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LA CITTÀ - ilsecondorinascimento.it · 8 Vivere non è sopravvivere, cioè scampare a un pericolo...

Date post: 25-Aug-2019
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LA VIA DELLA CIFRA TRIMESTRALE - N. 49 - Giugno 2012 - Spedizione in abb. post. 45% - Legge 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1. Contiene 2 I. P. - Filiale di Modena - Tassa pagata - Euro 5,00 LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO AL MUREDEN, BASTONI, BONAFÈ, CORSINI, DALLA VAL, DEBBIA, FARINELLA, FREDDI, GHERMANDI, MAHMALAT, MONACO, MOSCATTI, NUCCI, PAPARELLA, PASSONI, POSTACCHINI, SGARZI, SEMEGHINI, TAROZZI, ZAMBELLI
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L A V I A D E L L A C I F R A

TRIMESTRALE - N. 49 - Giugno 2012 - Spedizione in abb. post. 45% - Legge 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1.Contiene 2 I. P. - Filiale di Modena - Tassa pagata - Euro 5,00

LA CITTÀDEL SECONDO RINASCIMENTOLA CITTÀDEL SECONDO RINASCIMENTO

AL MUREDEN, BASTONI, BONAFÈ, CORSINI, DALLA VAL, DEBBIA, FARINELLA,

FREDDI, GHERMANDI, MAHMALAT, MONACO, MOSCATTI, NUCCI, PAPARELLA,

PASSONI, POSTACCHINI, SGARZI, SEMEGHINI, TAROZZI, ZAMBELLI

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Sergio Dalla Val

Alessandra Nucci

Carlo Monaco

Tomaso Freddi

Roberto Sgarzi

Nabil Al Mureden

Suleiman Mahmalat

Fausto Tarozzi

Luciano Passoni

Enrico Postacchini

Stefano Bonafè

Paolo Moscatti

Palmiro Debbia

Giovanni Corsini

Luciano Bastoni

Gaetano Paparella

Marzia Zambelli

Pia Semeghini

Roberta Farinella

Simone Ghermandi

Come riuscire vivendo

Un invito all’umiltà

Il valore originario della parola

Machiavelli, la parola, l’impresa

Siria, dove vai?

Perché è scoppiata la rivoluzione siriana

La Siria: primavera o inverno arabo?

Codice etico o stile?

Oltre il punto di non ritorno

Lo small business: un’opportunità per la nostra economia

Costituiamo alleanze per un secondo rinascimento

La fiducia, base per la riuscita

Non è più il momento per facili slogan e settarismi

Risultati eccellenti per l’ITS Meccanica e Materiali

La ricerca e l’invenzione per un approccio globale al paziente

La biocosmesi: cos’è e come si certifica

Valorizziamo la particolarità delle aziende

La cifra della gioielleria italiana

Un servizio assicurativo oltre gli standard

L’integrazione come missione

L A V I A D E L L A C I F R A

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Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo epubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.

Registrazione del Tribunale di Bologna n. 7056 dell’8 novembre 2000TRIMESTRALE, SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALEArt. 2 - comma 20/B - Legge 23/12/96 n. 662Pubblicità inferiore al 45%, a cura dell’Associazione Il secondo rinascimentoIscrizione al Registro Nazionale della Stampa n. 11021 e al ROC n. 6173Numero quarantanove. Stampato nel mese di giugno 2012, presso Poligrafico Artioli S.p.A., via Emilia Ovest 669 - 41100 Modena

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia RomagnaDIRETTORE RESPONSABILE: Sergio Dalla ValREDAZIONE E ABBONAMENTI:Bologna - via Galliera 62 - 40121, tel. 051 248787; fax 051 247243Modena - via Mascherella 23 - 41100, tel. e fax: 059 237697Sito Internet: www.lacittaoline.com - www.ilsecondorinascimento.it - [email protected] Internet: www.lacittaoline.com - www.ilsecondorinascimento.it - [email protected] DI REDAZIONE:Agnese Agrizzi, Roberto F. da Celano, Ornella Cucumazzi, Caterina Giannelli, Carlo Marchetti, Luca Monterumici, MarcoMoscatti, Anna Maria Palazzolo, Simone Serra, Anna Spadafora.EQUIPE ORGANIZZATIVA:Francesca Baroni, Daniele Borin, Silvia Pellegrino, Pasquale Petrocelli, Silvana Rubini, Panteha Shafiei, MirellaSturaro.

In copertina: Mary Palchetti, Dietro il sipario (il prima), 1997, acrilico su tela, cm. 110X110. Opera pubblicata per gentile concessionedel Museum of the Second Renaissance, Villa San Carlo Borromeo, Milano Senago.

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Vivere non è sopravvivere, cioèscampare a un pericolo di morte,

magari rappresentato nel terremoto enella crisi. Ma sopravvivere è anche“vivere sopra”, aver bisogno di qualcosasu cui poggiare la vita, che valga a soste-nerla per motivarla. Come la sostanza,quel che è immaginato sub stare, staresotto. Tutto può diventare sostanza,tutto serve a sopravvivere anziché avivere, se deve servire a giustificare, asupportare, a delimitare, a padroneggia-re la vita.

Con l’inconscio, parlando, vivendo, lavita non è padroneggiabile, dunque nonha bisogno di sostanza. Nessuna cosa èsostanza parlando, nemmeno la morte,nemmeno la crisi, nemmeno la paura,nemmeno il terremoto. La scommessa

della cifrematica è che ciascuna cosa,anche la circostanza più sfavorevole,vada in direzione della riuscita, se entranella parola, se entra in una procedurad’integrazione, che nulla unifica e nullaesclude, perché lascia la questione aper-ta.

Eppure, alla riuscita vengono oppostirimandi, remore, rinunce, riserve.“Questo non m’interessa”, oppure: “Ioin questo non riesco, allora faccio quel-lo”. Questo principio di elezione e diselezione poggia sulla questione chiusa,basata sulla presunzione più limitante,la presunzione di conoscere sé e l’Altro.La conoscenza di sé e dell’Altro escludel’apertura: ci chiudiamo in noi stessi enon facciamo. “Conosco i miei limiti”:non rischio, dunque nessuna impresa e

nessuna riuscita. “Conosco i gusti deimiei clienti”, così non vendo quel chepenso non possa loro interessare. Allora,nessuna riuscita.

La psicanalisi secondo la cifrematicanon è una delle tecniche per conoscersi oper conoscere l’Altro. Già Freud parlavadi Auflösung, di risoluzione, di disso-luzione delle rappresentazioni che noi cifacciamo delle donne, degli uomini, del-l’impresa. Queste rappresentazionidiventano i nostri pregiudizi. Le terapiecognitivo-comportamentali mirano acambiare i nostri parametri di conoscen-za, ma così ci fanno passare da un pre-giudizio all’altro e mantengono il pre-giudizio: la conoscenza è sempre un pre-giudizio.

L’idea di prigione dipende da un pre-giudizio sull’origine, dall’idea di origi-ne. Conoscendo la mia origine, la miavita non è qui, è altrove; io sono qui persbaglio e quello che sto vivendo è unaprigione. Così aspetto sempre la libera-zione, ovvero il riscatto e l’affrancamen-to. Sto vivendo qui? No, questa non è

SERGIO DALLA VALpsicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

COME RIUSCIRE VIVENDOCOME RIUSCIRE VIVENDO

Con questo articolo si avvia la pubblicazione di alcuni brani tratti dagli interventi ai dibattiti in occasione dell’uscita del libro di Sergio DallaVal In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica (Spirali).

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vita, io sono altrove. Occorre un’ideaper la riuscita? No, qui non posso pen-sare. Così l’idea di prigione diviene laprigione dell’idea. Tutto viene chiamatoprigione: la casa, il lavoro, la vita stessa.L’idea di prigione è un’idea del tempo,della sessualità, della scrittura. ESocrate beve la cicuta pur di uscire dallaprigione, che per la sua anima, dice, nonera il carcere, ma il corpo, la Terra stes-sa.

La riuscita non è l’uscita dalla prigio-ne come nell’ontologia. La riuscita è riu-scita dell’esperienza e nell’esperienza,non uscita da qualcosa. Non è il cavar-sela, il venir fuori dalla crisi, dal trau-ma. Lo psicanalista non è la levatrice,madre di Socrate, non aiuta a venirnefuori.

Morendo, Socrate conferma l’idea diprigione. Vivendo, cioè parlando, facen-do, l’idea di prigione si dissipa. L’idea dimorte fonda ogni giustificazione, ogniirresponsabilità, ogni paura. Soprat -tutto la paura di non avere più paura.

In particolare, l’idea che il tempopossa finire fonda la paura di vivere, cheè chiamata paura di morire. In questocaso il soggetto prende il posto deltempo, sicché all’occorrenza del tempovengono sostituite le possibilità-impos-sibilità del soggetto e al giudizio (in

greco krìsis) del tempo viene sostituitoil criterio bene-male del soggetto, l’im-presa che va bene o che va male.

La crisi è il giudizio, non un tunnel.La riuscita non aspetta la fine della crisi,tanto più perché la crisi non finisce, inquanto il tempo non finisce. Quel cheviene chiamata crisi, la crisi presente, èun’ideologia e una politica che mira,idealmente, a cancellare la parola, il fare,il tempo, in nome della burocrazia edella circolarità delle cose.

Il trauma e la crisi sono proprietà deltempo, indispensabili alla riuscita; nondel soggetto che a essi soccombe. Perquesto la crisi ha la chance di rilanciarel’impresa, perché rende inattuabile lasoggettività. E, facendo, le cose giungo-no a concludersi, nella semplicità. Lasemplicità, la piega delle cose, tutt’altrodalla facilità.

La riuscita non è il bene da sceglierecontro il male. La riuscita è senza alter-nativa: se siamo ancora nell’alternativasiamo distanti dalla vita. “Non riesco,devo trovare il piano B”. L’alternativa,la scelta tra A e B, postula che il faredipenda dai limiti della soggettività,non dalle esigenze pragmatiche. C’èun’idea del tempo come qualcosa chepassa e scorre, che finisce. Ma il temponon finisce. Facendo, s’instaura il pro-

gramma. Facendo, si trova il tempo.Facendo senza rimandi, remore,

rinunce, riserve, il tempo non passa enon scorre. Se il tempo passasse,potremmo appellarci al passato. Se iltempo scorresse, potremmo appellarcialla scorsa giornata, allo scorso anno,alla scorsa vita. Al vissuto, il grandealibi.

Ma, vivendo, non interessa il vissuto.L’impresa: nulla di già vissuto, nulla divissuto, nulla mai fu vissuto né saràvissuto. L’impresa, vivendo. Vivendoindica ora. Ora, cioè l’impresa sta nelgerundio. La città, la battaglia sta nelgerundio, non è mai vissuta né vivibile:è nel gerundio, vivendo. L’ora. Ora, nonqui e ora, hic et nunc. L’ora, la frontierae il limite. Il vissuto non procede maidalla questione aperta, sempre dalla que-stione chiusa, come il comportamento.Le logie – la psicologia, la sociologia,l’antropologia e qualsiasi logia, anche laginecologia, anche l’andrologia – proce-dono dalla questione chiusa, escludonoil gerundio, sono fondate sul principiodi selezione. Il gerundio procede dallaquestione aperta, vivendo. Vivendo: noifacciamo, vivendo, noi riusciamo, viven-do. Cioè, nel gerundio. Quindi, anchefacendo, riuscendo. Sulla via della cifra,del valore.

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Come rivoluzionari voi aspirate aun padrone. L’avrete”, dice

Lacan nel Rovescio della psicanalisi. Èstata questa frase la chiave di letturainiziale che mi ha permesso, dopovari tentativi falliti, di riuscire a leg-gere con qualche frutto il libro diSergio Dalla Val In direzione dellacifra. La scienza della parola, l’impresa,la clinica (Spirali), che già dal titolosembra un po’ ostico.

L’invito di Dalla Val a presentare ilsuo libro mi ha rinnovato una vec-chia sfida: avevo lottato con JacquesLacan quarant’anni fa. Il suo com-mento a La lettera rubata di EdgarAllan Poe è rimasto sempre uno scri-gno chiuso per me e, alla sua morte,l’articolo di Guido Almansi su “LaRepubblica” – dove diceva che nonaveva mai capito niente neppure luie che quindi forse era tutto unapresa in giro – mi aveva sollevatoinfine dalla frustrazione, permetten-domi di accantonare il discorso.

Oggi, per la stima che ho nei con-fronti di Sergio Dalla Val, ho decisodi cogliere di nuovo la sfida.Pensavo che, con trent’anni di lettu-re e saggezza in più sulle spalle,sarebbero bastati un po’ di pazienzae applicazione per riuscire finalmen-te a capirci qualcosa. Invece sonorimasta sconfitta ancora una volta:dopo quaranta pagine, ero pronta arinunciarci di nuovo. Mi ha convin-to in extremis a non mollare la testi-monianza di un’amica, la quale miha detto di avere tratto un tale pro-fitto dai corsi di cifrematica da esse-re dispiaciuta per non averla comin-ciata prima. Secondo lei, le cognizio-ni di cifrematica le avrebbero con-sentito addirittura di vivere “unavita più piena”. Questo mi ha indot-to a riprendere ancora una volta illibro in mano, e questa terza e ulti-ma volta sono riuscita finalmente aorientarmi, al punto da poter consi-gliare anche ad altri di cimentarsi inquesto esercizio intellettuale.

