Date post: | 01-May-2015 |
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Anno: 1948 Origine: Italia Colore: Bianco E NeroGenere: DrammaticoRegia: Luchino ViscontiTratto dal romanzo: "I Malavoglia" Di Giovanni Verga
Il neorealismo
Il neorealismo è, senza dubbio, il movimento del cinema italiano che ha
conquistato maggiori consensi e maggiore fama in tutto il mondo. Ancor oggi, a
più di quarant'anni di distanza da una stagione che fu di breve durata, il
cinema italiano viene spesso identificato con il neorealismo. Il successo
internazionale avuto alcuni anni fa da Nuovo cinema Paradiso (1989) di
Giuseppe Tornatore, film cui è toccato anche l'Oscar, si può in parte spiegare,
come scrisse Alberto Moravia, con il fatto che viene rievocata, in quel film,
un'immagine dell'Italia, provinciale e "stracciona", che per una larga parte del
pubblico internazionale coincide con l'immagine divulgata dal neorealismo.
Possiamo isolare tre aspetti principali: quello morale, quello politico e quello
estetico, precisando però che essi risultano strettamente intrecciati nei film. Fu
anzitutto la reazione morale agli orrori e alle infamie della guerra che spinse i
cineasti a ritrovare i valori essenziali dell'esistenza e della convivenza sociale.
Bisognava dare una risposta sul piano politico alla serie di tragici errori
commessi dal fascismo. Di qui la necessità di un linguaggio nuovo, che
riuscisse a esprimere in modo diretto una presa di coscienza e una volontà di
mutamento. Esiguo è, dopotutto, il numero di opere che questi caratteri
appaiono in modo netto e perentorio. E tuttavia poche opere sono state
sufficienti a definire una nuova estetica, capace di rinnovare non solo il cinema
italiano, ma anche di costituire un punto di riferimento per altre
cinematografie, in varie parti del mondo
Un'estetica della realtà
A partire dalla presentazione, nel 1946, alla prima edizione del Festival di
Cannes di Roma città aperta, il nuovo cinema italiano conobbe un
successo internazionale senza precedenti. Quella che fu subito chiamata
la "scuola italiana" divenne un punto di riferimento obbligatorio per
definire i nuovi sviluppi dell'estetica del film, come in passato lo erano
stati l'espressionismo tedesco o la "scuola sovietica" negli anni venti.
L'impiego di attori non professionisti (gli attori "presi dalla strada"); il
realismo dell'ambientazione ottenuto abbandonando gli studi di posa a
favore delle riprese in esterni e girando nei luoghi stessi in cui si svolge
l'azione; l'adozione di uno stile di tipo documentaristico; la narrazione di
vicende ispirate alla vita quotidiana, ai fatti di cronaca: sono questi i
principi estetici introdotti dal neorealismo. Il miglior testo per comprendere lo spirito con cui venne accolta, fuori
d'Italia, la nuova corrente cinematografica rimane ancor oggi l'articolo di
André Bazin Le réalisme cinématographique et l'école italienne de la
Libération apparso nel 1948 nella rivista "Esprit". In questo saggio, Bazin
si sofferma a analizzare soprattutto la tecnica narrativa, cercando di
definire il rapporto tra cinepresa (tipo di inquadratura e di raccordi tra
inquadrature, movimenti di macchina) e fatti narrati, ambiente, oggetti.
Secondo il critico francese, il racconto, che nasce da una necessità
biologica ancor prima che drammatica, "germoglia e cresce con la
verosimiglianza e la libertà della vita".
Le radici del neorealismo
Il neorealismo non è tutto il cinema italiano del secondo dopoguerra.
Ne è la componente culturalmente più prestigiosa e più nota, ma
certo minoritaria in termini di incassi. Se la rinascita morale e la
vitalità estetica del cinema italiano sono legate alle opere neorealiste,
la sua sopravvivenza economica e la sua continuità produttiva sono
invece legate a film di carattere decisamente tradizionale.
Il cinema italiano sopravvive e conosce un florido sviluppo grazie alle
fortune della produzione di genere e di consumo, con la quale del
resto lo stesso neorealismo ha rapporti di scambio, se non altro per il
fatto che ne rinnova l'iconografia, come accade per generi come il
comico e il melodramma sentimentale.
