 cm. Anche per quanto riguarda il sesso, questo ambiente contiene la maggior parte di an-guille indiferenziate, più della metà di tutti gli esemplari (54,17 %), a diferenza di Lesina (32,26 %) e Caprolace (26,09 %). È importante sottolineare che sono state im-propriamente considerate indiferenziate anche le anguille aventi l’organo di Syrski.

Il rapporto sessi (M:F) è diverso nelle tre stazioni: 10:1 nel caso delle anguille diferenziate del Tevere, 6:11 per quelle di Caprolace, mentre a Lesina sono tutte femmine.

Nella tabella II sono riportati il contenuto lipidico e le concentrazioni di PCB e DDT totali, espresse sul peso fresco, delle anguille provenienti dalle tre stazioni, di-vise per classi di lunghezza e sul totale. Nel caso degli individui aventi lunghezza in-feriore a 30 cm della Laguna di Lesina e del Fiume Tevere non è riportata la variabi-lità in quanto sono stati analizzati costituendo due pool di cui è stata fatta la media.

Considerando il totale degli individui solo le anguille di Lesina presentano una correlazione positiva tra contenuto lipidico e taglia (r = 0,72; p < 0,05) o età (r = 0,64; p < 0,05) ed è evidente come gli esemplari provenienti da Caprolace abbia-no una % lipidica molto più variabile e signiicativamente minore rispetto a quelli degli altri due siti (p < 0,05).

Inoltre la contaminazione non è correlata né alla taglia né all’età.Siccome è noto che nei pesci il contenuto di grassi è positivamente correlato

con le concentrazioni degli inquinanti idrofobici (Hebert & Keenleyside, 1995), per confrontare i livelli di contaminazione minimizzando le diferenze dovute alla diver-se condizioni isiologiche, le concentrazioni di PCB e DDT sono state espresse sui lipidi escludendo gli outlier (p < 0,05) dai calcoli successivi. Sono stati individuati un outlier a Lesina e uno nel Tevere entro la classe di lunghezza > 40 cm, che si manten-gono anche considerando il totale degli individui.

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Contenuto lipidico medio (ds) e concentrazioni medie di PCB e DDT totali (ds) delle Tabella II:

anguille provenienti dal Fiume Tevere, dalla Laguna di Caprolace e dalla Laguna di Lesina divise

per tre classi di lunghezza e nel totale.

% lipidi (pf ) PCB tot (ng/g p.f.) DDT tot (ng/g p.f.)

F. Tevere

< 30 cm 10,86 1453,67 315,66

30-40 cm 20,80 (7,58) 277,30 (81,85) 266,50 (240,78)

> 40 cm 24,13 (7,32) 258,78 (146,44) 152,38 (145,18)

totale 21,05 (7,99) 436,10 (676,02) 216,46 (202,33)

L. Caprolace

< 30 cm 5,51 (4,62) 10,53 (4,58) 21,58 (16,41)

30-40 cm 9,56 (7,66) 38,32 (51,72) 23,54 (11,35)

> 40 cm 6,30 (6,83) 21,56 (22,75) 13,46 (6,08)

totale 7,19 (6,52) 24,03 (34,00) 19,44 (12,11)

L. Lesina

< 30 cm 11,62 6,18 43,37

30-40 cm 10,61 (4,11) 8,18 (3,19) 128,72 (89,99)

> 40 cm 18,10 (5,13) 7,63 (3,24) 101,45 (81,98)

totale 15,42 (5,67) 7,59 (3,02) 101,01 (79,44)

Poiché non sono state osservate differenze nella capacità di accumulo dei

composti organoclorurati tra maschi e femmine aventi la stessa taglia e la stessa età in

altre specie ittiche (Volta et al., 2009), si è proceduto al confronto dei tre gruppi.

Nell’ambito dello stesso sito è emersa una differente contaminazione tra le an-

guille provenienti da Lesina di lunghezza compresa tra 30 e 40 cm e quelle più lun-

ghe di 40 cm, che presentano una minore concentrazione di PCB totali; mentre gli

altri due ambienti sono più omogenei.

Per quanto riguarda il confronto tra i tre ambienti di studio non si riscontrano

differenze nelle concentrazioni di DDT totali. Nel caso dei PCB totali, se si conside-

rano singolarmente le classi di lunghezza 30-40 cm e > 40 cm le concentrazioni sono

meno elevate nelle anguille di Lesina rispetto che in quelle degli altri due siti

(p < 0,05); se invece si considerano tutti gli individui emerge anche una differenza di

contaminazione tra gli esemplari del Tevere e quelli di Caprolace, meno inquinati

(p < 0,05). Esiste una correlazione positiva tra la contaminazione da DDT e quella da

PCB in tutte e tre le stazioni (r = 0,74-0,93; p < 0,05).

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Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP

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Discussione

Come è già stato osservato in studi precedenti (van der Oost et al., 1996; Tu-lonen & Vuorinen, 1996; Buet et al., 2006) l’anguilla europea presenta un’elevata variabilità nei livelli di contaminazione all’interno dello stesso ambiente di studio, anche in seguito all’eliminazione degli outlier, in particolar modo nel caso dei DDT totali (Fig. 2). Tale variabilità può essere giustiicata solo in parte dalle caratteristiche morfometriche e isiologiche degli esemplari campionati. Le anguille provenienti da Caprolace ad esempio presentano un contenuto lipidico estremamente variabile che potrebbe dipendere dal diverso periodo di campionamento rispetto alle altre due sta-zioni: in inverno le risorse alimentari sono meno abbondanti e il metabolismo degli animali è più lento.

A diferenza di altri pesci (Schindler et al., 1995; Harding et al., 1997; Volta et al., 2009) né la taglia né l’età risultano essere correlate alla contaminazione. Il tem-po di esposizione agli inquinanti non sembra quindi essere il fattore principale che governa il bioaccumulo nell’anguilla. Anche il sesso sembra non inluire dato che nelle classi costituite solo da femmine più lunghe di 40 cm provenienti dalle lagune di Lesina e Caprolace permane una variabilità elevata così come in quella del Tevere dove sono tutti maschi eccetto un esemplare femminile o in quella di Caprolace costi tuita per la maggior parte da individui indiferenziati più corti di 30 cm (Tab. I e II). Lo stesso accade considerando esclusivamente le anguille gialle (Fig. 2), come proposto da Belpaire & Goemans (2007): nemmeno i cambiamenti morfo-isiologi-ci e comportamentali che potrebbero determinare nelle argentine una variazione del-la contaminazione nel muscolo rispetto allo stadio precedente sembrano essere la spiegazione alla variabilità osservata.

Confronto tra i Figura 2:

livelli di contaminazione

da PCB e DDT totali,

espressi sul contenuto

lipidico, di tutte le

anguille (T) e solo delle

anguille gialle (G)

provenienti dal Fiume

Tevere, dalla Laguna di

Caprolace e dalla Laguna

di Lesina.

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Silvia Quadroni et al.

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La giustiicazione più plausibile è da ricondurre alle abitudini alimentari e all’etologia di questo pesce. Il fatto che sia una specie opportunista, bentonica e se-dentaria (Michel & Oberdorf, 1995; van der Oost et al., 1996) determina un’enor-me variabilità della contaminazione anche in un areale relativamente ristretto. Alla luce di questo anche l’elevata longevità che la caratterizza (Vøllestad, 1992) non è da considerarsi un fattore favorevole al suo utilizzo come specie indicatrice dell’inquina-mento di un intero ecosistema: individui appartenenti alla stessa sottopopolazione e aventi taglie simili potrebbero presentare infatti un carico di inquinanti molto diver-so per efetto della loro stanzialità che potrebbe determinare l’esposizione di alcuni di essi a sorgenti puntiformi di contaminazione. Del resto la varianza dei valori di con-taminazione all’interno di individui appartenenti alla stessa classe d’età e provenienti dalla medesima località supera di molto la media, indicando che la distribuzione dei valori non è casuale.

Al contrario di Anguilla anguilla, altre specie ittiche predatrici ma non bento-niche registrano una minore variabilità nella contaminazione. Ad esempio la trota (Salmo trutta) presenta all’interno di uno stesso ecosistema un range di concentrazio-ni di DDT e PCB molto meno ampio rispetto all’anguilla e una minore variabilità del valore medio (Bordajandi et al., 2003).

In ogni caso, la scelta di pesci appartenenti ai livelli troici più alti come specie indicatrici non sarebbe da consigliare dato il ridotto numero di specie di predatori terminali che popolano le acque dolci e la maggiore diicoltà di cattura rispetto ai pesci planctofagi.