Con Sergio Dalla Val avevo incomune l’interesse per i temi dellalibertà e dei metodi con cui si attua

la deformazione della verità storica.Ho collaborato varie volte con lui,con i suoi soci della Libreria Il secon-do rinascimento e con l’Universitàinternazionale del secondo rinasci-mento, per invitare a Bologna dissi-denti perseguitati da regimi dispoti-ci: russi come Vladimir Bukovskij,presidente internazionale dei Comi -tati per le Libertà, di cui sono dele-gata per l’Emilia Romagna, cubanicome Armando Valladares, CarlosCarralero, Armando De Armas ealtri, di cui la casa editrice Spirali hail grande merito di avere pubblicatotesti che altrimenti non sarebberousciti.

Sapevo che la cifrematica, perDalla Val, era alla base di questa suabattaglia per la cultura della libertà,ma, come ho detto prima, non eranei miei programmi scoprire cosac’entrasse. Invece, il suo libro mi hapermesso di capirlo. Contrad -distinta dall’amore per la libertàumana, la cifrematica si oppone alcontrollo sociale e all’adattamento,alla psicologia di stato, alla sotto-missione all’Ordine degli psicologi,alla medicalizzazione della societàintentata dalla psichiatria, in unamaniera diversa però da PsichiatriaDemocratica di Basaglia – col qualeavrei da ridire –; si oppone all’unifi-cazione ed è a favore dell’integrazio-ne. Sono cose che una volta nonavrei capito e che invece oggi dicocon convinzione: non uniformazio-ne ma adiacenza e libertà, perchél’uniformazione – e questo dovrem-mo capirlo secondo me sempre dipiù in questo momento storico –toglie libertà, in una maniera nasco-sta, difficile da percepire e che inve-ce è essenziale individuare. La cifre-matica è a favore della parola libera,originaria, e si oppone, in breve, almonopensiero, che si va imponendoin tutto il mondo, forse un po’ menoin Italia.

In un punto leggo che la psicanali-si, secondo Musatti, è stata troppoimpegnata a difendersi dagli attac-chi del marxismo e della chiesa. Non

so cosa paventasse il marxismo, maesplorare i timori della chiesa rispet-to alla psicanalisi mi ha offerto unodei varchi che mi hanno permesso dicapire il libro di Dalla Val. Pensoinfatti che la chiesa avesse validimotivi per temere la psicanalisi, loammise lo stesso Freud, che disse:“La chiesa ci guarda con sospetto eha ragione”.

Oggi risulta evidente che gli psico-logi hanno da tempo sostituito ipreti come consiglieri di vita e nonper portare anime in direzione dellamorale cattolica, se non incidental-mente o occasionalmente. Però,ecco, la psicanalisi della cifrematicasi muove in direzione contraria: lacifrematica non rifiuta i valori catto-lici, anzi li promuove. Non so sequesto sia voluto, ma di fatto vedia-mo che, essendo uno sprone al pen-sare e all’agire, la cifrematica richia-ma la parabola dei talenti e l’“Ora etlabora” benedettino. E, ancora: èuno sprone all’ottimismo, alle virtùteologali della speranza, a non guar-dare indietro e a non abbattersi, allavirtù della perseveranza, all’ascoltoe alla virtù della carità, all’aperturaall’Altro che, fra l’altro, essendoscritto sempre con la A maiuscola,potrebbe anche voler indicare unriferimento alla Divinità. Qualitàdella vita, dice Dalla Val, in contro-tendenza con il monopensiero, non èsinonimo di benessere. Il suo “no”alla malattia, da cui il rifiuto dellacifrematica a farsi terapeutica, è siaun’affermazione del libero arbitrio,sia un’apertura alla vita in qualun-que forma. Col mettere al centro laparola originaria, respinge pure ilmaterialismo. Infine, indirizza versola virtù basilare e più difficile daraggiungere: l’umiltà.

A pagina 19, l’Autore scrive: “Èpazzia non solo il reputarsi savio,ma anche lo stesso reputarsi, il pre-occuparsi della propria reputazione,il pensare di sé questo o quello, ilpensarsi in un modo o nell’altro”.Viene in mente l’aforisma diShakespeare, quello che preferiscoin assoluto: “Il saggio sa di esserestupido, è lo stupido che invececrede di essere saggio”. Un invitonon alla follia ma all’umiltà, che nonè rassegnazione, ma libertà di pen-siero e d’indagine. Un invito rivolu-zionario, come rivoluzionario fu, edè, il cristianesimo.

ALESSANDRA NUCCIgiornalista pubblicista

UN INVITO ALL’UMILTÀUN INVITO ALL’UMILTÀ

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La psicanalisi ha avuto in Europaun destino singolare. Come scri-

ve Sergio Dalla Val nel suo libro Indirezione della cifra. La scienza dellaparola, l’impresa, la clinica (Spirali), èstata avversata dal partito comuni-sta e dalla chiesa. I comunisti eranocontrari perché le nevrosi erano con-siderate il portato del capitalismo,sostenevano che in Russia i lavora-tori non hanno nevrosi, sono tal-mente realizzati nel loro lavoro chenon hanno nulla di cui curarsi, lanevrosi è un sintomo borghese.

La chiesa vedeva nella psicanalisiuna concorrente un po’ troppo diret-ta sul piano della colpa, ovvero dellaconfessione, che essa ha sempresvolto gratuitamente, con la funzio-ne, presunta della psicanalisi, ditranquillizzare.

Ma forse il danno maggiore allapsicanalisi è derivato dal riduzioni-smo psicanalitico, dal fatto di noncogliere subito che persino il suofondatore non indugia sulle tecnichepsicanalitiche, ma passa rapidamen-te dal caso clinico alla teoria genera-le. Freud, dopo pochissime testimo-nianze sui casi clinici, che provanoun suo empirismo dichiarato, s’inol-tra in intuizioni e teorie sulla sessua-lità nei bambini, sul ruolo dell’in-conscio nella vita complessiva diuna persona, sulla natura dei sogni,sulla struttura del potere politico,sul disagio della civiltà, sull’originedella religione e delle credenze reli-giose. Non capire che la psicanalisinon è una setta per iniziati, né unmetodo finalizzato alla cura dei sin-tomi nevrotici, ma è qualcosa che haaperto un orizzonte che va esploratoè il danno maggiore inferto alla psi-canalisi. Lo hanno fatto psicanalisticome Cesare Musatti che, negli anni‘60, pur essendo considerato il pio-niere della psicanalisi in Italia, dicechiaramente che è destinata a finire:non ci sarebbe più stato bisognodella psicanalisi perché nel giorno incui si sarebbe edificato il comuni-smo, sarebbe stata fatta giustizia.

Le proiezioni della psicanalisi

vanno in tantissime direzioni. Iotrovo che Armando Verdiglione,dalla cui teoria Dalla Val trae moltispunti, tra tanti protagonisti dellacultura italiana, sia l’intellettualeche ha tentato di sviluppare le piùaperte, le più filosofiche, le piùardue direzioni che possano espli-carsi a partire dalla psicanalisi.

Da quando Verdiglione, Dalla Vale altri ricercatori hanno introdottonel mercato culturale la parola cifre-matica, ci sono stati diversi tentativiinterpretativi. Qualcuno vuole con-siderarla una modifica delle tecni-che della psicanalisi, ma sarebberiduttivo. Ci sono sempre state diffe-renze di scuole tra psicanalisti, manon si tratta di questo, qui siamo suun gradino superiore, che porta ilterreno di Verdiglione direttamentesulla riflessione filosofica. Infatti,quando si definisce la cifrematicacome scienza della parola, per paro-la non s’intende il chiacchiericcio.Con la scienza della parola torniamoa una grande tradizione, torniamoalla questione da cui era partita lafilosofia: che cos’è l’arché? Qual è ilpunto di partenza? Lo gnòthi seau-tón, il conosci te stesso, scritto sulfrontone del tempio di Apollo aDelfi? Conosci te stesso: ma come?Non c’è presa diretta, non c’è muti-smo. C’è un solo modo per conosce-re se stessi: la parola. La parola nonè una banalità, un vezzo, una con-venzione, è l’unico vero strumentocol quale l’uomo può dire, creare,costruire. È inutile cullarsi nell’ideache il pensiero esista senza la parola.La parola è nella mente stessa di chila pensa, è la struttura portante dellanostra mente. Questo concetto èscritto anche all’inizio del Vangelodi Giovanni: in principio (arché) c’èla parola (logos). Logos vuol dire laparola ordinata, non la chiacchiera,non la banalità. La parola che è ordi-ne, la parola fondativa del mondo, laparola che è Dio e che si è fattacarne.

Questa lezione è ripresa in pienafilosofia scolastica. Di cosa discute-

vano i domenicani e i francescani?Se il primato appartiene alla parolao alla realtà. Per i realisti al -l’Abelardo, i concettualisti, “in prin-cipio c’è qualcosa, in principio c’èl’io”, mentre per gli altri, i francesca-ni soprattutto, “in principio c’è laparola e noi dobbiamo comunqueesprimere e condurre tutto alle paro-le”. Senza esagerare si arriva algrande Ludwig Wittgenstein, chenon era psicanalista. Anzi, era ancheabbastanza critico verso Freud (cheprese in cura sua sorella), lo accusa-va di riduzionismo, soprattutto inmateria sessuale e nell’interpreta-zione dei sogni. Però Wittgenstein,nella prima fase della sua vita tentòdi trovare la parola logica, cioè dicostruire un Tractatus Logico-philoso-phicus, un libretto che in poche paro-le contenesse il mondo. Una parolaprecisa come un coltello, come dice-va Cartesio, così precisa da esprime-re cose evidenti, chiare e distinte,non una parola di troppo. Poi, versola fine della sua vita, si rese contoche quel libro era sbagliato, e che laparola consente un’infinità di giochi,da qui la sua teoria dei giochi lingui-stici. Infine ha concluso che “su ciòsu cui non si può parlare” – perchénon hai le parole, non ci riesci, haitoccato tutte le possibilità umanedella parola – “bisogna tacere”. Ilvalore del silenzio è straordinariocome limite della consapevolezzadell’uomo.

Quando la cifrematica con la suaproiezione verso la scienza dellaparola si muove in questa direzioneè una specie di filosofia. È una filo-sofia che si pone su quel terreno cheveniva chiamato nominalismo. Enon a caso Dalla Val scrive di quellache chiama “teoria della nominazio-ne”.

Non mi stupisce che a Torino rina-sca una filosofia che si chiama reali-smo, i cui fondatori sono, tra glialtri, Umberto Eco e MaurizioFerraris, i soliti che dal sessantottodominano il dibattito culturale ita-liano. In realtà hanno soltanto chiac-chierato, non hanno mai fatto un usodella parola che avesse un valoreoriginario, un valore essenzialedove, parlando, ciascuno mette ingioco davvero la sua identità, la suavita, come esigono le parole scolpitesul tempio di Apollo, fino al silenziodi Wittgenstein.

CARLO MONACOfilosofo, politologo

IL VALORE ORIGINARIOIL VALORE ORIGINARIODELLA PAROLADELLA PAROLA

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Ho letto con piacere il libro diSergio Dalla Val In direzione

della cifra. La scienza della parola, l’im-presa, la clinica (Spirali), sofferman-domi in particolare su due capitoliche hanno qualche attinenza con lemie esperienze di manager, di con-sulente e di imprenditore, seppurein aziende di piccole dimensioni: uncapitolo riguarda l’economia e lafinanza e l’altro la figura di NiccolòMachiavelli, presentato nel librocome un brainworker, un capitanod’impresa secondo la cifrematica.

In particolare nel periodo in cuiero consulente, facevo spesso riferi-mento a Machiavelli, ovviamenteadattando i suoi insegnamenti allanostra epoca. La figura del principetrova il suo riscontro oggi in quelledel manager e dell’imprenditore: inmolte occasioni, di fronte a problemipratici che si presentano nell’azien-da, è molto importante ispirarsi alPrincipe, come fa il libro di Dalla Val.Per esempio, se ci chiediamo comedeve comportarsi l’imprenditorerispetto a una decisione che va con-tro una sua idea personale in campoetico o politico, il riferimento alPrincipe è immediato. Io sono ancoraconvinto che il compito primario dichi guida l’azienda sia quello di assi-curare la riuscita, non solo in termi-ni di profitto, ma anche rispetto a uninsieme di istanze collegate all’im-presa, e non solo per i dipendenti egli azionisti, perché la definizione distakeholder si estende a tutto l’am-biente in cui l’azienda opera: l’am-ministrazione comunale, i sindacati,i fornitori, i professionisti con cuicollabora. L’impresa deve esserecondotta in modo tale da ottimizza-re tutti questi elementi, ma non devevenir meno il profitto, altrimentiquesta combinazione non si realizza

e si crea solo lo scontento collettivo.Nell’ambito dell’Unione Cristiana

Imprenditori Dirigenti, si vuole farecoincidere l’etica dell’imprenditore,intesa soprattutto in senso cristiano,con la convenienza e il bene del-l’azienda, ma fra questi termini talo-ra si produce un contrasto, per que-sto le indicazioni di Machiavellisono preziose. Se per motivi eticiinterviene una ribellione internaincompatibile con le decisioni del-l’imprenditore, egli deve farsi daparte, perché la responsabilità neiconfronti di tutti gli stakeholder, chedipendono dalla sua decisione, haun peso maggiore della sua ideapersonale, anche politica. Il mana-ger, l’imprenditore deve spersona-lizzarsi completamente, prendere ledistanze dalle proprie idee politichee perseguire gli interessi dell’azien-da.