Aspetti della realtà quotidiana avevano travato espressione nelle
commedie di Mario Camerini (Gli uomini che mascalzoni..., 1932,
Grandi magazzini, 1939) e nei film "rurali" di Alessandro Blasetti, Sole,
1929, Terra madre (1931), o in Quattro passi tra le nuvole (1942). Il
richiamo a una realtà quotidiana, ai tratti "regionali" e "paesani" della
vita nazionale (contapposti al cosmopolitismo cinematografico e
letterario) era emerso con vigore nel dibattito culturale in epoca
fascista, per esempio negli scritti di Leo Longanesi e in molti interventi
apparsi sulla rivista Cinema diretta dal figlio del duce, Vittorio
Mussolini.
Il ballo di Federico
Patellani
La difesa di un cinema nazionale, popolare e realista che venne fatta
sulle pagine di Cinema negli anni immediatamente precedenti la
caduta del fascismo era assai più che compatibile con il regime, tanto
più che coincideva con l'esaltazione di film indubbiamente
propagandistici, come Sole (1929) o Vecchia guardia (1934) di Blasetti
o La nave bianca (1941) e L'uomo della croce (1943) di Rossellini.
Ossessione (1943), film d'esordio di Luchino Visconti, considerato da
molti l'opera che anticipò, ancor prima della caduta del fascismo e
della fine della guerra, temi e stile del neorealismo, è sicuramente
importante per il fatto che ci mostra angoli inediti della provincia
italiana (i dintorni di Ferrara), che gli esterni sono stati ripresi nei
luoghi stessi dell'azione, che rompe con gli schemi compositivi del
cinema italiano precedente. Ma l'elemento di maggior novità consiste nell'assunzione cosciente di modelli di
riferimento inediti nel panorama del cinema italiano: innanzi tutto, la narrativa
statunitense: il film è tratto da Il postino suona sempre due volte, 1934, di James Cain; il
cinema francese, e in particolare l'opera di Jean Renoir, un autore che aveva fornito
originali interpretazioni cinematografiche del naturalismo letterario dell'Ottocento e che,
soprattutto con Toni (1934) aveva dato un rilievo del tutto nuovo e di grande efficacia
all'ambientazione, al paesaggio, alle condizioni di vita di una comunità di provincia.
Le radici culturali del Verismo.
Il Verismo nasce in Italia nella seconda metà dell’800 come conseguenza
degli influssi del Positivismo che suscitò negli intellettuali fiducia nel
progresso scientifico. L’influenza del Positivismo si manifestò in vari settori,
fra i quali la letteratura. Esso è un movimento filosofico che nasce in
Francia attorno alla metà dell’800 e si diffonde grazie al francese A.Comte
e all’inglese Darwin.
Luigi Capuana Verismo-Naturalismo
Fra i principali motivi che contribuirono all’affermazione di questo
movimento vi fu prima di tutto la crescente attenzione verso lo
sviluppo del sapere scientifico, che sembra fornire gli strumenti più
adeguati all’osservazione e alla spiegazione dei fenomeni naturali e
dei comportamenti umani. Il secondo elemento determinante fu
l’emergere della questione sociale in genere e in particolare, il
diffondersi dell’interesse per le condizioni di vita del Meridione, un
argomento che costituiva la materia privilegiata per quell’analisi
oggettiva della realtà che i nuovi orientamenti della cultura
consideravano un’esigenza primaria. Un ulteriore motivo di
diffusione fu la volontà di favorire la crescita del livello culturale dei
ceti popolari.
La dottrina del Verismo fu elaborata nel centro culturale più vivace di
quel periodo, l’ambiente milanese. Colui che ne enunciò per primo i
canoni teorici fu Luigi Capuana e il suo romanzo "Giacinta", può
essere considerato un vero e proprio manifesto programmatico della
nuova poetica. Sulle sue teorie esercitarono il loro influsso i modelli
del realismo inglese, ma soprattutto i romanzi del naturalista
francese Emile Zola. Le idee del Capuana sul romanzo, ebbero una
palese influenza su tutto il gruppo della Scapigliatura lombarda e in
particolare su Giovanni Verga, che fu spinto verso il definitivo
abbandono della maniera tardo romantica.
Giovanni Verga e Luigi
Capuana
Il Verismo che si diffonde in Italia, deriva direttamente dal
Naturalismo, ma è fedele alla indicazioni provenienti dalla
Francia più nella teoria che nell’applicazione concreta. Verismo e
Naturalismo condividono una narrativa realistica, impersonale e
scientifica, che non lascia trapelare nessun intervento né giudizio
da parte del narratore, mentre differiscono per quanto riguarda i
contesti dove sono ambientate le vicende.
