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ELEMENTI DI GESTIONE DELL’IMPRESA · - 5 - 2) Le condizioni del mercato Il secondo postulato...

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Università degli Studi della Tuscia – Viterbo FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE Silvio Franco ELEMENTI DI GESTIONE DELL’IMPRESA DISPENSA PER IL CORSO DI: L’IMPRESA: GESTIONE E COMUNICAZIONE Anno accademico 2007-08
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Università degli Studi della Tuscia – Viterbo

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

Silvio Franco

ELEMENTI DI

GESTIONE DELL’IMPRESA

DISPENSA PER IL CORSO DI: L’IMPRESA: GESTIONE E COMUNICAZIONE

Anno accademico 2007-08

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INDICE

Premessa. I postulati della teoria dell’impresa pag. 3

Introduzione. Un sistema di gestione per l’impresa pag. 7

1. I fattori produttivi 1.1 IL CAPITALE: CLASSIFICAZIONE, RILEVAZIONE E VALUTAZIONE pag. 12

1.1.A LA CLASSIFICAZIONE DEL CAPITALE 1.1.B LA RILEVAZIONE DEL CAPITALE 1.1.C LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE

1.2 IL LAVORO NELL’IMPRESA pag. 24 1.2.A IL LAVORO DIPENDENTE 1.2.B IL LAVORO AUTONOMO

1.3 TIPOLOGIE DI IMPRESE pag. 36 1.3.A IMPRESE IN FORMA INDIVIDUALE 1.3.B IMPRESE IN FORMA ASSOCIATA (SOCIETÀ) 1.3.C DIFFUSIONE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI IMPRESE

2. Valutazione ed analisi dei risultati economici 2.1 STRUTTURA DEL BILANCIO pag. 43 2.2 LE COMPONENTI DEL REDDITO D’ESERCIZIO pag. 50 2.3 ELEMENTI DI ANALISI DEL BILANCIO pag. 55

3. Le attività produttive nell’impresa 3.1 CENNI ALLA TEORIA DELLA PRODUZIONE pag. 67 3.2 I PROCESSI PRODUTTIVI: ASPETTI TECNICI ED ECONOMICI pag. 68

4. Analisi preventiva delle strategie di gestione 4.1 IL CONTESTO DECISIONALE DELL’IMPRESA pag. 73 4.2 ANALISI DEGLI INVESTIMENTI pag. 76

4.2.A L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI ECONOMICI 4.2.B L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI FINANZIARI

4.3 LA CONDIZIONE DI BREAK-EVEN pag. 89

5. Rilevazioni consuntive e controllo di gestione 5.1 LA RILEVAZIONE CONSUNTIVA pag. 93 5.2 SISTEMI DI RILEVAZIONE CONTABILE pag. 96

5.1.1 LA CONTABILITÀ ANALITICA - SISTEMA PATRIMONIALE 5.1.2 LA CONTABILITÀ GENERALE - SISTEMA DEL REDDITO

5.3 CENNI AL CONTROLLO DI GESTIONE pag.104

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PREMESSA I POSTULATI DELLA TEORIA DELL’IMPRESA

1) La massimizzazione del profitto Secondo l’impostazione neoclassica della teoria dell’impresa, l’imprenditore

opera per realizzare il massimo profitto. L’entità del profitto (π) è determinata dalla differenza tra i ricavi (R) ed i costi

(C), simbolicamente l’espressione assume la forma seguente:

π = R - C

I valori di R, C sommano i risultati delle attività condotte nel corso di un ciclo di produzione e, quindi, riguardano un arco di tempo limitato. Vi sono tuttavia decisioni che impegnano l’imprenditore per un arco di tempo più lungo; in questa eventualità l’imprenditore definisce le proprie strategie per più cicli produttivi e, pertanto, dovrà tenere conto dei valori dei parametri che si realizzeranno nell’arco dell’intero periodo considerato.

La durata di questo periodo, che viene indicato come orizzonte economico, è un elemento soggettivo e dipende dalla maggiore o minore propensione dell’imprenditore a rinunciare a redditi immediati, generalmente inferiori, per ottenere redditi più alti in futuro. È necessario, in questo caso, per renderli comparabili, riportare finanziariamente all’attualità i valori che si realizzano in tempi diversi.

Nell’ipotesi che il periodo considerato abbia una durata di n anni, il valore attuale degli n profitti (π0) è determinato dalla seguente espressione1: 1 Come è noto, il valore dell’interesse è dato dal prodotto fra capitale, tasso di interesse e tempo:

I = C0 . r . t essendo C0 il capitale iniziale, r il saggio d’interesse e t il tempo. Per una durata pari all’esercizio amministrativo t diviene uguale all’unità e, pertanto, l’espressione cambia in

I = C0 . r Se si vuole conoscere l’entita del capitale C1 alla fine dell’esercizio, si deve sommare al capitale iniziale il valore degli interessi:

C1 = C0 + I = C0 + C0 . r = C0 (1 + r) Il fattore (1+r), che si indica anche con il lettera q, rappresenta il montante di una unità di capitale e viene definito di capitalizzazione semplice. Volendo risalire al valore di C0, conoscendo il valore finale C1, si ha:

C0 = C1 / (1 + r) = C1 . 1/(1 + r) Il fattore 1/(1+r) viene definito di sconto razionale e consente di riportare all’attualità il valore del capitale che si realizza alla fine dell’esercizio. Procedendo nel calcolo si ha:

C2 = C1 + I = C1 + C1 . r = C1 (1 + r) = C0 (1 + r) (1 + r) = C0 (1+r)2 In generale, sarà allora:

Cn = C0 . (1+r)n Il fattore (1+r)n rappresenta in questo caso il montante di una unità di capitale ad interesse composto e si definisce di capitalizzazione composta; il suo inverso, 1/(1+r)n, viene detto fattore di sconto composto.

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∑= +

π=

+++

π+

++π

=πn

1ii

in

n3

32

210 )r1()r1(

...)r1()r1()r1(

Si può affermare, allora, che l’obiettivo dell’imprenditore è rappresentato dalla massimizzazione del valore attuale dei profitti riferiti all’arco di tempo compreso nel suo orizzonte economico.

Il postulato della massimizzazione del profitto è stato sottoposto, nel tempo, a diverse critiche. Le motivazioni sono riconducibili alla seguente osservazione: insieme alla massimizzazione del profitto esistono altri obiettivi che l’imprenditore intende perseguire? In altre parole, possono sussistere altre motivazioni nella conduzione dell’attività che migliorano il senso di soddisfazione, cioè il livello di utilità, dell’imprenditore?

Indubbiamente il conseguimento del profitto rappresenta l’obiettivo primario che spinge l’imprenditore ad intraprendere un’attività, ma è altrettanto evidente che il suo livello di utilità non cresce proporzionalmente all’aumentare del profitto. Infatti l’utilità marginale del profitto tende a decrescere e, oltre un certo limite, può anche divenire negativa in quanto subentrano altre motivazioni che possono assumere un peso maggiore e, pertanto, prioritario rispetto all’ulteriore incremento del profitto. Se, ad esempio, la possibilità di conseguire profitti sempre più alti è legata ad un rischio progressivamente crescente, probabilmente l’imprenditore sarà disposto a rinunciare ad una parte del profitto pur di abbassare il rischio connesso al suo conseguimento; la riduzione del rischio, pertanto, diviene un elemento che condiziona la ricerca del massimo profitto.

Nel dettare i comportamenti degli imprenditori, inoltre, intervengono ulteriori stimoli legati ad aspetti cosiddetti extramercantili. Il prestigio che l’imprenditore attribuisce al possesso di certi beni, il senso di soddisfazione legato alla realizzazione di prodotti di qualità, l’importanza attribuita ai valori sociali o al rispetto dell’ambiente sono tutte motivazioni che condizionano l’obiettivo della massimizzazione del profitto.

Queste osservazioni sono alla base dell’ipotesi che l’imprenditore operi le proprie scelte in base ad una funzione di utilità pluridimensionale nella quale sono contemplati diversi obiettivi e la cui rappresentazione è la seguente:

U = f (p1, p2, ..., pn)

in cui p1, p2, …, pn esprimono i livelli dei diversi obiettivi imprenditoriali. Il significato che la funzione assume appare chiaro: il livello di utilità dell’imprenditore è legato, secondo una determinata relazione, al livello raggiunto per ciascuno degli obiettivi.

In ragione della natura pluridimensionale della funzione, la massimizzazione dell’utilità dell’imprenditore si presenta assai complessa. Il problema si semplifica notevolmente nel caso in cui l’imprenditore sia in grado di specificare per n-1 obiettivi un livello minimo che egli ritiene soddisfacente. In questo caso la funzione di utilità diviene monodimensionale e la ricerca del massimo valore risulta molto più semplice. Questa circostanza, però, non si verifica molto spesso, sia per le caratteristiche intrinseche di alcuni obiettivi che per la difficoltà di individuare preliminarmente dei valori che fanno scattare la soglia di soddisfazione. Più frequente, invece, è il caso in cui l’imprenditore è in grado di disporre i diversi obiettivi in ordine d’importanza; quando ciò accade si originano delle funzioni di utilità lessicografiche che possono essere massimizzate con l’ausilio di opportuni strumenti analitici.

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2) Le condizioni del mercato Il secondo postulato della teoria neoclassica dell’impresa afferma che

l’imprenditore agisce in un mercato caratterizzato da un regime di concorrenza perfetta. Un mercato si definisce tale se si verificano le seguenti condizioni:

- presenza di un grande numero di imprese; - perfetta omogeneità dei prodotti; - libero ingresso da parte di altre imprese; - perfetta conoscenza della situazione del mercato da parte di tutti gli operatori; - completa mobilità dei fattori produttivi.

Se si esaminano attentamente le singole condizioni si nota che, ad esclusione dell’ultima, rispetto alla quale possono esistere vincoli strutturali che impediscono l’incontro tra la domanda e l’offerta, esse trovano sufficiente riscontro nella realtà dei diversi settori produttivi.

Il numero delle imprese è tale che nessuna è in grado di offrire una quantità di prodotto capace di influenzarne il prezzo. Inoltre, la possibilità di libero ingresso nel mercato impedisce che qualche impresa si appropri di una fetta importante del mercato stesso al punto da influenzarne i prezzi. L’omogeneità dei prodotti, d’altra parte, rende impossibile agli imprenditori di esigere valutazioni diverse per i propri prodotti; in questo caso infatti il consumatore rivolgerebbe le sue richieste altrove. Questo meccanismo, come è noto, conduce alla definizione di un unico prezzo che deriva dall’incontro della domanda con l’offerta. L’impossibilità di intervento dell’imprenditore nella definizione del prezzo riguarda anche i fattori produttivi che egli deve reperire sul mercato, infatti le quantità che egli utilizza non sono tali da poterne influenzare il prezzo di acquisto.

In definitiva, le condizioni del mercato impongono all’imprenditore di considerare i prezzi dei prodotti e dei fattori con cui si confronta come elementi dati sui quali egli non ha alcuna possibilità di intervento, ponendolo nelle condizioni di price taker.

Va osservato come molti imprenditori si propongano di adottare delle strategie che consentano loro di svincolarsi dalla scomoda posizione di price taker, ossia di passivi recettori del prezzo che si forma nel mercato, per raggiungere quella, certamente migliore, del price maker, ossia di colui che impone il prezzo dei suoi prodotti ai propri clienti. Naturalmente per realizzare un tale proposito è necessario caratterizzare e qualificare le produzioni in modo da renderle di interesse per un certo numero di consumatori, creando quella che viene definita una “nicchia di mercato”. Non è certamente un compito semplice da assolvere, ma, una volta raggiunto questo risultato, l’imprenditore può contare su dei considerevoli vantaggi. 3) La conoscenza della tecnica

Il terzo postulato della teoria dell’impresa afferma che l’imprenditore possiede le conoscenze tecniche necessarie per condurre in modo efficiente i processi produttivi. Egli, cioè, è a conoscenza delle funzioni di produzione che gli consentono di trasformare nel modo tecnicamente più efficiente i fattori della produzione in prodotti.

È questa una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il perseguimento dell’obiettivo della massimizzazione del profitto; infatti, l’imprenditore dovrà tradurre in termini economici le diverse soluzioni tecniche e scegliere quelle che forniscono il

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maggior contributo alla formazione del profitto, nel rispetto dei sistema di vincoli all’interno del quale si trova ad operare.

La funzione di produzione ci dice quale è la quantità di prodotto che è possibile ottenere impiegando una data quantità di fattori. Per la produzione di un determinato bene saranno a disposizione diverse tecniche a ciascuna delle quali corrisponderà un differente livello tecnologico. Dal punto di vista analitico, una funzione di produzione può essere rappresentata con un’equazione in cui il livello produttivo (y) dipende dalla quantità dei fattori (v1, v2, …, vn) impiegati per realizzarlo:

y = f (v1, v2, …, vn)

Se i fattori della produzione vengono considerati dal punto di vista del controllo che l’imprenditore può esercitare su di essi, si è soliti suddividerli in due categorie: alla prima appartengono i fattori cosiddetti esogeni perché sfuggono al controllo dell’imprenditore il quale, quindi, li dovrà assumere per l’influenza che esercitano; alla seconda i fattori endogeni che, viceversa, ricadono sotto il controllo dell’imprenditore.

Sono fattori esogeni quelli che fanno capo alle risorse naturali o al contesto ambientale e sociale e dei quali l’imprenditore dovrà opportunamente tenere conto nella scelta delle attività, delle tecniche e dei livelli produttivi che ogni attività può esprimere in conseguenza della loro manifestazione. Sono fattori endogeni tutti gli altri, rappresentati dal lavoro e dalle componenti del capitale.

I fattori endogeni vengono ulteriormente distinti in base alla loro disponibilità temporale. Un’analisi condotta nel medio o lungo periodo, infatti, non determina differenziazioni tra i diversi fattori, perché in questo arco temporale la disponibilità di tutti i fattori endogeni può essere variata dall’imprenditore; viceversa, un’analisi condotta nel breve periodo, ad esempio nell’arco del ciclo produttivo, comporta una suddivisione tra i fattori disponibili in quantità fissa, rappresentati dagli elementi strutturali dell’impresa, e i fattori variabili sui quali l’imprenditore può intervenire modificandone la quantità.

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INTRODUZIONE UN SISTEMA DI GESTIONE PER L’IMPRESA

Prima di partire per un viaggio è buona consuetudine consultare una mappa per capire dove si vuole andare e quale e quanta strada bisogna percorrere per arrivare alla meta prefissa. La mappa è importante anche durante il corso del viaggio perché, oltre a farci capire quanta parte dell’itinerario abbiamo già percorso e quanta ancora ne rimane davanti a noi, ci informa sul punto a cui siamo arrivati e il luogo che stiamo visitando.

Anche per un viaggio “dentro” una disciplina, avere a disposizione una mappa può essere di una certa utilità per capire gli aspetti che vi vengono affrontati, all’interno di quale argomento ci si trova quando si affronta una certa questione e le interconnessioni che esistono fra diverse parti della materia.

La disciplina della “gestione dell’impresa” non fa eccezione e, anzi, possiede alcune specificità che rendono una schematizzazione grafica degli argomenti che ne fanno parte e delle loro relative interconnessioni particolarmente utile e significativa. Infatti, come si avrà modo di osservare, i diversi argomenti non hanno una stretta ed univoca consequenzialità ma si dispongono in una sorta di sistema chiuso nel quale è possibile individuare numerosi legami ed interconnessioni. Questa è la ragione per cui l’insieme degli aspetti che concorrono alla gestione di una impresa vanno a costituire un sistema; tale “sistema di gestione dell’impresa” può essere schematizzato in un diagramma, per l’appunto la mappa cui si è fatto cenno, una cui possibile rappresentazione è riportata in figura 1.

Il sistema la cui organizzazione è mostrata nel diagramma, oltre ad essere una utile guida per chi affronta lo studio della disciplina, offre anche una prospettiva realistica della corretta modalità con cui un imprenditore dovrebbe affrontare la gestione della propria impresa. Questa valenza fortemente applicativa della disciplina consente di affrontare la trattazione didattica delle diverse componenti del sistema di gestione e dei loro collegamenti facendo riferimento a delle esemplificazioni numeriche.

Come si osserva dal diagramma, l’elemento di base del sistema di gestione è rappresentato dalla conoscenza della struttura dell’impresa attraverso la classificazione e la quantificazione dei fattori produttivi presenti. Questa parte del sistema, come evidenziano le direttrici presenti nello schema, rappresenta il riferimento conoscitivo per procedere alla definizione delle analisi preventive ed alla rilevazione degli elementi tecnici, economici e contabili che si succedono nell’arco della gestione. Per questa ragione l’illustrazione dei fattori produttivi che definiscono la dotazione strutturale dell’impresa viene affrontata nella prima parte del testo.

Sempre nella prima parte del testo vengono trattati gli strumenti per la valutazione dei risultati dell’impresa. In particolare viene descritta la struttura bilancio il quale, determinando l’origine del reddito in termini patrimoniali ed economici, rappresenta il principale supporto previsionale e conoscitivo della gestione.

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Figura 1 – Il “sistema di gestione” dell’impresa

STRUTTURA DELL'IMPRESA (Caratterizzazione dei fattori produttivi)

CAPITALE (classificazione e valutazione) LAVORO (tipologie e disponibilità)

RILEVAZIONE DEI RISULTATI (Analisi consuntiva)

Monitoraggio attività (rilevazione) Stesura del Bilancio (consuntivo)

DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE (Analisi preventiva)

Analisi degli investimenti Pianificazione delle attività Definizione dei budget

CONTROLLO DI GESTIONE (Analisi degli scostamenti)

Controlli settoriali (a livello di attività) Controllo globale (a livello di impresa)

VALUTAZIONE DEI RISULTATIDELL'IMPRESA

Struttura del BilancioReddito d'esercizioAnalisi di Bilancio

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Per l’imprenditore, però, è altrettanto importante verificare se il reddito ottenuto è commisurato all’investimento prodotto nell’attività e considerare i possibili interventi che possono migliorarne l’entità, senza incidere sulla solidità finanziaria dell’impresa stessa. Indicazioni a questo riguardo possono essere tratte da un’analisi del bilancio, una procedura le cui modalità di attuazione sono anch’esse oggetto di trattazione nell’ambito della illustrazione degli strumenti di valutazione dei risultati dell’impresa.

La parte del sistema rivolta alla definizione delle strategie, che verrà affrontata nel secondo capitolo, comprende l’insieme degli strumenti che l’imprenditore può utilizzare per indirizzare l’impresa verso il conseguimento dei propri obiettivi gestionali. Le analisi preventive condotte in questo ambito riguardano la valutazione di due distinte categorie di scelte: da un lato, i possibili interventi volti a modificare la dotazione strutturale dell’impresa e, dall’altro, l’organizzazione produttiva che, sulla base della attuale disponibilità di fattori, consente di ottenere i migliori risultati rispetto agli obiettivi individuati. Nel primo caso è necessario valutare la convenienza economica e la fattibilità finanziaria di investimenti che modificano, anche in modo definitivo, la struttura dell’impresa. Nel secondo, invece, si tratta di definire le caratteristiche tecniche ed economiche delle diverse attività produttive e di individuare le modalità di conduzione più efficienti in relazione alle risorse disponibili ed agli obiettivi che l’imprenditore ritiene rilevanti ai fini delle proprie scelte.

Una volta che le scelte imprenditoriali sono state attuate è indispensabile controllare il loro impatto sui risultati della gestione per verificare se esse hanno prodotto gli esiti previsti dalle analisi preventive. Un tale controllo è utile per due ordini di motivi. Un primo aspetto riguarda la possibilità di esaminare criticamente le decisioni prese mettendone in discussione le premesse e le modalità con cui sono state applicate per apportare un incremento di conoscenza che potrà risultare utile nelle scelte future. La seconda motivazione è legata alla possibilità di verificare “in corso d’opera” le divergenze fra lo svolgimento previsto e quello effettivo delle attività e, quindi, di intervenire per apportare i necessari correttivi.

I metodi per la rilevazione dei dati relativi allo svolgimento delle attività dell’impresa e per la loro verifica e comparazione con i risultati delle analisi preventive, pur essendo entrambi trattati nel terzo capitolo, fanno capo a due diversi elementi del sistema di gestione. La rilevazione dei risultati fa capo all’insieme delle procedure contabili le quali dovrebbero essere organizzate in modo da poter seguire l’andamento dell’impresa nel suo complesso (contabilità generale) e di monitorare con continuità la conduzione dei singoli processi produttivi (contabilità analitica). Il controllo di gestione, invece, determina gli scostamenti tra le valutazioni eseguite in fase preventiva e i risultati delle procedure di rilevazione contabile fornendo tutti gli elementi necessari ad analizzarne le eventuali motivazioni.

Lo svolgimento del controllo di gestione, per tornare alla analogia con la mappa, chiude l’itinerario all’interno del sistema di gestione dell’impresa anche se, come lo schema evidenzia, sia le procedure contabili che le risultanze del controllo di gestione producono una retroazione verso le procedure di pianificazione che possono giovarsi delle indicazioni provenienti da queste parti del sistema per migliorare la definizione tecnica ed economica dei processi produttivi e le capacità previsionali dei modelli di analisi.

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1. I FATTORI PRODUTTIVI DELL’IMPRESA

I fattori della produzione rappresentano i beni e i servizi che l’impresa trasforma in altri beni, i prodotti, o in altri servizi le cui caratteristiche risultano di maggiore utilità per l’imprenditore.

Qualunque sia il settore produttivo in cui opera un’impresa i fattori produttivi si distinguono in capitale e lavoro.

Nel caso di alcune particolari imprese, fra i fattori produttivi devono essere considerate delle componenti che rientrano fra le risorse naturali (si pensi, ad esempio, alla terra per le imprese agricole, ai giacimenti per le imprese di estrazione petrolifera o mineraria, al mare per le imprese del settore ittico o turistico). In alcune attività queste ultime assumono un ruolo talmente rilevante da venire scorporate dal capitale ed essere considerate come un fattore a sé stante. Tale specificità è legata, oltre al ruolo fondamentale che rivestono questi fattori produttivi, alla loro connotazione temporale.

I fattori della produzione, infatti, possono essere classificati adottando un criterio che fa riferimento alla loro durata o, analogamente, al livello di logorio che subiscono all’atto del loro utilizzo. Sono fattori a logorio totale quelli che esauriscono tutta la loro potenzialità produttiva al momento del loro impiego, sono fattori a logorio parziale quelli che sono in grado di erogare i loro servizi per un certo numero di cicli produttivi e, infine, sono fattori a logorio nullo (o perenni) quelli che nel tempo non sono soggetti a consumarsi. Con riferimento a questo tipo di classificazione, le risorse naturali risultano gli unici fattori a logorio nullo e, quindi, in grado di fornire i propri servizi per un numero illimitato di cicli produttivi. Quest’ultima affermazione muove dall’ipotesi, non sempre verificata nella realtà, che la loro disponibilità e qualità rimanga inalterata nel tempo.

Un’ulteriore modalità di classificazione dei fattori produttivi è determinata dalla possibilità di controllo che l’imprenditore è in grado di esercitare si di essi; in base a questo criterio, come già accennato nella premessa, vengono distinti fattori esogeni ed endogeni. I fattori esogeni manifestano la loro presenza e la loro intensità in maniera del tutto indipendente dalla volontà dell’imprenditore; in questa categoria rientrano aspetti quali le caratteristiche ambientali, l’andamento meteorologico, le regole stabilite all’interno del quadro politico-istituzionale, l’evoluzione dei mercati dei prodotti e dei fattori, la situazione economica generale, ecc. Fa parte integrante della capacità imprenditoriale prevedere quanto più possibile questi fenomeni ed operare le scelte in modo da limitare le conseguenze negative o sfruttare i possibili benefici che possono derivare dalla loro manifestazione. I fattori endogeni, invece, ricadono sotto il controllo dell’imprenditore il quale, attraverso le sue scelte, ne determina disponibilità e livelli di utilizzo.

Un elemento essenziale nella corretta gestione dell’impresa è la piena conoscenza della dotazione di fattori della produzione di cui l’impresa stessa dispone; a questo scopo è necessario procedere ad una loro descrizione, quantificazione e valutazione, operazioni che devono essere eseguite facendo costante riferimento al contributo che sono in grado di offrire alla conduzione ed ai risultati dell’attività produttiva. E’ quindi

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una premessa essenziale allo sviluppo di qualunque tipo di analisi preventiva o di valutazione consuntiva l’individuazione dei fattori produttivi dell’impresa, la descrizione delle loro caratteristiche e, problema più complesso, l’attribuzione dei valori più corretti rispetto agli obiettivi gestionali che l’imprenditore si prefigge. 1.1 IL CAPITALE: CLASSIFICAZIONE, RILEVAZIONE E VALUTAZIONE

1.1.A LA CLASSIFICAZIONE DEL CAPITALE Le componenti del capitale assumono nel tempo configurazioni molto diverse.

Quelle disponibili in forma monetaria (contanti, depositi bancari, crediti da clienti, ecc.) vengono dette indifferenziate. Sono invece differenziate le componenti che hanno assunto una determinata connotazione tecnica; fra queste vengono annoverati i fattori produttivi a logorio nullo, a logorio parziale ed a logorio totale.

In origine il capitale è rappresentato solo in forma indifferenziata, ma, nel momento in cui l’imprenditore investe il denaro per l’acquisizione dell’azienda, parte del capitale cambia aspetto ed assume una forma differenziata; considerando le diverse prerogative che il capitale può assumere è quindi necessario procedere ad una sua classificazione.

Le modalità di classificazione del capitale possono variare in funzione degli scopi dell’analisi; è così possibile definire differenti aggregazioni delle varie componenti che risultano maggiormente funzionali rispetto a finalità giuridiche, fiscali, estimative, economiche o finanziarie.

Per gli scopi gestionali le diverse componenti del capitale vengono classificate secondo il criterio schematizzato in figura 2.

Nella parte di sinistra del prospetto sono elencate le componenti lorde del capitale di un’impresa le quali sono distinte in circolanti e fisse.

Sono considerate circolanti le componenti che “fluttuano” nel tempo con continuità, e fra le quali si trovano i fattori a logorio totale; sono considerate fisse le componenti che concorrono a formare la struttura dell’impresa e fra le quali vengono annoverati i fattori a logorio parziale e nullo. Al capitale circolante vengono assegnate le liquidità, sia immediate che differite, che rappresentano il capitale indifferenziato e le rimanenze, costituite dalle componenti differenziate del capitale circolante. Nel capitale fisso vengono incluse le componenti del capitale a logorio parziale e gli investimenti, la cui durata si protrae nel medio-lungo periodo.

Nello schema, alla classificazione economica si è fatta corrispondere la classificazione finanziaria che definisce disponibili le componenti del capitale circolante e immobilizzate (o indisponibili) le componenti del capitale fisso. Infatti, da un punto di vista finanziario, le componenti che si rifanno al capitale circolante sono convertibili in moneta in un arco temporale limitato; ciò non accade per le componenti del capitale immobilizzato, in quanto eventuali disinvestimenti modificano la struttura dell’impresa determinando una variazione delle sue stesse potenzialità produttive2.

2 Un esame più attento delle due classificazioni porterebbe a distinguere alcune delle componenti del capitale circolante come indisponibili da un punto di vista finanziario. Le rimanenze di materie prime di produzione aziendale, ad esempio, rientrerebbero in questa categoria.

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Figura 2 - Composizione del capitale di un’impresa

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Il prospetto di figura 1 evidenzia, oltre alle componenti definite lorde, la presenza di capitale di terzi, il quale include i finanziamenti provenienti da terze economie e, pertanto, individua i debiti che l’imprenditore ha contratto per assicurare un adeguato finanziamento all’attività che conduce. Anche il capitale di terzi viene classificato con riferimento alla connotazione temporale, in particolare per quanto riguarda i tempi di restituzione dei finanziamenti; vengono così distinti dei debiti a breve, se la scadenza ricade entro il periodo stabilito per determinare il risultato della gestione (esercizio amministrativo), e dei debiti a medio/lungo periodo, se i pagamenti si protraggono per un periodo più lungo. La durata di un prestito dipende dalla sua causale: quelli concessi per il finanziamento del capitale circolante sono generalmente prestiti a breve scadenza, quelli concessi per il finanziamento del capitale fisso sono a media o a lunga scadenza.

La parte di capitale investita direttamente dall’impresa rappresenta il capitale netto ed è determinata dalla differenza tra il capitale lordo e i debiti contratti. Così, anche se è il capitale lordo che rappresenta l’entità complessiva dei beni immessi nella produzione, per l’imprenditore è importante conoscere l’ammontare del capitale netto che lui ha investito nella gestione. Nei casi in cui risulta difficoltoso operare una ricostruzione del valore del capitale netto, è possibile desumerlo dalla differenza fra il capitale lordo e il capitale di terzi:

Capitale Netto = Capitale Lordo – Capitale di Terzi

Tale difficoltà può insorgere in particolare nelle piccole imprese individuali, in quanto il capitale netto è determinato dal valore originario dei beni acquisiti o conferiti cui vanno aggiunti gli eventuali apporti, sotto forma di finanziamenti diretti e/o di redditi non prelevati, e da cui vanno detratti i prelevamenti di entità maggiore agli utili maturati. Nelle imprese collettive (società) l’evoluzione del capitale netto è tenuta sotto controllo poiché ogni variazione deve essere deliberata dai soci e trascritta su un apposito registro. In questo caso le voci che concorrono a determinare l’entità del capitale netto sono, oltre al capitale sociale, vale a dire la quota versata dai soci o dagli azionisti all’atto della costituzione o durante la vita dell’impresa, le riserve (cioè parte dei redditi accantonati per future esigenze), gli utili non ancora distribuiti e le perdite non ancora ripartite.

Con riferimento alla classificazione di figura 2, nel seguito vengono elencate le componenti che appartengono alle diverse categorie di capitale lordo e capitale di terzi. 1.1.B LA RILEVAZIONE DEL CAPITALE

Lo schema di classificazione definito nel paragrafo precedente costituisce il riferimento per procedere alla ricognizione della consistenza delle componenti del capitale ed alla loro successiva valutazione.

La rilevazione dei beni di cui dispone l’impresa per la sua attività (capitale lordo), dei finanziamenti a cui ha fatto ricorso per potersene dotare (capitale di terzi) e delle relative caratteristiche e quantità, solitamente definita come inventario, si rende particolarmente utile per almeno due ragioni.

La prima riguarda la necessità di verificare la presenza, l’entità e lo stato di efficienza delle dotazioni di cui dispone l’impresa, in particolare quelle destinate allo svolgimento della sua attività (rimanenze e immobilizzazioni materiali). La conoscenza di tali informazioni consente di valutare l’adeguatezza dei fattori produttivi in relazione alle strategie imprenditoriali e, nel caso questa non risultasse soddisfacente, di valutare

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l’ipotesi di procedere ad una loro acquisizione o sostituzione. La seconda ragione è legata all’importanza di determinare il valore del capitale

(lordo) investito nell’impresa e quanto di questo sia di proprietà degli imprenditori (capitale netto). Infatti, solo attraverso la conoscenza dell’entità dell’investimento prodotto sarà possibile giudicare la bontà dei risultati della gestione, attraverso un confronto fra il reddito prodotto dall’impresa e l’ammontare delle risorse impegnate per il suo ottenimento. Proprio per questo motivo è importate eseguire la rilevazione e la valutazione del capitale dell’impresa all’inizio dell’esercizio amministrativo, generalmente identificato con il 1° gennaio, in modo da conoscere l’entità dell’investimento che viene impegnato nell’attività in corso di avviamento.

E’appena il caso di sottolineare come l’inventario “iniziale”, ovvero riferito all’apertura dell’esercizio amministrativo, coincide con l’inventario “finale” dell’esercizio amministrativo precedente, in virtù della contiguità temporale che caratterizza due esercizi consecutivi. Dell’importanza del confronto fra la consistenza del capitale all’inizio ed alla fine dell’esercizio amministrativo, e delle indicazioni che da tale comparazione possono essere desunte, si parlerà nel capitolo relativo alla valutazione dei risultati economici dell’impresa. COMPONENTI DEL CAPITALE LORDO

Come si è detto, il capitale lordo è distinto in capitale circolante (disponibile) e capitale fisso (o immobilizzato).

La componente circolante, costituita da capitali in forma indifferenziata e differenziata il cui periodo di disponibilità o di utilizzo (fattori a logorio totale) è compreso nell’arco dell’esercizio amministrativo, comprende le seguenti componenti. - LIQUIDITÀ IMMEDIATE: sono costituite dai valori presenti in cassa (contante, assegni, valori monetizzabili) e dalle disponibilità dei conti correnti bancari e postali - LIQUIDITÀ DIFFERITE: rappresentano i crediti a breve termine, vale a dire quelli riscuotibili orientativamente nell’arco di un anno. Comprendono: i crediti verso clienti; verso eventuali imprese collegate, controllate o controllanti; verso l’erario e gli enti previdenziali; titoli di credito a pronta negoziazione, come buoni ordinari del tesoro (BOT) o certificati di credito del tesoro (CCT); altri crediti riscuotibili nel corso dell’esercizio amministrativo. - RIMANENZE: sono le componenti differenziate del capitale circolante e includono: Materie prime: appartengono a questa classe i fattori a logorio totale acquistati o di produzione aziendale che non sono stati ancora utilizzati. Per le giacenze relative ai mezzi tecnici acquistati sarà opportuna una preordinata classificazione dei diversi articoli allo scopo di ottenere un raggruppamento funzionale e, per ciascun articolo considerato distintamente, sarà necessario indicare il nome, le caratteristiche e la quantità. Le materie prime di produzione aziendale sono i fattori a logorio totale prodotti direttamente all’impresa; la loro presenza e l’importanza è strettamente legata alla tipologia dell’impresa ed al settore produttivo in cui opera. Laddove siano presenti è importante rilevarle con le stesse modalità adottate per le materie prime acquistate. Prodotti finiti e merci: questa classe comprende i beni destinati alla vendita che sono stati realizzati (prodotti finiti) o acquistati (merci) negli esercizi precedenti e che non sono stati ancora venduti. Per essi sarà necessario specificare il tipo, la qualità e la quantità e, ai fini della valutazione, evidenziare eventuali particolari prerogative.

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Prodotti in corso di lavorazione: sono le attività che non hanno ancora completato il loro ciclo e i cui prodotti, talora definiti come semilavorati, sono ancora oggetto di trasformazione o di realizzazione nell’ambito dei relativi processi di produzione. Per individuare il valore di questi beni, oltre alla tipologia ed alla quantità, andrà indicata la fase del ciclo di lavorazione cui sono giunti.