Ma leggiamo ciò che scrive Ma -chiavelli a proposito del cambia-mento, in un brano del Principe cheavevo pubblicato sul depliant dipresentazione della società di orga-nizzazione che dirigevo anni fa: “Edebbiasi considerare come non ècosa più difficile a trattare, né piùdubbia a riuscire, né più periculosaa maneggiare, che farsi capo a intro-durre nuovi ordini. Perché lo intro-durre ha per nimici tutti quelli chedelli ordini vecchi fanno bene, e hatrepidi difensori tutti quelli chedegli ordini nuovi farebbono bene”.Questo è un insegnamento moder-no, se pensiamo che la riforma dellepensioni che si trascinava da anni èstata fatta in dieci giorni, in unmomento di grande emergenza: senon si crea l’ambiente adatto percambiare, non si riesce a farlo. Maallora è essenziale la parola, bisognadirlo che occorre cambiare, diffon-

dere con la parola questa esigenzanei corridoi, nella mensa dell’impre-sa, al bar, perché è importante pre-parare il terreno per attuare il cam-biamento.

Per sottolineare l’importanza dellaparola, pensiamo al termine spread:perché, nonostante sia una parolacome tante, è diventata così popola-re? Per cambiare occorre introdurresempre parole nuove, creare l’am-biente del cambiamento attraversola sfida, talora facendo ricorso a ter-mini dell’ambito sportivo: quando èstata fatta la riforma delle pensionioppure la battaglia degli spread,sembrava quasi che fossimo alla sca-denza di una finale di CoppaEuropa, magari con l’arbitro tede-sco. Se non si fosse creata questaatmosfera, non saremmo riusciti nel-l’intento, anche se c’è stata la spintanon indifferente di un’altra parolanuova, “bancata”: la bancata dimiliardi – 1000 miliardi, la metà deldebito pubblico italiano –, cheDraghi, dalla sera alla mattina, hareso disponibile per le banche all’1per cento d’interessi, è stata vera-mente determinante.

Ecco la potenza, ma anche l’equi-voco, delle parole. La bozza presen-tata in Parlamento per la riforma dellavoro, per esempio, distingue laflessibilità buona da quella cattiva.Ma qual è la differenza tra precarie-tà e flessibilità? Se la precarietànasce dalla flessibilità, che pure ènecessaria, se c’è una flessibilitàbuona e una cattiva, deve essercianche una precarietà buona e unacattiva. Eppure, secondo la bozza, laprecarietà buona non esiste, esistesolo quella cattiva, che impedisce aigiovani di ottenere un’assunzione atempo indeterminato e quindi vacontro il concetto di flessibilitàbuona.

Ecco un esempio di quella magiadelle parole in cui la politica è mae-stra. Io cerco di sfuggire a questecontrapposizioni, ma ritengo che aun certo punto debbano essere indi-viduate seriamente, magari anchegrazie alla cifrematica.

TOMASO FREDDIimprenditore, saggista

MACHIAVELLI, LA PAROLA,MACHIAVELLI, LA PAROLA,L’IMPRESAL’IMPRESA

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IL VALORE DELL’IMPRESA...

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bilancio è un documento di grande rilievo per l’informazione ai terzi e, come tale, deve essere redatto garantendo

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La nostra associazione “Uniti perBologna” abitualmente si riuni-

sce per analizzare problemi di ordi-ne sociale o economico riguardantila nostra collettività locale. Non cosìquesta sera, in cui affrontiamoun’autentica tragedia, che investeun paese rivierasco del nostro marecomune, il Mediterraneo. Questopaese è la Siria, di cui ci parlerannodue amici siriani, Nabil Al Muredene Suleiman Mahmalat, con i qualivisitammo la loro patria molti annior sono. La Siria, con la sua capitaleDamasco, è uno dei grandi croceviadella civiltà mondiale e in particola-re, insieme a Bagdhad, è il faro dellagrande cultura arabo musulmana,che illuminò il mondo per cinque-cento anni, per poi essere travoltadall’invasione delle barbare ordeasiatiche turche.

Quel grande popolo è vittima diun’antica e terribile dittatura che loopprime da cinquanta anni e ancorapaga per quella posizione strategica

di cerniera fra Medio Oriente, orien-te e occidente. Vedere oggi un eserci-to duro e agguerrito, che spara can-nonate contro abitazioni ricolme diconnazionali, quasi disarmati, spes-so donne e bambini, riempie diangoscia e di sdegno.

Ma noi occidentali abbiamo giàavuto recentemente questo senti-mento, quando la Libia si liberò diGheddafi. E oggi la delusione ègrande.

Proprio questo ci rende prudentiperché oggi sappiamo che, dopoquel dittatore, la Libia è ancor piùdivisa in dimensioni tribali contrap-poste militarmente fra loro e sappia-mo altresì che ingiustizie, brutalità etorture di ogni genere in questi gior-ni affliggono quel popolo più di ieri.

In Tunisia, in Egitto e chissà forsedomani in Siria, la cosiddetta, tantosognata e attesa primavera arabaassume gli aspetti sempre temuti diun nazionalismo oltranzista e spessoferoce, impregnato di fanatismo reli-

gioso che sempre intimidisce glieuropei. Questo movimento ha unnome comune, anche se i contornisono localmente diversi, i “Fratellimusulmani”.

Tutto questo in un contesto media-tico spesso confuso, bugiardo, diffi-cilmente interpretabile.

Al Mureden e Mahmalat tengonoa dire che rimangono fedeli patriotisiriani, anche se danno delle lorotragedie interpretazioni e soluzionidiverse e opposte. Essi, pure essen-do da anni residenti in Italia ovesvolgono affermate professioni,sono una fedele, attuale, immaginedel loro popolo. Perché sono addirit-tura cognati. Ecco quindi evidenzia-ta la terribile linea di frattura che inSiria si spinge a rompere quel popo-lo in fazioni contrapposte fin dentrole famiglie.

Forse non è stato facile per questidue relatori accettare di esporci, dalvivo di testimoni oculari, quali essisono, la loro interpretazione dellatragedia siriana.

Ma ad essi va un ringraziamentospeciale, perché è solo da esperienzedi questo tipo che ci è consentitocostruirci una valutazione che sia ilpiù possibile vicina a una verità,dura e ostile, spesso terribile.

ROBERTO SGARZImedico dentista, presidente dell’Associazione Uniti per Bologna

SIRIA, DOVE VAI?SIRIA, DOVE VAI?

Gli articoli di Roberto Sgarzi, Nabil Al Mureden e Suleiman Mahmalat sono tratti dagli interventi al dibattito che si è tenuto nella LibreriaIl secondo rinascimento di Bologna, il 7 maggio 2012.

NABIL AL MUREDENmedico, presidente della Comunità arabo-siriana in Italia

PERCHÉ È SCOPPIATAPERCHÉ È SCOPPIATALA RIVOLUZIONE SIRIANALA RIVOLUZIONE SIRIANA

Gli italiani amano la Siria, di cuicondividono la storia, come

testimoniano i ritrovamenti archeo-logici di epoca romana. Il contributodella Siria è considerato, anche dagliaccademici, talmente vicino all’Italiache un intero corpo cattedratico del -l’Uni versità La Sapienza ha deciso didare la laurea ad honorem alla mogliedel presidente siriano Bashar al-Assad, spiegando che la Siria è con-siderata parte dell’Italia. Questo epi-sodio testimonia dell’ottimo rappor-to che il presidente e sua moglie

hanno con il mondo europeo. Purtroppo, però, in questi ultimi

mesi, sono accaduti eventi moltoimportanti. Premetto che mio cogna-to, Suleiman Mahmalat, e io amiamola nostra patria nello stesso modo,pur avendo opinioni opposte sulregime. Entrambi abbiamo un prin-cipio e un obiettivo, la salvezza dellapatria, e non vogliamo che alcunpotere, interno o esterno, possadistruggerla. Credo che il nostro siaun discorso costruttivo, stimolo peruna vita politica democratica e

migliore, caratterizzata da libertàpersonale, di parola e di opinione.Questi ultimi tre concetti sono statiesaltati da tutti coloro che hannoorganizzato manifestazioni nei paesidella primavera araba, cominciatespontaneamente in un modo chenessuno avrebbe potuto immagina-re.

Quando qualcuno ha un problemamolto simile a quello del suo vicino,se il suo vicino riesce a risolverlo,anche lui è incoraggiato a cercarne lasoluzione. Vorrei fare una piccolaricostruzione cronologica per entrarenel discorso. La vera contestazione oprotesta è nata a Da masco nel mesedi febbraio, quando un cittadino pro-testa perché è stato arrestato da unpoliziotto e alle sue proteste si uni-scono quelle di migliaia di personedel suo quartiere commerciale nelcentro cittadino: nasce così la prima

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manifestazione. In Siria, le manife-stazioni non autorizzate sono vieta-te ed è servito l’intervento delMinistro per risolvere la contestazio-ne pacificamente. Dopo circa unmese, accade un episodio analogo:alcuni ragazzi della scuola elemen-tare, spinti dall’entusiasmo, alimen-tato dai servizi televisivi, per lemanifestazioni in corso in paesi vici-ni, come l’Egitto, scrivono sui muridella scuola “Libertà, il popolovuole abbattere il regime” e altri slo-gan molto simili a quelli usati daimanifestanti vicini. Pur troppo, que-sti ragazzi vengono denunciati earrestati, e non vengono liberatineanche dopo le richieste dei genito-ri di considerare la loro giovane età.Questo ha dato il via a una grandemanifestazione e così è cominciata larivolta, alimentata da altri atti diviolenza, come il fatto che in un’al-tra città sono stati sparati colpi diarma da fuoco contro alcuni manife-stanti.

Le richieste erano molto semplici:libertà personale, libertà di parola edi opinione e immunità personale.In Siria, infatti, vigeva la legge mar-ziale, che permetteva alle forze del-l’ordine di prelevare le persone efarle sparire senza dover dare spie-gazioni. Con il passare del tempo, lagente ha smesso di sopportare tuttoquesto. I servizi segreti erano natiper proteggere lo stato e questo daun lato garantiva sicurezza nellestrade, che sono effettivamente sicu-re – anche per le donne che possonocamminare ingioiellate di nottesenza correre alcun pericolo –, madall’altro ha limitato la libertà e ladignità delle persone, perché venirearrestati senza alcuna spiegazionesignifica subire un abuso di poteregravissimo. Anche il mal costumedella corruzione è fonte di malcon-tento. In Siria non erano consentiti ipartiti, e tanto meno un’opposizionedemocratica.

Non possiamo, inoltre, non consi-derare che la situazione economicasta peggiorando sempre di più, ibenestanti si stanno impoverendo,la disoccupazione è aumentata ealcuni grandi investimenti statalisono andati in mano al cugino delpresidente. Tali esagerazioni hannoreso la situazione insopportabile eper tutti questi motivi è scoppiata larivoluzione.

Prima di entrare nel vivo dell’at-tuale situazione siriana parto da

quella mondiale. Nei vari paesi,compresa l’Italia, non abbiamo unalibertà assoluta, perché le potenzemilitari ed economiche si spartisco-no il pianeta: oggi la Cina sta com-battendo economicamente con gliStati Uniti, è in corso una guerra trai gruppi finanziari cinesi, alleati conla Russia, l’Iran e la Siria, e i gruppifinanziari americani, alleati conl’Europa occidentale, Israele e ipaesi arabi del Golfo. Anche ilmondo arabo è diviso tra paesi allea-ti con gli Stati Uniti e l’occidente epaesi alleati con Russia e Cina. Main seguito agli sconvolgimenti poli-tici della primavera araba le cosestanno cambiando. La cosiddetta“primavera araba” sarebbe giustoche fosse definita “autunno” o“inverno arabo”. Sappiamo che lostato di Israele è stato creato al cen-tro del mondo arabo. Noi non siamocontro la religione ebraica e contronessuna religione e nessuna etnia,anzi, per noi musulmani gli ebreisono nostri cugini, perché discendo-no da Abramo, come noi. Ma la zonadove vivevano pacificamente ebrei,cristiani e musulmani fu occupatadagli ottomani per quattrocentoanni, fino alla fine della prima guer-ra mondiale. I vincitori della guerra,gli inglesi e i francesi, hanno aiutatogli arabi a liberarsi dagli ottomani,ma poi hanno occupato i loro territo-ri, dividendo il mondo arabo secon-do l’accordo Sykes-Picot che imposel’attuale geografia politica degli statiarabi. Infatti, alla fine della primaguerra mondiale, il 2 novembre1917, il ministro degli esteri britan-nico, Arthur James Balfour, amicodel leader del movimento sionistaebreo in Inghilterra Lord Rothschild,promise agli ebrei di creare lo statodi Israele sulla cosiddetta terra pro-messa in Palestina. Al termine dellaseconda guerra mondiale, durantela quale gli ebrei furono cacciatidall’Europa, gli inglesi favorironol’emigrazione ebraica in Palestina e,prima di lasciare la Palestina e il

Medio Oriente, diedero l’ultimoaiuto agli ebrei: nel 1948, le NazioniUnite crearono lo stato di Israele inPalestina. Ma, anche se la risoluzio-ne dell’Onu parlava della creazionedi due stati, quello di Israele e quel-lo palestinese, il secondo fino a ogginon è ancora nato.

