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Cinofili stanchi gen feb 2015

Date post: 07-Apr-2016
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Il magazine di informazione cinofila. Sommario: Cani al cinema: Beethoven Il cane in famiglia Cuccioli: questione di rispetto Mitologie cinofile Vita da cani o da peluche? L'olfatto Il pedigree I cani nella poesia Umorismo canino
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Anno nuovo, nuovi articoli e una nuova rubrica (Mitologie Cinofile) in cui si parla delle tante leggende che aleggiano nel mondo cinofilo italiano. E probabil-mente anche altrove. Ma un grazie di cuore va a tutti voi che costantemente in tanti ci leggete e ci auguriamo che i nostri articoli siano utili per la vostra vita quotidiana con i vostri compagni a quattro zampe. Ci scusiamo se gli articoli sono numericamente inferiori ai numeri scorsi, ma la qualità degli stessi dovrebbe sop-perire a questo nostro limite. Ancora una volta vi auguriamo una buona lettura.

La Redazione

in copertina

Posizione di attenzione

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Editoriale pag. 2

Cani al cinema: Beethoven pag. 4 Il cane in famiglia pag. 6 Cuccioli: questione di rispetto pag. 13 Mitologie cinofile pag. 16 Vita da cani o da peluche? pag. 21 L’olfatto pag. 26 Il pedigree pag. 30 I cani nella Poesia pag. 34 Umorismo canino pag. 35

SOMMARIO

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di Giovanni Padrone - Beethoven è da

tempo un noto personaggio di cartoons

e film (ne sono stati prodotti 8). Si tratta

di un simpatico San Bernardo che ogni

volta in cui si muove combina un sacco

di guai per la sua grande mole.

Il primo film, uscito nel 1992, inizia

nella California del 1990, con due ladri

che portano dei cani in un laboratorio

per fare degli esperimenti con dei

proiettili, come vuole il loro misterioso

capo Varnick, che dice loro di procurarsi prima dei cuccioli per l'esperimento, a cui ci vorra-

no due anni di preparazione. Così, di notte, un cucciolo di cane San Bernardo viene rubato

dai due ladri e portato via dal negozio di animali insieme a tutti gli altri cuccioli di razze di-

verse. Ma durante il trasporto, lui e un altro cane riescono a sfuggirgli, nascondendosi in un

cassonetto, che si rivela essere di una casa a nome Newton. La mattina seguente il cucciolo,

per cercare da mangiare, tramite un diversivo del padrone della casa uscito, si introduce in

casa Newton, una famiglia con tre bambini (Ryce, Ted ed Emily), che accolgono il cane con

sorpresa e felicità. Non è altrettanto felice il padre, poiché pensa solo al suo lavoro aziendale

complicato da un cane, ma la

famiglia finisce per adottarlo

chiamandolo Beethoven,

dall'omonimo musicista che

amano ascoltare. In due anni

Beethoven cresce in età canina,

mentre i bambini sono ancora

piccoli e diventa un enorme

San Bernardo. Nonostante sia

grande, grosso, invadente e

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puzzolente, tutti e cinque (padre

compreso) si lasciano trasportare dal-

la sua simpatia e si affezionano al

cagnone, che risolve un problema di

coppia di Ryce, ed i problemi di Ted

con alcuni compagni fastidiosi di

scuola. Purtroppo Beethoven, dopo

aver rovinato il rapporto dei bambini con la loro colf incapace, è adocchiato dal suo veterina-

rio, che lo ammira troppo e vorrebbe tenerlo lui, con tutta la volontà del sig. Newton che non

lo sopporta. Infatti, Beethoven manda a monte un invito di due clienti di Newton, che voleva-

no concludere un affare. Newton si convince a dare il cane al veterinario; la moglie riesce ad

impedirglielo, convincendolo che il suo lavoro è eccellente anche senza successo internazio-

nale. Un giorno Beethoven aggredisce inspiegabilmente il veterinario che era venuto a visi-

tarlo, e la legge parla chiaro: dovrà essere abbattuto per iniezione letale. Newton lascia il ca-

ne al veterinario, per farlo sopprimere da un assistente di quest'ultimo; nonostante tutto è di-

sperato ed i suoi figli non gli rivolgono la parola per tutto il resto del giorno. Così Newton

capisce quanto sia silenziosa e seria la casa senza Beethoven e, con il rimorso per ciò che ha

fatto, decide di andare a riprenderselo. Purtroppo il veterinario dice che il cane è stato già ab-

battuto e quindi non c'è speranza. Ma Newton si accorge del braccio del veterinario morso, lo

guarda ed invece è intero e liscio. Capendo che era un imbroglio trova Beethoven in un labo-

ratorio con cani, che, quando lui era piccolo, facevano parte del suo negozio ed erano stati

rubati anche loro e così si scopre tutta la terribile verità. Infatti il veterinario era corrotto ed

era lui il misterioso Varnick ed i suoi assistenti maschi erano i suoi due ladri, poiché lui per

fare l'esperimento sui proiettili -oramai era arrivato il giorno di farlo- aveva fatto rapire molti

cani e cuccioli e, di conseguenza, per fare pure su Beethoven l'esperimento illegale, tenerselo

ed abbatterlo, aveva fatto finta di farsi aggredire da lui nella visita nascosta, picchiandolo in

modo da farlo inferocire e balzare su di lui senza farsi mordere e sporcandosi il braccio di

rosso per apparire ferito. Varnick sta per sparare al cane, ma Newton interviene liberando gli

altri cani che lo assalgono e dopo un breve duello con i due ladri lo fa svenire con le siringhe.

I due ladri si salvano da tutti i cani, ma vengono aggrediti e feriti da quattro dobermann

nell'auto-benzina, per poi essere arrestati sotto gli occhi di tutti al telegiornale. Newton, con

la famiglia che lo aveva aiutato, si scusa con Beethoven e finalmente lo accetta. Anche Var-

nick viene arrestato. Beethoven è definitivamente membro di casa Newton e tutti i cani libe-

rati dal laboratorio lo seguono nella sua abitazione, dove verranno adottati anche loro dai

Newton.

Nelle produzioni cinematografiche successive (l’ultima, “Beethoven - Alla ricerca del te-

soro”, risale allo scorso anno), si aggiungeranno alla famiglia una compagna e dei cuccioli

oltre che tanti nuovi amici.

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di Giovanni Padrone - Per circa 40.000 anni gli esseri umani ed i cani hanno avuto

un rapporto alquanto affascinante e gratificante. Al centro delle loro interazioni esisto-

no alcune somiglianze interessanti, fra cui il fatto che entrambe le specie sono alta-

mente sociali ed hanno un sofisticato sistema di competenze comunicative. E, sebbene

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una decina di milioni di anni fa i nostri antenati e gli antenati dei cani fossero in compe-

tizione sul cibo, il tempo evolutivo e la vicinanza fra le due specie hanno dato origine

ad un rapporto simbiotico.

