1 Alessio Brunelli – diritto tributario progredito 11-12
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Diritto
tributario
Progredito
A cura di Alessio Brunelli
Appunti delle lezioni
AFC – 2011/12
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Annotazioni
3 moduli: processo tributario (1 libro a scelta tesauro giappichelli “manuale del
processo tributario”, basilavecchia “funzione impositiva e tutela del
contribuente” forse un po’ più immediato per noi, ci sono capitoli che
non riguardano strettamente il processo (l’accertamento è da
rivedere, riscossione)
Fiscalità delle operazioni straordinarie (non c’è testo ma fotocopie di
un manuale che sono in dipartimento, dott farsitta cedam 2011
“manuale del diritto tributario” parte speciale sulle operazioni
straordinarie)
Fiscalità internazionale e comunitaria (sacchetto giappichelli 2012 o
2011 “principi di diritto tributario internazionale ed europeo”)
Su aula web ci sono esempi di esami: 15 domande in pochissimo tempo
Processo tributario
DPR 545-546 – 91. Il primo disciplina il funzionamento delle commissioni, le regole
sui giudici, la astensione, la ricusazione dei giudici. È il secondo che dà
le regole che disciplinano il processo tributario. La legge precedente
era il DPR 636-72 che disciplinava il processo innovandolo rispetto al
passato. Altro passo indietro: prima del 72 c’era stata revisione sul
processo nel 36, quindi arco di tempo lungo durante il quale il
processo con tutte le sue lacune e carenze forti è rimasto uguale.
Ancora prima nel 1880 perché ci fu la divisione della giurisdizione in
due grandi giurisdizioni: quella del giudice ordinario e poi quella
amministrativa. Ci sono tuttora queste due divisioni. La differenza tra le
due è sempre stata ricondotta alla diversità di condizione giuridica
soggettiva sottostante. Quella ordinaria era rappresentata da diritti
soggettivi quindi si va dal giudice ordinario quando è questione di
tutela di diritti soggettivi, quando invece si devono tutelare interessi
legittimi allora si va dal giudice amministrativo. E la materia tributaria?
È una giurisdizione a sé? O è amministrativa? O è ordinaria?
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Giurisdizione si intende giudici che sono dei veri e propri magistrati
(hanno sostenuto un concorso di magistratura, oggi parte dei giudici
tributari non sono magistrati e questo è gravissimo perché è molto
complesso il processo tributario). Il processo tributario nasce così: la
tutela per le liti tributarie viene alla fine ottocento di fronte a giudice
ordinario (ora si va di fronte a giudice speciale), ma solo quando
c’era violazione di norme, se invece questioni di fatto (tipo questioni
estimative cioè cedo un immobile ad un altro soggetto, dichiaro un
certo valore come corrispettivo di vendita e questa operazione è
soggetta a varie imposte, il fatto di stabilire il valore dell’immobile è
una questione di fatto, non è un fatto di errata applicazione di norme
tributarie, per questa tutela il giudizio era affidato a commissioni
formate da soggetti che appartenevano all’amministrazione tributaria
(non erano giudici, erano magari gli stessi che avevano emesso
l’avviso di accertamento). Non avevano natura giurisdizionale ma
natura amministrativa queste commissioni. C’era la regola del solve et
repete cioè prima paghi e poi vai di fronte al giudice ordinario per le
questioni di diritto, per fortuna la corte costituzionale nel 61 ha
eliminato questa regola assurda.
La riforma degli anni 30 non cambia molto perché le commissioni tributarie sono
sempre formate da personale amministrativo.
Riforma anni 70: la corte costituzionale non voleva ammettere che le commissioni
non avevano natura giurisdizionale perché significava dire che non
erano giudici autentici quindi non potevano neanche sollevare
questioni di costituzionalità. La corte costituzionale ha atteggiamento
oscillante negli anni 60, subito nega la natura giurisdizionale poi le
riconosce poi altro cambio di marcia e si arriva alla fine alla riforma
tributaria quando si cerca di affrontare questa questione e viene
riconosciuta natura giurisdizionale a queste commissioni, perché le
conseguenze sennò sarebbero state disastrose. I componenti di
queste commissioni sono nominate dal PdR su proposta del ministero
dell’economia e delle finanze, quindi è un legame forte e quindi non
si è indipendenti. Nel processo tributario quindi abbiamo ancora
questo neo che non garantisce tutela totale al contribuente perché
rimane questo collegamento con il ministero dell’economia. Invece
negli altri processi il giudice risponde solo alla legge (art 101 cost).
viene eliminata la regola del solve et repete, ci sono poi 4 gradi di
giudizio, primo grado commissione tributaria di primo grado poi di
secondo grado, viene creato un terzo grado che ora non c’è più e
che poteva essere fatto di fronte alla centrale e di fronte alla corte
d’appello del giudice ordinario, poi il quarto grado per cassazione
che è unica e ha sede a roma ed è giudice ordinario.
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Riforma anni 90: accorciamento con solo 3 gradi di giudizio provinciale, regionale
(che sono giudici speciali), cassazione. Le commissioni tributarie
possono essere formate da giudici laici.
Anni 40: in dottrina viene sistematizzata la materia del processo tributario con la
dimostrazione che con le poche norme che c’erano a queste
potevano essere applicate tutte le norme del cpc e non perché il
processo tributario fosse simile come tipo a quello civile (è più simile
semmai al processo amministrativo perché stiamo impugnando un
atto dell’amministrazione finanziaria per chiederne l’annullamento,
l’impugnamento di un atto è tipico del giudizio amministrativo),
perché sono norme norme processuali di diritto comune cioè dicono
che sono norme a carattere generale che si applicano a qualunque
processo e in quanto compatibile anche col processo tributario,
prima non c’erano regole processuali, così invece inizia la
processualizzazione del processo tributario. Prima non c’erano norme
sulla ricusazione dei giudici, sentenze senza motivazione non c’erano
norme specifiche. Il processo tributario come atto di impugnazione di
un atto, questa natura di impugnazione di un atto è riconosciuta da
molti autori ma non da tutti, ad esempio c’è chi c’è ancora ora parte
da una visione completamente opposta (Russo), lui vede il processo
tributario come processo civile, non è questione di impugnare degli
atti, ma si chiede di giudicare una certa cosa. La teoria prevalente è
quella della natura del processo tributario come processo di
impugnazione dell’atto, non di accertamento del rapporto di imposta
come dicono alcuni altri autori.
Riforma anni 90: nella costituzione. Alla base di qualsiasi processo art 24 diritto di
difesa. Se ciascuno di noi ha diritto di difendersi è grazie a questa
norma. Tutela dell’interesse fiscale del fisco art 53 cost ci tutela per
certi aspetti perché ci tutela (tutela l’interesse del fisco a percepire
tributi) in quanto siamo chiamati a concorrere alle spese pubbliche
ma in ragione della nostra capacità contributiva quindi se non ho
nulla per vivere non contribuisco (limite minimo) e non possono
confiscarmi tutto se sono molto ricco (limite massimo). Troppo spesso
la corte cost ha sacrificato l’art 24 per tutelare il fisco. Obbligo di
contribuire art 53, ma la tutela di questo non deve comprimere il
nostro diritto di difesa ex art 24 cost. se si vuole tutelare ulteriormente
l’interesse del fisco non bisogna comprimere il diritto di difesa ma
semmai intervenire con norme sostanziali. Art 101, qualunque giudice
risponde solo alla legge ma il giudice tributario risponde un po’ anche
al ministero e questo non è bello. Art 113 tutela contro atti della
pubblica amministrazione. Art 111: contiene il principio sul giusto
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processo ed è stato modificato negli anni 90 stabilendo che la
giurisdizione si attua secondo le regole del giusto processo stabilite
dalla legge, 2 il processo si svolge nel contradditorio delle parti cioè le
due parti (il contribuente e il fisco) devono avere un momento di
contraddittorio cioè non può presentarsi solo una parte di fronte ad
un giudice terzo ed imparziale. Viene poi garantita la ragionevole
durata del processo. È su questo profilo del giusto processo che il
processo tributario si distanzia dagli altri processi. Nonostante la
riforma anni 90 abbia modificato la disciplina, restano però molti limiti.
In cosa ha migliorato grazie a riforma anni 90: prima non vi era
obbligo della difesa nel processo tributario è stato grazie al 90
l’obbligo per il contribuente di farsi assistere da un soggetto abilitato
quindi c’è un avvicinamento del processo tributario agli altri processi.
Solo per cause di modico valore posso difendermi da me, anche se
sono un soggetto abilitato. Un altro regola introdotta negli anni 90 che
prima non c’era ed ha avvicinato al giusto processo parla delle spese
processuali, la parte soccombente deve pagare le spese di giudizio,
le sue e quelle della parte vittoriosa. Sono le spese dell’avvocato
soprattutto, ma anche un CTU consulente tecnico di ufficio che può
essere richiesto dal giudice. Si è rimediata ad una ingiustizia: prima
non era applicata questa regola per cui se il contribuente era
vittorioso doveva comunque pagarsi le sue spese di giudizio, dietro si
vede un eccessivo interesse dell’amministrazione fiscale. Il cpc
consentiva la compensazione delle spese cioè ognuno pagava le
sue. Nel processo tributario troppo spesso il giudice decideva per una
compensazione delle spese. Non è giusto, la compensazione delle
spese non può essere la regola. Nel processo tributario c’era un abuso
di questa regola. Si sono ristrette le ipotesi di compensazione delle
spese anche nel processo civile e quindi anche il processo tributario
vedrà ridursi ulteriormente questa possibilità. Sono giudici speciali oggi
quelli del processo tributario, ma la nostra costituzione vieta giudici
speciali, la costituzione vietava l’istituzione di nuovi giudici speciali
negli anni 40 si pose il problema della possibilità di mantenere questi
giudici speciali e questo problema si ripose con le riforme successive.
C’era una disposizione transitoria della cost che diceva che si
potevano mantenere i giudici speciali esistente al tempo della cost
quindi si salvarono perché erano giudici speciali preesistenti alla
costituzione quindi queste commissioni sono legittime.
Attualmente quindi cosa ricade nella DPR (546-92), nell’art 2 si parla della
giurisdizione tributaria: con interventi 2001 e 2005 ora la giurisdizione
tributaria è una giurisdizione generale cioè comprende la generalità
delle controversie in materia tributaria ma non esclusiva perché
tuttora qualche aspetto della materia tributaria non ricade nella
giurisdizione tributaria: non vi ricadono le controversie sulla riscossione
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fino alla cartella di pagamento, ma non oltre la cartella di
pagamento (atto che viene notificato all’abitazione con la quale è
richiesto il pagamento di una certa imposta), dopo la cartella di
pagamento se il contribuente non paga allora il fisco può procedere
con l’esecuzione forzata, per tutti gli atti successivi alla cartella di
pagamento che il fisco può fare a danno del contribuente o del terzo
(pignoramento di mobile che appartiene al coniuge separato) per
tutti questi atti anche se è tributaria rientra nel giudice ordinario
come ad esempio l’atto di opposizione al pignoramento del fisco.
Cosa è cambiato poi? Nel 91 c’era elencazione di imposte per
stabilire la giurisdizione, poi si è tolta elencazione per avere dizione in
termini generali, ad oggi si dice che ricadono nella giurisdizione
tributaria tutte le conversie su tributi di ogni genere e specie. Già nel
2005 però viene fatto un ulteriore ritocco a questo art 2, e si aggiunge
che rientra nella giurisdizione tributaria anche la COSAP (canone per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) poi vi viene fatto rientrare il
canone per la rimozione dei rifiuti urbani poi anche il canone per la
defluizione delle acque reflue quindi si includono le controversie
relative a canoni (entrate pubbliche non hanno natura di tributo,
queste tre cose erano veramente canoni e infatti nel 2008 la corte
cost ha stabilito l’illegittimità della norma che infilava la cosap, stessa
fine nel 2010 per il canone acque reflue e stessa sorte anche nel 2008
per un aggiunta fatta nel 2005 che diceva che le controversie relative
alle sanzioni ci entravano non solo sanzioni tributarie ma anche tutte
le sanzione emanate da uffici finanziari che può emanare anche
sanzioni non tributarie).
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Peccato del processo tributario rispetto al giusto processo:
nel processo tributario abbiamo due tipi di azioni: azioni di impugnazione (con le
quali il contribuente impugna un atto avviso di accertamente, cartella di
pagamento, iscrizione a ruolo), azioni di rimborso (ha chiesto il rimborso di una
imposta che lui ritiene non dovuta, e l’ufficio risponde rifiutando il rimborso, quindi
è la reazione al rifiuto di un rimborso). Quando si parla di azioni di rimborso allora
che tipo di situazione abbiamo davanti? Interesse legittimo o diritto soggettivo? Il
credito è un diritto di credito quindi è una situazione di carattere soggettivo e
creditorio, è una situazione giuridica che corrisponde ad un diritto soggettivo.
Impugnazione invece siamo di fronte ad interesse legittimo. Quindi nel processo
tributario ci sono entrambe le situazioni. Ora cosa c’è che non c’è rispetto al
giusto processo: nel diritto civile un credito nei confronti di chiunque il diritto si
prescrive in 10 anni, ma allora perché nel processo tributario nelle liti di rimborso il
contribuente ha un termine di decadenza di 60 giorni, quindi neanche di
prescrizione. Se non facciamo azione entro 60 giorni non possiamo più agire in
giudizio.
Altro punto dolente: nel processo tributario non è ammessa la prova per testimoni,
però sono ammesse le dichiarazioni di terzi. Quindi è una lacuna colmata da
questa possibilità. Non si possono poi cumulare sanzioni penali e tributarie,
comunque è anche assurdo che se inizia anche una causa penale in parallelo a
quella amministrativa allora là ..
il ricorrente nel primo grado di giudizio è il contribuente, se non propone il ricorso
entro 60 giorni allora perde la possibilità, il resistente è l’amm fin o l’agente della
riscossione, questo può non presentarsi al giudizio o anche farlo tardivamente.
Quindi il contribuente deve fare tutto di corsa, mentre il resistente è bello sciallo. Il
resistente (fisco) nel primo grado può non costituirsi in giudizio senza che questo
precluda la sua difesa o farlo tardi. Deve poi depositare le controdeduzioni in un
termine non così ristretto. È una situazione squilibrata e presenta profili di
incostituzionalità per l’art 101 sul giusto processo (“a parità delle parti”) ma qui
sono squilibrate.
Un altro punto: in tutti i processi è possibile la tutela cautelare. Art 47 546, c’è tutela
cautelare ma solo nel primo grado di giudizio ma non in appello e neanche
innanzi alla corte di cassazione. È una tutela che ha il contribuente, in presenza di
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due presupposti (apparente fondatezza del ricorso cioè il giudice si accorge che il
contribuente non ha torto marcio, e il periculum in mora cioè per il fatto di pagare
l’imposta che il fisco richiede il contribuente si trova in una situazione di danno
grave), l’ufficio può già chiedermi il pagamento dell’imposta. Dal 2011 avviso di
accertamento sulle imposte sui redditi è esecutivo cioè devo già pagare
qualcosa. Quindi possibilità del contribuente di chiedere la sospensione del
pagamento fino a quando non avrà deciso nel merito la causa. È stata introdotta
solo nel ’91. Prima c’era solo la tutela cautelare amministrativa (non la chiediamo
al giudice di fronte al quale si chiede la risoluzione della lite ma la chiediamo
all’ufficio al quale dobbiamo pagare, quindi la tutela amministrativa nella
maggior parte dei casi non portava ad esiti positivi nei confronti del contribuente).
Ora si può chiedere al giudice prima della causa. Dov’è la pecca? È perché non
c’è nel secondo e terzo grado. Se il contribuente ha ottenuto la tutela cautelare,
appena c’è la sentenza di primo grado e propone appello allora inizia il secondo
grado e l’ufficio gli può chiedere l’altra metà (in pendenza di giudizio c’è
riscossione frazionata cioè in base a come va il giudizio può chiedere il
pagamento). Quindi anche se è infondato deve pagare. Questo limite è stato in
parte superato da sentenza di corte costituzionale 2010 che si è pronunciata per
incostituzionalità delle norme del 546 visto che non dispone tutela cautelare nel
secondo e terzo grado di giudizio. Mentre in primo grado di parla di sospensione
dell’esecuzione dell’atto impugnato, nel secondo e terzo grado di giudizio si
chiede sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo o di secondo grado.
Altro: nel processo tributario non c’è la possibilità della opposizione di terzo. Fisco
che pignora a casa del contribuente e sul bene dell’ex coniuge, questo può
opporsi a questo atto esecutivo ma non siamo nella giurisdizione tributaria (delle
commissioni tributarie) ma in quella ordinaria, dovrebbe esserci la possibilità che le
opposizioni di terzo rientrino nella giurisdizione tributaria.
546
Art 1: organi della giurisdizione tributaria. Commissione tributarie provinciali,
commissione tributaria regionale, la cassazione non è un organo della giurisdizione
tributaria, non è un organo speciale. La corte di cassazione è giurisdizione
ordinaria, nel 2000 è stata aperta a Roma una divisione tributaria.
COMMISSIONI TRIBUTARIE DPR 545
Art 1:
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2: non è un collegio giudicante cioè la provinciale ha tante sezioni a seconda del
carico di lavoro, ha un presidente, ciascuna sezione ha un suo presidente. Quindi
c’è presidente di sezione e presidente di commissione. Il collegio giudicante è
presieduto dal presidente della sezione e giudica con un numero invariabile di 3
votanti. Quando andiamo a discutere in commissione tributaria andiamo a
discutere di fronte ad un presidente di sezione che deve essere un magistrato
(soggetto che non è un giudice onorario, che ha fatto concorso e l’ha vinto).
3: presidente della commissione tributaria o di sezione (sia provinciale che
regionale). Devono avere gli stessi requisiti. Sono nominati tra i magistrati ordinari,
amministrativi, e possono essere in servizio o a riposo.
4: disciplina i giudici cioè tutti gli altri membri della commissione tributaria.
Composizione con mancanza di professionalità. Quindi i laureati dopo 2 anni.
Perché ce li hanno messi? Perché hanno professionalità in materia catastale ma
intanto decidono anche in merito di altri temi. Giudici possono anche essere
avvocati o commercialisti, è possibile però deve essere rispettata la regola della
incompatibilità perché se fosse libera professionista e giudice andrebbero tutti da
lei. Guardia di finanza che ha cessato l’incarico sennò di nuovo di parte.
8: incompatibilità: oltre a quello già accennato prima anche un soggetto che è
funzionario presso l’ufficio delle entrate di Genova, deve esserci la terzietà. Gli
appartenenti alla guardia di finanza, soci, amm e dip degli agenti della riscossione
(sono delle spa), può essere parte nel processo tributario in luogo dell’ente
impositore. Coloro che esercitano la professione tributaria, chi fa consulenza
anche in modo saltuario è in posizione di incompatibilità a riguardo della posizione
di giudice nella commissione tributaria. Comma 1 bis: non possono essere
componenti delle regionali i coniugi, i parenti di coloro che iscritti in albi
professionali esercitano l’attività professionale nella regione e nelle province
confinanti.
9: componenti delle commissioni tributarie. Lista proposta da ministero
dell’economia e delle finanze quindi siamo lontani dal giusto processo.
546
6: regolata l’astensione e la ricusazione del giudice tributario. Il contribuente ricusa
il giudice che è incompatibile, non basta che ci sia la disciplina, deve essere
anche data alle parti la possibilità di opporsi.
1: comma 2. I giudici nel processo tributario devono applicare le norme del cpc,
l’applicazione delle norme del cpc è subordinato a 2 presupposti: bisogna vedere
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se siamo in presenza di una lacuna cioè se è qualcosa che non è stabilito dal 546,
la norma è il significato che l’interpreta dà ad una disposizione, la disposizione è
quello che è espresso, bisogna quindi vedere se è espressa, se non lo è bisogna
vedere se si può interpretare. Esiste poi un altro test che dobbiamo verificare,
dobbiamo verificare la compatibilità della norma con il diritto processuale
comune, cioè non tutte le norme del pc vanno bene per il processo tributario. Se
anche il cpc dovesse essere superato un domani con un altro cpc allora il rinvio è
automatico anche il riferimento al nuovo cpc. Ci sono poi anche rinvii espliciti al
cpc per i quali quindi non occorre fare test e ragionamenti. Questo è un rinvio
ricettizio. Se c’è rinvio ad una norma, essendo non formale ma ricettizio allora
anche se è modificato il 170 allora si riferisce a quello, se un domani il cpc viene
sostituito allora il rinvio non varrebbe più cioè non si dovrebbe guardare al nuovo
articolo che riguardo il 170 cpc.
Art 2: stabilisce l’oggetto della giurisdizione tributaria. Ci ha detto i ritocchi subiti
negli anni. Limiti esterni: tributi di ogni genere e specie comunque denominati,
quindi ci rientra anche il canone rai che nonostante il nome ricorrono i caratteri
tipici del tributo (deve esserci un aspetto di autoritatività cioè non determinato
dalla nostra volontà, altro aspetto è che lo dobbiamo pagare per un concorso
alle pubbliche spese), quindi si guarda alla presenza di questi due elementi. Non
solo ovviamente i tributi statali ma anche quelli regionali, provinciali, comunali.
C’era la tassa sul medico che ora non c’è più ma magari ci sono ancora sentenze
pendenti, sanzioni amministrative, addizionali. Sanzioni: nel 2008 pronuncia di
incostituzionalità di ogni sanzione amministrativa, solo se sono sanzioni tributarie,
non si può ampliare perché siamo di fronte a giudici speciali e staremmo
consentendo ad un giudice speciale di trattare questioni che non gli competono.
Restano escluse soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata
successivi alla notifica della cartella di pagamento. Nella fase esecutiva, la
cartella di pagamento è l’ultimo atto in cui ci si può opporre al giudice tributario,
poi ci si rivolge alla giustizia ordinaria. Infatti art 9 cpc prevede l’applicazione delle
norme del cpc nel processo tributario, ovviamente ora va letto alla luce del 546. In
base al 2 comma appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie
catastali (catasto dei terreni e catasto dei fabbricati: a ciascun terreno e
fabbricato è attribuito un reddito simbolico, la rendita, se è costruito un nuovo
edificio o sono fatti importanti lavori di ristrutturazione allora può modificarsi la
rendita, contro queste operazioni di accatastamento il contribuente può opporsi
alle modificazioni dell’agenzia del territorio, ma solo se sono atti individuali e non
collettivi. Se è notificato un atto della agenzia del territorio che mi dice che la
rendita è aumentata allora quello è un atto individuale, se invece c’è un atto
collettivo tipo rifanno il catasto in tutta Italia con un provvedimento a carattere
generale allora contro questo atto non si può impugnare di fronte al giudice
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tributario, l’impugnazione è possibile soltanto di fronte alla giurisdizione
amministrativa (TAR), il giudice tributario può solo disapplicarlo nei confronti dello
specifico contribuente cioè nel decidere la sua causa può decidere di
disapplicarlo nei confronti di quello specifico contribuente. Atti amministrativi
generali ricadono nella giurisdizione amministrativa, il giudice tributario può
disapplicare con efficacia singola questo atto.
Appartengono alla giurisdizione tributaria le tematiche relative alla COSAP (non
ha passato il vaglio della corte costituzionale, canone depurazione acque,
canone smaltimento rifiuti urbani c’è ancora).
Coniuge separato si accolla le imposte sull’assegno di mantenimento, però poi
non me le paga. È una controversia tributaria? Vado da un avvocato civilista o
tributarista? Non è tributaria perché si stanno litigando due parti private, c’è un
vincolo soggettivo cioè deve esserci una parte pubblica (ente impositore o
agente della riscossione) e un privato.
Grande dirigente cambia lavoro ed entra in una grande società e fa un accordo
con certo netto, quando c’è un accordo sul netto quindi tolte già le ritenute
fiscali, poi non lo rispetta. Ordinaria perché è una lite tra privati.
Datore e lavoratore però l’ipotesi è così: oltre allo stipendio il lavoratore ha diritto
ad una indennità di cui sia dubbia la tassazione. Possono esserci indennità che
non sono da tassare, il lavoratore parlando con consulenti ritiene che non sia da
tassare, invece il datore paga lo stesso perché ha paura delle sanzioni da
mancato versamento di ritenuta d’imposta. Il lavoratore vuole agire contro il
datore perché gli trattiene. Se me la prendo col datore di lavoro pretendendo il
rimborso sulla ritenuta allora questa causa dovrebbe rientrare in giurisdizione
ordinaria (la cassazione si è pronunciata non così). Datore di lavoro ha versato ma
non l’ha trattenuta al dipendente allora agisce contro il fisco qui è sicuramente
tributaria. La cassazione a corti riunite ha stabilito che entrambi i due casi rientrano
nella giurisdizione tributaria. È una ipotesi di litisconsorzio necessario.
La lite che si può instaurare tra il cedente di un bene o servizio e in cui addebita l’IVA,
questo soggetto fa poi la rivalsa su chi acquista e ci sono essere problemi tipo che
l’aliquota applicata sia sbagliata. Anche se riguarda un tributo, sono liti tra privati. Anche
se è soddisfatto il profilo oggettivo, non è soddisfatto il profilo soggettivo.
Altro esempio per mettere a fuoco i contorni della giurisdizione tributaria: tutti i soggetti
devono avere in Italia il loro domicilio fiscale che è da distinguere alla residenza fiscale, la
prima è una nozione di diritto procedimentale (riguarda norme impositrici), l’altra è
nozione di diritto sostanziale. Es: in TU dice che sono soggetti passivi dell’IRPEF (norma
impositrice) tutti coloro che hanno la residenza fiscale in Italia. Invece il domicilio fiscale,
questa nozione non si trova nelle norme impositrici. Nel DPR 600 si parla del domicilio
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fiscale e si dice che tutti quelli che producono redditi in Italia devono avere in Italia il loro
domicilio fiscale. Serve per sapere quale è l’ufficio territorialmente competente per il
controllo sul contribuente. Se c’è stata una attribuzione al soggetto del domicilio fiscale al
soggetto, quindi da parte dell’ufficio, nel comune in cui produce la maggior parte del
reddito è la regola. Quindi la amm stabilisce che il dom fisc sia a Roma e poi gli notifica
un atto in cui gli dice che quello è il suo dom fisc. Se non è Roma il nostro centro
principale di interessi economici allora ci vogliamo opporre a questo atto che ha natura
procedimentale. Affinché si ricada nella giurisdizione tributaria devono ricadersi anche
dei limiti interni (art 19 546). Secondo i limiti esterni potrebbe ricadere nella giurisdizione
tributaria ma non si rispettano i limiti interni che individua determinati tipi di atti. Allora la
conclusione è che non si ricade nella giurisdizione tributaria e siamo nella amministrativa:
è tipico della amministrativa l’impugnazione di un atto che ha natura procedimentale
(riguardare la giurisdizione amministrativa).
Altro caso: la tutela cautelare giudiziale ieri abbiamo parlato cioè chiediamo al giudice di
sospendere l’esecuzione. Prima degli anni 90 c’era solo la tutela cautelare di tipo
amministrativo cioè chiedere all’ufficio che ha emesso l’atto di sospendere con
probabilità bassissime di riuscire. Supponiamo di aver fatto tutela cautelare amministrativa
e ci sia il diniego dell’ufficio alla nostra istanza di sospensione amministrativa della
riscossione. È giurisdizione tributaria? Non è riportabile a quel catalogo degli atti
impugnabili, siamo extra-tributaria e siamo amministrativa.
Abbiamo impugnato la cartella di pagamento (atto emesso non da ente impositore ma è
notificata dall’agente della riscossione). Per tutte le controversie riguardanti vizi della
cartella, la controparte è l’agente della riscossione perché è lui che l’ha predisposta. C’è
un palese vizio della cartella emessa dall’agente della riscossione e sicuramente il giudice
dovrebbe riconoscere questo vizio ed annullare la cartella. Potrebbe essere che
l’iscrizione al ruolo era per 320 euro e poi diventa per 3200. Gli facciamo notare l’errore in
modo amichevole e lui non ne vuole sapere niente quindi siamo costretti ad iniziare una
lite per via legale. In casi come questi oltre a promuovere la lite di fronte alle commissioni
tributarie allora potremmo anche pensare che abbiamo dovuto pagare un difensore
quindi tutto questo ci costringe a spese, potrebbe esserci un danno collegato come un
danno di immagine quindi l’azione per risarcimento del danno che il contribuente può
esperire, questa azione per risarcimento del danno contro l’agente della riscossione,
potrebbe esserci il dubbio che sia nella giurisdizione tributaria ma non è un tipo di azione
esperibile nell’ambito della tributaria ma nei confronti della ordinaria.
Ci può essere un problema di difetto di giurisdizione? Sto promuovendo una lite di fronte
al giudice sbagliato cioè faccio un errore di giurisdizione. La norma di riferimento è nell’art
3. Il primo comma dice che il difetto di giurisdizione delle tributarie cioè vai di fronte alle
tributarie mentre non lo è. Allora questo è rilevato anche d’ufficio in ogni momento e
grado del processo, quindi lo può rilevare non solo le parti ma anche il giudice. Onde
evitare anche tattiche (ci possono essere comportamenti ad opera di una delle parti tipo
che per allungare i tempi del processo, sollevo il difetto di giurisdizione in secondo grado
così si allungano i tempi) allora si può fare un regolamento preventivo di giurisdizione cioè
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prima che ci sia stata una decisione del merito, prima che anche la provinciale si sia
espressa sul merito (le sentenze possono essere o sentenze di rito o sentenze di merito, ad
esempio è sentenza di rito che si ferma al procedimento quando si dichiara
l’inammissibilità del ricorso, invece è sentenza di merito quella che entra nel merito della
controversia). I giudici devono guardare per obbligo prima alle questioni di rito e poi a
quelle di merito. L’art 3 rinvia al 41, quindi il regolamento preventivo è possibile ma non ci
deve essere ancora decisione nel merito in primo grado, questo per evitare manovre
strategiche. Art 41 cpc..
Art 62 DPR 546: parla del ricorso per cassazione. La disciplina del ricorso per cassazione
stabilisce che contro la sentenza regionale possono essere proposta opposizione solo per i
motivi che sono nel 360 cpc, e il primo è il difetto di giurisdizione. Oggi questione di errori
di giurisdizione sono rare e quindi regolamento preventivo pure.
L’art 41 rinvia alle norme del cpc anche all’art 367 cpc. Sospensione del processo di
merito: l’istanza con cui chiediamo regolamento preventivo deve essere richiesto alla
corte di cassazione, una copia deve essere anche depositata presso la segreteria della
commissione tributaria provinciale in cui è pendente la causa. La segre della comm prov
fa un veloce esame di questo ricorso per cassazione per vedere se questo ricorso fosse
manifestamente inammissibile cioè siano dette delle cose strampalate. Se non ravvisa
nessuna di queste ipotesi allora sospende il processo perché occorre attendere la
decisione della cassazione. Questo articolo poi dice che se la corte di cassazione
dichiara la giurisdizione del giudice tributario (quindi quella corretta è del giudice
tributario) allora le parti devono riassumere il processo che era rimasto sospeso entro un
termine che è di 6 mesi dalla comunicazione della decisione della cassazione, la sentenza
della cassazione viene comunicata alle parti e le parti entro 6 mesi devono riassumere il
processo di fronte alla provinciale, se non lo fanno vi è l’estinzione del processo. Nel caso
in cui invece la cassazione dichiarasse la giurisdizione di un altro giudice, propria a tutela
dell’art 24 allora il processo viene traslato al giudice che è quello giusto, vi è traslazione,
non bisogna riproporre la lite.
Art 2 comma 3. La commissione tributaria regionale e provinciale se deve risolvere una
controversia tributaria può trovarsi a dover prendere posizione di fronte a questioni non
tributarie però decisive perché sono preliminari cioè se non risolve quelle poi non riesce a
risolvere la materia tributaria. Es: ICI doveva essere pagata dal proprietario dell’immobile
oppure dal suo coniuge, che aveva ottenuto l’assegnazione della casa coniugale con il
figlio. Questo è un diritto personale di godimento, chi è il soggetto passivo ICI di
quell’immobile? C’erano anni di sentenze di cassazione civili , l’ICI deve essere pagata da
chi è proprietario o ha un diritto reale, nella legge tributaria dell’ICI si diceva che doveva
pagare l’assegnatario della casa coniugale. Il comune richiese il pagamento sbagliato a
lei. È soggetto passivo ICI l’assegnatario della casa coniugale? La questione tributaria era
una pendice di una questione di diritto civile. Quindi cosa si fa? Si sospende il processo
civile e si aspetta una sentenza civile e poi continua in via tributaria? Quindi il giudice
tributario ha dovuto preliminarmente, in via incidentale, risolvere la questione di diritto
civile cioè capire se quello era un diritto reale o personale. La sentenza a cui ci si trova
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dinnanzi in questi casi contiene inevitabilmente una parte in cui si risolve la sentenza civile.
In questa decisione passa in giudicato solo ciò che riguarda la questione tributaria, non
passa in giudicato non ha valore di giudicato quello che è la soluzione della controversia
civile. È quasi come se non ci fosse stata una pronuncia, in via incidentale la questione è
comunque stata risolta. Ci sono questioni invece per le quali il processo deve essere
sospeso, cioè sospendere il processo e che qualcuno giudichi in altra sezione. Tipo si
dubita dell’autenticità di una firma (querela di falso), questioni sullo stato o la capacità
delle persone, diverse dalla capacità di stare in giudizio. Questione di capacità: uno è
quello del regolamento preventivo, oppure anche quando viene sollevata questione di
legittimità costituzionale. Quindi può esserci un arresto lì per lì, altro può essere mancato
rispetto delle norme di diritto comunitario. Queste questioni posso essere decise dalla
corte di giustizia europea. Se c’è violazione dei trattati internazionali allora è il caso di
violazione di norme costituzionali quindi è il caso di prima.
La competenza nel processo tributario:
nel processo civile abbiamo che le controversie sono devolute ad un giudice piuttosto
che ad un altro in ragione anche di altri elementi.
Il giudice tributario conosce solo la competenza per territorio e basta. Ma ci sono anche
altre tipi di competenze come quelle del valore, cioè nel civile il valore della lite è la base
per la competenza. Il valore anche è importante nel processo tributario ma non per
decidere la competenza. Se il valore è di 2000 euro ciascuno può decidere da sé, ma il
valore non serve per decidere la competenza, è per capire se c’è obbligo di assistenza
tecnica o no.
Le provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli uffici delle
entrate o del territorio (accertamenti catastali) ovvero degli enti locali ovvero degli agenti
della riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione. Quindi per individuale la
commissione provinciale competente, magari ho dubbio tra genova e imperia, il criterio è
semplice ed è territoriale, devo individuare la sede dell’ufficio che ha emesso l’atto
(ufficio delle entrate, ufficio delle dogane), quell’ufficio ha sede a Genova? Allora mi
rivolgo alla commissione tributaria di Genova. Oppure l’agente della riscossione che è
equitalia spa, occorre guardare alla sede del concessionario oppure alla sede dell’ufficio
che ha emesso l’atto. Ora il problema è risolto perché equitalia ha tante controllate
quindi ci sono tante sedi.
Per la regionale c’è di nuovo un criterio semplice perché è la regionale nella cui
circoscrizione ha sede la provinciale che ha emessa la sentenza contro cui si vuole
proporre appello.
Art 5: difetto di competenza. Oggi grazie alle norme dello statuto del contribuente pone
delle regole a tutela del contribuente. Tra queste, l’atto impositivo ma anche la cartella
devono contenere delle indicazioni per favorire il contribuente tra cui la commissione
tributaria competente per fare ricorso. Se vi è un problema di competenza cioè è stato
proposto ricorso ad una commissione incompetente allora si dice al primo comma che
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sembra che.. è rilevabile solo al grado di giudizio a cui si riferisce, dicendo che è un vizio
che può essere rilevato d’ufficio ma solo nel grado di giudizio a cui si riferisce cioè la
provinciale è incompetente, se nessuno se ne accorge e si va avanti e si passa al
secondo grado allora il vizio è sanato. Cosa che non era per il difetto di giurisdizione che
non si sanava! Questo vizio o viene sanato oppure è sanato. Una delle parti solleva la
questione di incompetenza, è chiaro che se il vizio viene sollevato allora è chiaro che il
vizio deve essere giudicato, allora la commissione potrebbe dichiarare la propria
incompetenza e magari anche quella competente di sanremo e se così fosse le parti c’è
la traslazione del processo di fronte alla commissione tributaria di sanremo. Cosa significa
riassumano? Presentano una istanza che presenta alla commissione tributaria di sanremo
in cui si dice che si vuole riassumere presso sanremo, deve essere fatto entro 6 mesi, se
così è non ci sono problemi, e poi ha l’effetto di stabilire per sempre cioè non può più
essere contestata se le parti riassumono. Se invece le parti non riassumono: genova
dichiara incompetenza con sentenza, le parti decidono di non riassumere oppure
dichiaro appello contro provinciale di genova che ha dichiarato incompetenza, ci si
aspetta che quando sarà risolta in questo modo poi c’è il rinvio cioè magari si arriva
anche in cassazione per la competenza e poi si riprende il giudizio magari anche in primo
grado.