Da allora, il mondo fu diviso traStati Uniti e Unione Sovietica. Gliarabi erano sostenuti dalla secondae gli israeliani dai primi. Nel ‘67, tra-mite la guerra dei Sei Giorni, Israeleriuscì a occupare la Cisgiordania,compresa Gerusalemme Est, territo-rio della Giordania, il Sinai, territo-rio egiziano, e le alture del Golan,territori siriani. Questi confini sonorimasti tali. A causa di ciò nacquel’idea, per la sicurezza di Israele, diimmobilizzare gli eserciti dell’Egittoe della Giordania e di distruggerequelli dell’Iraq, della Siria e delLibano. Con i cosiddetti accordi dipace, è stata trovata un’intesa conl’Egitto e la Giordania; con la guerrae l’occupazione dell’Iraq da partedegli americani e degli alleati, èstato eliminato l’esercito iracheno.Quindi sono rimasti gli eserciti dellaSiria e del Libano, come fronte diopposizione all’occupazione israe-liana dei territori siriani e libanesi,perché i due governi non sono riu-sciti a portare avanti il processo dipace. Anzi, nel 1982, c’è stata l’occu-pazione israeliana del sud delLibano, che ha fatto nascere il movi-mento degli Hezbollah, per la libera-zione dei territori occupati. At -traverso una lunga guerra indirettadi milizie e di resistenza, questiscontri hanno portato nel 2000 allaritirata di Israele dal sud del Libano.Anche nella guerra del 2006 traIsraele e Hezbollah (Libano), la lineadi alleanza tra Siria, Libano,Hezbollah e Iran è servita a resisteree respingere di nuovo le truppe diIsraele. A questo punto, dal 2006,sono cominciate le pressioni da tuttoil mondo occidentale perché il presi-dente al-Assad rompa l’alleanza congli Hezbollah e con l’Iran. Ma laSiria non può rompere questa alle-

SULEIMAN MAHMALATimprenditore, presidente dell’International Business Centre

LA SIRIA: PRIMAVERALA SIRIA: PRIMAVERAO INVERNO ARABO?O INVERNO ARABO?

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anza – avendo ancora oggi territorioccupati da Israele –, senza metterein grave pericolo la sua indipenden-za e sovranità e senza rischiare lapropria dissoluzione, che evidente-mente Israele e alcuni paesi occiden-tali si augurano. Purtroppo, ledemocrazie occidentali, che si con-trappongono all’idea di uno statocome l’Iran, dominato da una reli-gione, fanno eccezione solo per lostato ebraico, che fino a questomomento non ha i confini definitipresso l’ONU e che non ammette lapresenza di altre religioni nel suoterritorio, per cui mira a espelleretutti gli arabi che vivono ancora inIsraele. La primavera araba è comin-ciata in Tunisia, dove il presidenteera filoccidentale. Purtroppo, lerivolte hanno consentito che suben-trassero al potere i partiti dei FratelliMu sulmani, proibiti da tutti i gover-ni del mondo arabo, che sono il veropericolo sia del mondo arabo sia diquello occidentale. Oggi l’occidentesbaglia ad appoggiare i cosiddetti“rivoluzionari”, sono tutti strumen-talizzati dai Fratelli Musulmani chestanno prendendo il potere: inTunisia, in Libia, in Egitto, in Yemen.E in Siria? Mi auguro di no. Nel miopaese, coloro che stanno facendo piùconfusione, agendo in modo violen-to e incivile, ma anche guadagnandopiù consensi, sono proprio i Fratelli

Musulmani, perché pescano nelleacque torbide dell’analfabetismo,della povertà e dell’ignoranza diffu-si in particolare nei villaggi e nelleperiferie delle città. Oggi l’esercito eil governo siriano stanno cercandodi gestire una situazione difficilissi-ma. La Siria è sottomessa a un com-plotto internazionale. C’è uno scon-tro armato tra ribelli armati organiz-zati, appoggiati dai paesi arabi delGolfo filoccidentali, e l’esercito rego-lare. Quando questi due gruppi siscontrano, sfortunatamente riman-gono colpiti anche innocenti cittadi-ni civili. Quando un gruppo di ribel-li armati circonda e occupa un quar-tiere o un piccolo villaggio e imponele sue regole, l’esercito non può nonintervenire, ma per la paura di colpi-re erroneamente i civili circonda lecittà e limita il rischio. Tutti i conflit-ti sono avvenuti in zone di confinecon la Giordania, con il Libano e conla Turchia, perché proprio da questiconfini si fomentano gli animi e arri-vano armi, munizioni e uomini perle rivolte e i conflitti interni.

Non appartengo a nessun partito,sono un testimone oculare di quantosta succedendo in Siria e non trovoconferme di ciò che trasmette la tele-visione e scrivono i giornali italiani.La Siria era sulla buona strada, stavafacendo piccole riforme in direzionedella civiltà, dello sviluppo econo-

mico industriale e dello scambiointernazionale. Dopo l’inizio dellarivoluzione, il governo ha promessoun cambiamento radicale nel sitemapolitico e ha chiesto tempo per icambiamenti necessari, il presidentestesso ha ammesso che le richiestedei manifestanti sono giuste, hatolto la legge marziale, ha cambiatola costituzione, ha ammesso la crea-zione di nuovi partiti. Sono concluseda poco le elezioni per una nuovalegislatura parlamentare in Siria, maè molto duro lavorare in questiambienti, e il governo è in difficoltàdi fronte alla strumentalizzazionedel malcontento della gente a operadell’occidente e dell’opposizione,perché non possiamo dimenticareche c’e una grande parte del popoloall’interno del paese che sostiene ilgoverno.

Io chiedo al governo italiano dinon voltare le spalle alla Siria, stori-co alleato economico e sociale.L’Italia è considerata il primo paeseeuropeo per gli scambi commercialicon la Siria, per questo chiedo algoverno italiano di essere un inter-mediario per la pace, per il dialogotra le parti e di non essere di parte nédi appoggiare una parte a scapitodell’altra, di non versare benzina sulfuoco, ma di portare la pace in Siria,per il bene di tutti i paesi delMediterraneo.

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Alcuni fra i più importanti produtto-ri di piastrelle in ceramica di tutto ilmondo, in particolare di paesi in cuiavete stabilimenti, come Brasile, Cina,Italia, Messico, Russia e Spagna, posso-no vantare di avere acquistato la lorofabbrica chiavi in mano da una realtàcome la vostra, che contribuisce allo svi-luppo delle più avanzate tecnologie pro-duttive del settore. Grazie a un vostronuovo impianto acquistato di recente, laceramica Varsina (Egitto) raggiungeràun potenziale giornaliero di 40.000metri quadrati, proiettandosi così tra imaggiori produttori ceramici del merca-to egiziano. Quali sono stati i fattori allabase dell’affermazione sul mercatonazionale e internazionale del vostroGruppo in cinquant’anni di attività?

Quello che oggi molte aziendechiamano codice etico per me si èsempre chiamato stile, che vuol diresoprattutto serietà, puntualità, lealtàe sacrificio, se occorre, pur di rispet-tare gli impegni assunti. Questo è ilprimo fattore alla base della fiduciache abbiamo conquistato presso iclienti in Italia e all’estero e per que-sto molti dei nostri clienti sonoanche nostri amici. Per dare un’ideadell’importanza dello stile, ricordoche trent’anni fa, quando abbiamoavviato il processo d’internaziona-lizzazione, il grande spauracchioper i clienti esteri era la distanza, cheavrebbe potuto comportare unacarenza nell’assistenza: non si tratta-va più di vendere soltanto una mac-china, ma un intero impianto per lafase terminale di movimentazione estoccaggio del prodotto, con tutta lacomplessità delle sue componentielettroniche, meccaniche e idrauli-che. La vendita in Spagna del primoimpianto di stoccaggio per 745milioni di lire si è conclusa anche esoprattutto in virtù dell’impegnoche abbiamo assunto di allestire,prima che venisse avviata l’aziendadel cliente, un magazzino ricambicon personale tecnico reperibile 24ore su 24. Questa è stata la nostracarta vincente e, tuttora, nonostantein Spagna il mercato in generale

abbia difficoltà indescrivibili, godia-mo di un’immagine tale di serietà epuntualità nell’assistenza e neiricambi che i nostri fatturati rag-giungono risultati straordinari. Èanche vero che in tanti anni abbiamoaiutato i nostri clienti a crescere dalpunto di vista tecnologico, dandoconsigli disinteressati, a volte addi-rittura contro il nostro interesse, mail tempo ci ha dato ragione dellanostra politica di apertura.

Quando nel 1961 lei e il suo socioErmer Barbieri avete incominciato l’at-tività, era un’epoca in cui i sacrifici nonsi facevano attendere…

In realtà i sacrifici e l’impegnosono incominciati ancora prima: perprendere il diploma all’Istituto“Corni” di Modena, viaggiavamo inbicicletta da Formigine, con la neveo sotto il sole cocente, ma eranovalori che facevano parte dellanostra educazione e dell’ambiente incui vivevamo, che sapeva dare fidu-cia a chi la meritava. Per esempio,molti come noi, per reperire le risor-se economiche necessarie per avvia-re l’attività, si rivolgevano ai privati:c’era un sistema di credito paralleloalle banche, sorretto da aziende for-nitrici come la Lasa di StefanoAntichi, che ricordo sempre con pia-

cere; ci teneva a dire che non avevamai perso un soldo, perché all’epocac’era grande lealtà e senso dell’im-pegno.

La parola era sacra…Ma voglio sottolineare che, mentre

io sono stato ripagato di tutti i sacri-fici, attraverso le soddisfazioni, perfortuna molto maggiori delle delu-sioni, devo essere grato a miamoglie e ai miei figli, che hannopagato il prezzo del successo quasiquanto me, raccogliendo solo indi-rettamente i riconoscimenti arrivatiin questi anni.

Nel corso degli anni, il vostro Gruppoha acquisito aziende come la Sir e altreeccellenze del made in Italy, sempreseguendo la logica dell’integrazione,mai quella dell’omologazione, per lascia-re a ciascuna la propria specificità.Forse, il vostro è un esempio di rete chefunziona…

In Italia non c’è la cultura dellarete e, per aumentare le dimensioni,le aziende devono fare parte di ungruppo. Si dice che la crisi si battecon la ricerca, ma come può farericerca un’azienda con meno di qua-ranta dipendenti? Caratteristica chein Italia riguarda almeno il settantaper cento delle aziende, molte dellequali sono subfornitrici, quindilavorano su commissione, ma anchechi ha un prodotto proprio devecombattere con tutto il mondo permetterlo sul mercato. Sono stato fon-datore e primo presidente dellaCNA di Formigine, nonché del -l’ACIMAC, quindi credo nell’aggre-gazione, ma se le aziende rimango-no piccole, l’aggregazione nonbasta. Per esempio, non è facile peruna piccola azienda partecipare a unbando regionale, perché contienetroppi sbarramenti in entrata: spessoè richiesta l’assunzione del cinquan-ta per cento del personale dedicatoalla ricerca e la trasformazione deicontratti da precari a tempo indeter-minato. Anche fare innovazionerisulta quasi impossibile per le pic-cole imprese, a meno che non si defi-nisca innovazione la normale evolu-zione di un prodotto: se aumento ledimensioni di un forno, per esem-pio, non posso dire di avere intro-dotto un’innovazione; diverso è seinvento un sistema di combustioneche risparmia significativamentecombustibile e riduce le emissioni inatmosfera.

FAUSTO TAROZZIingegnere, presidente di SITI-B&T Group S.p.A.

CODICE ETICO O STILE?CODICE ETICO O STILE?