Il Naturalismo si focalizzava di norma su ambienti metropolitani e
classi (dal proletariato all’alta borghesia) legate alle grandi città
e al loro sviluppo; il Verismo invece, privilegiava le descrizioni di
ambienti regionali e municipali e di gente della campagna. La
piccola provincia e la campagna, con la miseria e l’arretratezza,
gli stenti e le ingiustizie sociali divennero i luoghi e i temi
prediletti de esso e contribuirono in modo decisivo a svelare
aspetti profondi o addirittura sconosciuti della realtà sociale.
In principio, Visconti aveva intenzione di fare non uno, ma tre
film; anzi, diceva, tre documentari: uno sui pescatori, uno sui
contadini e uno sui minatori. Tutti e tre in Sicilia, sulla Sicilia.
Tutti e tre, aspetti diversi della stessa lotta di esclusi contro le
avversità degli uomini e delle cose. L'intenzione di portare a
termine gli episodi della trilogia sul mare, sulla terra e sulla
miniera di zolfo effettivamente c'era in Visconti; ma quello che
io credo sicuramente prima di tutto desiderasse era fare un
film da I Malavoglia di Verga.
E siccome il tema di quel romanzo coincideva con quello che sarebbe stato l'episodio del mare
nella trilogia, parte comunque, nel 1947, per girare un documentario sui pescatori, ad
Acitrezza, paese di 'Ntoni e dei vinti di Giovanni Verga. I soldi erano pochi, pochissimi. Quindi
la composizione della troupe era quella per un documentario. Non c'erano scenografo,
costumista, arredatore, script, aiuti ed assistenti dei vari reparti. Non c'erano segretarie e
segretari. Visconti, ispirandosi all’opera di Verga, aveva inizialmente pensato di girare una
trilogia di film sulla condizione dei lavoratori siciliani nel dopoguerra. Dopo questo primo film
sulla vita dei pescatori ne sarebbe dovuto seguire un secondo quella sui braccianti agricoli e il
terzo sulla vita dei minatori. I tre film erano stati ideati originariamente come documentari per
aiutare la campagna propagandistica del Partito comunista italiano in vista delle elezioni
politiche del 18 aprile 1948.
A questo scopo il Partito comunista aveva stanziato la
somma di 30 milioni di lire che si dimostrò assolutamente
insufficiente non permettendo quindi non solo di terminare
la trilogia me neppure di finanziare il film. Infatti Visconti
dovette vendere dei gioielli di famiglia e trovare un altro
produttore (Salvo D'Angelo della casa di produzione
"Universalia Film"). Il nuovo finanziamento richiedeva il
cambio di progetto trasferendo i “I Malavoglia” come film
di fiction e non più come documentario ispirato al libro. Se
però il testo di Verga è un ritratto corale di una famiglia
che si abbandona alla rassegnazione, il film fa intravedere
la possibilità di riscattarsi attraverso una lotta contro i
soprusi sociali. Il film, girato nel 1947 in bianco e nero,
secondo i canoni del neorealismo venne interpretato
esclusivamente da attori non professionisti, tutti pescatori
o abitanti di Aci Trezza, che parlavano, in presa fonica
diretta, il dialetto locale. Presentato alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1948 ebbe molti consensi da parte dei
critici ma non conquistò il "Leone d'Oro", assegnato ad "Amleto" di Laurence Olivier. La stessa
uscita in sala, per la incomprensibilità del dialetto ma anche a causa dell’eccessiva lunghezza
(quasi tre ore) non ebbe successo. Per questo lo stesso regista ne fece una versione breve di
105 minuti e con un dialetto meno stretto ottenuto doppiando gli interpreti.
La critica
Il film rappresenta uno dei documenti più significativi del neorealismo e come tale è stato
valutato dalla critica. Eccone un assaggio:
• “La terra trema è una grande opera del realismo costruita come un
romanzo e priva del sentimentalismo di altre opere di quel periodo".