Come è suddiviso il 546: 80 articoli in 3 titoli. Il primo (1-17 bis) riguarda disposizioni a
carattere generale (giurisdizione, competenza..), il secondo riguarda il processo e tutti i
gradi del processo (18-70), l’ultimo titolo che manco esamineremo praticamente vanno
da 71 a 80 tipo per il passaggio dalla vecchia disciplina alla nuva.
LE PARTI
Art 10 e ss e art 75 e ss cpc. Nel 546 non troviamo la disciplina completa perché alcune
questioni sono sottointese.
Art 10: precisa che le parti del processo tributario sono: gli uffici del ministero finanze prima
del riforma. Ora abbiamo le agenzie che sono distinte dal ministero, sono il braccio
operativo e quindi il ricorso è contro queste. In tutte le province ci sono le agenzie delle
entrate e del territorio.
L’altra parte possono essere gli enti locali o anche il concessionario della riscossione
(figura giuridica a sé). Nel primo grado di giudizio una parte deve essere PUBBLICA. Le
parti devono avere alcune caratteristiche visto che è un rapporto giuridico ci deve essere
soggettività cioè deve essere un soggetto di diritto (società di persone, di capitali, enti
non personificati). Hanno capacità quindi di essere parte del processo (capacità di
essere parti del processo).
Va distinto dal concetto di capacità di stare in giudizio che è assimilabile alla capacità di
agire. Ci possono essere le stesse limitazioni del diritto comune come il minore che ha
capacità di essere parte del processo ma non ha la capacità di stare in giudizio. il minore
può stare in giudizio solo a mezzo di procuratore. Il fallito ha bisogno di agire tramite il
curatore e può stare in giudizio tramite il curatore.
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Legitimatio ad processum
Le società e gli enti hanno capacità di essere parti del processo, e invece la capacità
processuale?cioè quella di stare in giudizio? Coloro i quali hanno la rappresentanza
legale della società (amministratore). Parte è la società ma sta in giudizio il
rappresentante.
Art 11 c1: Le persone fisiche che hanno la capacità processuale possono stare in giudizio
a mezzo di un procuratore generale o speciale (non un difensore), la procura è una
rappresentanza che viene conferita mediante atto di fronte al notaio (procura). Si può
scegliere di farsi rappresentare da un coniuge o parente entro quarto grado e in quel
caso può essere conferita procura mediante un atto senza formalità. Normalmente una
persona fisica non si fa rappresentare da qualcun altro.
Occorre enucleare un’altra forma di legittimazione:
Legitimatio ad causam:
ossia la legittimazione alla causa è di colui che ha la parte giusta, è la parte giusta quella
che ha la legittimazione ad impugnare. Se stiamo parlando di azioni di impugnazione
come l’impugnazione dell’avviso di accertamento, è legittimato a proporre ricorso ad
causa colui a cui è notificato l’atto. Potrebbe anche essere la persona errata. Se invece
stiamo parlando di un azione di rimborso è il soggetto che ha presentato istanza di
rimborso all’ufficio e a cui l’ufficio ha manifestato un rifiuto espresso, se c’è un rifiuto
inespresso invece è colui che ha presentato la domanda di rimborso e a cui non c’è stata
nessuna risposta.
Sul fronte della legittimazione passiva chi è legittimato? Legittimato passivo è colui contro
il quale abbiamo proposto la domanda giudiziale (nel processo civile abbiamo l’attore e il
convenuto, nel processo tributario abbiamo il ricorrente che è sempre il contribuente in
primo grado e l’altra parte è il resistente). Oltre al ricorrente e al resistente c’è la figura
obbligatoria del difensore tecnico (art 12).
Questo per quello che riguarda le parti. Poi dagli anni novanta c’è l’obbligo di avere un
difensore, l’obbligo del difensore tecnico è per il ricorrente.
Art 11 è la capacità di stare in giudizio cioè la capacità processuale. Il primo comma
riguarda il contribuente. Il secondo comma dice che gli uffici delle entrate o del demanio
(del territorio), nei confronti del quale è proposto ricorso (solo quando è parte resistente,
quindi sicuramente in primo grado e poi forse in secondo o terzo grado) possono stare in
giudizio direttamente o attraverso funzionari dell’ufficio contenzioso. Potrebbe esserci un
tributo che ha come soggetto passivo lo stato o le regioni o i comuni? Perché no?! Sì! Per
le imposte sui redditi lo stato eccetera non sono soggetti passivi ma in certi casi il comune
è soggetto passivo IVA e quindi l’ente locale può essere parte ricorrente (anche l’ente
della riscossione che essendo una spa deve pagare le imposte sui redditi). Il comma due
l’ha fatto. L’ente locale sta in giudizio a mezzo di solito del dirigente dell’ufficio tributi.
Art 12
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Le parti, diverse dagli uffici delle entrate e delle dogane e diverse dall’ente locale,
devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato. Nel terzo comma si parla del
conferimento dell’incarico. Dobbiamo fare un riferimento al cpc: non sotto il profilo del
giusto processo. Se prendo il cpc art 82 questo obbliga non solo a conferire un incarico al
difensore ma obbliga al patrocinio di un procuratore diverso dall’avvocato. Si distingue
l’ufficio del procuratore da quello dell’avvocato. Si impone che nei diversi gradi di giudizio
vi sia un procuratore cioè il soggetto che è in giudizio deve essere RAPPRESENTATO da un
procuratore, questo agisce in nome e per conto del soggetto. Non vi è l’obbligo di
nominare un avvocato. L’attore deve avere un rappresentante cioè un procuratore, se
poi questa figura coincide con quella di un avvocato allora ben venga perché è una
figura professionale. Nel processo tributario abbiamo due filoni: il Tesauro sostiene che nel
processo tributario non è imposto al contribuente di avere un rappresentante, la figura di
cui parla l’art 12 è un incarico ad un difensore, non è una procura ad un procuratore
quindi per avere una rappresentanza, il difensore del processo tributario non è un
soggetto che ha la rappresentanza del contribuente. Secondo altri autori l’incarico che si
da al difensore è un incarico di rappresentanza. A favore di questa diversa tesi cioè la
prima si vede che il ricorso deve essere firmato non dal contribuente ma dal difensore,
questo fa pensare che il difensore sia un rappresentante. Art 82 c 3 “Salvi i casi in cui la
legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte di appello le parti debbono
stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente. “ non basta che le
parti si avvalgano del ministero di un procuratore ma deve essere un soggetto esercente
nel distretto (elemento territoriale), cosa che non vale per il processo tributario. Nei casi in
cui un avvocato assiste una parte che non rientra nel suo territorio allora deve eleggere a
domicilio lo studio di un avvocato del luogo.
Gli uffici delle entrate non hanno l’obbligo di difesa tecnica nel primo grado, nel secondo
possono servirsi dell’avvocatura dello stato, nel terzo devono usare l’avvocatura dello
stato. Anche l’ente locale, se in posizione di resistente, non ha obbligo della difesa
tecnica quindi propongo ricorso al comune di Genova per ICI e lui si difende tramite uffici
interni, non deve nominare un difensore.
Terzo comma: l’incarico è conferito con atto pubblico o con scrittura privata autenticata
(ha un certo costo), ma è prevista la possibilità di conferire l’incarico nello stesso ricorso o
a margine delle prima pagina del protocollo oppure alla fine nella parte conclusiva (in
calce). L’incarico lo possiamo dare in ogni grado del processo oppure per un solo grado
di giudizio. Se non supera i 5 milioni di lire allora posso difendermi da solo. Il valore si
riferisce all’imposta cioè mi dicono che devo pagare una maggiore imposta di 3 milioni, è
questo il valore. Se ci sono soltanto sanzioni allora è questo il valore.
Parliamo del litisconsorzio: è un istituto che si caratterizza per una pluralità di parti. A
differenza dell’inquadramento solito, in questo caso abbiamo una pluralità di parti (per
quello che riguarda la pluralità di parti è sul lato del contribuente la pluralità di parti). Art
14 definisce il litisconsorzio: l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti.
Inscindibilmente richiama le norme del processo amministrativo. Tipo in un concorso se
facciamo ricorso contro gli esiti di un concorso allora l’oggetto di questo ricorso riguarda
inscindibilmente più soggetti, cioè io propongo ricorso allora questo può incidere anche
su tutti gli altri candidati. Quindi situazioni di oggetto inscindibile sono più frequenti nel
diritto amministrativo che nel civile. Però qualche caso c’è anche nel civile. Nel processo
tributario: la giurisprudenza tributaria ha individuato come litisconsorzio necessario (tutte le
parti devono partecipare alla causa) è l’accertamento dei redditi in una società di
persone. Avviso di accertamento di maggior reddito notificato ad una snc o una sas
allora c’è litisconsorzio necessario e tutti i soci devono prendere parte al processo. A
questa soluzione si è arrivati dopo anni di giurisprudenza oscillante. Il reddito lo produce la
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società ma il reddito è pro quota in capo ai soci. Se sono sas dove abbiamo la figura
dell’accomandante e dell’accomandatario che ha l’amministrazione della società allora
siamo accomandanti e ci vediamo recapitare dall’accomandatario la lettera in cui
l’amministratore ci dice che il reddito è stato tot e l’imposta è una certa. Il ricorso verso
l’avviso di accertamento se non ci fosse il necessario allora contro l’avviso di
accertamento notificato alla società ma soprattutto ai soci potevano essere proposti 3
ricorsi e poteva succedere che si arrivassero a tre risultati giudiziali diversi. Quindi si poteva
arrivare ad una pluralità di processi con esiti diversi da un processo ad un altro. Se i ricorsi
sono assegnati a sezioni diverse, se questo accadesse cosa deve fare il presidente della
sezione o della commissione? Deve riunire i ricorsi, e accorgimenti simili deve fare se i
ricorsi sono stati presentati a commissioni diverse (questo per le situazioni pendenti). Ora si
deve presentare un ricorso collettivo quindi un solo ricorso. Il litisconsorzio facoltativo: nel
necessario la sentenza non produce effetti se non si è costituito il consorzio e questa è una
“sanzione” pesantissima. Un altro caso di litisconsorzio necessario è quello del sostituto e
del sostituito. Deve esserci sempre sostituto (datore di lavoro), sostituito (lavoratore)e
ufficio delle entrate (liti delle ritenute). Altro caso: ci sono delle figure di coobbligati solidali
(ai fini dell’imposta di registro solo obbligati solidali paritetici acquirente e venditore
dell’immobile). In caso di questi coobbligati, c’è maggiore valore del valore dell’immobile
e questo è un caso di litisconsorzio? No, c’è inscindibilità quando le sorti dell’uno sono
legati a quello degli altri. In questo caso non vi è inscindibilità, benché abbiamo delle
figure di coobbligati non c’è inscindibilità e quindi non ricorre ipotesi di litisconsorzio
necessario: se contro quell’avviso di accertamento di maggior valore dell’immobile allora
se l’acquirente e venditore fanno due diversi ricorsi e vanno in diverse sezioni della
commissione tributaria allora questo non preclude gli effetti della sentenza, potrebbe
accadere che uno ottenga un esito favorevole e l’altro un esito sfavorevole.
Nel processo tributario è ammesso il ricorso collettivo e il ricorso cumulativo: il collettivo è
quando più parti possono agire nello stesso processo (litis + altre ipotesi). Sicuramente è
possibile in caso in cui l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più parti però si può
pensare anche a più ipotesi, ci sono più ricorrenti ma l’atto è uno solo. Esempio è l’avviso
di accertamento del comune di un immobile riferito a ICI, l’immobile è di entrambi i
coniugi, si propone un ricorso con due ricorrenti. Oppure il cosiddetto ricorso cumulativo
cioè una parte cumula più atti che siano tutti i uguali cioè deve esserci la stessa questione
sottostante. Immaginiamo che abbiamo avuto avviso di accertamento per il 2004, 2005,
2006, 2007 tutti riguardanti la stessa cosa tipo una rendita dell’immobile più bassa. Potrei
proporre ricorso cumulativo cioè nei confronti di una pluralità di atti per i quali c’è la
stessa questione sottostante.
Art 14 comma 2: se tutte le parti non stanno prendendo parte al processo allora il giudice
può ordinare alle parti che non hanno partecipato a partecipare mediante la chiamata
in causa (integrazione del contradditorio). Un socio non si è costituito in giudizio? Non ha
proposto ricorso? Allora il giudice chiama in causa il soggetto. Questa parte chiamata in
causa pur essendo ricorrente deve presentarsi in giudizio secondo le modalità previste per
la parte resistente.
La particolarità di questo caso è nel quarto comma.
Il litis facoltativo è il comma 3: i soggetti che insieme al ricorrente sono chiama.
Inizia un nuovo argomento: I DIVERSI TIPI DI AZIONE CHE SONO ESPERIBILI NEL PROCESSO
TRIBUTARIO
Soprattutto sono due tipi di azione: quelle di impugnazione cioè impugno un atto emesso
da un ufficio e richiedo l’annullamento totale o parziale dell’atto. Altra azione è quella di
rimborso cioè caso in cui il soggetto propone ricorso contro un rifiuto di rimborso che
viene opposto dall’ufficio a cui avevo chiesto il rimborso di un’imposta. Altre azioni che
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possiamo aggiungere sono: nel 2005 è uscita una legge che ha modificato tutti i processi
amministrativi. Così è stata introdotta una nuova figura di nullità degli atti amministrativi
che è anche applicabile nella materia tributaria. Quindi da che c’è stata questa
modifica e l’atto è nullo allora ne viene di riflesso che è possibile anche un terzo tipo di
azione: è l’azione di nullità. È nuova! Ed è collegata a questa modifica che nel 2005 c’è
stata e che riguarda tutti i processi amministrativi ed in particolare la nullità degli atti
amministrativi. Ad esempio è nullo il provvedimento che non è attribuibile all’ufficio
competente, la legge individua alcune ipotesi che sono poche e rare. Con questi tre tipi
di azioni si arriva ad una sentenza che decide nel merito la questione ed è una sentenza
che passa in giudicato.
Diverse sono le altre due che sono l’azione di tutela cautelare quella con cui il
contribuente propone una istanza al giudice presso cui è già pendente la lite e propone
sospensione della riscossione quindi non c’è poi una sentenza passata in giudicato, il
provvedimento del giudice sarà un’ordinanza con cui sospende l’esecuzione.
Altro è il giudizio di ottemperanza intervenuto con la riforma degli anni 90 ed è un istituto
che ci avvicina al giusto processo e consente al contribuente che con processo di
rimborso con cui ha ottenuto sentenza a suo favore passata in giudicato che ha
condannato l’ufficio al pagamento ma l’ufficio non restituisce l’imposta, allora il
contribuente ha questa ulteriore azione dinnanzi al giudice tributario cioè il cosiddetto
giudizio di ottemperanza che è diverso dalle sentenze di azioni di rimborso e di nullità, si
ottiene una decisione del giudice che costringe l’amministrazione ad eseguire, c’è un
provvedimento per cui obbliga ad eseguire.
I più usati sono i primi due. La nullità è rara anche perché sono rare le ipotesi di nullità. La
tutela cautelare è frequentissima e lo sarà sempre di più ma non sempre si ottiene una
pronuncia favorevole.
Azioni di impugnazione: impugniamo un atto e chiediamo l’annullamento totale o
parziale a seconda dei vizi che contiene quell’atto. Quando parliamo dei vizi in generale
di un atto possiamo avere vizi formali o vizi sostanziali. I formali sono quelli che riguardano
la forma dell’atto, se la legge tributaria impone che l’avviso di accertamento debba
contenere certe indicazioni allora la mancanza di queste genera dei vizi formali. L’avviso
di accertamento deve avere la parte dispositiva e la motivazione, se non c’è è nullo, la
dispositiva deve indicare la maggiore imposta. Ci sono dei vizi che non sono così gravi, in
tal caso sono irregolarità formali ma che non arrivano alla soglia minima del vizio. Quindi
ci sono vizi formali e sostanziali che creano i presupposti per chiedere l’annullamento
dell’atto, ci sono poi difetti che non hanno una tale incisività da determinare
l’annullamento dell’atto. Vizi sostanziali: dell’avviso di accertamento stiamo entrando nel
merito della materia tributaria, i fatti su cui si è basata l’amministrazione finanziaria sono
fatti infondati. Vizio sostanziale è quello che entra nel merito della pretesa tributaria. I vizi
formali non sono da snobbare: se un avviso di accertamento ha un vizio di forma
possiamo chiedere comunque l’annullamento. Nella visione di Tesauro le azioni di
impugnazione sono azioni di annullamento, viceversa nella giurisprudenza c’è una diversa
visione, una visione sincretistica cioè fa un mix delle due visioni cioè tra Tesauro (il
processo tributario è sostanzialmente un processo di impugnazione e mi sto allontanando
dalla visione del processo tributario come processo civile), la giurisprudenza concepisce
l’azione di impugnazione in questi termini: quando il giudice accoglie la domanda del
contribuente di annullare l’atto, il giudice pronuncia l’annullamento e per la
giurisprudenza queste sono azioni di impugnazione e di annullamento quindi accetta la
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visione di Tesauro. Ma quando l’esito della sentenza è un altro cioè il giudice respinge la
domanda del contribuente e quindi sta dando ragione all’ufficio, alla parte pubblica
allora secondo la giurisprudenza qui non è una azione di impugnazione ma di
impugnazione-merito quindi si avvicina alla visione civile del processo tributario. I giudici
entrano anche nel merito della questione. Per concludere, evidentemente anche il tipo di
sentenze che può emettere il giudice tributario (sentenze di accoglimento del ricorso del
contribuente, se viene poi accolto allora sta dando ragione al contribuente annullando in
tutto o in parte l’atto, sono sentenze costitutive cioè gli effetti dell’avviso di accertamento
cessano come se non fosse mai esistito. L’altra sentenza è quella con cui il giudice
respinge il ricorso. È questa che ora vuole esaminare per vedere che effetti questa
produce sull’atto impugnato, cioè sull’avviso di accertamento. Se respinge il ricorso lascia
l’avviso di accertamento in vita così com’è cioè non ha un effetto sostitutivo, la sentenza
non si sostituisce all’avviso di accertamento, questo è un chiaro segnale di come il
processo tributario sia sempre un processo di impugnazione di un atto, perché se fosse sul
tipo del processo civile allora la sentenza si sostituirebbe all’atto.
La giurisprudenza (sentenze della cassazione) negli anni ’80 esce con questa teoria un po’
strampalata: sostiene la natura dell’avviso di accertamento come provocatio ad
opponendum cioè come veicolo di accesso al processo tributario. La cassazione ha
sostenuto questa tesi perché porta a ridurre il sistema di garanzie e di tutele che sono
apprestate invece per l’impugnazione di tutti gli atti amministrativi sul tipo dell’avviso di
accertamento. Concependo l’avviso di accertamento come uno strumento che ci
consente di entrare nel processo, invece che come un atto amministrativo, si sottrae
l’avviso di accertamento in particolare a questa garanzia: l’avviso di accertamento è un
atto autoritativo e le norme richiedono che tali atti siano notificati al contribuente.
Sarebbe in una situazione di estrema incertezza il contribuente se non ci fosse una
procedura di notifica. Gli atti autoritativi se non sono notificati allora neppure vengono ad
esistenza. Se l’ufficio delle entrate non notifica al contribuente l’avviso di accertamento
questo atto neppure viene ad esistenza, è un atto inesistente. Se è un atto che non è mai
venuto ad esistenza anche se la pretesa dell’ufficio sia fondata, quell’avviso di
accertamento non è mai stato notificato e possiamo chiedere l’annullamento. Questa è
un garanzia molto importante che il contribuente ha. Questa tutela non c’è per gli atti
processuali, qui vige una regola diversa cioè se un atto processuale non è notificato al
contribuente allora la conseguenza è diversa cioè se il contribuente è venuto a
conoscenza dell’atto anche se non è notificato, l’atto esiste lo stesso. Quindi la
cassazione stava seguendo questa impostazione e quindi conseguenze devastanti,
questa tesi sta resistendo ancora adesso.
Che cosa possiamo impugnare? Abbiamo parlato della giurisdizione tributaria: l’art 2
stabilisce i limiti esterni del processo tributario. I limiti interni sono stabiliti dall’art 19 del 546.
Sono gli atti autonomamente impugnabili. Sono 10 + una norma di rinvio ad altre leggi.
Nel processo amministrativo non c’è una norma che elenca ad uno ad uno gli atti
autonomamente impugnabili. Quindi c’è una differenza sia col amministrativo che col
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civile anche. Bisogna leggere l’art 19 avendo a mente il fatto che qui ci sia un tipo di atti
autonomamente impugnabili, ma ci sono anche atti che non sono impugnabili in modo
autonomo. Questi atti non autonomamente impugnabili si possono impugnare ma la
tutela è differita perché se ci è stato notificato uno di questi atti occorre aspettare che
venga notificato al contribuente un atto autonomamente impugnabile che abbia nel
primo atto la sua ragione di esistere, il suo fondamento, il suo presupposto. Se così è allora
posso impugnare il secondo non solo per i vizi proprio del secondo ma anche per quei vizi
del primo atto che non ho potuto impugnare in modo immediato. Esiste poi una terza
categoria di atti che potrebbero anche essere potenzialmente lesivi ma contro questi non
è ammessa tutela né autonomamente né in via differita. Se sono atti lesivi allora magari
ricadono in altre giurisdizioni oppure non sono davvero atti lesivi. L’elenco quindi lo
abbiamo solo per la prima tipologia di atti. Un altro aspetto ancora: la materia ancorché
con passi molto lenti, si sta evolvendo, da quando è stato modificato l’art 2 facendola
diventare omnicomprensiva e quindi si è ampliata la giurisdizione tributaria. Vi hanno fatto
rientrare nuovi tributi ma l’art 19 non è stato modificato, era forgiato sul vecchio art 2.
Quindi ora rientrano nella giurisdizione tributaria anche altri tributi e magari l’atto non si
chiama proprio avviso di accertamento e allora come si fa? Lo posso impugnare dinnanzi
alle commissioni tributarie? Sicuramente è una elencazione tassativa ma si deve
interpretare il termine avviso di accertamento in senso ampio, anche se ci sono le stesse
caratteristiche dell’avviso di accertamento in altri atti che non si chiamano proprio con lo
stesso nome vi rientrano.
Art 19 c3: gli atti diversi da quelli previsti nel primo comma non sono autonomamente
impugnabili. Poi si apre la questione di prima cioè dobbiamo capire di fronte a che tipo di
atto ci troviamo se di fronte ad atto a tutela differita o atto senza tutela.
Regola dei vizi propri: se impugno uno degli atti elencati nell’art 19 lo impugno e lo posso
impugnare solo per vizi propri di quell’atto. Se mi è stato notificato un avviso di
accertamento e non ho impugnato quell’atto poi dopo un po’ di tempo inizia la
riscossione, vi è l’iscrizione a ruolo ed è notificata la cartella di pagamento. Poi mi viene
notificata la cartella di pagamento. Questi due atti sono entrambi autonomamente
impugnabili, ma non posso impugnare la cartella di pagamento presentando al giudice
dei vizi che non sono della cartella di pagamento ma che sono dell’avviso di
accertamento. Non posso impugnare la cartella di pagamento sostenendo vizi che erano
nell’avviso di accertamento. Ciascun atto autonomamente impugnabile può essere
impugnato solo per vizi propri. Viceversa se ci troviamo di fronte ad atto impugnabile in
via differita e poi mi viene notificato un atto autonomamente impugnabile riferito al primo
allora posso indicare anche i vizi dell’atto differito (la regola dei vizi propri non viene
osservata nel caso di notifica degli atti differiti)
C3: la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, “La mancata
notificazione di
atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all' atto notificato, ne
consente l'
impugnazione unitamente a quest' ultimo”. Si parla di due atti che devono essere
notificati in successione. L’avviso di accertamento è autonomamente impugnabile.. nella
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visione più rigorosa questa interpretazione si riferisce ad atti per i quali la legge non
prevede come presupposto per venire ad esistenza la notifica (quindi non vi rientra
l’avviso di accertamento, se questo non è notificato al contribuente ebbene quest’atto è
giuridicamente inesistente, che quindi non produce i suoi effetti, di fronte ad un atto di
questo genere la difesa c’è eccome). Questa norma si riferisce agli atti
dell’amministrazione finanziaria che vengono ad esistenza anche senza la notifica, ora
non ce ne sono quasi più di questi atti. Prima del 2000 se l’agenzia del territorio
modificava la rendita dell’immobile allora non era tenuta a notificare al contribuente
questo provvedimento di attribuzione di rendita. Di per sé non è un atto tributario ma un
atto di questo genere ha ripercussione sulle imposte sui redditi sia l’ICI. Quindi se l’agenzia
del territorio modificava la rendita di un fabbricato e non era tenuta per legge a
notificare allora l’atto veniva ad esistenza anche se la notifica non c’era. Al contribuente
deve essere notificato un atto del genere. Allora se il comune mi avesse notificato un
avviso di accertamento di maggiore ici perché aveva recepito la modifica catastale ma
di questa modifica non era da notificare allora impugnavo l’avviso di accertamento ici
per i vizi propri suoi ma anche per i vizi dell’atto di modifica di rendita. Se non mi viene
notificato l’avviso di accertamento e l’ufficio cerca di riscuotere l’imposta mediante la
cartella di pagamento allora posso impugnare la cartella di pagamento per i vizi propri
della cartella di pagamento e non ho bisogno di andare a guardare se nella sostanza la
pretesa dell’ufficio era fondata o no. Lo faccio tramite l’azione di nullità quella di
richiedere la nullità dell’avviso di accertamento. Mai visto un caso del genere. L’unico
caso è quello dell’obbligazione solidale paritetica cioè acquirente e venditore di un
immobile per l’imposta di registro, se non vuole correre rischi emetterà l’avviso di
accertamento e lo notifica ad entrambi, poi verranno iscritti a ruolo eccetera. Magari
l’ufficio notifica solo al venditore poi iscrive a ruolo e notifica la cartella di pagamento a
tutti e due. Mettendosi nei panni di chi riceve la cartella di pagamento ma non l’avviso di
accertamento. È la tesi della supersolidarietà tributaria cioè l’avviso di accertamento
produce effetti solo nei confronti dei soggetti verso cui è notificato. La tesi della
supersolidarietà postula quindi che l’atto deve essere notificato ad entrambi.
C2: negli atti elencati nel primo comma vi deve essere indicazione del termine entro il
quale è possibile proporre ricorso. Per tutte le azioni di impugnazione il termine è sempre
di 60 giorni da che mi è stato notificato l’atto. Devono anche osservare le modalità
secondo cui va proposto il ricorso e la commissione tributaria verso cui lo si può fare.
C1: bisogna capire quali atti sono autonomamente impugnabili: sono quelli scritti
nell’elenco. La categoria degli atti che non hanno tutela dovrebbe essere inesistente,
magari sono tutelati in altre giurisdizioni. L’elenco: ci sono atti che riguardano l’avviso di
accertamento, avviso di liquidazione, poi possiamo avere atti della riscossione (iscrizione
a ruolo questo potrebbe anche essere un atto di accertamento quindi assume natura di
atto impositivo quando l’iscrizione a ruolo si fonda sulla dichiarazione dei redditi. Iscrizione
a ruolo può avere titolo o nella dichiarazione tributaria o quando segue ad un avviso di
accertamento. Se abbiamo fatto un errore nella dichiarazione tributaria allora è un atto
anche impositivo. Vi includiamo anche la cartella di pagamento che è l’unico atto
dell’agente della riscossione ed è l’atto con cui ci chiede il pagamento dell’imposta. Poi
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c’è l’avviso di mora che ora ha il nome di intimazione ad adempiere. È un atto che viene
emanato quando è decorso un anno da quando c’è stata la notifica della cartella di
pagamento, ancora la riscossione non sia avvenuta e prima di procedere all’esecuzione
forzata allora ha l’obbligo di notificare l’intimazione ad adempiere, se non si provvede nel
giro di pochi giorni allora c’è l’esecuzione forzata, che non è stata fatta nell’anno
precedente, può succedere), poi abbiamo gli atti del rimborso (il rifiuto espresso o tacito
di rimborso alla richiesta di rimborso di un tributo, quindi fra gli atti elencati o anche posso
richiedere il rimborso di una sanzione che ritengo non dovuta), poi atti relativi alle sanzioni
(sono atti di irrogazione della sanzione, è atto autonomamente impugnabile anche quello
di irrogazione delle sanzioni. Le sanzioni tipicamente sono irrogate dall’ufficio non con un
atto separato di irrogazione delle sanzioni ma sono incluse nell’avviso di accertamento
che include la maggiore imposta, le sanzioni e altro) altro comparto è quello degli atti
catastali (atti attributivi o modificativi di rendita catastale), atti di diniego o revoca di
agevolazioni tributarie (il contribuente gode di esenzione di 15 anni da ILOR di certi
fabbricati, il provvedimento con cui viene revocata l’agevolazione anche questi sono atti
autonomamente impugnabili. È autonomamente impugnabile anche il rigetto (l’ufficio
rigetta) della domanda che il contribuente fa riguardo le liti pendenti cioè il condono. Le
leggi di definizione delle liti pendenti specificano bene quali sono le liti pendenti che vi
rientrano. Magari ritiene che la lite sia definibile e ricada nel provvedimento e poi magari
l’ufficio rifiuta questa domanda), ipoteca e fermo amministrativo (non sono propriamente
atti comunque sono due misure cautelari del fisco, di cui il fisco si può avvalere a tutela
del proprio credito).
La norma di chiusura dice che è autonomamente impugnabile anche qualsiasi altro atto
che una legge dichiari come tale.
Avviso di accertamento: tutti questi atti li possiamo impugnare per vizi formali o sostanziali.
Il giudice nell’esaminare il ricorso deve dare importanza prioritaria ai vizi di forma.
Avviso di liquidazione: è una particolarità dell’imposta di registro. Prima fa avviso di
accertamento e poi fa avviso di liquidazione con cui accerta la maggiore imposta, non
possiamo impugnare l’avviso di accertamento per vizi dell’avviso di liquidazione.
Se siamo di fronte ad un atto di irrogazione sanzioni o siamo di fronte ad avviso di
accertamento in cui vi sono sanzioni allora abbiamo una norma che dice che se una
disposizione di legge è particolarmente complessa nella sua interpretazione (la
cassazione interpreta in modo opposto), allora non si possono irrogare sanzioni quindi
possiamo contestare l’irrogazione delle sanzioni per obiettiva difficoltà interpretativa.
Se non c’è notifica dell’avviso abbiamo già visto se poi è notificata la cartella di
pagamento.
Imposte sui redditi: l’agente della riscossione predispone la cartella di pagamento
avendo ricevuto dall’ufficio finanziario l’iscrizione a ruolo. Può essere infondata l’iscrizione
a ruolo o la cartella di pagamento. Ma dobbiamo distinguere se stiamo contestando vizi
della cartella o vizi della iscrizione a ruolo. Se la contestazione riguarda la pretesa
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sostanziale cioè la iscrizione a ruolo allora stiamo contestando un vizio del ruolo e quindi la
parte pubblica che abbiamo davanti è l’ufficio. Nel ricorso mettiamo impugnazione della
cartella ma se sono vizi della iscrizione a ruolo allora è l’agente della riscossione che ha
onere di chiamare in giudizio il soggetto che ha predisposto l’iscrizione a ruolo. Vizi della
cartella: non ha notificato correttamente, sono più aspetti formali.
Vi sono tutta una serie di dinieghi per i quali non essendo stabilito nulla nell’art 19 c’è il
dubbio se sono atti autonomamente impugnabili o no. Art 37 bis c 8 DPR 600: istituto della
disapplicazione di norme antielusive. Il costo dei cellulari per l’acquisto e per il traffico è
deducibile solo in parte perché si teme che si faccia un uso anche privato del cellulare.
Esiste la possibilità che certe imprese usino cellulari davvero solo per l’attività d’impresa.
Impresa di trasporti aveva sui camion solo cellulari abilitati alle chiamate in entrata. Quindi
il contribuente può chiedere la disapplicazione nel suo caso di una norma antielusiva.
Questa impresa ha ottenuto una risposta favorevole quindi l’ufficio aveva accolto la sua
istanza. Ma se avesse avuto un diniego? Altro esempio: le società appartenenti ad un
gruppo che vogliono optare per una tassazione consolidata di nuovo è soggetta ad una
istanza di fronte al quale potrebbe esserci risposta negativa dell’amm fin. Es: impresa che
opera in Italia opera con impresa black list, dalle nostre transazioni nascono costi e ricavi,
per le operazioni compiute con impresa black list c’è indeducibilità dei costi salvo che
presentiamo richiesta per toglierla perché supera il test di attività, è lì perché fa la sua
attività. Potrebbe ricevere un diniego. Dinieghi di questo genere come vanno collocati?
Dobbiamo chiederci se è un atto autonomamente impugnabile e la risposta è molto
delicata perché il termine è di 60 giorni cioè magari capisco che non è autonomamente
impugnabile, lascio passare i 60 giorni e poi invece è autonomamente impugnabile e così
mi sono precluso la difesa. Soluzione: è un atto impugnabile ma non autonomamente
quindi dobbiamo attendere che ci sia notificato un atto che abbia in questo i suoi
presupposti. Torniamo l’impresa di trasporto: ottengo un diniego allora applico la norma
cioè pago e poi propongo un RIMBORSO, l’ufficio mi da rifiuto e impugno il rifiuto.
Finiamo l’argomento di ieri sugli atti impugnabili.
Dobbiamo parlare del diniego dell’autotutela e anche un altro diniego di cui ha già
parlato e che la legge chiama rigetto. Quest’ultimo è tra gli atti autonomamente
impugnabili ed è il rigetto .. mentre per i dinieghi altri vari sono atti impugnabili solo in via
differita, invece l’eventuale diniego o rigetto della domanda del contribuente di
definizione delle liti pendenti (il contribuente chiede di accedere al condono) quello
rientra tra gli atti autonomamente impugnabili. L’autotutela corrisponde ad un potere-
dovere (ha il potere ma anche il dovere di farlo) della amministrazione finanziaria di
emendare (modifica) o annullare un proprio atto se è un atto viziato. È intuitivo pensare
che di fronte a vizi palesi come un errore di calcolo evidente è chiaro che li riconosca ma
ci sono anche vizi ma altri più oscuri è più facile che non li riconosca, a fronte di una
nostra istanza in cui riconosciamo un vizio allora non sempre risponde positivamente.
Nell’esercitare questo suo potere, l’amministrazione finanziaria può agire d’ufficio cioè si
accorge lei stessa di aver fatto errore e lo modifica oppure più facilmente può essere il
contribuente che presenta una istanza di autotutela, è una istanza in carta libera, non
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siamo in ambito processuale. Può accadere che l’ufficio stia respingendo la domanda di
autotutela e ci risponde con un atto di diniego espresso allora siamo di fronte ad un atto
scritto, un provvedimento, l’altro è un silenzio quindi c’è un diniego tacito. Che possibilità
ci sono di impugnare questo atto? Es: ci è stato notificato un avviso di accertamento e
dopodiché sono iscritto a ruolo e l’ufficio mi richiede il pagamento di una parte del
corrispettivo. Può poi accadere che mi accorgo a questo punto che c’è un errore di
calcolo. Se fosse un vizio di questo genere che sicuramente abbiamo ragione ma ci viene
risposto con un diniego allora il problema che ci poniamo è quello di impugnare questo
diniego. Il diniego di autotutela comunque può essere impugnato per vizi propri cioè non
possiamo impugnare il diniego di autotutela sostenendo vizi dell’avviso di accertamento
quindi se non abbiamo proposto ricorso contro l’avviso di accertamento allora non è che
impugnando il diniego possiamo impugnare l’avviso di accertamento, salvo che ci
troviamo di fronte ad un diniego che è in realtà un atto diverso da quello originario cioè
dall’avviso di accertamento. Può essere anche già intervenuta una sentenza del giudice
che posso comunque porre in essere l’autotutela. Tornando al diniego: quale vizio può
essere quello di diniego per impugnarlo? Ciò che appunto possiamo sollevare come vizio
è quello che l’amministrazione finanziaria non ha riesaminato l’atto cioè ha omesso di
esaminare il vizio che le ho sottoposto. Se silente: Possiamo quindi impugnare la cartella di
pagamento sostenendo come motivo di ricorso l’omessa considerazione da parte
dell’ufficio della richiesta di autotutela. Se invece ci ha risposto con un atto scritto, il
diniego espresso di autotutela non è un atto autonomamente impugnabile, lo è solo in via
differita quindi se successivamente al diniego l’ufficio ci notifica la cartella di pagamento
allora la impugniamo e possiamo sostenere i vizi del diniego sostenendo che (il diniego
deve essere motivato) non è motivato a riguardo del vizio che noi sosteniamo, tipo un
atto di diniego che non contiene la motivazione. Il diniego di autotutela è un atto
impugnabile ma non autonomamente salvo il caso che con questa autotutela ci
troviamo di fronte ad un atto nuovo e diverso rispetto all’avviso di accertamento.