Ainché una specie ittica possa essere utilizzata a scopi normativi a livello di tutta l’Unione Europea dovrebbe poter permettere la formulazione di procedure standard per il campionamento e per l’analisi che siano applicabili da tutti gli Stati Membri. Dovrebbe quindi essere facile da campionare con i metodi convenzionali, pesca con tremagli o elettrostorditori, in tutti i corpi d’acqua e dovrebbe consentire il reperimento di un numero di individui adeguato nell’ambito di un ristretto inter-vallo di taglia per la costituzione di pool che siano il più possibile rappresentativi del-la popolazione da cui provengono.

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Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP

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Conclusioni

Per il recepimento e l’attuazione della Direttiva Quadro sulle Acque si rende

necessario l’utilizzo di organismi bioaccumulatori per il monitoraggio dei composti

più lipofili, come DDT e PCB, nei corpi idrici europei perché per adottare standard

di qualità realmente protettivi nei confronti sia della vita acquatica che della salute

umana (Bettinetti et al., 2005) si renderebbero necessarie metodologie analitiche

molto costose e poco affidabili.

Si pone quindi l’urgenza di selezionare specie indicatrici da ricercare nei diver-

si ambienti acquatici europei in funzione della loro “equivalenza ecologica”, dal mo-

mento che l’unica specie ubiquitaria sinora individuata, Anguilla anguilla, si dimo-

stra poco adatta per essere utilizzata come specie sentinella.

A suo sfavore giocano soprattutto la difficoltà di cattura nei laghi profondi, la

longevità e la variabilità di accrescimento e differenziazione in funzione delle condi-

zioni ambientali, la frequentazione di ambienti bentonici profondi più soggetti ad

accumuli puntiformi di inquinanti rispetto alla zona pelagica, fattori che possono

determinare un’estrema variabilità della contaminazione all’interno della stessa sotto-

popolazione. Infine, l’anguilla non sembra essere particolarmente tollerante alla con-

taminazione dato che l’inquinamento è una tra le cause più probabili che sono state

avanzate per giustificare il suo declino (Robinet & Feunteun, 2002). Riteniamo che

sia comunque necessario continuare a monitorare lo stato della contaminazione di

questa specie di notevole importanza ecologica e commerciale al fine della sua salva-

guardia e di quella dell’uomo che la consuma.

Ringraziamenti

Questo studio è stato finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca

Scientifica “Un Approccio Integrato alla Conservazione e Gestione dell’Anguilla Eu-

ropea in Area Mediterranea” nel 2006.

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Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (Triticum aestivum L.)

in un’area mineraria ed industriale del Kosovo

Heavy metal contamination in soil and wheat (Triticum aestivum L.) in a mining

and industrial area of Kosovo

Sara Rossi*, Giuseppe Protano & Francesco Riccobono

Unità di Ricerca di Geochimica Ambientale, Dipartimento di Scienze Ambientali ”G. Sarfatti”, Università degli Studi di Siena, via Laterina 8, 53100 Siena

*[email protected]

Abstract

La valutazione e la quantiicazione della mobilità/disponibilità degli elementi chimici nel suolo e del loro ingresso nella biosfera sono aspetti ambientali di rilievo soprattutto in aree caratterizzate da una contaminazione dell’ambiente di supericie da parte di attività antropiche. In questa ottica si pone la presente ricerca che è incentrata sullo studio della distribuzione e del comportamento nel suolo di elementi pesanti quali: As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn, e del loro trasferimento alla specie vegetale edibile Triticum aestivum L., in un’area mineraria ed industriale del Kosovo settentrionale.I dati analitici indicano una difusa e talora intensa contaminazione del suolo da parte degli elementi pesanti legati all’attività mineraria, che si estende sui suoli ad uso agricolo ino ad una distanza di 10 km dal polo industriale. In base al fattore di arricchimento, i principali contaminanti nel suolo sono nell’ordine: Cd (ino a 24 mg/kg), Pb (ino a 770 mg/kg), Zn (ino a 1431 mg/kg) e Sb (ino a 14 mg/kg). Gli elementi pesanti hanno evidenziato diferenti pattern di ripartizione nelle principali frazioni del suolo (solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale) e Cd e Zn sono risultati gli elementi più mobili.Contenuti elevati di Pb (ino a 241 mg/kg), Zn (ino a 707 mg/kg) e Cd (ino a 10 mg/kg) sono stati misurati negli apparati radicali di esemplari di T. aestivum prelevati nelle vicinanze del polo minerario-industriale. Nelle cariossidi gli stessi elementi pesan-ti hanno concentrazioni sensibilmente inferiori rispetto a quanto registrato nelle radici (da 1 a 3 ordini di grandezza per Pb, Zn, Cd), evidenziando un’elevata capacità di questa specie vegetale nel bloccare i suddetti elementi a livello radicale. Va sottolineato comunque che le concentrazioni di Cd e Pb nelle cariossidi sono di frequente superiori al limite indicato dalla Comunità Europea per i cereali destinati al consumo umano (Pb = 0,2 mg/kg, Cd = 0,1 mg/kg).

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Sara Rossi et al.

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Introduzione

La contaminazione da elementi pesanti del suolo, connessa con le attività di impianti industriali, rappresenta un problema ambientale a scala mondiale soprat-tutto in zone in cui sono presenti coltivazioni agricole. Ciò è dovuto al fatto che gli elementi pesanti accumulati nel suolo possono entrare nella rete troica attraverso l’assorbimento da parte di organismi vegetali ed animali.

Una tale problematica ambientale caratterizza l’area di Kosovska Mitrovica, situata nel Kosovo settentrionale, nel cui territorio ricade uno dei principali centri minerari d’Europa ed uno dei più importanti poli industriali dell’ex Jugoslavia. Studi recenti (Riccobono et al., 2004; Borgna et al., 2009) hanno rilevato una difusa con-taminazione da elementi pesanti (principalmente Pb, Zn, Cd ed Sb) nei suoli di que-sta regione, in gran parte destinati ad un uso agricolo.

In considerazione di ciò, nell’area di K. Mitrovica è stata condotta una ricerca incentrata sullo studio dell’abbondanza, distribuzione e comportamento nel suolo di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn, e del loro trasferimento al grano (Triticum aestivum L.) coltivato in questa zona. I principali obiettivi dello studio sono riconducibili a: i) deinizione del livello e dello sviluppo areale della contaminazione da As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nel suolo; ii) ricostruzione del frazionamento chimico di questi elementi pesanti nel suolo; iii) determinazione del loro grado di assorbimento radi-cale da parte del grano e valutazione delle relazioni con l’ aliquota biodisponibile nel suolo; iv) determinazione delle concentrazioni degli elementi pesanti nelle cariossidi del grano e quantiicazione della loro traslocazione.

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Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.)

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Area di studio

L’area di studio è localizzata nel Kosovo settentrionale, nei pressi della città di Kosovska Mitrovica (Fig. 1). In questa zona nel corso del XX secolo è sorto di uno dei più importanti poli industriali dell’ex Jugoslavia, incentrato principalmente sullo smelter di Zvecan e sulla fabbrica di batterie “Trepca”.

L’area di studio con ubicazione dei siti di campionamento.Figura 1:

L’area di studio coincide con la piana alluvionale del F. Sitnica che si estende a sud dell’abitato di K. Mitrovica a partire dal sito industriale “Trepca” (Fig. 1). La ricerca è stata focalizzata in questa zona poiché la piana del F. Sitnica è: i) interessata da attività agricola con estese coltivazioni di grano; ii) posizionata a ridosso delle principali sorgenti di contaminazione; iii) caratterizzata da un substrato litologico uniforme costituito da sedimenti alluvionali.

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Sara Rossi et al.

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Materiali e metodi

Il prelievo dei campioni di suolo (primi 20 cm) e di Triticum aestivum L. è stato efettuato nella piana del F. Sitnica, lungo un transetto di circa 15 km, con di-rezione SE. Lungo questo transetto sono stati individuati 10 siti di campionamento posti a distanza variabile (da 0,8 a 14 km) dalla fabbrica “Trepca” (Fig. 1 e Tab. I).

In laboratorio, i campioni di suolo sono stati essiccati a +40 °C e setacciati al vaglio di 2 mm. Il passante è stato omogeneizzato attraverso il metodo della quarta-tura ed un’aliquota di circa 100 g è stata polverizzata.

Lo studio del frazionamento chimico ha riguardato le frazioni solubile, estrai-bile, riducibile, ossidabile e residuale del suolo, condotto utilizzando una procedura di estrazione selettiva sequenziale a 5 step, basata su quella deinita dal Bureau Com-

munity of Reference (Quevauviller et al., 1993) con l’aggiunta della frazione solubile in acqua e di quella residuale. La presenza di cloro nel reagente utilizzato per l’estra-zione della frazione riducibile non ha reso possibile la ricostruzione del frazionamen-to dell’As.

Per il dosaggio del contenuto totale di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn, i cam-pioni di suolo (0,25 g in peso) sono stati solubilizzati mediante attacco acido (2 mL HNO3 + 2 mL HF + 1 mL H2O2).