(G. Sadoul)
• “Dal diretto legame cinema-esseri umani l’opera trae una delle ragioni della sua potenza
drammatica, della sua plausibilità... ‘Ntoni è un’altra delle figure destinate ad entrare nella
ideale e ristretta galleria dei grandi personaggi del nostro cinema”. (P. Bianchi)
• “Ai dati neorealistici fa riscontro la raffinata bellezza dell’immagine, l’attenzione agli effetti
plastici e tonali della composizione che contrastano a volte con la crudezza degli eventi”. (A.
Canziani)
• “Il dialetto non è affidato alla libera invenzione dei parlanti: segue
piuttosto un rigoroso tracciato di traduzione della lingua verghiana. E’
un dialetto letterario…”. (G. P. Brunetta)
• “La terra trema rappresenta il grande tentativo limite di una determinata concezione
cinematografica. Ha splendore e profondità di suggestioni. Forse costituisce con Ladri di
biciclette e Paisà, la maggior prova del cinema italiano, per la maestà figurativa, il respiro
epico dello spirito che la anima”. (Vito Pandolfi)
• “Opera di fascino indiscutibile, ma anche esemplare dell'interno
dissidio viscontiano tra raffinato decadentismo e marxismo
programmatico, tensione romanzesca e aristocratica contemplazione.
Un frutto del decadentismo è l'uso del dialetto nell'edizione originale,
il vernacolo di Aci Trezza, parlato dagli interpreti, veri pescatori locali,
in presa diretta e poi sostituito da un dialetto più comprensibile. Sin
da allora Luchino Visconti sfugge al populismo e punta al romanzo,
ma guarda ai personaggi con un distacco che non si lascia
commuovere e non commuove”. (M. Morandini)
La Terra Trema fu un'avventura. Ma non pericolosa nè catastrofica. Una felice ed esaltante,
anche se dura, esperienza di lavoro per chi ebbe
la fortuna di parteciparvi, un'opera fondamentale
per la storia del cinema
Gli attori furono tutti scelti tra i pescatori e la gente di Acitrezza. Ma Visconti non si
accontentava dell'autenticità dell'uomo della strada. Da quella gente semplice e ignara
delle regole del mestiere dello spettacolo, esigeva la disciplina e il dominio del mezzo che
solo un attore professionista avrebbe potuto avere. Il film veniva girato in presa diretta e la
recitazione era considerata non una transizione per una fase successiva, la
sincronizzazione, ma il momento definitivo, immodificabile. Pretendeva, e ci riusciva,
riprodurre, mitizzati già dall'atto creativo, alcuni momenti del comportamento reale di
quelle persone che, quasi naturalmente, finirono poco a poco per identificarsi nei
personaggi della sua finzione. I dialoghi li scriveva con l'aiuto degli stessi attori che gli
comunicavano la maniera più vera di come avrebbero espresso nella vita quei sentimenti
che egli andava loro proponendo per lo sviluppo della sua storia. Naturalmente un metodo
simile presuppone poca preoccupazione del tempo: la lavorazione del film richiese sei mesi
di riprese...
La troupe, come quasi sempre una troupe di cinema,
era un mondo eccezionale. Visconti poteva chiedere
l'impossibile, lo otteneva. Un giorno gli venne voglia di
riprendere la scena con un movimento di grù. In
qualche ora di lavoro, con l'aiuto dei carpentieri
costruttori di barche, fu pronta una grù di legno, una
stupenda macchina leonardesca...Oggi tutto ciò appare
più che normale. Ad Acitrezza, trenta anni fa, con a
disposizione i mezzi per un documentario, aveva del
miracoloso. Quando tutto era pronto, si girava il rientro delle barche dalla pesca notturna: un concentrato di
movimenti dal mare, rintocchi di campana da terra, voci dalle barche annuncianti l'esito della
pesca e voci di risposta dal molo, dei grossisti e dei rivenditori. Una magia che durava qualche
minuto. Poi, tutto da capo. Poi, il sole si faceva più forte, la luce non era più quella giusta e allora si
passava a un'altra sequenza; tra l'una e l'altra c'era un momento di pausa: il caffè e un panino
nell'osteria delle ragazze Giammona, le attrici del film, che recitavano, ci servivano a tavola e
tornavano a recitare. E siamo arrivati alla fine, all'uscita del film al Festival di Venezia.
Indimenticabile serata.
Per G. Sadoul, il maggiore dei critici francesi del tempo, La terra trema è: una grande opera del
realismo costruita come un romanzo e priva del sentimentalismo di altre opere di quel periodo".