Fausto Tarozzi

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Il sistema Italia sta vivendo da anniun lento, inesorabile, declino: le

cause non devono però essere sem-plicemente attribuite ad una crisieconomica sempre più grave.Quest’ultima rappresenta semmail’effetto di una serie di macrodisfunzioni che hanno portato lanostra nazione ad una situazione distallo destinata a degenerare, con ilrischio di gravi tensioni sociali.Negli altri paesi della ComunitàEconomica Europea, a parte i casiben noti di Grecia, Spagna, Por -togallo, persiste una consapevolezzadella propria nazionalità, un sensodi appartenenza, un orgoglio diffu-so nel perseguire gli obiettivi neces-sari al superamento della difficilecongiuntura. Questo in Italia nonaccade: il lassismo, la rassegnazionee l’accettazione degli accadimenticome fossero pura fatalità hannoormai spento il cittadino italiano.Tutto questo è partito da lontano:per capire dove siamo ora, vannoanalizzati gli ultimi 30-40 anni distoria di una nazione abbandonata etradita da tutti, e soprattutto da noistessi. Per decenni abbiamo permes-so che l’Italia fosse governata da unaclasse politica che ha sperperatosistematicamente il denaro pubblicomese dopo mese, anno dopo anno,portando il paese vicino alla sogliadella bancarotta. Abbiamo concessoloro di creare posti di lavoro fittizi,utilizzati per acquisire consensinelle campagne elettorali, abbiamopermesso che si generasse un malaf-fare diffuso, una spirale senza finecostituita da privilegi irrinunciabilie da leggi create con il solo scopo diautoproteggersi. Il denaro dei citta-dini è stato gettato al vento peropere inutili, mentre la spesa pubbli-ca assumeva proporzioni semprepiù macroscopiche e incontrollabili.È incredibile come questa spiraleabbia lentamente avvolto tutto etutti nel suo vortice discendente, tra-scinando l’Italia da nazione ricca apaese in forte recessione, degradan-do il benessere di ognuno di noi eavvicinandoci alla soglia dellapovertà. Così abbiamo dovuto inchi-

narci, senza poterci opporre, a unaserie di soprusi e violenze che hannominato il nostro orgoglio e il nostroamor patrio: medici compiacenti chehanno concesso facili pensioni amigliaia di falsi invalidi, legislatoriche hanno creato enti inutili doveparcheggiare amici e parenti e rega-lare loro una buona retribuzione,dipendenti statali sempre più ineffi-cienti che piano piano sono scivolatinella più totale mancanza di compe-titività e nella completa estraneazio-ne da quello che è il mondo reale,sindacati ultraprotetti che hannoimposto il loro volere senza minima-mente considerare le reali regole di

un mercato che esige sempre di piùe dà in cambio sempre di meno. Lamafia, la camorra, la malavita ingenere si sono sostituite allo stato inmolte regioni, senza che questoabbia destato troppe preoccupazio-ni. Le nostre banche, anziché finan-ziare le imprese sane dotate di con-creti progetti di sviluppo, hannopreferito puntare sulla roulette dellafinanza creativa, bruciando così cen-tinaia di miliardi e mandando infumo i risparmi che i cittadini ave-vano accantonato in una vita di durisacrifici al fine di garantirsi una vec-chiaia dignitosa e assicurare unfuturo migliore ai propri figli. È bennoto che tutto il cataclisma che hacolpito il mondo economico ha

preso origine dagli Stati Uniti, manon bisogna mai dimenticare che ilcomportamento degli istituti finan-ziari italiani è stato quantomenopoco etico: per anni, funzionarisenza scrupoli si sono dedicati avendere ai risparmiatori prodottifinanziari scadenti, al fine di sbaraz-zarsene, spacciandoli come l’ultimafrontiera del risparmio, il modomigliore per guadagnare in modofacile e sicuro. In sostanza, ci hannoraggirato. Chiaramente anche nelmondo privato vi è del marcio, seconsideriamo il perdurare congenitodel male dell’evasione fiscale o l’esi-stenza di molte aziende che vivono esopravvivono solo per merito dicontinui finanziamenti nazionali edeuropei. Ma va detto che in questoquadro fosco e decadente, che ricor-da tanto il declino che caratterizzauna civiltà prossima alla sua fine,l’unica speranza è alfine rappresen-tata dal mondo produttivo, dai veriimprenditori ancora capaci di scom-mettere e di rischiare, perché spinti,a differenza dei governanti, non dal-l’avidità ma da un sentimento cheviene da dentro. Questo sentimentosi chiama voglia di crescere, dicostruire qualcosa di cui andare fierie orgogliosi. Ma il mostro tentacola-re della politica ha ben pensato inquesti decenni di avvolgere nel suoabbraccio mortale anche la parte piùpositiva del nostro sistema produtti-vo: ecco quindi il continuo e siste-matico spolpamento delle imprese,la crescita esponenziale di regole,leggi, divieti e norme atte a impedi-re alle aziende di mantenere la pro-pria flessibilità e la propria capacitàdi reazione, ingredienti necessariper assicurarsi la competitività nelmercato globale. Che, ci teniamo asottolinearlo, non guarda in faccia anessuno. O ci si adegua alle sueregole, e in tal caso si potrà quanto-meno sperare in un futuro decente,o si precipita nel terzo mondo. E oraci meravigliamo se le imprese piùrappresentative e prestigiose delmade in Italy vengono vendute acolossi stranieri o se gli stessi im -prenditori trasferiscono la produzio-ne all’estero, dove si può produrre acosti più bassi e con norme che nonimpediscano ai lavoratori di svolge-re le proprie mansioni, e li accusia-mo di tradimento verso il suolonatio. Ma i traditori non sono forse

LUCIANO PASSONIingegnere, amministratore di SIR, Modena

OLTRE IL PUNTO DI NON RITORNOOLTRE IL PUNTO DI NON RITORNO

Luciano Passoni

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altri? Non sono forse i governanti etutte le sanguisughe che hannogoduto del Grande Imbroglio e chehanno spillato a questo sistema finoall’ultima goccia di sangue? Nonsono forse coloro che ci hanno perse-guitato aggiungendo tasse su tassesenza porre rimedio a sprechi e inef-ficienze? O che, incapaci di com-prendere l’importanza della liberaimpresa come creatrice di benesserediffuso, l’hanno abbandonata a sestessa, uccidendola e spingendo ilsistema a un tale livello di malessereda portare numerosi imprenditori,negli ultimi mesi, al suicidio? O cheinfine ha spinto le aziende che lavo-rano per il settore pubblico al falli-mento, a causa dei tempi biblici, avolte superiori ai due anni, con cuivengono regolati i pagamenti per leprestazioni effettuate? Ci eravamoillusi, negli ultimi tempi, che partitie sindacati avessero finalmente com-preso che stavamo implodendo sunoi stessi, scivolando giù fino a toc-care il fondo, e che era necessariaun’inversione di rotta netta e trau-matica per evitare l’inevitabile: lapovertà che caratterizzerà il nostrodomani. Per un attimo abbiamo vis-suto nell’illusione d’intravedere unaluce, là in fondo al tunnel della con-fusione e del bengodi. Ma l’illusioneè durata poco: il nuovo governo si èimmediatamente adeguato allanostra misera tradizione di legislato-ri, agendo nel modo più inefficace incui si poteva pensare di agire.Questo modo si basa su una sempli-ce equazione, che noi tutti conoscia-mo: se non ci sono soldi perché sonostati sperperati, allora basta chieder-li ai cittadini e alle imprese. Ma que-sta volta le tasse introdotte sarannodavvero fatali per il tenore di vita diun popolo già martoriato nella suacapacità produttiva e nella suavolontà di risparmio. Si è preso dimira il bene rifugio dell’italiano,quello per cui tutti lavorano per unavita: le abitazioni. Così facendo, nonsolo si è provveduto a mettere inginocchio la cosiddetta classemedio/bassa, ma si è ottenuto ancheil risultato di spegnere un settore,quello edile, che già era in crisi daalcuni anni, facendo evaporaremigliaia di posti di lavoro. Gliaddetti di questo settore non faran-no altro che aumentare a dismisurala già problematica schiera dei lavo-

ratori in cassa integrazione, con l’ag-gravante che molti vivranno orasulle spalle dei pochi rimasti a pro-durre qualcosa. Senza considerareche in un futuro ormai prossimo,questi cassaintegrati diverranno verie propri disoccupati. Per mesi abbia-mo assistito a discussioni su comerendere più snello il mercato dellavoro, su come attirare investimen-ti dall’estero, su come facilitare leassunzioni, per consentire alleimprese di guadagnare quote dicompetitività, le vere e uniche azio-ni remunerative nella borsa del futu-ro. Ma il compromesso che alla fineè stato raggiunto è estremamentedeludente per tutti noi: la montagnaha partorito un topolino. Perché, sta-volta, occorreva davvero agire inmodo diverso, estirpando le erbaccedal giardino della repubblica, primache potessero soffocare le pochepiante rimaste. Invece di spolparecittadini e imprese, si doveva attac-care in modo deciso lo sperpero,chiudendo gli enti inutili, togliendole pensioni ai falsi invalidi, preten-dendo che venisse restituito allostato il mal tolto, riportando al lavo-ro i fannulloni che godono di un’oc-cupazione a vita nel pubblico impie-go, applicando finalmente l’unicaregola con cui in tutto il mondo,tranne che in questo paese, vengonodecise le assunzioni, i licenziamenti,le promozioni: la meritocrazia. Sidovevano ridurre drasticamente icosti della politica, eliminando leprovince e gli altri enti pubblici adi-biti al facile parcheggio di amici eparenti, mettendo infine sotto con-trollo la spesa. Si dovevano scriverenuove regole affinché gli istitutibancari divenissero un vero stru-mento di sviluppo, imperniato sulladefinizione di un rapporto onesto etrasparente con il cittadino e leimprese. Si doveva rendere snella edefficiente la giustizia, punendone laspettacolarizzazione. Com’è possibi-le avere fiducia in un organismo chepone il cittadino e le imprese nellacondizione di attendere cinque,dieci o addirittura quindici anni perottenere giustizia? Tutto questo creaun danno enorme e scoraggia qual-siasi investitore che abbia una mini-ma volontà di fare impresa in questamartoriata Italia. In un momento diestrema emergenza, occorreva dis -mettere i beni non strategici di pro-

prietà dello stato ed eliminare qua-lunque spesa estranea alle funzionifondamentali dello stesso, ad esem-pio facendo rientrare le nostre trup-pe dalle zone di guerra, evitando disperperare una quantità enorme didenaro in operazioni che non sonocapite dal comune cittadino, impe-gnato quotidianamente a fare qua-drare il bilancio familiare. Forse noicittadini avremmo provato un sensodi sollievo se la classe politica aves-se deciso di eliminare tutti i privile-gi: in tal modo ci saremmo sentitisulla stessa barca, e saremmo statispronati a lavorare con entusiasmoper risollevare le sorti del nostropaese. Invece proprio in questi gior-ni scopriamo che i finanziamenti aipartiti sono di quattro volte superio-ri alle spese effettive, attestandosi alivelli scandalosi se raffrontati allamedia degli altri stati europei, e chequesto immenso fiume di denaro,frutto dei sacrifici di ognuno di noi,viene assorbito da singoli individuie sperperato senza il minimo rispet-to. Oppure scopriamo che, in unmomento di estrema emergenza incui tutto il popolo sta tirando la cin-ghia, lo stato sperpera milioni dieuro per dotare ogni deputato osenatore non di una, ma di decine diagende in pelle a testa. Cosa succe-derà ora, si chiedono in tanti? Credoche non sia necessaria la consulenzadi un professore della Bocconi percapirlo: le conseguenze sono sottogli occhi di tutti e saranno ancorapiù evidenti fra qualche mese. Laproduzione inevitabilmente rallen-terà, molte aziende si troveranno sulbaratro della chiusura, i consumi sicontrarranno perché i cittadinidovranno impiegare il loro denaroper pagare tasse sempre più esose.Le poche imprese sane rimaste cer-cheranno di trasferire la produzioneall’estero e gli investitori fuggirannoin altri paesi caratterizzati da unaburocrazia più semplice e da uncosto del lavoro più basso. È statoinnescato un circolo vizioso che orasarà difficile arrestare: una minoreproduzione implicherà un piccoesponenziale della disoccupazione,che in assenza di cambiamenti radi-cali potrà giungere in due anni avalori prossimi al 15-20%, e unaumento della povertà, terreno ferti-le per il fiorire del malaffare.(Prosegue sul sito www.lacittaonline.com)

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In un momento storico di grandi tra-sformazioni nei diversi settori della pro-duzione e del commercio occorrononuovi modi per promuovere il tessutoeconomico del territorio. Come presi-dente di Confcommercio Ascom Bolognaqual è la strategia in atto per rilanciareil commercio?

Le azioni che da alcuni anni abbia-mo avviato sono molteplici. Ab -biamo promosso, infatti, la discus-sione su temi diversi che vannodagli aspetti fiscali a quelli legali,all’assistenza, al rating aziendale, alcommercio elettronico, alle liberaliz-zazioni e ai nuovi sistemi di rete perle imprese commerciali. L’Asso -ciazione è un sindacato dicategoria, ma non si limita afare politica sindacale in dife-sa delle aziende. L’attivitàprincipale consiste nel sup-portare le imprese nel mo -mento in cui sono in attocambiamenti o comunque astimolarli quando si ravvisal’occorrenza di affrontare letrasformazioni che il mercatoimpone.

L’Italia ha sempre rispostomantenendo ciascuna voltaalcune peculiarità come quel-le della ricerca, dell’inventi-va, del servizio e della ricercaquasi ossessiva della qualità. Questecaratteristiche sono sempre più dif-ficili da tramandare e spesso anche illegislatore dimentica che una parteessenziale del valore aggiunto delprodotto tipicamente italiano ècostituita da questi elementi, mentreil mercato tende ad appiattire l’offer-ta e costringe l’azienda a relativizza-re il proprio ruolo, uniformandolo aquello del distributore a condizionifavorevoli.

Intende dire che la crisi del commerciodipende da alcuni pregiudizi su di esso?