Il capitale fisso, costituito da capitali in forma indifferenziata e differenziata il cui periodo di disponibilità o di utilizzo (fattori a logorio parziale o nullo) comprende più esercizi amministrativi, è distinto in tre componenti. - IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI: di questa categoria fanno parte le strutture produttive che possiedono una connotazione fisica (aspetto che le distingue dalle immateriali e dalle finanziarie); la tipologia e la funzione che possono assumere tali strutture è molto diversa in relazione alla attività che svolge l’impresa e, di conseguenza, la loro modalità di classificazione e rilevazione non può prescindere da questo aspetto. In termini molto generali possono essere individuate le seguenti componenti: Terreni e fabbricati: per i terreni di proprietà dell’impresa è opportuno rilevare i singoli appezzamenti o lotti indicandone la localizzazione, la dimensione e gli estremi catastali; solo nel caso di imprese che operano nel settore agricolo si rende necessaria una descrizione più approfondita che ne metta in luce le diverse prerogative utili a evidenziarne le finalità produttive. I fabbricati, possedendo configurazioni e utilizzazioni molto diversificate, vanno distinti in base alla loro natura: capannoni, magazzini, sede degli uffici, locali comuni, costruzioni tecniche, ecc; per ciascuno di essi dovranno essere specificate le informazioni utili per identificarne le caratteristiche costruttive, lo stato di manutenzione e i dati necessari per ricostruirne il valore. In questa categoria vanno annoverati anche gli interventi eseguiti per consentire o facilitare lo spostamento degli autoveicoli e dei mezzi di carico (realizzazione e sistemazione della viabilità interna) e per rispondere a particolari esigenze di sicurezza (muri di cinta, recinzioni, …) o estetiche (aiuole, siepi, …). Impianti e macchinari: rientrano in questa categoria le dotazioni di beni di tipo meccanico, elettrico, elettronico presenti presso le diverse strutture dell’impresa. Tali dotazioni presentano caratteristiche molto diverse, sia dal punto di vista tecnico che economico, al variare dell’indirizzo produttivo dell’impresa e, all’interno di questo, delle diverse linee di produzione. In generale, per ciascuno degli impianti e dei macchinari presenti, è necessario procedere alla loro rilevazione e descrizione evidenziandone le principali caratteristiche, quali marca, potenza, capacità di lavoro, anno d’acquisto e condizioni di funzionamento. L’eventuale esistenza di un’officina per l’esecuzione di interventi di riparazione e manutenzione delle strutture comporterà la presenza dei macchinari specifici (compressori, saldatrici, generatori di corrente, …) i quali andranno a costituire una dotazione che richiede una puntuale elencazione e descrizione, ponendo in evidenza, anche in questo caso, marca, capacità di lavoro, anno di acquisto e tutte le altre informazioni necessarie alla loro caratterizzazione. Attrezzature industriali e commerciali: all’interno dei capannoni industriali e dei locali eventualmente adibiti all’attività commerciale sono generalmente presenti delle attrezzature il cui scopo è quello di adattare la struttura del fabbricato allo svolgimento dell’attività che vi viene condotta. Queste possono rivestire funzioni molto diverse, quali supporto o servizio strutturale per gli impianti e i macchinari, sicurezza e benessere dei lavoratori, miglioramento dell’efficienza o dell’estetica, ecc. Come per la altre immobilizzazioni materiali, oltre a rilevare le caratteristiche utili all’inventario,

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andranno specificate tutte le informazioni necessarie ad eseguirne una valutazione come l’anno di realizzazione, la durata prevista e lo stato di manutenzione. Automezzi e dotazioni uffici: gli automezzi per il trasporto di merci o persone sia internamente che esternamente all’impresa devono essere descritti attraverso l’indicazione del modello, degli opportuni dati tecnici, dell’anno e del prezzo di acquisto e della durata prevista. Accade talora che alcuni automezzi, in particolare le autovetture, vengano utilizzati anche per scopi non strettamente attinenti alla attività della impresa; è comunque opportuno assegnare all’impresa sia la proprietà che i consumi del mezzo per poter imputare ad essa i relativi costi e trarne i conseguenti benefici fiscali. Per le dotazioni dell’ufficio amministrativo sarà necessario descrivere le prerogative del mobilio e delle strumentazioni informatiche, dettagliando per queste ultime le principali caratteristiche tecniche ed economiche di hardware e software. - IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI: è la componente del capitale fisso rappresentata dagli investimenti effettuati dall’impresa con lo scopo di acquisire dei benefici che non hanno consistenza materiale e che distribuiscono i loro effetti per un periodo che si protrae per più esercizi amministrativi. Le principali componenti che fanno parte di questa categoria sono le spese sostenute dall’impresa per la costituzione e l’avviamento dell’attività, per lo svolgimento di studi e ricerche, per la realizzazione di materiali e campagne pubblicitarie, per l’acquisizione dei marchi e dei brevetti depositati dall’impresa. Per tutti questi investimenti andrà operata, oltre a una descrizione generale, l’indicazione del periodo durante il quale si prevede che si protrarranno i loro effetti e di tutte le altre informazioni utili alla loro caratterizzazione. - IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE: gli investimenti di natura finanziaria effettuati dall’impresa possono riguardare la partecipazione ad altre società, il possesso di titoli a reddito fisso, le cauzioni versate a imprese terze, i crediti riscuotibili entro un periodo certamente superiore all’anno ed altri eventuali immobilizzi finanziari. In quest’ultima categoria sono da includere anche gli investimenti immobiliari, non strettamente legati alla normale attività produttiva, che vengono effettuati dall’impresa allo scopo di impegnare eventuali eccessi di liquidità. Per ciascuna immobilizzazione finanziaria andranno evidenziati gli opportuni dati utili a identificarne gli elementi di interesse. Per i crediti, in particolare, è importante conoscere la data di scadenza e le informazioni sul soggetto debitore per valutare l’insorgenza di eventuali rischi di solvibilità. COMPONENTI DEL CAPITALE DI TERZI

Il capitale di terzi è costituito dall’insieme dei debiti contratti dall’impresa per far fronte alle necessità finanziarie legate alla conduzione delle attività produttive ed alla realizzazione degli investimenti. Anche per il capitale di terzi, così come per il capitale lordo, la distinzione riguarda la dimensione temporale; si hanno debiti a breve termine, quando la restituzione da parte dell’impresa deve avvenire entro l’anno, e debiti a medio/lungo termine, quando il pagamento si protrae per un periodo più lungo. - DEBITI A BREVE (ESIGIBILITÀ NELL’ESERCIZIO AMMINISTRATIVO): vengono ricondotti a differenti tipologie in relazione alla figura verso cui l’impresa ha contratto il debito; si distinguono gli impegni assunti dall’impresa nei confronti di fornitori per gli acquisti effettuati o verso imprese collegate, i prestiti erogati dalle banche che l’impresa dovrà restituire entro l’esercizio amministrativo, le somme che devono essere versate per assolvere a obblighi fiscali o previdenziali. Per tutti questi debiti deve essere indicato il

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soggetto di riferimento, la forma e la data di pagamento; in questo modo, considerando anche i tempi di riscossione delle liquidità differite e la consistenza delle liquidità immediate, è possibile definire una sorta di scadenziario per mezzo del quale è possibile prevedere l’evoluzione della liquidità dell’impresa nel prossimo futuro. Particolare attenzione deve essere posta all’indebitamento dell’impresa nei confronti degli istituti di credito, il quale può riguardare i prestiti accesi per finanziare lo svolgimento delle attività produttive e gli scoperti di conto corrente; per entrambi è importante conoscere la banca interessata e le condizioni concesse riguardo l’ammontare dell’affidamento (tasso di interesse e tempi di restituzione) in modo da poter operare il monitoraggio e la corretta previsione delle disponibilità monetarie dell’impresa.

Il capitale di terzi che l’impresa deve restituire nel medio/lungo periodo viene distinto fra esigibilità oltre l’esercizio e i fondi accantonati. - ESIGIBILITÀ OLTRE L’ESERCIZIO AMMINISTRATIVO: la principale categoria di questa tipologia di capitale di terzi è rappresentata dai debiti contratti dall’impresa con gli istituti di credito per prestiti finalizzati alla dotazione di capitali fissi, come i mutui per l’acquisto o la realizzazione di immobilizzazioni, o prestiti a medio-lungo periodo a cui l’impresa ricorre per fare fronte a particolari necessità finanziarie. Per ciascuno di questi debiti va indicata la causale, l’ente erogatore, il tasso di concessione, la durata e l’ammontare delle rate con cui avviene la restituzione. Gli altri debiti a medio-lungo termine verso altri soggetti riguardano impegni assunti dall’impresa verso soci, altri finanziatori, eventuali acquirenti di obbligazioni, attraverso forme particolari la cui descrizione esula dagli scopi di questa trattazione; per tutte queste esigibilità andranno descritti i dati salienti, primi fra tutti il soggetto beneficiario, l’importo e la data presunta di restituzione. - FONDI ACCANTONATI: riguardano l’accumulo di cifre destinate a far fronte ad eventi futuri di diversa natura. Uno dei più importanti è il fondo per il trattamento di fine rapporto (TFR) nel quale vengono accumulati annualmente gli importi che verranno corrisposti ai dipendenti assunti a tempo indeterminato, sia amministrativi che salariati, all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro; in questo caso è necessario indicare per ogni dipendente, oltre ai dati anagrafici, la data di assunzione ed i dati utili a determinare l’entità dell’accantonamento. Altri fondi possono riguardare gli importi che l’impresa accantona per il versamento delle imposte o a titolo precauzionale per mettersi al sicuro da rischi o dal pagamento di oneri imprevisti.

1.1.C LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE Una volta classificate e rilevate le componenti del capitale dell’impresa è

necessario procedere ad una loro valutazione per conoscere l’entità delle risorse complessivamente immesse nell’impresa (capitale lordo) e dell’investimento prodotto dall’imprenditore (capitale netto), rispetto al quale egli commisurerà il reddito prodotto dalla gestione. Il problema della valutazione del capitale non sussisterebbe se tutte le componenti si presentassero in forma indifferenziata, in quanto il loro valore sarebbe espresso direttamente dalla loro consistenza monetaria. Si è visto, invece, come una parte consistente delle componenti del capitale dell’impresa si presentino in forma differenziata e come, quindi, sia necessario ricorrere alla loro valutazione per esprimere in termini monetari l’entità del capitale lordo e le relative quote finanziate con capitale di terzi e con capitale netto.

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I criteri adottati per esprimere in forma monetaria il valore delle componenti differenziate del capitale possono variare in funzione degli scopi della valutazione ma, una volta stabiliti, devono essere applicati uniformemente a tutte le componenti. Questa precisazione, che potrebbe apparire superflua, si rende necessaria in quanto non è infrequente il caso in cui vengono suggeriti, e applicati in sede operativa, dei criteri che agiscono con modalità eterogenea sulle diverse componenti e che, per questa ragione, portano a determinare un entità del capitale dell’impresa che, comunque si consideri, non costituisce un punto di riferimento corretto per alcun tipo di analisi.

Poiché lo scopo principale della valutazione è quello di definire il rendimento del capitale che l’imprenditore ha investito nell’attività, è necessario che tale valutazione avvenga riferendo il valore degli investimenti al momento in cui l’imprenditore li ha effettuati3. Operando la valutazione secondo tale criterio, che rappresenta il più aderente agli scopi della gestione dell’impresa, è necessario individuare la modalità corretta per stabilire il valore di ciascuna componente del capitale determinando il relativo ammontare dell’investimento effettivamente prodotto dall’imprenditore.

Per le componenti indifferenziate del capitale lordo (liquidità immediate e differite, immobilizzazioni finanziarie) e per tutte le voci del capitale di terzi non sussistono problemi di valutazione, essendo le singole componenti già espresse in termini monetari.

Per le componenti differenziate (rimanenze e immobilizzazioni materiali e immateriali), invece, è necessario procedere ad una valutazione attraverso una modalità che risulti coerente con il criterio generale con cui viene condotta la valutazione. - RIMANENZE

Materie prime (fattori a logorio totale): se acquistate: prezzo d’acquisto se di produzione aziendale: costo di produzione

Prodotti finiti e merci: prezzo (presumibile) di vendita Prodotti in corso di lavorazione: costo di produzione (fino allo stadio attuale)

- IMMOBILIZZAZIONI Materiali (fattori a logorio nullo o parziale)

se a logorio nullo (terreni): valore di acquisizione se a logorio parziale: valore attuale

Immateriali (fattori a logorio parziale): valore attuale Fra i metodi di valutazione appena elencati ve ne sono alcuni, quali il costo di

produzione e il valore attuale, che al momento possono risultare non completamente comprensibili.

Il significato e le modalità di calcolo del costo di produzione saranno descritte nel paragrafo 3.2, al quale si rimanda per ulteriori chiarimenti; per quanto riguarda il calcolo del valore attuale, questo è determinato come differenza fra il prezzo di acquisto e il valore che il bene ha perso durante gli esercizi amministrativi trascorsi dal momento 3 Sono quindi da evitare rivalutazioni di qualunque genere che introducono variazioni nell’entità dell’effettivo impiego di capitale prodotto dall’imprenditore. Se, invece, lo scopo dell’analisi è quello di stabilire quanto renderebbe il capitale nell’ipotesi che l’investimento venisse tutto prodotto a valori correnti, è necessario applicare le opportune rivalutazioni per giungere alla corretta determinazione del capitale stesso. Nell’operare questo procedimento, comunque, deve essere usata sempre molta accortezza. Se, ad esempio, la rivalutazione di un impianto viene eseguita ricorrendo al criterio del costo di ricostruzione, il risultato potrebbe avere scarso significato se questo è stato realizzato molti anni prima. L’attività produttiva condotta con tale impianto, infatti, potrebbe risultare inefficiente non consentendo di raggiungere risultati economici adeguati al valore attribuito all’impianto stesso.

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della sua acquisizione4. I fattori a logorio parziale, infatti, hanno la caratteristica di fornire i loro servizi in

un arco temporale che copre più esercizi amministrativi; di conseguenza il costo sostenuto per la loro acquisizione deve essere ripartito fra i diversi anni in cui se ne prevede l’utilizzazione. Il costo attribuito ad ogni esercizio amministrativo, che corrisponde alla porzione del valore iniziale che viene “persa” nell’esercizio stesso, prende il nome di quota di ammortamento.

Per determinare l’ammontare della quota di ammortamento si fa ricorso a criteri che definiscono una annualità costante per tutto il periodo presunto di durata del bene5. Tali criteri, che rispondono a esigenze diverse (valutazione del capitale, determinazione dei costi, analisi degli investimenti), differiscono per la modalità con cui la quota stessa viene calcolata. Uno dei metodi più frequentemente adottati, detto aritmetico, valuta l’entità della quota di ammortamento dividendo per gli anni di durata del bene la differenza tra il valore a nuovo e il valore di recupero, attraverso la relazione seguente:

n)VV(

Qa r0 −=

in cui V0 indica il valore a nuovo del bene (prezzo di acquisto), Vr il valore di recupero al termine del periodo di utilizzazione6, n gli anni di durata presunta. E’ questo il metodo solitamente applicato per risalire al valore attuale dei beni patrimoniali e che, quindi, consente di determinare l’entità del capitale e il suo livello di redditività.

Una volta attribuito il valore alle componenti differenziate è possibile determinare la consistenza del capitale lordo. La sua entità, insieme con quella del capitale di terzi e del capitale netto, può essere rappresentata in uno schema leggermente differente di quello di figura 2. In questa forma, riportata in figura 3, le componenti del capitale lordo costituiscono gli impieghi dei finanziamenti le cui fonti sono rappresentate dal capitale netto e dal capitale di terzi. Questa schematizzazione consente di determinare alcuni valori che forniscono utili indicazioni sulla situazione finanziaria e patrimoniale dell’impresa; tre di questi, evidenziati in figura 3, assumono particolare interesse. Margine di tesoreria (MT): ottenuto sottraendo dalle disponibilità liquide (liquidità immediate + liquidità differite) i debiti a breve; esprime la capacità dell’impresa di finanziare l’attività produttiva attraverso le proprie disponibilità liquide, una volta soddisfatti i debiti assunti nel breve periodo. Margine di disponibilità (MD): ottenuto sottraendo dal capitale circolante (liquidità e rimanenze) i debiti a breve; esprime la capacità dell’impresa di finanziare l’attività produttiva, facendo assegnazione anche sulle rimanenze. Questo valore viene indicato anche come capitale circolante netto in quanto proviene dal capitale circolante (lordo) epurato dei debiti che contribuiscono a finanziarlo. Margine di struttura (MS): ottenuto sottraendo dal capitale netto il valore del capitale

4 Se una attrezzatura è stata acquistata cinque anni prima rispetto alla data in cui avviene la rilevazione del capitale e si ritiene che la sua utilizzazione si protragga per altri cinque anni, dal suo valore di acquisto andrà sottratta la parte consumata, ossia le cinque annualità assegnate come costi nei precedenti esercizi ed il valore attuale sarà ripartito come costo nei successivi cinque anni. 5 La durata è “presunta” in quanto all’atto dell’acquisto non è dato conoscere con esattezza per quante annualità esso potrà essere utilizzato, considerando sia la sua usura che l’eventuale obsolescenza tecnica. 6 Il valore Vr, che è quello si pensa di recuperare alla fine del periodo presunto di utilizzazione, non si realizza per tutti i beni; in alcuni casi è nullo e in altri la sua dismissione può comportare dei costi aggiuntivi, come accade, ad esempio, nella demolizione di alcuni fabbricati o nello smaltimento di particolari attrezzature.

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fisso (immobilizzazioni); esprime quanta parte del capitale immobilizzato risulta finanziata dal capitale netto e, quindi, può essere considerata di proprietà dell’impresa.

L’entità assunta dai singoli “margini” fornisce una misura sintetica della struttura patrimoniale dell’impresa che, comunque, deve essere sempre interpretata in relazione al settore di attività in cui è impegnata. Questi aspetti che, come si intuisce, rivestono grande rilevanza per l’impostazione delle strategie produttive e commerciali, verranno affrontati in maniera più approfondita nell’ambito dell’analisi di bilancio, di cui la valutazione dell’equilibrio finanziario costituisce uno dei principali aspetti.

Figura 3 – Schematizzazione alternativa del capitale dell’impresa

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~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~

L’inventario condotto in un’impresa ha fornito i dati elencati nel prospetto seguente. Procedere ad una loro classificazione evidenziando l’entità di capitale lordo e capitale netto e determinare il valore dei margini di tesoreria, disponibilità e struttura.

ELENCO DELLE COMPONENTI Valore (€x1.000)

STRUTTURE Terreni e fabbricati 2.953 Attrezzature industriali 215 Impianti e macchinari 500 Automezzi 650

MAGAZZINI Rimanenze materie prime 3 Rimanenze prodotti 10 Prodotti semilavorati 185

UFFICIO AMMINISTRATIVO Cassa 73 Banca 352 Fornitori 120 Clienti 155 Crediti diversi 5 Debiti erariali 7 Debiti v/enti previdenziali 4 Mutui fondiari 355 Prestiti di conduzione 180 Altri finanziamenti poliennali 25 Fondo TFR 225

UFFICIO COMMERCIALE/DIREZIONE Buoni del Tesoro 20 Quote di altre imprese 150 Spese di pubblicità 35 Marchio 25

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Classificando le singole componenti nella forma opportuna e sommando i relativi valori si perviene alla determinazione del capitale lordo e del capitale di terzi.

ATTIVITA’ (IMPIEGHI) PASSIVITA’ (FONTI) Denaro, valori e assegni in cassa 73 Debiti verso fornitori 120 Depositi bancari e postali 352 Debiti verso banche 180 Liquidità Immediate 425 Debiti tributari ed erariali 7 Crediti verso clienti 155 Debiti verso enti previdenziali 4 Titoli di credito e azioni 20 Esigibilità nell’esercizio 311 Altri crediti 5 DEBITI A BREVE 311 Liquidità Differite 180 Materie prime 3 Debiti verso banche 355 Prodotti in corso di lavorazione 185 Debiti verso altri finanziatori 25 Prodotti finiti e merci 10 Esigibilità oltre L’esercizio 380 Rimanenze 198 Trattamento di fine rapporto 225 CAPITALE CIRCOLANTE 803 Fondi Accantonati 225 DEBITI MEDIO/LUNGO 605 Terreni e fabbricati 2.953 Impianti e macchinari 500 CAPITALE DI TERZI 916 Attrezzature industriali e commerciali 215 Automezzi e dotazioni uffici 650 Immobilizzazioni Materiali 4.318 Ricerca, sviluppo e pubblicità 35 Brevetti, licenze e marchi 25 Immobilizzazioni immateriali 60 Partecipazioni in altre imprese 150 Immobilizzazioni Finanziarie 150 CAPITALE IMMOBILIZZATO 4.528 CAPITALE LORDO 5.331 CAPITALE NETTO 4.415

Il valore del capitale netto, rappresentato dalla differenza fra capitale lordo e capitale di terzi, risulta pari a:

CN = Capitale Lordo (CL) – Capitale di Terzi (CT) = 5.331.000 – 916.000 = 4.415.000 €

I valori delle diverse voci ottenute dalla classificazione delle componenti del capitale consentono di procedere alla determinazione degli indici patrimoniali:

MT = Liquidità - Debiti a breve = 425.00 + 180.000 – 311.000 = 294.000 €

MD = Capitale circolante - Debiti a breve = 803.000 – 311.000 = 592.000 €

MS = Capitale netto – Immobilizzazioni = 4.415.000 – 4.528.000 = -113.000 €

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1.2 IL LAVORO NELL’IMPRESA7 1.2.A IL LAVORO DIPENDENTE

I lavoratori dipendenti sono definiti come “tutte le persone che, per contratto, lavorano per un’altra istituzione, percependo una remunerazione (registrata come redditi da lavoro dipendente)”. A tale categoria appartengono tutte le persone assunte da un datore di lavoro (impresa, unità istituzionale dell’amministrazione pubblica o istituzione senza scopo di lucro) sulla base di un contratto di lavoro.

La classificazione del rapporto di lavoro dipendente avviene in relazione a due aspetti principali essenziali: durata del contratto (tempo indeterminato o tempo determinato) e durata della prestazione (tempo pieno o tempo ridotto). Una ulteriore distinzione può essere effettuata fra le modalità di lavoro distinguendo da quella “classica” (quando il lavoratore svolge la sua attività presso l’impresa con la quale ha stipulato il contratto di lavoro) le altre che presentano caratteri particolari, come il lavoro a domicilio, il lavoro interinale e il telelavoro8.

Fra i contratti a tempo indeterminato, oltre a quelli “tipici” regolati dal contratto nazionale di categoria, sono inclusi i contratti part-time, che regolano i rapporti di lavoro con una prestazione settimanale ridotta rispetto a quella definita nel contratto nazionale di categoria, e i contratti di job-sharing, o lavoro a coppia, che prevedono lo svolgimento del lavoro equivalente ad una prestazione a tempo pieno attraverso l’impiego di due occupati.

Le forme di lavoro a tempo determinato possono assumere caratterizzazioni molto differenti. Il contratto a tempo determinato in senso stretto, che può essere a tempo pieno o a tempo ridotto, presenta, se si esclude l’apposizione di un termine temporale, le stesse caratteristiche di un contratto tipico o part-time. Viene denominato “in senso stretto” per distinguerlo dalle altre tipologie contrattuali a tempo determinato. Fra queste sono da considerare:

- apprendistato, che ha la caratteristica principale nella natura mista del contratto; la prestazione lavorativa, infatti, viene scambiata non solo con il salario, ma anche con l’addestramento teorico- pratico, finalizzato alla qualifica professionale;

- formazione e lavoro, nella quale, analogamente all’apprendistato, il datore di lavoro è sottoposto all’obbligo di provvedere all’addestramento professionale del giovane assunto (contratto di lavoro a causa mista);

- stage o tirocinio, che rappresenta per i giovani un occasione per entrare in contatto con il mondo del lavoro, alternando momenti di studio e lavoro, senza dare origine ad un rapporto di lavoro vero e proprio; 7 Il contenuto di questo paragrafo rappresenta una sintesi del documento “Proposta di classificazione dei rapporti di lavoro subordinato e delle attività di lavoro autonomo: analisi del quadro normativo” curato da Nadia Di Veroli e Roberta Rizzi dell’ISTAT e presentato nel Gennaio 2002 8 L’aspetto caratteristico del lavoro a domicilio e del telelavoro è che il lavoratore può rendere la propria prestazione senza recarsi presso il luogo di lavoro. Il lavoro a domicilio, dal punto di vista retributivo, si può considerare una forma di “lavoro a cottimo”, ossia un rapporto di lavoro subordinato dove però la remunerazione del lavoratore è commisurata al lavoro commissionato. Nel caso del telelavoro l’attività lavorativa è svolta attraverso l’utilizzo di strumenti informatici che consentono sia il contatto continuo tra datore di lavoro e lavoratore sia una forma di controllo da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Il lavoro interinale è caratterizzato dalla presenza di un terzo soggetto (l’agenzia) che assume i dipendenti (con contratto per prestazione di lavoro temporaneo) per poi “fornirli” (con un contratto di fornitura) alle imprese richiedenti.

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- borse di lavoro, lavori socialmente utili, piani d’inserimento professionale, tre diverse tipologie di contratto istituite con la legge 196/97 (pacchetto Treu), alcuni dei quali attualmente non sono più in vigore.

La tabella 1 schematizza la suddivisione effettuata fra le varie tipologie contrattuali a tempo indeterminato e determinato, indicando le relative modalità di lavoro (classica, a domicilio, interinale, telelavoro) e di durata della prestazione (tempo pieno o ridotto) previste per legge.

Tabella 1 - Classificazione delle tipologie contrattuali

Modalità di svolgimento del lavoro

Classica A domicilio Interinale Telelavoro Tipologie Contrattuali Tempo

pieno Part-time Tempo

pieno Part-time

Tempo pieno

Part-time

A TEMPO INDETERMINATO

Contratti tipici x x x x

Contratti part-time x x x

Job sharing x x

A TEMPO DETERMINATO

In senso stretto x x x x x x x

Apprendistato x x

Formazione e lavoro x x x x

Tirocini o stage

Borse di lavoro Lavori socialmente utili Piani inserimento prof.

x

CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO CONTRATTI TIPICI

Il rapporto di lavoro subordinato è la forma più diffusa di utilizzazione dell’attività lavorativa. E’ quel rapporto di lavoro che si instaura tra un datore di lavoro ed un soggetto che assume la qualifica di lavoratore dipendente. E’ un classico contratto di scambio nel quale il dipendente presta la propria opera e mette a disposizione il proprio tempo e le proprie energie nei confronti di un altro soggetto, il quale ha la facoltà di organizzare, dirigere e utilizzare l’altrui attività in cambio di una retribuzione.

Le condizioni del rapporto vengono fissate all’atto dell’assunzione mediante la stipula del contratto di lavoro. Solitamente le condizioni contrattuali sono standard,

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ossia si riferiscono alle condizioni previste dai contratti collettivi di riferimento per quel settore di attività (i cosiddetti CCNL). La legge fissa la soglia di trattamento minimo a garanzia dei diritti inderogabili del lavoratore, il miglioramento delle condizioni minime è poi lasciato alla contrattazione individuale, portata avanti dal singolo lavoratore o alla contrattazione collettiva, di competenza delle organizzazioni sindacali.

Una volta formalizzata l’assunzione, il lavoratore sarà tenuto a svolgere la prestazione lavorativa oggetto del contratto, ossia a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto. Il datore di lavoro può modificare le mansioni assegnate al lavoratore, purché tale modifica non leda la professionalità acquisita dal dipendente, e detiene il potere direttivo (decisione dell’attività da affidare al lavoratore e indicare le modalità con cui deve essere svolta), di vigilanza e controllo (facoltà di verificare direttamente o tramite collaboratori che il lavoratore si attenga alle istruzioni date) e disciplinare (applicare sanzioni disciplinari al lavoratore che non rispetti gli obblighi).

Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può terminare per scelta consensuale delle parti, per decisione unilaterale del datore di lavoro (licenziamento) o del dipendente (dimissioni). Il datore di lavoro può licenziare il dipendente solo in presenza di valide ragioni (giusta causa o giustificato motivo); in ogni caso il lavoratore può verificare le motivazioni addotte e, nel caso di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro sarà soggetto alle conseguenze previste dalla legge. In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, qualunque ne sia il motivo, il lavoratore ha diritto alla riscossione del trattamento di fine rapporto (il cosiddetto TFR), ossia una sorta di accantonamento che matura durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. PART-TIME

Il contratto a tempo parziale (o part-time) è un rapporto di lavoro subordinato contraddistinto da un orario di lavoro ridotto rispetto all’orario normale stabilito dalla legge o dai contratti collettivi per i lavoratori a tempo pieno. La disciplina legislativa in vigore consente la pattuizione di riduzione di orario di lavoro in senso orizzontale (lavoro tutti i giorni in misura ridotta), verticale (lavoro a tempo pieno solo alcuni giorni) o misto (combinazione delle due forme precedenti). Le condizioni della prestazione lavorativa a tempo parziale sono rimesse alla contratto collettivo nazionale, territoriale e aziendale e devono essere stipulate per accordo scritto tra le parti. Il contratto part-time non prevede a priori una limitazione temporale del rapporto.

I lavoratori a tempo parziale hanno diritto al trattamento economico previsto per i lavoratori a tempo pieno proporzionato alla durata dell’orario di lavoro part-time; in ogni caso l’ammontare della retribuzione da prendere a base per il calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore ad un particolare “minimale”. JOB-SHARING

Il contratto di lavoro ripartito, detto anche lavoro a coppia o job-sharing, è un contratto di lavoro con il quale più lavoratori, solitamente due, assumono contemporaneamente una medesima obbligazione di lavoro subordinato che corrisponde ad un solo posto di lavoro a tempo pieno. Questa particolare forma di lavoro si presenta come uno strumento flessibile particolarmente vantaggioso sia per le imprese, dal momento che garantisce normalmente una maggiore produttività del lavoro, che per gli stessi lavoratori che possono beneficiare di una migliore gestione del tempo. I lavoratori, infatti, hanno la facoltà di ripartirsi, secondo le proprie esigenze, l’orario e la quantità di lavoro, anche in base a modalità di volta in volta differenti.

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D’altro canto sono presenti anche alcune limitazioni. Nel contratto devono essere indicate la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro che si prevede venga svolto da ciascun lavoratore. Ciascun lavoratore è responsabile per intero della prestazione, ne consegue che, in caso d’inadempimento da parte di uno dei lavoratori, il datore di lavoro può pretendere l’adempimento dell’intera prestazione da parte dell’altro. Le persone che lavorano con lo stesso contratto hanno il vincolo di sostituirsi vicendevolmente in caso d’impedimento di uno di loro, in modo tale che nell’orario di lavoro sia sempre presente una persona.

Il job-sharing si distingue dal part-time sotto due aspetti: non è espressamente disciplinato dalla legge e i lavoratori condividono la medesima obbligazione contrattuale, in quanto sono titolari e responsabili del medesimo rapporto contrattuale.

La retribuzione spettante a ciascun lavoratore è calcolata in base alla prestazione effettivamente svolta. Per gli aspetti previdenziali ed assicurativi i due lavoratori contitolari del contratto sono assimilabili ai lavoratori a tempo parziale.

Il licenziamento o le dimissioni di un lavoratore della coppia dovrebbe comportare l’estinzione dell’intero contratto. Tuttavia al datore di lavoro è data la facoltà di accettare l’ingresso “nella coppia” di un altro lavoratore oppure di convertire il job-sharing in contratto a tempo pieno con il lavoratore che è rimasto a disposizione. CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO LAVORO A TEMPO DETERMINATO IN SENSO STRETTO

Sono contratti per molti aspetti simili a quelli tipici, con la fondamentale differenza che vi viene apposto un termine9. Il termine del contratto di lavoro può essere stabilito sia con riferimento ad una certa data del calendario, sia con riferimento al ricorrere di un evento il cui verificarsi sia relativamente certo.

Non esiste un limite minimo o massimo della durata, tranne nel caso dei dirigenti per i quali non può eccedere i cinque anni. Il contratto a tempo determinato può essere prorogato, eccezionalmente, una sola volta, per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale. La proroga deve essere richiesta per ragioni oggettive, e si deve riferire alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato stipulato. Qualora il contratto venisse irregolarmente prorogato o si protraesse oltre la scadenza inizialmente pattuita, il rapporto dovrebbe considerarsi a tempo indeterminato. Nel caso di stipula di più contratti successivi, affinché non si verifichi tale trasformazione, è necessario che tra un contratto e l’altro intercorra un lasso di tempo minimo, superiore a quindici o trenta giorni, a seconda che il primo contratto abbia avuto una durata rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi.

Il lavoratore a tempo determinato ha diritto allo stesso trattamento economico degli assunti a tempo indeterminato in proporzione al periodo lavorativo prestato.

9 Sussiste il divieto di apporre un termine al contratto in una serie di casi espressamente dichiarati: a) sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato; c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

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APPRENDISTATO

L’apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro in cui il datore di lavoro è obbligato, oltre a corrispondere una retribuzione al lavoratore per l’opera che presta nell’impresa, ad impartire l’insegnamento necessario perché questi possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato.

L’apprendista non è un normale lavoratore subordinato, quindi non può essere ritenuto né un impiegato né un operaio. La distinzione tra l’apprendista e il lavoratore subordinato non è nella qualifica formale di assunzione, né nell’età del lavoratore, né nella retribuzione corrisposta, ma nel diritto dell’apprendista, contestualmente all’obbligo di prestare la propria collaborazione nell’impresa, di ricevere un insegnamento professionale. Trattasi di un rapporto a causa mista, dove la prestazione lavorativa dell’apprendista viene scambiata non solo con il salario, ma anche con l’addestramento teorico-pratico finalizzato alla qualifica professionale. La formazione dell’apprendista deve essere svolta all’interno dell’azienda per affiancamento e all’esterno mediante la frequenza di specifici corsi.

Possono essere assunti come apprendisti i giovani di età compresa tra i 16 anni e i 24 anni, con alcune eccezioni che accrescono il massimale. La durata del rapporto è limitata dalla legge che stabilisce una durata minima di 18 mesi ad una massima di 4 anni. L’orario di lavoro non può superare le 8 ore giornaliere e le 44 settimanali.

La retribuzione che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere all’apprendista è stabilita dal contratto collettivo o, se questo non esiste, dall’accordo tra l’apprendista e il datore di lavoro. Il trattamento contributivo per gli apprendisti si differenzia da quello stabilito per la generalità dei lavoratori in quanto l’ammontare dei contributi è inferiore ed inoltre gli apprendisti non sono soggetti a tutte le forme assicurative. Il beneficio contributivo permane per l’intera durata del rapporto di apprendistato e prosegue per i 12 mesi successivi all’eventuale trasformazione a tempo indeterminato. L’intero costo del personale con qualifica di apprendista non concorre a formare la base imponibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). FORMAZIONE E LAVORO

Il contratto di formazione e lavoro (CFL) dà luogo ad un particolare rapporto di lavoro a tempo determinato contraddistinto, oltre che dallo scambio fra prestazione lavorativa e retribuzione, dall’obbligo del datore di lavoro di provvedere all’addestramento professionale del giovane assunto. Le ore da dedicare alla formazione e quelle da dedicare alla prestazione lavorativa vengono stabilite dall’azienda, mentre il progetto formativo viene sottoposto alle Commissioni regionali per l’impiego.

L’incidenza dell’attività di formazione varia se il rapporto è mirato ad acquisire professionalità elevate oppure ad agevolare l’inserimento professionale mediante un’esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo e organizzativo.

Possono essere assunti con CFL i lavoratori con età compresa fra 16 e 25 anni, aumentati a 29 per i laureati e a 32 per i disoccupati di lunga durata. La durata massima dei CFL è stabilita dalla legge in 12 mesi (inserimento professionale), 24 mesi (acquisizione di professionalità elevate) o 36 mesi (attività di ricerca).

Il lavoratore assunto con CFL ha diritto al medesimo trattamento economico previsto per i lavoratori assunti con ordinario contratto di lavoro subordinato. Per i datori di lavoro che assumono giovani con CFL sono previste agevolazioni contributive.

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TIROCINI FORMATIVI O STAGES

Il tirocinio è un rapporto triangolare tra un tirocinante, di qualsiasi età purché abbia assolto gli obblighi scolastici, un’azienda ospitante (pubblica o privata) e un Ente promotore. Quest’ultimo può essere un’Agenzia regionale per l’impiego, un Ufficio del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, un Università, un istituzione scolastica, un centro pubblico di formazione professionale, una comunità terapeutica, una cooperativa sociale. L’Ente promotore stipula con l’azienda una convenzione e allega un progetto formativo e di orientamento per ciascun tirocinio, dove vengono esplicitate le mansioni da svolgere, la durata, il luogo di svolgimento, i nomi dei responsabili. L’Ente promotore garantisce la presenza di un tutor come responsabile didattico-organizzativo delle attività mentre l’azienda ospitante indica il responsabile al quale i tirocinanti devono fare riferimento. L’esperienza, certificata dalle strutture promotrici, ha valore di credito formativo e può essere riportata nel curriculum dello studente o del lavoratore ai fini dell’erogazione da parte delle strutture pubbliche dei servizi per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.