La terra trema, quindi, vuole riprodurre la realtà, non ricrearla.
Visconti struttura e gira la pellicola con un senso della profondità e
del movimento molto accentuato, la fotografia è strettamente
collegata all'umore del film, l'andirivieni ed il rapido scorrere delle
scene iniziali cede progressivamente il passo al colore nero, quasi
claustrofobico, in corrispondenza della sconfitta della famiglia. Gli
attori siciliani, non professionisti, improvvisano il dialogo su di una
canovaccio fornito da Visconti e parlano esclusivamente nel loro
dialetto anche se, così facendo, il film diventa praticamente
incomprensibile al pubblico italiano della penisola. La musica
sorregge la struttura del film e, anche se viene usata con economia, il
suono delle voci è vitale per l'impatto del film, così come il fragore del
mare, o il flauto di zio Nunzio che suona l'aria “ Ah, non credea
mirarti” da La Sonnambula del catanese Vincenzo Bellini, durante la
salatura delle acciughe.
Didatticamente, il film si presenta ricco di elementi storici e permette un
utilizzo stimolante di diverse sue componenti:
- la povertà degli interni, con pochi mobili essenziali, scrupolosamente
rigovernati quotidianamente, che racchiudono i beni di un intero gruppo
familiare
- l'aspetto macilento delle persone, provate da un lavoro che non concede
soste e che non dà ricchezza- gli abiti rattoppati e lisi- il cibo, quanto mai
limitato e poco nutriente
- il lavoro, visto in tutte le sue fasi, dal rientro dalla pesca alla cucitura delle
reti, dalla rigovernatura della barca alla salatura delle acciughe
- la coralità di ogni avvenimento, anche privato
- i sentimenti costantemente condizionati dal denaro
- la figura della donna solo come madre e nume tutelare della casa
- la famiglia stretta come in un pugno da un vincolo arcaico di solidarietà
fraterna
Un giovane pescatore di Aci Trezza, ‘Ntoni Velastro, lavora ogni giorno per
alcuni grossisti che gestiscono con prepotenza l’attività della manodopera.
Vessato dalle loro ingiustizie, ‘Ntoni insorge insieme ad altri pescatori, con i
quali viene arrestato dopo aver provocato dei disordini. Ma sono gli stessi
grossisti, costretti dalla mancanza di personale con cui sostituire i rivoltosi,
ad occuparsi del loro immediato rilascio. Tuttavia ‘Ntoni, che non è disposto
a fare passi indietro, convince la famiglia ad ipotecare la casa per mettersi
in proprio. Aiutati da una propizia pesca di acciughe, i Velastro vedono
spalancarsi le porte di un radioso futuro, fino al giorno in cui perdono la
barca durante una tempesta. Da quel momento, il loro destino viene travolto da un’inarrestabile catena di disgrazie, cui si
accompagna la perdita della casa per il mancato pagamento dell’ipoteca. La famiglia, lasciata
a se stessa, si avvia ad un repentino declino: ‘Ntoni, abbandonato dalla sua ragazza, cerca
sollievo nelle osterie; il nonno muore; il fratello diventa contrabbandiere; delle due sorelle, la
maggiore vede finire il proprio matrimonio e la minore viene compromessa dalle fastidiose
attenzioni di un maresciallo della finanza. Rassegnato ed incapace di trovare una via d’uscita,
il giovane pescatore è costretto a tornare dai grossisti, accettando di lavorare alle loro inique
condizioni. Tuttavia, egli ha la consapevolezza che quel gesto di ribellione è destinato a
sopravvivere sempre, nella sua coscienza ed in quella dei compagni.
La trama
Luchino Visconti
Nacque a Milano nel 1906 e morì a Roma nel 1976. Di origini
aristocratiche, s’appassiona al cinema negli anni ‘30: durante un
soggiorno parigino, conosce Jean Renoir e ne diviene assistente.
Prestò servizio militare come sottufficiale di cavalleria a Pinerolo e
visse gli anni della sua gioventù agiata occupandosi dei cavalli di
una scuderia di sua proprietà.
Inoltre, frequentò attivamente il mondo della lirica e del melodramma, che lo influenzerà
moltissimo; l'intera famiglia infatti aveva un palco alla Scala (il padre era uno dei massimi
finanziatori del teatro) e il salotto della madre era frequentato, tra gli altri, da Arturo
Toscanini.