Comunque si può pretendere dal giudice che arrivi ad annullare questo diniego perché
lo ritiene illegittimo. In questi casi secondo parte della dottrina è possibile promuovere un
giudizio di ottemperanza cioè può essere richiesto al giudice di promuovere una nuova
autotutela posto che il giudice ha annullato la richiesta precedente.
Quando c’è obbligo di riesame da parte della amministrazione finanziaria? Quando ad
esempio partono due processi il civile e il penale e poi il penale sentenzia che il fatto non
sussiste e quindi l’amministrazione ha l’obbligo di riesame del suo avviso di accertamento.
Cosa non è autonomamente impugnabile? Quelle che sono circolari e risoluzioni delle
agenzie delle entrate che sono rivolte alla generalità dei contribuenti e sono
interpretazioni che non hanno valore di legge.
Si può inoltre pensare al caso in cui la GdF entri in una società per verifica per il periodo
d’imposta 2005 e poi non si può estendere. Ordini che vengono dati nel corso
dell’istruttoria amministrativa (svolta dalla GdF o dall’agenzia delle entrate), ordini siffati
non sono atti impugnabili in via immediata. Fossero anche arrivati con l’ordine di verifica
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per l’anno dopo, questo non possiamo impugnarlo, ma aspettiamo l’avviso di
accertamento e poi sosteniamo vizi di un atto durante l’istruttoria (atti istruttori).
Azioni di nullità
di azioni di nullità si parla solo dal 2005 perché dentro alla legge (L. 15/05 art 14 integra L.
241/90 art 21) che disciplina i procedimenti amministrativi viene aggiunto l’art 21 septies
chissà dove e aggiunge la possibilità della nullità degli atti amministrativi. “È nullo il
provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da
difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato,
nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”. Poiché l’avviso di
accertamento è un atto amministrativo allora si è posto il problema di vedere se queste
disposizioni sono applicabili all’avviso di accertamento e la risposta è sì con eccezioni. È
nullo l’atto amministrativo che manca di elementi essenziali cioè se manca di elementi
essenziali allora l’atto è nullo. Ciò che chiederemo al giudice è non l’annullamento ma la
nullità. Quali sono gli elementi essenziali: secondo Tesauro se manca la motivazione
dell’avviso di accertamento allora l’avviso di accertamento è nullo ai sensi del 21 septies.
Altra ipotesi secondo tesauro è il caso in cui il soggetto sia inesistente: dove abito solo
viene notificato l’avviso di accertamento per un altro tizio, per me quell’avviso di
accertamento è nullo. Altro caso è quando vi è difetto assoluto di attribuzione: per
quanto riguarda l’avviso di accertamento allora non è attribuibile a nessun ufficio (è
emesso da ufficio incompetente tipo invece che l’ufficio delle entrate di Genova viene
emesso da un altro ufficio). La terza ipotesi è quella in cui l’atto amministrativo è stato
emesso in violazione di un giudicato (di una sentenza passata in giudicato) oppure in
elusione (aggirando una sentenza). Ci stiamo riferendo ad un giudicato amministrativo
quindi non si riferisce alla materia tributaria. Quando un atto ricade in una di queste
ipotesi allora è nullo e allora il contribuente al giudice tributario chiederà la dichiarazione
di nullità. La mancanza di motivazione abbiamo detto per primo: Tesauro dice che rientra
nelle ipotesi di nullità. Prima di questa disposizione del 2005 era sancita in certi casi la
nullità dell’atto, DPR 600 del 73 diceva che l’avviso di accertamento privo di motivazione
sanziona con la nullità l’avviso di accertamento che sia privo di motivazione. Quindi
potrebbe sembrare che ci dica che nel 73 dicevano qualcosa di diverso. Al giudice
chiedo la nullità ex 21 septies o ex DPR 600 (era da intendere come annullabilità forse?
Quindi dovevo chiedere azione di annullamento?). sono questioni controverse, di fronte
all’ipotesi in cui nella legge tributaria troviamo sanzionata con la nullità una certa cosa
allora dobbiamo chiederci se è nullità ex 21 septies oppure se è una nullità da intendere
nel senso di annullabilità. Altro caso secondo Tesauro è quando non c’è la notifica
dell’avviso di accertamento. Nonché negli altri casi previsti dalla legge.
Azioni di rimborso:
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premessa pre processo: perché potrebbe sorgere un diritto di rimborso del contribuente?
Perché può avere un credito verso l’amministrazione finanziaria o verso l’ente locale?
Dobbiamo distinguere le ipotesi di rimborso di un tributo indebito cioè un tributo che non
è dovuto oppure il rimborso di un tributo che è stato debitamente versato. Per quello che
riguarda le ipotesi di tributo indebito cioè che è non dovuto allora possono esserci ipotesi
di questo genere quando: quando abbiamo versato la norma c’era ma poi è intervenuta
una sentenza di incostituzionalità della norma (anni ’70 riguardo all’ILOR quando era
applicata ai redditi di lavoro autonomo), in tutti questi casi i professionisti che hanno
versato l’ILOR e poi hanno avuto pronuncia di incostituzionalità e quindi è sorta l’azione di
rimborso da parte loro nei confronti dell’ufficio amministrativo per ottenere imposta
indebita da pronuncia di incostituzionalità. Altra ipotesi è indebito comunitario che è
tributo che è stato dichiarato incostituzionale dal giudice di diritto comunitario (corte di
giustizia europea), quindi il contribuente che ha versato la sua imposta italiana (anni ’80
per imposta di registro su certe operazioni societaria e c’è stata pronuncia della corte
contraria e quindi i contribuenti italiani hanno richiesto il rimborso e quindi si presenta
istanza di rimborso). Altre ipotesi di indebito: collegati ad avviso di accertamento,
collegati a dichiarazione, collegati alla riscossione (cartella di pagamento). Primo: sto
pagando una imposta sulla base di un avviso di accertamento ma quella imposta è
indebitamente versata cioè l’avviso è stato impugnato davanti al giudice, poi si ottiene
dal giudice una sentenza che annulla l’avviso di accertamento e ciò che io ho versato
durante il giudizio diventa a quel punto indebito perché è una imposta indebitamente
versata quindi ho diritto al rimborso (non devo presentare alcuna istanza, l’ufficio deve
rimborsarmi e basta, ciò che ha riscosso a titolo provvisorio deve essere rimborsato al
contribuente ma senza che il contribuente presenti alcuna istanza di rimborso). Altra
ipotesi: l’indebito è generato da dichiarazione cioè faccio un errore a dichiarazione a mio
danno quindi mi trovo a versare una imposta maggiore allora mi devo attivare una
richiesta di rimborso all’ufficio. Terza ipotesi: verso una imposta sulla base di una cartella di
pagamento e poi c’è magari l’agente di riscossione che ha commesso un errore, io pago
e poi mi accorgo dell’errore. Anche qui su istanza.
Cominciamo a pensare che la regola generale in fatto di rimborsi è che il contribuente
deve presentare una istanza e quindi dobbiamo vedere come eccezionale la regola in
cui l’ufficio d’ufficio (non su base di una istanza) procede al rimborso. Mettiamo a fuoco
due eccezioni: uno è il caso di sentenza passata in giudicato, avviso di accertamento,
paghiamo in pendenza di processo e poi c’è sentenza a me favorevole. L’altro è un caso
di imposta legittimamente versata e dalla dichiarazione dei redditi emerge un credito
verso l’ente, dalla dichiarazione tributaria emerge un credito del contribuente ed è chiaro
che in questo caso l’ufficio deve rimborsare. Un terzo caso in cui l’ufficio deve rimborsare
senza che il contribuente sia tenuto a presentare una istanza è quando c’è un errore
materiale dell’ufficio stesso che il contribuente ha versato una somma che non doveva
versare. Es: l’ufficio iscrive a ruolo quindi richiede il pagamento di una somma, un errore
tipo inversione delle cifre allora deve essere l’ufficio che da solo rimborsa.
Con queste premesse diciamo che il contribuente può presentare all’ufficio una istanza di
rimborso. A fronte di questa l’ufficio può rispondere in due modi diversi, in un caso con il
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silenzio in un altro con un atto scritto. Il rifiuto sia espresso che tacito l’art 19 li qualifica
come atti autonomamente impugnabili (fa strano pensare ad un rifiuto tacito come ad
un atto). Posto che sono atti autonomamente impugnabili vediamo le differenze con
quelle che abbiamo trattato prima.
Ci sono diversità tra il rifiuto tacito e l’espresso? Sì perché se è espresso quello è un atto
scritto che dovrò essere impugnato nello stesso termine in cui sono impugnati entro 60
giorni da che l’atto è stato notificato. Di fronte all’atto di rifiuto espresso ho 60 giorni.
Viceversa nel caso di silenzio il termine è diverso perché non abbiamo il dies a quo, non
sappiamo da dove iniziare a contare i 60 giorni. In questo caso il termine è un po’
particolare, il silenzio giuridicamente viene ad esistenza quando sono decorsi 90 giorni
dalla presentazione di istanza di rimborso, l’ufficio non ha risposto quindi si è perfezionato il
silenzio. Si dice che il ricorso deve essere presentato a partire dal 91esimo giorno
successivo a quello in cui è stata presentata l’istanza e in questo caso c’è un termine
finale che è un termine di prescrizione che è un termine di prescrizione come quello del
diritto di credito quindi passati 10 anni dal pagamento. Lo dobbiamo proporre a partire
dal 91esimo giorno ma abbiamo tempo 10 anni da quando abbiamo versato. Al di là
della diversità di termine c’è anche diversità in quanto a natura dell’atto e
conseguentemente a ciò che chiediamo al giudice e quindi sul piano di tipologia di
sentenza che viene fuori. Se c’è un rifiuto espresso siamo di fronte ad un atto e quindi al
giudice tributario cosa chiediamo? È una domanda complessa quella che chiediamo al
giudice, gli chiediamo l’annullamento dell’atto di rifiuto espresso. Poi però chiediamo
anche la condanna dell’amministrazione finanziaria al rimborso di quanto dovuto. Nel
caso di silenzio la cosa è diversa perché al giudice chiediamo una cosa diversa. È un
accertamento negativo di debito cioè gli chiediamo di accertare la nostra situazione
giuridica cioè deve accertare un nostro diritto soggettivo di credito e deve far seguito la
condanna dell’amministrazione finanziaria al pagamento.
La prescrizione è sottoposta ad alcuni atti sospensivi. Se un termine è fissato a termine di
decadenza non sono possibili atti interruttivi del termine di decadenza.
Circa il presupposto per poter impugnare un rifiuto di rimborso. Parliamo prima del
presupposto per presentare richiesta di rimborso. C’è un termine di decadenza per la
presentazione di una istanza di rimborso. Se parliamo della imposta sui redditi il termine
stabilito dalla legge a pena di decadenza per presentare il rimborso è di 48 mesi dalla
presentazione della dichiarazione (DPR 602), tributi diretti sono le ritenute dirette e i
versamenti in autotassazione. Non confondiamo con il termine decennale: quando ci
troviamo di fronte ad una istanza che il contribuente deve presentare purtroppo non vale
il decennale ma è quello più ristretto disciplinato dalla singola imposta. Quando invece è
l’ufficio che deve rimborsare d’ufficio allora vale il termine di prescrizione decennale.
Quando occorre presentare una istanza, le leggi in materia di singole imposte parlano del
termine. Se invece parlo di imposte indirette allora di regola ogni singola legge dice un
termine più breve e cioè di 3 anni, comunque dobbiamo sempre risalire alla singola legge
d’imposta. In mancanza di una previsione nella legge d’imposta allora abbiamo una
norma generale contenuta nel 546 che non dovrebbe essere lì dentro e che è l’art 21 c2
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(termini per proporre ricorso), la domanda di rimborso in mancanza di disposizioni
specifiche (manca ad esempio nella legge ICI) non può essere presentata dopo due anni
dal pagamento dell’imposta oppure anche da un momento successivo a questo se il
presupposto per la restituzione si è verificato in un momento successivo al pagamento
(pronuncia di incostituzionalità).
C’è un orientamento dottrinale che critica la grirusprudenza e ritiene che per ottonere i
rimborsi di una impsota sia decisivo aver imugnato l’iscrizione a rruole. Anche nell’ipotesi in
cui il contribuente abbia pienamente ragione. Se in certi casi questo è corretto, in altre
ipotesi questa tesi della giurisprudenza è assolutamente errata.
Atti processuali: la categoria degli atti processuali dobbiamo tenerli distinti dagli atti
amministrativi. Gli atti amministrativi sono tip avvisi di accertamento, iscrizione a ruolo e
che sono emessi in una fase pre-processuale. Gli atti processuali sono atti che possono
essere tanto delle parti quanto provvedimenti del giudice. Oggi esamineremo i
provvedimenti del giudice, ci sono poi anche gli atti delle parti (il ricorso che il
contribuente propone è un atto processuale, anche l’appello che è proposto
dall’appellante proviene da una parte, come anche il ricorso per cassazione, l’atto di
controdeduzione con il quale l’ufficio, l’agente della riscossione si costituisce in giudizio).
Parliamo dei provvedimenti del giudice. I problemi di notifica.
Tre tipi di prvvedimento del gidice tributario: di solito è denominato sentenza, in altri casi è
una ordinanza, in altri casi è un decreto.
Il decreto: è un provvedimento non collegiale ma bensì o di un giudice singolo
(presidente della commissione oppure presidente della sezione).
Sentenza e ordinanza: è un provvedimento collegiale quindi della commissione tributaria.
Con la sentenza viene definito il giudizio: provvedimento con il quale la commissione
tributaria accoglie il ricorso del contribuente. Questa è tipicamente una sentenza che
definisce il giudizio. Potrebbe anche trattarsi di un vizio puramente formale, non ha
importanza. Sta di fatto che il giudice interviene con sentenza. Anche quella con cui
rifiuta il ricorso. È altresì una sentenza quella con la quale il giudice dichiara l’estinzione del
processo. Ci sono delle ipotesi in cui il processo si estingue: per rinuncia al ricorso ad
esempio. L’estinzione è dichiarata da presidente della sezione con decreto o dalla
commissione con sentenza. In queste ipotesi di estinzione. Art 36 c 1: contenuti della
sentenza: deve essere indicato il collegio giudicante da chi è composto, cio che si
richiede (la condanna dell’amministrazione finanziaria), il dispositivo è la conclusione
dell’iter logico che ha seguito il giudice per arrivare alla decisione. La sentenza poi deve
contenere un motivazione che è il ragionamento che il giudice ha sviluppato per arrivare
ad una certa decisione. Ciò ch eviene comunicato al contribuente è solo il dispositivo
tipo accolto o rifiutato il ricorso e poi le spese di giudizio a chi si accollano. Se poi
vogliamo tutta la sentenza dobbiamo andare dalla commissione.
37: per pubblicazione si intende il deposito presso la segreteria della commissione. Il
termine non è perentorio ma ordinatorio (può essere superato). I giudici devono decidere
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immediatamente la controversia (vale il principio dell’immediatezza), la deliberazione la
prendono il giorno stesso dell’udienza. Il dispositivo della sentenza deve essere
comunicato alle parti.
Art 118: disposizioni di attuazione. Quando studieremo il ricorso per cassazione vedremo
che i motivi per i quali si può proporre ricorso per cassazione: uno è che la sentenza della
commissione tributaria regionale non avesse motivazione o fosse carente. La sentenza
deve essere motivata (il decreto non è motivato). La motivazione della sentenza deve
riprendere i fatti rilevanti della causa e le ragioni giuridiche su cui ha preso il suo
provvedimento. Si possono anche citare precedenti conformi. Devono essere esposte
concisamente ed in ordine le questioni.
L’ordinanza: deve essere succintamente motivata. Art 134 cpc. Si procede con ordinanza
quando viene richiesta la tutela cautelare, in questi casi la commissione si esprime con
una ordinanza, è una richiesta parallela che viene fatta. Si procede con decreto
nell’ipotesi in cui il pres della com voglia riunire ricorsi che sono pendenti di fronte a sezioni
diverse, può riunire ricorsi gemelli che hanno lo stesso oggetto oppure magari il comune
ha ricorsi tutti uguali su anni diversi allora li riunisce. Art 29 riunione dei ricorsi. Art 27: esame
preliminare del ricorso. Fa un esame preliminare (possiamo averlo proposto oltre i termini),
inammissibilità. I decreti del pres di sez o della comm è ammessa una forma di reclamo,
essendo individuale allora contro questo provvedimento è ammesso un reclamo che si
svolge secondo una procedura che ci richiama al testo.
Principio di prevalenza della sostanza sulla forma. Art 121 cpc: libertà di forme. Stiamo
parlando degli atti del processo in generale. Gli atti del processo per i quali.. sono fatti
nella forma più idonea per raggiungere lo scopo, se la forma è determinata allora si
osserva quella, se non lo è allora si fa così.
Art 156 cpc: rilevanza della nullità. C1: essendo posto il principio della libertà delle forme
allora qui si dice che non si può pronunciare la nullità per inosservanza di forme, salvo che
la legge lo stabilisca. C2: la nullità può essere pronunciata quando mancano gli elementi
essenziali dell’atto per raggiungere il suo scopo. Lo scopo è sempre molto importante.
Negli atti amministrativi non è così (avviso di accertamento), lì non è sufficiente che l’atto
raggiunga il suo scopo. Il ricorso magari è fatto dal contribuente per cui usa le parole un
po’ così, basta che abbia gli elementi essenziali. La nullità non può mai essere
pronunciata se l’atto ha raggiunto gli scopi a cui era destinato. Gli atti processuali sono
quelli con cui difendiamo.
Art 131 cpc: è la legge che prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza
o decreto. Se la legge non lo prevedesse i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma
idonea al raggiungimento del loro scopo.
Art 176: Tutti i provvedimenti del giudice, salvo che la legge disponga diversamente,
hanno la forma dell’ordinanza.
Art 161 cpc: nullità di quei particolari atti processuali che sono le sentenze. Prevede che
per quanto riguarda l’ipotesi di nullità le sentenze a cui si può proporre appello quindi
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quelle delle commissioni provinciali e regionali, la nullità di queste può essere fatta valere
soltanto nei limiti e secondo le regole di questi mezzi di impugnazione.
Art 160 cpc: nullità della notificazione. La notificazione è nulla se non sono osservate le
disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia dell’atto. Salva
l’applicazione della norma dell’art 156 salvava l’atto se idoneo al raggiungimento dello
scopo. I vizi di notifica degli atti processuali sono sanati se idonei al raggiungimento dello
scopo.
Art 152 ss cpc: distingue tra i termini legali e quelli giudiziali (quelli che stabilisce il giudice).
Può accadere che un certo termine sia stabilito dal giudice. Es: la comm trib reg non ha
deciso la controversia ma ha ritenuto di voler nominare un consulente tecnico d’ufficio e
con ordinanza ha posto un termine entro cui questo consulente tecnico dovrà prestare
giuramento. Il c2: termini ordinatori e perentori. Dobbiamo capire quando la legge
stabilisce un termine se è un termine ordinatorio o perentorio. I termini stabiliti dalla legge
sono ordinatori tranne che la legge stesse li dichiari perentori. Nel 546 sono quasi tutti
perentori, un caso di termine ordinatorio ce l’ha fatto prima, riguardava la sentenza del
giudice.
Art 153: improrogabilità. Un termine perentorio non può essere abbreviato né prorogato. Il
termine per proporre ricorso sono i 60 giorni perentori, o lo presento entro 60 giorni oppure
il ricorso è inammissibile (forse c’è una eccezione). I termini quando sono perentori non
possono essere prorogati neanche su accordo delle parti. C2: è l’eccezione o la
conquista recente. È l’istituto della rimessione in termini, se è decorso il termine perentorio
ad esempio per impugnare, se riusciamo a dimostrare che la decadenza in cui ci siamo
ritrovati è per causa a noi non imputabile.
Art 154: prorogabilità del termine ordinatorio. Sentenza del giudice che può essere
pubblicata con un certo ritardo.
Art 155: nel computo dei termini a giorni o ad ore si escludono il giorno iniziale (il dies a
quo). Avviso di accertamento notificato oggi. Nel computo dei giorni non si calcola il dies
a quo. Il sessantesimo giorno è l’ultimo giorno utile, salvo che la legge stabilisca che sono
giorni liberi (troveremo un caso). Quando la legge dice che sono giorni liberi allora il dies a
quo ed il dies a quem sono esclusi dal computo. Osserviamo il calendario comune. I giorni
festivi si computano nel termine. Se la scadenza è un giorno festivo la scadenza è
prorogata di diritto al primo giorno non festivo. La legge del 65 riguarda la sospensione
legale dei termini che va dal 1 agosto al 15 settembre. Per contare i termini non si
contano questi.
Art 16-17 546. Il 16 disciplina le notificazioni. Differenza tra comunicazioni e notificazioni.
C1: se parliamo di comunicazioni stiamo parlando di cose che sono fatte mediante
avviso della segreteria, questa effettua delle comunicazioni alle parti. Tutte le altre sono
notificazioni e quindi devono rispettare le norme sulle notificazioni. Se stiamo parlando
della comunicazione con cui la segretaria avvisa le parti dell’inizio del giudizio. Se sono
fatte all’ufficio delle entrate la comunicazione può essere un elenco. Può avvenire con
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consegna oppure a mezzo posta. La legge richiede che sia un plico raccomandato ma
privo di busta. Dove devono essere fatte le comunicazioni? Nel luogo eletto a domicilio
dal contribuente. Di solito lo elegge nello studio del difensore, è lui che viene per primo a
conoscenza, poi informa il contribuente. C’è anche una nuova modalità di notificazione
che può essere fatta tramite PEC. L’indirizzo di PEC deve essere indicato nel ricorso.
Art 137 ss cpc. Art 16 c3: le comunicazioni possono essere fatte a mezzo posta. Lo
possiamo notificare il ricorso mediante mezzo posta con AR con ricevuta di ritorno con
plico aperto. Oppure con la consegna manuale, possiamo recarsi dalla amm fin, o
agente riscossione o comune e fare la consegna.
Notificazione dell’ufficio com, o il comune in quanto soggetto impositore. Oltre a quelle
possibilità possono usare messi comunali o comunqeu messi specificamente autorizzati
dalla cosa comunale.
C5: riflette l’art 149 c3 del cpc. Quando la notifica avviene a mezzo posta: è ovvio che se
noi proponiamo ricorso a mezzo del servizio postale allora dobbiamo distinguere gli effetti
per il notificante e per il notificato. Il rispetto dei termini c’è nel momento in cui ho dato
alla posta il documento entro i termini. Gli effetti per chi deve ricevere l’atto, decorrono
da quando questo soggetto ha ricevuto l’atto.
Art 17: c1: le comunicazioni e le notificazioni degli atti processuali devono essere eseguite
presso il domicilio eletto (dal difensore per il ricorrente). Se manca l’elezione del domicilio
e non si riesce a trovare la sede dichiarata, allora è fatta presso la segreteria della
commissione tributaria.
Istituto introdotto nel 2011 contenuta nell’art 17 bis del 546. Non lo fa ora. Questo nuovo
istituto si pone per certi aspetti al di fuori del processo. È una forma estrema di prevenire la
lite fiscale attraverso questo istituto che si chiama reclamo e con cui il contribuente si
rivolge in realtà alla amm finanziaria (direzione provinciale). È una fase amministrativa,
non processuale. Il ricorso è ora inammissibile se prima non è stato fatto questo tentativo.
Siamo nel titolo secondo (artt 18/70). Vi è racchiusa la disciplina del procedimento.
I primi articoli sono sul primo grado di giudizio. Molte norme che ora esamineremo si
richiamano anche nel secondo grado di giudizio. Non nel terzo grado in quanto va un po’
a sé.
Art 18: il ricorso. È una domanda che il ricorrente rivolge al giudice, è una domanda
motivata cioè vi inseriamo i motivi per cui rivolgiamo questa domanda. Tutti gli elementi
individuati dall’art 18 se mancanti determinano una sanzione pesantissima cioè
l’inammissibilità del ricorso (eccetto il codice fiscale e la pec). Saremmo portati a pensare
che la motivazione o l’oggetto siano più importanti ma gli effetti sono gli stessi che se
mancassero gli altri elementi. Il processo è introdotto con ricorso. C1. C2: i vari elementi.
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Ogni atto ha una data e una numerazione progressiva e noi mettiamo questi dati. Se
invece è una azione di rimborso allora in mano non avremo un avviso di accertamento
ma possiamo avere un rifiuto espresso oppure un rifiuto tacito allora non abbiamo alcun
atto ma mettiamo “contro il silenzio rifiuto”. Poi ci sono altri due elementi: l’oggetto della
domanda (non è l’oggetto del processo. È il provvedimento che richiediamo al giudice.
Annullamento totale o parziale, nullità, se rimborso la domanda può essere complessa.
Questo è il petitum cioè quello che chiedo al giudice). Diversa è la causa petendi cioè la
causa della richiesta, i motivi del ricorso (si cerca di metterne più possibili perché un solo
motivo di ricorso se il giudice non lo accoglie allora ce ne sono altri). I motivi di ricorso
sono se parliamo di azioni di annullamento sono i vizi dell’atto (se sono azioni di
annullamento), quindi deduciamo in giudizio questi vizi (possono essere formali o
sostanziali). Per quanto riguarda le azioni di rimborso non è questione di dedurre in giudizio
dei vizi ma quello che dobbiamo dedurre in giudizio è il diritto di credito che dobbiamo
portare al giudice e farcelo riconoscere quindi spieghiamo ad esempio perché abbiamo
indebitamente versato un’imposta. Poi deve essere sottoscritto dal difensore, non è il
contribuente a firmare il ricorso. E deve contenere il conferimento di incarico (salvo ad
esempio il dottore commercialista che si difende da solo). Quando predisponiamo il
ricorso ce ne occorrono 2 esemplari: uno lo notifichiamo alla controparte e deve avere
tutte le sue firme in originale e l’altro è quello che va al giudice. I due esemplari devono
essere uguali ed entrambi sottoscritti dal ricorrente o dal difensore.
C4: incerta cioè l’elemento c’è ma è indicato in modo incerto. Anche la mancanza di
sottoscrizione rende inammissibile il ricorso. Immaginiamo una azione di annullamento e lo
presentiamo e manca uno di questi elementi allora magari ho proposto il ricorso
mancante di un elemento, se sono ancora nei 60 giorni stabiliti per proporre ricorso allora
posso rinotificarne un altro entro i termini, ne notifico uno nuovo che sarà sostitutivo del
precedente. Ma se ho notificato al 60esimo e poi mi accorgo di aver dimenticato un
elemento allora mi sono precluso la difesa.
Art 20: proposizione del ricorso. È il notificare il ricorso all’altra parte. In questa primissima
fase il giudice non è ancora coinvolto, la commissione non conosce ancora il ricorso. È il
primo passo all’esterno che facciamo. Il secondo passo sarà la costituzione in giudizio (art
22). Quindi due fasi: la prima è quella di notificare il ricorso all’altra parte, lo step
successivo è la costituzione in giudizio, qui sì che stiamo rivolgendo la domanda al
giudice. Se rimaniamo alla fase della notifica allora non sfocerà di fronte alla lite di fronte
al giudice. Il processo tributario è diverso dal civile ed è più sul tipo del processo
amministrativo: il ricorrente deve portare il ricorso alla conoscenza del giudice, parlando
invece della parte resistente in primo grado, questa può anche non costituirsi in giudizio,
la legge fissa un termine ma è un termine ordinatorio e la costituzione in giudizio della
parte resistente può mancare. Questo vuol dire che il processo tributario è più sul tipo
dell’amministrativo dove chi è titolare dell’azione è una parte. Il processo va avanti
ugualmente anche se la parte pubblica non si costituisce in giudizio. Le implicazioni sono
una minor difesa: se non si costituisce in giudizio non otterrà nessuna comunicazione che
la segreteria fa alle parti (il cartoncino giallo con la data in cui sarà discussa la
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controversia). Quindi devo recarmi presso la segreteria, sono cose più formali, nella
sostanza la difesa rimane la stessa.
Ora vediamo tutti i termini che sono perentori per il ricorrente, ordinatori per il resistente.
Modalità di proposizione del ricorso: richiamo all’art 16 in quanto la proposizione del
ricorso è una notifica e la disciplina delle notifiche è contenuta nell’art 16. La notificazione
può avvenire o mediante ufficiale giudiziario (il nostro difensore si reca dall’ufficiale
giudiziario e poi ci pensa lui a notificarlo, poi si fa firmare una ricevuta e ci restituisce una
copia con la relata di notifica), altro è il servizio postale (plico aperto senza busta con
raccomandata con ricevuta di ritorno), consegna manuale. Per noi che siamo i ricorrenti
vale il momento in cui affidiamo all’ufficiale giudiziario o alle poste. Viceversa per il
resistente vale il momento in cui riceve.
Art 21: l’unico termine particolare è quello in cui siamo di fronte ad azione di rimborso e
c’è un rifiuto tacito (il silenzio giuridico è dopo 90 giorni dalla notifica). Quindi i termini per
la proposizione dipende se sono di fronte ad un atto scritto o ad un rifiuto tacito e forse
dal tipo di azione. Ciò che notifichiamo all’altra parte è solo il ricorso, non alleghiamo
l’atto (l’ha emesso lui), non facciamo altri allegati. Quando è questione di costituirsi in
giudizi cioè depositare presso la segreteria della commissione tributaria il ricorso, ciò che
depositiamo deve essere identico a quello che abbiamo notificato. La costituzione in
giudizio per quanto riguarda i termini deve essere fatta dal ricorrente nei termini di 30
giorni da quando è avvenuta la notificazione al resistente (contandoli come i 60 giorni,
non sono giorni liberi. Se notifico oggi comincio a contare i 30 giorni da domani e il
numero 30 è l’ultimo giorno per presentare ricorso). Cosa deposito? Quello che
depositano le parti non è un ricorso ma è un fascicolo, spesso questo si riduce a ciò:
ricorso, ricevuta di spedizione postale o alla ricevuta per la consegna manuale (prova
dell’avvenuta notifica alla controparte), atto che stiamo impugnando (avviso di
accertamento o cartella di pagamento. Se è azione di rimborso allora può essere l’atto di
rifiuto espresso, se è silenzio rifiuto allora mostriamo copia di istanza di rimborso che a suo
tempo avevamo notificato all’ufficio). In alcuni casi dobbiamo anche allegare dei
documenti: alleghiamo la quietanza di pagamento del tributo se avevamo pagato. I
documenti possono essere i più vari.
Art 23: il soggetto legittimato al ricorso è colui contro il quale il ricorso è stato proposto. Si
costituisce in giudizio entro 60 giorni da quando gli è stato notificato il ricorso. Questi 60
giorni sono un termine ordinatorio (può anche non costituirsi in giudizio). È ammessa
questa costituzione in giudizio tardiva, consiste nel presentare presso la segreteria della
commissione tributaria un atto che sono le controdeduzioni. Diciamo che l’ufficio ha già
emesso l’avviso di accertamento e contro questo il contribuente ha proposto il ricorso, le
controdeduzioni non possono contenere cose che vanno oltre all’avviso di
accertamento, non può presentare pretese ulteriori rispetto a quelle contenute nell’avviso
di accertamento (potrebbe farlo non tanto bene e intanto poi può completare la pretesa
in sede di controdeduzione cioè anni dopo, ce lo notifica il quarto anno e sarebbe
un’arma potentissima in mano al fisco). Il giudice dovrà giudicare sulla base di un binario
che è dato da un lato dall’atto emesso dall’ufficio e dall’altro il ricorso del contribuente.
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L’atto di controdeduzioni non è paragonabile al ricorso del contribuente, l’ufficio non può
avanzare nulla di più e di diverso da quello che c’era nell’avviso di accertamento. Quindi
se l’ufficio venisse fuori con una nuova prova che ha trovato, questa non avrebbe alcun
valore. Se fosse un litisconsorzio (pluralità di parti) allora più copie. Il contribuente deve
andare in commissione tributaria per prendere le controdeduzioni mentre io notifico
anche all’ufficio, non è tanto giusto.
A norma del c3 nell’atto di controdeduzioni l’ufficio espone le sue ragioni ma non sono
ragioni diverse da quelle che sono a fondamento del suo atto. In particolare poi prenderà
posizione sui motivi del ricorso. L’atto di controdeduzione l’ufficio cercherà di prospettare
al giudice i motivi per cui il nostro ricorso è infondato. Indicazione delle prove di cui
intende valersi, solo in sede processuale l’ufficio propone le sue prove (le prove
attengono la fase del processo, questo è vero in termini generali ma non dimentichiamoci
che ma in fase di accertamento ci sono certi tipi di avviso di accertamento che si basano
su metodi presuntivi (le presunzioni sono mezzi di prova). In questi casi le prove sono già
emerse in fase preprocessuale (studi di settore), quindi un problema di prove può
emergere non solo in fase processuale. Quando l’avviso di accertamento è basato su
deduzioni allora le prove devono già essere mostrate e quindi posso anche oppormi a
queste. Nell’atto di controdeduzioni devono essere indicate le eventuali eccezioni
processuali o di merito che non sono rilevabili d’ufficio. Es merito: siamo in una lite di
rimborso e sosteniamo di essere creditori del fisco per una imposta indebitamente versata
e l’ufficio nell’atto di controdeduzioni solleva una eccezione di merito e lui dice che è
prescritto, è una eccezione che oppone l’ufficio alla nostra richiesta ed è non di tipo
processuale ma riguarda il merito della controversia. Se l’ufficio si sbaglia e non si accorge
di questa eccezione che avrebbe potuto sollevarci. Allora il giudice deve decidere sulla
base dei fatti dedotti dalle parti e questa eccezione che l’ufficio può sollevare può farlo
solo lui, se se lo dimentica peggio per lui. Così come sono importanti i motivi di ricorso e se
non li indichiamo non possiamo integrarli dopo, altrettanto per l’atto di controdeduzioni o
lo fa in questo atto o non lo può più fare dopo con un atto successivo. (dopo aver
proposto il ricorso e la costituzione in giudizio segue una fase di silenzio nel senso che
l’ufficio si costituirà in giudizio però intanto non ci notifica l’atto di controdeduzioni, poi col
fatto che se propongo il ricorso ora e poi mi costituisco il giudizio, poi in udienza se ne
parla tra un anno o anche due quindi è una fase di silenzio e cosa ne sappiamo di
quando l’ufficio si costituisce in giudizio? Potrebbe anche arrivare il giorno dell’udienza a
costituirsi in giudizio).
Ora c’è una fase di attività interne alla commissione tributaria. Il giorno dell’udienza, è
questo il giorno che aspettiamo, in questo tempo che può essere anche lungo, dopo la
costituzione in giudizio della ricorrente allora c’è attività interna. Il presidente della
commissione dà un’occhiata sommaria al ricorso per vedere se ci sono ipotesi di
inammissibilità manifesta, se c’è la dichiara e tutto finisce lì. Se non ci sono ipotesi di
inammissibilità allora assegna il ricorso ad una commissione tributaria. Il pres della comm
affida alla stessa sezione le liti aventi similarità di motivi.
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Art 22: c’è un documento aggiuntivo che dal 2011 va depositato quando il ricorrente si
costituisce in giudizio. È la nota di iscrizione al ruolo (non l’iscrizione a ruolo). Questa è un
elenco di ricorsi, è un documento in cui dobbiamo indicare chi sono le parti (è una sintesi
dei dati rilevanti del ricorso), chi sono le parti, chi è il difensore che si costituisce, l’atto,
quale è la materia del contendere perché così con questa sintesi si accelera un pochino
la giustizia, data di notificazione del ricorso.
Art 24: produzione di documenti e motivi aggiunti. Consiste nella possibilità da parte del
ricorrente di in un momento successivo che ci si è costituiti in giudizio di integrare i motivi
del ricorso, quindi di aggiungere i motivi. È una possibilità estrema in quanto il ricorso deve
essere presentato proponendo già motivi, se non ci sono o non sono chiari allora il ricorso
è inammissibile. Quindi questa è una eccezione rarissima per la quale p data possibilità al
contribuente di aggiungere nuovi motivi ma solo al verificarsi di questa condizione
altrimenti non si può assolutamente aggiungere motivi. Il presupposto è la produzione di
nuovi documenti da parte di controparte. Se l’altra parte produce documenti sconosciuti
prima (allega documenti a controdeduzioni oppure aggiunge anche in un secondo
momento). Possiamo in sostanza con un atto che ha la forma del ricorso fare la
integrazione dei motivi. Si potrebbe anche in sede di udienza integrare i motivi. C2: è
ammessa entro il termine perentorio di 60 giorni da cui l’interessato è a conoscenza di tale
deposito presso la segreteria della commissione tributaria. Quindi il punto è che la legge
non dice fino a quando è possibile presentare documenti. Non viene specificata una
data ultima entro cui si possono presentare documenti. Si potrebbe anche essere a
ridosso dall’udienza e magari i 60 giorni sono pendenti cioè li ha depositati 10 giorni prima
dell’udienza allora posso chiedere al giudice un rinvio.