Ogni essere umano proviene da un qualche tipo di famiglia e ogni famiglia ha una sua

struttura, con diversi membri che hanno responsabilità diverse all’interno del proprio

gruppo sociale. Per migliaia di anni fu previsto che i ruoli dei membri familiari fossero

stabilmente rispettati. Sebbene oggi i ruoli familiari siano molto meno rigidi, è ancora

vero che ogni membro ha qualche impegno all’interno del proprio nucleo familiare. C’è

chi si occupa di trovare i mezzi di sussistenza e lavora, chi provvede alla cura della ca-

sa, i figli devono frequentare una qualche struttura scolastica per imparare innanzitutto a

leggere e scrivere e con l’andare del tempo trovare una specializzazione idonea alle pro-

prie capacità. Eppure i cani oggi sono spesso tenuti come animali domestici senza nulla

da fare se non fornire divertimento e affetto. Questo è uno sviluppo relativamente nuovo

che non si ricorda quasi a memoria d'uomo. Anche un tempo i cani erano membri della

famiglia e ricevevano ugualmente affetto, ma avevano compiti ben definiti. Ad esempio,

custodivano le proprietà, fornivano protezione personale, aggregavano o conducevano il

nostro bestiame, liberavano le nostre famiglie dai parassiti, ci aiutavano nella caccia,

tiravano le slitte e trovavano la gente dispersa.

Per gran parte della storia umana, la maggior parte

delle persone ha avuto molto meno reddito disponi-

bile di quanto non accada oggi. Non c'era nessuna

industria di cibo per cani e i cani consumavano i

nostri avanzi. Perché le case non avevano sistemi di

allarme elettronici, i cani da guardia dormivano

fuori e pattugliavano la casa nei dintorni. Non c'era

il riscaldamento personale o centralizzato, perciò le

porte erano tenute chiuse e quando ci si spostava da

una stanza all'altra venivano riscaldate solo le ca-

mere occupate. Ciò significava che il cane doveva

seguire noi e non aveva la possibilità di muoversi

liberamente in casa. Una volta la gente non poteva

permettersi sostituzioni di mobili per la casa che

dovevano durare molti anni e per questo motivo i

cani non avevano accesso sui letti. perché la gente

teneva i cani al lavoro e probabilmente nemmeno provvedeva alla loro pulizia come og-

gi avviene con i centri per toelettatura. I cani erano membri rispettati della famiglia con

responsabilità chiaramente definite e non erano dei surrogati di bambini. Che si sappia,

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50 e oltre anni fa i problemi

di comportamento comune-

mente visti oggi nei cani era-

no raramente presenti. Una

delle principali ragioni è che

oggi la maggior parte dei cani

non svolgono alcuna attività

fisica e mentale all'interno

delle loro famiglie e a volte

sono quasi costretti a svolgere

attività diverse o, ancor peg-

gio, all’inattività.

Spesso ci si scorda che un cane da pastore, come può essere un border collie, o un

cane da slitta, come può essere un Huski, o ancora un cacciatore naturale, come può

essere un levriero, hanno centinaia, se non migliaia di anni di selezione che ha man-

tenuto attive le loro rispettive capacità. Trattandosi di cani istintivamente portati a

svolgere quelle capacità, quando si trovano a dover convivere invece con l’inattività

subiscono delle pesanti

conseguenze a livello

psicologico. Si presen-

tano problemi di iperat-

tività, aggressività, apa-

tia, forme ansiose gravi.

E vorrei vedere voi, na-

ti per correre a 90 km

orari o trainare delle

slitte a 30 gradi sottoze-

ro o ancora per condur-

re le greggi 10 ore al

giorno trovarvi rinchiusi in una ‘prigione dorata’ come vi sentireste al posto dei cani.

Spesso ci dimentichiamo che i progressi umani hanno sicuramente portato molti be-

nefici (fra cui una maggior consapevolezza di cosa sia la relazione col proprio cane),

ma hanno anche tolto molti lati positivi di quando i nostri bisnonni o i loro avi non

avevano tutto questo progresso, fra cui una maggior coesione familiare e un maggior

impegno psicofisico per i nostri compagni a quattro zampe. E non è che i problemi

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possano risolversi così facilmente frequentando un campo un paio d’ore una o due

volte a settimana.

2 L’inserimento in un nuovo gruppo sociale

Quando un cane viene adottato da un umano, ha due possibilità: che sia l’unico cane

di famiglia oppure che debba convivere con cani già presenti nell’abitazione. Ed una

terza: che debba convivere con altri

animali domestici. Considerando il

processo di selezione umana dalla fi-

ne del Paleolitico ai giorni nostri e la

forte urbanizzazione che negli ultimi

secoli si è sviluppata nel mondo occi-

dentale, questo inserimento potrebbe

sembrare una cosa assolutamente fa-

cile, semplice. In realtà spesso ciò non è. Nella maggior parte dei casi, anzi ogni

qualvolta si presenta un problema, è sempre responsabile la controparte umana che

non è in grado di capire le esigenze del nuovo arrivato (e probabilmente non capisce

nemmeno quelle dei cani che già vivono nella propria abitazione). Ci troviamo, per-

ciò, spesso a dover affrontare situazioni in cui i cani vanno in forte competizione sul-

le ‘risorse’ (come cibo, luoghi di riposo, giocattoli ed anche il proprietario). Ogni si-

tuazione diventa una buona ragione per attaccar zizzania. Oppure vi sono difficoltà

di adattamento ambientale o ancora forme di iper-attaccamento. Se il proprietario è

in grado di reagire secondo logica, chiederà l’aiuto di una persona competente, spe-

rabilmente qualcuno in grado di ricostruire da capo una relazione fra cane (cani) e

proprietario secondo condizioni di equilibrio etologico.

Spesso, però, la persona inesperta si rivolge avventatamente a chi della relazione col

cane non interessa nulla e lavora in modo alquanto irrispettoso della natura e

dell’identità del cane stesso utilizzando tecniche punitive che spesso e volentieri con-

ducono il cane in situazioni di estremo stress emotivo, ansia e paura. È a quel punto,

quando i guai si sono sommati ad altri guai, che al proprietario viene l’idea di rivol-

gersi a chi fa del rapporto sociale la base primaria su cui appoggiare il recupero dei

cani problematici. Perciò, quando un cane entra in famiglia, oltre alle due possibilità

che già ho indicato, ha ulteriori due possibilità che si sovrappongono: che il proprie-

tario sia una persona cosciente e sappia come risolvere le situazioni, oppure che il

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proprietario viva in un assoluto

stato di incoscienza e irrespon-

sabilità, condizione esatta per

avere problemi.

Il cucciolo adottato (o il cane

adulto adottato) entra in una

nuova situazione ambientale

con nuovi umani e/o nuovi ani-

mali domestici e/o altri cani.

Inizialmente cercherà di espri-

mersi secondo quanto mamma cagna gli ha insegnato. Con il grosso svantaggio che è

ancora un cucciolo. Se gli va bene potrà trovare una femmina con istinto materno in

grado di accudirlo e proseguire nel percorso formativo già iniziato dalla madre. Que-

sta è la condizione migliore. Nella peggiore delle ipotesi, può incontrare cani per

nulla disposti inizialmente a relazionarsi con lui e che ad ogni occasione glielo riba-

diranno. Un’altra situazione è quella in cui il cucciolo si trova a dover convivere con

un altro cane con forti problemi di adattamento ambientale e relazionale (ad esem-

pio, può soffrire di un iper-attaccamento morboso nei confronti dei proprietari) e che

perciò sia stato preso ‘per far compagnia a Fido’. In questo caso, avviene molto spes-

so che le forme ansiose siano trasmesse, non per contagio ma per apprendimento, al

nuovo cane. Scordatevi che per una vostra mancanza relazionale un nuovo cane pos-

sa aiutarvi a risolvere il problema. Se proprio dovete prendere un secondo cane, pri-

ma risolvete i problemi del primo facendovi aiutare da un esperto in comportamento

canino. Se ci troviamo, per-

ciò, in condizioni normali,

l’inserimento del nuovo cane

avverrà senza alcun particola-

re problema: col tempo si a-

datterà ai ritmi ed ai rituali

precostituiti e si inserirà nel

nuovo gruppo familiare ac-

cettando di buon grado di ap-

portare il proprio contributo.