Il prelievo di T. aestivum ha riguardato 5-7 esemplari per sito, al massimo del-la maturazione. Ogni esemplare, separato in radici e spighe, è stato lavato in bagno ad ultrasuoni, essiccato e polverizzato. Circa 0,5 g in peso sono stati mineralizzati utilizzando una miscela di HNO3 e H2O2 (6:1, v/v).

Le determinazioni analitiche sono state eseguite in spettrometria di massa ac-coppiata al plasma induttivo (ICP-MS) utilizzando lo spettrometro Perkin Elmer ELAN 6100.

Risultati e discussione

Contenuto totale e distribuzione degli elementi pesanti nel suolo

Nel commento dei risultati, i contenuti totali di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn nei suoli in studio (Tab. I) sono stati confrontati con dati prodotti da Riccobono et al. (2004) che deiniscono l’intervallo di variabilità naturale di questi elementi pe-santi nel suolo a scala locale (fondo geochimico; Tab. II). Inoltre, per questi elemen-

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Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.)

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ti è stato calcolato il fattore di arricchimento (FA) quale indice del livello di contami-nazione (FA = rapporto tra il contenuto totale dell’elemento nel suolo ed il valore massimo del suo intervallo di variabilità naturale).

Contenuto totale di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, Sb, U, Zn nei campioni di suolo prelevati a Tabella I:

distanza variabile dalla fabbrica di batterie “Trepca” (dati in mg/kg).

Campione Distanza

(km)

As Cd Co Cu Pb Sb U Zn

K 3/SL 1,1 68,3 7,83 21,4 73,9 769,6 10,19 2,26 1302,0

K 4/SL 0,9 58,7 7,09 20,9 62,1 571,9 7,88 2,45 1079,7

K 5/SL 0,8 64,8 24,32 23,5 73,8 683,7 9,72 2,37 1431,4

K 6/SL 0,9 104,9 4,62 22,2 50,2 335,2 14,43 5,02 321,5

K 7/SL 1,4 35,9 5,06 18,5 87,0 392,4 7,07 2,02 791,9

K 8/SL 3,7 55,4 3,91 21,1 54,1 386,3 6,45 2,49 583,8

K 9/SL 5,0 63,0 3,48 14,1 51,7 549,8 5,18 2,84 516,7

K 10/SL 7,8 21,1 1,10 15,4 38,5 202,3 2,71 2,75 172,9

K 11/SL 12,0 18,0 0,42 16,8 26,7 90,3 1,64 2,64 93,4

K 12/SL 14,1 19,5 0,43 18,0 38,1 105,3 2,18 2,08 87,0

Minimo 18,0 0,42 14,1 26,7 90,3 1,64 2,02 87,0

Massimo 104,9 24,32 22,2 87,0 769,6 14,43 5,02 1431,4

Valori del fondo geochimico locale di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, Sb, U, Zn (dati in mg/kg, Tabella II:

Riccobono et al., 2004).

As Cd Co Cu Pb Sb U Zn

Fondo geochimico

locale (n = 32)

Min 16,4 0,11 17,1 16,4 50,3 1,03 1,97 93,3

Max 29,5 0,73 29,2 42,5 122,9 3,24 3,36 204,7

Media 23,5 0,47 23,2 29,8 82,3 2,38 2,45 150,0

Nei suoli in studio le concentrazioni di Pb (90-770 mg/kg) e Zn (87-1431 mg/kg) diminuiscono allontanandosi dal polo industriale “Trepca”. I contenuti più elevati di Pb (da 572 a 770 mg/kg) e Zn (da 1080 a 1431 mg/kg) sono stati misurati nei suo-li prelevati in prossimità (tra 800 e 1100 m) della fabbrica di batterie (Fig. 2). Questi suoli risultano pesantemente contaminanti da Pb e Zn con FA compresi tra 4,6 e 7. La contaminazione da tali elementi interessa un ampio tratto della piana alluvionale del F. Sitnica dato che i loro contenuti rientrano nell’intervallo di variabilità naturale nel suolo oltre 10 km dal limite meridionale dell’area industriale di K. Mitrovica.

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Variazione della concentrazione totale di Pb, Zn, Cd, Sb, Cu, As nel suolo in funzione Figura 2:

della distanza dal polo industriale “Trepca”.

Un tipo di distribuzione simile a quello descritto per Pb e Zn è stato riscon-trato anche per le concentrazioni nel suolo di Cd, Sb, As e Cu. Signiicativo è l’arric-chimento in Cd dei suoli più vicini alla fabbrica “Trepca” con contenuti tra 7,1 e 24,3 mg/kg e valori di FA da 9,7 a 33,3. La contaminazione da As, Cu, Sb del suolo è risultata meno marcata (FA tra 1,2 a 4,5 nei suoli prossimi al sito industriale) e ha uno sviluppo areale più circoscritto (ino a circa 5 km dal polo industriale).

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Diversamente, Co e U hanno contenuti piuttosto uniformi nei campioni di suolo (2,02-2,84 mg/kg U; 14,1-23,5 mg/kg Co), che rientrano all’interno del loro intervallo di variabilità naturale a scala locale (Tab. I e II). Questo aspetto è in linea con il fatto che la presenza di Co e U non è legata al minerario ed ai processi indu-striali; la loro abbondanza nel suolo dipende principalmente dalla natura della roccia madre e dei processi pedogenetici.

Frazionamento chimico degli elementi pesanti nel suolo

Di seguito sono illustrati i risultati relativi alla ripartizione di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nelle seguenti frazioni del suolo: solubile in acqua (Fsol), estraibile (Fest), riducibile (Frid), ossidabile (Foss) e residuale (Fres).

Nei suoli in studio il Pb è associato prevalentemente alla Frid con una presenza media pari al 79 % del suo contenuto totale (Fig. 3). Seguono nell’ordine la Foss (10 %) e la Fres (8 %). Minore è l’aliquota dell’elemento nelle frazioni più mobili del suolo (3 % nella Fest e 0,05 % nella Fsol). Questo tipo di distribuzione è in accordo con i risultati di ricerche efettuate su suoli in aree minerarie ed industriali, che han-no evidenziato come gli ossidrossidi di Fe e Mn sono importanti scavenger di questo elemento (Wong et al., 2002; Burt et al., 2003).

Lo Zn è presente principalmente nella Frid (31 %) e nella Fres (28 %; Fig. 3). Importanti contenuti dell’elemento si trovano anche nella Fest (24 %) e nella Foss (17 %). Il Cd è associato in larga parte alla Fest (43 %) ed alla Frid (34 %); seguono la Fres e la Foss (15 % e 8 %, Fig. 3). Questi pattern di ripartizione di Zn e Cd sono ana-loghi a quelli riscontrati in suoli prelevati sia in aree non contaminate che in siti in-teressati da attività di smelting (Sanchez et al., 1999; Kabala & Singh, 2001; Li & hornton, 2001; Burt et al., 2003; Kaasalainen & Yli-Halla, 2003).

Il Cu è ripartito in misura maggior nella Fres (46 %), seguita dalla Foss e dalla Frid (27 % e 23 %; Fig. 3). Aliquote di Cu più basse riguardano la Fest (3 %) e la Fsol (0,2 %,). Questo tipo di ripartizione rispecchia l’usuale frazionamento dell’elemento nel sistema suolo (Kabala & Singh, 2001; Burt et al., 2003; Kaasalainen & Yli-Halla, 2003).

Nei suoli in studio, Sb è fondamentalmente presente nella Fres (95 % in me-dia). Nelle altre frazioni la presenza percentuale media dell’elemento è risultata la se-guente: 2,9 % nella Frid, 1,2 % nella Fest, 1 % nella Foss e 0,3 % nella Fsol (Fig. 3).

L’U ha evidenziato un tipo di ripartizione nel suolo simile a quello di Sb con Fres (80,4 %) >> Foss (14 %) > Frid (5,2 %). >> Fest (0,3 %) > Fsol (0,04 %). Il Co si tro-va preferenzialmente nella Frid (55 %) ed a seguire in quella residuale (23 %; Fig. 3).

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Frazionamento chimico di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nei suoli dell’area di studio.Figura 3:

Contenuto degli elementi pesanti nelle radici di T. aestivum

Le concentrazioni di As, Cd, Pb, Sb e Zn nelle radici di T. aestivum indicano che vi è un generale arricchimento di questi elementi pesanti negli apparati radicali degli esemplari cresciuti nelle vicinanze della fabbrica “Trepca” (Tab. III). Allonta-nandosi dal polo industriale i contenuti di questi elementi nelle radici diminuiscono, in linea con il trend di variazione dei loro contenuti totali nel suolo, attestandosi su valori bassi ed uniformi ad una distanza oltre 10 km dall’impianto industriale.

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Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.)

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Per Cu, Co ed U non è stata rilevata nessuna signiicativa variazione delle con-centrazioni negli apparati radicali in funzione dell’ubicazione del sito di campiona-mento rispetto al polo industriale.