Leggere disposizioni dall’art 25 ai successivi. Iscrizione del ricorso nel registro generale. C’è
presso la commissione un registro in cui sono iscritti i ricorsi. È ad opera della commissione
questo compito. Quindi c’è un numero di ricorso e poi seguito da RGR.
Si forma poi il fascicolo che va in commissione che è formato dal fascicolo del resistente e
del , verbali di copia delle sentenze, verbali di ordinanze e decreti. I fascicoli di parte al
termine del processo vengono poi restituiti alle parti. Art 27 esame preliminare del ricorso.
È il presidente che fa questo esame e de del caso dichiara estinto o sospende il processo.
Art 28 contro i decreti del presidente è permesso reclamo, io parte potrei fare reclamo
avverso un reclamo del presidente di commissione o di sezione. Art 29 possibilità del
presidente di riunire ricorsi che sono connessi.
L’argomento di oggi riguarda le prove ed i mezzi di prova.
Sia il testo di Basilavecchia che quello nuovo hanno lo stesso modo di vedere il processo
tributario cioè vedere con natura dispositiva e non inquisitiva (Russo).
Una premessa: il tema dell’onere della prova. Tesauro affronta questo tema nell’ultimo
paragrafo del capitolo dedicato. Ma deve essere chiaro fin dall’inizio: una norma
importantissima del cc che è applicabile anche in materia di processo tributario in quanto
è norma di diritto comune (art 2697) prevede che chiunque voglia far valere un proprio
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diritto deve provare per quanto riguarda il fondamento stesso di questo diritto, chi vuol
fare valere il proprio diritto è lui che ha onere di provare il fondamento di questo diritto. Se
questo lo caliamo nel processo tributario si può arrivare ad una conclusione distorta.
Titolare dell’azione tributaria è il contribuente. Quindi cosa potremmo trarne come
conclusione errata? Essendo nel processo tributario il contribuente ad essere titolare
esclusivo dell’azione potremmo trarne come conseguenza il fatto che sia il contribuente
ad avere l’onere della prova, cosa che non è. Nel processo tributario il contribuente è
attore in senso formale, ma attore in senso sostanziale è l’amministrazione finanziaria, cioè
colei che ha emesso l’avviso di accertamento. Partiamo dal presupposto che ha onere
della prova colui che vuole far valere un certo diritto in giudizio. È il contribuente che
propone ricorso al giudice in primo grado, quindi vorrebbe dire che è lui che ha onere
della prova? No, dobbiamo partire dal presupposto che anche se il contribuente che è
attore formale, in realtà colui che ha dato il via al tutto è l’amministrazione finanziaria o
l’ente locale o l’agente della riscossione. Ora ci stiamo riferendo alle azioni di
annullamento. Essendo l’amm attore in senso sostanziale allora è lei che ha l’onere della
prova. L’amm fin deve motivare l’avviso di accertamento ed è l’amm fin che deve
provare la propria pretesa contenuta nell’avviso di accertamento. Se stiamo parlando di
onere della prova, questa è a carico dell’amministrazione finanziaria. Stiamo risalendo
alla fase dell’accertamento ed è già lì che l’amm fin ha onere di provare la sua pretesa.
Quindi non è che nel processo si devia da questo. Un’altra cosa che deve essere chiara:
vi sono ipotesi in cui la legge stabilisce delle presunzioni a favore degli uffici, sono le
presunzioni legali. Una molto importante è in materia di accertamenti bancari perché
vale la presunzione per cui a fronte di versamenti in entrata sul c/c bancario (un
imprenditore ha ricevuto dei versamenti che non risultano nella contabilità, queste
entrate che risultano dagli e/c sono considerati ricavi non dichiarati). È a favore
dell’attività dell’ufficio, l’ufficio non deve provare che questa entrata sia entrata non
dichiarata, per motivare basta che citi la disposizione di legge che le consente di inferire
l’esistenza di una entrata nera. È la legge che inferisce da un fatto noto, un fatto ignoto
(ricavo non dichiarato dal contribuente). È una presunzione legale relativa nel senso che
ammette la prova contraria cioè il contribuente può provare che quell’entrata non è un
ricavo non dichiarata. La presunzione legale assoluta è quella che non ammette prova
contraria, se anche fosse una ipotesi che non è un ricavo, il contribuente non potrebbe
provare niente.
Le presunzioni sono prove, sono mezzi di prova. L’ufficio può provare anche basandosi su
presunzioni. Infatti tipicamente gli accertamenti bancari sono basati su queste presunzioni.
Se è vero che la regola generale vuole che l’onere della prova sia in capo all’ufficio. Ci
sono casi in cui c’è l’inversione dell’onere della prova. Siamo nell’ambito della azioni di
impugnazione. Di fronte a presunzioni legali si inverte l’onere della prova. Se la regola
vorrebbe che è l’ufficio che ha l’onere della prova, ma essendoci una presunzione legale
allora si ha inversione dell’onere della prova, il contribuente deve fornire la prova che non
è un ricavo non dichiarato. Se siamo in presenza di presunzioni semplici (non legali), in
questo caso l’ufficio può arrivare ad accertare maggiori ricavi anche sulla base di
presunzioni semplici, l’onere della prova rimane sempre a carico dell’ufficio. A riguardo
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quindi delle presunzioni semplici: il tovagliometro [ossia l’idea che se un ristoratore ha
portato in lavanderia a lavare X tovaglioli o tovaglie (fatto noto) l’ufficio ne possa inferire
un fatto ignoto cioè l’evasione ovvero quanti pasti ha predisposto il ristoratore ora l’ufficio
può arrivare a provare il proprio avviso di accertamento basandosi su tale presunzione.
Ora l’ufficio potrebbe fondare il proprio avviso anche sulla base di presunzioni semplici
che devono essere gravi, precise e concordanti. Un’altra classica presunzione semplice
con cui l’ufficio in passato ha emesso molti avvisi di accertamento: commerciante cha fa
vendita di alimentari allora a lui si applicava la media di ricarico tipica del settore. Questa
è una presunzione semplice e può essere una prova nella misura in cui sia grave, precisa,
concordante (deve concordare anche con altri elementi). La giurisprudenza è arrivata a
dire che la presunzione può essere anche una sola ma deve essere grave e precisa.
Quando l’ufficio si basa un presunzioni per fondare il proprio avviso di accertamento,
questi devono essere gravi, precise e concordanti.
Distinzione tra metodi di accertamento induttivo contabile ed extracontabile. Quello
contabile e quello extracontabile sono due metodi di accertamento che entrambi
ammettono l’uso di presunzioni anziché di prove dirette. L’accertamento induttivo
extracontabile è quello usato in casi particolarmente gravi tassativamente elencati
(contabilità non tenuta, contabilità non attendibile, dichiarazione non presentata), a
questo punto l’ufficio può basarsi di presunzioni semplicissime cioè anche prive della
gravità, concordanza e l’altra cioè il tovagliometro andrebbe benissimo. Qualsiasi
presunzione è ammessa.
Spostiamoci ora davanti al giudice. Nel processo tributario varranno quelle stesse regole
che valgono nella fase amministrativa, è onere dell’ufficio provare, il giudice non si può
sostituire all’ufficio per provare. Prima c’era l’idea che il giudice potesse soddisfare le
lacune di prova dell’ufficio.
Azioni di rimborso: l’onere della prova nelle azioni di rimborso. In una azione di rimborso il
contribuente è attore in senso formale e anche sostanziale. Anche se si pensa all’ipotesi di
rifiuto espresso, a monte c’era una istanza di rimborso del contribuente. Il contribuente
deve provare il fondamento del proprio credito.
Il giudice tributario ha dei poteri particolari istruttori? Abbiamo anche una istruttoria
amministrativa che sono le indagini che hanno compiuto l’amministrazione finanziaria.
L’istruttoria del processo può essere svolta solo dai giudici e c’è la regola che il giudice
non può sostituirsi all’ufficio.
Art 7 546: esistono due diversi orientamenti. Un orientamento vede il processo tributario
come processo di natura dispositiva e cioè di una natura che riflette il processo civile ed
in particolare l’art 115 cpc. Secondo questo orientamento, i poteri istruttori del giudice
tributario sono gli stessi del giudice civile. Altri dicono che i giudici hanno poteri inquisitori,
ben più ampi di quelli dell’art 115 (carattere inquisitorio, come se il giudice tributario
potesse sempre essere lui a scoprire quali sono i fatti alla base della difesa, vanno ad
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investigare oltre quello che sta facendo l’ufficio). L’altro invece il potere del giudice
decide sulla base della prove portate in giudizio dalle parti. Il giudice può esercitare
poteri istruttori ma sempre nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, ma non può assumere
iniziative di tipo investigativo, inquisitorio.
7: nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, art 115 cpc disponibilità delle prove, salvo i casi
previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove dedotti
dalle parti, non può essere il giudice che risolve il caso portando lui delle prove (natura
dispositiva del processo civile). Quando parla di fatti, tanto primari quanto secondari. I
primari sono quelli di diritto sostanziale quindi quelli che riguardano nel merito la
controversia (l’esistenza di certi ricavi). Poi i fatti secondari che sono le prove che
sorreggono i fatti primari. Ha aggiunto una postilla: quali sono i binari entro cui il giudice
potrà assumere la sua decisione? Sono entro i fatti dedotti dalle parti. I fatti dell’ufficio
sono nell’avviso di accertamento e semmai nelle controdeduzioni. Il ricorrente nel ricorso.
Ma può anche aggiungere fatti che non sono specificamente contestati, cioè se il
contribuente non contesta fatti specifici nel ricorso allora il fatto dell’amministrazione
finanziaria è dato per provato.
Art 7 c1: “Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti,
esercitano
tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli
uffici
tributari ed all' ente locale da ciascuna legge d' imposta” . quali poteri istruttori hanno i
giudici tributari? Hanno il potere di accesso eccetera che hanno l’amministrazione
finanziaria. Ha gli stessi poteri dell’amministrazione finanziaria. Hanno anche il potere di
chiedere al contribuente, di mandare inviti. Quasi mai vengono esercitati questi poteri, e
deve essere chiaro il fine. Non la cassazione, parla delle commissioni tributarie. Possono
poi chiedere la nomina di consulenti tecnici. Possono anche chiedere a organi della
amministrazione statale (agenzia del territorio).
Quali prove sono ammesse? Le presunzioni ne abbiamo già parlato. Il giuramento non è
ammesso. Essendo poi un processo scritto e documentale anche la testimonianza non è
ammessa. La corte costituzionale ha ritenuto costituzionale il processo tributario anche se
nel processo tributario né il giuramento né la testimonianza possono essere usati come
mezzi di prova. Sono però ammesse le cosiddette dichiarazioni di terzi, questo sia nella
fase amministrativa che in sede processuale. Cioè se nel corso di un accesso emergono
delle evasioni del contribuente o comunque emergono delle violazioni il contribuente può
chiedere a persone che conoscono i fatti (un dipendente) di rilasciare una dichiarazione
di terzi che possono essere rese in sede di accesso o anche in sede processuale. Ma
mentre la testimonianza è un mezzo di prova negli altri processi, viceversa le dichiarazioni
di terzi non sono prese come una prova vera ma come un elemento indiziario cioè il
giudice non può basarsi esclusivamente su una dichiarazione ma dovrà tenere conto
anche di altri elementi. Vediamo la confessione: di questa non si dice nulla quindi la si
ritiene ammessa, anche se non sono tecnicamente confessioni vere e proprie tutto ciò
che dichiariamo in dichiarazione dei redditi non è come una confessione cioè lo
possiamo ritrattare ad esempio se abbiamo fatto un errore. Nel corso di un accesso il
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contribuente rilascia delle dichiarazioni e sono tutte confessioni, cioè non possiamo dire
certe cose lì e poi cose diverse di fronte al giudice. Il giudice dovrà anche verificare se le
presunzioni su cui si è basata l’ufficio sono in linea con ciò che dispone la legge.
Immaginiamo di aver presentato la dichiarazione, non ricorrono i presupposti per
l’accertamento induttivo extracontabile, ma l’ufficio ha basato le sue presunzioni su
questo metodo, senza che ci fossero i presupposti. Oppure l’ufficio ha fatto l’accesso
senza permesso. O il contribuente dice che è stato fatto un accesso illegittimo in quanto
mancante di permesso (fatto primario), se questo fatto non è dedotto dal contribuente
come motivo di ricorso allora non può essere il giudice che deduce questo fatto, o lo
deduce il contribuente o il giudice non può farlo.
Art 116 cpc anche si applica al processo tributario. Il giudice deve valutare le prove
secondo il suo prudente apprezzamento.
Un’altra ipotesi di prove escluse sono , nel dpr 600 ci sono due norme gemelle che
stabiliscono che il contribuente non può usare a suo favore le scritture contabili, i libri, i
documenti dei quali abbia negato la visione in sede di accertamento. Il contribuente non
può usare a suo favore documenti, scritture contabili, che non abbia esibito in sede
amministrativa e quindi anche in sede processuale. È vero che c’è questo limite per il
contribuente in sede amministrativa ma se ha opposto un rifiuto o li ha occultati allora il
contribuente non potrà in un successivo momento produrli in giudizio a suo favore; se il
fatto di non averli prodotti non dipende da una causa a lui imputabile allora anche se
non li ha prodotti in sede amministrativa può produrli in sede giudiziaria.
Un’altra prova: c’è anche un processo penale in corso o anche un soggetto penale per
altri fatti, un certo soggetto è anche imputato. Potrebbero emergere dei documenti che
possono essere rilevanti per un’indagine tributaria, nei panni dell’amministrazione
finanziaria questa vorrebbe quei documenti perché provano l’elusione ma sono coperti
dal segreto istruttorio. Utilizzabilità dei documenti se c’è l’autorizzazione dell’autorità
giudiziaria, è necessaria una autorizzazione del giudice per usare questi documenti.
Se il processo penale si è già concluso, magari anche riguardante una questione
tributaria. Primi anni ’80 esisteva una regola di priorità cioè non si poteva svolgere il
processo tributario se prima non chiudeva l’altro. Ora questa regola non c’è più. Ma ci
chiediamo in che misura la sentenza del giudice penale passata in giudicato che
immaginiamo assolva totalmente l’imputato, in che misura questa sentenza rappresenta
un vincolo cioè un risultato a cui conformarsi nel processo tributario? Il giudicato penale
deve essere recepito anche negli altri giudizi. In effetti così non è nel processo tributario
perché se ci sono diversità nei mezzi di prova ad esempio nel processo tributario non è
ammessa la prova testimoniale quindi non si può estendere automaticamente il giudicato
penale a quello tributario. Quindi ben diverso potrebbe essere il giudicato tributario.
Le prove e i documenti che le parti possono produrre nel processo tributario. Settimana
scorsa ha parlato della produzione di documenti: quando ha parlato delle modalità con
le quali si costituisce in giudizio il ricorrente, questa avviene mediante deposito presso la
segreteria del ricorso e degli altri documenti. Sono tutti documenti che il ricorrente ritiene
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utile per far valere il ricorso. Così quando ha parlato della costituzione in giudizio della
parte ricorrente (…..)
Integrazione dei motivi: sono una parte fondamentale del ricorso. Se ci facciamo mal
difendere in primo grado siamo fottuti anche nei successivi gradi di giudizio. In base all’art
24 è possibile aggiungere nuovi motivi quando sono depositati dall’altra parte documenti
non conosciuti fino a quel momento.
Art 58 546: è il divieto dello ius novorum che riguarda le prove in appello. Il giudice in
appello non può disporre nuove prove. Però le parti possono produrre nuovi documenti. Il
giudice può ammettere nuove prove se la parte dimostra di non averle potute fornire
prima per una causa a lui non imputabile.
Art 7: è stata abrogata una norma che è il comma 3.consisteva nella possibilità del
giudice tributario di ordinare ad una parte la produzione in giudizio di documenti. Questa
norma non è stata abrogata perché questa possibilità non è più data. Questa possibilità
c’è sempre, è nel cpc, questo potere del giudice rimane ma deve essere fatta su istanza
di parte cioè deve essere una parte che richiede al giudice che l’altra parte produca
documenti.
Art 17 bis 546 (decreto legge del luglio 2011). Nuovo istituto: procedimento che deve
essere assolutamente seguito come veicolo d’accesso al processo tributario. Ora il ricorso
è inaccettabile se non è stato esperito questo procedimento. Siamo in una fase
preprocessuale.
Lo si applica dal 1 aprile 2012. Lo si applica con riferimento agli atti suscettibili di reclamo
(avviso di accertamento).
Definiamo l’ambito oggettivo di applicazione di questa norma (tipo di controversie che vi
ricadono). Questo istituto interessa le controversie di valore non superiore a 20.000 euro.
Serve quindi per sfoltire il contenzioso, istituto deflattivo della lite (cercano di evitare la lite
con il fisco). Devono anche riguardare atti emessi dall’agenzia delle entrate, non atti
emessi da altri soggetti impositore (ici emessi dal comune o atti catastali dell’agenzia del
territorio). Chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo.
Per le controversie per le quali è ammesso reclamo è escluso l’istituto della conciliazione
giudiziale. Il secondo comma: la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità
del ricorso. Se non presento preliminarmente il reclamo allora la presentazione del ricorso
senza reclamo, il ricorso diventa inammissibile. L’inammissibilità può essere rilevata anche
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Determinazione del valore di 20.000 euro (art 12 comma 5). Si guarda all’ammontare
dell’imposta accertata nell’atto. Non si applica il reclamo ad un particolare tipo di lite
cioè (art 47 bis), riguarda i ricorsi del contribuente contro i dinieghi di aiuti di stato
(provvedimenti contro il contribuente perché gli negano gli aiuti di stato).
La natura del reclamo preprocessuale lo si capisce dal comma 6 art 17 bis, dice si applica
l’art 12 (assistenza tecnica, devo farmi difendere dal difensore tecnico),art 18 disciplina
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contenuto del ricorso, cioè deve avere un contenuto identico al ricorso, lo stiamo
chiamando reclamo ma lo vestiamo da ricorso. Si applica anche l’art 19 (atti impugnabili,
il reclamo lo posso proporre solo di fronte ad atti autonomamente impugnabili), art 20
(proposizione del ricorso cioè come il ricorso deve essere proposto), art 21 (termine per la
proposizione del ricorso), art 22 c 4 (deposito del fascicolo pressa la segreteria tributaria).
Contenuto del reclamo è identico a quello del ricorso e può contenere anche una
motivata proposta di mediazione. Fa una proposta di rideterminazione dell’imponibile. Il
reclamo viene presentato a quella provinciale. La direzione che è destinataria, se non
intende accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto (è volto ad
ottenere l’annullamento totale o parziale come il ricorso), né intende andare incontro alla
proposta di mediazione. Allora in questo caso l’ufficio può fare una proposta di
mediazione sua.
C9: decorso un certo arco di tempo dato da 90 giorni, senza che sia stato notificato al
contribuente l’accoglimento del reclamo (è possibile che il contribuente abbia proposto
reclamo e sono passati 90 giorni senza che abbia ottenuto risposta di accoglimento
dall’ufficio oppure può succedere che la mediazione non sia conclusa allora il reclamo
assume la veste di ricorso e produce gli effetti del ricorso. Il 22 e 23 decorrono da questo
termine.
Mi viene notificato avviso di accertamento. Se >20.000 euro allora non c’è reclamo quindi
ho 60 giorni per proporre ricorso all’agenzia delle entrate e poi ho altri 30 giorni da
quando ho notificato ricorso per costituirmi in giudizio.
Se l’agenzia delle entrate respinge il reclamo prima che siano trascorsi i 90 giorni, quindi
con rifiuto espresso allora abbiamo un dies a quo dal quale partono i 30 giorni per
proporre reclamo. (s).
Può accadere che l’accoglimento sia parziale, vuol dire che per la parte per cui vi è stato
diniego possiamo proporre ricorso a questa parte.
Art 32. Prima di arrivare al giorno di trattazione della controversia. Non ci ha detto ciò che
può avvenire nei 20 giorni liberi prima e nei 10 giorni liberi prima e nei 5 giorni liberi prima.
La segreteria deve dare comunicazione 30 giorni prima della trattazione della
controversia. La trattazione naturale è quella in camera di consiglio cioè non in presenza
delle parti, oppure l’altra modalità è quella per cui vi è la pubblica udienza cioè le parti
sono ammesse davanti al giudice e volendo chiunque può assistere alla trattazione. Se
non si richiede niente, naturalmente si va in camera di consiglio. La richiesta è fatta nel
ricorso se lo vuole il contribuente oppure nelle controdeduzioni se lo vuole l’amm fin
oppure si può sempre fare una istanza successiva nel quale la si richiede. Fino a 20 giorni
liberi prima della trattazione le parti possono depositare presso la segreteria della
commissione tributaria documenti (potrebbe anche essere una sentenza, funzione
nomofilattica della cassazione). Fino a 10 giorni liberi prima si può depositare delle ulteriori
memorie (le memorie non sono nuovi motivi, non si possono aggiungere nuovi motivi,
illustriamo ancora meglio quello che abbiamo indicato nel ricorso senza aggiungere
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niente di nuovo). Fino a 5 giorni liberi prima se c’è trattazione in camera di consiglio posso
presentare brevi repliche scritte.
Giorno della trattazione: quando usciamo non sappiamo la decisione, i giudici devono
assumerla velocemente, in camera di consiglio prendono la loro decisione. Noi non la
sappiamo subito. L’unica eccezione sono gli aiuti di stato. Nel casi di atti volti ad aiuti di
stato, sono discusse sempre in pubblica udienza e subito dopo la discussione il collegio
giudicante delibera in camera di consiglio. Il presidente redige il dispositivo e lo legge in
udienza.
La pubblicazione della sentenza consiste nella pubblicazione della sentenza presso la
segreteria.
Art 38: richiesta di copie e notificazione della sentenza. Ciascuna delle parti può chiedere
copia della sentenza. Una parte può chiedere copia della sentenza e notificarla all’altra
parte. Se la sentenza viene notificata da una parte all’altra, da lì decorrono i termini per
impugnare la sentenza, il termine breve di 60 giorni. Se faccio così l’altra parte è soggetta
a questi termini brevi di 60 giorni per proporre appello. Il termine lungo si ha nel caso in cui
nessuna delle due parti notifica all’altra la sentenza. Se non lo fa si hanno 6 mesi per
proporre appello. Se nessuna delle parti provvede alla notificazione si applica art 327 cpc
cioè 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Ricorso per Cassazione: 60 giorni è il termine breve da notificazione della sentenza,
termine lungo è deposizione della sentenza e poi 6 mesi. Si aggiunge il periodo feriale.
Dal 39 al 48 si parla di sospensione, estinzione del processo, interruzione. Se non riesce a
farlo rimanda. 47 bis aiuti di stato. 48 conciliazione giudiziale. 47 è la tutela cautelare
(sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato).
Dal 49 iniziano le impugnazioni quindi gli altri gradi del giudizio.
Art 276 cpc applicabile anche nel processo tributario. Contenuto della sentenza. C1: la
decisione è deliberata in segreto in camera di consiglio. Non solo nel senso che non
possono parteciparvi le parti, ma neanche altri giudici. C3: la decisione è presa a
maggioranza di voti. C2: prevede che il collegio decida gradatamente le questioni
pregiudiziali, decide quindi il merito della causa. Stabilisce una certa sequenza nella
decisione, prima devono essere decise le questioni pregiudiziali, dopo sarà deciso il
merito. Potrebbe anche accadere che la decisione non riguardi poi il merito perché può
accadere che la questione pregiudiziale sia assorbente cioè che è così importante che
annulla l’atto. Quali possono essere le questioni pregiudiziali? Salvo alcune questioni
pregiudiziali cioè querela di falso e stato delle persone per le quali occorre sospendere il
pt ed andare alla giurisdizione ordinaria. Tutte le altre questioni pregiudiziali le deve
risolvere il giudice tributario. Quando si parla di pregiudiziali si sta riferendo a qualsiasi
questione che possa riguardare i presupposti processuali (es: potrebbero esserci problemi
di giurisdizione, problemi di competenza, su queste questioni il giudice deve decidere
prima di entrare nel merito, chi si è presentato in giudizio è la parte legittimata?, il giudice
quando deve prendere la sua decisione deve iniziare da tutte queste questioni
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pregiudiziali. Altre possono essere questioni per le quali occorre sospendere tipo legittimità
costituzionale, oppure questione di diritto europeo. Verifica dell’ammissibilità del ricorso
per quei casi che può farlo d’ufficio, i termini per proporre ricorso). In certi casi il giudice
tributario può disapplicare, non applicare nel caso concreto degli atti amministrativi
Principio della domanda art 99 cpc, art 112 cpc principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato.
Principio della domanda: partiamo dal presupposto che chi vuol far valere un diritto in
giudizio deve fare domanda al giudice. Ciò che da questo principio possiamo desumere
è che è la domanda ciò che è decisivo perché è nella domanda che si pongono i motivi
della propria domanda ed a questa il giudice dovrà dare risposta.
Corrispondenza tra ciò che è stato chiesto e ciò che sarà pronunciato. Ciò che sarà
chiesto dal ricorrente, anche se attore in senso sostanziale è l’ufficio, di fatto però è il
ricorrente colui che nella forma propone la domanda ed è attore. Il giudice dovrà poi
corrispondere a questa domanda. L’art 112 ha riguardo per la domanda del ricorrente e
anche per quanto riguarda le eccezioni. Per quanto riguarda la domanda l’art prevede
che il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. Deve stare
nei limiti di essa. Una sentenza nella quale il giudice dovesse andare oltre la domanda del
ricorrente sarebbe una sentenza viziata da ultrapetizione. Altrettanto potrebbe accadere
non un caso di superamento (chiedo l’annullamento parziale) e sarebbe viziata la
sentenza in cui il giudice disponga l’annullamento totale; altro caso è quello non di ultra
ma di extrapetizione cioè sentenzia qualcosa di diverso, ho chiesto annullamento e il
giudice sentenzia una condanna. Se io ricorrente faccio valere dei motivi aggiunti, il
giudice accoglie i motivi aggiunti ma non c’erano i presupposti cioè i motivi non erano
contenuti nel ricorso iniziale. Tutti questi tipi di sentenze sono sentenze viziate. Non ci
riferiamo soltanto all’oggetto della domanda cioè il provvedimento che chiediamo al
giudice (annullamento totale o parziale, rimborso, riconoscimento di un credito), non
deve il giudice avere solo a riguardo al petitum ma anche ai motivi per cui chiediamo e li
deve analizzare ad uno ad uno (causa petendi), non può omettere l’esame dei motivi.
C’è un limite, esiste una scansione temporale nell’esame delle questioni (prima
pregiudiziali poi di merito), se è arrivato ad annullare l’atto sulla base del primo motivo di
ricorso che abbiamo sostenuto allora questo motivo è assorbente, il giudice assume la sua
decisione per questo motivo quindi non serve che vada a leggere gli altri. Es: nel ricorso
inseriamo due motivi, il primo è formale tipo l’atto è illegittimo perché è emesso dall’ufficio
delle entrate in carenza di potere perché è emesso oltre i termini stabiliti a pena di
decadenza per la presentazione (quarto anno), anche se la pretesa fosse fondata,
essendo ex 276 il giudice arriva alla conclusione di annullare l’atto allora questo motivo è
assorbente cioè la decisione assunta dal giudice assorbe tutto il petitum. I vizi di extra o
ultra possono essere eccepiti.
Sempre il 112 nel fissare la corrispondenza tra chiesto e pronunciato esamina poi le
eccezioni, vi sono delle eccezioni in senso stretto e boh. L’eccezione proviene di solito dal
convenuto e non dall’attore. Nel linguaggio processuale una eccezione viene dalla parte
resistente a fronte della domanda del ricorrente. E poi il ricorrente può a sua volta
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proporre eccezioni. C’è l’eccezione in senso stretto che va riferita soltanto alla parte cioè
è eccezione in senso stretto quella che può essere sollevata dalla parte e non dal
giudice. È il caso in cui il ricorrente sostiene diritto di credito, l’ufficio la nega con una
eccezione in senso stretto cioè non la può sollevare il giudice ad esempio che il credito è
prescritto. Questa è una eccezione in senso stretto, la può sollevare solo l’ufficio, non può
essere il giudice a sostituirsi all’ufficio e dire che il credito è prescritto. Il giudice potrà
sollevare solo eccezioni in senso lato. È quella che può essere anche proposta dal
giudice. Che cosa è eccezione in senso lato e che può quindi essere proposta anche dal
giudice? Avviso di accertamento emesso oltre i termini stabiliti a pena di decadenza.
Invece che entro il 31.12 del quarto anno successivo mi notifica questo atto oltre i termini.
Quindi l’atto è viziato, vizio formale per il quale il contribuente può chiedere
l’annullamento. Se il contribuente non ha messo questo come motivo di ricorso allora il
giudice può sollevare lui questa eccezione? No, non la può sollevare il giudice. Non può
essere il giudice in questo caso a proporre questa eccezione in giudizio, se non viene
proposto dal contribuente questa non è eccezione in senso ampio. Altro es: è nel poter
del contribuente proporre al giudice il ricorso nei confronti di un avviso di accertamento,
è subordinato però a certi termini (60 giorni). Il contribuente ha proposto ricorso ma oltre i
60 giorni, quindi il ricorso è inammissibile. Chi può sollevare eccezione a riguardo di questa
tardività? È una eccezione in senso stretto e quindi può essere sollevata solo dalla parte
resistente? Questa, in quanto riguarda un potere del contribuente, rientra nelle eccezioni
in senso lato cioè anche il giudice potrà proporre questa eccezione. Non esiste una
disposizione di legge che dice quali sono le eccezioni in senso stretto e quali quelle in
senso lato.
Quando si parla di giudicato ci si riferisce, 546 (nel 546 non troviamo alcun esplicito rinvio
né al 99 né al 112, il rinvio è quello generale ex art 1 546).
Ieri abbiamo parlato del termine breve e del termine lungo, ci ha richiamato il 327 che
prevede il termine di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza questa non è più
impugnabile. Quello che dava per scontato è che “indipendentemente dalla
notificazione il termine…” di che notificazione sta parlando? Sta parlando della
notificazione della sentenza. Se una delle parti notifica all’altro la sentenza di primo grado
allora inizia a decorrere il termine breve. Può accadere che oggi viene pubblicata la
sentenza, contribuente prende visione della sentenza e la tengo lì e decido dopo 4 mesi
di notificarla all’altra parte. Non c’è problema, a legge non stabilisce un limite temporale.
Una parte notifica all’altra la sentenza, questo termine di 60 giorni decorre da quando
l’abbiamo notificato, può essere il giorno dopo, un mese dopo la pubblicazione della
sentenza. Può accadere che il termine breve si sovrapponga con il termine lungo, allora
c’è questo articolo che dice che anche se siamo nei 60 giorni che seguono la
notificazione esiste quel termine lungo invalicabile di 6 mesi. Quindi se mi riduco fra 5 mesi
a notificare per allungarmi il termine e dribblarlo ma invece esiste il limite invalicabile di 6
mesi.
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Altro chiarimento su ieri: chi ha interesse a notificare la sentenza? La parte vittoriosa così
partono i termini brevi per proporre appello. Può anche accadere che siamo in parte
soccombenti ed in parte vittoriosi.
Art 49 546: dal 323 al 338 del cpc. Il 327 è quello che stabilisce il termine lungo dei 6 mesi. Il
337 non è applicabile perché riguarda la sospensione dell’esecuzione e non si applica
perché c’è art 47 nel 546. Pur avendo fatto questo rinvio al cpc, l’art 50 del 546 stabilisce
in particolare quali sono i mezzi di impugnazione nel processo tributario ed è previsto che i
mezzi per impugnare le sentenze sono l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione.
La revocazione è molto rara, esiste quella ordinaria e quella straordinaria, è un mezzo di
impugnazione ma la si usa in casi molto particolari. Riguarda i casi tipo dolo di una delle
parti, emerge un documento falso e la sentenza si basava su questo.
Art 51: disciplina dei termini per l’impugnazione. C’è famoso termine di 60 giorni tanto per
il regionale quanto per la cassazione.
Art 324 cpc: è il giudicato in senso formale o cosa giudicata formale poi c’è anche quello
in senso sostanziale. Dobbiamo distinguere il giudicato formale e quello sostanziale.
Giudicato in senso formale ne da la disciplina il 324 e stabilisce ciò: è passata in giudicato
la sentenza che non è più soggetta a regolamento di competenza, il regolamento di
competenza non è ammesso nel processo tributario quindi questa parte di questa norma
non ci riguarda (è ammesso quello di giurisdizione), né ad appello, né a ricorso per
cassazione né a revocazione, ma esclusivamente quella straordinaria. Non si riferisce
esplicitamente alla straordinaria ma riferendosi a quei punti, in quei punti si parla della
revocazione straordinaria. È cosa giudicata in senso formale quella che ha raggiunto il più
alto grado di stabilità, non possiamo più proporre appello, neppure ricorso per
cassazione, neppure revocazione straordinaria cioè quello che si fa ex art 395 punti 4 e 5.
Quindi quello formale allude al grado di stabilità della sentenza. Una sentenza provinciale
per la quale sono ancora pendenti i termini per proporre appello, quella è cosa giudicata
a livello formale? No, in quanto sono ancora pendenti i termini. Questo significa che non
ha raggiunto quel grado di stabilità massima raggiunta da quella formale. Così la
sentenza di secondo grado della regionale e sono ancora pendenti i termini per proporre
ricorso per cassazione, anche quella è una sentenza stabile ma non ha ancora il grado di
stabilità massimo delle sentenze giudicata dal punto di vista formale.
Dalla cosa giudicata in senso formale si distingue la cosa giudicata in senso sostanziale.
Riferimento ad art 2909 cc: l’accertamento contenuto in una sentenza passata in
giudicato fa stato ad ogni effetto fra le parti, anche fra gli eredi e gli aventi causa da
queste parti. Ci stiamo riferendo agli effetti giuridici della sentenza. Ciò che il giudice ha
accertato sono questi gli effetti. L’accertamento contenuto nella sentenza altro non è
che quella situazione giuridica soggettiva per l’accertamento della quale il ricorrente
aveva fatto domanda al giudice. Quando parliamo ex 2909 del giudicato questo ha dei
limiti di tipo oggettivo e soggettivo. Il 2909 lo dice chiaramente che questo accertamento
fa ad ogni effetto ma solo tra le parti quindi dal punto di vista soggettivo il giudicato fa
effetto tra le parti e tra gli eredi e gli aventi causa. Non può avere effetto oltre questo
limite. Sorgono poi questioni interpretative non facili da risolvere. C’è l’estensione del
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giudicato ai coobbligati cioè coloro che sono coobbligati di fronte ad fisco per la
medesima obbligazione (paritetici o dipendenti). Es: coobbligati paritetici compratore e
venditore ai fini dell’imposta di registro. Il giudicato si forma nei confronti del venditore.
Emesso avviso di accertamento di maggior valore dell’immobile, questo riguarda
entrambi, ai fini dell’imposta di registro le parti sono coobbligati paritetici. Notificato
all’uno e all’altro, poniamo che il venditore abbia impugnato e l’avviso è stato
impugnato. Il giudicato vale solo tra il venditore e l’ufficio? O è estendibile anche al
compratore che invece non ha proposto ricorso? Oppure il caso di coobbligati
dipendenti, il notaio che redige l’atto è coobbligato dipendente. Se è il notaio a pagare
allora questo ha diritto di regresso verso le parti. Questa questione sulla base del 2909
dovremmo dire che vale solo fra le parti quindi non posso estendere il giudicato al
compratore. Ma c’è anche art 1306 cc, è norma dettata in materia di responsabilità
solidale, prevede l’estensione del giudicato che si sia formato nei confronti di un
coobbligato anche nei confronti degli altri coobbligati ma solo se è un giudicato
favorevole. Se il giudicato non è favorevole allora non può essere esteso. Impedisce
l’estensione del giudicato sfavorevole. Questa norma da per scontato che quel
coobbligato abbia agito in giudizio, cioè nel caso in cui entrambi abbiano agito in
giudizio. Il caso discusso è invece questo: questa estensione del giudicato favorevole lo si
ha anche quando il coobbligato sia rimasto inerte? È questo il caso problematico.
Oppure l’altro caso è se il 1306 possa essere applicato anche nel caso in cui l’altro
coobbligato abbia ottenuto un giudicato sfavorevole. Il 1306 si applica quando entrambi
abbiano agito in giudizio e se uno è favorevole allora si estende all’altro, se è sfavorevole
allora non posso estenderlo anche all’altro. Ciò di cui si discute è questo caso: Tizio ha
giudicato favorevole ed è estendibile anche a Caio che non ha agito in giudizio? L’altro
caso per il quale si solleva il dubbio è se avendo Tizio ottenuto giudicato favorevole e
avendo ottenuto Caio un giudicato sfavorevole allora si può chiedere l’estensione del
giudicato favorevole anche per Caio? La giurisprudenza tende ad estendere il giudicato
favorevole anche all’ipotesi dell’inerzia, ma con due limiti: se è già stata pagata una
parte dell’imposta l’estensione del giudicato non determina il rimborso dell’imposta.