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(1)R. Bonanni ed altri - Effect of affiliative and agonistic relationships on leadership behavior in free-ranging dogs.

I piccoli passi

L’inserirsi da un gruppo ad un altro in maniera alquanto quieta e distribuita nel tempo, a piccoli passi, è stata notata anche dall’equipe dell’etologo Roberto Bo-nanni(1) che per cinque anni ha osservato le dinamiche relazionali di due gruppi di cani randagi viventi alla periferia di Roma. Quando un cane usciva da uno dei du-e gruppi la collocazione nell’altro era questione di poco tempo, alcuni giorni. Ed il tutto avveniva in maniera alquanto rilassata. Fra i cani sembrano non esistere questioni di setta. Questo perché il sistema sociale canino è forse uno degli esem-pi migliori di ‘sistema globale’ non inventato dall’uomo sul nostro pianeta. Pro-babilmente funziona anche meglio della globalizzazione umana, sicuramente sen-za le ingiustizie che la stessa comporta.

Mi risulta essere molto convincente la teoria dell’autopoiesi, di cui io spesso par-lo nei miei scritti, per quanto riguarda le modalità di interazione utilizzate dai ca-ni. Molto più delle assurde teorie su gerarchia e dominanza che ancora dominano il mondo cinofilo italiano. Ma cos’è l’autopoiesi? Si tratta di un processo median-te il quale un sistema produce una propria organizzazione e la mantiene, costi-tuendosi in uno spazio. In particolare l’autopoiesi è attribuita ad un sistema che attraverso la sua rete di processi produce i componenti che:

In poche parole, un sistema autopoietico è un sistema che si autoregolamenta at-traverso l’uso di alcune iniziative o convezioni. Abbiamo traccia di questo osser-vando i cani al parco. Quando entra un cane, arriva un comitato di accoglienza per verificare se si tratta di un amico, un cane già conosciuto, oppure se è un nuo-vo entrato. In ogni caso viene testato attraverso tutta una serie di rituali e compor-tamenti, per cui se è in grado di adattarsi non vi sarà alcun problema, mentre se questo non avverrà sarà presto lasciato a se stesso o, nel caso in cui tenda ad ag-gredire, riceverà in cambio una risposta maggiore da parte di tutta la ‘coalizione’ di benvenuto. Nella normalità dei casi, questa risposta sarà più ‘cagnara’ che fatti, poiché i cani tendono ad isolare in qualsiasi modo una ‘perturbazione’ alla quiete del loro sistema sociale ed usano l’aggressione, in forma ritualizzata, come ulti-ma spiaggia. Se poi un cane ha intenzioni davvero belligeranti, gli altri non se ne staranno con le mani in mano a subire ma risponderanno con altrettanta prepoten-za. Ma, in questo caso, parliamo di situazioni oltre il limite.

I piccoli passi

L’inserirsi da un gruppo ad un altro in maniera alquanto quieta e distribuita nel tempo, a piccoli passi, è stata notata anche dall’equipe dell’etologo Roberto Bo-nanni(1) che per cinque anni ha osservato le dinamiche relazionali di due gruppi di cani randagi viventi alla periferia di Roma. Quando un cane usciva da uno dei du-e gruppi la collocazione nell’altro era questione di poco tempo, alcuni giorni. Ed il tutto avveniva in maniera alquanto rilassata. Fra i cani sembrano non esistere questioni di setta. Questo perché il sistema sociale canino è forse uno degli esem-pi migliori di ‘sistema globale’ non inventato dall’uomo sul nostro pianeta. Pro-babilmente funziona anche meglio della globalizzazione umana, sicuramente sen-za le ingiustizie che la stessa comporta.

Mi risulta essere molto convincente la teoria dell’autopoiesi, di cui io spesso par-lo nei miei scritti, per quanto riguarda le modalità di interazione utilizzate dai ca-ni. Molto più delle assurde teorie su gerarchia e dominanza che ancora dominano il mondo cinofilo italiano. Ma cos’è l’autopoiesi? Si tratta di un processo median-te il quale un sistema produce una propria organizzazione e la mantiene, costi-tuendosi in uno spazio. In particolare l’autopoiesi è attribuita ad un sistema che attraverso la sua rete di processi produce i componenti che:

In poche parole, un sistema autopoietico è un sistema che si autoregolamenta at-traverso l’uso di alcune iniziative o convezioni. Abbiamo traccia di questo osser-vando i cani al parco. Quando entra un cane, arriva un comitato di accoglienza per verificare se si tratta di un amico, un cane già conosciuto, oppure se è un nuo-vo entrato. In ogni caso viene testato attraverso tutta una serie di rituali e compor-tamenti, per cui se è in grado di adattarsi non vi sarà alcun problema, mentre se questo non avverrà sarà presto lasciato a se stesso o, nel caso in cui tenda ad ag-gredire, riceverà in cambio una risposta maggiore da parte di tutta la ‘coalizione’ di benvenuto. Nella normalità dei casi, questa risposta sarà più ‘cagnara’ che fatti, poiché i cani tendono ad isolare in qualsiasi modo una ‘perturbazione’ alla quiete del loro sistema sociale ed usano l’aggressione, in forma ritualizzata, come ulti-ma spiaggia. Se poi un cane ha intenzioni davvero belligeranti, gli altri non se ne staranno con le mani in mano a subire ma risponderanno con altrettanta prepoten-za. Ma, in questo caso, parliamo di situazioni oltre il limite.

1) attraverso le loro interazioni e trasformazioni rigenerano continuamente e realizzano la rete di processi (relazioni) che li ha prodotti; 2) costituiscono il sistema come un'unità concreta nello spazio in cui i compo-nenti esistono specificando il dominio topologico della sua realizzazione.

1) attraverso le loro interazioni e trasformazioni rigenerano continuamente e realizzano la rete di processi (relazioni) che li ha prodotti; 2) costituiscono il sistema come un'unità concreta nello spazio in cui i compo-nenti esistono specificando il dominio topologico della sua realizzazione.

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di Angelo Romanò - Proviamo solo per un momento a metterci negli abiti, o per me-glio dire, nel pelo del cucciolo, ci sono degli atteggiamenti che per noi rientrano nella normalità ma che per loro possono assumere toni differenti, persino fino ad arrivare ad una vera e propria minaccia.

Uno dei più frequenti può essere ad esempio abbracciare il cucciolo. Molto spesso si e-sprime il nostro affetto abbracciando qualcuno, stringendolo a noi per far sentire più da vicino quello che proviamo. Nella natura animale, specialmente quando parliamo di ca-ni, non è così per diversi motivi ed i cani in realtà non amano essere abbracciati. Quello che per voi sembra essere un momento felice e di gioia non lo è sicuramente per il vo-

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stro cucciolo. Molti cuccioli a-spettano che il momento passi, terrificati da quello che sta acca-dendo e molti altri cercano la fuga ancora prima che vi avviciniate.