Esordisce nella regia con "Ossessione" (1942), che trasferisce su sfondi nostrani il romanzo di
James M. Cain "Il postino suona sempre due volte": restituendo alla fisicità due attori di
regime come Clara Calamai e Massimo Girotti, collocati in ambienti inusitati, espressione
d’un nuovo modo d’intendere il cinema. Arrestato nel ‘43 per la sua attività partigiana, torna
dietro la macchina da presa solo con "La terra trema" (1948), libero adattamento de "I
Malavoglia" di Verga: interpretato da attori non professionisti ed interamente recitato in
dialetto siciliano, il film è una saga familiare di potente plasticità, dove il gusto per il
melodramma si sposa ad un aristocraticismo non populista, seppur figlio d’influenze
evidentemente marxiste.
La terra trema è uno dei quattro film interamente parlati in
dialetto e sottotitolati in italiano: gli altri sono
L'albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi (nel caso
specifico il dialetto è quello bergamasco) l'intellettualistico
Giro di lune tra terra e mare (1997) di Giuseppe Gaudino,
recitato in dialetto campano della zona flegrea con
citazioni latine, e infine LaCapaGira (2001) di
Alessandro Piva, parlato in dialetto barese. Ed è
gramsciana nel senso più autentico del termine la visione
del popolo che filtra dall’immenso "Bellissima"(1951), che
analizzava con una certa spietatezza il dietro le quinte del
rutilante mondo cinematografico con una delle attrici
simbolo del neorealismo italiano, Anna Magnani, qui
insieme a un'efficace Walter Chiari e con la partecipazione
del celebre regista Alessandro Blasetti, qui nel ruolo di se
stesso, come esaminatore dei provini, celebrazione in
articulo mortis del neorealismo e suo geniale
superamento: figlio d’influenze disparate (Zavattini e
"Cinema nuovo", la Magnani ed Hollywood), esso resta
opera primaria del cinema italiano, presagio d’un
mutamento antropologico di cui s’avvertivano solo sparuti
segnali, che troverà la sua espressione nel boom ed in
Pasolini il suo nostalgico, straziato cantore.
In evidente stato di grazia, Visconti firma poi con "Senso" (1954) -
rilettura del Risorgimento scevra d’ipocrisie mistificatorie ed omaggio
insuperato al mondo verdiano - un capo d’opera indiscusso, nel quale
la perfezione della messa in scena (basti la sequenza iniziale nel
teatro od il veloce, febbrile scioglimento conclusivo) si coniuga ad una
esemplare direzione degli attori. Il periodo più fertile della creatività
del Nostro si chiude con "Rocco e i suoi fratelli" (1960), compendio e
summa dell’arte sua espressa nelle forme d’un melò a forti tinte, ove
si narra del disfacimento d’una famiglia di origine contadina nel
contatto con la città. Memore di Mann e Dostoevskij, il regista
milanese colloca i suoi tragici personaggi fra Mito e Storia, dando così
loro carattere di acronotopicità e regalandoci immagini
indimenticabili. Di qui in avanti, l’indiscutibile magistero del cineasta
milanese si piegherà ad operazioni più o meno di maniera: non per
questo mancheranno esiti splendidi ("Il Gattopardo", 1963, ove
nostalgia del passato e consapevolezza ideologica s’intrecciano in un
racconto impeccabile sotto l’aspetto figurativo) o comunque
d’inconsueto respiro, ma il versante estetizzante e borghese - che gli
varrà la pungente qualifica di "duca arredatore" - finirà per prevalere.
Fuori dal fuoco contingente della polemica politica, egli tornerà ad
essere regista più che autore: illustratore di gran rango per un
pubblico colto ed esigente, purtroppo sempre più lontano dal flusso
della Storia.
Luchino Visconti muore nella primavera del 1976, colto da
una forma grave di trombosi poco dopo aver visionato
insieme ai suoi più stretti collaboratori il film nella prima
forma del montaggio, della quale rimase insoddisfatto. Il
film fu restituito al pubblico in quella veste, a parte alcune
poche modifiche apportate dalla co - sceneggiatrice Suso
Cecchi D'Amico sulla base di indicazioni del regista durante
una discussione di lavoro. Poco dopo lo seguirà anche
Rina Morelli, attrice che stimava moltissimo e con la quale
aveva condiviso le grandi stagioni teatrali di prosa del
dopoguerra immediato.