L’altro limite è nel secondo caso che abbiamo detto non è riconosciuto dalla
giurisprudenza, se ho ottenuto sfavorevole allora non si estende.
Torniamo al concetto di cosa giudicata.
Distinzione: giudicato interno e giudicato esterno. A volte nel corso di un giudizio anche se
non siamo ancora giunti alla sentenza passata in giudicato può essersi formato un
giudicato interno. Es: abbiamo la sentenza della provinciale che accoglie in parte il
ricorso del contribuente quindi riconosce in parte le sue ragioni. Per altri capi non
riconosce le ragioni del contribuente, quindi vede parzialmente vittorioso il contribuente. Il
ricorrente propone appello per le questioni per le quali il giudice non gli ha dato ragione.
Ha fatto meglio i conti e ha visto che alcuni motivi non li ripropone in appello perché
erano un po’ tirati quindi rinuncia in parte ad alcuni suoi motivi quindi rinuncia a
contestare alcuni capi della sentenza, per queste parti abbandonate si sta formando il
giudicato. Se non li contesto, su questi si sta formando il giudicato. Quindi la sentenza
della provinciale che ha assunto una certa decisione è come se si scindesse in due
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perché una parte diventa giudicato interno. È anche detta acquiescenza impropria.
Esiste poi il giudicato esterno che è l’esempio di prima, è l’estensione di un giudicato ad
un altro processo che può essere fra le stesse parti oppure fra altre parti ma che ha lo
stesso oggetto.
L’effetto delle sentenze.
Sentenze passate in giudicato con cui venga respinto il ricorso del contribuente.
Immaginiamo di parlare di liti di impugnazione volte ad ottenere l’annullamento dell’atto.
Qual è il suo effetto? Es: avviso di accertamento, otteniamo sentenza ormai passata in
giudicato, con questa sentenza si respinge il ricorso, che effetto produce questa
sentenza? Questa sentenza ha un effetto puramente dichiarativo cioè lascia in vita l’atto,
non lo modifica, non è che la sentenza in qualche modo rinnovi l’atto, lo sostituisca. La
sentenza si limita a riconoscere che l’atto non è viziato, è privo di vizi. L’atto rimane
sempre quello, se l’ufficio può riscuotere allora la riscossione l’ufficio la può ottenere non
sulla base della sentenza ma la può ottenere sulla base dell’atto che non è stato
minimamente toccato dalla sentenza. Se viceversa stiamo parlando di una sentenza che
ha accolto il ricorso del contribuente si parla di una sentenza costitutiva cioè di un
processo che è costitutivo cioè abbiamo ottenuto sentenza che ha dichiarato
l’annullamento dell’atto, la sentenza ha effetto di annullamento dell’atto. La sentenza
non ha sostituito, ha solo riconosciuto esistenti i vizi dell’atto. Con l’effetto che se i termini
non sono ancora scaduti i termini per notificare l’avviso di accertamento, se il primo è
stato annullato dal giudice perché viziato allora questo vincola il successivo avviso che
l’avviso abbia emesso perché il secondo avviso di accertamento non potrà contenere di
nuovo quel vizio. Quindi gli effetti della sentenza costitutiva sono di tipo rescindente e non
rescissorio. È il giudizio di cassazione con la quale viene annullata. Se con la sentenza
viene annullato l’avviso di accertamento allora questa ha natura rescindente cioè si limita
ad annullare l’atto, non lo sostituisce con una nuova statuizione del giudice. Questo se
stiamo parlando di vizi sostanziali cioè che entrano nel merito della pretesa tributaria.
Principio del iura novit curia. Art 112 cpc corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il
giudice deve fermarsi a quella che è la domanda proposta dalla parte. Se nessuna delle
parti menziona la disposizione di legge che è a fondamento delle proprie ragioni allora
dobbiamo dare per scontato che il giudice conosca le disposizioni di legge? Entrambe le
parti devono far presente al giudice che esiste una certa disposizione di legge, o si
presume che lui conosca la legge, magari anche i decreti legge, i decreti legislativi,
eccetera? Vale la regola per cui il giudice è tenuto a conoscere la legge. Ma un conto è
la legge e un conto sono i decreti amministrativi (prorogare i termini di versamento su
Genova perché c’è stata alluvione), questo non è tenuto a conoscerlo e sarà quindi la
parte che dovrà richiederne esplicitamente l’adozione.
Profilo della esecutorietà delle sentenze. Dobbiamo pensare ad un qualcosa che attiene
le sentenze di condanna e non quelle di annullamento. Quelle di annullamento si
eseguono da sé. Viceversa nelle sentenze di condanna c’è un problema di esecutorietà,
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una parte è tenuta a pagare e questa deve pagare. Il fatto di essere esecutive è solo nei
confronti delle sentenze passate in giudicato. Quelle ancora nei termini abbiamo
ottenuto sentenza di condanna che non è ancora cosa giudicata quindi non possiamo
ottenerne ancora l’esecuzione, non possiamo ancora ottenere il pagamento indietro. La
si potrà eseguire quando la cosa passa in giudicato. Solo le sentenze passate in giudicato
sono esecutive. Altrimenti possiamo richiedere il giudizio di ottemperanza.
Art 69: condanna dell’ufficio al rimborso. È inserito nel capo IV rubricato l’esecuzione delle
sentenze delle commissioni tributarie. le sentenze di annullamento sono auto esecutive,
annullano l’atto e basta. “se la commissione condanna l’ufficio al pagamento di somme
comprese anche le spese di giudizio e la relativa sentenza è passata in giudicato allora in
questo caso la segreteria della commissione ne rilascia una copia che è spedita in forma
esecutiva (diventa titolo esecutivo, solo se passata in giudicato)”
Art 70: giudizio di ottemperanza. Se l’ufficio non adempie il contribuente può agire con
questo giudizio di ottemperanza ma il presupposto è che ci trovi di fronte ad una
sentenza passata in giudicato.
IMPUGNAZIONI:
ci riferiamo all’appello, al ricorso per cassazione e alla revocazione.
Norme nel 546 che riguardano tutti i tipi di impugnazione.
Art 49: rinvio alle norme del cpc che vanno dal 323-338 esclusa 336.
Art 50: i mezzi per impugnare le sentenze sono i primi tre.
Art 51: ne abbiamo già parlato. Termine lungo dell’anno, questo termine ormai è
diventato di 6 mesi (nel libro c’è scritto ovunque un anno).
Art 52: contiene la norma per cui la sentenza della provinciale può essere appellata alla
regionale, alla regionale competente (art 4 c2, quella nella cui circoscrizione ha emesso
la sentenza).
Art 53: forma dell’appello.
Preambolo a questioni specifiche (art 53). Quelle di primo e di secondo sono entrambe
impugnazioni ma hanno caratteristiche molto diverse. Non è semplicemente una
differenza di grado. L’appello lo possiamo riportare alle impugnazioni sostitutive. Nella
sentenza di appello otteniamo una sentenza che sostituisce la sentenza di primo grado.
L’oggetto del giudizio di appello, ancorché sia rivolto a vedere i vizi della sentenza di
primo grado, è sempre lo stesso di quello di primo grado cioè il sottoesame è sempre
l’atto emesso dall’amministrazione finanziaria. Quindi quando parlo di oggetto del giudizio
(è la domanda del ricorrente è l’oggetto della domanda, l’oggetto del giudizio invece
comprende anche la causa petendi). L’appello è impugnazione di tipo sostitutivo,
diversamente dal giudizio di cassazione che è invece rescindente. L’impugnazione
rescindente comporta che con il giudizio di cassazione non si ha una sentenza che
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sostituisca la sentenza regionale, ma cassiamo, non sostituiamo la sentenza di secondo
grado, abbiamo così creato un vuoto che va riempito. Sentenza di cassazione non
sostituisce quella della commissione tributaria regionale ma se la cassazione accoglie il
ricorso, semplicemente annulla la sentenza della regionale e poi deve essere riempito il
vuoto. La regionale invece sostituisce la precedente.
Un’altra differenza tra i due giudizi sta nei motivi di appello. I motivi di appello sono a
critica libera cioè chi propone appello non ha vincoli, non ha limiti nei motivi che può
apporre. Invece i motivi del ricorso per cassazione sono predeterminati dalla legge cioè
un articolo stabilisce i motivi per cui si può proporre impugnazione per cassazione. Presso
la cassazione possono portarsi motivi di diritto e non di fatto. Questione di diritto: nel
calcolare gli ammortamenti ho applicato certe norme e l’ufficio ne avrebbe applicate
altre. Motivi a critica libera o motivi a critica vincolata.
In appello opera l’effetto devolutivo automatico: tutto ciò che era nella cognizione del
giudice di primo grado passa alla cognizione del giudice di secondo grado. Cognizione si
intendono tutti i fatti dedotti dalle parti (tutti i fatti giòà prodotti in giudizio dalle parti
passano alla cognizione del nuovo giudice, l’avviso di accertamento di base, il ricorso
con tutto ciò che nel ricorso si ha prospettato, occorre produrre in giudizio fatti nel
giudizio). Tutto ciò passa alla cognizione del giudice di secondo grado perché è lo stesso
oggetto su cui il giudice deve decidere quindi deve avere le stesse informazioni. Cosa
che nel giudizio di cassazione non è.
Art 53: forme dell’appello. Atto formato da un po’ di protocolli e identico al ricorso.
Nell’atto di appello deve essere indicato tutta una serie di cose. Viene richiesto ad
esempio che nell’atto di appello indichiamo la sentenza della commissione provinciale.
L’esposizione sommaria dei fatti, il fatto che era stato proposto ricorso, che c’è stata una
sentenza. La cosa importante sono i motivi. Sono i motivi specifici di appello. Potremmo
pensare che i motivi di appello siano gli stessi dei motivi di ricorso perché il giudice si
esprime sulla stessa questione. Invece quando si parla di motivi specifici di appello ci si
richiede sempre una critica rivolta alla sentenza, al giudice di appello dobbiamo
muovere le critiche verso la sentenza di primo grado. Non possiamo quindi soltanto
prendere i motivi indicati nel ricorso ma dobbiamo mettere i motivi specifici di appello
quindi dobbiamo dimostrare l’infondatezza del ragionamento del giudice per arrivare alla
sentenza. L’oggetto del giudizio non cambia però non possiamo ripetere identici i motivi
di primo grado, dobbiamo contestare una sentenza. È sempre una questione di critica
sull’atto originario ma i motivi specifici sono motivi per i quali il ragionamento del giudice
ci sembra errato.
L’appello è inammissibile se mancano alcuni elementi.
La proposizione dell’atto di appello cioè la notifica di chi impugna all’altra parte.
L’appellante non è detto che sia il contribuente. Il ricorrente in primo grado è sempre il
contribuente. Nel secondo grado invece appellante potrebbe essere il contribuente
quando ha ottenuto una pronuncia sfavorevole di primo grado, oppure appellante
l’ufficio se questo ha ottenuto una sentenza sfavorevole. Per proporre appello occorre
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aver ottenuto una sentenza sfavorevole, se ho una pronuncia favorevole non posso agire.
Può accadere che la sentenza sia parzialmente favorevole e parzialmente no. Se così
fosse ci sarà una parte che propone appello per certi capi della sentenza e questo lo fa
per primo allora questo è l’appello principale cioè è quello che per primo viene proposto
(stiamo esaminando un caso di soccombenza reciproca cioè certi capi sono più
favorevoli ad una e certi sono più favorevoli all’altra). È verosimile che entrambe
propongano appello. In entrambi i casi avremo un appellante ed un appellato. Chi per
primo ha proposto appello quell’appello è l’appello principale. Chi per secondo proporrà
appello quello è l’appello incidentale. Queste due figure di appello principale e
incidentale non le troviamo se soccombono entrambe le parti.
Poi c’è il solito step successivo che è la costituzione in giudizio. Le modalità per proporre
appello sono le stesse per il ricorso. I termini solamente sono diversi. La costituzione in
giudizio dell’appellante che deposita presso la segreteria della regionale. I termini sono di
trenta giorni. Il ricorso in appello è proposte nelle forme di cui all’art 20 nei confronti di
tutte le parti costituite (non soltanto a una parte se sono tre).
Ove il ricorso non sia notificato mediante ufficiale giudiziario, quindi posta o consegna
manuale allora l’appellante deve a pena di inammissibilità dell’appello deve depositare
copia dell’appello presso la segreteria della provinciale. Tutto questo è mirato a far sì che
se per caso la sentenza della provinciale fosse passata in giudicato (non è più ammesso
l’appello), almeno così la provinciale avverta la regionale che non era più possibile
proporre appello.
Art 123 disposizioni di attuazione del cpc: se è fatta tramite ufficiale giudiziario. Comma 1
rubricato avviso di impugnazione della cancelleria (segreteria). Deve farlo lui di dare
avviso alla provinciale che è stato proposto appello.
Art 53 ultimo comma: subito dopo il deposito del ricorso in appello la segreteria della
regionale si interfaccia con la provinciale e le chiede la sentenza.
Poi l’appellato si costituirà in giudizio depositando presso la regionale l’atto di
controdeduzioni. Le parti diverse dall’appellante (avviso di accertamento nei confronti di
società di persone) debbono costituirsi nei modi e nei termini dell’art 23. È la norma che
nel primo grado regola la costituzione in giudizio della parte resistente 60 giorni ordinatori
non perentori! Potrebbe anche non costituirsi in giudizio o farlo dopo. Cosa si scrive nelle
controdeduzioni? Si limita a proteggere il suo atto contro i motivi di ricorso, potrà sollevare
eccezioni in senso stretto (eccezione di prescrizione cioè l’ufficio eccepisce che il credito
di cui il contribuente vanta la proprietà in realtà si è prescritto). Se appellato è l’ufficio,
nell’atto di controdeduzioni difenderà la sua posizione. Quindi ci saranno delle mere
difese. Stessa cosa se l’appellato è il contribuente, sosterrà la giustizia della sentenza del
giudice.
Ammesso che appellato sia l’ufficio e quindi è l’atto di controdeduzioni quello dell’ufficio
allora le eccezioni in senso stretto devono essere già portate alla conoscenza del giudice
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nel primo grado di giudizio. Vale quindi il principio ius novorum, è un divieto di nuove
domande e nuove eccezioni.
Art 54 disciplina le controdeduzioni dell’appellato. Può essere anche unito l’appello
incidentale. Cioè se io sono appellato perché mi è stato notificato il ricorso
dall’appellante posso in quella sede mentre deposito l’atto di controdeduzioni con un
atto unico deposito anche l’appello incidentale. L’appello incidentale va proposto così
come nel primo comma. Nell’appello incidentale le norme per la costituzione in giudizio
dell’appellante coincidono con le modalità di costituzione in giudizio dell’appellato.
Ovvero: colui che propone appello ma come secondo allora l’appellante incidentale
deve seguire quanto a regole di costituzione in giudizio invece che quelle dell’appellante
principale le regole dell’appellato. L’appellante incidentale si costituisce in giudizio con le
stesse regole dell’appellato principale.
Per quanto riguarda la proposizione dell’appello? Anche per l’appello incidentale anche
qui l’appellante dovrà notificarlo all’altra parte.
Quindi le norme che abbiamo già trovato e riguardano la proposizione dell’appello lì si
parla di appello. Una parte notifica all’altra il proprio atto.
Art 60 non riproponibilità dell’appello dichiarato inammissibile. Può anche accadere che
ho fatto un errore nel ricorso e così ne ripropongo un altro. L’unico limite è che non sia
decorso il termine perentorio per proporre ricorso. Potrebbe anche accadere che il mio
ricorso sia stato dichiarato inammissibile, in questa ipotesi comunque il ricorso in primo
grado lo posso riproporre se sono ancora nei 60 giorni. In certe ipotesi non è ammessa la
riproposizione dell’appello. Non è un divieto generale, solo in alcune ipotesi. Solo se la
l’appello è stato dichiarato inammissibile. Da questa norma capiamo che può essere
riproposto l’appello che non è dichiarato inammissibile, sono ancora nei termini (breve o
lungo) allora ripropongo.
Distinguiamo l’impugnazione dal procedimento di correzione delle sentenze. Non stiamo
parlando di impugnazione di sentenze. È un procedimento di correzione delle sentenze
perché nella sua parte decisionale è giusta ma magari c’è un errore di calcolo o un
errore materiale allora posso fare ricorso presso lo stesso giudice che ha emesso la
sentenza. Magari la provinciale solo in caso di errore materiale o di calcolo. Se ritiene che
sussista questo presupposto allora posso proporre ricorso presso la stessa commissione
tributaria e verrà richiesta la correzione della sentenza. Questo procedimento di
correzione vede l’applicazione delle norme dal 287 cpc. Questo procedimento di
correzione è possibile solo se contro la sentenza non è stato proposto appello.
Artt 56-57-58: del 58 abbiamo già parlato parlando di prove. Non sono ammesse nuove
prove in appello. È un divieto di nuovo che concerne in particolare le prove. Con delle
limitazioni cioè salvo che la parte non abbia potuto produrle precedentemente per
causa a lei non imputabile. È fatta salva la possibilità di creare nuovi documenti. Oppure
una nuova disposizione di legge che è applicabile anche ai vecchi casi e gliela
produciamo come documento.
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57: è la formulazione del principio dello ius novorum. Cosa concerne questo divieto? È un
divieto di nuove domande e anche di nuove eccezioni. Nel giudizio di appello non
possono proporsi domande nuove e se proposte deve essere dichiarate inammissibili
d’ufficio. Possono essere tuttavia richiesti gli interessi maturati dopo la sentenza
impugnata. Es: abbiamo chiesto rimborso di una certa imposta in primo grado, gli
abbiamo anche chiesto gli interessi. Poi interviene la sentenza con cui il giudice non ci dà
ragione. La domanda nuova che possiamo chiedere sono gli interessi aggiuntivi maturati
dalla sentenza di primo grado alla seconda.
C2: non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio.
Riguarda le eccezioni in senso stretto. Quelle in senso lato possono ovviamente sempre
essere sollevate dal giudice. Divieto di ius novorum è un divieto sulla domanda e sulle
eccezioni quindi. Riguarda l’oggetto della domanda? Annullamento eccetera? Riguarda
sicuramente l’oggetto della domanda nel ricorso iniziale e ho chiesto in primo grado
annullamento parziale, non è che poi nel secondo grado di giudizio posso aggiungere
l’annullamento totale. Ma non solo. Riguarda anche la causa petendi cioè riguarda i
motivi di ricorso. Divieto di nuovo petitum e divieto di nuova causa petendi. C’è anche il
divieto di nuove eccezioni cioè se l’ufficio non ci oppone la eccezione di prescrizione del
nostro credito nell’atto di controdeduzioni allora le è preclusa la possibilità in un momento
successivo.
Art 56: questioni ed eccezioni non riproposte. Se parliamo di questioni ed eccezioni non si
capisce a che grado si riferisce. Il termine questioni ricomprende anche le eccezioni. Le
questioni non accolte nella sentenza della provinciale che non sono specificamente
riproposte in appello, s’intendono rinunciate. Riguarda tanto il ricorrente quanto il
resistente, se non vengono riproposte allora vengono rinunciate (si forma il giudicato
interno). Che la parte soccombente in primo grado, totalmente o parzialmente, e che si
vuole difendere nel secondo grado è ovvio che abbia onere di riproporre tutte le
questioni, è ovvio che il soccombente riproponga le questioni. Ma questa norma riguarda
la parte vittoriosa, è questo che è strano. La parte vittoriosa deve riproporre le questioni
non accolte (è diverso da respinta, se respinge allora su quel capo ha espressamente
giudicato e respinto), questo articolo invece riguarda la parte vittoriosa e potrebbe
ottenere questioni non accolte. Perché il giudice non dovrebbe aver accolto per la parte
vittoriosa alcune o più questioni? Caso in cui il giudice decide sulla base di motivo
assorbente. Impugno avviso perché emesso oltre i termini, e poi anche per un vizio
sostanziale che è infondato. Il giudice deve esaminare prima le questioni pregiudiziali
(formali). Ora ci da ragione e parla di un unico motivo che è quello formale. Siamo
vittoriosi sì ed anche al 100% perché ha accolto l’annullamento. Abbiamo comunque una
questione non accolta che è quella sostanziale che non ha proprio esaminato. Avremo
l’atto di appello dell’ufficio perché ha ottenuto una sentenza sfavorevole. La norma del
56 non riguarda l’ufficio, l’ufficio ha a che fare con questioni rifiutato e quindi che
nell’appello sostenga ancora le sue ragioni è ovvio, ma siamo noi appellati che non
possiamo limitarci nelle controdeduzioni a sostenere il motivo del vizio formale perché
abbiamo onere di riproporre le questioni che non sono state accolte perché assorbite da
altro. Se il giudice di primo grado ha malamente deciso e quello di secondo grado nega
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la questione formale allora se non ho scritto la questione sostanziale allora il giudice non la
prenderà in esame
Il giudizio di appello si sostituisce in tutto e per tutto alla sentenza di primo grado. Se
stiamo parlando di una sentenza di merito, può respingere l’appello oppure accogliere
l’appello, in ogni caso sia che sia di rigetto che di accoglimento o le varie ipotesi parziali
questa nuova sentenza prende il posto della precedente, si sostituisce alla precedente.
Comunque ciò di cui si discute non è la sentenza di prima grado ma l’atto emesso
dall’amministrazione finanziaria. Se stiamo parlando di sentenze di rito allora può essere
una sentenza che dichiara inammissibile il ricorso o l’appello, questa è una sentenza di rito
oppure una sentenza con cui si dichiara estinto il giudizio, oppure una terza tipologia di
sentenza di rito che è un po’ particolare, è una sentenza di rimissione degli atti al primo
grado, si ritorna al primo grado.
Quali sono le ragioni per cui la regionale dovrebbe rimettere la causa in primo grado? Art
59: sono tutte ipotesi accumunate da una irregolarità che c’è stata. Sono tutte irregolarità
del procedimento. Manca la sottoscrizione nella sentenza del giudice. Oppure non si è
regolarmente integrato o costituito il contradditorio. Oppure il collegio non era
regolarmente composto. Nei casi in cui la commissione tributaria declina la propria
competenza oppure nei casi di giurisdizione negata oppure quando la commissione
decide su un reclamo contro un provvedimento del presidente della commissione. Sono
irregolarità tali da determinare una retrocessione del giudizio al precedente grado. Al di
fuori di queste ipotesi qualsiasi altra anomalia e irregolarità per quanto grave comporta la
prosecuzione del processo. Solo irregolarità del primo comma portano alla remissione,
ogni altro atto si considera sanato e il processo va avanti, è in una logica di prosecuzione
del giudizio. Dopo che la sentenza di remissione della causa è passata in giudicato, allora
a quel punto la segreteria della regionale trasmetterà d’ufficio tutto il fascicolo alla
provinciale. Quando il processo si interrompe di fronte al giudice e si sposta di fronte ad
un altro giudice c’è un termine entro cui la parte che ha interesse deve riassumere la
causa, in queste ipotesi non è necessaria una istanza di riassunzione, il processo prosegue
in primo grado senza che le parti debbano presentare istanza di riassunzione.
Nell’appello valgono tutte le norme che sono in vigore per il primo grado.
Se parliamo del ricorso per cassazione nel 546 troviamo pochissimi articoli. Il processo per
cassazione non è tipico del processo tributario, si usano le norme del cpc. Non siamo più
di fronte ad un giudice speciale tributario.
Art 62: contro la regionale si può proporre ricorso per cassazione per uno dei motivi scritti
nel 360, non vale il secondo comma del 360 cioè quello per saltum cioè quando si salta
un grado di giudizio. Art 360 cpc.
I cinque motivi di ricorso per cassazione. L’impugnazione di tipo rescindente è una
impugnazione non a critica libera come è l’appello. I motivi di ricorso è solo quella
prevista per legge. È una impugnazione a critica vincolata, i motivi per cui ricorriamo sono
solo quelli. Guardandoli tutti e cinque possiamo pensare che siano ipotesi di errori in
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procedendo. Cioè nel procedimento, invece per quanto riguarda il terzo sono errori in
valutando. Uno dei motivi è per questioni di giurisdizione tributaria così come il secondo
che è il regolamento di competenza non sono ricorrenti. Terzo motivo: violazione e falsa
applicazione di norme di diritto (è la questione di diritto cioè in cassazione non sono
ammesse questioni di fatto ma solo questioni di diritto) e dei contratti e accordi collettivi di
lavoro (non è materia tributaria). Altro caso è per nullità della sentenza della regionale
oppure nullità del procedimento. Ultimo dei motivi che è il più frequente insieme al quinto
è la omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza su un fatto
decisivo o controverso. Se la sentenza della regionale è contraddittoria o ha una
motivazione contraddittoria. Non è applicabile il secondo comma (per saltum) nel caso
in cui le parti si accordano per saltare un grado di giudizio ma non è applicabile al
processo tributario.
La funzione della corte di cassazione: è una funzione nomofilattica cioè svolge una
funzione per gli altri giudici di interpretazione della legge, e a quell’esito di interpretazione
gli altri giudici si devono conformare. La cassazione è invasa da ricorsi, nella disciplina c’è
un chiaro segnale di questa mole di lavoro da parte di cassazione. Prima c’erano quattro
gradi di giudizio. Fino al 95 la commissione tributaria centrale evitava che tutte le
controversie finissero in cassazione, questa funzione di filtro ora non c’è più. Il contenzioso
tributario in cassazione ora ha molto lavoro, infatti è stata costituita una sezione apposita,
la quinta.
Vediamo il terzo e il quinto. Terzo: nel terzo stiamo parlando di falsa o errata applicazione
di norme di diritto. Il giudice di secondo grado ha erroneamente applicato norme di
diritto. Qui ciò che viene censurato è proprio la sentenza che stiamo impugnando. Non
c’è nessun riferimento all’avviso di accertamento. Il giudice ha mal applicato le norme
non può essere oggetto di censura una questione di mero fatto. Ad esempio: l’avviso di
accertamento è stato emesso su fatti di evasione riscontrati tipo mancanza di scontrini
fiscali, mancanza di fatture emesse. Esempio: l’ufficio aveva emesso avviso di
accertamento contestando l’inerenza di certi costi imprenditoriali dando una
interpretazione molto restrittiva del concetto di inerenza (ristrutturazione della casa non
sono costi inerenti all’impresa). C’è un orientamento recente della cassazione che arriva
a sindacare molte scelte imprenditoriali per il quale si arrivano a sindacare molte scelte
imprenditoriali, ad esempio è un costo non inerente il costo per compenso agli
amministratori che sia eccessivo rispetto alle dimensioni dell’impresa, è una questione di
diritto, è una questione su come l’agenzia delle entrate interpreta il concetto di inerenza.
Poi avviso di accertamento, ricorso,arriviamo in secondo grado e la regionale si allinea
all’orientamento dell’ufficio e respinge l’appello del contribuente e ci troviamo una
sentenza della regionale. Questa sentenza possiamo impugnarla per violazione o falsa
applicazione da parte del giudice di secondo grado della diposizione 109 TU che tratta
del concetto di inerenza.
Il quarto motivo è quando c’è nullità della sentenza o del procedimento: sentenza della
regionale viziata da ultrapetizione. Sentenza della regionale viziata da extrapetizione.
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Sentenza della regionale che omette di considerare un motivo di ricorso. Sono tutte
ipotesi di anomalie gravi per i quali è possibile esperire il ricorso per cassazione.
Quinto: riapre la porta alle questioni di fatto. Siamo di fronte ad un fatto controverso e
decisivo per il giudizio e a riguardo di questo fatto il giudice di secondo grado ha
motivato la sua sentenza con una motivazione che possiamo dire omessa, insufficiente o
contradditoria. All’attenzione portiamo il ragionamento fatto dal giudice. Non ci stiamo
riferendo al caso in cui ci sia carenza totale e assoluta di motivazione. Se vi fosse
totalmente una carenza di motivazione ricadremmo nella quarta ipotesi, quella della
nullità. Quest’altro motivo di ricorso è il caso in cui una motivazione magari formalmente è
presente ma non è autenticamente una motivazione. Quando invece diciamo che la
motivazione è contraddittoria è quando il ragionamento non è coerente, ci sono dei salti
logici, si arriva ad una decisione che non può ritenersi fondata. Altra invece è quella
motivazione che c’è ma che presenta delle lacune.
Una disciplina interessante contenuta nel 360 bis introdotta nel 2009. Sono ipotesi di
inammissibilità del ricorso per cassazione. Prevale la logica dello sfoltimento, evitare che la
cassazione sia invasa da ricorsi che non hanno ragioni di essere(nomofilachia). Quando la
sentenza della regionale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla
giurisprudenza della corte di cassazione. Ma non è sufficiente questo come elemento
cioè se c’è un orientamento consolidato della cassazione, e l’esame dei motivi non offre
possibilità di cambiamento della stessa. Se ci sono motivi a fronte del quale c’è un
orientamento ben definito, preciso, ci sono tante sentenze tutte uguali. Quindi occorre
presentare il ricorso con motivi con caratteri di novità. Altro è quando è manifestamente
infondata la censura relativa alla.. i principi che regolano il giusto processo sono principi
costituzionali, ci sono poi delle norme che sono attuative di questi principi, comunque da
quando sono state introdotte nella costituzione l’art del giusto processo allora la
cassazione è stata sommersa da ricorsi per violazione sulle norme sul giusto processo,
quindi è per questo che è stata inserita questa norma (funzione di sfoltimento).
Il ricorso è diretto alla corte di cassazione ed è prescritto a pena di nullità.
Art introdotto nel 2006 ed abrogato nel 2009. È una disposizione che oggi non è in vigore,
ha sollevato moltissime critiche. È il 366 bis. Formulazione dei motivi: il modo in cui nel
ricorso di cassazione sono formulati i motivi. Non viene meno un principio di
autosufficienza dei motivi che è disciplinato dal 384. L’articolo 384 preesisteva, ha subito
delle modifiche nel corso degli anni ma ora è in vigore e riguarda l’enunciazione del
principio di diritto nella cassazione. Non abbiamo mai trovato una norma che imponesse
al giudice di enunciare il principio di diritto a cui poi ci si dovrà uniformare (è
conseguenza della funzione nomofilattica della cassazione). Per i primi quattro casi dei
motivi del ricorso per cassazione, l’illustrazione del motivo deve avvenire con questa
particolarità, deve concludersi con la formulazione di una questione di diritto. Riguarda
soprattutto il caso 3. Impugniamo la regionale che su compensi di amministratori ritiene
corretta l’applicazione della norma restrittiva. Quando abbiamo sviluppato tutto il nostro
motivo di ricorso non basta sviluppare le nostre difese (spiegare che il 109 va interpretato
in un certo modo) ma dobbiamo anche formulare il principio in base al quale l’articolo
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109 va interpretato cioè la norma, il modo in cui la disposizione di legge deve essere
interpretata. Per sveltire l’operato dei giudici di cassazione, nelle ultime righe, voglia la
corte di cassazione formulare questo principio di diritto. È stata abrogata perché la
cassazione rifiutava tutti i ricorsi perché il principio era mal formulato.
Per quello che riguarda il quinto motivo. C’era la chiara indicazione del fatto controverso.
Per dar modo alla cassazione di desumere velocemente gli elementi importanti. Anche
questa norma è stata abrogata.
384: il fatto di aver abrogato la norma sul principio di diritto, lascia comunque viva il 384.
Stiamo parlando ora della sentenza di cassazione. Questa deve formulare il principio di
diritto che sia proposto a norma del n. 3 del 360 violazione o falsa applicazione di norme
di diritto. In questo caso la corte di cassazione deve poi formulare il principio di diritto,
deve dire come va interpretata quella norma. È una sentenza che annulla la sentenza di
secondo grado, così lascia un vuoto e occorre procedere con una seconda fase, cioè
annullata la regionale, se vi sono ancora delle questioni di fatto da decidere allora le
ripassa alla regionale dicendole il principio che deve osservare. Quanto c’è il n.3 nella sua
sentenza deve formulare il principio di diritto a cui ci si dovrà attenere. Es: la corte di
cassazione può poi rimettere la causa al secondo grado, è il giudizio di rinvio, vi è
sicuramente quando si devono ancora decidere questioni di fatto e quindi degli
accertamenti che si devono ancora compiere e questo non potrebbe farlo la cassazione
quindi la ripassa al secondo grado. Oppure potrebbe essere la corte stessa che non ha
esigenza di rinviare al grado precedente perché non ci sono questioni di fatto. Non sono
richiesti altri accertamenti allora la seconda fase la fa la cassazione e deve riempire il
vuoto. Quindi si atterrà al principio di diritto che lei stessa ha formulato. Tornando al 384 il
primo comma prevede che enunci il principio di diritto se siamo nel n. 3 e deve anche
farlo quando il numero sia un altro ma nel decidere su questi altri motivi del ricorso essa
debba risolvere una questione di diritto di particolare importanza.
Contenuto del ricorso per cassazione. Può esserci anche qui il caso dell’appello principale
e quello secondario. Entrambe le parti potrebbero fare ricorso. È il caso della
soccombenza ripartita.
Nel caso del ricorso per cassazione la parte contro cui è rivolto il ricorso per cassazione se
vuole può depositare l’atto (di controdeduzioni) che si chiama controricorso.
Art 366 cpc: indicazione delle parti. Indicazione della sentenza che si sta impugnando (la
regionale). Esposizione sommaria dei fatti, più è puntuale e meglio è. Motivi per i quali si
chiede la cassazione della sentenza con indicazione delle norme di legge su cui si
fondano (la specificazione dell’articolo è importante e richiesto dalla legge,
diversamente dagli altri gradi dalla legge). Riformare i motivi: art 366 bis è stato abrogato.
Indicazione della procura cioè il difensore/avvocato, deve essere un avvocato vero, non
più anche un consulente. Indicare gli eventuali atti sui quali il ricorso si fonda. Principio di
autosufficienza del ricorso: dalla lettura del ricorso può esprimere un giudizio, senza dover
andare a vedere altri documenti. Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, le
notificazioni sono gli fatte presso la segreteria della cassazione.
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Art 367 cpc: la notificazione deve avvenire nei termini lunghi o brevi indicati dal 546. Deve
essere fatta nel luogo del 330 cpc dove la parte ha dichiarato la sua sede, è ammessa
tanto la notifica verso le agenzie a livello locale quanto la notifica presso la sede centrale
cioè a Roma. L’agenzia delle entrate si potrà far difendere dall’avvocatura dello stato.
Notificato il ricorso all’altra parte, è necessario poi depositarlo alla cancelleria della
cassazione. Per il deposito del ricorso dell’appello il termine era 30 giorni per gli altri gradi
di giudizio, in cassazione è di 20 giorni da che c’è stata l’ultima notificazione. L’ultima
perché potrebbero esserci più parti (litisconsorzio), quindi in questo caso il termine inizia
dall’ultima.
369 cpc: Insieme al ricorso si deve notificare una copia autentica della sentenza che
stiamo impugnando con la relazione di notificazione se questa è stata notificata all’altra
parte. La sentenza della regionale può essere notificata all’altra parte e da lì partono i 60
giorni di termine breve. La procura speciale nel caso in cui sia.. Poi qualsiasi altro atto che
possa essere rilevante e su cui si fonda il ricorso. Inoltre colui che propone ricorso deve
chiedere alla regionale la trasmissione alla cancelleria della corte di cassazione dell’intero
fascicolo.
Nel primo e secondo grado di giudizio si chiamano controdeduzioni, l’atto con il quale chi
riceve un ricorso o un appello si difende con un atto che prende il nome di
controdeduzioni. Qui invece si chiama controricorso. Qual è il contenuto del
controricorso?
Nel primo grado di giudizio l’atto di controdeduzione viene depositato presso la segreteria
della commissione in duplice copia e poi è il ricorrente che ha onere di ritirare la sua
copia. Qui invece il controricorso deve essere notificato all’altra parte nel domicilio eletto.
Il termine di 20 giorni partono dal giorno della scadenza del termine per il deposito del
ricorso. Però questo termine, a differenza degli altri, è ordinatorio cioè anche se non è
notificato entro questo termine fa lo stesso e la conseguenza è che la parte potrà
partecipare all’udienza ma non potrà presentare memorie. Il contenuto del controricorso
è identico a quello del ricorso art 366, a pena di inammissibilità. Il controricorso deve
essere notificato e depositato. Art 370 cpc.