I tirocini formativi rappresentano per i giovani un’opportunità per facilitare le proprie scelte professionali attraverso la conoscenza diretta del mondo del lavoro e un’occasione per realizzare momenti d’alternanza tra studio e lavoro. Per le aziende rappresentano uno strumento attraverso il quale è possibile operare una preselezione del personale senza obblighi di assunzione. Infatti, il tirocinio non si configura come rapporto di lavoro, e quindi non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento.

La durata del contratto varia da 6 a 12 mesi durante i quali il tirocinante o stagista non è sottoposto ad alcun vincolo di orario relativamente all’attività prestata.

Il tirocinio, non rappresentando un rapporto di lavoro, non è in alcun modo retribuito. Tuttavia, è consentito al tirocinante il rimborso delle spese documentate, quali buoni pasti, trasporti, ecc. Non sono previste forme di previdenza obbligatoria, dal momento che il tirocinio non rappresenta un rapporto di lavoro, ad esclusione del fatto che gli Enti promotori sono tenuti ad assicurare i tirocinanti presso l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), nonché presso un’idonea compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi. ALTRE FORME DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

Borse di lavoro: rappresentano una nuova opportunità per favorire l’incontro tra aziende e disoccupati nelle aree che registrano un tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale10, con l’obiettivo di creare posti stabili, attraverso la riduzione contributiva in caso di assunzione a tempo indeterminato. Prevedono la possibilità di inserire in aziende appartenenti a determinati settori, giovani di età compresa tra 21 e 32 anni, iscritti alle liste di collocamento da almeno 30 mesi. L’attività del borsista deve svolgersi per almeno 3 giorni a settimana ma non si possono superare le 8 ore al giorno per un totale di 20 ore settimanali. La durata del contratto, che non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, è compresa fra i 10 e i 12 mesi e prevede un retribuzione, erogata dall’INPS, pari a circa 400 € mensili.

10 Le aree in cui sono attive le borse lavoro sono le regioni Sardegna, Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Molise e le province di Massa Carrara, Frosinone, Roma, Latina, Viterbo.

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Lavori Socialmente Utili (LSU): indicano tutte le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo di particolari categorie di soggetti (lavoratori in cerca di prima occupazione, disoccupati iscritti da più di due anni alle liste di collocamento, iscritti alle liste di mobilità, lavoratori individuati dalle commissioni regionali per l’impiego, detenuti ammessi a lavoro esterno). I soggetti promotori (enti locali, amministrazioni pubbliche, società a prevalente partecipazione pubblica, cooperative sociali) si devono impegnare a realizzare nuove attività stabili e devono indicare nel progetto un piano d’impresa. L’attività nell’ambito del progetto non deve essere inferiore alle 20 ore settimanali ma non eccedere le 8 ore giornaliere. Il superamento dell’orario fissato comporta l’obbligo di erogare una somma integrativa. La durata del contratto è di 12 mesi prorogabili per due periodi di 6 mesi ciascuno e prevede un sussidio di circa 400 € erogato dall’INPS. Questo tipo di contratto non è più attivo dal 2002.

Piani di Inserimento Professionale (PIP): sono attuati attraverso progetti che hanno lo scopo di migliorare la formazione e di facilitare l’inserimento professionale dei giovani nelle aree del mezzogiorno e in altre aree depresse. I progetti sono realizzati dal Ministero del Lavoro d’intesa con le regioni interessate e prevedono periodi di formazione e di esperienza lavorativa presso le imprese. Possono essere assunti nei PIP i giovani tra i 19 e i 32 anni la cui partecipazione ai progetti non può superare le 80 ore mensili per un massimo di 12 mesi. Ai giovani è corrisposto, da parte delle Direzioni Provinciali del Lavoro, un sussidio di circa 4 € per ogni ora di formazione svolta e di attività prestata. La metà dell’indennità, esclusa quella delle ore di formazione, è a carico del datore di lavoro, la parte restante a carico del Fondo per l’Occupazione. MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DEL LAVORO LAVORO A DOMICILIO

La legge definisce lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia disponibilità, anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori committenti, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie oppure dello stesso imprenditore. Per la configurazione del rapporto di lavoro a domicilio è sufficiente che il lavoratore sia tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche ed i requisiti del lavoro da svolgere. Proprio in virtù della sussistenza di una subordinazione del lavoratore al committente. il lavoro a domicilio si distingue dal lavoro autonomo. I datori di lavoro che intendono commissionare lavoro a domicilio devono iscriversi in un apposito “registro dei committenti” istituito presso l’ufficio provinciale del lavoro.

I lavoratori a domicilio debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di cottimo pieno, determinate dai contratti collettivi di categoria; in mancanza di queste, le tariffe e le indennità accessorie sono fissate da una apposita Commissione a livello regionale. I contributi a carico del datore di lavoro e del lavoratore sono gli stessi in vigore per la generalità dei lavoratori. I lavoratori a domicilio hanno diritto alle prestazioni previdenziali previste per la generalità degli altri lavoratori ma con alcune differenze dovute alle peculiarità del rapporto di lavoro.

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TELELAVORO

Il Telelavoro racchiude tutte le forme di lavoro effettuate in un luogo distante dall’ufficio centrale o dal centro di produzione, mediante l’utilizzo delle tecnologie informatiche che favoriscono la comunicazione. Gli elementi caratterizzanti sono quello “spaziale”, nel senso che il lavoratore può rendere la propria prestazione senza recarsi nel luogo di lavoro, e quello “tecnologico”, inteso come utilizzo di strumenti che consentono al lavoratore di mantenere un collegamento con il datore di lavoro, pur in assenza di una presenza fisica in azienda. Il telelavoro, benché sia una prestazione d’opera svolta al di fuori dei confini aziendali, non implica una trasformazione del rapporto di lavoro, dal momento che risulta essere solo un modo diverso per svolgere la propria attività lavorativa.

Un telelavoratore può avere un contratto a tempo indeterminato o determinato, a tempo pieno o part-time; di conseguenza le caratteristiche di questa tipologia lavorativa sono desumibili dalla contrattazione e dalla legislazione cui essa fa capo. Tuttavia risulta difficoltoso considerare i telelavoratori quali lavoratori subordinati, dato che alcuni degli aspetti tipici del lavoro dipendente assumono, in questo caso, caratteristiche assolutamente particolari. Basti pensare all’orario di lavoro gestito non in base a rigide disposizioni aziendali ma mediante un collegamento telematico.

Gli aspetti positivi di tale forma di lavoro sono legati a vantaggi individuali (riduzione degli spostamenti, orario di lavoro più flessibile e congeniale alle proprie esigenze, aumento del tempo libero a parità di ore lavorate) e collettivi (riduzione di traffico e inquinamento). Tra i lati negativi sono da considerare l’assenza di momenti di socializzazione, insiti nello svolgimento di un’attività lavorativa con altri colleghi, la perdita di contatto con l’azienda, la difficoltà di ricevere una tutela sindacale dei propri diritti. La possibilità di realizzare periodi di rientro in azienda, accompagnati da interventi formativi, rappresenta un modo per annullare alcuni di tali svantaggi. LAVORO INTERINALE

E’ il contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo (impresa fornitrice) pone uno o più lavoratori da essa assunti a disposizione di un’impresa che ne utilizzi la prestazione lavorativa (impresa utilizzatrice) per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo, rientranti tra quelle previste dalla legge o dai contratti collettivi. Il lavoratore interinale, pur essendo assunto e retribuito dall’impresa fornitrice, svolge la propria attività sotto la direzione e il controllo dell’impresa utilizzatrice. L’impresa utilizzatrice paga all’agenzia sia l’ammontare della retribuzione del lavoratore che il servizio di fornitura della manodopera. Il lavoro interinale si configura, quindi, come un rapporto trilaterale tra lavoratore, agenzia di lavoro temporaneo e impresa utilizzatrice. I rapporti intercorrenti tra i tre soggetti sono regolati da due distinti contratti: il contratto di fornitura ed il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, dettagliatamente disciplinati dalla legge.

Il ricorso al lavoro interinale è ammesso solo per la temporanea copertura di ruoli non previsti dai normali assetti aziendali o per sostituire lavoratori assenti. L’attività di fornitura di lavoro temporaneo può essere esercitata soltanto da società iscritte in apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro.

Il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, con il quale l’impresa fornitrice assume il lavoratore che metterà a disposizione dell’impresa utilizzatrice, prevede

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un’assunzione a termine, per una durata corrispondente a quella della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice, oppure a tempo indeterminato, nel qual caso il lavoratore rimane a disposizione dell’impresa fornitrice percependo comunque un’indennità mensile. Il prestatore di lavoro temporaneo ha diritto ad un trattamento retributivo non inferiore a quello corrisposto ai dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice. I contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche. Gli oneri contributivi per le assicurazioni obbligatorie gestite dall’INPS e dall’INAIL sono a carico dell’impresa fornitrice, inquadrata, ai fini previdenziali, nel settore terziario. DATI SUL LAVORO DIPENDENTE IN ITALIA

Al termine della illustrazione delle diverse tipologie e modalità di svolgimento del lavoro dipendente previste dall’ordinamento attuale, si ritiene utile fornire un’indicazione molto generale del numero di lavoratori appartenenti alle principali categorie individuate così come rilevato durante l’ultimo censimento della popolazione condotto il Italia nel 2001.

Nella tabella 2 viene riportato il numero di occupati dipendenti, distinti fra assunti a tempo indeterminato e alcune tipologie di contratto a tempo determinato. Come si osserva, la quota di occupati a tempo indeterminato è nettamente prevalente con un incidenza sul totale che sfiora l’84%. Tale dato, a distanza di oltre cinque anni dal censimento, si è certamente ridotto in relazione all’effetto di alcune recenti politiche che hanno notevolmente incrementato la flessibilità del lavoro dipendente. Nella tabella 3 gli occupati sono distinti fra tempo pieno e part-time, evidenziando una presenza dei secondi che supera l’11%, un valore non trascurabile se si considera la relativamente recente introduzione di questa forma contrattuale.

Tabella 2 - Occupati dipendenti per rapporto di lavoro (ISTAT, 2001) RAPPORTO DI LAVORO Occupati

A tempo indeterminato 12.910.269

Contratto di apprendistato 228.528 Contratto di formazione e lavoro 392.639 Contratto di lavoro interinale 212.594 Altri contratti a tempo determinato 1.635.006

Totale a tempo determinato 2.468.767

Totale 15.379.036

Tabella 3 - Occupati dipendenti per tipo di impegno (ISTAT, 2001) Tipologia impegno Occupati A tempo pieno 18.661.036 A tempo parziale 2.332.696 Totale 20.993.732

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1.2.B IL LAVORO AUTONOMO

Il lavoro autonomo si identifica nella prestazione di un’opera o servizio, da parte di una persona nei confronti di un committente, dietro corrispettivo di un pagamento in denaro o natura. Il lavoro prestato deve essere prevalentemente proprio ed effettuato senza vincolo di subordinazione, caratteristica tipica del lavoro dipendente.

Il lavoro autonomo si differenzia dal lavoro subordinato per: • grado di responsabilità e autonomia nello svolgimento dell’attività, che è presente

in misura maggiore nel primo caso e assente o quasi nell’altro; • organizzazione del tempo di lavoro, che nel lavoro autonomo è senza regole e

limiti, in quello dipendente è regolamentato; • fattore di rischio, che nel primo caso cade sul prestatore d’opera mentre nel

secondo sul datore di lavoro; • la forma di remunerazione, che nel lavoro autonomo è direttamente commisurata

alla quantità e qualità della prestazione, nell’altro caso è concordata al momento della costituzione del rapporto di subordinazione in base alle mansioni e alle competenze del lavoratore.

Nell’ambito del lavoro autonomo si possono distinguere le seguenti attività: atipiche-parasubordinate, di libera professione, di esercizio d’impresa.

Le attività atipiche possono essere saltuarie o frequenti; le prime prevedono una “collaborazione occasionale”, le seconde, che si protraggono per un certo periodo di tempo, vengono definite “collaborazioni coordinate e continuative”. Queste forme di collaborazione sono qualificate come ‘parasubordinate’ a causa della prossimità al lavoro subordinato, infatti sono svolte a favore di uno specifico soggetto, secondo modalità predeterminate e con ridotti margini di discrezionalità.

Le attività professionali, in cui il carattere intellettuale della prestazione è prevalente rispetto a quello manuale, sono contraddistinte da un elevato livello di autonomia nella modalità di esecuzione del lavoro.

Per quanto riguarda l’esercizio d’impresa va eseguita una distinzione fra “impresa in forma individuale” e “impresa in forma associata”; la prima viene esercitata da una persona fisica, singolarmente o insieme ai familiari, la seconda da parte di una pluralità soggetti organizzati in una società.

A seguire vengono descritte le principali caratteristiche delle prime due tipologie di lavoro autonomo, mentre, per quanto concerne l’esercizio di impresa verrà eseguita una trattazione più approfondita nel successivo paragrafo. ATTIVITA’ ATIPICHE-PARASUBORDINATE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE

La collaborazione coordinata e continuativa nonostante la prossimità al lavoro subordinato, è da ricondursi alla più generale categoria del lavoro autonomo. A differenza del lavoratore autonomo, però, che ha una propria struttura imprenditoriale (seppure spesso minima), una specifica professionalità e la possibilità di operare a favore di più soggetti, il collaboratore coordinato e continuativo rende la propria prestazione per un periodo significativo a favore di uno specifico soggetto, secondo modalità predeterminate e con margini di discrezionalità ridotti. Il carattere parasubordinato delle collaborazioni coordinate e continuative è stato recentemente

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riconosciuto anche a livello fiscale in quanto i relativi proventi sono stati inquadrati fra i redditi di lavoro dipendente invece che fra i redditi di lavoro autonomo.

Formalmente, un rapporto di lavoro si può definire di “collaborazione coordinata e continuativa” se presenta requisiti di continuità (il rapporto non è occasionale né si esaurisce con l’esecuzione di una o più specifiche prestazioni ma include un insieme di prestazioni che nel complesso possono essere considerate come un’unica collaborazione), coordinazione (il collaboratore s’inserisce nell’organizzazione del committente e con la propria attività opera per il raggiungimento delle finalità perseguite dal committente stesso, pur mantenendo piena autonomia nella scelta delle modalità per l’esecuzione della prestazione), individualità (la prestazione resa dal collaboratore ha carattere essenzialmente personale).

La durata del contratto non è predefinita in quanto dipende dal tipo di prestazione e dai termini dell’accordo tra committente e collaboratore. L’orario di lavoro, in ragione del fatto che il collaboratore è un lavoratore autonomo, non è stabilito. La retribuzione è periodica (mensile, trimestrale o annuale) e stabilita nel contratto. La collaborazione coordinata e continuativa richiede l’obbligo d’iscrizione all’INPS da parte del lavoratore presso la sede nel cui ambito territoriale è residente il committente.

Le imprese che si avvalgono di collaboratori coordinati e continuativi, piuttosto che di lavoratori subordinati, hanno dei vantaggi in termini di risparmio contributivo ma rischiano vertenze da parte dei collaboratori, generalmente a conclusione del rapporto di lavoro, se questi sono in grado di dimostrare la subordinazione del rapporto di lavoro. COLLABORAZIONI OCCASIONALI

Una collaborazione viene definita occasionale quando è saltuaria, ovvero non viene reiterata più volte nel tempo. La figura del collaboratore occasionale presenta alcuni aspetti che lo configurano come un lavoratore autonomo: in particolare, la sua attività può essere svolta senza vincoli di orario e non risulta strutturata all’interno del ciclo produttivo ma solo di supporto al raggiungimento degli obiettivi del committente. Queste caratteristiche, tuttavia, sono spesso più teoriche che effettive, il che induce a considerare tali rapporti nell’ambito della ‘parasubordinazione’.

Il lavoratore occasionale presta la propria attività dietro pagamento di un corrispettivo assoggettato a ritenuta d’acconto del 20%. Oltre ad emettere una ricevuta dell’importo lordo del compenso, egli è tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi per i compensi ricevuti. Il rapporto di lavoro occasionale non presenta nessun obbligo previdenziale o assicurativo; per questa ragione, molti contratti che per loro natura dovrebbero essere continuativi vengono classificati dai committenti come occasionali. LIBERI PROFESSIONISTI

I liberi professionisti sono coloro che esercitano abitualmente attività di lavoro autonomo. L’attività professionale si contraddistingue per il carattere intellettuale della prestazione (esclusivo o prevalente rispetto a quello manuale), per l’autonomia della modalità di esecuzione del lavoro, per il diritto all’onorario della prestazione, indipendente dalla soddisfazione del cliente.

In genere l’accesso alla professione è regolamentato dagli Ordini Professionali che custodiscono gli Albi in cui sono iscritti coloro che possono esercitarla. Esistono però categorie che non hanno Ordine ma solo Albo Professionale, e altre ancora che non hanno ne l’uno ne l’altro, ma ciò non ostacola la qualificazione dell’attività svolta come

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di tipo professionale. In caso di presenza dell’Albo, per l’iscrizione sono necessari alcuni requisiti tra cui: un adeguato titolo di studio, titoli professionali quali tirocinio o praticantato, il superamento dell’esame d’abilitazione.

I professionisti sono tenuti a dichiarare l’inizio dell’attività presso l’Ufficio IVA competente in base al domicilio fiscale del richiedente, per poter accedere alla professione. I professionisti con cassa di previdenza versano annualmente i contributi ad essa; i professionisti iscritti ad albi ma senza cassa hanno la possibilità o di costituirne una attraverso l’associazione, o di aderire ad una cassa già esistente o d’iscriversi alla gestione dei lavoratori autonomi dell’INPS. DATI SUL LAVORO NELLE IMPRESE

Per avere un’idea della presenza nelle imprese di alcune delle diverse tipologie di lavoro precedentemente illustrate, nella tabella 4 vengono riportati alcuni dati rilevati nel corso dell’ultimo censimento dell’industria e dei servizi del 2001. In particolare, viene riportato il numero totale di imprese e di addetti, distinto fra lavoratori dipendenti ed indipendenti, a livello nazionale per settore economico. Vengono inoltre individuate le categorie dei collaboratori coordinati e continuativi (Co.Co.Co) e dei lavoratori interinali, in quanto considerate non completamente dipendenti né indipendenti. A corredo della tabella, per completezza, viene riportata la definizione assunta dall’ISTAT per le diverse tipologie di lavoro presenti nella tabella.

Tabella 4 – Tipologie di lavoro nelle imprese per settore economico (ISTAT, 2001) Settore

Economico Imprese Dipendenti Indipendenti Addetti Co.Co.Co Interinali

INDUSTRIA 1.098.789 5.134.802 1.552.525 6.687.327 171.468 61.095

COMMERCIO 1.230.731 1.485.876 1.661.900 3.147.776 124.194 10.159

SERVIZI 1.754.446 3.606.408 2.271.397 5.877.805 331.945 29.002

Totale 4.083.966 10.227.086 5.485.822 15.712.908 627.607 100.255 Impresa: unità giuridico-economica che produce beni e servizi destinabili alla vendita. Dipendente: persona che svolge la propria attività lavorativa in un’unità giuridico-economica e che è iscritta nei libri paga dell’impresa, anche se responsabile della sua gestione. Indipendente: persona che svolge la propria attività lavorativa in un’unità giuridico-economica senza vincoli di subordinazione (titolari, soci e amministratori di impresa che lavorano nell’impresa e non ricevono remunerazioni esplicite; parenti o affini del titolare che prestano lavoro senza retribuzione contrattuale e versamento di contributi). Addetto: persona occupata in un’unità giuridico-economica, come lavoratore indipendente o dipendente (a tempo pieno, a tempo parziale o con contratto di formazione e lavoro). Collaboratore coordinato e continuativo: persona che presta la propria opera presso un’impresa con rapporto di lavoro non soggetto a vincolo di subordinazione e che fornisce una prestazione dal contenuto intrinsecamente professionale, svolta in modo unitario e continuativo per un tempo predeterminato, ricevendo un compenso a carattere periodico e prestabilito. Lavoratore interinale: persona assunta da un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo (impresa fornitrice) la quale pone uno o più lavoratori a disposizione di un’altra unità giuridico-economica (impresa utilizzatrice) per coprire un fabbisogno produttivo a carattere temporaneo.

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1.3 TIPOLOGIE DI IMPRESE

In questo paragrafo si cercherà di fornire un quadro sintetico delle diverse tipologie di imprese che operano all’interno dei diversi settori produttivi.

Intendendo con impresa una “unità giuridico-economica che produce beni e servizi destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, ha facoltà di distribuire i profitti realizzati ai soggetti proprietari” (definizione adottata dall’ISTAT), è possibile distinguere imprese individuali, società di persone, società di capitali e società cooperative. Inoltre, sempre in base a tale definizione, sono da considerare imprese anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

1.3.A IMPRESE IN FORMA INDIVIDUALE

In questa categoria rientrano sia l’impresa individuale vera e propria sia l’impresa familiare; le due forme presentano alcuni caratteri comuni ma anche delle differenze significative.

Si ha un’impresa individuale quando l’iniziativa è promossa da un solo individuo, l’imprenditore individuale, il quale assume in nome proprio tutte le obbligazioni aziendali, con la conseguenza di risponderne con il proprio patrimonio personale. Tale forma giuridica ha il vantaggio della semplicità di costituzione, della snellezza decisionale, dei ridotti oneri costitutivi e amministrativi e dalla assenza della richiesta di un capitale iniziale. D’altro canto le imprese individuali hanno degli svantaggi, principalmente dal punto di vista fiscale (il reddito d’impresa si somma agli altri redditi del titolare comportando maggiori livelli di tassazione) e del rischio, in quanto l’imprenditore si assume una responsabilità illimitata rispondendo con il suo patrimonio personale rispetto alle obbligazioni d’impresa.

Si ha un’impresa familiare quando l’attività viene svolta con l’ausilio di collaboratori familiari. Si tratta di una forma a metà strada tra la ditta individuale e la società; infatti, pur presentando la stessa struttura giuridica dell’impresa individuale, ne differisce per il fatto che partecipano all’attività i familiari dell’imprenditore, i quali prestano la propria attività lavorativa in modo continuativo, senza un rapporto di lavoro dipendente. L’imprenditore, anche in questo caso, è il titolare e responsabile della gestione ordinaria dell’impresa e ne risponde delle perdite; i collaboratori familiari partecipano agli utili dell’impresa, ai beni acquistati con essi ed alle decisioni sull’investimento degli utili, gli indirizzi produttivi e la cessione dell’impresa. I vantaggi di tale forma giuridica sono da ricercare nella presenza di ridotti oneri amministrativi, bassi costi di costituzione e nella possibilità di ripartire il reddito fra più soggetti, con conseguente riduzione del carico fiscale. Fra gli svantaggi, oltre alla responsabilità illimitata che investe il titolare d’impresa, vi è la necessità della stipula di un atto costitutivo presso un notaio. 1.3.B IMPRESE IN FORMA ASSOCIATA (SOCIETÀ)

La società è un organismo economico che si costituisce mediante un contratto: “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 del Codice Civile).

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Da tale definizione deriva che gli elementi caratteristici della società sono: • la pluralità dei soggetti; • il conferimento di beni o servizi; • l’esercizio in comune di un’attività; • lo scopo di dividere gli utili.

La principale distinzione giuridica tra gli enti societari è quella tra società di persone e società di capitali.

Le società di persone sono società fornite soltanto di autonomia patrimoniale imperfetta, infatti, in caso di debiti sociali contratti verso terzi, se il patrimonio della società non è sufficiente a soddisfare i creditori, i soci rispondono con il proprio patrimonio personale, eventualmente anche per la parte dovuta dagli altri soci. E’ la cosiddetta “responsabilità solidale e illimitata”, che si ha quando i soci non hanno beni propri sufficienti a soddisfare i creditori sociali. In questo caso assume rilievo la personalità dei soci, sia nei rapporti coi terzi, sia nei rapporti tra i soci stessi.

Le società di capitale sono società fornite di personalità giuridica, con autonomia patrimoniale perfetta. In questo caso, la persona giuridica ha un proprio patrimonio, distinto da quello delle persone fisiche che ne fanno parte. Nel caso di debiti sociali contratti verso terzi, i creditori possono agire solo sul patrimonio della persona giuridica (della società). In questo caso la personalità dei soci diventa irrilevante, dal momento che conferiscono solamente la quota sociale, mentre la società fonda il suo credito esclusivamente sul proprio patrimonio.

Il Codice Civile regola sei tipi di società, tre di persone e tre di capitale: la società semplice (artt.2251-2290) la società in nome collettivo (artt.2291-2312) la società in accomandita semplice (artt.2313-2324) la società per azioni (artt.2325-2461) la società in accomandita per azioni (artt.2462-2471) la società a responsabilità limitata (artt.2472-2497)

SOCIETÀ DI PERSONE

La società semplice è la forma più elementare di società, riservata all’esercizio d’attività professionale e agricola ma non commerciale. E’ denominata semplice perché l’atto costitutivo non è soggetto a forme speciali, e può essere concluso oralmente e perfino tacitamente. Nel caso in cui l’attività è esercitata senza un accordo tra le parti, ossia senza aver espressamente convenuto di dare vita ad una società, si parla di società di fatto. La società semplice, non esercitando attività commerciale, non è soggetta all’iscrizione nel Registro delle imprese.

La società semplice non è una persona giuridica, cioè non costituisce un soggetto di diritto a se stante, distinto dalle persone dei soci. Ne consegue che per le obbligazioni sociali rispondono, di regola, tutti i soci solidalmente e illimitatamente.

I soci hanno l’obbligo di eseguire i conferimenti per i quali ciascuno si è impegnato (oggetto di conferimento possono essere sia i beni che i servizi, tra i quali l’attività di lavoro), di non servirsi dei beni appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società, di partecipare alle perdite. I soci hanno il diritto di controllare l’amministrazione della società e partecipare alla divisione degli utili derivanti dall’esercizio dell’attività sociale. Le parti spettanti ai soci negli utili e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti.

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La società in nome collettivo (S.n.c), a differenza di quella semplice, è una società destinata di regola all’esercizio di un’attività commerciale, anche non è escluso che possa essere costituita anche per l’esercizio di un’attività economica non commerciale. L’atto costitutivo deve assumere la forma dell’atto pubblico, attraverso un patto tra i soci redatto direttamente da un notaio. L’atto deve essere depositato presso l’Ufficio del Registro e presso la Camera di Commercio per l’iscrizione nel Registro delle Imprese.

La società in nome collettivo, anche se iscritta nel registro delle imprese, non è fornita di personalità giuridica. I soci devono costituire un capitale della società per il quale non viene fissato un minimo, in quanto la garanzia principale dei creditori è rappresentata dal patrimonio personale dei soci. Presenta quindi un’autonomia patrimoniale imperfetta, anche se maggiore di quella della società semplice, in quanto accentua la separazione tra patrimonio della società e patrimonio dei singoli soci i quali, comunque, rispondono tutti solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali.

I soci della società in nome collettivo hanno gli stessi obblighi e gli stessi diritti dei soci della società semplice. In più è stabilito il divieto di concorrenza, secondo il quale il socio non può esercitare un’attività concorrente con quella della società. L’amministrazione della società spetta a tutti i soci, ma può essere affidata a uno o più di essi e gli utili, così come le perdite, vengono suddivisi in base alle quote sociali previste nel patto sociale.

La società in accomandita semplice (S.a.s.) è una società di persone con la particolarità di avere due categorie di soci con diversa responsabilità patrimoniale: gli accomandatari e gli accomandanti. Gli accomandatari, che hanno responsabilità patrimoniale illimitata e solidale verso i creditori sociali e ai quali viene demandata l’amministrazione della società, sono in genere persone con capacità lavorative e abilità nel commercio, ma che non dispongono di mezzi sufficienti. Gli accomandanti, che rispondono alle obbligazioni sociali solo limitatamente alla quota conferita, finanziano la società assumendo la posizione di soci e non di creditori: in questo modo la società non è gravata da interessi passivi, ma è solo tenuta alla ripartizione degli eventuali utili tra tutti i soci in proporzione alle quote di partecipazione.

L’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico deve contenere le stesse indicazioni necessarie per la costituzione della società in nome collettivo, con l’aggiunta dell’indicazione dei soci accomandatari e accomandanti, e deve essere depositato con le stesse modalità previste per la società in nome collettivo.

La società in accomandita semplice non è fornita di personalità giuridica. La sua autonomia patrimoniale è imperfetta, rispetto ai soci accomandatari, perfetta rispetto ai soci accomandanti. Questa situazione configura la S.a.s. quale società a responsabilità mista, intermedia tra la società in nome collettivo e le società di capitali. SOCIETÀ DI CAPITALE

La società per azioni (S.p.A.), in quanto tipica società di capitali, rappresenta la forma societaria classica delle imprese di maggiori dimensioni, alle quali occorrono mezzi ingenti per condurre la propria attività.

La S.p.A. risponde alle obbligazioni sociali esclusivamente con il suo patrimonio e per tale ragione vi si realizza un’autonomia patrimoniale perfetta, laddove la responsabilità dei soci è limitata alla quota conferita. Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da titoli commerciabili detti, appunto, azioni.

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La società per azioni oltre ad offrire grandissimi vantaggi, presenta anche alcuni inconvenienti, che possono manifestarsi a danno dei soci, dei creditori sociali e della collettività. Per i soci, gli inconvenienti nascono dalla leggerezza del vincolo che li lega alla società, determinato dalle azioni che possono essere acquistate e vendute, e dalla scarsa influenza che essi possono esercitare sul suo andamento; per i creditori sociali, l’inconveniente deriva dall’essere garantiti esclusivamente dal patrimonio della società; per la collettività, la società per azioni può rappresentare una potente concentrazione di capitali in grado di monopolizzare interi settori dell’economia.

La S.p.A. deve costituirsi per atto pubblico; coloro che sottoscrivono l’atto costitutivo prendono il nome di soci fondatori e devono versare un capitale sociale minimo di 100.000 €. L’atto costitutivo, che deve essere depositato presso l’Ufficio del Registro dal notaio che lo ha redatto, in questo caso non riveste un effetto puramente dichiarativo ma assume un’importanza fondamentale in quanto fa acquisire alla società una personalità giuridica.

Il funzionamento della società per azioni prevede la divisione dei poteri tra diversi organi sociali: assemblea dei soci, amministratori, collegio sindacale. L’assemblea dei soci è l’organo deliberativo interno della società che ne indirizza la vita economica. Gli amministratori costituiscono l’organo direttivo ed esecutivo che provvede alla gestione sociale mettendo in atto le deliberazioni dell’assemblea; l’amministrazione può essere affidata ad una persona (amministratore unico) o più persone (consiglio d’amministrazione). Il collegio sindacale è l’organo di controllo della gestione sociale e ha il compito di vigilare l’attività degli amministratori.

Le azioni, che rappresentano le quote in cui è diviso il capitale sociale, hanno la natura di titoli di credito che i soci ricevono in cambio del loro apporto quale misura dei propri diritti e sono caratterizzate dall’avere tutte il medesimo valore, essere indivisibili e trasferibili. Oltre alle azioni, le società per azioni hanno la possibilità di emettere le obbligazioni, dei titoli di credito che rappresentano altrettanti debiti assunti dalla società verso coloro dai quali ha ricevuto un prestito. Sebbene azioni e obbligazioni rappresentino entrambi titoli di credito, presentano importanti differenze11: - l’azione rappresenta una quota di capitale sociale; l’obbligazione rappresenta un debito della società; conseguentemente, le azioni attribuiscono la qualità di socio, le obbligazioni attribuiscono la qualità di creditore sociale; - l’azione, in quanto attribuisce la qualità di socio, dà diritto ad una quota dell’utile di esercizio, detta dividendo, e perciò frutta un reddito variabile (eventualmente anche nullo) a seconda dell’andamento della gestione sociale; l’obbligazione, invece, dà un reddito fisso poiché l’obbligazionista, in quanto creditore, ha diritto ad un interesse prestabilito, indipendentemente dalle sorti della società; - l’azione ha una vita corrispondente a quella della società, l’obbligazione si estingue con il rimborso alla scadenza del prestito;

Nella società in accomandita per azioni (S.a.p.a.) ci sono, come nella società in accomandita semplice, i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e illimitatamente per gli impegni sociali, e i soci accomandanti, che sono impegnati nei limiti della quota di capitale sottoscritto; in questo caso, però, le quote di partecipazione sono rappresentate da azioni. Dal punto di vista concettuale si tratta di una società 11 Esistono anche delle obbligazioni convertibili la cui caratteristica è la facoltà, offerta al possessore, di scegliere tra restare obbligazionista fino alla scadenza del titolo, oppure diventare azionista; sostituendo, ad un dato termine e a determinate condizioni, le proprie obbligazioni con azioni della società emittente o di altra società.

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intermedia tra la S.a.s. e la S.p.A., anche se è regolata dalle stesse disposizioni previste per l’S.p.A., sia riguardo alle modalità di costituzione, sia al capitale sociale, sia al funzionamento degli organi sociali. Una caratteristica della società in accomandita per azioni è l’inscindibilità tra qualità di socio accomandatario e ufficio di amministratore: ne deriva che tutti gli accomandatari sono necessariamente amministratori.

La società a responsabilità limitata (S.r.l.) rappresenta la forma più agevole e diffusa delle società di capitali, nonostante le elevate spese di costituzione12. Come nella società per azioni, per gli impegni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio, tuttavia le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni. Ciò comporta l’esistenza, rispetto alla S.p.A., di un legame più stretto tra società e soci dando origine ad una tipologia di società di capitali nella quale l’elemento personale non si annulla completamente.

La S.r.l. si costituisce con atto pubblico; il suo capitale sociale minimo è di 10.000 €, di cui solo i tre decimi devono essere versati prima dell’omologazione della società.

Come si è detto, la responsabilità dei soci nei confronti di terzi è limitata al capitale sottoscritto e il loro patrimonio privato non è attaccabile dai creditori a meno che, nella gestione dell’azienda, non vi siano state irregolarità formali o fraudolente. SOCIETÀ COOPERATIVE

Le cooperative sono forme societarie particolari, con caratteristiche assimilabili sia alle società di persone, sia alle società di capitali, ma operano su uno sfondo culturale completamente diverso. La società cooperativa, infatti, non possiede il fine della divisione dell’utile in quanto, per definizione, si pone uno scopo prevalentemente mutualistico, ossia non di lucro. La società cooperativa, infatti, nasce all’insegna della promozione dello sviluppo umano e del concetto dell’aiuto reciproco, sia tra i soci sia tra le cooperative. E’ una struttura nella quale, più individui, si associano per ottenere occasioni di lavoro e beni di consumo o servizi a condizioni migliori di quelle offerte dal libero mercato.

Il principale diritto del socio di una cooperativa è quello di usufruire dell’attività sociale, compreso il lavorare per la cooperativa stessa. Il socio lavoratore della cooperativa stabilisce un rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali.

Alle società cooperative si applicano, in genere, le norme della società per azioni; quindi, analogamente a queste, devono costituirsi per atto pubblico, la loro iscrizione all’ufficio del registro ha effetto costitutivo, e presentano gli stessi organi sociali.

Tuttavia le società cooperative presentano delle particolari caratteristiche giuridiche, la più importante delle quali riguarda il capitale, che non essendo determinato nel suo ammontare all’atto della costituzione, può variare sia in aumento che in diminuzione; per questa ragione si definiscono società a capitale variabile.

Le cooperative possono essere a responsabilità illimitata e a responsabilità limitata. Nelle prime per gli impegni sociali risponde la società con il suo patrimonio e, in via sussidiaria, i soci solidalmente e illimitatamente, in proporzione alla propria 12 Una forma societaria recente nel panorama legislativo italiano è la società a responsabilità limitata con unico socio (S.r.l. con unico socio). E’ formalmente una società a responsabilità limitata in cui, però, l’imprenditore è unico e non ha soci. Si configura, quindi, come una sorta di impresa individuale con i vantaggi della società di capitali in termini di responsabilità patrimoniali e di tassazione sul reddito.