L’abbraccio per nostra natura è un’espressione di primaria impor-tanza. La madre stringe a se i pro-pri piccoli fin dalla nascita mo-strando loro affetto e nello stesso tempo protezione. I cani accudi-

scono i cuccioli senza stringerli a se ma solo mettendo loro a disposizione calore e nutrimento. A differenza nostra, i piccoli di cane si muovono verso la mamma in mo-to circolare fino a raggiungerla e a sentirne il calore.

L’interpretazione dell’abbraccio è quindi sostanzialmente diversa, una possibile mi-naccia, anche se per noi o per le nostre intenzioni non lo è, per lui è un momento di panico, a volte vissuto in maniera passiva ed altre volte in modo attivo. L’avvicinarsi di una figura di dimensioni pressoché enormi per loro, con l’approssimarsi delle brac-cia (per loro zampe) e la presa con le stesse, essere avvicinati al petto ed essere bloc-cati in una morsa da cui difficilmente potrà liberarsi porta il cucciolo ad una condizio-ne di stress enorme.

La risposta del cucciolo sarà di annusare l’aria, di chiudere la bocca, sbadigliare, non rivolgere lo sguardo, leccarsi il naso, leccare la vostra faccia rispondendo con uno stato ansioso e preoccupato come se avessero fatto qualcosa di male, qualcosa che non dovevano fare.

Un’altra cosa che non piace ai cuccio-li è il bacio. Cani che si baciano non ne ho visti, poi che facciano anche lo “schiocco” come piace a noi, ancor meno. Il contatto con il muso è a vol-te tollerato ma non sempre. Spesso ci si avvicina contenti, mostrando la no-stra felicità con un bel sorriso per poi dare un bacio sul muso ma l’interpretazione è presto fatta, per

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loro il nostro sorriso è sinonimo di minaccia perché nel mondo animale mostrare i denti significa essere aggressivi o per lo meno mostrare intenzioni diametralmente opposte dall’affetto. L’avvicinamento successivo risulta essere un’ulteriore minaccia, magari seguito dal contatto delle mani (zampe) con il muso e da un fortissimo rumore (lo “schiocco”). Pensiamo anche alla loro sensibilità auricolare, possono sentire mini-mi rumori ad una distanza ragguardevole, cosa che per nostra natura non rientra nean-che nel pensabile, per cui il rumore può risultare alquanto fastidioso.

Se a questo aggiungiamo, qua-lora l’avvicinamento avvenga da parte di un bambino, l’atteggiamento irruento che potrebbe adottare senza render-sene conto allora le cose si complicano. E’ importante quindi insegnare ai bambini che esistono delle differenze che vanno rispettate.

Ma allora … cosa piace ai cuc-cioli? Come possiamo mostrar loro il nostro affetto? E’ presto detto, rispettando la loro natura, infatti più che essere toccati ed essere coccolati loro amano giocare ed interagire con noi senza eccedere nel contatto fisico.

La relazione, come abbiamo già visto nei numeri precedenti, ci aiuterà a costruire il suo futuro e a gestire correttamente il contatto, contatto che dovrà essere preferibil-mente compatibile con le parti del corpo più predisposte a riceverlo, come ad esem-pio il petto, il fianco o dietro le orecchie evitando quelle parti del corpo in cui il cuc-ciolo non ama essere toccato come la testa, la schiena, la base del collo e le zampe.

Se vogliamo quindi rispettare la sua natura, riflettiamo su cosa può avvicinare o al

contrario allontanare la sua compagnia, la predisposizione ad un atteggiamento con-

sono nei suoi confronti risulterà vincente e, oltre al rispetto, vi guadagnerete anche la

sua fiducia. Lo stesso vale per i bambini, è utile insegnar loro come devono compor-

tarsi, il rispetto va guadagnato …

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DOMINANZA. Dobbiamo partire dal lontano 1910 quando il colonnello della polizia prussiana Con-rad Most pubblicò il suo manuale sull’addestramento del cane (Die Abrichtung des Hundes). L’ufficiale aveva la convinzione che il cane durante l’addestramento e nella vita di ogni giorno dovesse essere sottoposto ad un regime di tipo militaresco e che quindi il suo proprietario dovesse in ogni modo dominarlo fino a renderlo il proprio soldatino. Questo perché Most aveva la fervida fantasia che nei branchi di cani le zuffe

avvenissero perché in questo modo si stabilivano i propri ranghi. Quindi nel branco misto uomo - cane la competizione del secondo doveva essere soppressa dal primo per evitare che il cane mostrasse velleità competitive nei confronti del proprio com-pagno bipede. In realtà, tutto questo suo modo di pensare era dettato dalla vita che lo stesso Most conduceva e in un corpo militare, soprattutto a quei tempi con guerre che in Europa scoppiavano ad ogni frase sbagliata. I militari avevano, in molte parti del mondo probabilmente hanno ancora, una struttura gerarchica molto rigida e chi cercava di uscirne o disobbediva a un ordine poteva essere deferito alla corte marzia-le e subire pene molto severe, fino alla morte (ad esempio, in caso di diserzione). Dunque, cosa ci si poteva aspettare da una mente militare? Che trasformasse la rela-zione con il proprio cane o con quelli che doveva addestrare in una vita da militare parallela. Dunque la posizione dominante dell’uomo sul cane diventa il perno su cui deve girare la relazione. Non per niente il manuale di Most diede origine soprattutto ad approcci formativi basati sull’uso della forza per costringere i cani all’obbedienza, soprattutto perché la disobbedienza non era soltanto una mancata esecuzione di un comportamento, ma una ribellione nei confronti del capobranco e perci, questa dove-

“ìC’era una volta un lupo cattivo…” e ora non c’è più. In questa rubrica vogliamo trattare dei tanti miti e leggende che governano il pensiero di certa cinofilia, quella cinofilia autoreferenziale che mai si aggiorna da un punto di vista scientifico (troppa fatica) e che allo stesso tempo si considera la verità assoluta in tutto l’Universo. Ma nell’Universo ci sono civiltà molto più evolute della nostra che già da tempo hanno abbando-nato le favole e le mitologie per adattarsi ad un cosmo fatto di fisica e matematica, di materia, antimateria e materia oscura, di gravità, forza elettromagnetica e concretezza. Del resto l’oro dei Nibelunghi non è mai stato trovato, la Terra è sferica e non piatta e le mosche si sa da tempo che non nascono per generazione spontanea...