Art 371. Ricorso incidentale: come in appello è possibile che all’atto di appello la risposta
può essere un atto di controdeduzioni ma può succedere anche che si risponda con un
altro appello. Chi per secondo propone quello è il ricorso incidentale. Quindi abbiamo il
ricorso ed il ricorso incidentale. Per proporre ricorso incidentale vale la regola che
abbiamo visto in appello. Chi può proporre appello? La parte soccombente (è una
questione di interesse ad agire), se io sono in appello e sono soccombente può essere
che ci sia soccombenza ripartita per capi diversi della sentenza. Quando parlo di
soccombenza non deve essere teorica ma deve essere pratica. Es: se ho ottenuto una
vittoria piena nel senso che a fronte di una richiesta di annullamento totale il giudice ha
annullato totalmente e lo ha fatto sulla base del primo motivo di ricorso, il primo era un
vizio formale, l’altro un vizio sostanziale. Prima il giudice deve esaminare le questioni di
forma. Tipo è stato emesso oltre i termini, il giudice deve esaminare per primo questo
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motivo di ricorso. Si verifica assorbimento del secondo motivo nel primo. In questa
situazione ci sentiamo vittoriosi totalmente o sentiamo che ci sono delle differenze tra una
situazione di vittoria astratta e una concreta? possono esserci casi in cui la soccombenza
sia puramente teorica cioè sulla base di un motivo mi sono totalmente vittorioso ma c’è
una sorta di soccombenza in linea teorica perché un motivo di ricorso me l’ha respinto,
però l’atto me lo ha annullato. Posso fare appello quando c’è soccombenza effettiva,
non teorica. Diverso è in cassazione perché è ammesso sotto forma di ricorso incidentale
è ammessa la proposizione del ricorso incidentale anche puramente per una
soccombenza teorica, non è ammesso come ricorso principale. Ha interesse ad agire la
parte soccombente, ma a differenza dell’appello dove sia per proporre appello
principale che incidente occorre essere soccombenti effettivi, invece in cassazione è
ammessa la proposizione di ricorso incidentale se c’è stata soccombenza teorica e solo
se è stato accolto il ricorso principale. Può accadere ricorso, controricorso, ricorso
incidentale, controricorso..
Le norme applicabili al ricorso incidentale sono le solite.
Art 372 c1: produzione di altri documenti. Non è ammesso il deposito di atti e documenti
che non siano stati già prodotti in altri gradi di giudizio. Tranne se nullità della sentenza
impugnata.
Arriviamo al procedimento dinnanzi alla corte di cassazione. Normalmente vi sarà una
udienza cioè la discussione sarà fatta in forma pubblica, solo raramente è in camera di
consiglio la trattazione. C’è una sola udienza, nel processo civile è tipico che si facciano
più udienze.
Art 374: Vi sono ipotesi in cui deve avvenire in sezioni unite. Una è quando ci sono ipotesi
di questioni di giurisdizione, siamo al primo grado, saltiamo in cassazione e si decide a
sezioni unite. A norma del secondo comma vi sono altre ipotesi, il primo presidente
dispone la cosa a sezioni unite su questioni di diritto e che ha già trovato soluzioni in
precedenti processi dando luogo ad orientamento doppio allora si deve andare a sezioni
unite. Poi quando si presenta una questione di massima di particolare importanza, magari
interpretazione di nuova disposizione di legge o qualcosa così. Terzo comma: è possibile
che una sezione semplice a cui è stato assegnato ricorso non si sente di condividere il
principio di diritto enunciato in precedenti sentenze nelle sezioni unite allora questa può
rimettere alle sezioni unite con ordinanza la decisione.
Art 375: Ora è importante vedere in quali ipotesi è ammessa la pronuncia in camera di
consiglio. La corte sia a sezioni unite che semplici pronuncia con ordinanza (già capiamo
che è una decisione particolare), se è questione di dichiarare inammissibile il ricorso allora
lo fa con ordinanza in camera di consiglio. Altra ipotesi è quando non è ordinato
correttamente il contraddittorio. Altro caso è con ordinanza dichiara estinzione del
giudizio. Oppure quando assume decisioni sulla giurisdizione o sulla competenza. Quando
c’è la manifesta infondatezza del ricorso principale. Invece a parte queste ipotesi verrà
fissata a norma del .. una data per l’udienza e questa verrà poi pubblicata alle parti e ai
difensori. La corte poi incamera di consiglio assume la decisione. Il ricorso che sia
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dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è scaduto il termine
(negli altri gradi di giudizio è invece possibile).
Art 387: Dobbiamo ora capire quando è possibile che si apra la fase del giudizio di rinvio.
Se accoglie il ricorso la sua sentenza, la sentenza cassa la sentenza della regionale
perché riconosce insussistente i motivi di ricorso. A questo punto vediamo cosa succede.
Se invece non accoglie allora rimane in vita la regionale. Il cpc disciplina le ipotesi in cui
al rescindente segua il rescissorio con due diverse possibilità: con rinvio al precedente
grado di giudizio o anche al primo che dobbiamo vedere come prosecuzione della prima
fase, quindi rescissorio come conseguente al rescindente oppure invece l’ipotesi in cui
non ci sia rinvio. Se stiamo parlando di giurisdizione di competenza è il 382 che disciplina
la giurisdizione per competenza. In questo caso il giudizio di cassazione ha un carattere
restitutorio cioè il giudizio torna dov’era sospeso il giudizio. Quindi carattere restitutorio,
restituisca la causa al giudice da cui proviene. Art 360: La decisione per motivi di ricorso
del numero 4 e 5, quindi se il ricorrente fa ricorso per numero 4 (restitutorio) cioè nulla la
sentenza della regionale (ultrapetizione o extrapetizione), se la cassazione ritiene
sussistente il ricorso allora rimanda la causa al secondo grado di giudizio in modo tale che
(non dinnanzi allo stesso giudice) si possa rifare il giudizio. Numero 5: Così come il giudizio
della cassazione di accoglimento del ricorso ossia il caso in cui il ricorrente abbia
impugnato la regionale per insufficiente eccetera sentenza della regionale. Anche in
questo caso la causa ritorna in secondo grado. Quindi alla fine mi rimane il numero 3 del
360, quello in cui c’è falsa applicazione delle norme di diritto e deve pronunciare il
principio di diritto. In questo caso il carattere della sentenza nella corte di cassazione il
giudizio che ne segue dopo non ha carattere restitutorio e si apre la fase rescissoria. Cioè
la sentenza della regionale ha male applicato le norme di diritto. Se la corte di cassazione
ritiene sussistente questo vizio della regione e c’è da fare ancora accertamenti di fatto
che la cassazione non può svolgere allora è inevitabile che la causa ritorni al precedente
grado di giudizio però non è una prosecuzione del giudizio di appello, la causa torna al
giudizio di appello se vi sono ancora delle questioni di fatto da risolvere che la cassazione
non può fare ma comunque non è una prosecuzione del giudizio di appello. Potrebbe
però anche accadere che in questa seconda fase rescissoria non ci sia necessità di un
giudizio di rinvio perché o non ci sono questioni di fatto ma solo questioni di diritto oppure
perché pur essendoci questioni di fatto non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Quindi non serve riprendere la causa nel precedente grado di giudizio quindi non vi è
rinvio al secondo. Questo è formulato dal 384 c2.
Ci deve sempre anche la statuizione sulle spese. Se rigetta il ricorso è il ricorrente che
deve pagare le spese. Se invece cassa la sentenza ma la cassa senza rinvio allora in
questo caso decide sulle spese ma non solo sulle spese che riguardano il suo grado di
giudizio ma anche sulle spese di tutti i precedenti gradi di giudizio. Cioè: primo grado di
giudizio e statuisce anche sulle spese, a quel punto le spese non vengono regolate,
perché se la sentenza la impugniamo allora sarà decisiva sulle spese la sentenza di
secondo grado. Alla fine la cassazione si troverà a decidere sulle spese di tutti i gradi di
giudizio. Una cosa interessante è la norma del 384 che dice che non sono cassate le
sentenze che sono erroneamente motivate ma con dispositivo conforme al diritto, la
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regionale ha mal motivato ma la decisione ultima è conforme a diritto e allora la
cassazione semplicemente corregge la motivazione. Il rinvio potrebbe anche essere alla
provinciale nell’ipotesi in cui ci si discute la competenza e la giurisdizione. Altra ipotesi è
quando la sentenza della provinciale era affetta da vizi e anomalie di cui la regionale non
si è accorta (art 59 546). Se nel secondo grado non ci si accorge delle anomalie o dei
difetti allora potrebbe esserci rinvio al primo grado di giudizio allora è chiaro che occorre
tornare al primo grado.
Torniamo un attimo all’appello. Pensiamo alla soccombenza: l’abbiamo spuntata
totalmente sulle questioni di merito, siamo parte vittoriosa ma non ha accolto la nostra
domanda. Chiediamo non solo l’annullamento totale o parziale dell’atto ma chiediamo
anche la statuizione delle spese. La domanda che formuliamo al giudice c’è anche una
parte sulle spese. Anche se ci fossimo dimenticati di mettere questa nota allora il giudice
è comunque tenuto a quantificarle. La provinciale ci vede totalmente vittoriosi, ma sulle
spese le dichiara compensate, come ci atteggeremmo? Occorre essere concretamente
soccombenti, questa è la prima domanda che dobbiamo farci. Noi abbiamo chiesto che
le spese siano poste a carico della parte soccombente, il giudice non ha accolto la
domanda quindi possiamo proporre appello. Proporrà sicuramente appello l’ufficio, noi
potremmo proporre appello quindi potrebbe essere un caso di soccombenza reciproca.
Intanto non saremmo noi per primi a proporre appello, prima propone appello l’ufficio poi
possiamo vedere se chiedere appello incidentale per le spese, rischiamo anche di irritare
il giudice. Potremmo quindi accontentarci.
Nel 2009 è stato modificato condanna alle spese e compensazione delle spese. Fino a
questa modifica la disposizione prevedeva che se c’è soccombenza reciproca oppure se
concorrono giusti motivi esplicitamente indicati nella motivazione allora il giudice può
compensare parzialmente o per intero le spese. Ora è diventato gravi ed eccezionali
ragioni, da giusti a gravi quindi è più restrittiva. Pensiamo alle ipotesi di ricorso per
cassazione a riguardo della motivazione carente. Da quando c’è stata questa modifica
le ipotesi di compensazione delle spese dovrebbero ridursi.
Siamo nel 546, nel giudizio di cassazione ed in particolare nel giudizio di rinvio. Abbiamo
delle norme importanti dedicate al giudizio di rinvio. Nel c1 è disciplinata la riassunzione
cioè la corte di cassazione rinvia la causa o alla provinciale o alla regionale. Se c’è
questo rinvio non è che tutto prosegue di fronte alla regionale o alla provinciale ma
occorre comportamento attivo da parte delle parti e c’è estinzione del processo. Magari
è stata cassata la regionale però abbiamo la sentenza della provinciale, se il processo si
estingue perché nessuna parte riassume allora si estingue il processo. Se si estingue il
processo allora chi ha interesse? Se si arriva all’estinzione allora la sentenza viene meno e
rimaniamo con l’avviso di accertamento così com’è. Il termine per riassumere è di un
anno dalla pubblicazione della sentenza di cassazione. Se la riassunzione non avviene nel
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termine di un anno oppure si avvera un’altra causa di estinzione allora l’intero processo si
estingue con quella conseguenza importante che il processo si estingue.
Sospensione, estinzione, interruzione fare sul libro. La conciliazione è un istituto abbastanza
frequente e fa parte di quegli istituti deflattivi del contenzioso. Diverso è l’accertamento
con adesione che vuole prevenire il contenzioso, la conciliazione è simile però interviene
quando ormai un giudizio è incardinato ma si tratta comunque di un “accordo”.
L’accordo si può fondare fuori dal processo oppure può concludersi di fronte al giudice.
Tutela cautelare: consente al contribuente di evitare il pagamento dell’imposta se ci sono
ragioni di vittoria. Il libro su questa materia non è molto aggiornato. Ogni contribuente ci si
misura con questo istituto.
Revocazione e giudizio di ottemperanza che sono importante anche se non molto
frequenti.
REVOCAZIONE:
ART 64: contro le sentenze delle commissioni tributarie che involvono accertamenti di
fatto cioè ci deve essere una questione di fatto da esaminare e che sul punto non sono
ulteriormente impugnabili o comunque non sono state impugnate, contro queste
sentenze è ammessa la revocazione ai sensi del 395 cpc. Deve esserci una questione di
fatto e su questo proposito non possono essere più ulteriormente impugnabili, quindi deve
trattarsi di una sentenza passata in giudicato, sono passati i termini per impugnare la
sentenza, l’espressione non ulteriormente impugnabile di fronte alla provinciale o
regionale, se è una sentenza regionale che riguarda un motivo di fatto allora non è più
impugnabile per la questione di fatto, è possibile fare ricorso solo per motivi di diritto.
395 cpc: abbiamo le ipotesi di revocazione ordinaria e straordinaria. Ordinaria il 4 ed il 5.
Gli altri straordinaria. La passata in giudicato è quella non più impugnabile con i mezzi
ordinari. La revocazione straordinaria è l’unico mezzo di impugnazione di una sentenza
passata in giudicato. Ci troviamo di fronte a vizi molto importanti. In due casi palesi, in altri
casi non così evidenti tant’è che emergeranno dopo. Sono vizi un po’ occulti, nascosti. Il
primo caso: se la sentenza è effetto di un dolo di una delle due parti. Es: c’è già stata la
sentenza e questa è l’effetto di un comportamento doloso di una delle parti. È un vizio
però che emerge dopo la sentenza, la sentenza quindi anche se è passata in giudicato
deve poter essere impugnabile. I termini della revocazione: quando parlano delle
impugnazioni in generale termini di impugnazione art 51 c’è il termine breve, al secondo
comma si dice che nel caso di revocazione il termine di 60 giorni decorrono da quando è
stato scoperto il dolo. Per quanto riguarda il termine lungo ovviamente anche alla
revocazione è applicabile il termine lungo. Termine lungo del 327 cpc: non è stabilita
alcuna decadenza, il termine lungo è della ordinaria. Seconda ipotesi 395: se ci si era
basati su prove false. Se si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false
dopo la sentenza. Ricordiamoci sentenza assunta sulla base di prove false, la parte
soccombente può quindi impugnare la sentenza. Terza ipotesi: dopo la sentenza sono
stati ritrovati uno o più documenti decisivi che la parte non ha potuto produrre in giudizio
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per fatto dell’avversario. Punto 6: la sentenza è affetta da dolo del giudice. Questi sono
vizi nascosti. Cioè devono essere davvero portati fuori, altrimenti non li si vede.
Numeri 4-5 riguardano la revocazione ordinaria. Se la sentenza è passata in giudicato non
è proponibile questo tipo di impugnazione. 4: è il caso in cui la sentenza è affetta da un
errore revocabile cioè che può essere oggetto di impugnazione per revocazione. Vi è
questo errore quando la sentenza è fondata sulla supposizione di un fatto (lo si da come
verità indiscussa) la cui verità risulta poi esclusa cioè il fatto non era sussistente oppure la
sentenza da per scontato che non sussista un fatto invece era sussistente. Insomma è un
vizio che si vede ma emerge dopo, in un momento successivo alla sentenza.
5: la sentenza è contraria ad altra sentenza precedente avente fra le parti autorità di
cosa giudicata. Qualcuno dice che non vi rientra questa ipotesi.
È possibile anche la revocazione per quanto riguarda la sentenza della corte di
cassazione. È possibile la revocazione della sentenza della corte di cassazione ma
soltanto per l’ipotesi del punto 4.
È anche possibile che una sentenza sia impugnata simultaneamente con ricorso per
cassazione e poi con revocazione per uno dei motivi del 365 quindi è un mezzo di
impugnazione che può cumularsi con altri perché i motivi sono diversi, sono comunque
ipotesi molto infrequenti.
Competente per la revocazione è la stessa commissione che ha impugnato la sentenza
impugnata. Questa in effetti è una particolarità. Lo stesso organo giudicante proprio, non
lo stesso grado di giudizio.
GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA:
sono tre articoli 68-69-70. Il 68 tocca da vicino il contribuente perché disciplina il
pagamento dell’imposta in pendenza del processo. La questione è la seguente: il fatto di
proporre ricorso in primo grado contro un atto (non sta parlando delle liti di rimborso) non
sospende la riscossione della maggiore imposta che risulta da quell’atto!! C’era fino a
poco tempo fa una categoria di atti tributari che non erano immediatamente esecutivi
cioè ancorché notificati al contribuente non volevano il pagamento. Ora anche questa
categoria di atti sono immediatamente esecutivi cioè l’avviso di accertamento in materia
di imposte sui redditi. Occorreva prima l’iscrizione a ruolo e che poi venisse notificata al
contribuente la cartella di pagamento. Poteva passare anche un anno. Ad essere
esecutivo era il ruolo e la cartella di pagamento, a quel momento iniziava la procedura di
esecuzione forzata. Ora la riforma importante anche quelli sui redditi sono
immediatamente esecutivo ossia se non paghiamo nel termine di 60 giorni tipicamente
indicato ha inizio la procedura di esecuzione forzata. Me lo notificano, ho 60 giorni per
pagare, ho anche 60 giorni per proporre ricorso il fatto di impugnarlo non sospende
l’esecuzione perché l’impugnazione dell’atto non sospende in alcun modo la riscossione.
Ciò nonostante l’impugnazione produce degli effetti sulla riscossione cioè l’esecuzione
diventa frazionata, cioè l’ufficio potrà riscuotere solo per quote. L’esecuzione sarà
frazionata in pendenza di giudizio e risentirà dell’esito del giudizio. Una prima quota già
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nei primi 60 e può arrivare anche al 50%, la seconda quota solo dopo la sentenza della
provinciale ma non è scontato che vi sia questa riscossione, dipenderà dall’esito della
sentenza, se questa ha annullato totalmente l’avviso di accertamento a questo punto
l’ufficio non può pretendere la seconda frazione.
68: è una norma che deroga pure le singole leggi d’imposta. Se la provinciale da ragione
totalmente all’ufficio allora questo potrà riscuotere fino a 2/3. 10.000, prima della sentenza
ne ha già riscossi 5.000, dopo la sentenza può arrivare a 2/3 quindi 6.667-5.000. oppure
può accadere che la sentenza della commissione tributaria possa decidere per un
ammontare del tributo che non coincide con la maggiore imposta ma che ritenga
dovuta parte della imposta (è l’ipotesi dell’accoglimento parziale del ricorso) allora ad
esempio la commissione riduce da 10.000 a 4.000 allora nulla potrà essere riscosso perché
mi hanno già chiesto 5.000, se invece 8.000 allora non oltre i 2/3. La restante parte potrà
essere riscossa solo dopo la decisione della regionale e secondo le stesse regole cioè se
viene accolto il ricorso del contribuente non deve niente. Comunque dopo la regionale
tutta l’imposta è riscossa. Che possibilità ha il contribuente? Una delle grandi novità del 92
è stato introdotto l’istituto della tutela cautelare a favore del contribuente e consiste nella
possibilità di richiedere allo stesso giudice dinnanzi al quale è pendente il giudizio di
chiedere la sospensione dell’esecuzione. L’udienza non c’è ancora, ci possiamo rivolgere
a quel giudice prima che ci sia stata l’udienza perché abbiamo l’atto esecutivo e
l’udienza potrebbe essere anche tra un anno e in base all’art 47 possiamo chiedere la
sospensione della riscossione. Dobbiamo chiederla al giudice che dovrà esaminare la
richiesta, può essere insieme al ricorso oppure in altro documento. L’istituto del 47
presuppone che contestualmente o prima stiamo proponendo ricorso. Possiamo anche
inserirlo direttamente nel ricorso. Nel ricorso di solito si mette ricorso, istanza per ottenere la
sospensione dell’esecuzione, istanza per la discussione in pubblica udienza. Se vogliamo
farlo con atto separato deve essere pendente il giudizio. Il giudice deve decidersi sulla
richiesta di non pagare senza aver esaminato la questione. È per questo che viene fissata
in relazione a questa istanza una udienza che è distinta da quella in cui verrà trattata la
controversia, è una camera di consiglio a cui le parti possono partecipare ed è trattata
questa richiesta. Il ricorrente, se dall’atto impugnato può ricavargli un danno grave ed
irreparabile, può chiedere sospensione. Quali presupposti debbono sussistere affinché
questa nostra istanza sia considerata e valutata dal giudice? Deve derivare al
contribuente un danno grave ed irreparabile (periculum in mora). Affinché il giudice
accolga questa sospensiva è necessario che risulti soddisfatto questo requisito. Avendo
un c/c corposo è difficile che ci accordino la sospensione, il pagamento di una somma
modesta in rapporto alle capacità del singolo. L’altro requisito che deve sussistere è il
fumus boni iuris cioè la probabile fondatezza del ricorso. Il giudice a cui abbiamo
presentato l’istanza non ha tempo materiale per guardare bene il ricorso e i motivi però
con una valutazione sommaria riesce a capire se ci stanno le mie motivazioni. Se il giudice
ritiene che questi due requisiti siano soddisfatti allora sarà disposta la sospensione. Il
presidente deve fissare con decreto il giorno in cui sarà trattata la sospensiva, nella prima
camera di consiglio utile. A norma del 4 comma: il collegio in camera di consiglio ma
sentite le parti, il giudice avendo avuto cognizione dei motivi di ricorso provvede con
ordinanza che non è impugnabile quindi è una decisione contro la quale non possiamo
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fare nulla. Può essere parziale. C’è una norma a favore del contribuente predisporre un
ricorso può non essere semplice, è difficile che si riesca ad ottenere l’udienza per la
sospensiva in tempo utile. Comma 5 bis: l’istanza di sospensione è decisa entro 180 giorni
dalla data di sospensione, magari nella prima camera non c’era modo di decidere la
questione e quindi si slittava in avanti. Gli effetti della sospensione cessano da quando è
pubblicata la sentenza di primo grado.
Il problema che si pone è il seguente: abbiamo ottenuto la sospensiva ex art 47 ma si era
formato questo orientamento per cui non si poteva ottenere nel processo tributario una
sospensiva né a sentenza della provinciale né nella regionale e poi la sospensiva non
poteva più essere accordata quindi la riscossione poteva avvenire dopo la sentenza della
provinciale. Magari aveva anche ottenuto la sospensiva se veniva data ragione all’ufficio
anche sulla base di quale norma? All’impugnazione delle sentenze si applicano le norme
del cpc dal 323 al 338 escluso il 337.
337 prevede una regola generale nel processo civile. Prevede che l’esecuzione della
sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione della stessa come dire che se la
sentenza da ragione all’ufficio allora il fatto di impugnare la sentenza l’ufficio può
comunque riscuotere, ma questa non si applica al processo tributario. Prevede poi delle
eccezioni cioè salve le disposizioni degli articoli 283 e altri.
283: provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello: il giudice d’appello su istanza di
parte, quando sussistono gravi e fondati motivi sospende in tutto o in parte l’esecuzione
della sentenza impugnata. Così l’art 373 è lo stesso potere che ha il giudice cioè il ricorso
per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza della regionale. C’è poi una
deroga cioè il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può qualora
dall’esecuzione può derivare grave ed irreparabile danno che l’esecuzione della
sentenza sia sospesa. Il fatto di impugnare una sentenza non sospende, ci sono poi delle
eccezioni cioè posso sospendere la sentenza di primo grado e quella di appello. La corte
costituzionale investita della decisione di costituzionalità e dire che questa questione di
legittimità non fosse fondata allora poi nel 2010 ha riconosciuto che le norme sul processo
tributario nel non ammettere la sospensiva della provinciale e della regionale sono
costituzionalmente illegittime quindi con questa sentenza si è stabilito che adesso è
riconosciuta la possibilità di ottenere la sospensione non dell’atto impugnato ma
dell’esecuzione della sentenza della provinciale o della regionale. Con ciò si è finalmente
superato un grosso ostacolo che c’era nella materia tributaria, significa che il
contribuente otteneva la sospensiva fino alla provinciale e poi doveva pagare, invece se
ora si ottiene la sospensione dell’esecuzione della sentenza della provinciale e della
regionale si può arrivare anche a non pagare nulla.
69: condanna dell’ufficio al rimborso. Quando abbiamo fatto istanza di rimborso di una
imposta e c’è stato rifiuto dell’amministrazione allora chiediamo condanna al
pagamento. Se la commissione condanna l’ufficio al pagamento di somme e la sentenza
è passata in giudicato allora la segreteria ci rilascia una copia spedita in forma esecutiva
cioè abbiamo una sentenza che essendo passata in giudicato possiamo chiedere ..
siamo creditori nei confronti del fisco, occorre che la sentenza sia passata in giudicato, se
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è favorevole ma non è passata in giudicato allora non possiamo fare nulla. Affinché
diventi esecutiva la sentenza deve essere passata in giudicato, possiamo anche
presentarci dall’ufficio ma non possiamo pretendere il pagamento. Questo riguarda sia le
liti di rimborso sia l’ipotesi del rimborso di quanto anticipato (abbiamo chiesto
annullamento dell’avviso di accertamento, il giudice difficilmente da la sospensiva, una
parte di imposta l’abbiamo versata, abbiamo ottenuto una sentenza passata in giudicato
in nostro favore. Intanto abbiamo versato, l’ufficio come ci restituisce? Se abbiamo solo
chiesto l’annullamento totale o parziale dell’atto allora questa non è una sentenza di
condanna, annulla solo l’atto, ma non abbiamo chiesto la condanna al pagamento,
quindi anche quando si ha a che fare con impugnazione o nullità è buona prassi
richiedere anche la condanna a rimborsarci anche ciò che nelle more del giudizio
abbiamo chiesto cioè non dovrà limitarsi ad annullare l’atto ma dovrà anche rimborsarci
quanto abbiamo pagato. Ci troviamo con una sentenza di condanna. A questo punto
abbiamo il titolo esecutivo in mano. Una volta che abbiamo la sentenza passata in
giudicato che reca la condanna e se il concessionario o chi per esso non adempie allora
possiamo fare il giudizio di ottemperanza oppure l’azione esecutiva. Per l’azione
esecutiva abbiamo il titolo esecutivo che è la sentenza e poi andiamo da un civilista e
facciamo con lui. Col 546 è stato introdotto il giudizio di ottemperanza solo se abbiamo
sentenza di condanna passata in giudicato, ha la funzione di adempimento cioè lo
richiediamo per ottenere l’adempimento. È sempre un ricorso indirizzato direttamente al
presidente della commissione, ci rimanda per la procedura e sarà la stessa commissione
che notifica all’altra parte. È affidata alla sezione che aveva pronunciato la sentenza.
Cosa fa il collegio giudicante? Si sostituisce all’amministrazione finanziaria nel disporre i
provvedimenti che quella dovrebbe . il collegio dà ordine alla banca d’italia ad
effettuare il pagamento, quindi il giudice si sostituisce all’ufficio. Normalmente l’ufficio
adempio quindi non è molto usato.
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Operazioni straordinarie
Plusvalenza da cessione di azienda deve essere tassata.
Così come sono tassate operazioni normali d’azienda come la normale cessione dei
beni. Non hanno ragione di avere dei regimi di favore. Quale potrebbe essere il valore
costituzionale da tutelare nel caso in cui si cede una azienda e si realizza un plusvalore
però potrebbe non essere tassabile? Se l’imprenditore che cede è una persona fisica
allora è esposto alle aliquote irpef che a differenza dell’unica aliquota ires variano al
variare del reddito e si passa da uno scaglione all’altro. Essendo l’irpef un’imposta
progressiva, il fatto di tassare tutta insieme una plusvalenza da cessione di azienda che
può derivare da un possesso di questa azienda da molti anni, non sarebbe equo quello di
tassare tutto in un periodo d’imposta provocando un’impennata nel reddito, non
osserverebbe i principi costituzionali. Il negoziante o il ristoratore che gestisce l’azienda,
l’imprenditore individuale allora c’è tassazione separata cioè viene tassata con
un’aliquota media che vedremo.
Se invece stiamo parlando di una plusvalenza conseguita da un soggetto ires allora non
fa differenza se questa viene tassata tutta insieme perché intanto l’aliquota è quella fissa.
Occorre distinguere se l’operazione straordinaria comporti la monetizzazione da altre
operazioni che hanno un regime fiscale diversificato che non generano plusvalori
tassabili. Mutamento delle condizioni di investimento senza monetizzare: se invece di
cederla la conferisco. Se il corrispettivo della cessione è denaro allora A sta disinvestendo,
sta cedendo il suo bene. Se invece A non disinveste ma mantiene l’investimento e lo
modifica senza monetizzarlo allora questa operazione PUO’ portare alla non emersione di
materia imponibile quindi non ci sarà imposta da pagare. Nel caso di conferimento: Il
conferente conferisce l’azienda al conferitario, il conferitario in contropartita al bene
ceduto aumenta il suo capitale sociale emettendo partecipazioni al soggetto
conferente. Il conferente, in cambio, avrà partecipazioni, non avrà più il bene azienda
attività e passività. In questo caso quindi non c’è una operazione di disinvestimento, non
sta monetizzando, quindi A non è nella condizione di pagare imposte, con cosa le
pagherebbe?! Quindi al conferimento di azienda a differenza della cessione sono
applicabili diversi regimi fiscali, uno dei quali è un regime di non realizzo, che non fa
sorgere plusvalenze tassabili ancorché le possa generare contabilmente (art 176).
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Quindi prima cosa da guardare è se c’è disinvestimento o no.
Altra cosa è il regime fiscale: non è che ci sono delle operazioni di disinvestimento, certi
beni che erano nel regime fiscale dei beni d’impresa ne fuoriescono. L’uscita di un bene
dal regime fiscale dei beni d’impresa determina necessariamente realizzo. Come
potrebbe avvenire questa uscita? La spa si trasforma in fondazione. Questa operazione
da un punto di vista fiscale ha una grande conseguenza. Nel trasformare la società
commerciale in una fondazione, si sta verificando che la fondazione è un ente non
commerciale. C’è una grande differenza tra società ed enti commerciali e società ed
enti non commerciali. In questa trasformazione inevitabilmente tutti i beni della nostra
società commerciale che fuoriescono dal regime dei beni d’impresa e entrano nella
fondazione in quella che è l’attività istituzionale della fondazione, questa vicenda è di
tipo realizzativo che genera materia imponibile, anche se non vi è alcuna monetizzazione.
Quindi in certe operazioni è alla luce del disinvestimento che si capisce il regime fiscale,
per altre invece il punto è che un soggetto si sta trasformando. La società commerciale
sono la snc e la sas, poi spa srl sapa la cui attività dal punto di vista fiscale è una attività
commerciale (società ed enti commerciali) e poi possono esserci enti societari che
definiamo non commerciali (fondazione, hanno come oggetto principale (non esclusivo)
l’esercizio di attività non commerciali). Un ente non commerciale è tassata dal punto di
vista delle imposte sui redditi esattamente come noi privati persone fisiche, l’ente
commerciale è tassata in modo diverso. L’ente non commerciale fa attività che non
genera materia tassabile, anche se ha delle entrate, queste non sono tassabili. Il reddito
di queste è data dalla somma dei redditi delle varie categorie. Se una fondazione vende
un immobile, dobbiamo chiederci se questo immobile fa parte del regime dei beni
d’impresa di questa fondazione o se fa parte del suo patrimonio istituzionale cioè
quell’insieme di beni che non impiega per svolgere l’attività commerciale ma per
svolgere l’attività istituzionale. Altro esempio è l’università di genova che è ente pubblico
non commerciale. Se vende questo immobile, se questo è utilizzato esclusivamente come
attività istituzionale dell’ente allora questo bene fa parte del patrimonio istituzionale
dell’università e la sua cessione non genera materia imponibile. Se invece dicessi che
l’università di genova esercita anche attività commerciale in via residuale e se la
esercitasse in questo immobile allora se vendesse questo immobile allora la vendita non
sarebbe un fatto fiscalmente neutro quindi esce, perché ci dobbiamo aspettare realizzo
qui? Quando è stato acquistato, il costo è stato sottoposto ad un processo di
ammortamento a fini fiscali, quindi rispetto al valore di ingresso che era il costo
d’acquisto, negli anni questo valore d’ingresso si è fiscalmente ridotto in ragione dei
singoli ammortamenti. Se questo valore fosse sceso da 1 milione a 600 mila allora quando
vendiamo l’immobile che determina la fuoriuscita dal regime dei beni d’impresa è
evidente che ci sarà tassazione e se lo vendo a 800.000 ci sarà una plusvalenza di 200.000
e quindi tassazione. Se un bene è immesso nel regime fiscale dei beni d’impresa allora ci
sono dei vantaggi per l’impreditore perché mi deduco il costo in uno o più anni, quando
esce però c’è la tassazione della plusvalenza.
Se parlo di trasformazione di una società o ente commerciale (soggetto per il quale tutti i
beni sono d’impresa) in fondazione o ente non commerciale allora mi devo porre il
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problema della destinazione dei beni. Cioè se c’è trasformazione in altra società o ente
commerciale finivano tutti nel regime fiscale dei beni d’impresa, ma se la trasformo in
ente non commerciale allora mi pongo il problema, occorre vedere quali sono i beni che
confluiranno nell’attività istituzionale, è come se fuoriuscissero dai beni d’impresa. Gli altri
non stanno fuoriuscendo.
Di volta in volta dovremo capire chi sono i soggetti da tassare, dobbiamo capire chi è il
soggetto che sta realizzando un plusvalore da tassare. Nella stessa operazione possono
anche essere più di uno i soggetti. Dobbiamo capire se ci sono i presupposti per tassare o
meno in secondo luogo.
Parliamo un po’ della cessione d’azienda che è assolutamente realizzativa. Art 86: siamo
nella sezione dell’ires. Il TU è diviso prima irpef poi ires. Se il cedente è imprenditore
soggetto passivo irpef quindi imprenditore individuale, art 58 è la norma gemella della 86.
86: comma 2. La cessione di azienda, se genera un utile, non genera ricavi ma
plusvalenze. Dispone che concorrono alla formazione del reddito le cessioni
unitariamente formate mediante cessione a titolo oneroso, non gratuito. La plusvalenza la
dobbiamo esaminare in modo unitario cioè facendo la differenza tra quello che è il
corrispettivo della cessione e la somma dei valori fiscalmente riconosciuti di tutti i beni
componenti l’azienda. Devo confrontare il corrispettivo ricevuto (3 milioni), a questo
sottraggo la somma dei valori fiscalmente riconosciuti, non quelli contabili! Di tutti i beni
d’azienda dobbiamo tenere distinti il valore contabile ed il valore fiscalmente
riconosciuto. Se dobbiamo tassare ci interessa il secondo. Perché potrebbe esserci questa
differenza? Ad esempio le regole fiscali sono diverse dai principi contabili nazionali o
internazionali. Se dobbiamo rilevare la plusvalenza ai fini di azienda allora è la differenza
tra corrispettivo e valori fiscalmente riconosciuti. Emerge dall’articolo anche che la
plusvalenza è unitaria cioè dobbiamo guardare unitariamente all’azienda. Es: le merci se
vendute generano ricavi, dobbiamo considerare il bene come se fosse unico,
prescindendo dai regimi fiscali dei singoli beni. Rileva soltanto che abbiamo delle
rimanenze di merci.
Fra i vari beni dell’azienda abbiamo anche un fondo svalutazione crediti. Questo è
formato da una parte che è stata dedotta anche fiscalmente negli esercizi precedenti e
una quota che non è stata dedotta. Questo è di 100 di cui 80 sono svalutazioni crediti
dedotte, 20 è la quota che ha un valore contabile di 20 ma quella svalutazione non l’ho
dedotta quindi fiscalmente vale 0 perché fiscalmente non ho dedotto nulla. Quindi il
valore fiscalmente riconosciuto è 80 e quindi concorrerà con il segno – per 80.
Abbiamo partecipazioni pex (godono di esenzione se cedute e si realizza plusvalenza) e
non pex (non godono del regime di esenzione). Se avessimo pex, visto che ad essere
ceduta è l’azienda allora i regimi fiscali dei singoli beni che la compongono non hanno
rilevanza cioè si computa lo stesso il valore delle pex.
58: per le plusvalenze derivanti da cessioni di azienda non si applicano le disposizioni
dell’art 86 c4. Sono quelle norme che consentono all’imprenditore di frazionare la
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plusvalenza in quote e in più periodi d’imposta (fino a 5). L’imprenditore che realizza
cessione e ha plusvalenza può tassarla tutta in un unico periodo d’imposta oppure di
frazionarla in quote costanti fino a 5 periodi d’imposta. Nel caso di imprenditore
individuale ha un istituto in più da utilizzare cioè quello della tassazione separata. Nel caso
di cessione irpef può essere soggetta a più quote o anche essere sottoposto a tassazione
separata.
Siamo soggetti ires (spa o srl). 2 milioni il valore fiscalmente riconosciuto dall’azienda e 3
milioni il valore di cessione. Quindi la differenza è di 1 milione di euro. Posso fare tutta in un
esercizio oppure per quote. Perché mai dovrei optare per tassarla tutta nel 2012? Magari
perché ho un perdita. Guardando il mio ce nell’area straordinaria c’è la mia cessione. Gli
altri componenti però mi determinano un risultato netto negativo quindi non ho
convenienza a frazionare la plusvalenza da cessione perché ho un risultato negativo di
gestione anche dal punto di vista fiscale. Altrimenti tipicamente si opta per il
frazionamento anche perché l’imposta rimane proprio la stessa.