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quota di partecipazione, nelle seconde risponde esclusivamente la società con il suo patrimonio. 1.3.C DIFFUSIONE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI IMPRESA

Al termine di questa breve rassegna sulle diverse tipologie di imprese e sulle loro principali caratteristiche, si ritiene utile fornire un quadro della loro numerosità in relazione al settore economico (industria, commercio, servizi) in cui operano. Tali dati sintetici, rilevati nel corso dell’ultimo censimento dell’industria e dei servizi e riportati in tabella 5, aiutano a comprendere il loro livello di diffusione e la relativa importanza che rivestono a livello nazionale in termini di rappresentatività.

L’osservazione della tabella evidenzia una considerevole presenza di imprese individuali, le quali risultano circa i due terzi del totale; la distribuzione fra i settori economici appare abbastanza omogenea con una maggiore incidenza nel commercio e nei servizi e più ridotta nell’industria. Fra le società, quelle di persone sono più numerose che non quelle di capitale, anche se la forma maggiormente diffusa è la S.r.l. seguita da vicino dalla S.n.c.. Molto meno numerose sono le società per azioni, come è facile comprendere visto l’impegno amministrativo e finanziario che comporta la loro costituzione. Praticamente assenti sono le S.a.p.a., le quali rappresentano una forma societaria assolutamente marginale.

Un discorso a parte deve essere fatto per le cooperative che pur rappresentando una quota molto ridotta del totale delle società (di poco inferiore all’1%) rivestono un ruolo molto importante. Ciò, non soltanto per la loro funzione sociale, ma in quanto, operando in specifici comparti produttivi, assumono, soprattutto nei territori in cui hanno un profondo radicamento storico, un considerevole peso economico.

Infine, per quanto riguarda la ripartizione fra i settori economici, si può osservare come le imprese dei servizi siano le più numerose. Questa situazione, fra l’altro, andrà progressivamente ad accentuarsi a causa delle tendenze in atto che vedono una costante riduzione dell’importanza del settore primario e secondario e la progressiva terziarizzazione dell’economia.

Tabella 5 – Imprese per forma giuridica e settore economico (ISTAT, 2001) Forma Giuridica INDUSTRIA COMMERCIO SERVIZI Totale

Impresa individuale 635.216 853.613 1.178.331 2.667.160 Società in nome collettivo 190.112 139.707 149.096 478.915 Società in accomandita semplice 52.000 98.317 141.344 291.661 Altra forma di società di persone 8.073 4.075 41.903 54.051 Società per azioni 18.259 6.321 15.373 39.953 Società a responsabilità limitata 171.979 123.923 195.600 491.502 Società in accomandita per azioni 9 6 120 135 Società cooperativa (esclusa sociale) 19.313 3.553 24.853 47.719 Altra forma d’impresa 3.828 1.216 7.826 12.870

Totale 1.098.789 1.230.731 1.754.446 4.083.966

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2. VALUTAZIONE ED ANALISI DEI RISULTATI ECONOMICI 2.1 STRUTTURA DEL BILANCIO

Il bilancio è lo strumento che serve a misurare i risultati dell’impresa; inteso in questo senso esso rappresenta un indispensabile ausilio alla gestione in quanto consente di esprimere un giudizio sull’attività che è stata condotta.

Il bilancio viene generalmente riferito all’esercizio amministrativo, un arco temporale di breve periodo che, per ragioni di compatibilità con i diversi obblighi fiscali cui è assoggettata l’impresa, viene generalmente fatto coincidere con l’anno solare.

Nel caso in cui un bilancio faccia riferimento ad un esercizio amministrativo trascorso, o meglio ancora appena trascorso, si parla di bilancio consuntivo; quando invece il bilancio fa riferimento ad un esercizio amministrativo avvenire, si parla di bilancio preventivo. In questo caso si procede ad una “simulazione del bilancio”, in quanto esso viene elaborato facendo riferimento ad eventi futuri e quindi aleatori.

I motivi per cui si elabora un bilancio possono essere diversi in relazione a chi è tenuto a leggere ed utilizzare i dati in esso contenuti. Tra tali figure si pone naturalmente in primo piano l’imprenditore, per il quale il bilancio rappresenta un indispensabile strumento di valutazione della propria attività. Altri operatori interessati all’elaborazione del bilancio possono essere: l’economista, che è alla ricerca di informazioni per lo svolgimento di indagini a carattere settoriale; l’amministratore, per definire i provvedimenti di politica economica; l’estimatore, per ricercare i parametri necessari alla stima dei beni; il funzionario di banca, per conoscere la situazione patrimoniale dell’impresa e giudicare sull’opportunità di concederle finanziamenti; lo stato, per salvaguardare gli interessi dei soci; il fisco, per finalità di imposizione tributaria. Per ciascuno di questi soggetti il bilancio può assumere impostazioni diverse, ciascuna finalizzata alla conoscenza di parametri utili ad esprimere le differenti valutazioni. Ovviamente, per gli scopi di gestione dell’impresa viene adottata la struttura del bilancio che presenta maggior interesse per l’imprenditore.

Il bilancio risulta formato da almeno due prospetti: la situazione (o stato) patrimoniale ed il conto economico: entrambi i prospetti hanno lo scopo di determinare l’entità del reddito e di evidenziarne l’origine.

Nella situazione patrimoniale il reddito è determinato come variazione del capitale netto; nel conto economico come differenza fra il valore della produzione ed i costi espliciti sostenuti per realizzarla13.

Il reddito, infatti, inteso come valore prodotto dall’impresa per effetto della gestione in un determinato intervallo di tempo, possiede un aspetto dualistico in quanto può essere interpretato sia in termini patrimoniali che economici.

13 Come si approfondirà nel successivo paragrafo, si definiscono espliciti i costi che l’imprenditore sostiene per l’acquisto dei fattori produttivi, in contrapposizione ai costi impiciti che rappresentano i compensi spettanti all’imprenditore per i fattori da lui conferiti e per i quali non ha luogo alcun pagamento diretto.

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Se il periodo cui ci si riferisce è rappresentato dall’intera vita dell’impresa si parla di reddito d’impresa, il cui ammontare è perfettamente determinato ed è pari alla differenza fra capitale realizzato e capitale investito (nella visione patrimoniale) o alla differenza fra il totale delle entrate ed il totale delle uscite (nella visione economica).

Se, invece, ci si riferisce ad un esercizio amministrativo si parla di reddito d’esercizio (RE), talora definito anche come reddito netto, un valore caratterizzato da un inevitabile margine di incertezza in quanto legato a valutazioni soggettive e allo sfasamento temporale esistente fra ricavi e incassi e fra costi e uscite14.

Quando il reddito risulta positivo si parla di utile, in caso contrario di perdita. Essendo il reddito una quantità espressa in termini assoluti, è necessario, per poter

esprimere dei giudizi sulla sua entità, rapportarlo all’entità del capitale investito; questo rapporto, unitamente ad altri indicatori, viene determinato procedendo allo svolgimento di un’analisi di bilancio.

LA SITUAZIONE PATRIMONIALE Nella situazione patrimoniale il risultato dell’esercizio viene determinato come

differenza tra i valori del capitale netto rilevati all’inizio e alla fine dell’esercizio stesso. La forma che viene generalmente utilizzata per questo prospetto, prevede che i

valori di fine esercizio delle singole componenti del capitale dell’impresa vengano comparati con quelli di inizio esercizio in modo da evidenziare gli effetti che la gestione ha avuto su di esse.

La situazione patrimoniale è opportuno che venga corredata dai valori percentuali che indicano l’incidenza delle diverse voci sul totale del capitale lordo e di terzi, sia all’apertura che alla chiusura dell’esercizio. Ciò consente di meglio comprendere le variazioni delle singole componenti del patrimonio e l’origine del reddito d’esercizio. L’entità delle differenze, denominate variazioni grezze, vengono riprese per l’elaborazione del rendiconto finanziario e di una serie di indici che verranno trattati nell’ambito dell’analisi di bilancio.

Nell’esemplificazione sviluppata nella figura 4 si nota come il confronto, oltre che sui valori finali ed iniziali del capitale netto, dalla cui differenza si origina l’utile di esercizio (pari a 13.390 €), viene esteso anche alle singole componenti patrimoniali in modo da evidenziare la variazioni dovute, oltre che al reddito prodotto, anche ai cambiamenti determinatisi per effetto della gestione.

IL CONTO ECONOMICO Nel conto economico il valore del reddito d’esercizio trova giustificazione in

termini economici, attraverso il raffronto tra il valore della produzione (ricavi) ed i costi espliciti sostenuti per realizzarla.

L’impostazione del conto economico, normalmente utilizzata per finalità di gestione, è basata sulla distinzione dei costi in variabili e fissi.

14 Lo sfasamento temporale tra i fatti economici ed i fatti monetari determina particolari situazioni di cui è necessario tenere conto nella elaborazione dei risultati della gestione. Di alcune di queste si è già parlato come le uscite nell’esercizio corrente per acquisto di fattori a logorio parziale (che danno origine all’ammortamento), uscite nell’esercizio corrente per acquisto di materie prime utilizzate nell’esercizio successivo (rimanenze di materie prime) oppure entrate nell’esercizio successivo per produzioni ottenute nell’esercizio corrente (rimanenze di prodotti destinati alla vendita). Ad altre situazioni particolari si accennerà nel quinto capitolo.

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Figura 4 - Prospetto della situazione patrimoniale del bilancio

DESCRIZIONE DELLE VOCI VALORI FINALI VALORI INIZIALI DIFFERENZE

CAPITALE LORDO IMPORTI % IMPORTI % IMPORTI

Cassa 6.200 7.300 -1.100 Banca 41.740 35.200 6.540 Liquidità immediate 47.940 42.500 5.440 Clienti 16.600 15.500 1.100 Crediti erariali 2.150 1.500 650 Crediti diversi 200 500 -300 Liquidità differite 18.950 17.500 1.450 Rimanenze prodotti 3.000 1.000 2.000 Rimanenze materie prime 150 300 -150 Prodotti in corso di lavorazione 3.950 3.650 300 Rimanenze 7.100 4.950 2.150 Capitale circolante 73.990 22,3% 64.950 20,2% 9.040 Terreni e fabbricati 173.800 175.300 -1.500 Impianti 20.000 15.000 5.000 Macchine e attrezzature 57.000 60.000 -3.000 Immobilizzazioni materiali 250.800 250.300 500 Titoli poliennali 2.000 2.000 0 Quote sociali 5.000 5.000 0 Immobilizzazioni finanziarie 7.000 7.000 0 Capitale fisso 257.800 77,7% 257.300 79,8% 500

CAPITALE LORDO 331.790 100,0% 322.250 100,0% 9.540

CAPITALE DI TERZI IMPORTI % IMPORTI % IMPORTI

Fornitori 1.500 3.000 -1.500 Debiti erariali 750 700 50 Debiti v/enti previdenziali 2.450 2.350 100 Prestiti di conduzione 7.000 8.000 -1.000 Debiti a breve 11.700 3,5% 14.050 4,4% -2.350 Mutui fondiari 17.000 17.500 -500 Prestiti acquisto macchinari 17.000 18.000 -1.000 Debiti a medio/lungo periodo 34.000 10,3% 35.500 11,0% -1.500

CAPITALE DI TERZI 45.700 13,8% 49.550 15,4% -3.850

CAPITALE NETTO 286.090 86,2% 272.700 84,6% 13.390

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Adottando una tale distinzione è possibile definire due parametri intermedi, il reddito al lordo dei costi fissi, o semplicemente reddito lordo, ed il reddito operativo, che costituiscono elementi di valutazione essenziali a fini della pianificazione e del controllo dei risultati dell’attività condotta dall’impresa.

In realtà, il conto economico può essere impostato secondo schemi alternativi, legati alle modalità con cui vengono aggregate le varie voci di costo e ai parametri intermedi che attraverso tali riclassificazioni vengono definiti.

Uno degli schemi che trova frequente utilizzazione, e al quale si accennerà nel seguito, è quello in cui si perviene alla determinazione del parametro intermedio noto come valore aggiunto, la cui distribuzione fra i diversi soggetti che hanno partecipato all’attività dell’impresa rappresenta una componente importante del bilancio sociale. Altro schema è quello che distingue i costi in specifici, plurimi e generali e che si pone come finalità prioritaria, più che il calcolo del reddito d’esercizio, la determinazione del costo di produzione dei singoli beni prodotti dall’impresa.

Il valore della produzione esprime il valore dei beni e servizi prodotti dall’impresa e destinati alla vendita. La modalità di determinazione di questo parametro dipende dal tipo di valutazione, preventiva o consuntiva, e, in questo secondo caso, dal sistema di scrittura adottato nella rilevazione contabile. Come si vedrà più avanti, in fase preventiva l’entità del valore della produzione viene determinata aggregando il valore dei beni prodotti dalle diverse attività produttive che vengono condotte nell’impresa. In fase consuntiva, invece, la modalità di calcolo è legata alla modalità di impostazione del sistema di rilevazione.

I costi variabili rappresentano il valore dei fattori a logorio totale impiegati nelle attività produttive e, pertanto, connessi alla produzione dei beni. Anche per i costi variabili, che sono determinati dai consumi dei fattori a logorio totale impiegati nelle attività produttive condotte dall’impresa, la valutazione viene eseguita con modalità differenti. In fase di analisi preventiva l’entità dei costi variabili totali è rappresentata dal valore dei fattori produttivi a logorio totale impiegati nella conduzione delle diverse attività; a consuntivo sarà l’impostazione del sistema di rilevazione contabile a stabilire il procedimento attraverso il quale poter pervenire alla determinazione della loro entità.

La differenza tra valore della produzione (VP) e costi variabili (CV) esprime il valore del reddito lordo (RL); questo rappresenta, pertanto, un parametro che dipende dall’espressione dei fattori endogeni che l’imprenditore controlla nel breve periodo.

Gli altri fattori endogeni, quelli che fanno capo alla “struttura” dell’azienda, sono disponibili in quantità prefissate e come tali, non essendo nel breve periodo modificabili dall’imprenditore, originano dei costi fissi: impiegati e operai assunti a tempo indeterminato, per quanto riguarda il lavoro, fattori a logorio nullo o parziale, per quanto riguarda il capitale, ecc.

La sottrazione dal reddito lordo dei costi fissi determina il reddito operativo, che rappresenta il valore prodotto nell’attività “caratteristica” svolta dall’impresa.

Si definisce gestione caratteristica (o tipica) quella cui appartengono tutti gli eventi che riguardano le attività connesse al settore in cui opera l’impresa.

Dal risultato della gestione caratteristica, espresso dal reddito operativo, vanno esclusi tutti gli eventi che, pur essendo intervenuti nel determinare i risultati, sono estranei alla attività propria dell’impresa. Quelli tra tali eventi che si presentano con regolarità nei diversi esercizi entrano a far parte della cosiddetta gestione extra-caratteristica (o atipica). Il pagamento degli interessi passivi e la riscossione degli

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interessi attivi sono fra questi tipi di eventi, il che comporta che la gestione finanziaria rappresenta una componente della gestione extra-caratteristica.

L’insieme della gestione caratteristica ed extra-caratteristica determina la gestione ordinaria, ovvero gli eventi che si presentano con regolarità, indipendentemente dal loro legame con la conduzione della specifica attività produttiva dell’impresa.

I fatti amministrativi che rivestono carattere di straordinarietà e che concorrono alla determinazione del reddito d’esercizio fanno capo alla gestione straordinaria. Questa, unita alla gestione ordinaria, raccoglie tutti i possibili eventi della gestione che determinano il risultato complessivo espresso dal reddito d’esercizio.

La gestione straordinaria, in virtù del suo carattere di imprevedibilità, pur contribuendo alla determinazione del reddito d’esercizio, non può essere inclusa nella valutazione preventiva del risultato della gestione. Ciò comporta che nella stesura di un bilancio preventivo la differenza fra reddito operativo e reddito d’esercizio è rappresentata soltanto dal risultato della gestione extra-caratteristica. Nel bilancio consuntivo, invece, il conto economico deve prevedere un’apposita sezione per la gestione straordinaria nella quale vengano evidenziate le diverse voci che concorrono alla sua determinazione.

Lo schema di figura 5 riepiloga i diversi tipi di gestione con la definizione del loro risultato ed il contributo apportato alla determinazione del reddito d’esercizio.

Figura 5 - Struttura delle “gestioni” nel conto economico del bilancio

Gestione Risultato

CARATTERISTICA Reddito Operativo +

EXTRA-CARATTERISTICA Risultato della gestione extra-caratteristica =

ORDINARIA Reddito della Gestione Ordinaria +

STRAORDINARIA Risultato della gestione straordinaria =

COMPLESSIVA Reddito di Esercizio

Una semplificazione della struttura del conto economico, che consente di utilizzare le risultanze di questo prospetto per lo svolgimento di analisi preventive, prevede, oltre all’esclusione della gestione straordinaria, la considerazione nella gestione extra-caratteristica della sola componente finanziaria, indicata, appunto, come gestione finanziaria. Operando con queste modalità la struttura del conto economico preventivo si presenta come illustrato in figura 6.

La possibilità di poter considerare la gestione finanziaria quale unica componente della gestione extra-caratteristica deriva, oltre che dal fatto di essere una voce sempre presente, dalla possibilità che le disponibilità finanziarie vincolino il piano produttivo dell’impresa e che, pertanto, sia necessario includere nel bilancio preventivo il costo di un eventuale ricorso al finanziamento di terzi.

Il risultato della gestione finanziaria (Gf) è determinato dalla differenza fra gli interessi attivi maturati sugli investimenti delle disponibilità finanziarie e gli interessi

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passivi pagati sui finanziamenti di terzi, sia di breve che di medio/lungo periodo15. Data la modalità con cui viene calcolato, il risultato della gestione finanziaria può assumere sia valore positivo che negativo; nel conto economico va sempre considerato con il suo segno e sommato al reddito operativo.

Figura 6 - Struttura semplificata del conto economico del bilancio (senza le imposte)

VP VALORE DELLA PRODUZIONE CV COSTI VARIABILI

VP - CV RL REDDITO AL LORDO DEI COSTI FISSI CF COSTI FISSI

RL - CF RO REDDITO OPERATIVO Gf RISULTATO DELLA GESTIONE FINANZIARIA

RO + Gf RE REDDITO DI ESERCIZIO

Le imposte che gravano sull’impresa, e che compaiono esplicitamente nel conto economico, riguardano i seguenti tributi: IRPEG, ICI e IRAP.

L’IRPEG, imposta sui redditi delle persone giuridiche, colpisce i redditi realizzati dalle società di capitali e dalle società cooperative. La base imponibile, ovvero l’importo su cui grava l’imposta, è rappresentata dal reddito d’esercizio al quale viene applicata un’aliquota fissa, attualmente pari al 37%.

L’ICI, imposta comunale sugli immobili, è un’imposta patrimoniale commisurata al valore catastale dei terreni e dei fabbricati di proprietà dell’impresa. Si configura come un costo fisso, essendo indipendente dal reddito realizzato. Alla base imponibile, determinata in relazione al reddito catastale degli immobili, viene applicata un’aliquota, stabilita da ogni comune, compresa tra il 4 e il 7 per mille.

L’IRAP, imposta regionale sulle attività produttive, è stata introdotta in sostituzione di precedenti tributi. La base imponibile cambia a seconda della tipologia dell’impresa; in generale, comunque, viene calcolata sulle voci del bilancio che viene presentato ogni esercizio, secondo precise modalità definite per legge. A tale ammontare viene applicata un’aliquota che è fissata al 4,25% a livello nazionale, ma che può essere modificata dalle legislazioni regionali sia in termini generali sia con riferimento a diverse tipologie di imprese.

Nel conto economico non compare l’altra imposta rappresentata dall’IVA in quanto non rappresenta un aggravio di costo per l’impresa. L’IVA, imposta sul valore aggiunto, colpisce, infatti, esclusivamente i consumatori finali dei beni. L’impresa incassa l’IVA con la vendita dei prodotti, la paga quando acquista i fattori, svolge, obbligatoriamente, dei conteggi periodici e versa all’erario la differenza positiva fra IVA incassata e IVA pagata; eventualmente chiudesse l’anno in una situazione di

15 Per quanto detto, il risultato della gestione finanziaria non dipende esclusivamente dalla normale attività (caratteristica) dell’impresa ma viene influenzato, spesso in modo consistente, sia dall’entità e dalla modalità di utilizzazione delle disponibilità finanziarie proprie dell’impresa, sia dalle modalità con cui si è fatto ricorso al capitale di terzi. Il fatto di isolare la gestione finanziaria in una specifica sezione del conto economico consente di evidenziare delle voci che rappresentano elementi importanti nello sviluppo dell’analisi di bilancio.

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credito chiede all’erario il rimborso dell’IVA pagata in più. Questo meccanismo non genera alcun aggravio diretto per l’impresa; tuttavia essa sopporta un costo indiretto derivante dall’espletamento degli adempimenti obbligatori che lo Stato impone ai soggetti titolari di partita IVA (emissione del documento di trasporto, fatturazione, tenuta dei registri delle fatture emesse e di quelle ricevute, dichiarazioni periodiche e dichiarazione annuale).

Per quanto riguarda il computo delle imposte nello schema del conto economico, va tenuto conto della loro natura ed il tipo di reddito che colpiscono.

L’ICI, essendo un carico fisso di imposizione, concorre a determinare i costi fissi dell’impresa. L’IRAP (ImAP) colpisce il reddito dell’attività specifica che conduce l’impresa e, pertanto, viene posto a correzione del reddito operativo (ROC). L’IRPEG (ImR) colpisce il reddito globale dell’impresa e viene sottratto da cosiddetto reddito d’esercizio ante-imposte (RE’), per determinare il reddito d’esercizio vero e proprio. Nel prospetto di figura 7 viene riproposto lo schema del conto economico con incluso il computo delle imposte.

A titolo esemplificativo nel prospetto di figura 8 viene riportato il conto economico relativo all’impresa cui si riferisce la situazione patrimoniale di figura 4.

Figura 7 - Struttura del conto economico del bilancio (con le imposte).

VP VALORE DELLA PRODUZIONE CV COSTI VARIABILI

VP - CV RL REDDITO AL LORDO DEI COSTI FISSI CF COSTI FISSI (COMPRENSIVI DI ICI)

RL - CF RO REDDITO OPERATIVO ImAP IMPOSTE SULL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA

RO - ImAP ROC REDDITO OPERATIVO CORRETTO Gf RISULTATO DELLA GESTIONE FINANZIARIA

ROC + Gf RE’ REDDITO DI ESERCIZIO ANTE-IMPOSTE ImR IMPOSTE SUL REDDITO

Rn’ - ImR RE REDDITO DI ESERCIZIO

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Figura 8 - Esempio di un conto economico del bilancio Importi (€) VALORE DELLA PRODUZIONE (VP)

Valore dei prodotti realizzati 22.538 Valore dei servizi erogati 37.965

Totale VP 60.527 COSTI VARIABILI (CV)

Materie prime 9.641 Servizi 2.387 Utilizzo di beni di terzi 1.945 Personale assunto a tempo determinato 6.835 Altri costi variabili 2.566

Totale CV 23.374 REDDITO LORDO (RL) 37.153 COSTI FISSI (CF)

Ammortamenti 3.150 Manutenzione capitale fisso 1.290 Personale assunto a tempo indeterminato 7.909 Imposte (ICI) 850 Altri costi fissi 204

Totale CF 13.403 REDDITO OPERATIVO (RO) 23.750

Imposte sull’attività produttiva (IRAP) 1.008 REDDITO OPERATIVO Corretto (ROC) 22.742 GESTIONE FINANZIARIA (Gf)

Interessi attivi 402 Interessi passivi 1.890

Risultato Gf -1.488 REDDITO DI ESERCIZIO ante Imposte (RE’) 21.254

Imposte sul reddito (IRPEG) 7.864 REDDITO DI ESERCIZIO (RE) 13.390

2.2 LE COMPONENTI DEL REDDITO D’ESERCIZIO

Dal punto di vista economico, come si è già avuto modo di osservare, il reddito d’esercizio (RE) è determinato dalla differenza fra il valore della produzione (VP) ed i costi espliciti (Ce) sostenuti per realizzarla. Esso rappresenta pertanto una quantità monetaria che remunera l’imprenditore sia per i fattori produttivi che egli ha conferito nella gestione dell’impresa sia per lo svolgimento della sua attività organizzativa.

La prima componente, vale a dire le remunerazioni spettanti ai fattori che l’imprenditore ha apportato all’impresa, rappresentano per l’impresa stessa degli oneri che, proprio in quanto non vengono effettivamente sostenuti, vengono definiti costi impliciti (Ci). La seconda componente, ovvero il compenso spettante al cosiddetto “fattore imprenditoriale”, è rappresentata dal profitto (π).

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Ne consegue allora che:

VP - Ce = RE = Ci + π

Questa relazione consente di leggere il reddito d’esercizio come il valore monetario che l’impresa trasferisce all’imprenditore per compensarlo di quanto egli ha impegnato nell’attività in termini di fattori produttivi (capitale e lavoro) e di capacità organizzativa.

Nel caso in cui l’imprenditore acquisti tutti i fattori della produzione, non conferendone alcuno, egli diviene un imprenditore puro il cui compito è esclusivamente quello del reperimento e dell’organizzazione dei fattori della produzione; in questo caso i costi espliciti si annullano ed il reddito d’esercizio corrisponde al profitto.

Nella realtà è raro che un imprenditore acquisti tutti i fattori della produzione, da ciò deriva l’aggettivo “astratto” talora attribuito a questa figura economica. Rappresenta, viceversa, il caso normale, soprattutto nel caso di imprese di piccole dimensioni, l’imprenditore che, oltre all’attività organizzativa, conferisce uno o più fattori della produzione, divenendo di fatto un imprenditore “concreto”.

I costi impliciti, rappresentando la remunerazione ai fattori produttivi conferiti dall’imprenditore, sono determinati dalla somma di due componenti.

La prima, indicata con BC (beneficio del capitale), esprime il compenso al capitale netto, ossia alla parte del capitale lordo di proprietà dell’imprenditore, e rappresenta quanto l’impresa deve all’imprenditore/capitalista.

La seconda, indicata con SL (salario/stipendio del lavoratore), indica il compenso spettante per il lavoro svolto dall’imprenditore stesso, e rappresenta quanto l’impresa deve all’imprenditore/lavoratore.

In questa chiave il profitto (π) rappresenta quale remunerazione l’impresa deve all’imprenditore per aver svolto la sua funzione di imprenditore.

Considerando le possibili componenti dei costi impliciti la precedente relazione può essere scritta come segue.

RE = BC + SL + π

in cui i due termini BC e SL possono assumere valori molto diversi a seconda delle diverse figure imprenditoriali.

Il termine BC sarà assente soltanto nei casi in cui il capitale (lordo) dell’impresa è completamente fornito da terzi, circostanza che si verifica assai raramente16.

Il termine SL è presente solo nelle piccole imprese individuali o familiari in cui il lavoro, svolto direttamente dall’imprenditore o dai componenti della sua famiglia, non riceve una remunerazione prestabilita ed effettiva la quale compare esplicitamente fra le voci di costo del conto economico del bilancio.

Nel caso generale, in cui entrambe le componenti BC e SL risultano maggiori di zero, la relazione precedente esprime una equivalenza fra la quantità nota espressa dal reddito di esercizio (determinato attraverso il bilancio) e la somma di tre componenti la cui entità non è nota.

Per ovviare a questa difficoltà è possibile attribuire ai fattori conferiti dall’imprenditore la medesima retribuzione che questi avrebbero ottenuto se fossero

16 Infatti, anche nel caso, comunque non frequente, in cui l’impresa abbia avviato la sua attività facendo affidamento esclusivamente su capitali di terzi, nel corso del tempo il capitale netto avrà assunto una sua consistenza grazie agli utili conseguiti durante gli esercizi precedenti, siano essi rimasti indivisi o convertiti in riserve.

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stati offerti sul mercato o, analogamente, lo stesso costo che l’impresa avrebbe sostenuto se avesse dovuto reperirli esternamente. In questo caso il valore di BC e SL è determinato e il profitto π esprime la quantità che rimane (o che manca) dopo aver remunerato a prezzi di mercato il capitale investito ed il lavoro conferito dall’imprenditore.

RE = BC + SL + π

Il profitto può essere così interpretato come la differenza fra la remunerazione dei fattori conferiti dall’imprenditore ottenuta come risultato della gestione e quella di mercato: un profitto positivo evidenzia una capacità dell’impresa di compensare le risorse dell’imprenditore in modo più remunerativo del mercato, un profitto negativo manifesta una situazione opposta.

L’imprenditore, tuttavia, non è interessato a conoscere l’ammontare del profitto quanto il livello di remunerazione ottenuto dai fattori che egli ha conferito all’impresa; per questa ragione il profitto viene aggregato al termine del quale interessa determinare il livello di remunerazione.

Operando con questo criterio si definiscono i due parametri reddito da capitale (RC) e reddito da lavoro (RL):

RC = BC + π = RE - SL

RL = SL + π = RE - BC

Questi valori esprimono in termini assoluti l’entità del compenso spettante ad uno dei fattori produttivi (rispettivamente capitale e lavoro) una volta che per l’altro (rispettivamente lavoro e capitale) venga assegnata la remunerazione di mercato. CALCOLO DEL REDDITO DA CAPITALE

L’espressione per il calcolo del reddito da capitale

RC = BC + π = RE - SL

indica come questo parametro, che include il beneficio spettante al capitale conferito dall’imprenditore, o dagli imprenditori nel caso delle società di capitali, ed il profitto, sia determinato dalla differenza fra il reddito d’esercizio ed il compenso al lavoro eventualmente fornito dall’imprenditore e dalla sua famiglia.

In alcune imprese, infatti, può essere presente una quota di lavoro, appunto quella prestata dall’imprenditore e dalla sua famiglia, che non riceve una remunerazione esplicita. In questi casi, per poter calcolare correttamente il valore del reddito da capitale, è necessario calcolare il termine SL remunerando il lavoro a prezzo di mercato. A questo scopo è necessario considerare la mansione svolta dell’imprenditore, la sua qualificazione professionale e l’impegno in termini orari. L’insieme di queste informazioni consente di determinare il compenso al lavoro rapportando la relativa tariffa contrattuale all’effettivo carico di lavoro fornito dall’imprenditore.

Dal punto di vista della gestione dell’impresa, la determinazione del reddito da capitale e, soprattutto, il tasso di remunerazione del capitale investito rappresentano i parametri di maggiore interesse; per questa ragione alla determinazione degli indici di remunerazione del capitale ed alla loro interpretazione verrà dedicata la gran parte del successivo paragrafo relativo alla analisi del bilancio.

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CALCOLO DEL REDDITO DA LAVORO

In alcuni tipi di impresa il livello di remunerazione del lavoro fornito dall’imprenditore e dalla sua famiglia rappresenta un utile parametro di valutazione del risultato della gestione. In questi casi si procede facendo riferimento alla relazione

RL = SL + π = RE - BC

la quale stabilisce che il reddito da lavoro è determinato dalla differenza fra il reddito d’esercizio ed il compenso BC attribuito al capitale netto presente all’inizio del periodo di tempo cui si riferisce il bilancio (CNi).

Tale compenso viene determinato applicando al CNi un tasso di remunerazione (r) pari al tasso di interesse che quel medesimo capitale avrebbe potuto ottenere se collocato sul mercato finanziario in investimenti caratterizzati da condizioni di rischio paragonabili a quelle in cui opera l’impresa. Così operando, il reddito da lavoro diviene:

RL = RE - CNi⋅r

Per ottenere ulteriori indicazioni sul livello di remunerazione del lavoro prestato dall’imprenditore nella propria impresa è utile rapportare il reddito da lavoro all’entità dell’impegno lavorativo.

Un primo indicatore, interessante soprattutto per gli imprenditori full-time, cioè che svolgono l’attività lavorativa esclusivamente nella propria impresa, è rappresentato dal reddito da lavoro diviso per il numero di mensilità previste per l’occupazione svolta dall’imprenditore. Poiché in questo caso è come se l’imprenditore fosse assunto dall’impresa, la remunerazione del lavoro può essere confrontata con lo stipendio o il salario mensile previsto a livello contrattuale per quella specifica mansione.

Il secondo indice si rivela più utile per gli imprenditori part-time, i quali hanno interesse a determinare quanto viene remunerato il tempo che dedicano all’impresa per poterlo confrontare con il compenso che deriva loro dalle altre occupazioni che svolgono o che possono svolgere. Tale indice, detto rLi, esprime il compenso per ora di lavoro impiegato e viene calcolato come segue:

i

LLi Nh

Rr =

in cui Nhi rappresenta il numero complessivo di ore di lavoro fornite dall’imprenditore durante l’intero esercizio amministrativo.

~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~

Nell’attività svolta dall’impresa edile cui si riferisce il conto economico sintetico riportato nel prospetto seguente sono occupati l’imprenditore e il figlio. L’imprenditore, impegnato a tempo pieno come direttore dei cantieri, ha fornito nell’arco dell’anno 1.950 ore di lavoro, mentre il figlio, avendo un impiego esterno, è stato coinvolto per sole 400 ore nella gestione amministrativa dell’impresa.

Determinare il reddito del capitale e la remunerazione del lavoro prestato dall’imprenditore sapendo che il capitale netto all’inizio dell’esercizio risultava di 815.000 € (si ponga il tasso di remunerazione del capitale pari al 2,5%).

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Importi (€) VALORE DELLA PRODUZIONE (VP) 335.980 COSTI VARIABILI (CV) 121.250 REDDITO LORDO (RL=VP-CV) 214.730 COSTI FISSI (CF) 90.330 REDDITO OPERATIVO (RO) 124.400 REDDITO OPERATIVO Corretto (ROC) 118.670 GESTIONE FINANZIARIA (Gf) -6,640 REDDITO D’ESERCIZIO ante Imposte (RE’) 112.030 REDDITO D’ESERCIZIO (RE) 70.580

Per determinare il reddito da capitale è necessario attribuire al lavoro non remunerato esplicitamente (e quindi non presente come costo all’interno del conto economico) un compenso in linea con i valori di mercato.

Per quanto riguarda l’imprenditore, è possibile far riferimento ad uno stipendio di direttore di cantiere con analoghe qualifiche professionali in termini di titolo di studio ed esperienza. Supponendo che questo risulti di 2.500 €/mese e che siano previste 13 mensilità, il compenso spettante al lavoro dell’imprenditore risulta di 32.500 €.

Per il figlio, invece, è più corretto considerare una remunerazione analoga a quella che spetterebbe ad un consulente amministrativo esterno, tenendo conto del numero di ore di impegno e del compenso orario, anche in questo caso valutato sulla base delle caratteristiche professionali e tipo di lavoro effettivamente svolto. Se, ad esempio, il compenso orario (netto) risultasse di 30 €/ora, al figlio dell’imprenditore spetterebbe una remunerazione complessiva di 12.000 €.