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va essere sedata. Oggi, anche se è vero che i cani devono imparare a vivere nella società umana, ci si è resi conto che sono i compagni umani i diretti responsabili degli inse-gnamenti attuati per questo scopo e che non è asso-lutamente necessaria la forza fisica, psichica o che dir si voglia. Anzi, si è scoperto che spesso un rap-porto duro e punitivo è sicuramente molto stressante per un cane e poco rispettoso della sua identità. Se mi permettete anche poco rispettoso dell’intelligenza umana. Dopo Most arrivarono gli studi di R. Schenkel sui lupi del giardino zoologico in cui egli lavorava e che sembravano confermare quanto esposto da Most. In realtà, quando si iniziò a studiare i lupi allo stato libero ci si rese conto che in realtà la vita sociale in ambiente libero era molto differente: intanto si trattava di branchi identificabili come unità familiari, nei quali i genitori erano i membri più anziani ed i figli coloro i quali dovevano fare esperienza, mentre i lupi in cattività provenivano da luoghi e branchi diversi. Inoltre, i lupi liberi hanno a disposizione svariate centinaia di km quadrati, mentre i lupi degli zoo avevano forse qualche centinaio di metri quadrati. Il tutto si traduceva in competizione allo stato puro, mentre i lupi liberi essendo strettamente imparentati fra loro avevano un rapporto sociale molto più profondo, fatto anche di af-fettività. E tuttavia, sebbene si parlasse di lupi, il tutto fu trasposto anche ai cani es-sendo i probabili discendenti dei lupi. A questa confusione contribuì anche Konrad Lo-renz, colui che da tanti viene ritenuto il padre dell’etologia (a mio avviso, invece, dob-biamo retrodatare la nascita dell’etologia oltre 2000 anni prima, ai tempi di Aristotele). Nel 1962 uscì il manuale di addestramento di W. R. Koehler ‘The Koehler Method of Dog Training’ , il quale insisteva sul fatto che i suoi allievi imparassero ad usare diver-se forme di punizione ivi inclusi fruste e collari elettrici. Praticamente per decenni con la scusa del ruolo Alfa si sono maltrattati i cani. Per for-tuna non tutti. Karen Pryor , infatti, alla stessa epoca di Koehler iniziò i rudimenti dell’apprendimento gentile che in seguito la portarono al clicker training. Il suo lavoro si basò sulla esperienza con i delfini ed in seguito fu esteso prima ai cavallo e poi ai ca-ni. Ma vi erano tanti altri sconosciuti che cercavano di lavorare attraverso un rapporto più ‘sano’ ed equilibrato con il proprio cane. Del resto fin dall’antichità abbiamo cor-renti di pensiero che cercano di lavorare con i propri animali domestici in modo più consono (Senofonte, parlando del lavoro coi cavalli e circa 150 anni fa uno sconosciuto veterinario statunitense nel suo manuale sui cani). E’ strana la psiche umana: come sostiene Mark Bekoff noi abbiamo sempre il bisogno di pensare secondo delle gerar-chie e non solo se parliamo di militari o ordini religiosi. Cerchiamo sempre di sottova-lutare le altre specie animali e sopravvalutare le nostri doti. In realtà, se si fosse meno miopi ci si renderebbe conto che in Natura spesso è Davide, lo sfigato, ad avere la me-glio su Golia, il superforzuto. Oggi che un po’ la nebbia sull’origine del cane inizia a dissiparsi, sarebbe il caso di pensare che se effettivamente c’è stata una storia di co-evoluzione (iniziata con un gruppo di lupi e degli uomini di Heidelberg circa 500.000 anni fa nel sud della Fran-cia, fino ad arrivare ai primi veri cani intorno a 40.000 anni fa), il processo formativo del cane dovrebbe essere basato proprio sul reciproco beneficio che deriva da un rap-porto simbiotico: soddisfacendo i bisogni del cane (primari, sociali, ecc.) l’uomo potreb-be ricevere in cambio la cooperazione del proprio cane. Ma, soprattutto, il suo affetto ed una immensa gratitudine per il rispetto che gli viene dato. E non è forse questo che noi andiamo cercando dai nostri amici a quattro zampe?

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In quanti e quali modi i cani cercano di farsi capire dai proprietari? Come comunicano fra loro? Questo libro è il frutto di 5 anni di studio, uno studio approfondito, della etologia e del compor-tamento sociale dell’unica specie animale che nel corso della propria storia ha deciso di evol-versi in compagnia dell’Homo sapiens. Scoprirete che il cane ha un linguaggio sociale, relazio-nale, emozionale ed affettivo molto complesso che è frutto di una evoluzione durata milioni di anni, pervenuta dagli antichi Canidi che l’hanno preceduto nel corso della storia evolutiva della Terra. Attraverso le esperienze dirette ed il confronto con gli studi scientifici Giovanni Padrone, edu-catore cinofilo studioso dell’etologia e della evoluzione del cane (per le quali ha già pubblicato nel 2012 ‘E il cane decise di incontrare l’uomo’) affronta i vari aspetti che spesso sono ragio-ne di conflitto da parte del genere umano, cercando di spiegare chiaramente tutte le sfaccettatu-re del comportamento canino. Allo scopo di rendere questo testo più completo, egli ha osserva-to per diverse settimane un gruppo di cani randagi viventi sulle colline vicino a Ravenna e ne ha annotato le similitudini e le differenze rispetto ai cani che vivono in compagnia dell’uomo. Nel libro è presente anche un ampio etogramma del cane, dove sono identificati e descritti oltre 150 comportamenti che il nostro amico a 4 zampe attua nelle proprie interazioni sociali ed am-bientali. Un libro per tutti coloro che desiderano ampliare le proprie conoscenze sull’etologia del Canis familiaris.

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di Debora Segna - Sta scritto che il re Salomone parlava con i quadrupedi, con gli uc-celli, con i pesci e con i vermi. Anch’io parlo con gli animali, seppure non con tutti, co-me sembra facesse il vecchio re, e ammetto la mia inferiorità su questo punto. Però parlo con alcune specie che conosco bene, e senza bisogno di un anello magico. In questo anzi io sono superiore al vecchio re, che senza il suo anello non avrebbe com-preso neppure il linguaggio delle bestiole con cui aveva maggior dimestichezza… io, per conto mio, trovo che comunque non è sportivo servirsi di un anello magico nei rap-porti con gli animali: anche senza ricorrere alla magia le creature viventi ci racconta-no le storie più belle, cioè quelle vere. E in natura la verità è sempre assai più bella di tutto ciò che i nostri poeti, gli unici autentici maghi, possono anche soltanto immagina-re.

Questa bellissima citazione è tratta dal libro “l’anello di Re Salomone” del famoso zoo-logo austriaco e padre fondatore dell’etologia (scienza che studia il comportamento de-gli animali) Konrad Lorenz. Già nel lontano 1949, Lorenz sosteneva l’importanza della comprensione del linguaggio degli animali e sottolineava quanto fosse essenziale co-municare con gli animali nel modo giusto, perché altrimenti c’era il rischio di commet-tere grossi errori.

Non è affatto strano che si possa comprendere il “vocabolario” di alcune specie ani-mali; noi possiamo anche parlare “agli” animali, per lo meno nell’ambito dei nostri mezzi fisici di espressione, e nella misura in cui, dal canto loro, gli animali son disposti

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a prendere contatto con noi. Bisogna però stare attenti a “non sbagliare lingua”.