Concentrazione e deviazione standard di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nelle radici e Tabella III:

nelle cariossidi degli esemplari di T. aestivum (5-7 esemplari per sito) prelevati nell’area di

studio (dati in mg/kg).

K3/PN K4/PN K5/PN K6/PN K7/PN K8/PN K/PN9 K10/PN K11/PN K12/PN

AsRadici 14,41± 4,01 8,64± 2,19 5,11± 1,04 5,60± 1,16 3,32± 0,60 8,71± 1,60 7,86± 1,25 6,15± 0,77 2,59± 0,36 1,81± 0,25

Cariossidi 0,04± 0,01 0,06± 0,01 0,08± 0,02 0,05± 0,01 0,05± 0,01 0,04± 0,01 0,11± 0,02 0,03± 0,01 0,03± 0,01 0,02± 0,01

CdRadici 8,77± 2,18 3,81± 0,98 10,27± 1,88 0,71± 0,13 1,43± 0,22 1,37± 0,24 2,68± 0,36 0,57± 0,08 0,38± 0,04 0,42± 0,05

Cariossidi 0,29± 0,07 0,17± 0,04 0,16± 0,03 0,23± 0,04 0,21± 0,03 0,17± 0,03 0,17± 0,02 0,04± 0,01 0,03± 0,00 0,04± 0,01

CoRadici 6,47± 1,31 3,96± 0,73 2,57± 0,46 4,21± 0,69 2,26± 0,37 4,85± 0,72 2,01± 0,25 5,57± 0,61 3,81± 0,39 2,33± 0,17

Cariossidi 0,021± 0,004 0,041± 0,008 0,026± 0,005 0,025± 0,004 0,023± 0,004 0,040± 0,006 0,023± 0,003 0,019± 0,002 0,028± 0,003 0,03± 0,002

CuRadici 29,88± 7,56 17,60± 3,73 15,87± 3,59 10,13± 1,89 13,82± 2,10 12,38± 1,73 21,18± 2,33 20,28± 1,68 11,47± 0,92 10,32± 0,89

Cariossidi 6,63± 1,68 6,71± 1,42 5,42± 1,23 5,10± 0,95 6,01± 0,91 8,11± 1,13 5,15± 0,57 4,98± 0,41 5,48± 0,44 7,16± 0,62

PbRadici 241,11± 43,16 129,53± 23,96 73,47± 11,90 69,91± 8,60 73,34± 11,22 98,21± 14,63 83,71± 10,80 77,09± 8,63 18,12± 2,25 17,08± 1,42

Cariossidi 0,17± 0,03 0,22± 0,04 0,28± 0,05 0,21± 0,03 0,21± 0,03 0,43± 0,06 0,17± 0,02 0,10± 0,01 0,10± 0,01 0,13± 0,01

ZnRadici 0,23± 0,05 0,47± 0,11 0,16± 0,03 0,09± 0,02 0,11± 0,02 0,05± 0,01 0,26± 0,04 0,06± 0,01 0,03± 0,01 0,13± 0,02

Cariossidi 0,007± 0,001 0,007± 0,002 0,009± 0,002 0,008± 0,001 0,008± 0,002 0,006± 0,001 0,007± 0,001 0,003± 0,001 <0,001 <0,001

URadici 0,249± 0,071 0,186± 0,048 0,125± 0,03 0,135± 0,025 0,175± 0,036 0,193± 0,041 0,196± 0,036 0,524± 0,065 0,28± 0,04 0,145± 0,01

Cariossidi 0,005± 0,001 0,008± 0,002 0,005± 0,001 0,004± 0,001 0,006± 0,001 0,007± 0,001 0,006± 0,001 0,005± 0,001 0,006± 0,001 0,005± 0,001

SbRadici 707,89± 107,60 356,24± 54,86 364,10± 50,25 75,20± 10,68 143,50± 14,64 152,06± 17,34 164,35± 17,75 117,02± 10,88 54,93± 5,49 58,44± 5,67

Cariossidi 59,24± 9,00 37,56± 5,78 42,68± 5,89 51,22± 7,27 41,00± 4,18 59,66± 6,80 37,92± 4,09 36,96± 3,44 35,35± 3,54 34,75± 3,37

Relazione tra il frazionamento chimico degli elementi pesanti nel suolo ed

il loro assorbimento radicale da parte di T. aestivum

Per deinire le relazioni esistenti tra le concentrazioni nelle radici di T. aesti-

vum di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn ed il loro contenuto totale e concentrazione nelle frazioni più mobili del suolo (frazioni solubile ed estraibile) è stato utilizzato il coef-iciente di correlazione lineare di Pearson (r).

I valori di questo coeiciente (Tab. IV) indicano che vi sono correlazioni sta-tisticamente signiicative e di segno positivo tra le concentrazioni di Cd, Pb e Zn negli apparati radicali e la presenza di questi elementi nelle frazioni solubile ed estrai-bile, nonché il loro contenuto totale nel suolo (Tab. IV). Da ciò consegue che l’assor-bimento radicale di Cd, Pb e Zn da parte del grano è inluenzato e regolato dal livel-lo di contaminazione del suolo.

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Coeiciente di correlazione lineare di Pearson (r) tra le concentrazioni di Cd, Co, Cu, Tabella IV:

Pb, Sb, U e Zn nelle radici di grano ed il loro contenuto totale nel suolo, nella frazione solubile

ed in quella estraibile (*p < 0,05; ** p < 0,01; *** p < 0,001).

Cd Co Cu Pb Sb U Zn

F. Solubile 0,896** –0,29 0,123 0,776** 0,683** 0,640* 0,783***

F. Estraibile 0,902*** –0,17 0,11 0,854*** 0,528 0,637* 0,808***

Totale 0,883*** 0,048 –0,38 0,859*** 0,476 –0,28 0,837***

Contenuto degli elementi pesanti nelle cariossidi e loro livello

di traslocazione

Le concentrazioni degli elementi pesanti nelle cariossidi del grano sono infe-riori, da 1 a 3 ordini di grandezza, rispetto ai loro contenuti nelle radici (Tab. III). Nelle parti eduli le concentrazioni di As, Co, Cu, Pb, Sb, Zn e U sono omogenee e non variano in funzione della distanza degli esemplari di T. aestivum rispetto alle sor-genti di contaminazione. Solo per il Cd sono state misurate concentrazioni signiica-tivamente più elevate nelle cariossidi del grano raccolto nelle vicinanze della fabbrica “Trepca” (ino a 5 km di distanza).

Il fattore di traslocazione degli elementi pesanti (FT = contenuto nelle carios-sidi / contenuto nelle radici) è risultato sempre inferiore a 1, indicando che il T. aesti-

vum è in grado di bloccare a livello radicale le specie chimiche potenzialmente peri-colose per la isiologia della pianta stessa. Gli elementi maggiormente traslocati sono Cu, Zn e Cd (FT tra 0,2 e 0,7 per Cu; tra 0,08 e 0,6 per Zn; tra 0,02 e 0,3 per Cd), mentre il Pb è bloccato quasi totalmente nelle radici (FT < 0,008).

Va inine sottolineato che, nella maggior parte delle cariossidi campionate en-tro 8 km dal polo industriale “Trepca”, i contenuti di Cd e Pb sono leggermente su-periori ai limiti proposti dalla Comunità Europea (Regolamento (CE) N. 466/2001 della Commissione dell’8 marzo 2001) per i cereali destinati al consumo umano (Pb = 0,2 mg/kg, Cd = 0,1 mg/kg).

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Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.)

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Conclusioni

Sulla base dei dati analitici prodotti nel presente studio è possibile fare le se-guenti considerazioni:

L’area di studio è interessata da una difusa e talora marcata contaminazione dei •suoli da parte di elementi pesanti legati all’attività mineraria ed industriale.I principali contaminanti del suolo sono Cd, Pb, Sb e Zn, ed il livello e l’estensio-•ne della contaminazione dipendono essenzialmente dalla distanza dal complesso minerario-industriale di K. Mitrovica di cui la fabbrica “Trepca” rappresenta la porzione più meridionale.Gli elementi pesanti hanno evidenziato diferenti • pattern di ripartizione nelle fra-zioni del suolo: i) Pb e Co sono associati principalmente alla frazione riducibile; ii) Cd è presente preferenzialmente nella frazione estraibile; iii) Zn e Cu sono equamente distribuiti nelle frazioni residuale, riducibile, ossidabile ed estraibile; iv) Sb e U sono concentrati nella frazione residuale.In base alla presenza nella frazione biodisponibile (solubile + estraibile), il cadmio •e lo zinco sono risultati gli elementi più mobili.Le concentrazioni di Cd, Pb e Zn nelle radici del grano diminuiscono all’aumen-•tare della distanza dal polo industriale e sono correlate positivamente con le loro concentrazioni nelle frazioni mobili del suolo.Nelle cariossidi i contenuti degli elementi pesanti sono sempre inferiori rispetto a •quelli nelle radici e non variano con la distanza dal polo industriale.Il fattore di traslocazione è risultato sempre inferiore ad 1, con i valori più bassi •per il Pb.Nella maggior parte delle cariossidi le concentrazioni di Cd e Pb sono poco supe-•riori ai limiti proposti dalla Comunità Europea per i cereali destinati al consumo umano.