Di conseguenza il reddito da capitale risulterà pari a

RC = RE - SL = 70.580 - (32.500 + 12.000) = 26.080 €

La determinazione del livello di remunerazione del lavoro prestato dall’imprenditore nella propria impresa richiede di calcolare il relativo reddito da lavoro sottraendo dal reddito di esercizio tutti gli altri costi impliciti. Questi sono rappresentati dalla remunerazione al capitale (BC), data dall’applicazione dell’opportuno tasso di interesse al valore del capitale netto iniziale, e dal compenso al lavoro prestato dal figlio (SL’). Il reddito da lavoro risulterà allora

RL = RE - CNi⋅r - SL’ = 70.580 - 815.000 * 2,5% - 12.000 = 38.205

Considerando tale reddito distribuito su 13 mensilità si ottiene una remunerazione del lavoro dell’imprenditore di circa 2.940 €/mese. Se, invece, si è interessati a stabilire il livello di remunerazione oraria, è sufficiente dividere il reddito da lavoro per l’impegno totale ottenendo un valore pari a

i

LLi Nh

Rr = = 19,60 €/ora

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

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2.3 ELEMENTI DI ANALISI DEL BILANCIO

Il reddito d’esercizio esprime l’utile (o la perdita) generato dalla gestione durante l’esercizio amministrativo; il suo valore, però, non fornisce indicazioni riguardo il livello di remunerazione ottenuto dal capitale conferito dall’imprenditore. Se due imprese realizzano entrambe un reddito di capitale di 100.000 €, con la prima che ha conferito un capitale netto di 1 milione di euro e la seconda di 10 milioni, è evidente che il giudizio sul risultato conseguito è completamente diverso; la prima infatti ha ottenuto un rendimento del capitale del 10%, mentre la seconda solo dell’1%.

Per stabilire il livello di remunerazione del capitale è necessario procedere ad un’analisi che ponga in relazione l’entità del conferimento con il reddito da capitale realizzato cercando di comprendere come si è originata tale remunerazione e su quali elementi è possibile agire per incrementarla nei successivi esercizi amministrativi. In altri termini all’imprenditore interessa conoscere la capacità di produrre reddito degli investimenti presenti nell’impresa e le modalità attraverso cui tale capacità può essere accresciuta. A questo scopo è necessario condurre un’ulteriore analisi che, sulla base del valore di una serie di indici che misurano la composizione e la redditività del capitale investito, consenta di evidenziare le componenti della gestione sulle quali intervenire per migliorare i risultati dell’impresa. INDICI DI REDDITIVITÀ

I principali indici di redditività utilizzati per analizzare i risultati della gestione sono identificati con le seguenti sigle: ROE, ROI, ROD e ROS. Nel seguito si procederà a definire tali indici descrivendo le indicazioni che sono in grado di fornire.

Il ROE - RENDIMENTO DEL CAPITALE NETTO

Il reddito da capitale (RC) esprime il guadagno che l’imprenditore ha realizzato investendo il capitale proprio (nel caso di un’impresa individuale) o quello dei soci (nel caso di un’impresa collettiva) e, come già affermato, include il compenso al capitale netto ed il profitto. Per stabilire quanto tale guadagno sia remunerativo, è necessario commisurarlo al valore del capitale netto iniziale (CNi)17; il risultato di questo rapporto, che esprime il rendimento del capitale netto investito, viene indicato come ROE (dalla dicitura anglosassone return on equity - ossia ritorno del capitale netto):

Ni

C

CR

ROE =

Il ROE può essere interpretato come il tasso di interesse attivo che l’imprenditore ha ricevuto investendo il proprio capitale nell’impresa per il periodo corrispondente all’esercizio amministrativo. Tuttavia, la comparazione diretta del ROE con il tasso di

17 Ci si riferisce al capitale netto iniziale in quanto esso rappresenta l’entità delle risorse immesse dall’imprenditore nell’impresa all’avvio dell’esercizio. Se durante l’esercizio si modifica la consistenza del capitale investito (ad esempio per un finanziamento dei soci) è necessario tenere conto di questa variazione ed apportare le opportune correzioni al valore del capitale netto iniziale. Per evitare questo problema, talora si è soliti considerare la media del capitale netto all’inizio ed alla fine dell’esercizio, escludendo da questa seconda componente il contributo apportato dal reddito d’esercizio che, per definizione, è proprio la variazione del capitale netto dell’impresa nell’esercizio amministrativo.

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interesse fornito da impieghi alternativi del capitale deve essere condotta con molta cautela, sia perché il ROE deve remunerare anche il fattore imprenditoriale ed il rischio connesso alla gestione di una attività di impresa, sia perché le motivazioni alla base della scelta di condurre un’impresa vanno oltre le sole implicazioni economiche.

In molti manuali di analisi del bilancio il ROE viene determinato come rapporto fra il reddito di esercizio ed il capitale netto. Ciò deriva dal fatto che, essendo l’analisi di bilancio generalmente eseguita con riferimento ad imprese di capitale, non viene considerata l’eventualità della presenza di lavoro non retribuito in forma esplicita. Ciò non origina alcun equivoco in quanto il reddito da capitale viene calcolato sottraendo dal reddito di esercizio il compenso al lavoro (quando presente) al suo prezzo di mercato e quindi rendendolo a tutti gli effetti un costo esplicito.

Il ROI – RENDIMENTO DEL CAPITALE LORDO

Il livello di remunerazione ottenuto dal capitale globalmente investito nell’impresa, indipendentemente da chi lo ha fornito, viene espresso dall’indice detto ROI (return on investment) il quale viene calcolato rapportando al capitale lordo iniziale (CLi) il reddito operativo corretto ROC che, esprimendo il risultato della gestione caratteristica, non include il costo del capitale di terzi rappresentato dal risultato della gestione finanziaria.

Affinché il ROI esprima correttamente la remunerazione del capitale di terzi è necessario togliere dall’ammontare del reddito operativo corretto le imposte sul reddito e, nel caso di imprese in cui è presente lavoro non remunerato esplicitamente, anche il costo implicito relativo al compenso spettante al lavoro fornito dall’imprenditore e dalla sua famiglia valutato a prezzi di mercato. Operando in questo modo, la differenza fra il numeratore del ROI, indicato con RO’ e il reddito da capitale è determinata esclusivamente dal risultato della gestione finanziaria.

LiCROROI '

=

Il ROI indica la capacità dell’impresa di produrre reddito in relazione al volume delle risorse finanziarie investite, mentre il ROE esprime il livello di remunerazione ottenuto dalle risorse finanziarie proprie dell’imprenditore. Il confronto fra i due parametri, quindi, fornisce una misura della differenza di rendimento tra il capitale proprio e quello complessivamente investito dall’impresa.

IL ROD - TASSO DEI DEBITI

Il ROD (return of debts) esprime il costo medio sostenuto dall’impresa per poter disporre delle risorse finanziarie di terzi. Esso viene calcolato rapportando il risultato della gestione finanziaria (Gf), considerato in valore positivo, all’ammontare del capitale di terzi presente all’inizio dell’esercizio amministrativo (CTi)18:

TiCGf

ROD =

La differenza fra ROI e ROD, cioè fra rendimento del capitale lordo e costo dei 18 Risulta più corretto considerare come costo del capitale di terzi il risultato della gestione finanziaria piuttosto che la sola componente relativa agli interessi passivi; ciò in quanto i finanziamenti di terzi, soprattutto quelli che fanno capo ai debiti di breve periodo, consentono di avere una temporanea disponibilità di liquidità aggiuntiva sulla quale maturano degli interessi attivi.

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finanziamenti di terzi, è un parametro di grande importanza in quanto determina, attraverso il meccanismo noto come leva finanziaria, la modalità con cui il compenso al capitale investito (ROI) si trasferisce al compenso al capitale proprio (ROE).

Eliminando il riferimento alla consistenza iniziale dei capitali, si definisce LF il rapporto di leva finanziaria fra capitale di terzi e capitale proprio:

N

TF C

CL =

Facendo riferimento alle definizioni date in precedenza ed eseguendo alcuni passaggi algebrici si determina la seguente uguaglianza:

ROE = ROI + (ROI - ROD) ⋅ LF

Quest’ultima relazione, che esprime il legame fra ROE e ROI, indica che il primo può essere maggiore del secondo solo se l’impresa remunera il capitale globalmente investito ad un tasso più elevato di quello relativo al costo dei finanziamenti di terzi. Sempre dalla stessa relazione si osserva che la differenza fra ROE e ROI è proporzionale alla differenza fra ROI e ROD ed al valore del rapporto di leva finanziaria LF. Ne consegue che, se il ROI è maggiore del ROD, il ROE aumenta della loro differenza moltiplicata per la leva finanziaria; se è minore, diminuisce della stessa quantità. Ciò stabilisce una regola generale di comportamento per l’imprenditore:

- se ROI>ROD allora è possibile aumentare il ROE aumentando LF, cioè aumentando il livello di indebitamento dell’impresa (effetto leva positivo)19; - se ROI<ROD allora è possibile aumentare il ROE diminuendo LF, cioè riducendo il livello di indebitamento dell’impresa (effetto leva negativo).

IL ROS - REDDITIVITÀ DELLA PRODUZIONE

Un ulteriore indice, particolarmente utile per identificare le diverse componenti della gestione che contribuiscono a definire la consistenza del ROE, è il ROS (return of sales). Questo è un indicatore prettamente economico in quanto esprime la quota di reddito proveniente dalla gestione caratteristica attraverso il rapporto fra il reddito operativo opportunamente corretto (RO’) e il valore della produzione VP:

VPROROS '

=

Questo indice esprime, quindi, la capacità dell’impresa di generare reddito dal complesso della suoi ricavi.

Dall’espressione precedente, moltiplicando e dividendo per VP, si ottiene:

LiLi CVPROS

CVP

VPROROI ⋅=⋅=

'

Tale relazione evidenzia come la remunerazione del capitale investito (ROI) dipenda da due fattori: il margine di reddito ottenuto sui ricavi di vendita (ROS) e l’entità del valore della produzione in relazione al capitale investito. Il secondo termine, detto turnover del capitale investito, esprime una misura della capacità dell’impresa di ottenere valore della produzione dall’insieme delle sue risorse finanziare. 19 In questo caso, infatti, ogni euro di finanziamento esterno è in grado di generare un incremento di reddito operativo che, oltre a coprire i costi del finanziamento stesso, produce un incremento del reddito netto, e quindi del ROE.

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VALUTAZIONE DELL’EQUILIBRIO FINANZIARIO

Attraverso lo svolgimento di questa parte dell’analisi di bilancio si cerca di verificare la capacità dell’impresa di finanziare la propria attività in relazione ai debiti che essa ha contratto ed ai relativi tempi di restituzione. In particolare, è necessario verificare la consistenza relativa delle diverse componenti del capitale per poter prevedere con opportuno anticipo la possibile insorgenza di problemi di liquidità dovuti al ritardo dei redditi prodotti dagli investimenti effettuati rispetto ai tempi di restituzione dei finanziamenti ricevuti per realizzare gli investimenti stessi.

Alcuni parametri utili a questo scopo, margine di tesoreria, margine di disponibilità (o capitale circolante netto) e margine di struttura, sono stati già definiti nel precedente capitolo nell’ambito della valutazione del capitale. Oltre a questi, che esprimono l’entità assoluta di grandezze relative alla consistenza patrimoniale dell’impresa, possono essere definiti ulteriori indici i quali vengono calcolati rapportando i valori delle diverse voci della situazione patrimoniale.

Con riferimento a liquidità immediate (LI), liquidità differite (LD), rimanenze (R), capitale immobilizzato (Im), debiti a breve (DB) e a medio/lungo periodo (DML) vengono definititi i seguenti quozienti.

Quoziente di liquidità: B

DIL D

LLQ +=

Esprime la capacità di far fronte agli impegni finanziari immediati; per evitare crisi di liquidità nel breve periodo il suo valore deve essere superiore ad uno e, possibilmente, non inferiore a 1,5.

Quoziente di disponibilità: B

DID D

RLLQ ++=

Ha un significato analogo al quoziente di liquidità, ma include fra i capitali disponibili a breve per far fronte ad eventuali problemi di liquidità anche le rimanenze. Per questa ragione il suo valore dovrebbe essere apprezzabilmente superiore al precedente e comunque non assumere valori inferiori a 1,8-2,0.

Quoziente di copertura finanziaria: Im

CPQ NML

CF+

=

Quando questo indice assume un valore inferiore ad uno si manifesta una condizione in cui parte degli investimenti non è stata finanziata con capitale di medio lungo periodo. Ciò implica che parte delle risorse finanziarie impiegate per interventi strutturali deve essere restituita nel breve periodo, circostanza che può comportare il rischio di incorrere in futuri problemi finanziari.

Quoziente del margine strutturale: ImC

Q NMS =

Questo indice, simile al precedente ma riferito solo al capitale proprio, esprime, nel caso in cui assuma valori superiori all’unità, un consistente equilibrio patrimoniale in quanto tutte le strutture produttive sono finanziate con risorse proprie dell’impresa. Questa situazione, però, non è sempre consigliabile, soprattutto in imprese che producono redditi elevati e che, sfruttando l’effetto leva positivo, possono trarre vantaggio da un più consistente ricorso a capitali di terzi.

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Diviene quindi importante, nella valutazione dell’equilibrio finanziario, inserire un indicatore dell’incidenza del finanziamento di terzi sulla consistenza dei capitali dell’impresa. A questo scopo possono essere usati diversi rapporti; fra i più comuni troviamo, oltre al rapporto di leva finanziaria (LF = CT/CN), il cosiddetto quoziente di indebitamento dato dal rapporto CT/CL. Quest’ultimo assume valori che vanno da zero (tutto capitale proprio) ad uno (tutto capitale di terzi). E’ molto difficile stabilire un intervallo ottimale per questo rapporto, appare comunque evidente che un valore elevato espone l’impresa ad una considerevole dipendenza da finanziamenti di terzi, e di conseguenza a rischi elevati, mentre un valore troppo basso impedisce di sfruttare l’eventuale effetto positivo della leva finanziaria. SCHEMA DELLA ANALISI DI BILANCIO

La figura 9 illustra uno schema con cui può essere eseguita un’analisi del bilancio. Come si osserva, il punto di partenza è rappresentato dal valore del ROE, cioè dal tasso di remunerazione ottenuto dal capitale fornito dall’imprenditore (nel caso di impresa individuale) o dai soci (nel caso di impresa collettiva).

Il primo livello dell’analisi riguarda la scomposizione del ROE in tre fattori distinti che contribuiscono a determinarne il valore. Partendo dalla definizione del ROE ed eseguendo alcuni semplici passaggi si perviene a tale utile scomposizione:

)()'

('

''

'F

N

TN

N

LC

LN

C L1ROGf

1ROIC

CCRO

GfROROI

CC

ROR

CRO

CR

ROE +⋅−⋅=+

⋅−

⋅=⋅⋅==

Con questa procedura si evidenzia come il valore del ROE sia determinato dal ROI e da due altre componenti; una che, con l’effetto leva finanziaria, tende ad incrementarne il valore, l’altra che ne comporta una riduzione, in ragione dell’entità del costo dei finanziamenti di terzi rispetto alla consistenza del reddito operativo.

Una tale scomposizione consente di interpretare la remunerazione al capitale netto come la risultante della capacità dell’impresa di impiegare efficacemente i capitali in essa investiti e del ruolo del finanziamento di terzi. E’ così possibile trovare le cause di un insoddisfacente rendimento del capitale proprio ed intervenire per apportare le opportune correzioni attraverso un’analisi delle tre componenti che ne sono all’origine. L’ANALISI DEL ROI

Per quanto riguarda il ROI, si è visto come il suo valore dipenda da due elementi: la capacità di trasformare in reddito il valore delle produzioni (ROS) e l’efficienza produttiva del capitale lordo (turnover del capitale). Analizzando tali componenti è possibile identificare eventuali punti di debolezza dell’impresa nella struttura dei costi o nella dotazione e nell’impiego a fini produttivi del capitale investito.

Interventi sul ROS sono legati alla struttura dei costi dell’impresa attraverso il meccanismo della leva operativa (L0), definita come rapporto fra variazione percentuale del reddito operativo e corrispondente variazione del valore della produzione:

(%)/(%)/

VPVPROROLO ∆

∆=

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Figura 9 - Struttura dello schema logico per lo svolgimento di un’analisi di bilancio

ROE

ROITasso di indebitamento

(1+LF)

Tasso di incidenzaGestione Extracaratteristica

(1-IP/RO)

ROS Turnover del capitale investito- Costo dell'indebitamento (ROD)- Incidenza delle altre componenti extra-caratteristiche

Analisi conto economico (%)(Leva operativa & Struttura costi)

LO

Analisi della Sit. Patrimoniale - impieghi finanziari - fonti di finanziamento

Analisi dell'equilibrio finanziario

- Quoziente di Liquidità- Quoziente di Disponibilità- Copertura Finanziaria- Quoziente del Margine Strutturale

Leva finanziariaROI-ROD

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Interventi volti ad elevare il valore di L0 sono quindi particolarmente utili per accrescere gli incrementi di reddito conseguenti alla adozione di strategie commerciali finalizzate alla crescita della quantità o della qualità dei prodotti offerti dall’impresa.

Il valore di L0 è strettamente legato alla struttura dei costi; è infatti possibile ottenere incrementi di reddito più che proporzionali agli aumenti del valore della produzione riducendo i costi variabili ed aumentando i costi fissi.

Per comprendere questo meccanismo è utile far riferimento ad un esempio. Si considerino due imprese (A e B), caratterizzate dai medesimi valori del VP e del RO ma da una diversa struttura dei costi, nelle quali viene conseguito un incremento del 20% del VP. Il prospetto di tabella 6 mostra per entrambe le imprese la situazione di partenza e quella che si verifica in conseguenza dell’incremento del VP, supponendo un aumento dei costi variabili proporzionale a quello del valore della produzione20.

Ad una crescita del valore della produzione del 20% corrisponde un incremento del reddito operativo che per l’impresa A è del 40% mentre per la B è del 60%; il valore della leva operativa è quindi di 2 per l’impresa A e di 3 per l’impresa B.

Tabella 6 - Esemplificazione del meccanismo della leva operativa Impresa A Impresa B

Situazione

Iniziale Situazione

Finale Situazione

Iniziale Situazione

finale VP 100 120 100 120 CV 50 60 25 30 CF 25 25 50 50 RO 25 35 25 40

L’esemplificazione mostra che il trasferimento degli incrementi produttivi in termini di reddito è particolarmente premiato da una struttura dei costi dell’impresa imperniata sugli investimenti piuttosto che su un elevato impiego di fattori a logorio totale. Per agire sul valore della leva operativa è necessario esaminare il conto economico analizzando la composizione dei costi per verificare i possibili interventi volti a “strutturare” parte dei costi variabili, attraverso interventi quali l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato invece che con contratti a termine o acquistando macchinari e impianti per lo svolgimento di operazioni affidate ad imprese esterne.

Questa indicazione generale, tuttavia, deve essere interpretata con grande attenzione per due ordini di motivi. Il primo riguarda la consistenza patrimoniale dell’impresa che, con una strategia di aumento dei costi fissi, e quindi di investimenti a medio/lungo termine, tende a dipendere in misura crescente dal finanziamento di terzi. Questo elemento, se da un lato può premiare la redditività attraverso il meccanismo delle leva finanziaria, rende l’impresa maggiormente dipendente dal controllo da economie esterne che possono influenzarne la gestione. Il secondo aspetto riguarda il

20 Il considerare l’aumento dei costi variabili proporzionale a quello del valore della produzione è legato all’ipotesi che quest’ultimo sia dovuto ad un incremento della quantità di prodotto e che la funzione di costo variabile sia lineare. Queste condizioni, pur non coprendo la totalità delle situazioni, sono abbastanza generali da rendere sufficientemente realistica l’esemplificazione quantitativa.

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meccanismo della leva operativa che agisce con modalità identiche anche in senso opposto, amplificando in termini di riduzione del reddito eventuali decrementi del VP. Così, con riferimento all’esempio precedente, una riduzione del VP del 35% porterebbe l’impresa B ad un valore negativo del RO, cosa che non si verifica per l’impresa A.

Per queste ragioni, una strategia di incremento della leva operativa, pur premiando le strategie di crescita dell’impresa, la espone a maggiori rischi di natura economica e finanziaria. Il meccanismo della leva operativa, analogamente a quello della leva finanziaria, favorisce le imprese in grado di remunerare i capitali investiti ma tende ad esporle ad una eccessiva dipendenza da capitali di terzi. A conferma di questa affermazione va segnalato che il rischio finanziario che caratterizza un’impresa è espresso proprio dal prodotto fra i valori della leva finanziaria e della leva operativa.

L’altro elemento che, oltre al ROS, determina il valore del ROI è il turnover del capitale investito, parametro che dipende dalla capacità produttiva degli investimenti. Un valore insoddisfacente di tale indicatore può derivare da una sovracapitalizzazione dell’impresa o dalla insufficiente utilizzazione degli investimenti stessi. Entrambe le circostanze possono essere individuate attraverso un’accurata analisi della situazione patrimoniale e della sua evoluzione recente, analisi che deve riguardare, non solo la composizione delle immobilizzazioni, ma anche l’entità e la valutazione delle rimanenze che, soprattutto quando permangono per più esercizi, possono subire delle consistenti variazioni di valore.

Chiaramente qualunque intervento sulla composizione patrimoniale dell’impresa volto a migliorare la finalizzazione produttiva degli investimenti, prima di essere attuato, dovrà essere valutato alla luce dell’attuale equilibrio finanziario, così come si manifesta dal valore assunto dai relativi indicatori. L’ANALISI DEI FINANZIAMENTI DI TERZI

Dalla scomposizione del ROE espressa dalla precedente relazione risulta che il rapporto esistente fra la redditività del capitale netto e la redditività del capitale lordo dipende esclusivamente dalla consistenza e dal costo del capitale di terzi. Tale dipendenza si esprime attraverso due componenti: la leva finanziaria, che tende ad incrementare il valore dei ROI, ed il costo della gestione finanziaria, che agisce in senso opposto, riducendone l’entità.

Poiché l’obiettivo dell’imprenditore è quello di incrementare la remunerazione del capitale proprio, egli, oltre a puntare ad un elevato valore ROI, deve cercare di sfruttare l’effetto della leva finanziaria, limitando contemporaneamente il rischio insito nel massiccio ricorso al capitale di terzi e, soprattutto, l’ammontare degli interessi passivi sui finanziamenti ottenuti.

Il tentativo di aumentare l’effetto della leva finanziaria deve essere comunque considerato con grande attenzione, tenendo conto che la sua azione dipende dal legame esistente fra ROI e ROD. Quando il ROI presenta un valore maggiore del ROD, l’effetto della leva finanziaria si esercita in senso positivo, portando incrementi del rendimento del capitale netto all’aumentare del livello di indebitamento dell’impresa; l’effetto opposto si manifesta allorquando il ROD è più elevato del ROI.

Questa articolazione esistente fra le varie componenti finanziarie implica che l’analisi del bilancio riguardo al ruolo dei finanziamenti di terzi deve essere condotta con grande attenzione per poter delineare delle strategie efficaci. Il punto di partenza è certamente quello di ridurre la differenza fra reddito operativo e reddito netto

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rappresentata dal risultato della gestione finanziaria, e quindi contrarre quanto più possibile gli interessi passivi sui capitali di terzi; agire sul tasso che l’impresa paga sui debiti, il ROD appunto, è certamente il primo passo per accrescere il valore del ROE.

Se le strategie per la riduzione del ROD sono tali da portare questo indice ad un valore inferiore al ROI allora è opportuno valutare gli effetti di una politica aziendale di incremento dell’indebitamento che, se da un lato aumenta il ROE grazie alla leva finanziaria, dall’altra espone l’impresa ad un rischio che va attentamente valutato attraverso una analisi dell’equilibrio finanziario. Se invece il ROD si mantiene elevato, e comunque superiore al ROI, è necessario procedere ad una riduzione dell’indebitamento facendo molta attenzione, anche in questo caso, all’equilibrio finanziario dell’impresa. Infatti, una brusca riduzione dei debiti di medio-lungo periodo, ottenuta attraverso l’impiego del capitale disponibile, potrebbe portare a problemi di liquidità che metterebbero in crisi le stesse potenzialità produttive dell’impresa.

~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~

Un’impresa presentava all’inizio dell’esercizio appena concluso la seguente situazione patrimoniale.

IMPIEGHI Importi (€) FONTI Importi (€) Cassa 1.000 Prestiti di conduzione 60.000 C/C Bancari 20.000 Debiti verso Fornitori 15.000 Liquidità immediate 21.000 Debiti verso l’Erario 5.000 Crediti verso Clienti e Soci 100.000 Debiti a breve 80.000 Crediti verso enti previdenziali 15.000 Prestiti per acquisto impianti 50.000 Altri crediti a breve 10.000 Mutui ipotecari 90.000 Liquidità differite 125.000 Fondo TFR 10.000 Materie prime 110.000 Debiti a medio/lungo periodo 150.000 Prodotti destinati alla vendita 50.000 CAPITALE DI TERZI 230.000 Prodotti in lavorazione 200.000 Rimanenze 360.000 CAPITALE DISPONIBILE 506.000 Terreni e fabbricati 1.500.000 Macchinari e impianti 200.000 Mobili ufficio 30.000 Immobilizzazioni materiali 1.730.000 Partecipazioni e Titoli 5.000 Depositi Cauzionali 5.000 Immobilizzazioni finanziarie 10.000 IMMOBILIZZAZIONI 1.740.000

CAPITALE LORDO 2.246.000 CAPITALE NETTO 2.016.000

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Si esegua un’analisi di bilancio considerando i seguenti valori del conto economico del bilancio rilevati a fine esercizio.

Importi (€) (%) Valore della Produzione 1.210.000 100,0% Costi Variabili 910.000 75,2% REDDITO LORDO 300.000 24,8% Costi Fissi 204.000 16,9% REDDITO OPERATIVO 96.000 7,9% Imposte (IRAP) 1.800 0,1% REDDITO OPERATIVO CORRETTO 94.200 7,8% Gestione finanziaria -9.500 0,8% REDDITO D’ESERCIZIO ANTE IMPOSTE 84.700 7,0% Imposte (IRPEG) 31.340 2,6% REDDITO D’ESERCIZIO 53.360 4,4%

Escludendo la presenza di lavoro non retribuito, anche in relazione alla dimensione economico-finanziaria dell’impresa, l’analisi di bilancio si concentra sulla determinazione della redditività del capitale investito e sui possibili interventi volti ad incrementarne l’entità. A questo scopo è necessario procedere alla determinazione dei quattro indici di redditività: ROE, ROI, ROD e ROS.

La redditività del capitale proprio, cioè il ROE, è pari a:

%65,2000.016.2

360.53====

NiNi

C

CRE

CR

ROE

La redditività globale del capitale investito, espressa dal ROI, risulta invece:

%80,2000.246.2

340.31200.94'=

−=

−==

Li

RC

Li CImRO

CROROI

Il costo medio dei finanziamenti di terzi nel corso dell’esercizio, rappresentato dal ROD, viene determinato rapportando il risultato della gestione finanziaria alla consistenza del capitale di terzi:

%13,4000.230

500.9===

TiCGf

ROD

L’ultimo indice, il ROS, esprime la quota di reddito derivante dalla gestione tipica ed è dato dal rapporto fra reddito operativo (anche in questo caso corretto sottraendo l’ammontare delle imposte) e valore della produzione.

%20,5000.210.1

340.31200.94'=

−==

VPROROS

Per procedere alla scomposizione del ROE è necessario determinare la leva finanziaria (LF), dato dal rapporto fra capitale di terzi e capitale netto, e l’incidenza della gestione finanziaria sul reddito operativo.

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114,0000.016.2

000.230===

N

TF C

CL 151,0

860.62500.9

'==

ROGf

La scomposizione del ROE risulta quindi:

ROE = ROI ⋅ (1-|Gf|/RO’) ⋅ (1+LF) = 2,80% ⋅ 0,849 ⋅ 1,114 = 2,65%

In base ai valori ottenuti si osserva che l’effetto della leva finanziaria, pari a 0,114, è inferiore a quello dell’incidenza della gestione finanziaria (-0,151) e ciò giustifica il minore livello del ROE rispetto al ROI.

Come evidenzia la scomposizione del ROE, per innalzare la remunerazione del capitale investito è possibile cercare di aumentare il ROI e ridurre l’incidenza della gestione finanziaria.

Per quanto riguarda l’azione della leva finanziaria, è necessario confrontare preventivamente i valori del ROI e del ROD. Essendo ROI-ROD=-1,33%, e quindi minore di zero, l’effetto della leva finanziaria è negativo; ciò comporta che un eventuale aumento dell’indebitamento porterebbe ad una ulteriore riduzione del ROE. Ne consegue che l’aumento del ROE non può essere conseguito attraverso un incremento dell’effetto leva finanziaria e neanche riducendo il costo dei capitali di terzi che, con un tasso di poco superiore al 4%, appare già sufficientemente contenuto.

D’altro canto, la situazione patrimoniale evidenzia un basso tasso di indebitamento (di poco superiore al 10%) ed anche dal punto di vista dell’equilibrio finanziario l’impresa risulta assai solida, come emerge dal valore dei relativi quozienti:

- Quoziente di liquidità: 1,83 80.000

125.00021.000=

+=LQ

- Quoziente di disponibilità: 6,33 80.000

360.000125.00021.000=

++=DQ

- Quoziente di copertura finanziaria: 1,24 1.740.000

150.0002.016.000=

+=CFQ

- Quoziente del margine strutturale: 1,16 1.740.0002.016.0000

==MSQ

Sulla base delle precedenti valutazioni, allora, si può affermare come il punto debole dell’impresa sia il ridotto valore del ROI; è quindi necessario analizzare le due componenti che lo costituiscono: il ROS e il turnover del capitale investito. Questa seconda componente, che risulta pari a:

%9,53000.246.2000.210.1

==LC

VP

non sembra assumere un valore particolarmente basso. Ciò non toglie che è comunque possibile tentare di incrementare il valore della produzione, puntando ad ottenere prezzi più elevati per i prodotti attraverso strategie mirate alla commercializzazione.

Molto più preoccupante appare, invece, il ROS che evidenzia come solo poco più del 5% dei ricavi si trasformano in reddito. Se il VP è sostanzialmente adeguato al livello degli investimenti presenti, altrettanto non si può dire dei costi che appaiono

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certamente troppo elevati. Osservando il conto economico emerge come oltre il 75% del valore della produzione sia “consumato” dai costi variabili. E’ quindi l’eccessiva incidenza di questa componente il punto debole dell’impresa, e bisogna agire su di essa per ottenere migliori livelli di redditività.

Il tipo di interventi possibili sono sostanzialmente due: tentare semplicemente di ridurre i costi variabili senza agire su elementi strutturali dell’impresa o cercare di attivare un meccanismo virtuoso basato sulla leva operativa. In questa seconda ipotesi è necessario agire contemporaneamente su due fronti: da un lato, convertire parte dei costi variabili in costi fissi (investendo in impianti o macchinari, cercando nuove soluzioni tecniche, migliorando la professionalità del capitale umano), dall’altro aumentando il valore della produzione. La leva operativa, infatti, incrementa i redditi in misura tanto più elevata quanto maggiore è il rapporto fra costi fissi e costi variabili.

In conseguenza di questi interventi, se eseguiti con le opportune modalità, è presumibile prevedere un progressivo innalzamento del ROI; qualora questo indicatore superasse il valore del ROD sarebbe possibile ipotizzare interventi strutturali sull’impresa eseguiti per mezzo di finanziamenti provenienti da terze economie. Questa politica dell’impresa, oltre ad aumentare l’efficienza della struttura produttiva, consentirebbe, infatti, di sfruttare l’effetto positivo della leva finanziaria.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

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3. LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELL’IMPRESA 3.1 CENNI ALLA TEORIA DELLA PRODUZIONE

Una funzione di produzione esprime il legame fra il livello di impiego dei fattori produttivi e la quantità di prodotto (o di prodotti) ottenibile. La natura di tale legame dipende dalla tecnica impiegata e indica la modalità, espressa in termini di tipo e quantità dei fattori, con cui può essere ottenuto un determinato prodotto.

Per produrre un determinato bene saranno disponibili diverse tecniche a ciascuna delle quali corrisponderà un determinato livello tecnologico.

Una funzione di produzione può essere rappresentata con una equazione nella quale la quantità di prodotto (y) dipende dalle quantità (v1,v2,...,vk) dei k fattori utilizzati in quella particolare tecnica:

y = f (v1, v2, ..., vk)

Considerando i fattori della produzione dal punto di vista del controllo che l’imprenditore può esercitare su di essi, è stata operata una suddivisione fra fattori esogeni, che l’imprenditore non può controllare e dei quali deve cercare di prevedere la manifestazione, ed endogeni, i quali possono essere scelti e dosati dall’imprenditore. Questi ultimi assumono una diversa connotazione in base alla prospettiva temporale nella quale vengono considerati; mentre nel lungo periodo nessun fattore endogeno presenta limiti di disponibilità, nel breve periodo alcuni di essi, rappresentati dagli elementi strutturali dell’azienda, sono disponibili in una quantità fissa che, in tale ambito temporale, l’imprenditore non può modificare. Di conseguenza, dei k fattori totali, alcuni saranno disponibili in quantità limitata (fattori fissi) mentre altri potranno essere dosati dall’imprenditore (fattori variabili) ottenendo la corrispondente quantità di prodotto determinata dalla funzione di produzione.

Secondo questo approccio alla teoria della produzione, per poter operare in maniera efficiente, l’imprenditore dovrebbe conoscere tutte le forme funzionali relative ai prodotti che intende produrre e determinare in base ad esse il livello di impiego dei fattori in modo da ottenere il risultato che ritiene il migliore in relazione ai suoi obiettivi. In molti casi, l’impossibilità oggettiva di procedere secondo un tale approccio obbliga a fare riferimento ad una diversa modalità per descrivere i processi produttivi.

In realtà le imprese che operano nei diversi settori produttivi sono in grado di attivare soltanto un numero limitato di tecniche per produrre un determinato bene, le quali sono il risultato di un percorso di acquisizione di sempre nuove conoscenze tecniche. Viene a cadere, così, la possibilità di instaurare un rapporto di dipendenza analitica fra quantità dei fattori produttivi e dei prodotti determinato da una funzione di produzione continua, quale quella precedentemente indicata. Di conseguenza, quando la teoria della produzione viene affrontata da una prospettiva più prettamente gestionale, è utile far ricorso ad una diversa teoria la quale si basa su funzioni di produzione dette a coefficienti fissi.

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Nelle funzioni a coefficienti fissi una determinata quantità di prodotto può essere ottenuta soltanto attraverso un numero limitato di combinazioni dei fattori produttivi i quali entrano nel processo produttivo secondo rapporti fissi. Tali funzioni di produzione sono descritte da un elenco dei coefficienti tecnici, ovvero le quantità dei singoli fattori necessarie per produrre una unità di prodotto. Nel caso in cui un processo produttivo dia origine a più prodotti, i coefficienti tecnici vengono riferiti alla produzione unitaria del prodotto principale, mentre gli altri vengono considerati come sottoprodotti.

Di conseguenza, il processo produttivo si presenta come un elenco delle quantità dei prodotti ottenibili e dei fattori richiesti per produrre una unità del prodotto principale. Il processo produttivo assume la forma di un vettore di p+k elementi, dove p indica il numero dei prodotti forniti dal processo e k il numero dei fattori impiegati. Questi ultimi, per eseguire la valutazione economica del processo produttivo e il suo dimensionamento in relazione alla struttura dell’impresa è opportuno che vengano distinti fra gli m che si riferiscono ai fattori fissi (v1,...,vm) e i k-m che invece esprimono le quantità dei fattori variabili (vm+1,...,vk). Il vettore relativo al generico processo produttivo j assume quindi la forma seguente:

+

kj

jm

mj

j

pj

j

a

aa

ay

y

...

...

...

)1(

1

1

Questo può essere letto come una “ricetta” della quale vengono elencati i k ingredienti con le relative quantità {aij}= (a1j,…, akj) necessarie per ottenere il risultato desiderato, vale a dire le quantità y1,…,yp di prodotti.

3.2 I PROCESSI PRODUTTIVI: ASPETTI TECNICI ED ECONOMICI

Nella gestione dell’impresa la definizione dei processi produttivi si rende necessaria sia per pianificare l’attività dei successivi cicli produttivi sia per controllare la regolarità dello svolgimento delle diverse attività in relazione alle previsioni effettuate prima del loro avviamento.