Con il passare degli anni la scienza ha fatto passi da gigante e le ricerche che aveva iniziato Lorenz riguardo il linguaggio canino si sono consolidate sempre di più, sco-prendo quanto sia affascinante e lineare la comunicazione dei cani. Il cane, ha un linguaggio completamente diverso dal nostro, è un animale visivo che comunica in parte con l’abbaio ma prevalentemente attraverso i segnali del corpo. Ogni movi-mento corporeo corrisponde ad un segnale ben specifico. La codificazione di questi segnali è stata molto importante nella costruzione di una relazione equilibrata fra uomo-cane, che fino agli anni ’80 era stata principalmente a senso unico. Il cane non capisce il nostro linguaggio ma impara per associazioni ed ogni giorno con la nostra postura ed i nostri movimenti corporei non facciamo altro che comunicare “qualcosa” ai nostri amici a 4 zampe, ogni gesto corrisponde ad uno specifico com-portamento. A volte questi segnali possono indurre il nostro cane ad avere un com-portamento corretto ma il più delle volte otteniamo l’effetto contrario perché i nostri segnali sono spesso contraddittori fra loro e ciò determina che il nostro cane compia azioni sbagliate.

Le conseguenze di questi errori possono essere devastanti, rovinare la relazione fra il proprietario ed il povero cane che non riesce a comprendere il motivo per il quale il padrone sia spesso arrabbiato. Non dobbiamo mai dimenticare che il cane non cono-sce il nostro linguaggio, è come se qualcuno iniziasse a parlarci in una lingua a noi sconosciuta e l’errore che si fa spesso è che tendenzialmente ci rapportiamo con i nostri animali come se stessimo comunicando con un altro essere umano ma ciò è completamente sbagliato. L’antropomorfizzazione dei nostri cani fa sì che spesso ci si convinca che alcuni loro comportamenti siano riconducibili a quelli degli esseri umani, come per esempio: il cane fa i dispetti, il cane è geloso della figlia o del ma-rito, il mio cane ama essere preso in braccio e così via.

Nel linguaggio canino ci sono alcuni segnali che i cani adottano per prevenire l’accadere di un evento, per interrompere qualcosa, per comunicare e calmare se stessi quando sono stressati o quando si trovano in una situazione di disagio. Questi segnali sono chiamati “segnali calmanti” o “segnali di pa-cificazione”. Tutte le razze del mondo comu-nicano nello stesso modo, e tutti i cani utiliz-zano i “segnali calmanti” quando si sentono a

disagio per qualcosa. Alcune razze come quelle nordiche/primitive utilizzano alcuni segnali molto più di altre.

Vi sarà capitato di vedere in tv alcuni politici e personaggi pubblici rilasciare intervi-ste con graziosi cagnolini in braccio. Questo comportamento non solo è sbagliato ma è molto stressante per gli animali. Per manifestare il loro disagio molto spesso li ve-

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drete adottare i “segnali calmanti”, come: girare la testa di lato, socchiudere gli oc-chi, tirare indietro le orecchie, alzare una zampa, sbadigliare spesso, ansimare, grat-tarsi spesso, leccarsi il naso e molto altro ancora. Se il cane si è stressato molto è possibile che vediate comparire anche la forfora sul suo manto.

Molte persone in buona fede credono che ai nostri cani piaccia molto essere accarez-zati sulla testa, abbracciati, presi in braccio o che qualcuno si pieghi su di loro, ma esperimenti scientifici ad oggi hanno dimostrato che tutti questi gesti che gli esseri umani adottano abitualmente non solo non piacciono ai cani, ma sono estremamente stressanti per loro, anche se a volte possono tollerarli da parte dei proprietari.

Del resto anche a me darebbe molto fastidio se un estraneo mi mettesse una mano sulla testa o facesse tutte le altre cose che ho citato sopra.

Qualunque comportamento adottiate, ricordate che il cane non capisce il nostro lin-guaggio e comunica in modo diverso dal nostro, chiedetevi sempre se quello che pensate che sia giusto per voi lo sia anche per il vostro amico a quattro zampe.

Si dice che noi siamo degli “animali superiori” ed in quanto tali dovremmo avere l’umiltà e la voglia di imparare il linguaggio del nostro cane, per riuscire a guardare le cose da altre prospettive. Scoprire un nuovo linguaggio è la chiave vincente per aprire la vostra mente a qual-cosa di estremamente affascinante e ricco di emozioni, solo così riuscirete a costrui-re una relazione equilibrata e a capire meglio come pensa il vostro cane.

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di Giovanni Padrone - Il cane, come noi e molte altre specie animali, è dotato di 5 sensi: vista, udito, olfatto, tatto, gusto. Tuttavia, mentre il nostro cammino evolutivo ci ha portati ad un maggior sviluppo della vista, nel cane, come in altre specie animali, l’evoluzione ha portato ad avere come primo senso l’olfatto. Deve essere assolutamente diverso vivere di odori, anziché di sensazioni visive ed immagini, anche se a dire il vero il cane non è cieco o ipovedente, ci vede bene anche se i colori a cui è sensibile sono più limitati dei nostri. Ma perché il cane ha un olfatto così sensibile? Nonostante ad un certo punto della storia della vita l’evoluzione ci abbia fatto incontrare gli

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antenati del cane e nonostante l’uomo ad un certo punto della storia evolutiva del ca-ne abbia modificato diverse caratteristiche di questa specie creando le razze, il cane ha mantenuto molte altre cose che i suoi antenati avevano, come ad esempio un buon fiuto e, se pensiamo a ben determinate razze (come i cani da traccia e quelli da tartufo), la selezione umana ha addirittura esaltato questa dote. Anche cani che han-no un contatto ambientale basato maggiormente su altri sensi, come i levrieri (che sono cani con una vista molto acuta rispetto ad altri: questo perché quando furono selezionati i nostri antenati riuscirono ad esaltarne le doti da cacciatori e un buon cacciatore deve essere in grado di analizzare quale sia la preda migliore in quel de-terminato istante), hanno a tutti gli effetti un ottimo olfatto (io personalmente ho la mia giovane whippet che trova tartufi nel terreno). Se pensiamo al nostro misero naso, con 5 milioni di recettori ed un organo vomero nasale (le cui funzioni saranno spiegate più sotto) semi-atrofizzato e poi lo confron-tiamo con il naso di un qualsiasi cane (con una media di 160 milioni di recettori ed un O.V.N. assolutamente sviluppato ed efficiente), possiamo capire la ragione per cui i cani abbiano un fiuto così raffinato e siano a noi molto superiori. Inoltre, il cane ha un modo particolare di ‘osservare’ gli odori: la fiutata, infatti (consistente in una serie che va da una a tre annusate, seguite da tre/sette sniffate), consente ai nostri a-mici a quattro zampe di discernere le molecole odorose provenienti dal terreno. E già da questo scopriamo un falso televisivo: non esistono ‘i cani molecolari’ e gli al-tri cani, poiché sotto questo punto di vista tutti i cani sono ‘molecolari’. Quello che fa la differenza, ad esempio, fra un Bloodhound ed un Zwergpinscher è un maggior numero di recettori olfattivi presenti nel naso del primo rispetto al naso del secondo. Inoltre esistono cani che inalano grandi masse d’aria e seguono un cono d’odore. Cani con questa attitudine sono i Pointer ed i Setter, dei quali è molto nota la capaci-tà di individuare la selvaggina annusando le tracce olfattive che vengono rilasciate nell’aria inspirando in modo molto approfondito col vento a favore, poiché la strut-tura del loro apparato respiratorio (assi cranio facciali paralleli o convergenti, buono sviluppo dei seni frontali e torace ampio) favorisce questo genere di indagine olfatti-va. Una volta che è stato individuato l’odore, si inoltrano nel suo cono e quando hanno individuato la sua fonte si fermano nella caratteristica posa di punta (Fig. 1).