86 c : riguarda le immobilizzazioni. È un regime di neutralità previsto nel caso ho una
permuta di immobilizzazioni (lo dice per entrare nella logica delle neutralità fiscali). Se
permuto la mia immobilizzazione con un’altra, anziché generare realizzo e
ammortamento per il nuovo bene allora l’operazione è fiscalmente irrilevante
condizionata ad un presupposto cioè che il valore a cui iscrivo il bene sia lo stesso di
quello che ho ceduto, si parla del valore contabile, per la differenza che dovesse esserci
allora ho del denaro e questo lo devo tassare. Stiamo parlando di valori contabili e di beni
ammortizzabili. Questo discorso vale anche per quel bene ammortizzabile che è il bene
azienda. Risponde alla solita ragione cioè non sto disinvestimento, l’eventuale conguaglio
in denaro è tassabile.
Trasferimento d’azienda mortis causa: art 58. L’imprenditore persona fisica muore e
l’azienda passa ai suoi eredi. Questo passaggio da genitore a figlio dell’azienda era
concepito come una cosa che emergeva un plusvalore, come fosse realizzata a titolo
oneroso. L’ufficio ragionava come se l’azienda si staccasse dal regime fiscale dei beni del
padre ed entra in quello del figlio e deve essere tassato. Ora si ragione in termini di
neutralità fiscale quindi il passaggio dell’azienda agli eredi non genera plusvalenza
fiscale, l’irrilevanza è data a condizione che non vengano modificati i valori fiscali
(continuità dei valori fiscalmente riconosciuti). Se li aumentassi potrei fare più L’azienda passa in continuità di valori contabili, non a costo di cessione.
Il DM riguarda la determinazione del reddito fiscale per le imprese che sono obbligati ai
principi contabili internazionali.
Art 4 c3: per le cessioni d’azienda o anche per la cessione di partecipazioni rileva il
regime fiscale disposto dal testo unico anche se dalla rappresentazione in bilancio non
emergono i relativi componenti negativi e positivi. Ovvero anche se a livello di bilancio
non emergono i componenti positivi e negativi (plusvalenza). Abbiamo cessione. La
plusvalenza non la vediamo a ce, non comparirà nel ce, ci troveremo una riserva di
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patrimonio netto. Applicando le norme del testo unico come faremo la dichiarazione dei
redditi? Il primo dato è l’utile o la perdita come emerge dal ce. Da quello dobbiamo
apportare le variazioni in aumento e in diminuzione per determinare il reddito fiscale.
Questa norma ci dice che anche se dal ce non vengono fuori i componenti positivi o
negativi comunque li si devono conteggiare nel reddito fiscale. Quindi in dichiarazione
dal risultato dovremo apportare una variazione in aumento nel caso si verifichi
plusvalenza. È la regola della continuità, in questo caso continuità dei valori contabili.
Nelle cessioni le parti non sempre dichiarano il valore effettivo, spesso dichiarano un
valore inferiore. Quindi c’è una parte di prezzo che è nera. Gli uffici delle entrate
effettuano un controllo sulla congruità del valore dichiarato (a seconda del valore
dichiarato deriva una ammontare piuttosto che un altro come imposta dei redditi e
anche sulla imposta di registro che è proporzionale nel caso delle cessioni d’azienda al
valore dichiarato). L’imposta di registro è di solito a carico dell’acquirente. Ne beneficia
quindi l’acquirente che paga meno imposta di registro e il venditore che paga meno
imposte sui redditi in quanto la plusvalenza è inferiore, lo si può fare con piccole imprese.
L’ufficio tipicamente fa due accertamenti, uno per l’imposta di registro e l’altro per
l’imposta sui redditi.
Quando un bene passa dal soggetto A al soggetto B esce dal regime fiscale dei beni
d’impresa del cedente A, questa è una vicenda realizzativa, per immettersi nel regime
fiscale dei beni d’impresa del cessionario (siamo nell’ambito di aziende commerciali, non
attività istituzionali). Uscendo il bene ho realizzo e quindi emergono i plusvalori latenti e
tassazione su questi plusvalori, come l’avviamento oppure immobilizzazioni. Quindi
abbiamo tassazione perché c’è fuoriuscita, e proprio perché c’è stata tassazione in capo
al cedente, l’acquirente prenderà i beni in carico al prezzo a cui l’ha pagato, ma per
l’aspetto fiscale che diritto ha dal punto di vista fiscale l’acquirente? Se ha pagato 3
milioni allora ha diritto di prendere in carico i beni al nuovo valore fiscalmente
riconosciuto quindi prende i beni in carico a 3 milioni. Perché c’è stato passaggio da un
regime ad un altro e perché c’è stata imposizione. Se non ci fosse stata imposizione allora
non possiamo pensare che il cessionario prenda i beni al valore fiscale di 3 milioni ma sui
valori fiscalmente riconosciuti originari di 1 milione.
LA CESSIONE DI PARTECIPAZIONI IMMOBILIZZATE
Il bene ceduto in questo caso sono le partecipazioni. Le strategiche sono quelle di
controllo e di collegamento e le scriviamo tra le immobilizzazioni.
Vi sono due regimi: uno ordinario (la plusvalenza che realizzo con la cessione di
partecipazioni sociali che siano iscritte nell’attivo immobilizzato, se non fruiscono del
regime pex, sono normalmente imponibili) e il pex.
Se ordinario si applica art 86. Es: A ha partecipazione iscritte ad 1 milione, vale 3 milioni, la
vendo a B, non ricorrono i requisiti pex quindi la plusvalenza è interamente da tassare. In
quale periodo d’imposta lo applico? Principio di competenza cioè se la cessione è
avvenuta nel 2012 allora tasso nel 2012, possiamo anche frazionare la plusvalenza anche
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nel caso di cessione di partecipazioni. C’è una condizione che deve essere soddisfatta:
requisito di anzianità. Il bene deve essere anziano cioè se è rimasto tra i beni
dell’imprenditore per 3 periodi d’imposta almeno, e fraziono a quote costanti fino a 5
periodi d’imposta. La partecipazioni devono essere iscritte fra le partecipazioni finanziarie
per almeno 3 esercizi quindi. Se le ho prese da due esercizi allora non posso fare il
frazionamento perché manca il requisito di anzianità. per la cessione d’azienda era
anche 3 esercizi. Per accedere alla tassazione separata per 5 esercizi, per evitare che un
plusvalore che si è formato in più anni venga tassato tutto in un esercizio, se si forma in
poco tempo allora non ha senso. Frazionamento sempre in quote uguali.
In ce la plusvalenza l’avremo nell’area straordinaria.
Potrebbe anche verificarsi che l’operazione sia fatta in continuità dei principi contabili
quindi in dichiarazione l’utile del bilancio non comprende la plusvalenza mentre a fini
fiscali la dobbiamo tassare.
Dalla riforma fiscale del 2004 esiste il regime pex (partecipation exention). La plusvalenza
non è tassata, è esente. In certe ipotese l’esenzione della plusvalenza è parziale. Ci sono
alcuni requisiti che devono essere soddisfatti, se non lo sono la plusvalenza deve essere
integralmente tassata. Art 87: non concorrono cioè sono esenti nella misura del 95% (su
2.000.000, 100.000 sarebbero da mettere come imposta) se il soggetto che cede è ires, se
invece è un imprenditore individuale o una società di persone allora la percentuale di
esenzione scende quindi cresce la quota imponibile. I requisiti sono 4: che vi sia stato un
ininterrotto possesso della partecipazione dal 12esimo mese precedente a quello di
vendita; sia stata classificata fra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio al
momento dell’acquisto, quindi anche se l’anno dopo l’ho iscritta nel circolante il requisito
pex è comunque verificato (errato il titolo in maiuscolo); la partecipata non deve
residente in uno stato a regime fiscale, si può dimostrare che la nostra impresa superi
l’activity test anche se è in un paradiso fiscale; la partecipata deve svolgere attività
commerciale, le immobiliari non sono considerata società commerciali (è una
presunzione).
Art 67 TU: cessione di azioni da privati. Dobbiamo distinguere se è una partecipazione
qualificata o se è non qualificata, per le qualificate (60% di una srl, 6% di una società
quotata) il regime è quello inferiore del 50 e rotti. se sono partecipazioni non qualificate la
plusvalenza è tassata al 12,5%. Ora l’aliquota è del 20%. È applicabile alle persone fisiche
e anche gli enti non commerciali (queste due categorie ragionano in termini di redditi
diversi). C1 c) le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso (non se sono donate),
dipende dalla quota di partecipazione al capitale (qualificata se ho più del 30%, 5% se
quotata). Se il riferimento è ai diritti di voto allora i riferimenti sono il 2% ed il 20%.
Il TU non parla mai di partecipazioni strategiche, non conosce questa nozione, parla di
qualificate o no e se al primo esercizio le abbiamo messe tra le immobilizzazioni.
Se si applica l’art 86: ho comprato la partecipazione tre mesi fa oppure anche un anno fa
ma non ho avuto l’ininterrotto possesso, quindi non rientra in pex. Se le avessi iscritte nel
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circolante avrebbero generato dei ricavi. Art 85 c1 c) il corrispettivo delle cessioni di azioni
o quote di partecipazione che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie: quindi anche
per il regime ordinario è decisivo ciò che abbiamo scritto in bilancio. Sto vendendo oggi:
prima verifica è se soddisfo i requisiti pex, una volta che capiamo che ricadiamo
nell’ordinario dobbiamo capire se dobbiamo mettere ricavi o plusvalenza. Dipende da
dove le ho collocate nell’esercizio di cessione.
CONFERIMENTO:
non è tassato (regime di neutralità fiscale) perché non c’è monetizzazione, il corrispettivo
del conferimento non è denaro ma sono partecipazioni. A non ha perso un collegamento
con l’azienda di cui era proprietaria, il cedente mantiene il collegamento col bene
azienda tramite la partecipazione.
Abbiamo anche un regime di tassazione ordinaria: l’azienda ha un valore contabile di 1
milione di euro che coincide con il valore fiscalmente riconosciuto, valore di conferimento
è 3 milioni di euro quindi il bene azienda è stato valutato 3 milioni, ricevo partecipazioni
per 3 milioni. Può accadere che la B sia di nuova costituzione, dobbiamo porci il
problema se le partecipazioni hanno un valore nominale. Noi vogliamo partecipazioni per
un valore di 3 milioni. Se è una società appena costituita si guarda al valore nominale
cioè vengono rilasciate azioni per un valore nominale di 3 milioni, se invece è avviata e
hanno un valore nominale di 2 milioni ma queste corrispondono a 3 milioni. Il cs della
conferitaria aumenta di 2 milioni e il restante milione dove viene collocato? Riserva
sovrapprezzo azioni. Per il conferente la plusvalenza sarà di 2 milioni di euro, il regime di
tassazione è quello dell’articolo 86.
Normalmente si accede al regime di neutralità fiscale: la plusvalenza non è tassabile per il
conferente (conferimento non realizzativo). Possono esserci delle differenze in capo al
conferitario. Regime di neutralità ordinaria: i beni escono dall’impresa A senza tassazione
quindi il conferitario si prende fiscalmente i beni in carico ai valori fiscalmenti riconosciuti in
capo al cedente, cioè se 1 milione era il valore dei beni allora il conferitario deve
subentrare in questi valori, il conferitario assume i beni agli stessi valori fiscali che i beni
avevano presso il conferente (non può prendersi il bene al maggior valore così poi gli anni
successivi si scarica maggiori costi); l’altra condizione perché ci sia la neutralità fiscale è
che vi sia la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti anche a riguardo del bene
partecipazione (il conferente deve assumere la partecipazione al medesimo valore
fiscalmente riconosciuto dall’azienda, anche se in bilancio è iscritta a 3 milioni. Bilancio
del conferente: sparisce l’azienda che valeva 1 milione, emerge una plusvalenza nel ce
per 2 milioni, emerge una partecipazione per 3 milioni. Fiscalmente: l’utile contiene i 2
milioni di plusvalenza quindi variazione in diminuzione per 2 milioni, se fosse ias quindi va
nel patrimonio netto allora non dovrei fare variazioni. Fiscalmente la partecipazione vale
però 1 milione di euro. Conferitario: l’azienda viene iscritta per 3 milioni, e poi il resto.
Fiscalmente: se l’immobile lo iscrivo a 700.000 ma fiscalmente era 500.000 allora
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l’ammortamento fiscale sarà su 500.000, l’ammortamento contabile sarà su 700.000.
quindi variazione in diminuzione ci sarà.
Rinuncia al regime di neutralità ordinaria: il conferitario può ottenere il riconoscimento
fiscale di tutti o di parte del maggiori valori contabili. Es: potrà ottenere il riconoscimento
del maggior valore fiscale dell’immobile. Se nell’azienda conferita c’è del magazzino e il
conferitario vuole ottenere un maggiore riconoscimento sul magazzino allora non può, lo
limita solo alle immobilizzazioni materiali ed immateriali (neanche le finanziarie). Per
ottenere il riconoscimento fiscale occorre pagare una imposta sostitutiva che è stabilita in
modo progressivo a seconda della massa che vogliamo affrancare. Funziona come le
imposte sui redditi. Di solito si iscrive o avviamento o immobile, la convenienza sta nel fatto
che se i 2 milioni fossero tutti avviamento allora pago l’imposta sostitutiva però posso
dedurmi questo ammortamento quindi il 27% confrontato con il 14% pagato adesso. Oggi
pago imposta del 14% per avere in futuro risparmi ai fini ires e irap del 27,5 + 3,9 quindi la
convenienza è forte. Se fosse imprenditore individuale lo sconto sarebbe ancora
maggiore: ai fini irap e irpef (l’irpef può avere scaglioni più alti).
Art 176: sancisce la neutralità fiscale per il conferimento. Il regime ordinario è
nell’art 86.
Art 9: è disposta l’equiparazione a fini fiscali tra operazioni di conferimento e
operazioni di cessione. C’è la doppia continuità dei valori fiscali. Art 176 richiede
anche che dall’operazione di conferimento in regime di neutralità fiscale è
normale che si crei un disallineamento tra i valori contabili (3 milioni) e i valori fiscali
che rimangono quelli ante operazione (1 milione). La dichiarazione dei redditi per
tutti i periodi di imposta di disallineamento dobbiamo indicare a fini di
riconciliazione i valori contabili ed i valori fiscalmente riconosciuti. I dati esposti in
bilancio sono i valori contabili civilistici.
Ambito applicativo di questa norma (176) parla dei soggetti residenti nel territorio
dello stato. Non richiede che siano soggetti ires quindi è possibile che il
conferimento venga fatta da un imprenditore individuale o da una società di
persone (soggetti trasparenti). I soggetti devono essere entrambi residenti.
C2: la neutralità si applica anche nel caso in cui il conferente o il conferitario non
sia residente. La norma richiede ai fini dell’applicazione del regime di neutralità
fiscale che l’azienda sia situata in Italia. Si ammette il regime di neutralità fiscale a
condizione che l’azienda rimanga sul territorio italiano, perché se l’azienda rimane
qui allora lo stato italiano non sta perdendo la tassazione dei plusvalori latenti. Se
uno degli elementi componenti d’azienda viene staccato dalla stabile
organizzazione ed inserito fuori dall’Italia allora viene meno la neutralità fiscale ma
limitatamente a quell’elemento.
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C2bis: se il soggetto A è un imprenditore individuale e conferisce l’unica azienda
che possiede in B. nel momento in cui la conferisce allora perde la qualifica di
imprenditore quindi la disciplina è di particolare favore e ammette la neutralità
fiscale. era un imprenditore quindi avrei dovuto applicare quelle dell’ires poi però
ha perso la sua qualità ma sta godendo della neutralità fiscale derivante dalla
qualifica di imprenditore. Si applicano il 67-68 quindi rientra tra i redditi diversi,
quando cederà le partecipazioni si applicheranno quei due articoli ma con una
particolarità, si assume come costo delle stesse l’ultimo valore fiscalmente
riconosciuto all’azienda conferita. Riceve 3 milioni di partecipazioni, le vende a 5.
La plusvalenza è corrispettivo meno uno quindi 4 milioni è la plusvalenza. Su
questa si applica il 67, dobbiamo distinguere se è qualificata o no. Se fosse
qualificata allora i 4 milioni li tasso la metà vanno in regime pex e l’altra metà è
tassata. Se invece fosse non qualificata allora il 20% a tutta la plusvalenza, con
imposta sostitutiva (è tassata separatamente). Se è partecipata allora sono tassati
per la metà e vanno a tassare il reddito complessivo e sono sottoposte alle
aliquote irpef.
C2ter: già visto. Da modo al solo conferitario di ottenere il riconoscimento fiscale
dei maggiori valori pagando l’imposta sostituva. È indubbiamente un’operazione
conveniente. Per il conferente invece che ha la partecipazione a 1 milione e
quando la rivende a 5 la plusvalenza è sottoposta un po’ a doppia imposizione. La
plusvalenza è 4 milioni e su questi deve pagare le imposte, potrebbe però scattare
il regime pex e quindi esenzione al 95%. “in caso di realizzo dei beni, anteriormente
al quarto periodo d’imposta successivo a quello dell’opzione, il costo fiscale è
ridotto dei maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva ed è ridotto
dell’eventuale maggior ammortamento dedotto e l’imposta sostitutiva che è stata
versata è scomputata dall’imposta sui redditi”. Il legislatore da la possibilità al
conferitario di ottenere il riconoscimento fiscale ma vuole essere garantito che il
conferitario in breve non venda i beni perché se il bene lo riallineo adesso e lo
rivendo tra due anni (da 500 a 700 poi lo vendo 2 anni dopo allora è come se il
costo di questo immobile si riduce a quello che era originariamente cioè 500, i
maggiori ammortamenti sono da riprendere a tassazione e l’imposta sostitutiva
che avevamo pagato ci è riconosciuta indietro. Realizzo è la vendita o la cessione
o è conferito forse).
C4: è quella dell’anzianità. le aziende conferite in dipendenza di conferimenti si
considerano possedute dal conferitario anche per il periodo di possesso del
conferente. Le partecipazioni ricevute dal conferente si considerano iscritte come
immobilizzazioni finanziarie.
C3: disconoscere le operazioni straordinarie se si versa in un caso di elusione. Si
potrebbe pensare che sia un’operazione elusiva e quindi ricada nel 37bis del 600
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l’operazione con la quale un soggetto conferisca l’azienda in regime di neutralità
fiscale e poi ricevendo in cambio la partecipazione, ceda la partecipazione in
regime pex quindi pagando le imposte solo sul 5%. Ho una azienda, se la cedo
devo pagare le imposte, ma se faccio la furbata di conferirla in neutralità e non
sono tassato poi faccio maturare i requisiti pex e poi pago le imposte solo sul 5%,
sembra un po’ elusiva la cosa ma è comunque ammessa questa insieme di
operazioni.
178: Articolo del testo unico: operazioni tra soggetti appartenenti a paesi diversi
dell’unione europea. Questi regimi si applicano a condizione che una società sia
residente in Italia e l’altra sia residente in un altro stato dell’unione europea.
C1a): i soggetti sono quelli detti prima. Inoltre devono essere società soggette
all’ires e domiciliate negli altri stati soggetti a imposte similari.
C2: si applica il 176 quindi il regime di neutralità fiscale. le disposizioni di neutralità si
applicano nei confronti del beneficiario non residente limitatamente ai beni che
sono confluiti nella stabile organizzazione. Ovvero a questa operazione è
applicabile la neutralità fiscale ma limitatamente ai beni che rimangono nella
stabile organizzazione in Italia. Gli elementi che il conferitario si porta in Francia
allora per questi non c’è neutralità fiscale perché il fisco italiano dopo questa
operazione non riuscirà più a percepire le imposte sui plusvalori emersi. Altro caso:
conferimento italia-francia di azienda in francia. Dopo il conferimento l’azienda
rimane in francia come stabile organizzazione. Qui lo stato italiano non può
tassare nulla. Il problema è: il conferitario a quali valori fiscalmente riconosciuti
assume in carico l’azienda? Le norme non risolvono questo caso. Altro caso:
conferimento tra francia e germania ma ciò che viene conferita è una stabile
organizzazione esistente sul territorio italiano. Nel passaggio i plusvalori si sono
formati su quella stabile organizzazione che è in Italia quindi il fisco italiano può
agire e se rimangono in Italia allora godono della neutralità. Altro caso:
conferimento ita-fr di stabile organizzazione che è in Germania, è l’italiano che ce
l’ha. Impresa italiana che ha filiale in Germania. Post-operazione la SO rimane in
Germania. Chi realizza i plusvalori da tassare? Il conferente che è residente in
Italia. Lo stato italiano o tassa ora o non tassa mai più, rimarrà la partecipazione
ma è un po’ volatile e può essere ceduta più facilmente.
La partecipazione ricevuta è valuta in base agli ultimi valori fiscalmente
riconosciuti.
SCAMBI DI PARTECIPAZIONE
Due forme: per permuta o con scambio per conferimento.
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In entrambi i tipi abbiamo due tipi di soggetti: la società acquirente cioè che
acquisisce o integra il controllo di un’altra società, la società scambiata che è
quella le cui azioni o quote sono oggetto di scambio, le società scambianti cioè
dei soci che prima dell’operazione sono soci della scambiata e scambiano le
partecipazioni con altre partecipazioni e ce l’hanno dopo nella società
acquirente.
Art 177: devono essere società di capitali o enti commerciali soggetti ad ires
residenti in Italia. Ante operazione abbiamo dei privati che sono gli scambianti,
questi alla fine hanno delle partecipazioni nella società acquirente, quindi azioni
proprie di A. per applicare questo regime A deve acquistare il 50%+1 di B, oppure
se la società acquirente ha già delle partecipazioni nello scambiato e integra fino
ad avere il controllo, quindi anche se acquista meno del 50%+1. Altro elemento è
che A sta dando azioni proprie, quindi A deve essere una spa o una sapa (le srl
non posso avere proprie quote in portafoglio). Bisogna sempre chiedersi: chi sta
realizzando dei plusvalori? I soci che avevano azioni di B che potrebbero aver
realizzato i plusvalori, A aveva nell’attivo azioni proprie al valore di costo e le sta
dando in cambio quindi le sta realizzando. L’operazione non da luogo a
componenti positivi o negativi tassabili o deducibili a condizione che il costo delle
azioni date in permuta (quelle di A) sia attribuito alle azioni o quote ricevute in
cambio. A deve attribuire alle azioni di B lo stesso valore che aveva attribuito alle
azioni proprie. Sta parlando però del costo fiscale o del costo rilevato in
contabilità? Questa interpretazione ha generato molti problemi pratici. L’amm fin
ha sempre interpretato il costo come costo contabile. Altro orientamento dice
che ciò a cui si allude è il costo fiscalmente riconosciuto.
Art 172-173
Ci sono norme pressoché identiche. Però non tutto quello che vale per la fusione vale
anche per la scissione, in linea di massima è vero.
Fusione: può avvenire per incorporazione o per unione. Ci riferiremo solo a quella per
incorporazione ma si riferirà anche a quella per unione. Incorporazione: Una incorporante
incorpora una o più società che si chiamano incorporate. Possono esserci dei rapporti di
partecipazione oppure possono non esservi. L’altra forma è quella per unione: almeno
due società si fondono dando origine ad una nuova società, le società fuse sono le due
che postoperazione non esistono più, poi esiste solo la società..
Scissione: abbiamo una società che ha i suoi soci e ed è la società scissa e trasferisce
tutto o parte del suo patrimonio a delle società beneficiarie (può anche esserci una sola
beneficiaria, in questo caso la scissione è parziale cioè devono convivere sia la scissa che
la beneficiaria. Se stiamo parlando della scissione totale cioè la scissa trasferisce l’intero
patrimonio alle beneficiarie allora le beneficiarie devono essere due (sennò forse è
fusione, idem per il caso di prima che ne devono rimanere due). L’operazione come si
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completa? Se i soci avevano partecipazioni nella scissa ed erano due allora se è parziale
allora si completa assegna ai soci della scissa delle partecipazioni nelle beneficiarie.
Il denominatore comune è sempre un trasferimento di patrimonio.
Si riferirà solo alla fusione per inc ma quello che dice vale anche per la unione.
Ai soci della incorporata verranno date azioni nella incorporante, visto che hanno ceduto
il patrimonio della incorporata. Potrebbe accadere che tra l’incorporante e
l’incorporante esista già una relazione di partecipazione. L’ammontare della
partecipazione è irrilevante per il regime fiscale. di solito è la incorporante ad avere la
partecipazione nella incorporata. Immaginiamo che sia totalitaria, quindi avremo come
unico socio di della incorporata la società incorporante, in questo caso il cc pone un
divieto di concambiare azioni o quote e richiede l’annullamento delle partecipazioni a
bilancio e la sostituirà con tutti gli elementi attivi e passivi della incorporata. Può esserci
anche il caso della fusione inversa: cioè la controllata incorpora, fa nascere diversi
problemi a livello fiscale.
Art 172-173 nei primi tre commi sancisce la neutralità fiscale della fusione e della scissione
su tre diversi versanti. Primo comma: viene sancita la neutralità fiscale dell’operazione per
ciò che concerne i beni della società incorporata o i beni della scissa cioè il patrimonio
che si sposta verso incorporante o beneficiaria. Quando un bene viene trasferito da un
soggetto ad un altro ci si pone il problema di fuoriuscita dal regime fiscale ed entrata in
un altro, dovrebbe emergere materia imponibile, quindi ci si aspetterebbe un realizzo di
plusvalenze in capo alla incorporata, invece no! Quindi non da luogo ne a minus ne a
plus ne ad avviamento, non può esserci quindi tassazione. Perché? La tesi maggioritaria di
diritto commerciale dice che la fusione o scissione non comporta l’estinzione della società
fusa o scissa quindi in questa ottica di continuità è normale che non sia una operazione
che genera tassazione. La tesi minoritaria vede l’estinzione della incorporata quindi così è
più difficile capire perché non ci sia tassazione. In questa operazione non c’è cessione di
beni! Le stesse azioni vanno ai soci, non alla incorporata! Quindi si esclude che sia una
cessione. Altra ipotesi è che ci sia una forma di cessione di beni ai soci ma non c’è
perché i beni della incorporata non passano ai soci. Anche ai fini iva questa operazione
non ricade, quindi è esclusa dall’ambito di applicazione dell’iva. Ha passato in rassegna
tutte le ipotesi di emersione di materia imponibile del TU. Il legislatore si sente in dovere di
parlare delle rimanenze di magazzino.
Secondo versante: i soci della società incorporata o scissa cioè coloro che in cambio
della azioni nella incorporata prendono partecipazioni nella incorporante. Ad un certo
punto c’è un cambio, uno scambio di partecipazioni. Se un soggetto effettua uno
scambio può realizzare un plus o minus valore. Anche nei confronti di questi soggetti il
legislatore sancisce la neutralità fiscale delle partecipazioni. Cioè se siamo X e Y e
abbiamo partecipazioni nella incorporata o nella scissa allora quel valore fiscalmente
riconosciuto verrà assunto dalla partecipazione che ricevo in cambio. Quindi il socio si
prende le partecipazioni che riceve al valore fiscalmente riconosciuto alle partecipazioni
che perde, salvo conguaglio in denaro (art 47 c 7 TU e ricorrendo le condizioni dell’art 58
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e 87. Questi due articoli sono quelli del regime pex se persona fisica o se soggetto ires. Art
47 sono utili da tassazione. C7 c’è un certo regime fiscale in cui c’è recesso di un socio
dalla società o esclusione di un socio: quindi il richiamare il conguaglio in denaro in caso
di gnagna. Se socio socio di una società e recedo o vengo escluso allora mi verrà data
una parte del patrimonio, al socio uscente a cui è liquidata la quota, nei confronti di
questo deve esserci tassazione quello che gli viene restituito, non tutto sarà utile tassabile.
Il plusvalore tassabile si determina dalla differenza tra valore di costo (se comprata) o il
valore di sottoscrizione (se eravamo i primi soci) e il valore che mi liquidano. Andrebbero
anche non considerate eventuali riserve che non sono tassabili: sono le riserve di capitale
cioè le riserve sovrapprezzo azioni ad esempio (le riserve sono di utili e di capitali). Se
abbiamo conguaglio quindi …
La giustificazione vera del regime di neutralità è solo una: fusione e scissione comportano
una continuità sia del patrimonio che passa da un soggetto all’altro sia dei soggetti cioè i
soci della incorporata diventano poi soci della incorporante.
Terzo versante: riguarda la incorporante o la beneficiaria. L’operazione è neutra anche
nei confronti di questi soggetti. Stabilire la neutralità su questi 3 versanti significa dire che
eventuali avanzi o disavanzi che la fusione o scissione può generare, queste poste non
hanno riconoscimento fiscale cioè hanno un valore fiscalmente riconosciuto pari a zero.
… .
Tutti i maggiori valori iscritti, cioè le poste di avanzo e disavanzo che l’operazione genera
sono fiscalmente irrilevanti. Quindi i beni provenienti dalla fusa o dalla scissa potranno
avere un valore contabile diverso da quello fiscale.
Stiamo parlando di avanzi e disavanzi che possono essere o da concambio o da
annullamento. Possiamo avere disavanzi da concambio o disavanzi da annullamento,
idem per gli avanzi (annullamento della partecipazione, quindi sono nell’ipotesi in cui ci
sia una partecipazione possono esserci avanzi o disavanzi da annullamento). Se una
partecipazione non è totalitaria (80%) allora possono esserci disavanzi o avanzi da
annullamento ma per il restante 20% potrà generere avanzi o disavanzi da concambio. Se
coesistono questi allora non è detto che vadano in tandem (dis e dis) ma potrebbe
generare un avanzo di annullamento e un disavanzo da concambio. Bisogna solo capire
dove vanno a finire queste poste.
Se vogliamo determinare quantitavamente le due differenze allora il valore da sottrarre è
il pn contabile della incorporata o della fusa o della scissa. Per il primo termine se
parliamo di annullamento se A ha il 100% acquistata al prezzo di 3000 e il netto della
incorporata è mille allora prendo il valore a cui la partecipazione della società che si
incorpora è iscritta a bilancio. Disavanzo se la differenza è positiva cioè il val della parte è
superiore al pn contabile. Avanzo se la differenza è negativa.
Differenza da concambio: ci sarà un aumento del capitale quindi è questo che comparo
con il pn contabile. A seguito del rapporto di cambio stabilito A aumenti il proprio
capitale di 2.000. perché sono partecipazioni o quote che emette e che saranno a
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servizio per i soci della incorporata. L’aumento di capitale è fatto per emettere le azioni
da dare ai soci. Il nome è come prima.
Se abbiamo una partecipazione non totalitaria cosa dobbiamo correggere le due
formule? Se ho part totalitaria ho solo differenze di annullamento. Se la part è all’80%
allora l’operazione potrà generare sia differenza da annullamento sia da concambio.
Non dovremo però assumere il patrimonio netto per intero ma solo l’80% di questo. Per gli
altri soci che hanno il 20% dovremo determinare la differenza da concambio. Se
l’aumento di capitale è 2000 allora 2000 – 20% di 1000.
L’aumento di capitale di 2000 è esclusivamente conseguenza dell’accordo tra le società
che partecipano alla fuzione o scissione sul valore delle loro quote: se A determina che la
sua quota vale 2 volte le azioni di B allora questo determina l’aumento di capitale.
Cosa accade nel bilancio di A controllante e incorporante (stesso discorso per la scissa).
Perché A ha scritto in bilancio una partecipazione a 3000 mentre la società vale 1000?
Dipende da quanto l’ha acquistato però può esserci un avviamento. Altra giustificazione
è che la controllante vuole togliersi dai piedi un concorrente dal mercato quindi è
disposta a pagare di più. Sta di fatto che poiché A prende tutto l’attivo e tutto il passivo
della incorporata allora scompare la voce partecipazioni, al posto dei 3000 vengono
inseriti tutti i valori contabili dell’attivo e passivo che traslano nella incorporante. Quale è il
trattamento del avanzo o disavanzo da annullamento? Il meno frequente è quello del
pessimo affare cioè ha pagato di più una cosa che vale meno perché ha fatto un cattivo
affare allora il disavanzo viene imputato a ce come perdita che dall’operazione è
emersa. Il trattamento di questa perdita è indeducibile quindi è come se fiscalmente non
ci fosse. Se invece la imputiamo tutta alla voce avviamento in bilancio esiste e
fiscalmente non posso dedurre i suoi ammortamenti fiscali quindi in dichiarazione
effettuerò la variazione in aumento per il costo che è indeducibile dobbiamo capire
quale è il valore contabile e quale quello fiscale. altra possibilità di iscrizione dei disavanzi
è la rivalutazione dei beni che provengono dalla incorporata allora imputo alla voce
immobili, l’immobile avrà a fini civili un certo valore comprensivo della parte di disavanzo
computato e fiscalmente avrà un valore pari a 0. Attualmente il disavanzo da
annullamento non ha riconoscimento fiscale, prima era diverso, il disavanzo di
annullamento ma non quello da concambio aveva riconoscimento fiscale.
è possibile ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori art 172 c 10 bis. Queste
norme consentono di applicare il regime dell’imposta sostitutiva per i conferimenti e
anche per la fusione. Se ho iscritto 2000 di avviamento posso optare per il riconoscimento
fiscale pagando l’imposta sostitutiva ed avendo in cambio la deduzione degli
ammortamenti. La cosa brutta sono i 18 periodi di imposta lungo i quali posso
ammortizzare. È la differenza tra imposta sostitutiva e aliquota ires e irap. Ovviamente
attualizzando i valori.
Se invece l’operazione genera un avanzo di annullamento allora l’avanzo lo si scrive nel
pn come posta di capitale e come tutte le poste di capitale non comporta tassazione in
capo ai soci.
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Se c’è disavanzo da concambio allora l’aumento del capitale nel caso di +2000 di
capitale lo raffronto con il pn contabile. Se si genera un disavanzo da concambio viene
iscritto nell’attivo. Da un punto di vista contabile non sarebbe corretto imputare il
disavanzo a aumento di valori dei beni che provengono dalla incorporata perché non è
che ho pagato un prezzo quindi benché è ammesso non è la pratica preferita (effetto
civilistico). Se però ci opto allora vale sempre la conclusione che non ha riconoscimento
fiscale e comunque pagando posso avere anche il riconoscimento fiscale (legislatore
lascia passare anche delle non best pratice pur di fare cassa) oppure posso farlo sparire
usando una riserva della incorporante (molto meglio). Se invece si genera un avanzo
allora questo ha natura di capitale e quindi sarà una fondo o una riserva di capitale e
anche per questi avanzi posso ottenere il riconoscimento fiscale. in passato, con una
norma di natura agevolativa, è stata introdotto per le fusioni tra società indipendenti (che
non avevano tra loro partecipazioni) potevo fare fusioni con riconoscimento fiscale dei
disavanzi. Lo si è fatto per potenziare le imprese italiane e facilitarne la fusione.
Le riserve e la fusione.
Tocca le riserve della incorporata, della fusa e della scissa. Ante fusione dobbiamo
vedere che non ci siano riserva da sospensione di imposte e riserve tassabili solo in caso di
distribuzione. Queste ultime sono una riserva che non è stata tassata (è anch’essa una
riserva in sospensione di imposta) ma è tassabile solo se è distribuita. Se questa la uso per
coprire una perdita allora non l’ho distribuita, se invece la distribuisco ai soci deve essere
tassata. Per quali ragioni una riserva non deve essere stata tassata? Le riserve di capitale
non vengono mai tassate. Nell’ambito delle riserve di utili vi possono essere delle riserve
che non sono state tassate, normalmente sono tassate perché l’utile da ce è stato
tassato. Le riserve di utili che non sono state tassate in genere ci sono una pluralità di
eventi che possono determinarne la tassazione (riserve in sospensione di imposta).
Possono essercene tante sottospecie, in relazione alla singola legge che prevede la
tassazione. Un evento è la distribuzione ai soci, altro è l’utilizzo per la copertura di perdite,
altro è per incrementare il capitale sociale. Altra categoria di riserve non tassate sono
quelle tassabili solo in caso di distribuzione, tutti gli altri eventi sono eventi irrilevanti quindi
hanno un trattamento migliore delle altre perché posso usarle in qualche modo senza
sottostare alla tassazione.
Anche per la fusione c’è un vincolo di ricostituzione della riserva se voglio evitare la
tassazione se stiamo parlando delle riserve del primo tipo cioè quelle in sospensione di
imposta. Se ho delle riserve che sono in sospensione da imposta ho il vincolo di ricostituirle
nel bilancio che risulta dalla fusione, della incorporante o della beneficiaria. Se non lo si fa
nel primo bilancio post fusione si verifica la tassazione di questa riserva.
Diverso il regime delle riserve tassabili solo in caso di distribuzione. Non è qui questione di
ricostituirle identiche nella incorporante blablabla ma la legge richiede che il vincolo di
non distribuzione sia stabilito per una riserva già esistente, questo vincolo cioè importi che
non possono essere distribuiti senza essere tassati possono migrare in un’altra riserva.