La costruzione del vettore processo produttivo è il prodotto di due distinte fasi: la rilevazione delle modalità con cui l’attività è stata svolta nel precedente ciclo produttivo e l’adattamento della tecnica rilevata in relazione ai possibili incrementi di efficienza tecnica. Il continuo flusso di informazioni porta quindi l’imprenditore a modificare costantemente le tecniche produttive impiegate nei cicli precedenti attraverso un continuo processo di adattamento finalizzato alla massimizzazione dell’efficienza dei processi stessi. La fase di “correzione” dei processi produttivi rispetto ai risultati

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riscontrati nel corso della rilevazioni eseguite nei cicli precedenti si rende necessaria anche in relazione all’influenza esercitata dalla manifestazione dei fattori esogeni e, caso assai frequente, alla incompleta o imprecisa registrazione di tutti i dati relativi alle singole fasi eseguite nell’ambito della tecnica condotta.

Questa fase di correzione si rende indispensabile per poter condurre le analisi preventive che, avendo come obiettivo l’organizzazione efficiente delle risorse aziendali, non possono essere basate su processi produttivi inefficienti. Ciò implica che la costruzione dei processi produttivi, pur dovendo essere riferita alla dotazione strutturale della singola impresa, deve prevedere una modalità razionale per la loro conduzione. In questa operazione un utile contributo viene fornito dal riferimento a processi produttivi “standardizzati” nei quali alcuni aspetti particolari, come i tempi di svolgimento delle operazioni, con i relativi impieghi di materie prime e manodopera, sono definiti in base a specifici parametri tecnici. Così operando si cerca di evitare che valutazioni soggettive, legate a comportamenti individuali, possano influenzare gli aspetti tecnico-economici di alcune attività condizionando l’efficienza dell’intera organizzazione produttiva dell’impresa. Affinché la fase di aggiustamento delle tecniche possa essere condotta in modo ottimale e dare origine a processi produttivi efficienti è necessario che la rilevazione consuntiva dei dati avvenga nel modo più corretto possibile rispetto alle modalità con cui l’attività è stata realmente svolta.

La rilevazione consuntiva dei dati tecnici delle attività produttive può avvenire con due modalità sostanzialmente differenti in relazione alla presenza nell’impresa di specifici sistemi di rilevazione contabile. In particolare, come verrà approfondito nel terzo capitolo, se l’impresa dispone di una contabilità analitica, la descrizione delle tecniche produttive rappresenta il risultato dell’insieme delle registrazioni effettuate. Quando, invece, non è presente un adeguato sistema contabile, la rilevazione delle tecniche deve essere eseguita utilizzando delle schede opportunamente predisposte. In tali schede andranno trasferite in forma strutturata le informazioni che spesso vengono raccolte in modo disorganizzato e incompleto.

La fedeltà nella rilevazione dei dati tecnici è molto importante, oltre che per conoscere le modalità effettive con cui le attività sono state svolte, anche per esprimere una corretta valutazione economica dei risultati del processo. Questa operazione, nel caso in cui non sia presente nell’impresa un sistema di contabilità analitica, richiede il calcolo diretto delle diverse voci e la determinazione dei relativi indicatori.

In questo secondo caso la rilevazione degli aspetti tecnici avviene attraverso uno specifico supporto e la determinazione dei risultati economici viene eseguita attraverso un calcolo diretto. Il prospetto per la rilevazione dei dati tecnici, detto solitamente scheda tecnica, può essere organizzata con modalità differenti a seconda della tipologia del processo produttivo e degli scopi della rilevazione; è necessario comunque che riporti per ciascuna fase produttiva le strutture impegnate (impianti, macchinari, …) e le modalità di esecuzione (consumi, materie prime, lavoro, …). Nella pratica è da evitare l’inserimento anche di dati economici; una tale formulazione, infatti, si presenta inadeguata agli scopi della rilevazione sia per motivi teorici (la definizione del processo produttivo è riferita solo ad aspetti tecnici) che per ragioni pratiche, legate alla possibilità di aggiornare con regolarità i prezzi di prodotti e fattori produttivi senza intervenire sulla tecnica. Un elemento di cui va tenuto conto è l’unità di riferimento della rilevazione eseguita attraverso la scheda tecnica. In linea teorica il comportamento ideale rispetto alle modalità di rilevazione dei dati tecnici dei processi produttivi sarebbe quello di utilizzare il massimo livello di analiticità per poter avere il massimo

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dettaglio in fase di valutazione economica consuntiva e la più ampia possibilità di scelta rispetto ai diversi metodi di analisi preventiva. Tale comportamento, per diverse ragioni, non è sempre possibile, per cui va raggiunto un compromesso fra la necessità di limitare i tempi (e i costi) di rilevazione delle informazioni e la possibilità ottenere dati fondamentali per l’impostazione ed il controllo della gestione dell’impresa.

La trasposizione dei dati rilevati con la scheda tecnica in termini di coefficienti del vettore processo produttivo non presenta particolari difficoltà. Durante questa operazione, come detto, è importante separare i coefficienti relativi ai prodotti da quelli dei fattori e, per questi ultimi, tenere distinti i coefficienti tecnici riferiti ai fattori variabili da quelli fissi. I primi, infatti, possono essere reperiti sul mercato nella quantità necessaria per condurre i diversi processi produttivi; i secondi, invece, essendo disponibili in quantità limitata nel contesto temporale in cui viene attuato il processo, ne condizionano la dimensione.

Partendo dalla conoscenza del vettore processo produttivo è possibile procedere alla sua valutazione economica.

Il principale parametro che sintetizza il risultato del processo è rappresentato dal reddito lordo (rl), il quale esprime la differenza tra il valore della produzione generato dal processo (vp) ed i costi variabili sostenuti per la sua conduzione (cv).

Il valore della produzione è dato dal prodotto fra le quantità dei beni prodotti ed i relativi prezzi di vendita; i costi variabili sono calcolati moltiplicando le quantità dei fattori variabili impiegati nel processo per il loro prezzo di acquisto.

Come si è visto nella premessa, la teoria economica, rispetto all’insieme dei prezzi con cui si confronta l’impresa, postula l’esistenza di un mercato caratterizzato da condizioni di libera concorrenza nei confronti del quale l’imprenditore è un price taker, cioè un recettore assolutamente passivo.

Anche se le condizioni che determinano l’esistenza di concorrenza perfetta sono abbastanza verificate in molti comparti produttivi, può accadere che per alcuni prodotti caratterizzati da forti dinamiche di mercato legate, ad esempio, a marchi di particolare attrattiva, alla presenza di un contenuto immateriale cui i consumatori si rivelano particolarmente sensibili, o alla collocazione su mercati di nicchia, l’imprenditore abbia la possibilità di imporre prezzi più elevati. Diversa è la situazione per quanto riguarda l’acquisto dei fattori produttivi; l’imprenditore, infatti, ha scarsissime possibilità di intervento sul prezzo di mercato. Tuttavia, lo scarso realismo della condizione relativa alla completa mobilità dei fattori, comporta che l’esistenza di vincoli strutturali impedisca per alcuni di essi l’incontro tra la domanda e l’offerta con degli apprezzabili differenziali di prezzo fra le diverse imprese. Va inoltre considerato che, soprattutto per le imprese di maggiore dimensione, esiste sempre un margine di trattativa che consente agli imprenditori di migliorare le condizioni di acquisto delle materie prime per quanto riguarda sia i prezzi che le modalità ed i tempi di pagamento.

E’ evidente, pertanto, che in un contesto gestionale il riferimento ai prezzi di mercato, pur fornendo un indispensabile parametro di confronto, deve essere corretto tendo conto della situazione reale con la quale l’impresa si confronta. E’ così necessario costruire alcuni vettori dei prezzi da applicare sia ai coefficienti tecnici relativi alle tecniche rilevate per eseguire le opportune analisi consuntive, sia ai processi produttivi “corretti” per calcolarne i risultati attesi ed impostare i diversi metodi di analisi preventiva. E’ chiaro che, in questo secondo caso, è opportuno definire dei vettori prezzi alternativi per analizzare i diversi scenari di mercato con i quali l’impresa potrebbe confrontarsi all’atto dell’acquisto dei fattori e della vendita dei prodotti.

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Un elemento di cui tenere conto quando si considera il risultato economico di un processo produttivo espresso dal reddito lordo è rappresentato del livello di impiego dei fattori fissi nel processo stesso. Per evitare che ciò comporti delle valutazioni errate in fase di confronto fra processi è necessario includere fra gli indicatori riassuntivi dei processi produttivi l’indicazione dell’impiego complessivo dei diversi fattori fissi, in particolare per il lavoro e per gli impianti e i macchinari. Riguardo a questi ultimi, l’unico elemento da considerare è il costo determinato dall’ammortamento in quanto nei costi variabili sono già compresi tutti i consumi energetici e gli interventi necessari per mantenere tali strutture in condizioni di pieno funzionamento.

Il lavoro presenta, invece, una connotazione diversa in quanto la sua incidenza nei risultati del processo è condizionata, oltre che dal numero di ore richieste per le diverse qualifiche professionali, anche dal rapporto di lavoro che lega l’impresa ai lavoratori impiegati. Infatti, il lavoro svolto da personale assunto a tempo indeterminato origina un costo fisso, il lavoro svolto da personale a tempo determinato origina un costo variabile e nel caso in cui intervenga nel processo l’imprenditore stesso ne scaturisce costo implicito. Per risolvere le eventuali ambiguità che sorgono nella valutazione del costo del lavoro nei processi produttivi è necessario operare in maniera univoca includendo o escludendo tutto l’impiego di manodopera, qualunque sia la tipologia di lavoro preposta al suo svolgimento.

Includendo il costo del lavoro nella valutazione del risultato economico si determina una sorta di “reddito lordo al netto del costo del lavoro” il quale costituisce un parametro di indubbia utilità nella valutazione comparativa dei processi produttivi eseguita in fase consuntiva. In alternativa si può procedere rapportando il reddito lordo alle ore di lavoro; tale indicatore viene ad esprimere una misura della produttività del lavoro immesso nel processo.

Un altro parametro di valutazione del risultato economico dei processi produttivi è rappresentato dal costo di produzione (full costing) riferito all’unità di prodotto. A differenza del reddito lordo, non ci si limita al calcolo dei soli costi variabili, ma vengono presi in considerazione tutti i costi che possono essere attribuiti al processo stesso; l’entità del costo così determinata viene divisa per la quantità prodotta in relazione alla scala alla quale è stato rilevato il processo.

La determinazione del costo di produzione richiede di distinguere i fattori produttivi non in relazione al loro logorio (totale, parziale o nullo) ma al tipo di presenza che essi manifestano nei processi produttivi. Ciò comporta che le componenti di costo non siano distinte in variabili o fisse ma in:

• costi specifici, se vengono sostenuti esclusivamente per la conduzione di un processo produttivo;

• costi plurimi , se sostenuti per più processi produttivi; • costi generali; se sostenuti per il funzionamento dell’impresa nel suo complesso.

Riferendosi a questa modalità di classificazione il calcolo del costo di produzione viene semplificato in quanto al relativo processo possono essere direttamente attribuiti sia i costi specifici che la relativa quota parte dei costi plurimi, per i quali è possibile trovare un criterio oggettivo di assegnazione attraverso il controllo dell’utilizzo dei fattori. Le maggiori difficoltà di assegnazione ai processi riguardano i costi generali per i quali sono inevitabili delle attribuzioni soggettive; la loro entità complessiva può essere ripartita in base a diversi criteri (valore della produzione, entità dei costi specifici e plurimi, ecc.); ciascuna soluzione è valida e al tempo stesso criticabile non esistendo

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una motivazione obiettiva che possa pienamente giustificarla. In generale, comunque, l’attribuzione dei costi ai diversi processi rappresenta un procedimento tanto più complesso quanto maggiore è il livello di diversificazione produttiva.

Una volta assegnati i costi espliciti si dovrà procedere all’attribuzione degli eventuali costi impliciti; a questo scopo, per evitare il più possibile valutazioni soggettive, i fattori conferiti dall’imprenditore andranno valutati a prezzi di mercato.

L’analisi del risultato dei processi condotta con il criterio del costo di produzione non è in grado di fornire indicazioni particolarmente utili all’imprenditore. Ciò dipende, oltre che dalla approssimazione nell’attribuzione dei costi plurimi e generali ai singoli processi, anche dal fatto che parte dei costi attribuiti al prodotto, in particolare quelli fissi, vengono sostenuti indipendentemente dall’effettiva attivazione del processo. Così l’imprenditore potrebbe decidere di continuare a condurre un processo in grado di produrre reddito lordo anche nel caso in cui il costo di produzione risultasse maggiore del prezzo del prodotto. In questo modo, infatti, egli è in grado di coprire parte dei costi fissi che, in assenza del processo, dovrebbe sostenere per intero.

Al contrario, una circostanza in cui il costo di produzione fornisce utili indicazioni riguarda l’eventualità in cui l’impresa, per un particolare prodotto, sia in grado di imporre il prezzo di vendita. In questo caso, la conoscenza del costo di produzione consente di determinare una soglia minima per il prezzo del prodotto.

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4. ANALISI PREVENTIVA DELLE STRATEGIE DI GESTIONE 4.1 IL CONTESTO DECISIONALE DELL’IMPRESA

Nell’ambito della gestione viene detta analisi preventiva l’insieme delle procedure che consentono di valutare i processi decisionali finalizzati al conseguimento degli obiettivi imprenditoriali. Lo svolgimento delle analisi preventive si traduce, quindi, in una progettazione sistematica che, basandosi sulle conoscenze disponibili, imposta l’orientamento delle attività future. Questo processo coinvolge due diversi aspetti: da un lato, i processi logici attraverso cui l’imprenditore giunge a formulare una decisione e, dall’altro, l’insieme dei metodi e degli strumenti che egli può utilizzare per valutare le diverse alternative e prendere le decisioni che risultano più aderenti al conseguimento dei suoi obiettivi gestionali. Egli cerca, attraverso un’efficiente utilizzazione dei fattori e cogliendo le opportunità offerte dal contesto istituzionale e di mercato, di ottenere i migliori risultati possibili e, contemporaneamente, di ridurre i rischi legati alla manifestazione degli elementi che sfuggono al suo controllo.

In molti casi gli imprenditori conducono il processo di analisi preventiva in modo empirico, senza operare alcuna formalizzazione dei diversi problemi di scelta con i quali si confrontano. Questo approccio, se da un lato offre il vantaggio di poter tenere conto di tutte le informazioni qualitative frutto dell’esperienza individuale e non sempre facilmente codificabili, impedisce di condurre la valutazione delle possibili strategie tenendo nella dovuta considerazione tutte le informazioni quantitative relative agli aspetti tecnico-economici del problema.

La difficoltà di condurre efficaci analisi preventive è legata, oltre alla intrinseca imprevedibilità di alcuni fattori esogeni della produzione, alla discrepanza che talora si manifesta fra le forme in cui si presentano le conoscenze empiriche degli imprenditori e la rigidità dei modelli matematici di analisi. Ne consegue che per affrontare in modo efficace i problemi di scelta che si presentano nell’impresa è necessario utilizzare strumenti analitici in grado di descrivere con sufficiente realismo la questione che si intende analizzare e saper interpretare i risultati ottenuti attraverso l’esperienza e la sensibilità individuale dell’imprenditore. Con un simile approccio è possibile trasporre i problemi di analisi preventiva in forme strutturate in cui considerare gli elementi coinvolti nel processo decisionale. Tale procedimento origina dei modelli la cui impostazione e risoluzione costituisce argomento di diverse discipline a carattere analitico-matematico, fra le quali riveste particolare importanza la ricerca operativa.

La forma secondo cui impostare lo specifico modello di analisi preventiva dipende dalla tipologia del problema di gestione che si intende affrontare; tale scelta è generalmente condizionata da quattro elementi:

• dimensione temporale del problema di scelta; • numero e tipologia degli obiettivi imprenditoriali; • condizioni di conoscenza dell’imprenditore; • caratteristiche dell’attività oggetto di analisi.

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DIMENSIONE TEMPORALE DEL PROBLEMA DI SCELTA

Con riferimento all’orizzonte temporale, cioè al periodo cui si riferiscono le diverse decisioni imprenditoriali, è possibile distinguere scelte di breve periodo e scelte di medio-lungo periodo.

Si parla di breve periodo quando la prospettiva temporale delle scelte riguarda un intervallo (solitamente un ciclo produttivo) nel quale la disponibilità degli elementi costituenti la struttura aziendale non è modificabile. In questi casi la forma strutturata del problema di analisi preventiva viene organizzata in dei modelli (statici) nei quali non viene esplicitamente considerata l’influenza del fattore tempo.

Quando, invece, le decisioni imprenditoriali riguardano più esercizi amministrativi, e deve essere considerato sia l’effetto dei cicli precedenti sui risultati di quelli successivi che il differente valore attuale di valori monetari riferiti a periodi futuri, è necessario far ricorso a modelli (dinamici) nei quali la variabile tempo viene considerata in modo esplicito. In questo ambito rientrano due diversi tipi di decisioni: quelle relative ad interventi sulla composizione del capitale immobilizzato e quelle legate a modificazioni sostanziali nella organizzazione produttiva dell’impresa. In quest’ultimo caso si è soliti ricorrere a metodi di simulazione in cui la situazione attuale viene confrontata con quella che si prevede al termine della trasformazione. Questa, evidentemente, non può essere determinata con certezza, per cui è opportuno considerare diverse ipotesi, solitamente indicate come “scenari”, in cui i diversi elementi in gioco vengono valutati, oltre che nelle condizioni ragionevolmente previste, anche nei termini più pessimistici (e ottimistici) possibili. In alternativa alle “analisi di scenario” possono essere utilizzati metodi di pianificazione intertemporale nei quali viene analizzata l’evoluzione dell’impresa e dei suoi risultati nei diversi periodi compresi nell’orizzonte temporale della decisione; tali metodi, tuttavia, per la loro complessità e difficoltà di impostazione hanno trovato fino ad ora scarsa applicazione in ambito imprenditoriale. Dal punto di vista gestionale il problema di scelta di medio-lungo periodo che si presenta con maggiore frequenza è rappresentato dalla valutazione della eventuale convenienza nel modificare la disponibilità dei fattori fissi attraverso un intervento sulla dotazione strutturale dell’impresa.

In generale, l’orizzonte temporale dell’analisi rappresenta la principale discriminante fra le tipologie di metodi per la valutazione preventiva delle scelte imprenditoriali. La classificazione che si origina in relazione a questo elemento distingue gli strumenti (per scelte di medio-lungo periodo) che determinano la convenienza degli interventi sulla struttura dell’impresa da quelli (di breve periodo) che identificano le strategie produttive più efficienti in relazione alla dotazione disponibile di fattori fissi. I primi fanno capo all’insieme di metodi noti come “analisi degli investimenti” dei quali in questa sede verrà descritta esclusivamente la analisi costi-benefici, mentre i secondi costituiscono un complesso assai articolato che non verrà affrontato in questa trattazione ad eccezione di un semplice metodo, peraltro di grande utilità, finalizzato alla identificazione della condizione di break-even.

OBIETTIVI DELL’IMPRENDITORE Il primo postulato della teoria dell’impresa, come visto nella premessa, afferma

che l’imprenditore opera con l’obiettivo di massimizzare il profitto, ciò implica che questo scopo sarà quello che perseguirà nell’operare le proprie scelte gestionali.

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Nella realtà, come si è avuto modo di accennare, accade che altri elementi contribuiscano a determinare il senso di soddisfazione (utilità) dell’imprenditore, affiancandosi alla esclusiva ricerca del miglior risultato economico quale fine che ispira e indirizza i suoi comportamenti. La presenza di ulteriori motivazioni riduce l’importanza attribuita alla massimizzazione del profitto o, comunque, condiziona in modo decisivo i processi decisionali dell’imprenditore.

Proprio considerando questa eventualità, il bagaglio degli strumenti operativi per l’analisi preventiva delle scelte di impresa si è progressivamente arricchito di una serie di metodi in grado di affrontare delle situazioni in cui le decisioni devono tenere conto della compresenza di molteplici obiettivi. Tali metodi, proprio perché strutturati per affrontare problemi multiobiettivo, presentano un maggiore livello di complicazione sia formale che matematica.

Per questa ragione la loro trattazione non verrà affrontata in questa sede, limitandoci a esporre esclusivamente alcuni metodi in cui l’unico obiettivo imprenditoriale è identificato con al ricerca del miglior risultato economico.

CONDIZIONI DI CONOSCENZA DELL’IMPRENDITORE L’imprenditore opera in condizioni di conoscenza perfetta quando può prevedere

con certezza i prezzi e gli elementi caratterizzanti la funzione di produzione. Nella realtà l’imprenditore si trova generalmente in condizioni di conoscenza imperfetta nelle quali deve confrontarsi con condizioni di rischio ed incertezza relative ad elementi non direttamente controllabili che riguardano sia la manifestazione dei fattori esogeni che la inevitabile variabilità che caratterizza il mercato dei fattori di produzione e, in maggior misura, dei prodotti21.

L’ipotesi dell’esistenza di condizioni di conoscenza perfetta costituisce la base per l’impostazione dei metodi di analisi preventiva di tipo deterministico, mentre, nel caso contrario, si parla di metodi aleatori nei quali è possibile tenere conto della variabilità degli elementi coinvolti nel processo decisionale.

I metodi aleatori, proprio per capacità di inglobare nel modello di analisi l’incertezza che caratterizza alcuni dei fattori che concorrono all’attività produttiva, appaiono certamente più adatti ad essere applicati in problemi di gestione dell’impresa. Tuttavia, la complessità introdotta nei modelli dalla presenza di variabili aleatorie, li rende scarsamente adatti ad un impiego operativo nelle realtà aziendali. D’altro canto, l’ipotesi della conoscenza perfetta, pur semplificando la struttura dei modelli di analisi, appare in molte circostanze poco realistica. Per ovviare a questo problema, una soluzione che viene adottata è quella di non rinunciare ai vantaggi dell’impiego dei metodi deterministici, ma di ripetere la loro applicazione ipotizzando diversi scenari in cui agli elementi che presentano la maggiore variabilità o imprevedibilità vengono fatti assumere diversi valori. Questa strategia, che riproduce in modo strutturato il processo decisionale come viene generalmente condotto dagli imprenditori, è molto diffusa nella pratica; per questa ragione la trattazione svolta nei paragrafi seguenti riguarderà essenzialmente i metodi deterministici.

21 L’incertezza ed il rischio rappresentano due situazioni sostanzialmente differenti. Si è in presenza di rischio quando la probabilità dei diversi eventi è in qualche modo misurabile, mentre l’incertezza contraddistingue eventi la cui variabilità è non misurabile. La distinzione tra rischio ed incertezza, quindi, si basa sull’esistenza di informazioni necessarie all’imprenditore per determinare la probabilità degli eventi in esame. Se l’imprenditore può far uso di informazioni per impostare e per stimare le probabilità degli eventi si trova in condizioni di rischio, se invece la probabilità viene attribuita in modo soggettivo senza sufficienti conoscenze empiriche è in condizioni di incertezza.

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ATTIVITÀ OGGETTO DELLA PIANIFICAZIONE Quando l’attività di analisi preventiva è riferita ad una particolare componente

della struttura aziendale si parla di scelte di tipo parziale. Quando invece il processo di valutazione riguarda l’attività produttiva nel suo insieme è necessario far ricorso a metodi di analisi di tipo globale.

In realtà le scelte parziali riguardano aspetti molto particolari in quanto, nella maggior parte dei casi, non è facile isolare la specifica attività produttiva dall’insieme della gestione dell’impresa. Infatti, molti problemi di gestione, che a prima vista potrebbero apparire analizzabili astraendoli dal contesto dell’impresa, hanno delle consistenti ripercussioni sull’intera organizzazione produttiva. Ad esempio, la modifica di una tecnologia produttiva o l’acquisto di un nuovo macchinario appaiono come scelte la cui convenienza può essere analizzata indipendentemente dalla situazione generale dell’impresa. In realtà, se ciò è sostanzialmente vero dal punto di vista economico, altrettanto non si può dire per quanto riguarda l’aspetto finanziario. Infatti, come si avrà modo di discutere successivamente, l’investimento di capitale in una certa attività, sia esso di proprietà dell’imprenditore e di terzi, comporta importanti conseguenze sia sulla composizione che sulla redditività del patrimonio.

In un’ottica gestionale, quindi, la possibilità di analizzare singoli comparti produttivi, isolandoli dall’intero contesto dell’impresa, appare di scarso interesse; per questa ragione la distinzione dei metodi di analisi preventiva fra parziali e globali appare scarsamente utile e non verrà esplicitamente considerata nell’ambito della successiva trattazione.

4.2 ANALISI DEGLI INVESTIMENTI

L’analisi degli investimenti viene svolta per pianificare l’attività dell’impresa nel medio-lungo periodo e quindi riguarda scelte imprenditoriali relative all’acquisto di beni durevoli che forniscono i loro servizi nell’ambito di più cicli produttivi (fattori a logorio parziale o nullo) quali fabbricati, impianti, macchinari, ecc.

Per la gran parte degli investimenti la spesa si sostiene all’atto dell’acquisto, o della realizzazione, mentre i redditi si distribuiscono nell’arco della loro vita assumendo un entità che, dipendendo da eventi futuri, non può essere prevista con assoluta certezza. La difficoltà nel prevedere gli scenari futuri, soprattutto riguardo le condizioni del mercato, impone di valutare diverse alternative tenendo conto della possibile variabilità dei parametri in gioco.

Per eseguire un analisi degli investimenti è necessario per prima cosa svolgere un esame preliminare volto ad identificare tutte le possibili opportunità di investimento. Dopo aver selezionato gli investimenti di potenziale interesse per l’impresa deve esserne valutata la convenienza economica e la realizzabilità finanziaria; la determinazione della convenienza economica comporta il confronto fra il capitale da investire ed i redditi attesi, la determinazione della realizzabilità finanziaria si basa sulla comparazione dei flussi di cassa attivi prodotti dall’investimento con quelli passivi conseguenti ai pagamenti per la sua realizzazione, in particolare la restituzione del capitale e degli interessi dovuti per gli eventuali prestiti.

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L’analisi della convenienza economica e della realizzabilità finanziaria degli investimenti, a causa della incertezza che caratterizza il flusso dei costi e, soprattutto, dei ricavi deve essere ripetuta con diversi scenari di prezzi e di produttività in modo da stabilire i parametri di valutazione (convenienza e realizzabilità) sotto condizioni normali, favorevoli e sfavorevoli. Al termine di questo procedimento, in base ai risultati ottenuti, è possibile scegliere una delle possibili alternative di investimento considerate.

Gli investimenti oggetto di analisi riguardano generalmente interventi di ammodernamento o ristrutturazione di specifici comparti dell’impresa; tuttavia le ripercussioni di tali investimenti, in particolare dal punto di vista finanziario, si manifestano in diversa misura sull’insieme della struttura produttiva. Dal punto di vista operativo, tuttavia, è spesso possibile considerare la specifica caratterizzazione tecnico-economica dell’investimento ed analizzarne gli aspetti economici e finanziari isolandolo dal contesto generale dell’impresa. In questi casi la valutazione avviene utilizzando metodi e indicatori che fanno capo alla categoria di strumenti nota come analisi costi-benefici le cui caratteristiche verranno analizzate nei due successivi paragrafi. 4.2.A L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI ECONOMICI

L’analisi costi-benefici viene applicata agli investimenti i cui ricavi si realizzano durante un periodo corrispondente alla loro vita utile, indicata come durata. Con riferimento a questo periodo è necessario stimare con il massimo grado di attendibilità i costi di realizzazione e di funzionamento dell’investimento ed i ricavi attesi (in questo tipo di analisi solitamente indicati come benefici).

Gli investimenti prevedono un flusso di ricavi e costi durante gli esercizi amministrativi della sua durata. L’insieme di questi valori si colloca in periodi diversi e, di conseguenza, per la loro corretta valutazione è necessaria la considerazione esplicita del fattore tempo.

Ciò dipende dal fatto che il valore di una stessa quantità di denaro varia al variare del riferimento temporale nel quale viene considerato.

In particolare 1 € oggi è preferibile ad 1 € domani in quanto: - 1 € investito oggi genera un interesse domani (costo opportunità); - 1 € oggi è sicuro, domani non si sa (fattore rischio); - 1 € oggi consente di acquistare beni del cui possesso posso godere immediatamente

(preferenza temporale); - 1 € domani vale meno di oggi a causa dell’inflazione (effetto svalutazione).

Per queste ragioni i principali indicatori di convenienza economica degli investimenti vengono determinati dopo aver riportato tutti i ricavi e tutti i costi ad uno stesso riferimento temporale, in modo tale che la loro entità risulti confrontabile.

Il trasferimento di valori monetari nel tempo avviene facendo riferimento al concetto finanziario dello “sconto” con il quale è possibile riportare al momento attuale dei valori futuri. Tale processo di anticipazione nel tempo avviene ricorrendo ad un tasso di riferimento r, detto appunto di sconto, il quale, a seconda degli scopi del conteggio, può rappresentare il costo opportunità del capitale, una misura del fattore rischio, il saggio di preferenza temporale, il tasso di inflazione o una loro combinazione.

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Una volta fissato il tasso di riferimento r da utilizzare come riferimento per il trasferimento nel tempo dei valori monetari, il valore presente (Vp) di un certo valore futuro (Vf) ottenuto dopo k anni è dato da22:

kf

p rVV

)1( +=

Il principale indicatore utilizzato per formulare un giudizio di convenienza economica su di un investimento, o per paragonare diversi investimenti, si basa sul confronto dei valori attualizzati dei costi e dei ricavi e viene detto valore attuale netto (VAN) dell’investimento.

Per determinare il VAN di un investimento è necessario eseguire un procedimento che prevede una serie di passaggi:

1 - Scelta del tasso di riferimento (r) Il tasso di riferimento r che viene utilizzato per riportare alla attualità tutti i costi e

i benefici dell’investimento, condizionando in modo decisivo il valore del VAN, deve essere scelto con la massima accuratezza. Fra i diversi criteri che possono essere adottati a questo scopo, quello che generalmente viene scelto per valutare gli investimenti aziendali considera quale coefficiente di spostamento temporale delle quantità monetarie la variazione del valore del capitale impegnato nell’investimento.

Nel caso in cui l’investimento venga completamente realizzato con capitale proprio, viene distolta dalla produzione una quota del capitale netto che garantirebbe al termine dell’esercizio amministrativo un rendimento pari al ROE. In altri termini, investendo risorse proprie, l’impresa sperimenta un costo pari al mancato rendimento che il capitale investito avrebbe garantito in condizioni normali nell’impresa stessa (costo opportunità). Se, invece, per eseguire l’investimento si ricorre esclusivamente a capitale di terzi, il tasso di attualizzazione di questo capitale è determinato dal tasso di interesse che l’impresa paga sui finanziamenti esterni.

Il tasso di riferimento determinato in ragione di quello a cui l’impresa rinuncia, nel caso in cui impieghi il proprio capitale nell’investimento, o di quello che deve

22 L’interesse semplice è dato dal prodotto del capitale per il tasso e per il tempo:

I = C0 ⋅ r ⋅ t dove C0 indica il capitale iniziale, r il tasso d’interesse e t il tempo. Per la durata di un esercizio amministrativo t diviene uguale all’unità e, pertanto, la precedente espressione diventa:

I = C0 ⋅ r L’entità del capitale alla fine dell’esercizio (C1) è determinata dalla somma del capitale iniziale e dell’interesse:

C1 = C0 + I = C0 + C0 ⋅ r = C0 ⋅ (1 + r) Il fattore (1+r), che si indica anche con la lettera q, rappresenta il montante di un euro e viene definito di “capitalizzazione semplice”. Volendo risalire al valore iniziale, noto il valore finale, si ha:

C0 = C1/(1 + r) = C1 ⋅ 1/(1 + r) Il fattore 1/(1+r) consente di riportare all’attualità il valore del capitale che si realizza alla fine dell’esercizio. Procedendo nel calcolo, il valore del capitale al termine del secondo esercizio (C2) risulta:

C2 = C1 + I = C1 + C1 ⋅ r = C1 ⋅ (1 + r) = C0 ⋅ (1 + r) ⋅ (1 + r) = C0 ⋅ (1 + r)2 Nel caso generale il capitale dopo n esercizi risulterà pari a:

Cn = C0 ⋅ (1 + r)n Il fattore (1+r)n rappresenta il montante di un euro ad interesse composto e si definisce di “capitalizzazione composta”. Il suo inverso, 1/(1+r) n, detto fattore di “sconto composto”, consente di riportare all’attualità un valore del capitale temporalmente collocato dopo n esercizi.

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pagare, se ricorre al finanziamento di terzi, rappresenta il tasso di rendimento minimo accettabile per l’investimento e fissa il valore limite per giudicarne la convenienza.

Nel caso generale un investimento sarà finanziato in parte con capitale proprio e in parte con capitale di terzi, per cui il tasso di riferimento dovrà tenere conto dell’entità relativa delle due componenti. In realtà non serve conoscere tale rapporto con riferimento allo specifico investimento, ma come tale rapporto tenderà a configurarsi secondo le aspettative dell’imprenditore nel periodo di durata dell’investimento considerato. Se è ragionevole ipotizzare che tale rapporto non varierà in misura significativa rispetto a quello attuale, è possibile calcolare il tasso di riferimento da utilizzare per riportare alla attualità i flussi di benefici e costi come:

L

T

L

N

CC

RODCC

ROEr +=

Il costo della frazione che fa capo al capitale netto (CN/CL), è pari al suo tasso di rendimento corrente (ROE)23; il costo della parte relativa al debito verso terzi (CT/CL) è invece pari al costo medio che sostiene l’impresa per i finanziamenti esterni, il quale è espresso dal ROD. Un vantaggio di questa modalità di calcolo è quello di poter eseguire la valutazione economica (ma non quella finanziaria!) ignorando la modalità con cui lo specifico investimento viene finanziato.

2 - Calcolo dei costi di realizzazione dell’investimento I costi per la realizzazione dell’investimento includono, oltre all’acquisto o alla

costruzione del bene, tutte le componenti richieste per il suo pieno funzionamento e le spese necessarie per mantenerlo in piena efficienza e garantirne il corretto funzionamento. Nel conteggio vanno inclusi anche gli eventuali costi di disinvestimento nell’ultimo anno della durata, necessari, ad esempio, per la demolizione di un fabbricato o per la sostituzione di un impianto.

Nel caso la realizzazione dell’investimento utilizzi delle strutture dell’impresa o ne impedisca o limiti il normale funzionamento, è necessario includere fra i costi di realizzazione anche l’entità dei mancati redditi che derivano da una tale situazione.

3 - Calcolo dei benefici e dei costi di esercizio dell’investimento Per ognuno degli anni della durata dell’investimento vanno calcolati i benefici

derivanti dal suo utilizzo ed i costi variabili legati al suo funzionamento o alla sua conduzione. Per quanto riguarda i benefici, questi sono generalmente rappresentati dall’incremento dei ricavi derivante dall’utilizzo della nuova struttura; i costi di esercizio sono legati al fattori impiegati per mettere l’investimento nelle opportune condizioni produttive (materie prime, consumi energetici, lavoro).

Nel calcolo di ricavi e costi di esercizio va tenuto presente che il prezzo dei prodotti e dei fattori deve essere quello previsto nei diversi anni della durata dell’investimento; nel caso in cui non sia possibile effettuare tale previsione con sufficiente affidabilità è possibile limitarsi ad incrementare i prezzi negli anni successivi utilizzando il tasso di inflazione. Fra i benefici dell’ultimo anno della vita utile, deve essere incluso l’eventuale valore residuo dell’investimento rappresentato, ad esempio, dalla cessione ad un’altra impresa del macchinario o dell’impianto. 23 Il valore del ROE da utilizzare in questo caso deve riferirsi ad una media fra i rendimenti ottenuti dal capitale netto in un certo numero di esercizi precedenti e quelli medi attesi nei successivi. Considerare soltanto il ROE dell’ultimo anno potrebbe portare ad una valutazione non corretta a causa della possibile influenza di particolari eventi verificatisi nel corso dell’esercizio.