Accade ciclicamente che vengaadditata una presunta fascia privile-giata di cittadini nella credenza che

abbiano vissuto di rendita dopo unastagione di facili consumi e altret-tanti facili guadagni. Purtroppo, lascarsa capitalizzazione delle nostreimprese, fenomeno tipicamente ita-liano, non conferma questa tesi.Invece abbiamo la fortuna di averetante piccole imprese con una fortemotivazione e una rilevante capacitàd’innovazione rispetto a quantoavviene in altri paesi. Spesso sidimentica che attualmente in Italianon c’è alternativa a un sistema cheè produttivo e che simultaneamentenon grava sulla collettività. I paesianglosassoni stanno ripercorrendola strada dello small business per

dare opportunità di commercio aigiovani e alle minoranze etniche.Perfino la grande distribuzione nonha futuro se non si offre la possibili-tà ai piccoli di diventare imprendito-ri. In questo senso occorre promuo-vere la cooperazione che sfrutta lecompetenze di ciascuno. Conf -commercio ha sempre seguito que-sta via, occupandosi della crescitaintegrata di tutti.

Attualmente c’è la tendenza adaccorciare la filiera dal produttore alconsumatore e nel mezzo non c’èpiù nulla perché strutturalmentel’economia delle aziende è debole e iparametri di Basilea 3 sono sempre

più restrittivi. Manca così una pro-spettiva di futuro per superare lafase di difficoltà, che scoraggia inuovi investimenti. Alla politica sichiede di dare una nuova speranzanon solo alla popolazione italiana,ma anche alle piccole imprese dovela motivazione personale è addirit-tura preponderante rispetto alrisvolto economico. Il piccolo im -prenditore fa una scelta di vita, quel-lo che chiede non è la certezza ma lasperanza che se s’impegna può riu-scire e, con una forte motivazione,un grande desiderio d’indipenden-za e l’ingegno, può fare qualcosa dispeciale. Per questo è importante lacostituzione di una rete d’imprese,che non sacrifica la differenza equindi non mortifica la peculiarità,per cui ciascuno mantiene la propriaindipendenza, ottimizzando i costifissi di bilancio.

Confcommercio Ascom Bologna hafatto una dettagliata proposta per salva-guardare le peculiarità del centro storicodi Bologna a proposito del piano di pedo-nalizzazione dell’Amministrazione. A

che punto siete?Abbiamo pubblicato la pro-

posta di un modello che siasostenibile anche economica-mente, ma, ad oggi, l’ammi-nistrazione ha intrapreso unafrettolosa e parziale chiusuradel centro storico con i T-days. Stiamo contestando conogni mezzo tale scelta, chemette a repentaglio la vita ditante aziende, ad esempioquelle più blasonate del cen-tro storico, in nome dellatutela di una fantomaticafascia di pedoni e ciclisti.Intanto, la cosa non è riuscita

nei primi weekend perché pioveva ela città era deserta. Noi monitorere-mo ciascun fine settimana la lista deidanni per le singole associazioni dicategoria. La politica e le ammini-strazioni mantengono invece unatteggiamento di superficialità nellacredenza che qualsiasi tipo di sceltapossa essere comunque gestita dalleattività ancora operative. Bologna sitrova, invece, a fare i conti con undecennio di sperimentazioni chehanno causato gravi danni. Come sipuò pensare di continuare in questadirezione? Forse c’è chi crede ancorache le aziende abbiano i margini persupportare tutto e tutti?

ENRICO POSTACCHINIpresidente di Confcommercio Imprese per l'Italia Ascom Bologna edi Cofiter-Confidi Terziario Emilia Romagna

LO SMALL BUSINESS:LO SMALL BUSINESS:UN’OPPORTUNITÀ PERUN’OPPORTUNITÀ PERLA NOSTRA ECONOMIA LA NOSTRA ECONOMIA

Enrico Postacchini

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Quest’anno ricorre il trentesimo dellasua attività di imprenditore in EmiliaRomagna, dove, nel 1990, ha fondato lasocietà di servizi Global Service Com -merciale, attualmente concessionariaufficiale di Cat Lift Truks in alcuneprovince della regione (come si può leg-gere nelle interviste pubblicate neinumeri precedenti del nostro giornale esul sito www.lacittaonline.com). Con -siderando che lei ha continuato a inve-stire, nonostante il momento di grandicambiamenti nell’economia globale,ampliando i servizi di logistica offertidall’azienda, quale testimonianzapuò dare per il proseguimento del-l’impresa italiana?

Quando decisi di mettermi inproprio, non avevo scelta:avevo l’esigenza di pensare inmodo nuovo e libero. E, oggipiù che mai, chi ha un’aziendain Italia non ha alternative: nonpuò fermarsi, deve inventarenuove combinazioni e fareinvestimenti mirati a favorirenuove strategie. Gli imprendi-tori italiani sanno meglio dialtri che l’impresa ha dimostra-to grande capacità d’invenzio-ne proprio nei momenti piùdifficili. Certo si dovrebbeattuare una politica di rilanciodelle imprese nel nostro paese,anziché incentivare il ruolodella burocrazia, che asfissiasempre di più il privato. Per nonparlare degli enormi crediti che leaziende vantano nei confronti delloStato, con la conseguenza che sonocostrette a sottoscrivere un’autoriz-zazione allo sconto sul dovuto gene-rale, pur di non perdere il loro incas-so. Questo per dire che le aziendeche lavorano per enti pubblicihanno un problema d’insolvenzache si aggiunge alla già difficile con-giuntura economica.

Ancora una volta, è evidente che iproblemi non sono all’interno delleaziende, ma al loro esterno, con ilrisultato che, come non era maiaccaduto prima, quasi tutte le setti-mane ci sono imprese che sono inliquidazione o chiudono. In alcuni

casi falliscono pur di non licenziare,o sono imprenditori che hannomesso in gioco i risparmi di una vitaper evitare il peggio.

Sarebbe il caso che i media smet-tessero di diffondere le loro dosi diterrorismo quotidiano, facendo pas-sare per informazione quella chesarebbe più giusto chiamare disin-formazione, e che incominciassero adare notizia delle aziende che pro-ducono eccellenze e devono condur-re in solitudine una battaglia inces-sante per affermare i loro prodotti

sul mercato nazionale e internazio-nale.

Quali sono gli aspetti che, secondo lasua esperienza, occorre cambiare inmodo radicale?

La burocrazia italiana è molto rigi-da, ne sono un esempio gli studi disettore che descrivono la situazionedelle imprese spesso in modo asso-lutamente divergente rispetto allarealtà. In alcuni casi, ho l’impressio-ne che la crisi sia divenuta il pretestoper nuove forme di statalismo, anzi-ché essere l’occasione per attuarenuove politiche di sostegno al tessu-to produttivo del nostro paese, attra-verso una serie di incentivi e misureche consentano di realizzare le infra-strutture di cui ormai si parla da

decenni e che potrebbero comporta-re anche un rilancio del turismo,oltre che favorire il trasporto su rota-ie. L’Italia è ancora un paese ricco dirisorse e non si dovrebbe permettereche lo sviluppo del nostro meridio-ne rimanga bloccato quando ci sonotante persone che hanno voglia dilavorare. Si continua a vendere leimprese più rappresentative delnostro made in Italy senza chiedersiquali saranno gli effetti per il nostropaese quando la loro direzione saràall’estero. Nel campo della meccani-ca, oltre alla Ducati, che è stata ven-duta di recente all’Audi, chissà aquante altre realtà è toccata la stessasorte. Perché devono accadere cosedi questo genere, nonostante la mec-canica italiana sia all’avanguardia alivello mondiale?

Penso che in questo momentosia essenziale dare più fiduciaalle persone. In fondo, questa èla lezione dei paesi dell’Europameridionale, come Spagna,Gre cia e Italia, in particolare,che da sempre hanno scritto lastoria con le imprese di pochiuomini.

Cosa possono fare gli imprendi-tori?

Dovrebbero fare lobby ecostituire alleanze per unsecondo rinascimento italiano,prima che le nostre impresesiano costrette a lasciare il terri-torio per consegnarlo, di fatto, aun destino di sussidi da partedella germanizzata UE. L’unicaesperienza che ha attuato unavera logica di sostegno è quellacooperativa, mentre i singoli

im prenditori si trovano in un rischioassoluto. Se un imprenditore chiudel’azienda, non ha la cassa integrazio-ne che lo sostiene e, se fallisce, perdepersino il diritto di essere titolare diun conto corrente bancario. Il falli-mento di un’impresa in Italia è anco-ra considerato un atto criminale,mentre in altri paesi può dare il viaall’apertura di una nuova attivitàche metterà a frutto quello che si èimparato nell’esperienza preceden-te. Questo è un aspetto importanteda considerare. Stiamo tornandoindietro di cinquant’anni, favorendoil divario tra il ricco e il povero equindi annientando la classe media,che è sempre stata quella che ha pro-dotto ricchezza.

STEFANO BONAFÈpresidente di Global Service Commerciale Srl, Bologna

COSTITUIAMO ALLEANZE PERCOSTITUIAMO ALLEANZE PERUN SECONDO RINASCIMENTOUN SECONDO RINASCIMENTO

Stefano Bonafè

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LA CUCINA DI QUALITÀNON CONOSCE CRISI

Quanti sono i ristoranti che possonovantare una clientela costante per

quarant’anni, dal primo giorno di aper-tura? Non sono pochi o secondari imotivi per cui il Ristorante da Daniloappartiene proprio a questa rara specie.Proviamo a capirlo parlando conDanilo Battilani, che ormai è diventatocelebre in tutto il mondo, grazie aiclienti di vari paesi, che quando torna-no a Modena non si lasciano sfuggirel’occasione per salutarlo e trascorrereuna serata in compagnia, gustando gliindimenticabili piatti della tradizione acui associano la precedente esperienzanella nostra città.

“Io non ho mai avuto paura dellaconcorrenza – dichiara Danilo –, nono-

Delegazione di avvocati argentini, invitati dal Prof. Avv. Antonio Tullio, a pranzo da Danilo

stante nel corso degli anni siano state tante le novità che poteva offrire la ristorazione (dalla nouvelle cuisine alle cucineetniche), perché ho puntato sulla qualità che di per sé presenta la nostra cucina tradizionale: se, per esempio, la sfoglia perla pasta viene preparata con uova di galline allevate in campagna e un tipo di farina specifica per pasta fresca, e poi tira-ta con il matterello come facevano le nostre mamme, il successo è assicurato. Ho sempre pensato che fosse un mio com-pito imprescindibile garantire ai modenesi amanti della tradizione e agli stranieri, in visita alla nostra città per turismo oaffari, la possibilità di fare o di ripete-re un’esperienza così intensa comequella che, attraverso la cucina, espri-me una memoria antichissima, quelladei valori, della storia, della cultura edell’ingegno tipici della terra emilia-na”.

Questo ristorante è diventato quasiun crocevia dove, intorno ai piatti chepropone, s’incontrano genti venute daogni parte del mondo. “Gli stranierifrequentano il ristorante soprattutto lasera. C’è una soddisfazione impagabi-le nel vedere la felicità degli ospiti, cheal termine della cena mi salutano comese fossero stati principi di una festaincredibile, organizzata in loro onore. Icoreani, soprattutto, fotografano ogniportata e ogni fase della cena come se fosse un evento imperdibile, tanto sono entusiasti. L’altra sera è venuta una com-pagnia di russi che mi ha sorpreso per il modo in cui ha gustato la nostra cucina, accompagnando gli affettati con la frut-ta fresca e il filetto all’aceto balsamico con le pere cotte. La differenza e la varietà sono di per sé una ricchezza. Per ciònon c’è nulla da temere quando non si chiude la porta a nessuno”. Quello che dice Danilo è indice dell’ospitalità che dasempre ha improntato il suo approccio nella gestio-ne del ristorante. E anche questo non è secondarioper la riuscita di un’attività. “C’è chi dice che pre-ferisce lavorare di meno, aumentando i prezzi. Iodico che tanta gente tiene pulita la cucina, non rima-ne mai niente e si ha la possibilità di servire semprecibi freschi, senza sprechi”. E, tuttavia, se non èrimasto niente, vuol dire che le proposte sono stateapprezzate. Se volevamo una conferma, l’abbiamotrovata: la cucina di qualità, unita a un servizioeccellente, non conosce crisi.

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La via della cifra, la via della qualità,è preclusa a chi si abbatte. Come notaval’economista Roberto Ruozi già al con-vegno La riuscita (Borsa Merci diModena, 29 marzo 2009), quella che dasettembre 2008 chiamano crisi è soprat-tutto una crisi di fiducia, frutto dellavolontà politica di mettere in ginocchiole piccole e medie aziende che rappresen-tano il 95 per cento della nostra econo-mia, per fare incetta del patrimonio dicultura e tecnologia che esse hannocostituito dal dopoguerra a oggi eimporre standard che puntano all’omo-logazione, funzionale all’ideale dell’im-pero.

Quale proposta si può avanzare inquesto momento per la valorizzazionedel capitale intellettuale sia all’internosia all’esterno delle piccole e medieimprese?