Quindi il vincolo lo posso trasferire su una riserva della incorporante. Se faccio così
ovviamente se distribuisco quella riserva allora determina tassazione.
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Potrebbe essere che nel bilancio ante fusione della incorporata o della scissa vi fossero
delle riserve ma poi erano state imputate a capitale sociale. Es: nella incorporata ante
fusione nelle riserve c’era una di queste riserve che non determinava tassazione se non in
caso di distribuzione e la imputo a capitale sociale ad un certo punto. Abbiamo quindi un
vincolo sul capitale sociale visto che ha ereditato questo vincolo, quindi questo, se
distribuito, genera tassazione ai fini delle imposte sui redditi. Quindi se riduco il capitale
sociale per esuberanza o se distribuisco ai soci, fino a concorrenza dell’ammontare a cui
ho aggiunto devo sottoporre a tassazione.
Nella fusione il principio è che deve esserci una continuità nei valori fiscalmente
riconosciuti, con la fusione o scissione tutti i valori fiscali (anche quelli delle riserve) vanno
in continuità. La fusione non è un evento tale da determinare variazioni di regime.
Cosa succede al pn della scissa, della fusa o della incorporata? Post operazione il pn
come si configura? Bisogna distinguere se non c’erano precedenti rapporti di
partecipazione o no.
Se A e B sono indipendenti allora il PN della società risultante dalla fusione sarà almeno
pari alla somma dei due PN se non più elevato. È superiore se il rapporto di cambio non
fosse fissato alla pari ma l’azione di B vale più dell’azione di A allora i soci di B in cambio di
una azione di B prenderanno di più di una azione di A quindi ci sarà un capitale maggiore
della somma. Quindi non ho problemi a ricostituire le riserve perché ho capienza nel
patrimonio netto post fusione.
Il problema sorge nei casi di fusione con annullamento della partecipazione cioè quando
preesistono rapporti di partecipazione. Se la partecipazione fosse totalitaria, quando la
incorporo il PN che risulta dalla fusione il PN è quello di A. Quando c’è fusione con
annullamento il PN della incorporante non aumenta, fino a concorrenza del valore
contabile della partecipazione annullata non vi sarà aumento di PN. Scompare 3000 di
partecipazione, lo sostituisco con tutti gli elementi attivi e passivi della incorporata che
sono 1000, essendoci un disavanzo lo devo collocare nell’attivo quindi non va a PN, se vi
fosse stato avanzo ci sarebbe aumento del PN per l’importo pari all’avanzo. Quindi è pari
al PN della incorporante, aumentato dell’importo pari all’avanzo se questo si genera.
Se la partecipazione fosse iscritta a 1000 e il PN della incorporata è 3000, non è una
situazione ricorrente potrebbe essere che l’abbia svalutata e poi la incorporata abbia
prodotto utile. L’operazione genera un avanzo. 1.000 – 3.000 = - 2.000. Abbiamo un
avanzo quindi un po’ di PN della incorporata mi andrà ad aumentare il PN della
incorporante. E quel 2.000 andrà nel netto.
Se certe riserve non tassate erano in B allora dobbiamo capire nelle varie fattispecie cosa
accade. Nella peggiore delle ipotesi in PN post fusione ho solo le voci del PN della
incorporante pre fusione, nella migliore delle ipotesi ho un avanzo e occorre vedere se è
capiente (avanzo di 500 e riserve non tassate di 1.000 allora non è capiente).
Se c’è avanzo di annullamento (partecipazione 1.000 e PN 3.000) allora fino a
concorrenza del valore contabile della partecipazione annullata (1.000) non ho aumento
del PN della incorporante post fusione. Se il PN aumenta di 2.000 come li ricostituiamo
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questi 2.000? la norma fiscale ci dà una regola: fino a concorrenza della partecipazione
(1.000) lo devo prioritariamente imputare a riserve di capitale e a capitale sociale(s).
Particolarità della scissione rispetto alla fusione: la disciplina delle riserve è contenuta nel
nono comma dell’art 173 che richiama le norme del 172. Quindi è una disciplina in parte
a rinvio e in parte con norme ad hoc. Se è una scissione parziale (B scissa, A beneficiaria).
Se B continua ad esistere e in B abbiamo delle riserve tassabili solo in caso di distribuzione
o delle riserve in sospensione queste non passano automaticamente alla beneficiaria.
Se la scissione è parziale e ci sono più beneficiarie se ad una passa il 60% del patrimonio e
all’altra il 40% allora se riserve in sospensione vanno alle due società rispettando le
proporzioni (art 173 c9). Se ho una riserva in sospensione questa passerà alle beneficiarie
secondo la regola di proporzionalità assunta in sede di distribuzione del capitale alle
stesse. Altrimenti c’è tassazione in capo alle beneficiarie. Se viene trasferito solo una parte
del patrimonio quindi scissione parziale allora il 30% della riserva rimane alla scissa e non
trasla alle beneficiarie. Possono esserci stati eventi tali per cui quella riserva in sospensione
è collegata ad alcuni elementi patrimoniali della scissa. Potrebbe essere una riserva in
sospensione generata da conferimento di ramo aziendale della scissa. Se vi è una certa
posizione fiscale collegata ad elementi patrimoniali della scissa allora la riserva passa solo
a quella beneficiaria che ha generato la riserva.
Art 172 c5: non sono obbligato a ricostituirle, ma se non lo faccio concorrono a formare il
reddito, quindi me le tassano. Abbiamo il vincolo di ricostituzione, se si genera un avanzo
dalla fusione allora il vincolo lo posso trasferire su questo (sia che sia da concambio sia
che sia da annullamento), se poi distribuiamo quella parte dell’avanzo che ha il vincolo
allora ci sarà tassazione. Potrebbe anche capitare che aumento il capitale sociale
(fusione con concambio) se l’aumento del capitale sociale è superiore al capitale
complessivo delle società della fusione allora il vincolo lo possiamo costituire sul maggior
capitale, ma se un domani lo distribuiamo ai soci allora su questo c’è il vincolo che
abbiamo trasferito. Le riserve che anteriormente alla fusione sono state imputate a
capitale della incorporata si intendono trasferite.. quindi c’è una continuità e concorrono
a formare il reddito se riduco il capitale per esuberanza.
C6: migrano sull’avanzo i regimi fiscali delle varie voci del PN presenti nel bilancio della
incorporata.
Quando l’operazione di fusione produce i suoi effetti fiscali. Si risale alla disciplina del cc.
2504 bis: è previsto che gli effetti giuridici (gli effetti fiscali sono una categoria di effetti
giuridici), la fusione ha effetto quando è stata eseguita l’ultima della disposizioni del 2504
che è l’atto di fusione che viene deliberato da tutte le società che partecipano alla
fusione e che deve essere depositato presso il registro delle imprese. Da quando c’è stata
l’ultima di questa iscrizione presso il registro da quel momento decorrono gli effetti giuridici
della fusione. Se il 2.10 l’incorporante dopo la incorporata deposita la fusione allora da
questa data decorrono gli effetti. Il periodo di imposta si spezza in due periodi devo
presentare una dichiarazione relativa ai redditi 1.1 / 2.10 e per la seconda frazione andrà
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presentata nei termini ordinari. La prima è la vera e propria dichiarazione di fusione in
particolare art 5 bis dpr 322-09, il termine è di 9 mesi.
Art 172 c8: il reddito delle società fuse e incorporate (quello del periodo ante fusione)
relative al periodo tra inizio di imposta e data da cui ha effetto la fusione è determinato in
base alle risultanze di un apposito ce. Quindi bisogna redigere un ce a fini fiscali. Invio
telematico nei 9 mesi a cura dell’unico soggetto esistente cioè dell’incorporante. È
possibile modificare questa data di decorrenza, farla retroagire o posticiparla, la
retroagisco così evito di presentare due dichiarazioni dei redditi per lo stesso periodo di
imposta. Il cc prevede che nella fusione per incorporazione può essere stabilita una data
successiva, la faccio andare al 31.12, possiamo ritenere che anche ai fini fiscali posso
farlo, visto che non la disciplina fiscale tace su questo punto (art 2504).
Il cc dà la possibilità di retroagire gli effetti giuridici ma solo relativamente agli aspetti
contabili e al diritto di sfruttamento economico delle azioni. Poiché è possibile retrodatare
la fusione civilisticamente per ciò che concerne gli aspetti contabili e di bilancio cioè con
banche e terzi produce i suoi effetti al 2.10 invece per quello che riguarda la
determinazione del reddito posso farlo in un momento precedente. C’è un limite
temporale cioè posso andare indietro fino alla data di chiusura del precedente periodo
d’imposta. Può capitare che la incorporante o la incorporata abbiano una diversa data
di chiusura di periodo di imposta, ai fini fiscali il limite è la data a cui ha fine il periodo di
imposta più vicino alla data di fusione.
172 c9: comanda la chiusura della incorporante se
Se la liquidazione si chiude in perdita si applica articolo 8 (regolamenta il riporto delle
perdite per le persone fisiche). Se la liquidazione si conclude con una perdita, si può usare
la perdita fiscale secondo le norme dell’art 8, ch prevede per le imprese in contabilità
semplificata la compensazione orizzontale della perdita (la perdita la compenso con gli
altre redditi del soggetto), se invece il soggetto è in contabilità ordinaria allora è possibile
soltanto il riporto in avanti della perdita (come i soggetti ires ex art 86). Le perdite dei
periodi pregresse si ritiene secondo l’interpretazione unanime che possono essere
utilizzate per compensare l’eventuale avanzo della liquidazione.
Perdite preliquidazione possono essere compensate nel corso della liquidazione ed anche
in sede di conguaglio.
Se la liquidazione per i soggetti ires (società di capitali) si chiude con una perdita cosa
accade? Nel caso di società di persone la perdita non va persa perché essendo
imputata ai soci può avere capienza su altri redditi dei soci; ma nel caso di società di
capitali se la liquidazione si chiude con una perdita allora la società ha finito di esistere e
quindi non posso imputare la perdita ai soci quindi se c’è perdita non c’è modo di ridurre
futuri redditi imponibili. Si potrebbe ipotizzare unipotesi di ritorni in bonis ma no, quindi la
perdita viene persa.
Al superamente dei 3 o 5 esercizi, se non presenti il bilancio finale allora la tassazione
diventa a carattere definitivo.
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Anche in caso di liquidazione di società di capitali: i redditi della società che sono
imputati per trasparenza ai soci. Un’altra ipotesi è per le società di capitali: accade che
terminata la liquidazione se residuano somme, valori o beni in natura, il liquidatore,
soddisfatti tutti i debiti sociali, deve attribuire il denaro ai soci. Aspetto aziendalistico: il
bilancio finale di liquidazione il ce si riferisce a tutto il periodo di liquidazione, lo sp si
compone di cassa/banca e beni in natura che poi decide di assegnare ai soci tipo
autovetture oppure crediti, nel passivo debiti no perché abbiamo liquidato, abbiamo il pn
con un capitale e delle riserve di utili o di capitali, quindi ci sarà la distribuzione di questo
attivo se c’è qualcosa da ripartire. Potrebbe essere che vengano assegnate ai soci
somme prelevate dal pn e quindi le somme potranno essere tassate se costituiscono
redditi tassabile e potranno essere tassati ex art 17. Se e nei limiti in cui costituiscono redditi
tassabili: se banca 100 = cs 100 ai due soci viene assegnata la loro quota del cs e il
rimborso di capitale non può essere tassato! Se invece distribuiamo una riserva (di
sovrapprezzo azioni che è riserva di capitale), se ciò che ottengo è invece superiore al
valore a cui do in carico la mia partecipazione allora quello è tassabile. Conclusione:
anche nel caso di sdc se la liquidazione si conclude entro i 5 periodi di imposta allora ci
sono due benefici (somme assegnate ai soci con tassazione separata e altro beneficio).
Se non presento il bilancio invece perdo possibilità di tassazione separata e cose ai soci.
DPR 322 art 5: obbligo di presentazione dichiarazione dei redditi. Comma 3: se la
liquidazione si protrae oltre terzo periodo d’imposta, la dichiarazione per la frazione di
2012 e 2013 va presentata nei termini ordinari come se non ci fosse liquidazione, va
comunque presentata anche se avessimo reddito pari a 0. Nel fallimento invece la
dichiarazione da presentare è una sola! Nel comma 1: vi è disciplina della dichiarazione
dei redditi finale: quella basata sul bilancio finale di liquidazione il termine è di 9 mesi
successivi alla chiusura della liquidazione. Nelle società di capitali il termine decorre dal
deposito del bilancio finale di liquidazione.
Il liquidatore può aver disposto compensi o cose e sono sottoposte ad imposta.
FALLIMENTO:
saltano tutte le regole del reddito d’impresa. In questo caso saltano tutte le norme quindi
non bisogna determinare il reddito del periodo fallimentare, tutte queste regole saltano e
le regole sul reddito fallimentare è determinato con una semplice regola: la
determinazione del reddito fallimentare ha una specialità di disciplina.
Questo non riguarda il reddito prefallimentare: se il 23-4 inizia il periodo fallimentare allora
questa è la data ai sensi del 183 in cui vi è stato il provvedimento di dichiarazione di
fallimento da parte del giudice.
Reddito del periodo prefallimentare: 1.1.2012 fino a 22-4. In questo caso occorre
procedere per la determinazione, serve un ce relativo a quella frazione di esercizio che
corrisponde al periodo prefallimentare. Art 183: per le società di persone commerciali e
per gli imprenditori individuali il reddito di questo periodo concorrerà a formare il reddito
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del soggetto, è rarissimo che ci sia un reddito fiscale, più facile che ci sia una perdita.
Saranno due le dichiarazioni che si riferiscono a questa frazione: obbligo del curatore di
presentare la dichiarazione dei redditi che si riferisce al periodo prefallimentare.
Comunque per le imprese individuali e per le società di persone questo reddito si cumula
ai redditi di soggetto e devono inserire questa quota nella dichiarazione che va
presentata nei termini ordinari. Il curatore deve comunicare al fisco i redditi, resta poi
fermo l’obbligo da parte del fallito di inserirla nei suoi redditi. Anche in quella prima era
così. Perché c’è obbligo di portare a conoscenza del fisco dei redditi prefallimentari? Così
può fare l’insinuazione al passivo fallimentare e avere diritto alla restituzione dei crediti
(risultare tra i creditori del fisco). Il curatore ha un duplice obbligo, presentare la
dichiarazione al fisco e dichiarare al fallito come ai soci il reddito così questi possono
procedere nei termini ORDINARI a presentare la dichiarazione dei redditi. Questo reddito
pre fallimentare segue le regole ordinarie.
Le particolarità rigurdano al reddito d’impresa relativo al periodo tra l’inizio e la chiusura
del periodo fallimentare. Il periodo è uno e uno solo e riguarda la durata intera del
fallimento anche se questo dura 15 anni! Quindi la dichiarazione dei redditi che va
presentata è una sola per tutto questo periodo d’imposta. Se stiamo parlando di irap
invece c’è solo una ipotesi in cui anno per anno la dichiarazione irap va presentata cioè
se c’è stato esercizio provvisorio dell’impresa. Curatore può continuare l’esercizio
dell’impresa in modo provvisorio oppure iniziare subito la liquidazione. Se c’è esercizio
provvisorio il periodo è uno solo.
Come si determina il reddito per il periodo post fallimentare: si fa una mera differenza tra il
residuo attivo della procedura e il pn all’inizio della procedura. Il pn stiamo parlando dei
valori fiscalmente riconosciuti. Deve redigere un bilancio, da questo risulta attività,
passività e pn ed è questo che si prende in considerazione. È un inventario redatto sulla
base di ciò che il curatore rileva esistente. Tra le attività mette quelle di cui in concreto ha
riscontrato l’esistenza. Le passività ci saranno parecchi errori. Abbiamo dei valori contabili
iniziali e questi li dobbiamo assumere in base ai loro valori fiscalmente riconosciuti. Il
residuo attivo è quanto residua al termine della procedura fallimentare, potrebbe essere
una somma di denaro che risulta nelle mani del curatore posto che questo avrà
sicuramente trasformato in denaro i beni esistenti per pagare i debiti. Può accadere
ipotesi che residuino immobili ma è raro perché dovrebbero esserci degli attivi superiori ai
passivi, quindi di solito il residuo attivo è molto raro, comunque se c’è ed è superiore al pn
iniziale allora questo è reddito tassabile ai fini ires. Se il pn iniziale è negativo (può
accadere che attivo 1000, passività 1300 quindi il pn è negativo per 300, 500 cs e 800 di
perdite), il legislatore tributario detta una norma di favore, cioè dice di assumere un
valore pari a 0. Se il pn è positivo allora fosse 1000 il reddito sarebbe 1000. Se fosse
negativo allora 2000 – 0 = 2000 che è il valore da tassare, se non ci fosse questa regola il
reddito fiscale sarebbe stato 2300. I valori che abbiamo scritto sono quelli fiscalmente
riconosciuti.
FISCALITA’ INTERNAZIONALE:
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vediamo le norme dell’ordinamento europeo quindi sovranazionale: tre ordinamenti
internazionale, europeo e i vari ordinamenti giuridici statali. Ciascuno di questi ha le sue
fonti del diritto, sono ordinamenti distinti, le fonti di diritto internazionale sono fonti che
valgono solo per il diritto internazionale e le norme prodotte dalle fonti del diritto
internazionale non possono diventare norme del singolo diritto interno/nazionale. Diversi
sono i rapporti tra il comunitario e l’’interno: il principio è lo stesso cioè le fonti sono diverse
e per diventare norme dei singoli stati hanno bisogno di un meccanismo tale per cui vi sia
recepimento da parte del singolo stato. Però nel solo diritto comunitario ci sono norme
non hanno bisogno di un meccanismo di adattamento perché producono effetti diretti
nell’ordinamento interno (regolamenti comunitari cioè quelli adottati dall’unione
europea). Diverso per le direttive comunitarie: queste hanno bisogno di una legge che le
recepisca nell’ordinamento interno, salvo che queste direttive contengano disposizioni
così dettagliate da disciplinare interamente la materia e non lasciano opzioni agli stati
membri allora queste sono direttamente applicabili agli stati membri (principio elaborato
dalla giurisprudenza italiana perché siamo sempre in ritardo nel loro recepimento).
Nel diritto tributario abbiamo norme importanti tanto in ambito comunitario che in ambito
interno. Le fonti a livello internazionale sono le consuetudini internazionali (diritto non
scritto, ma in materia tributaria non assume rilevanza). Il diritto internazionale generale è
costituito da consuetudini o da principi generali di diritto della comunità internazionale
(anche questi non li abbiamo in materia tributaria). Derivano le norme che ci interessano
dalle convenzioni internazionali che viene dal diritto internazionale particolare. Sono
accordi, trattati conclusi tra stati soggetti del diritto internazionale. Le convenzioni
possono essere bilaterali o multilaterali ad esempio una convenzione importante è quella
sui diritti dell’uomo che è multilaterale. Quelle che ci interessano sono quelle contro le
doppie imposizioni sia sul reddito che sul patrimonio. Particolare: non sono generali e
astratte ma derivando da trattati stipulati tra stati (due stati) si applicano sono ai due stati
contraenti cioè producono effetti esclusivamente nei confronti dei due stati contraenti.
Cioè il trattato italia francia non potrà mai porre una norma giuridica nei confronti della
germania. Questi trattati contro le doppie imposizioni si rifanno ad un modello che è
quello ocse. Questo è un modello di trattato elaborato da questa organizzazione
internazionale e l’Italia si adegua a questo modello però non è l’unico modello esistente.
Questo non contiene norme giuridiche, è privo di alcun valore giuridico, quando è
questione di quale norma applicare non ci si riferisce al modello ocse (mancanza di
valore normativo del modello ocse). Chi sono i soggetti del diritto internazionale: coloro ai
quali si applicano le norme del diritto internazionale sono esclusivamente gli stati cioè la
norma di un trattato non è mai applicabile direttamente ad una persona fisica o società
del diritto interno. Es: uno stato degli stati uniti non è soggetto di ordinamento
internazionale perché trae la sua giuridicità dagli stati uniti così come in germania esistono
gli stessi stati membri, solo lo stato federale è soggetto del diritto internazionale, i singoli
stati non sono soggetti del diritto internazionale, quindi stati soggetto del diritto
internazionali sono quelli indipendenti cioè che traggono la giuridicità da loro stessi. Se
parlo di modelli, quello ocse non è l’unico elaborato a livello internazionale, l’italia si basa
su questo, altri stati si basano su altri. Gli stati uniti hanno un altro modello che ci
impongono, parla proprio di elusione internazionale. Nel modello di trattato con gli stati
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uniti ci sono una serie di norme antielusive per evitare di usare in modo improprio il trattato
per fare in modo che le società statunitensi non usino le norme del trattato in modo
improprio cioè favorendo le elusioni a livello internazionale. Esiste poi un altro modello che
è quello della società delle nazioni unite, visto che gli stati tendono a usare di più il
modello ocse (stati che esportano capitale), il modello delle nazioni unite è usato da stati
che sono in via di sviluppo e che importano capitale. Ci sono poi trattati contro le doppie
imposizione che non sono bilaterali come il patto andino (Sudamerica), norvegia-svezia-
finlandia. Vedremo che il fatto che i trattati siano bilaterali non consente di eliminare tutte
le possibili doppie imposizioni cioè la elimino nei confronti dei due stati contraenti, ma se
avessimo una tripla o quadrupla imposizione allora non riuscirebbero ad eliminare una
imposizione maggiorata. Non li si riescono a fare questi patti perché non si riesce a
mettere d’accordo tutti.
Le nostre convenzioni contro le doppie imposizioni hanno nel titolo quello di eliminare le
doppie imposizioni, tipicamente sul reddito ed in talune anche il doppio di imposta sul
patrimonio. Non si preoccupano quindi di eliminare doppi di altre imposte. Ve ne sono
altre in riferimento a donazioni o successioni: il de cuius al momento della morte è
residente nello stato italiano ma ha immobili negli stati uniti. Questa successione può
causare problemi di doppio di imposta in capo agli eredi sullo stesso patrimonio perché
potrebbe accadere che sull’immobile situato negli stati uniti questo rientri tanto
nell’imposta sulla successione italiana in relazione al fatto che il de cuius era fiscalmente
residente in Italia quanto nel tassa sulle successioni statunitensi perché l’immobile era sul
territorio statunitense. Non ci sono molte convenzioni su doppia imposizione su donazioni e
successioni.
Un altro tipo di convenzione che ha un ambito molto specifico non lo esamineremo ed è
quello che deriva dalla navigazione marittima ed aerea su scala internazionale contro le
doppie imposizioni. Le abbiamo con tutti gli stati anche con quelli a fiscalità privilegiata.
Invece i trattati che esamineremo noi sono stipulati tendenzialmente con stati che non
sono paradisi fiscali. Sono una novantina gli stati. Sono tutti stipulati con stati virtuosi e non
con paradisi fiscali. Non abbiamo un trattato con il principato di monaco però lo
abbiamo con la svizzera. Paradiso fiscale è uno di quelli che hanno una bassissima
imposizione.
Nei trattati non esiste una nozione di doppia imposizione. I trattati hanno essenzialmente
funzione di prevenire o eliminare la doppia imposizione giuridica e non quella economica.
Ce ne sono alcuni che parlano anche di doppia imposizione economica. La doppia
imposizione interna non è oggetto dei trattati internazionali: imposta sul reddito nazionale
che si sovrappone con imposizione regionale allora c’è doppio di imposta, un tale doppio
non può riguardare altri stati. Deriva da una potestà legislativo di uno stato e di un suo
ente locale. Questa non ci interessa, ci interessa solo quella tra stati internazionali.
Esempio stati uniti: doppio tra imposta federale e singolo stati è una sovrapposizione
come imposta nazionale e regionale. Queste questioni non sono oggetto dei trattati
internazionali.
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La definizione che abbozza il modello ocse è quella per cui la doppia imposizione
internazionale è quella che riguarda lo stesso contribuente con imposte simili. Distinzione
tra giuridica ed economica: la giuridica è quella che riguarda lo stesso contribuente,
quella economica riguarda due contribuenti o più. Cioè io sono tassato da francia e
italia, economica è tipicamente quella che si ha nella imposizione soci-società (la società
A ha il socio X,Y,Z in Italia abbiamo tassazione del reddito prima in capo alla società e poi
è ritassato in capo ai soci, l’utile è tassato una prima volta in capo alla società e poi in
capo al socio quando lo si distribuisce). Il metodo della trasparenza è per evitare la
doppia imposizione quindi si imputa direttamente il reddito in capo ai soci. Poi nel 2004
abbiamo introdotto la part ex ma non è totale: se percepiamo dividendi allora questo è
tassato eppure è già stato tassato in capo alla società. Nei trattati ogni tanto c’è doppia
imposizione.. quando lo stato di residenza della società è diverso dallo stato di residenza
del socio.
Quella giuridica invece colpisce lo stesso contribuente. Non tutti gli stati individuano il
contribuente nelle medesima persona: per le norme fiscali italiane le società di persone
non sono soggetti passivi perché sono trasparenti di fronte al fisco, soggetti passivi sono i
soci a cui il reddito è imputato. Potrebbe succedere che in un altro stato la cosa non sia
regolata così quindi si creano dei problemi, è il problema della tassazione della
partnership. È giuridica questa doppia imposizione? In italia la tassazione colpisce i soci, in
germania il contribuente è la società stessa. Eppure si fa in modo che i trattati si
applichino anche in questa situazione che non è proprio giuridica (il concetto di giuridica
e economica ogni tanto è fumoso).
Non è necessario invece che si tratti dello stesso periodo d’imposta (infatti nei trattati non
c’è riferimento allo stesso periodo cioè non si dice che il doppio deve riguardare lo stesso
periodo d’imposta). Le ipotesi in cui si eliminerebbe la doppia imposizione sarebbero
molto più rare. Es: in italia i redditi di lavoro autonomo sono tassati con criterio di cassa
cioè quando è percepito, mentre in altro stato magari è per competenza. Tarigo svolge
pratica per germania nel 2011 e pagato nel 2012. Il reddito potrebbe essere tassato due
volte, il fisco italiano applica il principio di cassa quindi finché non è percepito non è
tassabile, se in germania c’è criterio di competenza allora è nel 2012 che deve essere
tassato quindi sarebbe più difficile eliminare la doppia imposizione.
L’imposta deve essere comparabile cioè devono essere imposte sulla stessa natura cioè
imposta sul reddito e imposta sul reddito, non imposta sul reddito e imposta sulle
successioni.
Cause della doppia imposizione:
Io vado a svolgere prestazione in germania. Uno stato tassa il soggetto per un
collegamento soggettivo come è la residenza fiscale e l’altro stato tassa quel
soggetto in ragione di un criterio di collegamento di tipo oggettivo o materiale
(sono quei criteri che hanno riguardo al luogo in cui il bene è situato, oppure il
luogo di svolgimento dell’attività). Cioè un soggetto viene tassato in ragione del
fatto che un soggetto è residente fiscalmente in Italia, ovunque produco il reddito
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io comunque sono tassato dallo stato italiano sulla base di questo collegamento. E
può accadere che l’altro stato invece mi tassa in base ad un criterio di
collegamento oggettio/materiale che io soddisfo. È la causa più frequente.
Sovrapposizione di due criteri soggettivi cioè i due stati tassano il soggetto in base
ad un criterio soggettivo. I due stati mi stanno considerando loro residente fiscale.
un altro stato mi considera anche lui residente fiscalmente nel suo territorio, è
possibile perché ciascun diritto interno formula a livello normativo la residenze
fiscale secondo criteri differenti oppure anche uguali (nel nostro tu la residenza
fiscale sussiste in diverse ipotesi e in francia è uguale però ho l’abitazione in italia,
nell’art 2 del tuir è considerato fiscalmente residente in italia se ha per la maggior
parte del periodo d’imposta ha la residenza in italia allora sono fiscalmente
residente in italia anche se lavoro in francia oppure per il fisco italiano sono
residente in italia se ho in italia il centro dei miei interessi economici. Non ho in italia
né abitazione né centro di interessi economici, ho tutto in germania ma sono
iscritto in Italia nella popolazione residente italiana quindi se ci siamo dimenticati di
cancellarci allora sono residente in Italia. Così come configuriamo noi la nostra
residenza fiscale così fanno tutti gli stati e allora.
Entrambi mi tassano per un criterio oggettivo/materiale. È anomalo perché se
stiamo parlando di beni immobili allora è difficile che l’immobile sia situato in due
stati! Se però è questione di capire dove è stato prodotto quel reddito allora è
possibile che in base alle norme di uno stato allora per uno stato è tassato qui e da
un altro lì quindi dipende dal criterio che uno stato utilizza per collegarlo al suo
territorio. Una attività di lavoro subordinato: in uno stato l’attività viene
materialmente svolta, cioè uno stato tassa un lavoratore perché il lavoratore vi
svolge la sua attività di lavoro, esiste uno stato che è lo stato di residenza del
datore di lavoro e per quello stato è lì che va tassato il reddito perché rileva il fatto
che in quello stato abbia la residenza il datore di lavoro. Poi magari il lavoratore ha
lo stato di residenza ancora diverso quindi sarebbe un caso di tripla imposizione.
Interpretazione dei trattati:
premessa: sono due sistemi non comunicati il diritto internazionale ed il diritto
interno (hanno fonti diverse). Per fare in modo che una norma di diritto
internazionale diventi una norma di diritto interno occorre che questa norma sia
oggetto di adattamento nel diritto interno. Vediamo come avviene questo
adattamento e vediamo che relazione intercorre tra una norma internazionale e
una interna (quale prevale o sono norme di pari grado).
Adattamento:
occorre distinguere tra il diritto internazionale generale (il meccanismo di
adattamento è previsto all’art 10 della cost italiana. Principio di trasformazione
permanente: il diritto generale si trasforma automaticamente senza alcun atto
normativo del legislatore),
per quanto concerne invece il diritto internazionale particolare il meccanismo di
adattamento non è da ricondurre all’art 10 cost. avviene in due modi: il nostro
legislatore emana una legge che ripete in tutto e per tutto il trattato (non si fa così
per i trattati sulla doppia imposizione). Altro modo: il trattato è oggetto di una
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ratifica da parte dello stato con una legge che si riduce ad una disposizione con
cui si da applicazione del trattato al diritto interno. Questo è possibili in ipotesi in cui
non ci sono norme opzionali nel trattato.
Rapporti tra norma internazionale e norma interna:
deve essere risolta dal singolo ordinamento nazionale visto che a livello
internazionale non si stabilisce nulla a riguardo.
Normalmente questo tipo di disposizione si trova nelle costituzioni. A livello
mondiale in linea di massima le cost stabiliscono la prevalenza della norma
internazionale sulla norma interna.
Vediamo la prospettiva dell’ordinamento italiano: una certa parte della materia
può succedere che ci sia una duplice disciplina, una dettata dal TUIR e una
dettata da un trattato contro la doppia imposizione. Esempio: art 23 TUIR stabilisce i
criteri di collegamento cioè quelli in base ai quali il reddito di un soggetto che non
è residente in Italia si intende prodotto nello stato italiano e su questo (criteri di
collegamento) intervengono anche le norme dei trattati internazionali. Prima di
una modifica cost i rapporti erano risolti in base al criteri della specialità della
norma internazionale e quindi questa in quanto speciale prevale (l’altro criterio è
anche il tempo). Quindi non valeva il criterio temporale cioè se si fa un trattato poi
il legislatore nazionale emana un’altra norma allora non prevale quest’ultima ma
questa internazionale, salvo che fosse dimostrata la volontà del legislatore italiano
di violare il trattato. Ora art 11 cost sancisce la superiorità dell’ordinamento interno
ma non quello internazionale. Art 117 è sancito il rispetto degli obblighi
internazionali, se una norma interna è in contrasto con il trattato allora quella
norma è incostituzionale. Altra differenza è il rango: la norma internazionale ha un
rango superiore, è intermedio tra norma interna (TUIR) e norma costituzionale. Prima
invece avevano pari grado. nonostante questo nel TU c’è una norma secondo cui
si applica la norma interna se è più favorevole al contribuente. Quindi prevale
internazionale salvo che la interna sia più favorevole.
Convenzione di Vienna su aula web:
art 31 che riguarda l’interpretazione dei trattati. Trattato internazionale troviamo
termine “stabile organizzazione” e come lo interpretiamo? Non dobbiamo fare
l’errore di usare le regole del nostro diritto interno per interpretare, nel nostro
ordinamento c’è una bella definizione di stabile organizzazione. Il primo criterio di
interpretazione è quello letterale dice la convenzione di Vienna. “un trattato deve
essere interpretato in buona fede in base al significato ordinario da attribuire ai
termini del trattato”. Alla luce del contesto: è l’art 31 c 2 che stabilisce quale sia il
contesto: comprende il testo del trattato, il preambolo e gli allegati. Trattato italia-
francia: il preambolo mette anche in luce lo scopo del trattato: eliminare le doppie
imposizioni e prevenire l’evasione fiscale e la frode fiscale. il contesto comprende
anche ogni accordo relativo al trattato che sia intervenuto tra le parti in occasione
della conclusione del trattato stesso (nella nostra materia accordi di questo tipo
non ce ne sono, magari appena scambi di lettere tra gli stati).
Art 31 c3 b: si riferisce alla prassi applicativa, pratica per l’applicazione del trattato.
I nostri trattati non prevedono l’applicazione diretta del (il contribuente prima paga
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e poi chiede il rimborso). Lavoratore straniero che viene a lavorare in italia, l’italia
non deve tassare però il datore deve effettuare la ritenuta sul lavoratore e poi il
lavoratore può richiede la restituzione della ritenuta e esiste una prassi che
consente di non effettuare la ritenuta al datore.
Occorre anche tenere conto di ogni accordo successivo con cui magari si da
attuazione ad una certa disposizione del trattato oppure si dia interpretazione ad
una norma.
Si può ricorrere a mezzi supplementari solo quando in base a criteri primari rimanga
ambiguo il significato di una certa disposizione o di un certo termine oppure
quando il risultato in termini interpretativi è assurdo tipo che non eliminerebbe la
doppia imposizione. I mezzi supplementari sono i lavori preparatori o le circostanze
nelle quali il trattato è stato concluso.
Un tempo si usava una concezione soggettiva perché il trattato era visto come un
contratto quindi si andava a vedere la volontà delle parti quindi si andavano
subito a vedere le volontà delle parti nel lavori preparatori. Ora esiste invece un
criterio oggettivo: il trattato è ora un insieme di norme giuridiche e queste vanno
interpretate e di solito non si va a vedere la volontà delle parti, ai lavori preparatori
possiamo ricorrere ma c’è da dire che in questa materia contro le doppie
imposizioni i lavori preparatori si riducono a molto poco quindi non è usuale andarli
a consultare. Il problema di solito diventa quello di dare importanza ai lavori
intervenuti successivamente (protocolli) e sono intese intervenute successivamente
al trattato.
È da distinguere il valore del commentario al modello OCSE. Il commentario è un
commentario di ogni singola previsione del modello OCSE. Il problema è il valore
interpretativo da attribuire al commentario cioè che valore ha questo
commentario se devo interpretare una certa norma del trattato italia-francia o altri
come anche italia-stati uniti che non fanno parte dell’Europa. È stata sostenuta la
tesi che fa parte del contesto quindi mezzo primario ma è una tesi fragile
soprattutto per il fatto che non ha alcun valore normativo. Altri dicono che fa parte
dei mezzi supplementari e più precisamente alle circostanze nelle quali il trattato è
stato concluso. C’è anche un problema temporale: ci troviamo ad interpretare
una disposizione di un certo trattato e quale versione del modello applichiamo?
Quella degli anni ’80 o quella del 2010?
Sempre per l’interpretazione c’è una norma importante presente anche nel
modello OCSE art 3 paragrafo 2. È la clausola di rinvio al diritto interno per tutti quei
termini o vocaboli privi di definizione all’interno del trattato e sempre che il
contesto non richiesa una diversa ed autonoma interpretazione.
Quindi esistono definizione autonome che sono quelle definite dal trattato e poi
quelle non autonome che sono quelle di richiamo al diritto interno ed è possibile
solo se il contesto non ha definizione autonoma. Ad esempio il termine stabile
organizzazione ha una autonoma definizione nei trattati quindi non è possibile
rinviare al diritto interno. Se ci riferiamo invece al termine reddito di lavoro
subordinato, non c’è una definizione espressa nel trattato allora opera il rinvio al
diritto interno quindi posso attribuire a quel termine il significato che in base al mio
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diritto interno quel termine ha. Questo è suscettibile di creare problemi di
conformità di trattamento: se ciascuno dei due stati risale al proprio diritto interno
allora non è detto che si converga ad un significato univoco. Es: per noi in certe
ipotesi il reddito di amministrazione è riconducibile a reddito di lavoro dipendente
mentre in Francia non c’è questa possibilità.
Esistono casi in cui per la definizione di un termine è lo stesso trattato che rinvia ad
un preciso ordinamento interno. In questo caso allora il problema della diversità di
interpretazione non sorge (non sorgono conflitti di qualificazione).