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4 - Calcolo del valore attuale dei benefici e dei costi I benefici annui (bi) determinati al punto 3 ed i costi annui (ci) ottenuti come

somma dei costi di realizzazione (punto 2) e dei costi di funzionamento (punto 3) dell’investimento, per poter essere paragonati, devono essere riportati dal generico anno i all’inizio del primo anno della durata dell’investimento, pari ad un numero n di anni.

Trascurando la collocazione temporale dei benefici e dei costi nel corso del singolo anno, si adotta la semplificazione di considerare che entrambi abbiano luogo alla fine di ciascun esercizio amministrativo. Così il costo del primo anno per essere attualizzato deve essere “portato indietro” di un anno. In generale, allora, il beneficio bi ed il costo ci. relativi al generico anno i vengono riportati all’attualità dividendoli per il fattore (1+r)i.

La somma dei benefici e dei costi attualizzati estesa agli n anni di durata dell’investimento determina il valore attuale di benefici (B0) e costi (C0).

∑= +

=+

+++

++

++

=n

ii

in

n

rb

rb

rb

rb

rbB

13

32

210 )1()1(

...)1()1()1(

∑= +

=+

+++

++

++

=n

ii

in

n

rc

rc

rc

rc

rc

C1

33

221

0 )1()1(...

)1()1()1(

5 - Calcolo del VAN e formulazione del giudizio sull’investimento La differenza tra il valore attuale dei benefici (B0) e dei costi (C0), esprime il

valore (o beneficio) attuale netto, VAN, dell’investimento.

VAN = B0 - C0

L’investimento risulta conveniente se il VAN è positivo (B0-C0>0). Infatti, poiché il VAN rappresenta la differenza fra il capitale complessivo investito (C0) e capitale ottenibile dall’investimento (B0) entrambi riportati all’attualità, la sua positività implica un vantaggio nella realizzazione dell’investimento.

Per valutare la convenienza economica di un investimento, oltre al VAN, è possibile far riferimento ad altri indicatori. Due parametri impiegati a questo scopo sono il rapporto fra benefici e costi attualizzati e il tasso di rendimento interno.

Il rapporto fra benefici e costi attualizzati (B0/C0) esprime la redditività in valore attuale di ciascuna unità di capitale investito. In accordo con il giudizio di convenienza basato sul VAN, un investimento risulterà conveniente quando il rapporto assume valore maggiore dell’unità (B0/C0>1).

Considerando la modalità di calcolo di B0 e C0, è immediato osservare che sia il VAN sia il rapporto B0/C0 dipendono dal tasso di riferimento: di conseguenza, uno stesso investimento può risultare conveniente o meno in relazione al valore scelto per r. Per questa ragione può essere utile impiegare come parametro di valutazione degli investimenti il tasso di rendimento interno (TIR) il cui valore non dipende dal tasso di interesse ma soltanto dai flussi dei benefici bi e dei costi ci.

Il TIR è definito come quel valore del tasso di interesse (r*) per cui si annulla il VAN dell’investimento, cioè per cui B0=C0:

∑∑== +

=+

n

ii

in

ii

i

rc

rb

11 *)1(*)1(

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Questa relazione, che nel caso generale ha un elevato numero di soluzioni, ne presenta una soltanto nel caso di investimenti semplici; vengono così definiti gli investimenti la cui durata può essere distinta in un primo periodo in cui i costi sono sempre maggiori dei benefici, e in secondo periodo in cui i benefici sono sempre maggiori dei costi24. In queste circostanze l’andamento di B0 e C0 in funzione di r è tale che la loro differenza (il VAN) risulta sempre decrescente e, di conseguenza, si annulla in un solo punto25. Come si osserva nel grafico di figura 10, per piccoli valori di r la curva dei B0 è posta al di sopra di quella dei C0, mentre per tassi di interesse sufficientemente elevati i C0 superano i B0. Il punto in cui le due curve si intersecano (B0=C0, VAN=0) definisce il valore r* del TIR.

Figura 10 - Individuazione grafica del TIR

La formulazione del giudizio, dato che il TIR rappresenta il tasso di rendimento caratteristico dell’investimento, è basato sul confronto fra r* ed il tasso di riferimento r. L’investimento risulterà economicamente conveniente se r<r*, cioè quando il tasso di rendimento atteso dall’investimento è superiore al costo del capitale investito (in questa situazione, infatti, B0>C0 e il VAN è positivo). Quando invece r>r* si registra la situazione opposta in cui, essendo il VAN<0, l’investimento non risulta conveniente.

Va sottolineato che tutti i parametri utilizzati per stabilire la convenienza di un investimento forniscono un identico giudizio, per cui si verificherà sempre che:

VAN > 0; B0/C0 > 1; r* > r

24 Gli investimenti semplici, pur rispettando la condizione che li definisce come tali, possono presentare differenti tipologie dei flussi di benefici e costi. Benefici e costi sono distributi lungo tutto la durata dell’investimento (investimenti CICO-continuous input, continuous output); costi tutti concentrati nel primo anno e benefici tutti nell’ultimo (PIPO-point input, point output); situazioni intermedie (CIPO e PICO). 25 Data la configurazione dei bi e dei ci nel caso di investimenti semplici, accade che, all’aumentare di r, B0 decresca in maniera più rapida di C0 in quanto i benefici, essendo collocati rispetto ai costi in periodi più lontani nel tempo, vengono maggiormente penalizzati nel procedimento di attualizzazione.

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oppure che

VAN < 0; B0/C0 < 1; r* < r

Nonostante i tre indicatori forniscano analoghe indicazioni riguardo la convenienza economica dell’investimento, essi esprimono differenti indicazioni sul livello di rendimento atteso dall’investimento che possono utilmente integrarsi quando l’imprenditore deve scegliere fra diversi investimenti tutti caratterizzati da un giudizio economicamente positivo.

~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~

L’esempio presentato nelle pagine seguenti riguarda l’analisi della convenienza economica della realizzazione di un impianto produttivo in un impresa.

1 - Determinazione del tasso di riferimento Dall’osservazione della situazione patrimoniale, non riportata nell’esempio,

risulta che il capitale investito nell’impresa (CL) è di 4.400.000 € e il capitale proprio (CN) è di 3.000.000 € e, di conseguenza, che la quota del capitale proprio è del 68% e quella del capitale di terzi è del 32%. L’imprenditore ritiene che tale composizione del capitale rimarrà sostanzialmente inalterata nel medio lungo periodo e che quindi possa essere utilizzata per valutare il costo del capitale.

Considerando il reddito d’esercizio dell’impresa, che come risulta dal conto economico dell’esercizio precedente è pari a 81.000 €, si determina il rendimento del capitale proprio (ROE) che risulta del 2,7%. Sempre dai dati del bilancio si desume che il tasso di interesse che l’impresa paga per i debiti (ROD) è dell’6,45%.

Dai dati precedenti si determina il costo del capitale dell’impresa da utilizzare nell’analisi come tasso di riferimento il quale risulta:

r = 0,027 ⋅ 0,68 + 0,0645 ⋅ 0,32 = 3,90%

2 - Calcolo dei costi di realizzazione dell’investimento L’impianto ha una durata prevista di 12 anni e richiede per la sua realizzazione

dei costi di 75.000 € nel primo anno, 16.550 nel secondo e 9.250 nel terzo; inoltre per la sua dismissione al termine del periodo di operatività è prevista una spesa di 7.500 €.

Per assicurare la piena funzionalità dell’impianto, oltre ad alcuni macchinari ed attrezzature già presenti nell’impresa, sono necessarie ulteriori dotazioni. La maggior parte di queste verranno acquistate nel secondo anno, ovvero all’avvio dell’impianto, per una spesa complessiva di 12.500 €; alcune altre saranno necessarie a partire dal primo anno e, considerando che la loro durata prevista è di 6 anni, andranno rinnovate nel settimo anno. Il costo di queste ultime è di 9.000 € e si prevede che quando verranno rinnovate dopo 6 anni il loro prezzo avrà raggiunto i 11.500 €.

Va considerato, inoltre, che l’impianto che si intende realizzare ne va a sostituire uno preesistente che avrebbe garantito un reddito di 25.000 €/anno nel primo anno e che si sarebbe progressivamente ridotto in ragione di 5.000 € all’anno.

Tenendo conto di queste informazioni viene costruito il prospetto dei costi di realizzazione dell’investimento presentato a pagina seguente.

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Anni Costi

Impianto Costo

Attrezzi Mancati Redditi

Costi Realizzazione

1 75.000 9.000 25.000 109.000 2 16.500 12.500 20.000 49.000 3 9.250 0 15.000 24.250 4 0 0 10.000 10.000 5 0 0 5.000 5.000 6 0 0 0 0 7 0 11.500 0 11.500 8 0 0 0 0 9 0 0 0 0

10 0 0 0 0 11 0 0 0 0 12 7.500 0 0 7.500

3 - Calcolo dei benefici e dei costi di esercizio dell’investimento I benefici dell’investimento sono rappresentati dal valore della produzione

realizzata attraverso l’impiego dell’impianto, il quale entrerà in funzione a partire dal secondo anno. Il flusso dei ricavi si presenterà disomogeneo nel corso degli undici anni in cui se ne prevede l’utilizzazione, sia per la variazione della quantità prodotta (in relazione al completamento della fase di “rodaggio” e, successivamente, alla progressiva usura dei suoi componenti), sia per l’evoluzione del prezzo dei prodotti.

Mentre la previsione della dinamica delle produzioni può essere condotta facendo riferimento ad informazioni in larga misura oggettive, più complessa è la stima di quella che sarà la fluttuazione del prezzo in un arco di tempo considerevole quale quello in cui si prevede di utilizzare l’impianto di produzione. Senza entrare nel merito degli strumenti a cui l’imprenditore potrebbe far ricorso per affrontare questo problema e il tipo di indicazioni che essi sono in grado di offrire, si supponga che sia possibile ricostruire il seguente prospetto di produzioni e prezzi dei prodotti dal quale desumere il flusso di benefici previsti nell’arco della durata dell’investimento.

Anni Quantità prodotto

Prezzi prodotto

Valore produzione

Costi variabili

1 0 22,50 0 6.200 2 1.200 23,05 27.660 3.450 3 1.400 23,65 33.110 6.250 4 1.500 24,20 36.300 8.750 5 1.500 24,80 37.200 10.000 6 1.525 25,45 38.810 10.300 7 1.500 26,10 39.150 10.600 8 1.480 26,75 39.590 10.950 9 1.450 27,40 39.730 11.250

10 1.400 28,10 39.340 10.600 11 1.200 28,80 34.560 10.100 12 900 29,50 26.550 9.300

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I costi di produzione, che riguardano gli acquisti delle materie prime, i consumi

energetici e i salari degli operai impiegati nella linea di produzione, presentano analoghi problemi di valutazione, in particolare per quanto riguarda i prezzi. Le quantità immesse nella produzione, infatti, anche se sempre con un margine di aleatorietà, possono essere ritenute proporzionali ai livelli produttivi. Supponendo, anche in questo caso, che l’imprenditore sia in grado di fornire un quadro soddisfacente dell’evoluzione dei costi di funzionamento dell’impianto nell’intero periodo, viene compilata l’ultima colonna del relativo prospetto.

4 - Calcolo del valore attuale dei benefici e dei costi I benefici calcolati al punto 3 vengono riportati nella colonna dei bi. I costi di

realizzazione (calcolati al punto 2) e i costi di esercizio e le imposte sul reddito (calcolati al punto 3) vengono totalizzati nella colonna dei ci.

Nel prospetto seguente, nelle due colonne adiacenti, sono stati calcolati i valori dei bi e dei ci attualizzati con l’ipotesi che i costi vengono sostenuti all’inizio dell’anno e i ricavi vengano percepiti alla fine.

Anni bi ci bi attual. ci attual. 1 0 115.200 0 110.876 2 27.660 52.450 25.622 48.586 3 33.110 30.500 29.520 27.193 4 36.300 18.750 31.149 16.089 5 37.200 15.000 30.723 12.388 6 38.810 10.300 30.850 8.187 7 39.150 22.100 29.952 16.908 8 39.590 10.950 29.152 8.063 9 39.730 11.250 28.156 7.973

10 39.340 10.600 26.834 7.230 11 34.560 10.100 22.688 6.631 12 26.550 16.800 16.776 10.615

5 - Calcolo del VAN e degli altri indicatori di convenienza economica Le somme dei benefici e dei costi attualizzati risultano rispettivamente:

422.301)1(

12

10 =

+= ∑

=ii

i

rb

B 739.280)1(

12

10 =

+= ∑

=ii

i

rc

C

da cui derivano i seguenti valori degli indicatori di convenienza economica:

VAN = B0 - C0 = 20.683 =0

0

CB

1,074

L’investimento è di tipo semplice in quanto nei primi due anni i costi sono maggiori dei ricavi, mentre dal terzo anno in poi i ricavi superano i costi. Questa situazione consente di procedere alla determinazione del tasso di rendimento interno (TIR) eseguendo una ricerca per tentativi del valore r* che eguaglia B0 e C0.

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A questo scopo è utile raccogliere in una tabella i valori assunti da B0, da C0, dal loro rapporto e dalla loro differenza (VAN). Dall’esame della tabella e dalla rappresentazione grafica dell’andamento di B0, C0 e del VAN riportata nel grafico seguente risulta che il TIR è di poco superiore al 6% (precisamente pari al 6,25%).

r (%) B0 C0 B0-C0 B0/C0 0 392.000 324.000 68.000 1,210 1 365.646 311.642 54.004 1,173 2 341.596 300.214 41.383 1,138 3 319.613 289.623 29.990 1,104 4 299.487 279.788 19.699 1,070 5 281.034 270.637 10.397 1,038 6 264.088 262.105 1.983 1,008 7 248.503 254.136 -5.633 0,978 8 234.149 246.679 -12.530 0,949 9 220.911 239.689 -18.778 0,922

10 208.683 233.124 -24.441 0,895

-50

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 2 4 6 8 10Tasso di riferimento (r)

B 0,C0,V

AN

(mig

l. €)

r*

B0

C0

VAN

6 - Formulazione del giudizio sull’investimento I tre indicatori di convenienza calcolati al punto precedente consentono di

formulare un giudizio sostanzialmente positivo sull’investimento, infatti:

VAN = 20.683 € > 0; B0/C0 = 1,074 > 1; TIR = 6,25% > 3,90%

Il margine di convenienza, tuttavia, non appare particolarmente ampio per cui sarebbe il caso di ripetere i conteggi ipotizzando condizioni più penalizzanti (costo del capitale più elevato, prezzi di vendita e produzioni più contenuti, costi di produzione più elevati) per verificare le condizioni limite di convenienza. Una tale analisi di stabilità del giudizio può essere condotta definendo i diversi scenari possibili e calcolando i corrispondenti valori degli indicatori di convenienza economica.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

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4.2.B L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI FINANZIARI

Dopo aver scelto l’investimento in base ai risultati dell’analisi economica è necessario procedere alla verifica della sua fattibilità finanziaria. L’esame degli aspetti finanziari legati agli investimenti rappresenta una imprescindibile esigenza amministrativa in quanto la loro realizzabilità può essere condizionata dalla mancanza delle necessarie risorse finanziarie. Il risultato dell’analisi finanziaria è in grado di indicare se l’impresa è in grado di portare a buon fine l’investimento facendo assegnazione su proprie risorse (autofinanziamento) o se debba ricorrere a finanziatori terzi e, in questo caso, se il flusso dei ricavi provenienti dall’investimento è tale da garantire la restituzione del prestito e il pagamento dei relativi interessi.

A questo riguardo va considerato che l’analisi finanziaria potrebbe evidenziare la necessità di un consistente finanziamento di terzi il quale andrebbe a modificare le previsioni dall’imprenditore sulla struttura patrimoniale di medio-lungo periodo dell’impresa in base alla quale è stato determinato il tasso di costo del capitale utilizzato nell’analisi economica. In tali circostanze diviene necessario riconsiderare l’incidenza attesa del capitale di terzi sul capitale lordo, e di conseguenza, ricalcolare il tasso di riferimento da applicare nell’analisi economica. Sarebbe rischioso, infatti, procedere alla realizzazione dell’investimento senza aver preventivamente verificato come si evolve la situazione finanziaria dell’impresa, perché l’eventuale necessità di un ricorso al credito ordinario potrebbe modificare di non poco il giudizio economico.

Nel caso in cui si sia evidenziata la necessità del ricorso al capitale di terzi, l’analisi finanziaria prosegue concentrandosi sulle modifiche che presenta il flusso di ricavi e costi dell’investimento in ragione della concessione del finanziamento esterno26. Con questa parte dell’analisi si cerca di determinare la nuova configurazione che assumono i benefici netti nell’arco dell’investimento per valutarne la sostenibilità finanziaria da parte dell’impresa.

In definitiva, l’analisi finanziaria dell’investimento viene condotta adottando la procedura seguente:

a) svolgere una valutazione, estesa al periodo di attuazione dell’investimento, per verificare se l’impresa è in grado di autofinanziare l’investimento; tale valutazione consiste nel determinare la consistenza dei benefici netti in ciascuno degli anni e verificare la loro completa copertura con capitale proprio nel periodo iniziale in cui risultano negativi;

b) individuare, nel caso in cui la valutazione eseguita al punto precedente evidenziasse degli scoperti finanziari di una certa consistenza, le fonti di finanziamento possibili, rilevandone costi, tempi di concessione e forme di restituzione del prestito;

c) formulare un’ipotesi sulla quota di capitale proprio e di capitale di terzi da impiegare nell’investimento in relazione all’entità degli scoperti ed alle possibilità di finanziamento esterne; nel caso in cui tale rapporto si discostasse in maniera considerevole da quello utilizzato per il calcolo del costo del capitale, determinare il nuovo valore del tasso di riferimento e ripetere l’analisi economica;

26 Anche nel caso in cui la prima fase dell’analisi finanziaria non evidenzi la necessità al ricorso al capitale di terzi per realizzare l’investimento, questa possibilità potrebbe essere presa in considerazione, soprattutto quando l’impresa è in grado di remunerare il capitale investito ad un tasso superiore a quello richiesto dall’ente finanziatore per l’erogazione del prestito.

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d) determinare l’importo delle rate e le relative quote capitale e interesse in base alle caratteristiche del prestito;

e) definire il nuovo prospetto dei flussi finanziari dell’investimento conseguente all’erogazione del finanziamento di terzi e dai costi necessari alla sua restituzione;

f) verificare la copertura finanziaria nelle condizioni determinate dal finanziamento esterno e, nel caso in cui questa non fosse assicurata dalle risorse dell’impresa, esplorare eventuali alternative di finanziamento esterno (somme più elevate e/o tempi di restituzione più lunghi) e, in base a queste, ripetere l’analisi finanziaria;

Nello sviluppare l’analisi finanziaria va tenuto conto della difficoltà di tramutare l’insieme dei dati economici in una serie numeraria certa. Si tratta, infatti, di prevedere, con il massimo grado di attendibilità, la collocazione nel tempo degli incassi e delle spese derivanti dalla gestione ordinaria dell’impresa per poter determinare le disponibilità delle liquidità immediate necessarie a far fronte alle spese richieste dall’investimento. Inoltre, giunti alla fine di ogni esercizio, è necessario esplicitare gli intendimenti dell’imprenditore circa la destinazione dell’utile d’esercizio, ovvero quale cifra intende prelevare per sé stesso, nel caso delle imprese individuali, o destinare ai soci finanziatori, nel caso delle imprese collettive. Ciò consentirà di definire quanta parte del flusso di cassa annuo viene messa a disposizione per il successivo esercizio. Per verificare la necessità di ricorso al credito tale previsione dovrà coprire il periodo in cui sono concentrate le spese per la realizzazione dell’investimento; se durante questo periodo si manifesta l’insorgenza di un apprezzabile saldo negativo per un intervallo di tempo non trascurabile, appare necessario il ricorso al credito27. Una volta determinata la necessità di ricorso al credito ed inseriti nel prospetto i valori numerari riferiti al prestito sarà necessario estendere l’analisi a tutto il periodo di durata del finanziamento per verificare la possibilità di fare fronte a tutti i pagamenti.

Come già osservato nel caso della valutazione economica, anche per la analisi finanziaria è buona norma ripetere il conteggio formulando diverse ipotesi soprattutto per quanto riguarda l’entità dei flussi netti di cassa, considerando che la prospettiva temporale del calcolo implica una considerevole aleatorietà.

~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~

Con riferimento all’impianto di cui è stata verificata la convenienza economica nel precedente paragrafo, effettuare un’analisi della sua fattibilità finanziaria.

Come primo passo è necessario determinare la consistenza dei benefici netti nei primi anni dell’investimento, in particolare quelli in cui questi risultano negativi, in modo da determinare il fabbisogno finanziario che questo richiede.

Dal prospetto costruito a questo scopo, basato sui flussi di benefici e costi previsti, si osserva che la loro differenza, negativa nei primi due anni, origina una esposizione finanziaria totale di 140.000 €. 27 E’ assai difficile quantificare il valore del saldo negativo che suggerisce il ricorso al finanziamento esterno, sia per la difficoltà di previsione insita in una analisi finanziaria di medio periodo, sia, soprattutto, per la dimensione dell’impresa e per i suoi rapporti con gli istituti di credito. E’ infatti normale che a imprese di provata solidità e con considervoli giri di affari vengano concesse agevolazioni riguardo a situazioni di scoperti di conto o di piccoli ritardi di pagamenti.

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Anni bi ci bni 1 0 115.200 -115.200 2 27.660 52.450 -24.790 3 33.110 30.500 2.610 4 36.300 18.750 17.550 5 37.200 15.000 22.200 … … … …

Tale fabbisogno va confrontato con la disponibilità di circolante per verificare la

quota massima che può essere coperta con il capitale dell’impresa. A questo scopo l’indicatore a cui far riferimento è il margine di disponibilità (o capitale circolante netto) il quale, come si ricorderà, è rappresentato dalla differenza fra il capitale circolante ed i debiti a breve ed esprime l’ammontare delle risorse finanziare su cui l’impresa può contare nell’esercizio amministrativo. Per procedere nell’esempio, si supponga che la situazione patrimoniale evidenzi margine di disponibilità di 75.000 €.

Risultando questo notevolmente inferiore alla esposizione finanziaria richiesta dall’investimento, appare indispensabile ricorrere ad un prestito. Al termine di un’analisi comparativa delle diverse possibilità prospettate dagli istituti di credito, l’imprenditore opta per un finanziamento di 85.000 € concesso ad un tasso del 5,75% e restituibile in 6 anni, per la cui restituzione è prevista una rata annuale di 17.150 €.

I dati del piano di finanziamento vengono quindi sostituiti nel prospetto costi-benefici dell’investimento per verificare i flussi finanziari conseguenti all’accensione del prestito. A questo scopo l’entità del finanziamento viene aggiunta ai benefici del primo anno, mentre i pagamenti per la sua restituzione vengono inclusi fra i costi a partire dal secondo anno. Così facendo si ottiene il seguente prospetto:

Anno Senza

prestito Prestito Con prestito

1 -115.200 85.000 -30.200 2 -24.790 -17.150 -41.940 3 2.610 -17.150 -14.540 4 17.550 -17.150 400 5 22.200 -17.150 5.050 … … … …

Il nuovo prospetto evidenzia dei saldi di cassa negativi nei primi tre anni per

complessivi 86.680 €, un ammontare che eccede le attuali disponibilità dell’impresa. Si osserva così che il prestito, seppur superiore alla carenza di liquidità, è insufficiente a coprire l’effettivo fabbisogno in ragione delle uscite previste per la sua restituzione.

In tale situazione, dopo aver accertato la possibilità di aumentare la disponibilità di capitale proprio della cifra mancante (in questo caso circa 12.000 €), è necessario rivedere i termini del prestito incrementandone l’importo o, preferibilmente, la durata, in modo da posticiparne la restituzione al momento in cui l’investimento è in grado di assicurare dei flussi di cassa positivi.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

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4.3 LA CONDIZIONE DI BREAK-EVEN

L’analisi del punto di pareggio (break-even point) è finalizzata ad individuare il livello produttivo che determina l’annullamento del profitto (π). Un tale problema si manifesta quando nell’impresa è presente un impianto per il quale si è interessati a stabilire il livello minimo di impiego che consente la completa copertura dei costi.

Questa analisi rientra fra quelle di breve periodo in quanto non si prefigge lo scopo di formulare un giudizio di convenienza riguardo l’acquisto o la realizzazione di un impianto (giudizio che potrebbe essere espresso solo ricorrendo ad un’analisi di medio-lungo periodo, quale quella costi-benefici) ma soltanto di stabilire il livello produttivo minimo a cui deve essere utilizzato un impianto già presente e per il quale sono noti i costi fissi annui (CF) ed il costi variabili (di esercizio) riferiti all’unità di prodotto (cv).

Detta y la quantità di prodotto trattata dall’impianto, si ricerca quel valore y* che annulla il profitto, dato dalla differenza fra i ricavi (R) e i costi totali dell’impianto (CT), ovvero la quantità di prodotto in grado di garantire la piena copertura dei costi:

π(y*) = R(y*) - CT(y*) = 0

I ricavi sono dati dalla quantità (y*) per il prezzo del prodotto (p), mentre i costi totali dalla somma di costi fissi (CF) e costi variabili (CV), questi ultimi calcolati moltiplicando i costi variabili unitari (cv) per la quantità prodotta. In base a tali precisazioni viene ottenuta la seguente relazione:

VP(y*) - CT(y*) = R(y*) - (CF + CV(y*)) = p⋅y* - (CF + cv⋅y*) = 0

Da tale relazione si ricava la condizione analitica che stabilisce il punto di pareggio:

)(*

cvpCFy−

=

Risulta quindi che la minima quantità che deve essere prodotta o “trattata” con un impianto per assicurare la copertura dei costi è data dal rapporto fra i suoi costi fissi e la differenza fra il prezzo del prodotto ed il suo costo variabile di produzione. Per quanto riguarda i costi fissi, questi sono determinati dalla quota di ammortamento, le spese per la manutenzione ordinaria più eventuali canoni, quali assistenza, assicurazione, ecc. I costi variabili, che includono tutti gli aspetti legati al funzionamento dell’impianto e, pertanto, vengono ritenuti proporzionali al suo livello di utilizzo, fanno capo alle materie prime, ai consumi energetici, alle manutenzioni e riparazioni straordinarie ed ai lavoratori impegnati nella linea produttiva.

La ricerca della condizione di break-even può essere condotta anche per via grafica, come mostrato in figura 11, rappresentando l’andamento delle curve dei ricavi e dei costi in funzione della quantità y di prodotto.

Graficamente i CF sono rappresentati da una retta orizzontale, in quanto la loro entità non varia modificando il livello di utilizzazione dell’impianto. I CV, invece, aumentano al crescere di y con una pendenza determinata dei costi variabili unitari cv. I CT, dati dalla somma di CF e CV, sono rappresentati da una retta che parte dal valore CF e cresce con pendenza cv. Il VP, infine, è rappresentato da una retta che parte dall’origine e cresce con pendenza pari al prezzo p del prodotto. Se, come è verosimile,

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si verifica la condizione p>cv (prezzo del prodotto maggiore del suo costo variabile unitario) allora esisterà un punto y* in cui VP=CT.

Osservando il grafico è evidente che per y<y* l’impianto lavora in condizioni di perdita, in quanto i costi totali sono maggiori dei ricavi, mentre per y>y* l’utilizzazione dell’impianto dà luogo a dei profitti.

Figura 11 - Individuazione grafica del punto di pareggio

Una considerazione legata a questo tipo di analisi riguarda la forma della funzione di

costo variabile CV. Infatti, operando nell’ambito della teoria della produzione a coefficienti fissi, questa presenta una pendenza cv costante ed indipendente dalla quantità prodotta. Volendo utilizzare questo schema di analisi per la determinazione del livello produttivo ottimale, a cui cioè corrisponde il massimo livello di profitto, si otterrà un risultato che corrisponde sempre alla massima utilizzazione dell’impianto. La linearità dei costi variabili comporta, infatti, che il livello del profitto aumenti proporzionalmente al crescere della produzione, finché non intervengono limiti tecnici sulla quantità prodotta o lavorata (introdotti dalla dimensione finita dell’impianto o dall’esaurimento di altri fattori produttivi).

~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~

Un impianto ha dei costi fissi annui pari a 6.000 € e dei costi di gestione pari a 3,50 € per ogni unità di prodotto. Considerato che il prezzo di vendita del prodotto è di 18,50 €, si vuole stabilire il livello produttivo minimo che consente la completa copertura dei costi dell’impianto.

Detto y* il livello produttivo che determina la condizione di break-even ed

utilizzando la relazione per la sua determinazione si ottiene:

400150006

50350180006

cvpCFy ==

−=

−=

.),,(

.)(

*

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Il caso posto nell’esempio è rappresentato graficamente nella figura seguente il cui esame evidenzia il punto di pareggio y* e l’entità, sia della perdita conseguente ad un livello produttivo inferiore a y*l (pari a CT-R), sia del profitto legato ad una produzione superiore (pari a R-CT).

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5. RILEVAZIONI CONSUNTIVE E CONTROLLO DI GESTIONE 5.1 LA RILEVAZIONE CONSUNTIVA

La presenza di un sistema di rilevazione contabile all’interno di un’impresa risponde alle seguenti esigenze amministrative:

i) valutare i risultati della gestione (nel corso o a conclusione dell’esercizio amministrativo) per determinare l’entità degli scostamenti dalle previsioni;

ii) verificare la composizione e la solidità patrimoniale dell’impresa; iii) acquisire ulteriori conoscenze per migliorare i risultati della attività future; iv) assolvere agli obblighi di legge (in particolare per le imprese collettive) e fornire

indicazioni ad attori esterni all’impresa. I primi due punti si realizzano attraverso lo svolgimento di un’analisi di bilancio

che si sviluppa a partire dai prospetti che lo costituiscono (situazione patrimoniale e conto economico.

Con il punto iii) si gettano le basi per intervenire nell’organizzazione dei fattori produttivi dell’impresa e per impostare strategie produttive efficienti (definizione del budget). Tali strategie, una volta messe in atto, devono essere controllate nel loro sviluppo attraverso un confronto con le risultanze della contabilità per verificare la validità del programma stabilito ed identificare le cause delle variazioni intervenute (procedimento noto come “controllo di gestione”).

Riguardo all’ultimo punto, la contabilità consente di adempiere ad obblighi di legge (stabiliti in diversi articoli del codice civile) e di fornire indicazioni ad agenti esterni all’impresa interessati al suo andamento per diverse motivazioni:

- salvaguardia degli interessi dei soci; - adempimento degli obblighi fiscali; - richiesta di prestiti presso istituti di credito; - interventi di politica economica.

Il primo passo per l’attivazione di un sistema contabile in un’impresa è rappresentato dalla rilevazione del suo capitale. Questa operazione, che prende il nome di inventario, costituisce l’atto iniziale necessario per attivare un qualunque processo di rilevazione contabile e prevede, come visto nel primo capitolo, la caratterizzazione del capitale attraverso la sua descrizione, classificazione e valutazione28. In particolare ci si pone l’obiettivo di stabilire l’entità del capitale investito procedendo alla valutazione delle attività, ovvero il capitale lordo, e delle passività, cioè il capitale di terzi.

28 L’inventario, una volta avviata la rilevazione contabile, andrà eseguito nuovamente nel caso in cui si manifesti la necessità di “riallineare” eventuali discrepanze fra la consistenza effettiva dei capitali e quella che emerge dalle risultanze contabili oppure a fine esercizio per valutare la consistenza di alcune componenti del capitale di cui la contabilità non è di grado di monitorare la quantità.

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Completata la rilevazione del patrimonio dell’impresa, è possibile avviare le procedure di rilevazione contabile seguendo i concetti ed i criteri illustrati nel seguito.

Dal punto di vista quantitativo, lo scopo ultimo della contabilità è quello di pervenire alla determinazione del reddito, inteso come valore prodotto dall’impresa per effetto della gestione. Il reddito, come già discusso nel secondo capitolo, possiede un aspetto dualistico in quanto può essere interpretato in chiave patrimoniale o economica. Dal punto di vista patrimoniale il reddito rappresenta l’entità della variazione del capitale netto, dal punto di vista economico l’entità della differenza fra il valore della produzione ed i costi espliciti sostenuti per realizzarla. Nel caso in cui il reddito sia positivo si parla di utile, in caso contrario di perdita.

La definizione di reddito è sempre riferita ad un intervallo di tempo: - se ci si riferisce all’intera vita dell’impresa si parla di reddito d’impresa, il cui ammontare è perfettamente determinato ed è pari alla differenza fra capitale realizzato e capitale investito (nella visione patrimoniale) o alla differenza fra il totale delle entrate ed il totale delle uscite (nella visione economica); - se ci si riferisce ad un esercizio amministrativo si parla di reddito d’esercizio, il quale è determinabile con un inevitabile margine di incertezza in quanto è legato a valutazioni soggettive e risente dello sfasamento temporale fra ricavi e incassi e fra costi e uscite.

Lo sfasamento temporale tra fatti economici e fatti monetari determina alcune situazioni di cui è necessario tenere conto per evitare di incorrere in errori nella attribuzione dei valori agli esercizi interessati falsandone i risultati, nello specifico:

- uscite nell’esercizio corrente per acquisto di fattori fissi; - uscite nell’esercizio corrente per acquisto di fattori variabili utilizzati nell’esercizio successivo; - entrate nell’esercizio successivo per produzioni ottenute nell’esercizio corrente; - uscite nell’esercizio successivo per fattori impiegati nell’esercizio corrente; - entrate nell’esercizio corrente per produzioni ottenute nell’esercizio successivo; - uscite nell’esercizio corrente per acquisto di materie prime utilizzate nell’esercizio corrente in processi che forniranno produzioni nell’esercizio successivo;

La prima circostanza dà origine al concetto di ammortamento, mentre le due successive originano delle rimanenze di materie prime e di prodotti destinati alla vendita, la cui consistenza è inserita fra i capitali circolanti.

I successivi due casi rappresentano situazioni in cui lo sfasamento fra l’entrata/uscita ed il relativo ricavo/costo può comportare delle errate imputazioni di valori agli esercizi interessati; per far fronte a queste difficoltà si fa ricorso ai concetti di ratei (fatti amministrativi in cui l’effetto monetario anticipa quello economico) e di risconti. (in cui l’effetto economico anticipa quello monetario).

L’ultimo caso, infine, si riferisce alla circostanza in cui un’attività produttiva viene condotta a cavallo di due esercizi. In questo caso nel primo esercizio sono presenti le uscite per l’acquisto di alcuni fattori produttivi, nel secondo le uscite per l’acquisto degli altri fattori e le entrate per le vendite dei prodotti. Per non falsare i risultati dei due esercizi è necessario posticipare il processo considerando le uscite sostenute nel primo esercizio come risconti attivi, che vengono considerati come prodotti in corso di lavorazione.

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FORME, METODI E SISTEMI DI SCRITTURA I documenti che fanno parte dell’amministrazione di un’impresa riguardano eventi

gestionali esterni (documenti fiscali, titoli di credito, estratti del conto corrente, documenti relativi al personale) ed eventi gestionali interni (rilevazioni sulle operazioni eseguite, rapporti di officina, buoni di carico e scarico del magazzino, registrazioni relative alle attività produttive). Tali eventi gestionali, detti fatti amministrativi, attraverso le quantità fisiche e monetarie riportate nei documenti originali, costituiscono gli elementi oggetto delle scritture contabili (che, essendo eseguite in appositi registri, prendono il nome di registrazioni).