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Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica

di Pietramelina

Environmental impact assessment for Pietramelina dump:

biological control systems

Giuliana Taramella, Elisabetta Ciccarelli*, Linda Cingolani &

Tisza Lancioni

Laboratorio ARPA Umbria, Via Pievaiola, San Sisto Perugia *[email protected]

Abstract

Nel seguente lavoro è presentata l’indagine di biomonitoraggio, efettuata nell’area della discarica RSU di Pietramelina, nel Comune di Perugia, al ine di valutare l’impatto dell’impianto sulle comunità acquatiche del T. Mussino. Gli indicatori biologici, scelti per rilevare le eventuali alterazioni degli ambienti luviali oggetto di studio, sono i macroinvertebrati bentonici (IBE) e tre diversi organismi acquatici, in uso per i test ecotossicologici: l’alga verde Selenastrum capricornutum, il crostaceo di acqua dolce Daphnia magna e il batterio bioluminescente Vibrio ischeri. Inoltre, durante i campionamenti, sono stati rilevati gli indicatori visuali di inquinamento. I dati ottenuti mediante il saggio con S. capricornutum hanno evidenziato una tossicità di tipo cronico dovuta al carico inquinante proveniente dalla discarica attraverso il fosso Covile. Tali dati hanno permesso, inoltre, di esprimere una valutazione positiva sull’impiego di questo saggio per controlli routinari. Di contro, si è potuto osservare che i saggi di tossicità acuta con D. magna e V. ischeri, applicati nell’ambito di control-li programmati, non riescono a rilevare l’impatto della discarica sugli organismi acquatici; tali test, quindi, risultano più adatti ad indagini condotte in situazioni di emergenza. L’applicazione dell’IBE ha evidenziato una soferenza cronica delle comunità bentoniche nella stazione a valle della discarica sul T. Mussino. I macroin-vertebrati sono risultati, in efetti, dei buoni indicatori da utilizzare per la valutazione dell’impatto delle discariche sugli ecosistemi acquatici.

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Giuliana Taramella et al.

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Introduzione

Le discariche di riiuti solidi urbani (RSU) sono percepite sempre di più come importanti fonti di rischio per il territorio in cui insistono e i residenti, organizzati in comitati, sono diventati importanti interlocutori degli organi di controllo che attua-no i piani di monitoraggio di tali siti.

Spesso i programmi di controllo routinari, basati su normative, non soddisfa-no le richieste dei cittadini poiché comportano la produzione di una notevole mole di dati chimico-isici di diicile gestione ed interpretazione, anche per esperti, e di problematica divulgazione. Inoltre, la popolazione, oramai, non si accontenta di una valutazione basata prevalentemente sul superamento dei limiti di legge, ma esige in-dagini sempre più mirate alla salvaguardia della vita acquatica, considerando gli or-ganismi viventi le vere sentinelle dell’immissione di sostanze tossiche nell’ambiente. Questo è quanto si è veriicato per la discarica di Pietramelina, nel Comune di Peru-gia. Questa area viene monitorata dal 1999 con frequenza semestrale, secondo un protocollo basato sul controllo delle acque sotterranee (parametri chimici e test eco-tossicologici su 2 pozzi spia) e delle acque supericiali (parametri chimici, bentonici e microbiologici su 2 stazioni posizionate sul iume Mussino, a monte e a valle della discarica). Sul iume Mussino è stata, inoltre, posizionata una centralina per il rileva-mento di alcuni parametri chimici in continuo. Poiché la popolazione si dichiarava non soddisfatta dei controlli efettuati, ARPA Umbria ha deciso di attuare un’indagi-ne speciica, atta a valutare l’impatto della discarica sulle comunità acquatiche del torrente Mussino.

Materiali e metodi

Area in esame

Mediante sopralluoghi congiunti con rappresentanti del Comitato e della Cir-coscrizione sono stati individuati e concordati i punti di campionamento rappresen-tativi per l’esecuzione delle indagini biologiche ritenute particolarmente signiicative, al ine di:

valutare l’impatto di eventuali sversamenti di percolato veicolati dalla discarica di •Pietramelina sul Torrente Mussino;

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Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica di Pietramelina

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controllare il Fosso Covile che prende origine dall’interno della discarica e si im-•mette nel Torrente Mussino.

Stazioni di controllo

Sono state individuate tre stazioni di prelievo schematizzate in igura 1: Staz. 1 – F.sso Covile prima della conluenza con il T. Mussino

Staz. 2 – T. Mussino a monte dell’immissione del F.sso Covile

Staz. 3 – T. Mussino a valle dell’immissione del F.sso Covile.

Schematizzazione dell’area in esame, delle stazioni di prelievo e dei parametri Figura 1:

rilevati.

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Giuliana Taramella et al.

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Metodologie di indagine

Gli indicatori biologici scelti per controllare le possibili alterazioni degli ambien ti luviali sono: i macroinvertebrati bentonici (Indice Biotico Esteso – IBE Metodo 9010 APAT IRSA CNR, 2003) e tre diversi organismi acquatici per i test ecotossicologici.

Le popolazioni bentoniche, caratterizzate da una permanenza stabile nei tratti luviali e da una diferenziata sensibilità agli inquinanti, risultano particolarmente adatte ad evidenziare direttamente sul campo gli efetti negativi causati dall’immis-sione di sostanze nocive nell’ambiente acquatico (Ghetti, 1997).

Le comunità soggette a fenomeni di stress risultano più povere in numero di specie e di individui.

Il confronto tra la comunità osservata a monte dell’immissione del Fosso Covi-le e quella registrata a valle permette, quindi, di evidenziare eventuali danni provocati dalla discarica all’ecosistema del Torrente Mussino (Cingolani & Ciccarelli, 1996)

Per l’allestimento dei test ecotossicologici è stata utilizzata una batteria di or-ganismi appartenenti a diversi gruppi tassonomici, con diverse caratteristiche troi-che e una diversa sensibilità agli inquinanti:

l’alga verde • Selenastrum capricornutum (EPA1003.0 2002)il crostaceo di acqua dolce • Daphnia magna (Metodo 8020 APAT CNR IRSA 2003) il batterio bioluminescente • Vibrio ischeri (Metodo 8030 APAT CNR IRSA 2003) (Microbics, 1989).

Durante i campionamenti si è proceduto al rilevamento di indicatori visuali di inquinamento (Metodo 9010 APATCNR IRSA2003) quali: riiuti solidi urbani, schiume, colorazioni particolari, materiale organico in decomposizione, fenomeni di anaerobiosi.

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Risultati

Test Ecotossicologici

I campioni di acqua e la frazione solubile in acqua dei sedimenti esaminati non hanno evidenziato efetti di tossicità acuta per V. ischeri, non essendo mai stato rilevato un decremento signiicativo della luce naturalmente emessa dal batterio. Il decremento della luminosità è risultato, infatti, sempre inferiore al 20 %, valore limi-te al di sotto del quale i campioni sono considerati non tossici (Tab. I).

Dati dei test ecotossicologici eseguiti sulle acque e sui sedimenti del fosso Covile- Tabella I:

Staz.1 (aprile – novembre 2004).

apr-04 mag-04 mag-04 giu-04 lug-04 ott-04

Acqua supericiale

D. magna % imm. 24 h 0 0 0 0 0 0

D. magna % imm. 48 h 0 0 0 20 0 0

V. ischeri % decr. lum. 5’ < 0 < 0 < 0 < 0 < 0 < 0

V. ischeri % decr. lum. 15’ < 0 < 0 < 0 < 0 < 0 < 0

V. ischeri % decr. lum. 30’ < 0 < 0 < 0 < 0 < 0 5,4

S. capricornutum I % 72 h < 0 63,7 71,0 34,2 24,7 54,4

Elutriato sedimento

D. magna % imm. 24 h 0 0 0 0 0 0

D. magna % imm. 48 h 0 0 0 0 0 0

V. ischeri % decr. lum. 5’ < 0 < 0 < 0 3,1 1,9 3,0

V. ischeri % decr. lum. 15’ < 0 < 0 < 0 4,2 4,1 2,7

V. ischeri % decr. lum. 30’ < 0 < 0 < 0 6,9 4,9 13,8

S. capricornutum I % 72 h < 0 38,0 22,2 19,7 < 0 64,5

La quasi totalità dei campioni (83,3 %) di acqua supericiale ha provocato, al contrario, una stimolazione della bioluminescenza (valori < 0 Tab. I). Tale fenome-no, di ormesi, viene interpretato da alcuni autori come una reazione dell’organismo a fattori di interferenza legati ad una eccessiva disponibilità di nutrienti (Amendola et al., 2006).