Ma il naso del cane non è solo questo. Il cane, infatti, comunica con i propri si-mili in tre modi: attraverso i segnali visi-vi (noti come RITUALI SOCIALI), le vocalizzazioni e il rilascio di tracce chi-miche, ciò che la scienza chiama FERO-MONI. Il nostro amico a quattro zampe è dotato di un ampio arsenale chimico col quale comunica il proprio stato emo-tivo, la propria salute, la sua identità e se è una femmina il proprio stato sessuale, ossia se è in un periodo in cui sia alla ricerca di un compagno per accoppiarsi ed avere prole. Fig. 1 - Punta di un pointer

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Le specie animali hanno sviluppato appositi organi per recepire le tracce feromonali: gli insetti, ad esempio, hanno le antenne, gli aracnidi hanno organi piliferi distribuiti sul corpo. I pesci utilizzano dei neuroni specializzati che risiedono nell’epitelio ol-fattivo e le informazioni vengono elaborate attraverso percorsi cerebrali distinti da quelli dei ‘normali’ neuroni olfattivi. Durante l’evoluzione delle specie animali ap-pare un organo specializzato per la rilevazione dei feromoni. Infatti, quando gli anfi-bi si avventurarono sul suolo terrestre nel Periodo Devoniano, intorno a 370 milioni di anni fa, acquisirono l’organo vomeronasale, anche se non si saprà mai se questo era presente nelle fasi transitorie fra pesci crossopterigi e primi veri anfibi o se le prime specie di anfibi ancora non lo possedevano. Tuttavia, nelle specie terrestri ani-mali oggi viventi questo organo è presente, dall’anfibio meno evoluto fino ai mam-miferi. Come si è precedentemente scritto, anche l’uomo lo possiede, ma è molto ri-dotto ed inefficiente e questo grazie all’evoluzione che ci ha condotti ad un mondo fatto di immagini, mentre gli altri animali vivono in un mondo di odori, se si eccet-tuano i primati più evoluti e gli uccelli che si trovano in una situazione analoga alla nostra. L’organo vomeronasale (Fig. 2) nel cane, come in tutti i mammiferi, è una struttura tubolare che risiede nella cavità nasale posta sopra il palato. Viene anche chiamato ‘organo di Jacobson’ perché fu scoperto nel 1813 dal biologo danese Ludwig Levin Jacobson, anche se in realtà era già stato individuato nei serpenti alla fine del 18.mo secolo dall’anatomista olandese Frederick Ruysch.Gli epiteli sensoriali posti lungo il setto nasale formano strati curvi, dividendo i due lati del naso; circondano, inoltre l’area vomeronasale che è riempito di liquido dalle ghiandole stesse. Qui vengono recepite le molecole feromonali pesanti ed è qui che interagiscono i recettori neuro-nali.

I ricercatori hanno indivi-duato tre classi di recetto-ri vomeronasali, accop-piate a catene proteiche con sette domini tran-smembranici, la cui asso-ciazione coi leganti vo-meronasali causa una ca-scata di segnali che tra-sformano in impulsi elet-trici i segnali chimici...

Fig. 2 - Posizione dell’O.V.N. nel cane

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di Davide Bressi - Il pedigree è un argomento sempre discusso tra i

"non addetti ai lavori". Se ne sente parlare spesso di questo documento,

ma raramente in modo esaustivo. Specifico che il pedigree non è solo

quel documento, come molti pensano, che permette al cane di accedere

alle esposizioni di bellezza. Chiarisco subito questo punto, perchè spes-

so sento persone che chiedono di acquistare un cucciolo senza pedigree

esclamando la solita frase (che ciclicamente rimbomba nella mia testa)

"A me il pedigree non serve, non devo far gare.."

Il Certificato d'iscrizione al Registro Origini Italiano (abbreviazione

R.O.I.) ovvero il pedigree, è più di questo. E' un documento ufficiale,

una carta d'identità molto dettagliata che viene rilasciato, per il nostro

territorio, solo dall'Ente Cinofilia Italiana, affiliata a sua volta alla Fede-

razione Cinologica Internazionale. In esso sono racchiuse molte infor-

mazioni utili che spiegherò più avanti nel dettaglio. Nel pedigree è raffi-

gurato l'albero genealogico del cane: genitori, nonni, bisnonni e trisnon-

ni. Da qui si può capire l'effettiva importanza di questo documento. In-

fatti l'albero genealogico, attraverso i nomi dei soggetti presenti in esso,

fornisce la possibilità di raccogliere molte informazioni preziose anche

sulla progenie. Informazioni sanitarie come il grado di displasia dei ri-

produttori, ma anche informazioni quali i titoli di campione italiano/

internazionale di lavoro o bellezza, e titoli vari come brevetti, prove di

selezione, campione sociale, campione riproduttore, ecc. E' quindi al-

quanto riduttivo affermare che il pedigree non sia importante. Attual-

mente però mi sento di dire che in Italia i controlli sulle cucciolate sono

saltuari, non sempre le delegazioni Enci dislocate sul territorio eseguo-

no controlli serrati sulle cucciolate. In questo senso il deposito del cam-

pione biologico (DNA) dei riproduttori, è un valido strumento per veri-

ficare la parentela del cucciolo con quest'ultimi.

La legge italiana specifica chiaramente che cane senza pedigree non è

da considerarsi cane di razza e aggiunge che vendere cani non di razza è

vietato. Vi rimando alla lettura del Decreto legislativo del 30 Dicembre

1992, n. 529 inserito a fondo pagina.

Il pedigree è uno strumento identificativo di un soggetto all'interno di

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una razza. Per far sì che il cucciolo abbia l'iscrizione al R.O.I. ovviamente è in-

dispensabile che anche i genitori figurino in tale registro.

Per i cani che non possiedono pedigree, ma che rispecchiano la tipicità della raz-

za è possibile ottenere l'iscrizione al Registro Supplementare Riconosciuti

(R.S.R.). Tale documento non ha la stessa valenza di un pedigree R.O.I. ed è ri-

conoscibile perchè di colore verde. Questo registro è aperto solo ad alcune razze

(vedi link http://www.enci.it/documenti/RSR_ESCL_PRIMAGEN.pdf). L'iscri-

zione al R.S.R. si ottiene partecipando ad un'esposizione di bellezza organizzata

dall'Enci. I cani giudicati "tipici" avranno il Certificato d'iscrizione al Registro

Supplementare Riconosciuti (R.S.R.) e il cane figurerà come capostipite. I cuc-

cioli nati dall'accoppiamento di un soggetto con iscrizione al R.S.R. e un sog-

getto iscritto al R.O.I. avranno a loro volta l'iscrizione al R.S.R. Solo la cuccio-

lata appartenente alla quarta generazione potrà richiedere l'iscrizione al R.O.I.

Riassumendo, l'iscrizione al R.S.R. è un percorso lungo riservato solo ad alcune

razze, che permetterà in futuro di avere cucciolate con pedigree R.O.I. L'Enci ha

istituito nel suo sito ufficiale un "data base" dove è possibile accedervi per con-

sultare tutti i pedigree semplicemente inserendo il numero di microchip del cane

o altre informazioni quali il nome del cane e nome del proprietario o allevatore.