Nonostante le condizioni econo-miche generali del mercato e le diffi-coltà di accedere al credito e di otte-nere pagamenti puntuali – non sol-tanto dallo stato, ma anche dallostesso mondo industriale –, nonbisogna scoraggiarsi, anzi, servonomassicce dosi di fiducia, in noi stes-si e nei nostri uomini, nella nostracapacità, insieme a loro, di navigarel’onda di questo tsunami finanziarioe globalizzante. Proprio perché è incorso una battaglia cruenta perdemolire il nostro tessuto economi-co, dobbiamo avere fiducia gli uninegli altri e non possiamo permet-terci di operare per compartimentistagni, né all’interno né all’esternodelle aziende. È inaccettabile e nonha alcun senso la diffidenza in cuic’imbattiamo talvolta quando avan-ziamo proposte per la costituzionedi reti d’impresa, come se fossimotutti in concorrenza: nel nostro setto-re, per esempio, se confrontiamo lenostre competenze con quelle del-l’azienda che viene considerata lanostra maggiore concorrente, notia-mo che solo il 40 per cento sonosovrapponibili. Questo vuol direche, per sviluppare il mercato diquel 60 per cento di competenze nonsovrapponibili, potremmo addirit-

tura programmare azioni di co-mar-keting. Mentre per il restante 40 percento di competenze sovrapponibili,potremmo competere lealmente. Ameno che non ci sia l’assurda pre-sunzione di servire la totalità delmercato in esclusiva, ciascuno hamolteplici opportunità, mantenendouna propria specificità.

Circa due anni fa, a Praga, ho par-tecipato, come rappresentante del -l’Italia, alla riunione dell’Eu rolab, lafederazione delle associazioni deilaboratori dei paesi europei, dove sidiscuteva delle normative da intro-durre. Quando intervenni per rile-vare che, se fossero state approvateintegralmente tutte le normativerelative all’European Accreditation,i piccoli laboratori italiani, spessoformati da cinque o sei persone, nonsarebbero mai riusciti a rispettarle esarebbero morti, mi risposero che ipiccoli laboratori dovevano morire,anzi erano già morti, perché nonavevano sufficiente massa intellet-tuale. Cercai di far capire che la real-tà italiana è completamente differen-te ma, allora come ora, ci vuole benaltro per contrastare una volontàpolitica.

A distanza di due anni, abbiamopensato di sviluppare una strategiadi partnership, incontrando i titolaridi piccoli laboratori che fanno unodei nostri mestieri – centri di taratu-ra, prove non distruttive o analisidei materiali – e che, avendo dimen-sioni e quindi strutture inferiori allanostra, non hanno il tempo di cerca-re collaborazioni. Verifichiamo lerispettive mappe delle competenze,oltre che il loro impatto sul territoriodi residenza e poi stabiliamo accordiche consentono a ciascuno di cresce-re e di fare gruppo in modo da argi-nare l’ingresso di competitors dal-l’estero. Se, per esempio, un labora-torio si trova a Napoli, per alcuniservizi noi non abbiamo la conve-nienza economica a servire quel ter-ritorio, ma per la parte di competen-ze non sovrapponibili, se il laborato-rio di Napoli riceve commesse non

strettamente vincolate territorial-mente, anziché rifiutarle, può acqui-sirle per affidarle a noi. E lo stessopossiamo fare noi per le commesseche partono dal nostro territorio,riguardanti servizi in cui non abbia-mo una competenza specifica. Ab -biamo già incontrato dodici piccoliimprenditori e stiamo definendo lecondizioni economiche alla base diciascun accordo.

In effetti, la cifra si raggiunge proce-dendo per integrazione, non per omolo-gazione o per unificazione…

Ma per questo è molto importantel’incontro, anche per renderci contodella ricchezza intellettuale, oltreche economica e finanziaria, insitanella differenza e nella varietà delnostro patrimonio imprenditoriale,una ricchezza che non possiamopermetterci di eliminare. Mai comeoggi siamo connessi con media ditutti i tipi, eppure, mai come oggi leconnessioni tra le persone sono cosìdifficili da stabilire e c’è una fortetendenza a mettersi sulla difensiva.Il rischio, a lungo andare, è di pro-vocare una demotivazione genera-lizzata, che può portare l’imprendi-tore anche alla considerazione diavere già raggiunto obiettivi soddi-sfacenti e, pertanto, alla decisione diabbandonare.

D’altra parte, sappiamo che lapolitica non aiuta a motivare chilavora e chi intraprende. Se prendi-amo la riforma del lavoro, per esem-pio, per quanto fosse necessaria, nonè l’introduzione o la soppressione diuna norma a creare o a salvare unposto di lavoro, è piuttosto il sosteg-no agli investimenti e all’inno-vazione e l’iniezione di fiducia nelsistema, per fare in modo che gliimprenditori possano inserirsi im -mediatamente nei varchi che siaprono, in un mercato globale in cuile previsioni stanno diventandopressoché impossibili. Se c’è ancorachi non si rende conto a che puntosiamo arrivati, la partita è persa o,peggio, siamo costretti a condurreuna battaglia con un esercito chenon ha capito di trovarsi su uncampo di battaglia. Siamo distantis-simi dai tempi in cui i nostri impren-ditori combattevano insieme earrivavano persino a costituirebanche o forme di credito paralleloper sostenere lo sviluppo delle pro-prie imprese.

PAOLO MOSCATTIpresidente di Tec Eurolab, Campogalliano (MO)

LA FIDUCIA, BASE PER LA RIUSCITALA FIDUCIA, BASE PER LA RIUSCITA

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Campogalliano deve molta della suanotorietà al Museo della Bilancia,

che ospita esemplari risalenti al Me -dioevo e all’epoca romana. Ma, da quan-do Mauro Cappi gestisce il ristoranteMagnagallo, sono tanti coloro che, nelviaggio per le vacanze in montagna o perlavoro, fanno rientrare una sosta all’usci-ta dell’autostrada A22 del Brennero (aridosso della quale si trova il ristorante),per gustare l’eccellente cucina tradiziona-le modenese, che ha sempre accompagna-to con la sua fama i locali gestiti daMauro.

Non è raro trovare qualcuno che, per

rispondere a chi si lamenta perché non riesce più a mangiare un fritto misto all’italianadegno di questo nome, cita il Magnagallo e aggiunge: “Mauro Cappi lo faceva da dioquando era all’Antica Trattoria Il Moretto di Vignola: potremmo provare se lo fa ancora”.

Un’altra specialità della tradizione emiliana per la quale era noto il Moretto sono i “bor-lenghi”, che al Magnagallo si possono gustare il venerdì sera e la domenica a pranzo.Oggi è rarissimo trovare questo cibo tipicamente montanaro, la cui datazione più anticarisale al 1266 a Guiglia: una specie di crepe molto sottile e croccante, nata in un periodoin cui la farina era talmente scarsa che le ostie diventavano sempre più trasparenti fino aessere degradate dal rango di cibo a quello di “burla” o “burlengo”, da cui il termineodierno. Mauro è orgoglioso della collaborazione del suo bravissimo “Borlengaio”, cheriesce a gestire con maestria la difficile cottura di questo piatto tipico.

Ma l’orgoglio di Mauro Cappi si estende a tutti i suoi piatti, che propone con la gioiaautentica di chi ha vissuto quarant’anni di ristorazione da protagonista, attento alle esi-genze del cliente, ma anche a guidarlo nel suo viaggio gastronomico alla scoperta di spe-cialità che raramente potrà gustare altrove: “I nostri clienti provengono da tutte le regio-ni d’Italia. Se noi seguiamo letteralmente le loro richieste, rischiamo di scontentarli: nonpossiamo pretendere di preparare tutto con la stessa qualità, noi assicuriamo la qualità deipiatti tipici. Ecco perché se, per esempio, un cliente del Sud chiede gli spaghetti al pomo-doro, dobbiamo suggerirgli le tagliatelle al ragù, le lasagne o gli strichetti con il ragù disalsiccia, spiegandogli che non potrebbe mai mangiare un pomodoro eccellente comequello che si trova al Sud e rimarrebbe deluso”. E come potrebbero rimanere delusi i

clienti del Magnagallo, se non fanno intempo a sedersi che già vengono serviticon ottimo gnocco fritto (leggerissimo) eprosciutto crudo eccellente, Parmigiano epolentina ai quattro formaggi con l’AcetoBalsamico Tradizionale di Modena (pro-dotto da Mauro)? Come potrebbero nonlasciarsi consigliare da chi ha conquistatola loro fiducia al primo colpo? Quandopoi, per dissipare i pregiudizi sullo zam-pone (che molti non conoscono perchéhanno mangiato solo la versione indu-striale precotta), Mauro fa un giro peroffrirlo al tavolo degli amici, il profumoche si sprigiona dal carrello diventa irre-sistibile anche per i più arditi sostenitoridelle diete ipocaloriche: il suo zampone èpreparato da un artigiano che usa solocarne magra di prima scelta. Per provarlo,telefonate al numero 059 528751.

Ristorante Magnagallo, via Magnagallo Est, 7 - Campogalliano (MO), www.magnagallo.itRistorante Magnagallo, via Magnagallo Est, 7 - Campogalliano (MO), www.magnagallo.it

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Con oltre dodicimila macchine (rige-neratori per solventi, lavatrici per mac-chine da stampa e distillatori per acquereflue) venduti in 78 paesi nel mondo,IST ha alle spalle venticinque anni ditecnologia per l’ecologia, invidiataanche da competitors di grandi dimen-sioni. Non a caso, all’edizione 2012della Drupa (la più grande fiera interna-zionale delle macchine e materiali perstampa, publishing e converting, tenu-tasi a Düsseldorf dal 3 al 16 maggio),era l’unica azienda italiana presente,con uno stand più grande di quello delleconcorrenti tedesche…

È stata una bella soddisfazionevedere che alcuni esponenti delledue aziende tedesche che erano giàgrandi quando siamo nati noi, venti-cinque anni fa, sono rimasti permezz’ora davanti al nostro stand adammirare le nostre macchine. Unpo’ di preoccupazione è arrivataquando abbiamo saputo che gli stes-si stanno già proponendo ai nostriclienti sul mercato internazionale unprezzo competitivo rispetto alnostro, pur di accaparrarseli.

La Drupa è uno degli appunta-menti più importanti per il settoredel converting, che rappresenta unodei mercati più estesi al mondo – sepensiamo che dalla carta e dal film siproducono libri, quaderni, buste diplastica, giornali, scatole da scarpe,e così via – e investe tutto il settoredell’imballaggio. È il settore più tra-sversale, che accomuna oggetti com-pletamente diversi fra loro, per ilsemplice fatto che qualsiasi oggettoha bisogno di un imballaggio peressere spedito e venduto.

Il vostro esempio dimostra come unapiccola impresa possa divenire un’eccel-lenza del made in Italy nel mondo, gra-zie alla cultura dell’imprenditore che,indipendentemente dalle dimensioni,dota la sua azienda degli stessi strumen-ti delle grandi…

La nostra azienda è dedicata aimercati esteri fin dalla nascita e, nelbilancio 2011, l’export interessa oltrel’ottanta percento del fatturato.L’Italia in questo momento è unpaese che investe poco, noi ci siamo

organizzati rafforzando la strutturacommerciale estera, che oggi ha ledimensioni della rete di una mediaazienda.

A proposito di novità, può raccontar-cene qualcuna da Düsseldorf?

C’era una partecipazione crescen-te degli orientali, che questa voltanon sono venuti per copiarci, mahanno presentato le loro novità tec-nologiche. In particolare, mi ha col-pito la dimostrazione di una dittagiapponese che ha prodotto intempo reale cento copie del “NewYork Times” del giorno, piegate edistribuite ai presenti, in ventiminuti, con una macchina stampa-trice speciale jet printer di venticin-que metri di lunghezza, anziché conuna rotativa come quelle che stam-pano i giornali comunemente. Hovisto anche altre novità di aziendedei paesi dell’Est, non di altissimatecnologia ma con prezzi moltobassi. E competere sul prezzo non èil nostro forte: anche provando a tra-sferire la produzione in quei paesi,non sono poche le aziende che sisono trovate in difficoltà e stannotornando indietro, perché il perso-nale locale non è preparato a rag-giungere la qualità, ma soprattuttoperché le differenze culturali gioca-no un ruolo di primo piano. E nonesiste in Italia una scuola che diauna formazione adeguata all’im-prenditore che decide d’investire inquelle aree, per non parlare deinostri enti preposti al commercioestero, che raramente sono in gradodi dare un supporto concreto all’im-prenditore per formulare un busi-ness plan che possa orientare leazioni da intraprendere, a seconda,per esempio, delle infrastrutturereali del paese ospite. Una piccolaazienda come la nostra trova i suoivarchi in cui infilarsi, come il topoli-no che si salva dal gatto che lo rin-corre, ma avrebbe bisogno di unaspinta propulsiva, mentre, anche inquesti giorni, in seguito alle dram-matiche conseguenze del sisma,assistiamo a una continua demoniz-zazione dell’imprenditore, come se

fosse uno schiavista col frustino inmano che bada esclusivamente aipropri interessi. Si dimentica facil-mente che le nostre non sono multi-nazionali dirette da anonimi, maaziende in cui l’imprenditore è sem-pre il più esposto nella battagliaquotidiana per la riuscita. Questodiscorso, portato avanti anche dascelte a volte estreme, ha comporta-to la chiusura di importanti fabbri-che nel modenese, con il pretestoche erano inquinanti o vi si svolge-vano lavori molto pesanti. Il risulta-to è che a Modena abbiamo pulitol’ambiente di molti posti di lavoro.