Anche per il crostaceo D. magna i test di tossicità acuta a 24 h, eseguiti sulle due diverse matrici prelevate, hanno dato esito negativo. Il prolungamento del tempo

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Giuliana Taramella et al.

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di esposizione a 48 h ha permesso di rilevare un modesto efetto inibente in un solo campione di acqua prelevato sul Fosso Covile nel mese di giugno 2004 (Tab. I).

Durante il periodo di monitoraggio i test di tossicità cronica a breve termine eseguiti con S. capricornutum, al contrario, sono risultati positivi nel 67 % dei cam-pioni prelevati sul Fosso Covile. Nei campioni esaminati in maggio e ottobre 2004, subito dopo abbondanti piogge, sono stati registrati i valori di tossicità più elevati (Tab. I).

In particolare, sono stati riscontrati efetti di tossicità più elevati e con mag-gior frequenza nei campioni di acqua supericiale (83,3 %) piuttosto che negli estrat-ti acquosi dei sedimenti (50,0 %) (Tab. I). Il fenomeno può essere spiegato con la presenza di inquinanti facilmente solubili che non si adsorbono stabilmente alle par-ticelle solide dei sedimenti.

Macroinvertebrati

Per quanto riguarda l’analisi delle comunità bentoniche rilevate nel Torrente Mussino da aprile a novembre 2004 e da giugno ad aprile 2009 (Fig. 2), si osserva, per 11 dei 18 campioni prelevati a valle della discarica, una diminuzione dell’Indice Biotico Esteso (IBE) rispetto alla stazione a monte; per 6 di tali campioni lo scadi-mento dell’IBE determina anche un peggioramento della classe di qualità.

Andamento dei valori IBE riscontrati nella stazione sul T. Mussino (da 2004 a 2009).Figura 2:

I dati ottenuti dal rilevamento bentonico tendono a confermare l’immissione nel torrente Mussino di basse concentrazioni di inquinanti, derivanti dal drenaggio dell’area della discarica e capaci di produrre efetti cronici sulle comunità acquatiche.

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Questo non esclude la possibilità di sporadici sversamenti di percolato molto più consistenti (soprattutto nei periodi di pioggia).

Complessivamente il torrente Mussino risulta caratterizzato da una buona ca-pacità autodepurativa, dato che la qualità della stazione a valle mantiene comunque buoni valori (la maggior parte dei valori IBE ottenuti si collocano in I-II classe) (Fig. 2) e non di rado sono riscontrati taxa indicatori di una buona qualità delle acque, quali Plecotteri, Efemerotteri e Tricotteri (Isoperla, Protonemura, Leuctra, Ephemera,

Ecdyonurus, Rhyachophyla), anche se la loro presenza non è sempre costante oppure le popolazioni sono costituite da un minor numero di individui.

Indicatori visuali

Durante i sopralluoghi è stata osservata la presenza, per tutto il periodo di in-dagine, di abbondanti riiuti solidi urbani provenienti dal dilavamento della discari-ca ed accumulati nel punto di conluenza del Covile nel Mussino. I riiuti accumula-ti, oltre a costituire un impatto visivo sgradevole, potrebbero contribuire al rilascio di sostanze indesiderabili nell’ambiente acquatico.

Saltuariamente il letto del torrente Mussino nella stazione a valle è risultato tappezzato da alghe ilamentose e l’acqua del fosso Covile si è presentata torbida, co-lorata e con abbondanti schiume. Non sono stati rilevati organismi ilamentosi del tipo Sphaerotylus sp. caratteristici di ambienti in cui si veriicano sversamenti di per-colato.

Discussione

Dall’analisi dei dati nel loro complesso si può concludere che:il saggio cronico a breve termine con • S. capricornutum è riuscito ad evidenziare efetti negativi anche durante il monitoraggio concordato, risultando molto più sensibile al modesto carico inquinante rilasciato nel fosso Covile evidentemente in maniera quasi continua. Il test risulta pertanto adatto anche per controlli rou-tinari;i saggi di tossicità acuta programmati per controlli routinari non riescono a rile-•vare l’impatto della discarica sulle acque del fosso Covile. Solo quando si riesce a prelevare un campione durante un consistente sversamento di percolato, gli efet-ti di tossicità acuta diventano facilmente rilevabili. Ciò dimostra come i test acu-

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ti su D. magna e V. ischeri siano più adatti a situazioni di emergenza piuttosto che a monitoraggi programmati, durante i quali è più diicile captare uno scarico saltuario;i macroinvertebrati sono risultati dei buoni indicatori da utilizzare per la valuta-•zione dell’impatto delle discariche sugli ecosistemi acquatici; l’impoverimento delle comunità bentoniche a valle del fosso Covile, rispetto a quelle rilevate a monte, denuncia una soferenza cronica degli ecosistemi acquatici del torrente Mussino; il fenomeno è confermato dalla marcata tossicità rilevata dai test algali nelle acque e nei sedimenti del fosso e dall’abbondanza di riiuti solidi urbani tra-scinati dal lusso del Covile ino alla conluenza col Mussino.

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Biorimediazione e

fi torimediazione

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Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni della metallofita Biscutella

laevigata ssp. laevigata

Metallophyte Biscutella laevigata ssp. laevigata population characterization

by ecogenomic

Filip Pošćić1, Maurizio Martinuzzi1, Guido Fellet1,

Valentino Casolo2, Massimo Vischi1 & Luca Marchiol1*

1 Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Udine, Via delle Scienze 208, 33100 Udine

2 Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante, Sezione di Biologia Vegetale, Università degli Studi di Udine, Via delle Scienze 91/93, 33100 Udine

*[email protected]

Abstract

Questo lavoro presenta uno studio sulla metallo-tolleranza e sulla struttura genetica di popolazioni della metalloita Biscutella laevigata ssp. laevigata, eseguito utilizzando gli strumenti dell’ecogenomica. Tale approccio risulta piuttosto utile in indagini sulla metallo-tolleranza indotta da fattori antropici in piante. Sono state caratterizzate le seguenti tre popolazioni di B. laevigata ssp. laevigata presenti in Friuli Venezia Giulia (N-E Italia): (i) Codroipo, (ii) Monte Avanza e (iii) Cave del Predil. Su campioni di piante e suolo rizosferico sono stati determinati il contenuto totale di Cd, Cr, Cu, Fe, Ni, Pb, Tl e Zn. La struttura genetica delle rispettive popolazioni è stata caratteriz-zata mediante marcatori molecolari AFLP e quindi attraverso la tecnica del DNA Barcoding utilizzando i loci ITS e trnH-psbA. La popolazione Cave del Predil è risultata nettamente separata nel fenogramma UPGMA e con diversità genetica tra le popolazioni più alta. In individui di questa popolazione è stata rilevata la più elevata concentrazione di Tl (32.661 mg kg-1) sino ad ora registrata nelle piante superiori. I dati delle analisi AFLP e sulla concentrazione dei metalli nei tessuti vegetali supporta-no l’ipotesi di una diferenziazione della popolazione Cave del Predil rispetto alle altre.

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Filip Pošćić et al.

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Introduzione

Le piante iperaccumulatrici appartengono ad una vasta gamma di gruppi tas-sonomici e aree geograiche, con una grande variabilità morfologica, isiologica ed ecologica (Pollard et al., 2002). L’adattamento delle piante ai suoli metalliferi è eser-citato dai fattori genetici e fenotipici, dai livelli di contaminazione e dalle specie me-talliche presenti nel suolo. Anche l’accumulo dei metalli nei tessuti vegetali è dovuto ad un’interazione genotipo × ambiente (Pollard et al., 2002) e per questo motivo è importante studiare sia le basi ecologiche che genetiche di questo fenomeno.

Biscutella laevigata L. (Brassicaceae) è una emicriptoita scaposa con autoin-compatibilità sporoitica (Olowokudejo & Heywood, 1984). La sottospecie laevigata è un autotetraploide (2n = 4x = 36) di origini multiple che coinvolgono la sottospe-cie austriaca e la B. prealpina (Tremetsberger et al., 2002); la specie è nota come pseudometalloita e iperaccumulatrice di Tl (Leblanc et al., 1999).

La dispersione pollinica avviene grazie a specie generaliste dell’ordine Dip-tera e Lepidoptera, mentre la dispersione dei semi avviene passivamente per gravità e vento.

Lo scopo di questo studio è stato quello di avviare un’analisi preliminare sulla struttura genetica di diferenti popolazioni di B. laevigata ssp. laevigata presenti in Friuli Venezia Giulia e di caratterizzare le popolazioni dal punto di vista ecologico. Lo studio della diversità genetica tra e nelle popolazioni è stato condotto mediante i marcatori molecolari AFLP (Zabeau, 1993). È stato inoltre utilizzato l’approccio del DNA barcoding (Hollingsworth, 2008).