Le scritture contabili possono essere di diversa forma: elementari o sistematiche. Sono elementari le scritture effettuate per verificare le variazioni intervenute su singoli aspetti o specifiche unità dell’impresa (cassa, magazzino, ecc.) e per predisporre i dati per il successivo inserimento in contabilità. Sono sistematiche le scritture che vengono inserite nel sistema contabile per determinare l’effetto dei fatti amministrativi sui risultati della gestione dell’impresa. Nelle scritture sistematiche, quindi, le modificazioni intervenute nelle diverse unità dell’impresa vengono poste in relazione per determinare l’effetto sull’intero complesso.

L’inserimento delle scritture contabili nel sistema avviene annotando i fatti amministrativi in particolari prospetti detti conti. Essi rappresentano i riferimenti quantitativi utilizzati per controllare l’entità e le variazioni delle singole componenti ritenute essenziali per gli obiettivi che si intendono perseguire attraverso la rilevazione.

L’inserimento di un fatto amministrativo in un conto prevede la trascrizione del numero d’ordine (articolo), la data, una descrizione sintetica e la quantità; quest’ultima viene posta nella sezione di sinistra del conto (dare) quando genera un addebito e in quella di destra (avere) quando genera un accredito alla componente rappresentata dal conto stesso. La differenza fra il totale del dare e dell’avere esprime il saldo del conto.

Le regole con le quali vengono operate le registrazioni dei fatti amministrativi nell’insieme dei conti definiscono il metodo di scrittura.

Il metodo di scrittura più diffuso è quello della partita doppia il quale prevede che ogni fatto amministrativo venga registrato in almeno due conti del sistema; l’elemento quantitativo è addebitato (e quindi registrato in dare) in uno o più conti e accreditato (e quindi registrato in avere) in uno o più altri conti.

La trascrizione dei valori nei conti, il cui insieme è raccolto nel libro mastro, viene eseguita dopo che i singoli fatti amministrativi sono stati trascritti in forma di articoli nel libro giornale.

Le scritture sistematiche vengono distinte in quattro tipologie: - scritture di apertura: eseguite all’inizio dell’esercizio per avviare la rilevazione

contabile; - scritture continuative: eseguite nel corso dell’esercizio per annotare gli effetti

prodotti dai fatti amministrativi29; - scritture di assestamento: eseguite prima della chiusura dell’esercizio per far

assumere ad alcuni conti la loro effettiva consistenza; - scritture di chiusura: eseguite alla chiusura dell’esercizio per definire il risultato

della gestione. 29 Per controllare periodicamente la correttezza di queste registrazioni è opportuno verificare l’uguaglianza dei valori complessivi dei conti (importi e saldi) per mezzo del bilancio di verificazione.

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Perché possa avvenire la trascrizione nel libro mastro è necessario che per ogni articolo registrato nel libro giornale venga indicato il numero dell’articolo, la data, una descrizione ed i conti interessati in dare e in avere.

Poiché i fatti amministrativi possono accreditare o addebitare più conti contemporaneamente gli articoli possono essere di tipo diverso:

- articoli semplici (un solo conto in dare e un solo conto in avere); - articoli composti (un solo conto in dare e diversi conti in avere, oppure diversi conti

in dare e un solo conto in avere); - articoli complessi (diversi conti in dare e diversi conti in avere).

La modalità di registrazione degli articoli prevista dal metodo della partita doppia impone che il totale del dare di tutti i conti sia uguale al totale dell’avere di tutti i conti o, equivalentemente, che la somma dei saldi dei conti sia costantemente pari a zero.

Una volta definito l’obiettivo della rilevazione contabile (la determinazione del reddito di esercizio), la forma ed il metodo di scrittura (sistematiche in partita doppia) è necessario determinare quale sistema di scrittura deve guidare il metodo verso l’obiettivo, ovvero l’insieme degli elementi dell’impresa di cui si vogliono conoscere l’entità e le variazioni.

Tale operazione consiste nello stabilire i conti che si vogliono attivare (o “accendere”) e nell’individuare i fatti amministrativi che, agendo su tali conti, influenzano gli aspetti patrimoniali ed economici dell’impresa. L’insieme dei conti del libro mastro, che viene impostato secondo un’opportuna configurazione in relazione al sistema di scrittura adottato, viene detto il piano dei conti.

Nel paragrafo seguente verranno brevemente descritte le principali caratteristiche e peculiarità dei due sistemi più frequentemente adottati per eseguire la rilevazione contabile all’interno delle imprese. 5.2 SISTEMI DI RILEVAZIONE CONTABILE

I due sistemi di scrittura più utilizzati per la determinazione del reddito di esercizio attraverso il metodo della partita doppia sono il sistema patrimoniale ed il sistema del reddito.

Nel sistema patrimoniale il reddito viene determinato come somma dei risultati delle attività produttive condotte nell’impresa. Questo risultato viene ottenuto attraverso la registrazione sistematica di tutte le variazioni, sia di forma che di sostanza, del capitale netto. Ciò implica che devono essere presi in considerazione anche i fatti che esprimono mutamenti interni all’impresa i quali, essendo riferiti alle singole attività produttive che vengono condotte, possono essere attribuiti ai relativi conti.

Nel sistema del reddito la determinazione del reddito avviene attraverso una visione unitaria dell’impresa. Il sistema prende in considerazione i fatti amministrativi nel momento in cui le componenti del reddito si rendono manifeste; questo modo di procedere, ignorando i movimenti interni all’impresa, riduce il numero delle registrazioni ma impedisce di porre in relazione i ricavi con i relativi elementi di costo.

Il prospetto di figura 12 riepiloga alcune caratteristiche dei due sistemi evidenziandone le principali specificità.

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Figura 12 – Principali caratteristiche dei sistemi patrimoniale e del reddito

Sistema Patrimoniale

Sistema del reddito

MODALITÀ DI DETERMINA-ZIONE DEL REDDITO

Somma dei risultati delle singole attività

Risultato dell’attività di impresa nel suo complesso

INFORMAZIONI DA ELABORARE Fatti amministrativi esterni e interni

Fatti amministrativi esterni

NUMERO DI REGISTRAZIONI Elevato Contenuto

TIPO DI RILEVAZIONE Settoriale o Analitica Generale o sintetica

5.2.A LA CONTABILITÀ ANALITICA – SISTEMA PATRIMONIALE La contabilità analitica, vale a dire quella che utilizza i principi del sistema

patrimoniale, è impostata in modo da pervenire alla determinazione del reddito di esercizio come somma dei redditi parziali delle attività svolte dall’impresa.

Per conseguire questo obiettivo è necessario tenere conto di tutti i fatti amministrativi, sia esterni che interni, ed impostare il piano dei conti in modo tale da rendere possibile un controllo continuo della consistenza patrimoniale dell’impresa, il quale dà origine a quello che viene definito un inventario permanente, e dei flussi di input (fattori produttivi) e di output (prodotti) delle singole attività produttive che vengono svolte nell’impresa.

CLASSIFICAZIONE DEI FATTI AMMINISTRATIVI

Nel sistema patrimoniale i fatti amministrativi vengono distinti in: - fatti permutativi, che descrivono variazioni nella forma, ma non nella consistenza,

del capitale netto; - fatti modificativi, che descrivono variazioni nella consistenza del capitale netto; - fatti misti:, che descrivono variazioni sia nella forma che nella consistenza del

patrimonio e quindi hanno un effetto sia permutativo che modificativo. I fatti permutativi, non apportando variazioni alle componenti di reddito, non

presentano alcuna rilevanza economica; sono, invece, i fatti modificativi quelli che concorrono alla determinazione del reddito, in quanto danno origine a variazioni del capitale netto attraverso un aumento o una diminuzione della sua consistenza.

Un aumento del capitale netto, generato dall’incremento dell’attivo o dalla riduzione del passivo del patrimonio, è legato ad una componente positiva di reddito e quindi, dal punto di vista economico, ad un ricavo.

Una diminuzione del capitale netto, generata dall’incremento del passivo o dalla riduzione dell’attivo del patrimonio, è legata ad una componente negativa di reddito e quindi, dal punto di vista economico, ad un costo.

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Eventi che determinano fatti amministrativi di tipo modificativo sono i seguenti: • realizzazione di un prodotto, che ha come effetto l’aumento del valore di una

componente patrimoniale (il magazzino prodotti, se viene immagazzinato, la cassa, la banca o i crediti se viene venduto direttamente);

• utilizzazione di una materia prima, che ha come effetto la diminuzione del valore di una componente patrimoniale (il magazzino materie prime da cui viene prelevato);

• deprezzamento di un macchinario attraverso la registrazione della sua quota di ammortamento, che ha come effetto la diminuzione del valore di una componente patrimoniale (la relativa componente delle immobilizzazioni materiali).

Nel primo caso si ha un aumento dell’attivo, cui è associato un ricavo dal punto di vista economico, negli altri due una riduzione dell’attivo, cui è associato un costo.

Sono quindi i fatti modificativi quelli che consentono di determinare il contributo delle singole attività alla formazione del reddito.

I fatti misti, infine, agiscono contemporaneamente sulla forma e sull’entità del patrimonio. Considerando, ad esempio, il pagamento di una rata di un mutuo contratto dall’impresa, nel fatto amministrativo si riscontra sia una componente permutativa (riduzione contemporanea dell’attivo e del passivo per una cifra pari alla quota capitale della rata), sia una componente modificativa (riduzione dell’attivo e presenza di un costo pari alla quota interessi della rata).

IMPOSTAZIONE DEL PIANO DEI CONTI

Nel sistema patrimoniale il piano dei conti si sviluppa secondo due serie distinte: - conti elementari: intestati ai singoli elementi del patrimonio per verificare le

variazioni che intervengono nel corso dell’esercizio per effetto della gestione; - conti al netto: intestati alla componenti del reddito per registrare le variazioni

apportate dai fatti amministrativi. La registrazione sistematica delle scritture continuative eseguita secondo il

metodo della partita doppia prevede per i fatti permutativi il coinvolgimento esclusivo dei conti elementari, mentre per i fatti modificativi il coinvolgimento di conti elementari e di conti al netto.

La serie dei conti elementari include i conti intestati a tutte le componenti attive (circolanti e fisse) e passive (debiti a breve e a medio-lungo termine) del capitale.

La serie dei conti al netto prevede i seguenti gruppi di conti: - conti intestati alle singole attività produttive; - conti intestati ai costi fissi e generali; - conti intestati alle componenti extra-caratteristiche e straordinarie; - conti transitori; - conti intestati al capitale (capitale netto e profitti e perdite).

I conti intestati alle attività produttive sono deputati a tenere traccia degli input e degli output di un processo produttivo e a determinarne il reddito lordo attraverso il saldo che rappresenta la differenza fra il valore delle produzioni realizzate ed il costo dei fattori impiegati nello svolgimento della attività stessa.

Nei conti intestati ai costi fissi e generali vengono registrati i fatti amministrativi relativi alla gestione caratteristica che originano delle voci di costo che non sono attribuibili alle singole attività produttive ma che si riferiscono alla conduzione dell’impresa nel suo complesso.

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I fatti amministrativi che non riguardano la gestione caratteristica dell’impresa vengono trascritti nei conti intestati alle componenti extra-caratteristiche e straordinarie. Le prime, come si ricorderà, riguardano gli interessi attivi e passivi e altre voci di ricavo e di costo che, pur non essendo attribuibili alla attività tipica dell’impresa, si manifestano con regolarità nel corso degli esercizi amministrativi. Le componenti straordinarie, che possono sia incrementare che decrementare il reddito, rappresentano degli eventi che si presentano con carattere di eccezionalità e imprevedibilità30.

I conti transitori hanno lo scopo di fungere da supporto temporaneo per la trascrizione dei fatti amministrativi che coinvolgono più attività produttive ma dei quali non si è in grado di ripartire l’entità fra le singole attività (si pensi, ad esempio, ai consumi energetici o al costo dei lavoratori impegnati in più processi produttivi). Al termine dell’esercizio amministrativo, prima di procedere alla sua chiusura, tali conti verranno “svuotati” trasferendo alle singole attività produttive, secondo un criterio oggettivo, l’entità complessiva del consumo del fattore produttivo a cui sono intestati.

I due conti intestati al capitale hanno lo scopo di rilevare le variazioni subite dal capitale netto (conto capitale netto) e di valutare la consistenza del reddito di esercizio in termini economici come differenza fra ricavi e costi (conto profitti e perdite).

SVOLGIMENTO DELLE SCRITTURE

Nel sistema patrimoniale le diverse tipologie di scritture sistematiche hanno i seguenti obiettivi:

i) scritture di apertura: trasferire nei conti elementari i valori patrimoniali rilevati all’inizio dell’esercizio;

ii) scritture continuative: imputare gli effetti dei fatti amministrativi (esterni ed interni) sulle componenti del patrimonio e sulle voci di ricavo e di costo, in particolare: • per i fatti permutativi, inserimento in DARE della componente che incrementa la

consistenza (aumento attività, riduzione passività) e in AVERE della componente che la decrementa (riduzione attività, aumento passività);

• per i fatti modificativi, inserimento in DARE nel conto elementare e in AVERE nel conto al netto per un ricavo; inserimento in DARE nel conto al netto e in AVERE nel conto elementare per un costo;

iii) scritture di assestamento: far assumere ad alcuni conti (ad esempio quelli transitori) la loro configurazione finale.

iv) scritture di chiusura: riepilogare i saldi dei conti elementari nel conto capitale netto e dei conti al netto nel conto profitti e perdite.

I CONTI “CAPITALE NETTO” E “PROFITTI E PERDITE”

Come si è appena visto, le scritture di apertura assegnano ai conti intestati alle componenti del patrimonio i valori rilevati all’inizio dell’esercizio, siano essi provenienti dalle risultanze dell’inventario o dalla chiusura dell’esercizio precedente, e, di conseguenza riguardano essenzialmente i conti elementari, ad esclusione del saldo fra attività e passività che viene iscritto nel conto capitale netto. Le scritture di chiusura, oltre ad avere il compito di riportare i saldi dei conti elementari nel conto capitale netto, trasferiscono i saldi dei conti al netto nel conto profitti e perdite.

30 I fatti amministrativi che rientrano nella gestione straordinaria possono configurarsi secondo diverse tipologie quali: plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, insussistenze.

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Ne consegue che il conto capitale netto contiene il valore iniziale (inserito con le scritture di apertura) e il valore finale (inserito con le scritture di chiusura) del capitale netto e, come saldo, l’entità del reddito d’esercizio. Il reddito d’esercizio costituisce anche il saldo del conto profitti e perdite nel quale viene quindi determinato come differenza fra ricavi e costi. L’ultima scrittura di chiusura avrà il compito di compensare (“stornare”) questi due valori azzerando così tutti i conti del sistema.

Con questa impostazione viene evidenziata la duplice visione del reddito: in termini patrimoniali, come effetto della gestione sui capitali dell’impresa, e in termini economici, come contributo delle singole attività produttive al risultato della gestione.

CONSIDERAZIONI SUL SISTEMA PATRIMONIALE

Il sistema patrimoniale consente di ottenere informazioni molto utili dal punto di vista gestionale, in particolare per apportare miglioramenti ai risultati produttivi dell’impresa in quanto consente di conoscere in dettaglio il contributo apportato al risultato complessivo dalle singole attività. Tuttavia presenta dei limiti operativi che riguardano, sia il carico di lavoro amministrativo (elevato numero dei conti, numerose scritture continuative, laboriose procedure di assestamento dei saldi), sia la necessità di un elevato livello di dettaglio e di precisione nelle informazioni da registrare (consumi di fattori nelle diverse attività produttive, distinzione fra attività che danno origine agli stessi prodotti ma che vengono condotte con tecniche o risultati differenti, ecc.).

I principi di questo sistema, al di là del loro impiego in un sistema contabile, rimangono comunque validi per condurre la rilevazione e la valutazione di dati analitici e, soprattutto, per ottenere informazioni indispensabili alla applicazione di metodi di analisi preventiva delle scelte produttive.

5.2.B LA CONTABILITÀ GENERALE – SISTEMA DEL REDDITO La contabilità generale, che basa la sua metodologia di rilevazione sul sistema del

reddito, si concentra prevalentemente sugli aspetti economici della gestione, mentre il controllo dell’evoluzione del patrimonio rappresenta un obiettivo secondario.

Il sistema, non ponendo in relazione i singoli elementi di ricavo e di costo, può pervenire alla determinazione del reddito d’esercizio solo attraverso una visione globale dell’impresa senza considerare il contributo apportato dalle diverse attività produttive.

CLASSIFICAZIONE DEI FATTI AMMINISTRATIVI

Il sistema del reddito distingue gli eventi in relazione alla loro connotazione monetaria, operando una separazione logica fra:

- fatti amministrativi che riguardano esclusivamente la liquidità dell’impresa; - fatti amministrativi che contribuiscono alla determinazione del reddito.

IMPOSTAZIONE DEL PIANO DEI CONTI

La suddetta classificazione dei fatti amministrativi origina nel piano dei conti la distinzione tre serie distinte:

- conti numerari-finanziari; - conti di reddito; - conti capitali.

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Nella serie dei conti numerari-finanziari si trovano i conti intestati alle componenti circolanti del capitale, sia attive che passive, ovvero ai:

- valori numerari certi (cassa, banche); - valori numerari assimilati (clienti, fornitori); - debiti su capitale circolante (prestiti a breve).

Nella serie dei conti di reddito si trovano i conti intestati alle componenti immobilizzate del capitale, sia attive che passive, alle rimanenze iniziali e finali, alle vendite ed agli acquisti, ovvero ai:

- fattori fissi (immobilizzazioni); - debiti di capitale fisso (prestiti a m/l periodo); - ammortamenti; - rimanenze iniziali e finali; - vendite di prodotti; - acquisto di materie prime; - altre componenti dei costi; - componenti extra-caratteristiche e straordinarie.

Infine, nella serie dei conti capitali si trovano i conti utilizzati per la determinazione del reddito d’esercizio in termini patrimoniali ed economici, ovvero:

- capitale netto; - profitti e perdite.

SVOLGIMENTO DELLE SCRITTURE

Nel sistema del reddito le diverse tipologie di scritture sistematiche hanno i seguenti obiettivi:

i) scritture di apertura: trasferire nei relativi conti i valori delle componenti del patrimonio dell’impresa rilevati all’inizio dell’esercizio;

ii) scritture continuative: attribuire ai conti numerari-finanziari ed ai conti di reddito gli effetti dei fatti amministrativi (solo esterni), in particolare: • per le scritture nei conti numerari-finanziari, inserimento in DARE della

componente che incrementa la consistenza (aumento attività, riduzione passività) e in AVERE della componente che la decrementa (riduzione attività, aumento passività);

• per le scritture nei conti di reddito, inserimento in DARE dei costi e inserimento in AVERE dei ricavi;

iii) scritture di assestamento: far assumere ad alcuni conti la loro configurazione finale, in particolare quelli intestati alle “rimanenze finali” la cui consistenza, in assenza della registrazione dei fatti interni, deve essere rilevata tramite un inventario eseguito alla fine dell’esercizio amministrativo.

iv) scritture di chiusura: riepilogare i saldi dei conti intestati alle componenti del patrimonio nel conto capitale netto e i saldi dei conti intestati alle componenti di ricavo e di costo nel conto profitti e perdite.

I CONTI “CAPITALE NETTO” E “PROFITTI E PERDITE”

La funzione e le scritture relative al conto capitale netto non presentano sostanziali differenze rispetto a quanto illustrato nel caso del sistema patrimoniale.

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Lo stesso non accade per il conto profitti e perdite il quale, nel sistema del reddito, elenca le componenti positive (ricavi) e negative (costi) del reddito determinate dall’attività dell’impresa nel suo complesso. In questo caso i valori elencati nel conto profitti e perdite presentano una diversa connotazione riguardo la certezza della loro entità, infatti:

- le vendite, gli acquisti e gli altri costi, avendo dato origine ad un fatto numerario, hanno una consistenza certa;

- le rimanenze (iniziali e finali), provenendo da una valutazione svolta in sede di inventario, hanno una consistenza incerta;

- gli ammortamenti, la cui entità generalmente non coincide con il valore reale dei beni, hanno una connotazione presunta.

Con una tale impostazione del conto profitti e perdite il sistema è quindi in grado di indicare quanta parte del reddito proviene da elementi ben determinati e quanta altra da valori approssimati o presunti. Queste componenti devono rimanere ben distinte per evitare che possano sorgere dei problemi nell’interpretazione dei risultati, soprattutto nelle imprese collettive in cui alcuni soci possono non essere al corrente delle modalità adottate per la valutazione delle componenti del capitale.

CONSIDERAZIONI SUL SISTEMA DEL REDDITO

Oltre alla lettura degli elementi economici in ragione della loro “certezza”, il sistema del reddito presenta alcuni ulteriori vantaggi rispetto al sistema patrimoniale, sia riguardo alla maggiore semplicità dei controlli sul corretto svolgimento delle registrazioni, sia il minore numero complessivo delle registrazioni stesse.

Rimane, tuttavia, il limite di carattere gestionale legato alla impossibilità di seguire il flusso delle singole attività e di confrontarlo con le relative valutazioni preventive. Questo limite porta, in molte applicazioni operative, al tentativo di “settorializzare” il sistema modificando l’idea stessa su cui esso si basa. L’esito di questi tentativi è generalmente insoddisfacente e i risultati che si ottengono sono comunque peggiori di quelli ottenibili con l’adozione del sistema patrimoniale.

Il sistema del reddito, quindi, è in grado di fornire importanti informazioni a patto che vengano rispettati i presupposti che ne sono alla base. Nel caso si ritenga indispensabile disporre di informazioni di carattere settoriale, queste possono comunque essere rilevate attraverso l’applicazione di procedure specifiche sganciate dalla contabilità generale. IL BILANCIO D’ESERCIZIO NEI DUE SISTEMI

I prospetti che costituiscono il bilancio dell’impresa sono, come si è visto, la situazione patrimoniale ed il conto economico. Entrambi derivano da una specificazione dei valori contenuti in dei conti accesi nell’ambito del sistema di scrittura contabile adottato dall’impresa. In particolare, la situazione patrimoniale è originata dal conto capitale netto, mentre il conto economico deriva dal conto profitti e perdite.

SITUAZIONE PATRIMONIALE La situazione patrimoniale proviene dalla specificazione dei valori che

compongono il conto capitale netto con evidenziate le attività e le passività. La forma che viene generalmente utilizzata, prevede che i valori di fine esercizio

vengano comparati con quelli di inizio esercizio in modo da evidenziare gli effetti della

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gestione sulle componenti patrimoniali. La situazione patrimoniale è opportuno che venga corredata dai valori percentuali che indicano l’incidenza delle diverse voci sul totale del capitale lordo sia all’apertura che alla chiusura dell’esercizio. Ciò consente di meglio comprendere le variazioni delle singole componenti del patrimonio e l’origine del reddito d’esercizio.

Il prospetto della situazione patrimoniale ha una configurazione che risulta indipendente dal tipo di sistema di rilevazione. Infatti i valori che vi figurano sono quelli relativi alla consistenza iniziale e finale dei conti intestati alle componenti del patrimonio, i quali, pur essendo inseriti in differenti serie di conti nei due sistemi, contengono i medesimi valori.

CONTO ECONOMICO Nel conto economico il valore del reddito d’esercizio trova giustificazione nel

raffronto tra il valore della produzione ed i costi sostenuti per realizzarla. Come visto nel secondo capitolo, allo scopo di evidenziare nel conto economico

l’incidenza delle varie componenti sul reddito d’esercizio, il risultato globale viene suddiviso tra l’insieme di eventi che fanno capo alle diverse “gestioni”. La gestione caratteristica, cui appartengono tutti gli eventi che rientrano nella attività specifica dell’impresa, ha un risultato espresso dal reddito operativo; a questo, per determinare il reddito d’esercizio, deve essere aggiunto il risultato della gestione extra-caratteristica e il risultato della gestione straordinaria.

A differenza della situazione patrimoniale, il conto economico, in particolare per quanto riguarda la gestione caratteristica e la modalità con cui viene determinato il suo risultato, presenta una struttura differente in relazione al sistema di scritture adottato.

Nel sistema patrimoniale, la serie dei conti al netto consente di ottenere un conto economico nel quale, partendo dalle voci del conto profitti e perdite, viene evidenziato il valore della produzione e l’ammontare dei costi variabili in ciascuna delle attività produttive condotte nell’impresa. Una tale impostazione consente di analizzare la dimensione con la quale le diverse attività contribuiscono alla determinazione del reddito lordo e, per ciascuna di esse, di evidenziare l’incidenza delle singole voci di costo rispetto al valore della produzione. Più problematico, invece, si presenta l’utilizzo del conto economico elaborato attraverso il sistema patrimoniale per operare il confronto dell’entità delle sue componenti con i corrispondenti valori ottenuti negli esercizi precedenti. Ciò in quanto le eventuali modifiche che intervengono nella organizzazione produttiva limitano la possibilità di porre in relazione diretta i risultati delle diverse attività.

Se, invece, l’impresa adotta una contabilità impostata con il sistema del reddito, i dati trascritti nel conto profitti e perdite consentono di sviluppare il conto economico secondo una differente configurazione. In questo caso, infatti, non è possibile determinare il contributo delle singole attività nella determinazione del valore della produzione e dei costi variabili e quindi si rende necessario provvedere al calcolo di queste voci considerando il complesso delle attività.

A differenza del sistema del sistema patrimoniale, inoltre, nel sistema del reddito non è dato conoscere il valore delle produzioni ottenute ed il costo de fattori impiegati per cui si rende necessaria una “riaggregazione” delle informazioni che consenta di pervenire alla determinazione della loro entità.

Per quanto riguarda il valore della produzione, questo viene determinato aggiungendo all’ammontare delle vendite la consistenza delle rimanenze finali di

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prodotti, ovvero le produzioni realizzate nel corso dell’esercizio amministrativo (e in quelli precedenti) ma non ancora vendute, e sottraendo le rimanenze iniziali di prodotti, che, essendo state realizzate negli esercizi precedenti, non vanno attribuite al valore della produzione dell’esercizio corrente, sia che siano state vendute sia che siano rimaste fra le rimanenze finali. Si ha pertanto:

Valore della produzione = Vendite + Rimanenze finali prodotti - Rimanenze iniziali prodotti

Con ragionamento analogo è possibile procedere alla determinazione dei costi variabili, ossia il valore dei fattori produttivi a logorio totale utilizzati nei processi condotti nell’esercizio amministrativo. In questo caso dagli acquisti andranno sottratte le rimanenze finali di materie prime, in quanto rappresentano fattori acquistati nell’esercizio (e in quelli precedenti) ma non ancora utilizzati, e aggiunte le rimanenze iniziali che, pur essendo state acquistate precedentemente, sono state impiegate nel corso dell’esercizio. Il conteggio diviene in questo caso:

Costi variabili = Acquisti + Rimanenze iniziali mat. prime – Rimanenze finali mat. prime

Sia nel caso del sistema patrimoniale che del sistema del reddito, i valori del conto profitti e perdite possono essere riclassificati in modi differenti per dare origine ad altre forme di conto economico. Una di queste che trova frequente utilizzazione, sia a fini fiscali che per quantificare la ricchezza creata dall’impresa, è quella cosiddetta a valore aggiunto; in questo caso il prospetto prevede la determinazione di un parametro, il valore aggiunto appunto, che viene ottenuto come differenza tra valore della produzione e consumi e che esprime la ricchezza da distribuire fra tutti i fattori che hanno partecipato, direttamente o indirettamente, all’attività dell’impresa.

5.3 CENNI AL CONTROLLO DI GESTIONE

Il controllo di gestione è definito come l’insieme delle procedure operative che l’impresa imposta e mette in atto allo scopo di guidare la gestione verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione. Tali procedure, attraverso la misurazione di appositi indicatori, evidenziano la presenza e l’entità dello scostamento tra obiettivi prefissati e risultati osservati, consentendo al management (inteso come la componente direzionale che possiede il controllo e la responsabilità delle risorse operanti all’interno dell’impresa) di avere un quadro più completo dell’andamento aziendale e di identificare le opportune azioni correttive.

La procedure del controllo di gestione sono strettamente connesse alla componente del sistema di gestione nella quale vengono definite le strategie attraverso lo svolgimento delle analisi preventive, tanto che di solito, sia in ambito teorico che nella pratica aziendale, si parla di sistema di pianificazione e controllo. Medesimo livello di connessione presentano con le procedure di analisi consuntiva, attraverso le quali viene eseguito il continuo monitoraggio dell’andamento dell’attività dell’impresa. Tali connessioni vengono evidenziate nella figura 13 (la quale riporta uno stralcio del sistema di gestione illustrato in figura 1) con le due linee continue che rappresentano il flusso di informazioni che giunge al controllo di gestione proveniente dalle procedure di analisi preventiva e consuntiva. In figura è riportato con una linea tratteggiata anche il flusso di informazioni che torna verso le procedure di pianificazione attraverso il quale

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vengono trasferite le risultanze del controllo di gestione che forniscono delle utili indicazioni per lo svolgimento delle analisi preventive nei successivi cicli produttivi.

Figura 13 – Il controllo di gestione nel sistema di gestione aziendale

La valutazione e l’analisi degli scostamenti, a cui si accennerà più avanti, viene condotta riferendosi alla totalità dell’impresa (controllo globale) e a livello delle singole attività (controlli settoriali). Questi ultimi sono quelli verso i quali viene posta la maggiore attenzione in quanto consentono di individuare singole problematiche, responsabilità ed inefficienze e, di conseguenza, di intervenire con rimedi e soluzioni specifiche. Per questa ragione è indispensabile che le procedure di analisi consuntiva siano organizzate in modo da fornire tutte le informazioni relative a ricavi e costi delle singole attività produttive dell’impresa. Questa possibilità, come si è visto nei precedenti paragrafi, è legata all’utilizzo di una contabilità analitica basata sul sistema patrimoniale, mentre è preclusa nel caso in cui l’impresa adotti esclusivamente una contabilità generale. LE PROCEDURE DEL CONTROLLO DI GESTIONE

Dal punto di vista organizzativo, il sistema di controllo di gestione è coordinato dai vertici aziendali e viene eseguito a scadenze periodiche (solitamente annuali per controlli a livello globale, più frequentemente per le verifiche settoriali).

Dal punto di vista logico è articolato nelle seguenti fasi successive: 1. controllo antecedente (budgeting); 2. controllo concomitante (monitoring); 3. controllo susseguente (reporting).

Il controllo antecedente acquisisce le informazioni e i risultati provenienti dalle procedure di analisi preventiva e si concretizza nella predisposizione dei cosiddetti budget. Attraverso questo procedimento gli obiettivi gestionali vengono resi:

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• misurabili, attraverso la definizione di un indicatore e di un target (o traguardo), ossia di un valore che l’indicatore deve raggiungere per affermare che l’obiettivo è stato conseguito31;

• corredati della previsione delle risorse (umane, finanziarie ecc.) necessarie al loro conseguimento, espresse in termini di costo;

• assegnati, unitamente alle risorse ritenute necessarie al loro conseguimento, a degli organi aziendali che assumono il ruolo di centri di responsabilità32.

Nelle imprese di maggiore dimensione la definizione del budget viene concordata fra la figura (manager) cui viene affidato il centro di responsabilità e il vertice aziendale. In questo caso il budget diviene una sorta di contratto tra il manager, che si impegna a raggiungere i risultati stabiliti, e l’azienda che mette a disposizione le risorse necessarie.

Il controllo concomitante si svolge parallelamente alla gestione e prevede le seguenti fasi:

1. misurazione periodica degli indicatori, attraverso la rilevazione delle variabili produttive ed economiche (ricavi e costi);

2. trasmissione dei dati al manager del centro di responsabilità e al vertice aziendale; 3. verifica ed analisi degli scostamenti tra risultati attesi ed effettivi; 4. individuazione, da parte dei responsabili (manager o vertice aziendale), di

interventi correttivi volti a ridurre gli scostamenti evidenziati; 5. attuazione degli interventi.

Il terzo punto evidenziato, ovvero l’analisi degli scostamenti, rappresenta un’operazione indispensabile per identificare l’origine e la responsabilità di eventuali problemi e inefficienze gestionali. Va considerato, a questo riguardo, che lo scostamento fra risultati attesi e consuntivi costituisce una situazione molto frequente e, oltre che da effettive inefficienze nell’organizzazione produttiva, può essere originata da diverse situazioni: errata individuazione degli obiettivi (a volte ciò viene fatto consapevolmente fissando traguardi superiori a quelli effettivamente ottenibili per creare una forte motivazione nel personale), sottovalutazione delle difficoltà presenti nel contesto, verificarsi di eventi imprevisti.

Nei centri di ricavo la grandezza sotto osservazione è generalmente il fatturato, per cui gli eventuali scostamenti registrati riguarderanno questo indicatore. L’entità del fatturato è la risultante di tre componenti riferite ai prodotti: volumi venduti, prezzi di vendita e mix di vendita (intesa come la ripartizione percentuale del totale venduto tra le diverse tipologie di prodotto). Ovviamente ciascuna di queste tre componenti può presentare degli scostamenti rispetto alla relativa entità pianificata nel budget e, di conseguenza, dare origine a uno scostamento di volume, uno scostamento di prezzo o uno scostamento di mix. 31 Gli indicatori vengono detti di efficacia, quando esprimono il rapporto tra risultato raggiunto e obiettivo prestabilito, di efficienza, quando misurano la relazione tra il risultato raggiunto e le risorse impiegate per il suo ottenimento espresse in termini di costo. 32 I centri di responsabilità vengono distinti sulla base della finalità che si pongono; in particolare si distinguono: - centri di costo, la cui finalità è quella di minimizzare un costo; si distinguono centri di costo standard, quando è possibile rapportare il costo al volume di output e stabilire un costo standard al quale tale rapporto deve tendere e centri di spesa, quando, non potendo stabilire un costo standard, si stabilisce un massimale di spesa e si dà al centro il compito di massimizzare il suo output rispettando tale massimale; - centri di ricavo, la cui finalità consiste nel massimizzare un ricavo; - centri di profitto, la cui finalità consiste nel massimizzare la differenza tra un ricavo e un costo.

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Nei centri di costo, invece, la grandezza sotto osservazione è il costo totale la cui entità è data dalla somma di costi fissi e costi variabili, questi ultimi determinati dalla quantità prodotta per i costi variabili per unità di prodotto. L’origine dello scostamento osservato sull’indicatore di riferimento, ovvero i costi totali, può essere quindi causato sia da una produzione insoddisfacente, la quale dà origine ad una scostamento di volume, sia da un’incidenza eccessiva delle voci di costo (in particolare nei costi variabili per unità di prodotto), circostanza che evidenzia uno scostamento di efficienza.

Il controllo susseguente chiude il processo del controllo di gestione attraverso la comunicazione ai centri di responsabilità e al vertice aziendale delle informazioni relative agli esiti del controllo concomitante. Tali informazioni, oltre ad essere utilizzate dalla dirigenza per valutare l’attività dei manager, hanno la fondamentale funzione di “tornare” verso le procedure di analisi preventiva per supportare le successive pianificazioni che verranno condotte.

Per questa ragione, assume grande importanza il reporting, ossia la modalità di trasmissione ai centri di responsabilità e al vertice aziendale delle informazioni prodotte dal controllo di gestione. Questa deve risultare strutturata in modo da veicolare le informazioni di interesse verso le persone, con modalità e tempi che ne valorizzino al massimo il contributo che possono dare al conseguimento degli obiettivi aziendali.

Se condotto con la procedura sinteticamente illustrata, il controllo di gestione si integra strettamente con la strategia aziendale divenendone una componente essenziale. Infatti, se, da un lato, la strategia mira ad individuare e valorizzare le competenze distintive dell’impresa che sono in grado di produrre un riflesso positivo sui ricavi, in quanto espressione tangibile del rapporto economico con il mondo esterno, il controllo di gestione opera per migliorare l’efficienza dell’impresa in modo da produrre un riflesso positivo sulle componenti economiche che sono espressione diretta della sua organizzazione interna.


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