Dunque è possibile verificare la genealogia anche prima di acquistare il cuccio-

lo.

Vediamo nello specifico le pratiche burocratiche che l'allevatore occasionale o di

professione deve sbrigare per dotare la cucciolata del pedigree. Innanzi tutto il

proprietario della fattrice deve compilare un documento chiamato "Modello

A" entro 25 giorni dalla data di nascita della cucciolata e consegnarlo alla Dele-

gazione ENCI competente per territorio in cui sono verificabili fattrice e cuccio-

li. Successivamente, entro 90 giorni dalla data di nascita della cucciolata dovrà

compilare il "Modello B" per la denuncia d'iscrizione della cucciolata, presen-

tandolo alla Delegazione ENCI competente per territorio. Questi modelli sono

scaricabili gratuitamente sempre dal sito Enci, di facile compilazione e com-

prensione per tutti.

La modulistica ha un prezzo molto ridotto, a differenza di quanto si possa pensa-

re. Il "Modello A" ha un costo di euro 14,50 più tasse di segreteria di euro 8,50.

Mentre il "Modello B" viene calcolato a cucciolo. Per ogni cucciolo deve essere

versato un importo di euro 20 più tasse di segreteria di euro 8,50. Queste sono le

spese a carico dell'allevatore. Il ritiro del pedigree è a carico del proprietario del

cucciolo che dovrà versare alla delegazione Enci di zona un importo di euro

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13,50 più tasse di segreteria (quelle ci

sono sempre) di euro 8,50. Come po-

tete notare sono importi esegui ben

distanti dalle richieste di alcuni che

fanno il solito giochetto sul prezzo del

cucciolo con o senza pedigree. Da qui

si valuta anche la serietà di un alleva-

tore. Vi rimando per completezza ad

un altro articolo, una mini guida per

scegliere un cucciolo evitando possi-

bili tranelli: "La scelta del cucciolo".

A tal proposito apro una breve parentesi dicendo che gli allevamenti amatoriali e profes-

sionali (professionali intesi con partita iva) con affisso riconosciuto dall'Enci sottoscrivo-

no il "Codice Etico Allevatori" che impone di osservare alcune regole volte al migliora-

mento della razza e alla diffusione di una corretta cultura cinofila. Infine sottolineo che

un cane con pedigree non vi assicura di aver scelto un buon cucciolo, ma come detto pri-

ma vi fornisce dei dati ai quali attingere per fare eventuali controlli. Il proprietario di un

cane senza pedigree, troverà difficoltà nel reperire un altro cane per l'accoppiamento, nes-

sun allevatore o privato che lavora con serietà acconsentirà ad un accoppiamento nel qua-

le uno o entrambi i soggetti sono sprovvisti di tale documento.

Dunque possiamo riassumere dicendo che i cani di razza, dotati di Pedigree sono tutti

censiti presso l'ENCI (Ente riconosciuto dal Ministero delle risorse agricole alimentari e

forestali) e il titolo di proprietà è costituito proprio dall'intestazione di detto Pedigree, cer-

tificato in pergamena, con bollo in rilievo, rilasciato esclusivamente dall'Enci a distanza

di qualche mese dalla data di nascita del cucciolo.

Questo documento riporta il nome degli antenati sia paterni che materni del cane, la raz-

za, il sesso, l'allevatore, il numero del microchip, la data di nascita e il nominativo del

proprietario. La cessione di ogni esemplare provvisto di Pedigree deve risultare dal certi-

ficato stesso, mediante annotazione nell'apposito spazio con ratifica del Gruppo Cinofilo

competente per territorio. In caso di mancanza di tale annotazione e della relativa ratifica,

la cessione non è valida: il passaggio di proprietà, infatti non si può perfezionare con la

semplice consegna fisica dell'animale ("traditio brevi manu"), ma solo con il trasferimen-

to formale e relative annotazioni.

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Da quando gli antenati del cane 130.000 anni fa lasciarono la vita sel-vatica per convivere insieme all’uomo, qualcosa è cambiato. Infatti, no-no-stante in natura fosse già presente la convivenza fra specie diverse, cane e uomo hanno esaltato ai massimi livelli la cooperazione interspe-cifica, arrivando a veri e propri scambi culturali: il cane impara dall’uomo e l’uomo impara dal cane. E’ questo l’unico modo che l’essere umano ha per poter carpire dal proprio compagno i segreti che lo rendono un animale particolare, una sinfonia a 4 zampe. Il libro racconta le origini, l’evoluzione, la psicologia e tutti i meccani-smi che sono alla base di questo straordinario binomio unico nel suo genere ed unico in Natura; è rivolto a tutti i cinofili, dall’uomo e dalla donna comune al professionista che intendono aggiornare le proprie co-noscenze e magari vedere sotto un altro punto di vista cosa sia vivere il proprio cane. In formato PDF.

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SU BIANCA E’ CADUTA LA NEVE - Luciano Somma

Bianca sa che il padrone non torna,

ma lo aspetta ugualmente.

L’ospedale è a due passi da lei

come il cibo che non vuol mangiare

perché la memoria sua è ferma

colla mano callosa ma buona

che le carezza la testa,

e ora che resta?

A che serve il Natale

(perché sa, lo ha capito

guardando un albero pieno di luci

ch’è festa)

se il suo amico più caro non c’è?

Eppure lo cerca caparbia

nel viso di ogni passante!

Ma l’odore di chi amava tanto

è ormai troppo lontano.

L’aria attorno si è fatta di gelo.

Le si appannano gli occhi.

Su Bianca è caduta la neve.

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Cinofili Stanchi nasce dall’idea di tre cinofili (Marcello Messina, Gianluca Gherghi e Giovan-ni Padrone) che hanno unito le proprie menti ed esperienze per creare un punto di riferi-mento per chi vive col proprio cane e necessita di corrette informazioni per migliorare il pro-prio regime di vita. ‘Cinofili stanchi’, perché stanchi della totale di-sinformazione che regna nella cinofilia nostrana, stanchi di chi fa marketing sulla ignoranza delle persone, stanchi delle leggende metropolitane che sembrano governare le menti di chi do-vrebbe diffondere una corretta cultura cinofila e non lo fa. Chiunque desideri contribuire col proprio sa-pere sarà ben accetto dopo aver aderito al no-stro codice etico che pone avanti a tutto il be-nessere psicofisico del cane.

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Periodico gratuito di informazione cinofila

I nostri collaboratori (educatori, addestrato-ri, allevatori e cinofili professionisti) sono presenti a Carpi (MO), Castellazzo Novare-se (NO), Parma, Ravenna, Ancona, Velletri e San Marco in Lamis (FG). Castellazzo Nov.se -NO- cell. 339-7397499 Emilia Romagna PARMA cell. 346-6964342 CARPI -MO- cell. 348-8029763 RAVENNA cell. 338-1841201 Marche: cell. 338-3787447 Lazio: cell. 338-6523430 Puglia: cell. 328-5972631 Email: [email protected]

Noi siamo i nostri cani...

Cerca di essere una brava persona come il tuo cane pensa tu sia. Per questa e tante altre ragioni non

maltrattare, né abbandonare il tuo migliore amico. Chi maltratta o abbandona un cane

non è una brava persona.


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