Materiali e metodi

Nelle seguenti località del Friuli Venezia Giulia (Italia) sono stati raccolti indi-vidui di Biscutella laevigata ssp. laevigata e i corrispondenti campioni di suolo rizo-sferico nel proilo 0-20 cm: Codroipo (43 m s.l.m., 45° 67’ 00” N, 12° 67’ 00” E), 17 individui, Monte Avanza (1.750 m s.l.m., 46° 37’ 17” N, 12° 45’ 15’’E), 18 indi-vidui e Cave del Predil (901 m s.l.m., 46° 26’ 26” N, 13° 34’ 16” E), 24 individui. Presso il Monte Avanza e Cave del Predil nel passato sono state condotte rilevanti at-tività minerarie.

Dopo essicazione all’aria i campioni di suolo sono stati setacciati a 2 mm; suc-cessivamente sono stati misurati il pH e la conduttività elettrica (EC) misurata in mS

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Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni

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cm-1 a 25 °C. Le piante sono state accuratamente pulite, sciacquate in acqua distilla-ta e divise in frazione ipogea ed epigea.

I suoli e i campioni vegetali sono stati successivamente trattati secondo i me-todi EPA 3051 (USEPA, 1995a) e EPA 3052 (USEPA, 1995b) rispettivamente, per la determinazione del contenuto totale di Cd, Cr, Cu, Fe, Ni, Pb, Tl e Zn tramite ICP-OES (Varian Inc., Vista MPX).

Il DNA genomico è stato estratto secondo il protocollo di Doyle & Doyle (1990). Alcune estrazioni non sono andate a buon ine e dunque i corrispondenti campioni non sono stati considerati nelle successive analisi. L’analisi AFLP è stata eseguita secondo il protocollo di Zabeau (1993) e Vos et al. (1995) utilizzando come enzimi di restrizione PstI e MseI. L’ampliicazione selettiva è stata eseguita con due combinazioni di primer a tre basi selettive (Pst55-Mse47 e Pst55-Mse62). Il primer Pst55 è stato marcato con il luorocromo FAM per l’analisi dei tracciati, analizzati mediante il software Gene Mapper 3.0TM (Applied Biosystem).

Dall’analisi dei marcatori AFLP, assunti come dominanti, si sono calcolati di-versi indici genetici di variabilità in accordo al modello Bayesiano proposto da Zhi-votovsky (1999) e assumendo l’equilibrio Hardy-Weinberg. Tutte le analisi statisti-che sulla variabilità e diversità genetica sono state eseguite tramite i software GenAlEx v6.2 (Peakall & Smouse, 2006) e Popgen32 v1.32 (Yeh et al., 1997). Il fenogramma UPGMA, in base alla distanza dell’ancestore comune (Reynolds et al., 1983), è stato ricavato mediante il software TFPGA v1.3 (Miller, 1997). L’analisi delle Coordinate Principali (PCoA) è stata eseguita tramite il software GenAlEx v6.2. Per l’analisi del Barcoding sono stati analizzati due loci: ITS e trnH-psbA (Kress et al., 2005). Gli elettroferogrammi sono stati trasferiti nel sistema Unix dove con Phred v0.020425.c, e Phrap v0.990319, si è provveduto rispettivamente alla chiamata delle basi (base cal-

ling) e all’assemblaggio (Ewing & Green, 1998; Ewing et al., 1998). I risultati sono stati visualizzati ed editati con Consed v9.0 (Gordon et al., 1998).

Risultati

I valori di pH e EC osservati nei suoli delle tre stazioni non presentano ano-malie (Tab. I). Al contrario, come atteso, i campioni di suolo raccolti su suoli metal-liferi, raccolti presso le aree minerarie, presentano concentrazioni anomale di Cd, Cu, Pb, Tl e Zn (Tab. I). Le concentrazioni di Cr, Fe e Ni, ugualmente rilevate dalle analisi, sono risultate al di sotto dei valori soglia imposti dal D.Lgs 152/06 e pertan-

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Filip Pošćić et al.

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to tali valori non sono riportati. I campioni di suolo raccolti a Monte Avanza hanno valori elevati per il Cu (ino a 7.902 mg kg -1); mentre in campioni di suolo raccolti presso Cave del Predil sono stati rilevati ino a 59.950 mg kg -1, 9.158 mg kg -1 e 66.563 mg kg -1 rispettivamente di Pb, Tl e Zn.

Analisi pedologica dei tre siti. Sono riportati i limiti del D.lgs. 152/06 per le concentra-Tabella I:

zioni dei metalli nei suoli residenziali e industriali.

Parametri pH EC

(mS cm-1)

Cd

(mg kg-1)

Cu

(mg kg-1)

Pb

(mg kg-1)

Tl

(mg kg-1)

Zn

(mg kg-1)

Codroipo 7,78 0,55 0,89 20,7 47,6 n.d. 82,9

Mt. Avanza 7,68 0,26 1,54 – 8,61 102 – 7.902 74 –6.372 n.d. – 1,30 80,7 – 1.336

Cave del Predil 8,0 0,42 0,88 – 23,5 1,27 – 90,6 448 – 59.950 150 – 4.549 837 – 66.563

D. lgs. 152/06 (a) 2 120 100 1 150

D. lgs. 152/06 (b) 15 600 1.000 10 1.500

(a) uso residenziale; (b) uso industriale

In igura 1 è riportata la relazione fra la concentrazione dei metalli nel terreno dei suoli metalliferi raccolti a Monte Avanza e a Cave del Predil e le concentrazioni nei tessuti epigei di B. laevigata ssp. laevigata raccolte negli stessi siti. Le linee tratteg-giate rappresentano i valori di soglia dell’iperaccumulazione proposti da Baker & Brooks (1989) per Cd (100 mg kg-1), Pb (1.000 mg kg-1) e Zn (10.000 mg kg-1) e da LaCoste et al. (1999) per Tl (500 mg kg-1). Come atteso, B. laevigata ssp. laevigata risponde positivamente a concentrazioni crescenti di ciascun metallo nel substrato; ciò risulta particolarmente evidente per il Cu (Fig. 1). Il risultato più rilevante ri-guarda il Tl, per il quale è stata confermata l’iperaccumulazione di B. laevigata ssp. laevigata. I valori di concentrazione di Tl osservati nei tessuti epigei dei campioni raccolti a Cave del Predil sono compresi fra 48,2 e 32.661 mg kg-1. Nella maggior parte degli individui (18 su 24) è stata superata la soglia di iperaccumulazione di 500 mg kg-1 (LaCoste et al., 1999).

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Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni

239

Relazione fra la concentrazione dei metalli nel terreno dei suoli metalliferi raccolti a Figura 1:

Monte Avanza e a Cave del Predil e le concentrazioni nei tessuti epigei di B. laevigata ssp.

laevigata raccolte negli stessi siti. Le linee tratteggiate rappresentano i valori di soglia dell’ipe-

raccumulazione (Baker & Brooks, 1989; LaCoste et al., 1999).

I risultati delle osservazioni relative all’analisi della variabilità e della diversità genetica sono riportatati nelle tabelle II e III. Il valore di HE (eterozigosità attesa; Nei, 1987) della popolazione di Cave del Predil è il più basso e diferisce chiara-mente da quello di Codroipo ma è simile a quello di Monte Avanza. Il valore di GST (porzione di diferenziazione genetica tra le popolazioni; Nei, 1973) della popolazio-ne di Cave del Predil è diferente dalle altre due. In ogni caso i valori di GST trovati per B. laevigata ssp. laevigata sono minori del range tipico per le specie allogame a impollinazione animale (GST = 0,20 ± 0,19, Hamrick & Godt, 1989).

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Filip Pošćić et al.

240

Variabilità genetica nelle popolazioni (media ± errore standard). NTabella II: A (numero

osservato di alleli), NE (numero efettivo di alleli, Kimura & Crow, 1964), I (indice informativo di

Shannon, Chalmers et al., 1992), HE (eterozigosità attesa; Nei, 1987) e UHE (eterozigosità attesa

unbiased; Nei, 1978).

Popolazioni Indivi-

dui

Numero di loci

AFLP polimorici

NA NE I HE UHE

Codroipo 17 38 (77,55 %) 1,735 ± 0,076 1,622 ± 0,054 0,487 ± 0,039 0,340 ± 0,028 0,350 ± 0,029

Cave del

Predil

14 30 (61,22 %) 1,551 ± 0,088 1,494 ± 0,061 0,385 ± 0,045 0,269 ± 0,032 0,279 ± 0,033

Monte

Avanza

11 33 (67,35 %) 1,673 ± 0,068 1,543 ± 0,059 0,423 ± 0,044 0,295 ± 0,031 0,309 ± 0,032

Tutte 42 43 (87,76 %)

media:

68,71 % ± 4,76 %

1,653 ± 0,045 1,553 ± 0,034 0,431 ± 0,025 0,301 ± 0,018 0,313 ± 0,018

Comparazione della struttura genetica tra le tre popolazioni (media ± errore Tabella III:

standard). HT (diversità genetica totale), HS (diversità genica media nelle popolazioni) e GST

(porzione di diferenziazione genetica tra le popolazioni) (Nei, 1973).

Popolazioni HT HS GST

Codroipo vs. Monte Avanza 0,339 ± 0,005 0,318 ± 0,005 0,064

Codroipo vs. Cave del Predil 0,333 ± 0,004 0,304 ± 0,004 0,087

Monte Avanza vs. Cave del Predil 0,312 ± 0,005 0,282 ± 0,005 0,095

Pool genico totale 0,337 ± 0,005 0,301 ± 0,004 0,106

La PCoA (Fig. 2), le cui prime tre coordinate principali spiegano il 61,04 % della variabilità totale degli AFLP, distingue chiaramente la popolazione campionata a Cave del Predil. Le popolazioni di Codroipo e Monte Avanza formano un’unica nuvola di punti indistinta. Nel fenogramma UPGMA si formano due rami con alto valore di bootstrap dove uno comprende la sola popolazione di Cave del Predil men-tre l’altro le due rimanenti (Fig. 3).

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Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni

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Analisi delle Coor-Figura 2:

dinate Principali dei campioni

di B. laevigata ssp. laevigata

raccolti. I campioni sono ripor-

tati in base alle prime tre

coordinate principali (PCo) che

assieme spiegano il 61,04 %

della variabilità totale.

Fenogramma UPGMA delle tre popolazioni di Figura 3: B. laevigata ssp. laevigata basato sulla

distanza del ancestore comune (Reynolds et al., 1983). Sugli assi è riportato il valore di

bootstrap (10.000 permutazioni eseguite).

L’analisi di sequenze di ITS (di circa 700 bp) ha presentato bassa variabilità nelle singole popolazioni e nessuna tra le popolazioni. Al contrario nel locus trnH-

psbA (di circa 300 bp) si nota chiaramente uno SNP in posizione 293 popolazione speciico (C in Cave del Predil e G in tutte le altre popolazioni).

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Filip Pošćić et al.

242

Discussione

I risultati di questa indagine confermano la grande capacità di adattamento di B. laevigata ssp. laevigata a condizioni ecologiche molto diferenti, consistenti nel nostro caso in un vasto range di concentrazioni di metalli pesanti nel suolo. I risulta-ti sono stati confrontati con dati di letteratura (Tab. IV). Il risultato più interessante è la concentrazione di Tl (32.661 mg kg-1) rilevata nei tessuti epigei di un individuo appartenente alla popolazione di Cave del Predil; ad oggi ciò corrisponde al più ele-vato valore di concentrazione di questo elemento mai rilevato in letteratura. Un nuo-vo dato riportato in questo lavoro è riferito all’accumulo di Cu in B. laevigata. Nella tabella IV questa informazione non è comparabile con altri lavori perché non riscon-trata in letteratura.

Concentrazioni di Cd, Pb, Tl e Zn riscontrate in campioni di Tabella IV: Biscutella laevigata da

studi ecologici e dal presente lavoro. Se non speciicato, i dati si riferiscono alla pianta in toto.

Ubicazione Indi vidui Cd

(mg kg-1)

Cu

(mg kg-1)

Pb

(mg kg-1)

Tl

(mg kg-1)

Zn

(mg kg-1)

Les Aviniéres, Francia (1) 34 – – – 20 – 15199 –

Les Aviniéres, Francia (1) (foglie) 3 – – – 244 – 308 –

Toscana, Italia (1) 15 – – – < 1 – 2 –

Gailitz, Austria (2) (foglie) 2 – – – 295 – 495 –

Boleslaw, Polonia (3)

(frazione epigea)5 – – – 0,21 –

Arnoldstein, Austria (4)

(frazione epigea)1 78,3 – 1090 – 4870

Mt. Prinzera, Italia (5) 5 – – – – 53

Mt. Avanza, Italia (6)

(frazione epigea)18 n.r. (†) – 0,61 11,5 – 785 7,21 – 541 n.r. – 78,1 n.r. – 221

Cave del Predil, Italia (6)

(frazione epigea)24 n.r. – 4,75 n.r. – 19,9 9,33 – 8774 48,2 –32661 226 – 3669

(1) Anderson et at., (1999); (2) Leblanc et al., 1999; (3) Wierzbicka et al., 2004; (4) Wenzel & Jockwer, 1999; (5) Lombini et al., 1998; (6) questo lavoro; (†) non rilevato.

Per approfondire meglio le diferenze di popolazioni che crescono su suoli me-talliferi e quelle che crescono su suoli non metalliferi abbiamo preso in esame tre po-polazioni, due da suoli metalliferi (Cave del Predil e Monte Avanza) e una da suolo non metallifero (Codroipo) e analizzate tramite AFLP e Barcoding. I nostri risultati sono in accordo con Rafaelli & Baldoin (1997) i quali indicano che B. laevigata ssp. laevigata ha la più grande plasticità morfologica ed ecologica all’interno del genere.

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Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni

243

I valori osservati di HE e GST potrebbero indicare un tipo di pressione selet-tiva esercitata dalla condizione ecologica con alto contenuto di metalli presenti nel suolo.

Tutti i dati (ecologici, AFLP e Barcoding) supportano l’ipotesi di una diferen-ziazione della popolazione di B. laevigata ssp. laevigata proveniente da Cave del Pre-dil rispetto alle altre. Future analisi della diversità genetica estese ad un numero mag-giore di popolazioni saranno necessarie per confermare queste prime evidenze.

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Filip Pošćić et al.

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245

Autori

Albertson, John D. … 13

Arese, Cristina … 29

Balestrini, Rafaella … 29

Bartoli, Marco … 103

Berta, Graziella … 187

Bertoldi, Giacomo … 13

Bettinetti, Roberta … 197

Biolzi, Maurizio … 77

Bodini, Antonio … 59

Boggero, Angela … 95

Bonanno, Giuseppe … 137

Bondavalli, Cristina … 59, 77

Bottarin, Roberta … 51

Bovina, Giancarlo … 113

Bragalanti, Natalia … 21

Burgassi, Marina … 87

Capoccioni, Fabrizio … 197

Cappa, Piero … 87

Cappucci, Sergio… 113

Carosi, Antonella … 39

Casolo, Valentino … 235

Cesaro, Patrizia … 187

Chiussi, Sara … 59, 77

Ciccarelli, Elisabetta … 225

Ciccotti, Eleonora … 197

Cinelli, Francesco … 87

Cingolani, Linda … 69, 225

Conti, Matteo … 113

Delconte, Carlo Andrea … 29

Della Chiesa, Stefano … 13

Fellet, Guido … 235

Gabellini, Massimo … 113

Gaggi, Carlo … 175

Galante, Gina … 187

Galassi, Silvana … 197

Ghetti, Lucia … 39

Gobbi, Mauro … 21

Ippolito, Alessio … 145

Izzo, Giulio … 125

Lancioni, Tisza … 225

Lazzerini, Gianluca … 69

Lencioni, Valeria … 21, 95

Lorenzoni, Massimo … 39

Lotti, Alessandro … 29

Manes, Fausto … 187

Marcheselli, Marco … 155, 165

Marchiol, Luca … 235

Marone, Antonella … 125

Martinuzzi, Maurizio … 235

Marziali, Laura … 95

Massini, Giulia … 125

Mauri, Marina … 155, 165

Nannoni, Francesco … 175

Padula, Rosalba … 69

Panetta, Silvia … 187

Passatore, Laura … 29

Patriarca, Chiara … 125

Pattini, Lorenzo … 59, 77

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246

Pedicillo, Giovanni … 39

Pinardi, Monica … 103

Pošćić, Filip … 235

Protano, Giuseppe … 175, 213

Quadroni, Silvia … 197

Racchetti, Erica … 103

Rende, Francesco … 87

Riccobono, Francesco … 175, 213

Rocca, Domenico … 87

Rosa, Silvia … 125

Rossaro, Bruno … 95

Rossi, Sara … 213

Sala, Serenella … 145

Scalise, Simone … 87

Schirpke, Uta … 51

Signorini, Antonella … 125

Simonini, Roberto … 165

Soana, Elisa … 103

Tappeiner, Ulrike … 13

Taramella, Giuliana … 225

Todini, Barbara … 69

Valentini, Emiliana … 113

Varrone, Cristiano … 125

Viaroli, Pierluigi … 103

Vighi, Marco … 145

Vischi, Massimo … 235

Wohlfahrt, Georg … 13

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