I politici lanciano slogan che spes-so non hanno senso, anziché preoc-cuparsi di ciò che sta accadendorealmente: “incrementare i consumiinterni”, se gli italiani consumanosolo prodotti importati, non miglio-ra la nostra bilancia commerciale,anzi! Solo producendo ciò che con-sumiamo potremo invertire la rottaverso l’impoverimento che abbiamointrapreso. Innalzare barriere perimpedire l’ingresso di competitorscinesi in Italia non basta; loro e gliindiani stanno copiando le nostremacchine per venderle, oltre che neiloro paesi, in Thailandia, Australia,Egitto, Marocco, Maghreb e Spagna,dove noi abbiamo una fetta di mer-cato consistente. È su questo fronteche stiamo perdendo la battaglia, èsui mercati internazionali che stasfumando la sopravvivenza dellanostra economia. Le nostre istituzio-ni dovrebbero preoccuparsi adesso –perché gli indiani e i cinesi si stannomuovendo per conquistare il merca-to africano, quello sudamericano equello del sudest asiatico, dove cre-scono, fanno i numeri e si fanno l’os-satura –, non quando arriveranno inItalia, perché a quel punto le nostreaziende saranno già in ginocchio.

È il momento di stringerci attornoai lavoratori e agli imprenditoridella nostra provincia che stannoaffrontando con coraggio da leonigli eventi catastrofici che ci flagella-no. Dobbiamo prendere questiesem pi con umiltà e perseveranza,lasciare da parte gli stupidi settari-smi di maniera che si oppongonoancora alle poche possibilità di riu-scita che ci restano e unirci nell’uni-co vero slogan necessario in questomomento: lavorare tutti assieme eimpegnarsi tanto.

PALMIRO DEBBIApresidente di I.S.T. (Italia Sistemi Tecnologici), Modena

NON È PIÙ IL MOMENTO PERNON È PIÙ IL MOMENTO PERFACILI SLOGAN E SETTARISMIFACILI SLOGAN E SETTARISMI

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In un momento di rilancio dell’econo-mia del nostro paese, in cui le impresehanno bisogno di collaboratori preparatiad affrontare le sfide del mercato globa-le, la Fondazione ITS Meccanica eMateriali di Modena sta dando un con-tributo molto importante, soprattuttocon l’istituzione del primo corso perTecnico Superiore per l’innovazione diprocessi e prodotti meccanici, avviato innovembre dello scorso anno…

Benché la figura del tecnico supe-riore di prodotti e di processi mecca-nici sia stata pensata nell’ambito diun’iniziativa ministeriale, quindinazionale, all’interno della progetta-zione formativa abbiamo avuto lapossibilità di andare incontro alleesigenze delle imprese socie (il cuielenco è pubblicato sul sito www.its-modena.it) e del territorio in cui esseoperano, che ospita realtà di eccel-lenza nella meccanica. Per andare inquesta direzione, abbiamo pensatodi riservare il 40 per cento del per-corso formativo (1.870 ore, in dueanni) agli stage presso aziende mec-caniche, distribuiti in 120 ore nellaseconda parte di ciascuno dei primitre semestri e 385 ore al termine delcorso. La logica è quella di una verae propria alternanza tra formazionein aula e in laboratorio e formazionesul lavoro, che consente di crearemaggiore continuità. Lo stage finalesi concluderà con un progetto che gliallievi dovranno sviluppare inmaniera indipendente, dimostrandodi essere in condizioni di entrare inazienda con quelle conoscenze oggirichieste, ma che purtroppo gli isti-tuti tecnici ancora non riescono adare alle figure in uscita.

Qual è il principale valore aggiunto diquesta figura per un’azienda del settoremeccanico?

Sicuramente, chi segue questoper corso acquisisce la capacità diaffrontare scenari complessi, soprat-tutto se pensiamo a tre elementi rile-vanti che contiene il corso: prima ditutto, i contenuti professionalizzantisono orientati non soltanto alleconoscenze ma anche alle abilità, al

cosiddetto saper fare, dove il saperfare viene accentuato tramite attivitàdi laboratorio e visite guidate, attivi-tà didattiche non solo frontali, maanche esperienziali; in secondoluogo, viene data molta enfasi allalingua inglese: per favorire l’inseri-mento degli allievi in aziende cheormai hanno sedi e/o clienti in tuttoil mondo, un intero modulo delsecondo anno di corso si svolgerà inlingua inglese, anche grazie a uncontributo della Regione EmiliaRomagna su azioni di accompagna-mento che saranno approvate abreve; tra l’altro, grazie a un contri-buto della Camera di Commercio,manderemo a luglio cinque ragazziin stage all’estero, presso sedi distac-cate di nostre aziende socie (quattroandranno in Belgio presso la sededella Case New Holland e uno aShangai presso la sede di TecEurolab): sarà un’esperienza signifi-cativa e non alla portata di tutte leattività formative; infine, un’atten-zione particolare è dedicata allo svi-luppo di quel sapere trasversale, chenon è scritto sui libri ma che vuoldire capacità di leadership, di comu-nicazione, di lavoro in team, di pro-blem solving, affinché il tecnicosuperiore possa acquisire tutti glistrumenti di conoscenze professio-nali e relazionali che lo aiuterannonella futura professione.

Molto spesso gli imprenditori che sisono formati all’ITIS Fermo Corni diModena ricordano i loro maestri. Quan -to incide la scelta dei docenti per la riu-scita del corso per Tecnico Superiore?

La scelta dei docenti (il cui albo èpubblicato sul sito citato) è essenzia-le, per questo abbiamo pensato d’in-trodurre una novità rispetto ai siste-mi formativi tradizionali: almeno il50 per cento dei docenti provienedal mondo del lavoro ed è compostoda liberi professionisti o persone conesperienze aziendali, oppure daimprenditori e dirigenti in attività.La scelta dei docenti è essenziale,così come il lavoro di coordinamen-to dei tutors che, da un lato, affian-

cano i docenti per organizzare l’atti-vità didattica e, dall’altro, gestisconoi rapporti con le aziende durante lostage, accompagnando il tratto piùtecnico del percorso. E anche questaè una formula vincente perché,nonostante abbia qualche costoaggiuntivo rispetto ai percorsi tradi-zionali, consente di raggiungereun’efficacia formativa molto più ele-vata. Al di là del programma scrittosui documenti ufficiali, il corsoviene riprogettato costantemente inbase agli step di avanzamento, e unodei compiti del tutor è proprio man-tenere allineata la competenzarispetto all’obiettivo. Questo vuoldire fare un’analisi del gruppo clas-se, capire se al suo interno si produ-cono differenze di apprendimento eriallineare continuamente questedifferenze, tutti strumenti che sonoimmateriali, ma molto efficaci dalpunto di vista formativo.

In conclusione del secondo semestre,state raccogliendo echi di entusiasmo?

Abbiamo una frequenza elevatis-sima e questo è già un indice dell’en-tusiasmo degli allievi, considerandoche di solito c’è una notevole morta-lità fra gli studenti o una frequenzaa singhiozzo. Noi siamo partiti conventicinque allievi e li porteremotutti al successo formativo, e questovuol dire venticinque ragazzi im -messi nel sistema produttivo.

Ma credo che l’intero sistema ITSdell’Emilia Romagna stia andandoin questa direzione, come risultadalle comunicazioni della Regione,che sta monitorando queste attivitàsperimentali.

GIOVANNI CORSINIpresidente Fondazione ITS Meccanica e Materiali Modena

RISULTATI ECCELLENTI PERRISULTATI ECCELLENTI PERL’ITS MECCANICA E MATERIALIL’ITS MECCANICA E MATERIALI

Giovanni Corsini

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Il Poliambulatorio San Camillo operaa Bologna da più di cinquant’anni.Inizialmente gestito dall’ordine deicamilliani della Provincia Camillianalombardo-veneta, che da centocinquan-t’anni ha avviato molteplici missioni nelpianeta, dopo la seconda guerra mondia-le si è trasferito dalla canonica dellachiesa Santa Maria della Pioggia nel-l’attuale sede di via Marconi.Proseguendo nel progetto di cura degliammalati con “il cuore nelle mani”,secondo l’insegnamento di San Camilloche suggeriva di preferire al lucro lacura delle persone, in particolare degliindigenti, il Poliambulatorio si confer-ma punto di riferimento per le famigliedegli assistiti che da generazioni si affi-dano a voi…

L’eccellenza del San Camillo nonva ricercata in una specializzazionema nel modo d’intervenire verso lepatologie, che lo distingue sia dalprivato sia dal pubblico. L’approccioal paziente è globale, perciò tendia-mo a non indirizzarlo a fare esami econtrolli presso altre strutture spe-cializzate, che comportano spessocosti ulteriori. Seguendo tale logica,abbiamo predisposto percorsi inter-ni specifici, per esempio, per ledonne in età avanzata, con una seriedi check-up coordinati da un medi-co con il compito di fornire il quadrodiagnostico globale. Va in questadirezione la semplificazione deisistemi informatici, in modo cheanche i pazienti anziani possanoprenotare le visite mediche on line,autonomamente o con l’aiuto dialtri, comodamente da casa.Abbiamo in programma, inoltre, lapossibilità di consentire l’accesso aipropri dati sanitari tramite internet edisporre quindi di un prospettosanitario immediato che consente diessere curati anche in situazioniintermedie tra casa e ospedale.

Quanto è importante l’innovazione inambito sanitario?

L’introduzione di tecnologie inno-vative in un’azienda esige la rivisita-zione del processo organizzativo in

cui saranno inserite. In questo sensosi può intendere perché la tecnologiada sola non basti. Il caso dell’ictus èemblematico. Oggi è possibile risol-vere le conseguenze di un ictus o diun’ischemia cerebrale attraversol’iniezione di un farmaco antitrom-bolitico, che però deve essere som-ministrato entro e non oltre le tre oredalla diagnosi, previa prescrizionedel neurologo. In caso contrario,questo farmaco può essere letale.Generalmente, quando il sospetto diictus arriva in pronto soccorso, si hala possibilità di eseguire una Tac, manon è assicurata la presenza di unneurologo 24 ore su 24. È opportunoquindi dotare i pronto soccorsianche di telecamere, oltre che di unarete efficiente, in modo da consenti-re costantemente il collegamentoimmediato con un neurologo, checosì può completare l’analisi delpaziente e, con una semplice firmaelettronica, dare la conferma perl’iniezione del farmaco.

Non sempre, laddove è stata pre-disposta questa tecnologia, è statoavviato un cambiamento di proces-so: per esempio, non sono stateorganizzate le postazioni per il neu-rologo – che magari non è stato nep-pure istruito all’uso della tessera perla firma elettronica o della telecame-ra –, o non è stata organizzata la retedi medici con turni e relativi com-pensi prestazionali fra una Ausl eun’altra. La Germania, invece, hainvestito molto nella formazione,che incomincia addirittura nellescuole perché, se il familiare di unapersona colpita da ictus riconosce isintomi, può dare indicazioni pre-ziose per l’intervento del medico.Attualmente, in Italia risolviamocirca il 2 per cento dei casi di ictuscon il trombolitico, mentre inGermania la percentuale sale al 20.Quanto detto per l’ictus però nonviene da esperienze dirette del SanCamillo, ma è significativo di quan-to possa servire l’innovazione.

Spesso l’innovazione è considerata

indice del valore di un’impresa…In Italia, troppo spesso l’impresa è

valutata considerando lo stato patri-moniale e poi il fatturato. Non è cosìnegli Stati Uniti, dove il valore del-l’impresa è costituito anche dal-l’esperienza maturata, dalla capacitàdi affrontare la difficoltà, da qualco-sa che non si vede ma si può consta-tare e che costituisce una parte asso-lutamente rilevante del valore. Chiha aperto in Italia un’azienda chepoi è fallita è un reietto, mentre negliStati Uniti è una persona che havalore perché ha esperienza, hadimostrato di essere intraprendentee tenderà a non ripetere gli erroricommessi. Un altro esempio diquanto sia importante scommetteresulle idee e sui valori che non sonoancora quantificabili economica-mente è la Silicon Valley, considera-ta la terra del nuovo rinascimentoperché valorizza la persona.

Il valore dell’Istituto San Camillonon è dato solo dal numero di clien-ti e dal fatturato, ma anche dallafiducia di generazioni di famiglieche continuano ad apprezzare inostri servizi. È un valore che faparte dell’azienda e che, benché nonsia semplice da monetizzare, è facil-mente percepito da chi ha bisognodi cure. In Italia, non è ancora possi-bile metterlo in bilancio perché nonrientra in parametri standard facil-mente constatabili, ma offrirebbemolte opportunità d’invenzione chenon s’immaginavano prima.

LUCIANO BASTONIdirettore del Poliambulatorio San Camillo, Bologna

LA RICERCA E L’INVENZIONE PERLA RICERCA E L’INVENZIONE PERUN APPROCCIO GLOBALEUN APPROCCIO GLOBALEAL PAZIENTEAL PAZIENTE

Luciano Bastoni

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Icea è il principale organismo italianodi controllo del biologico. La sua attivitàdi certificazione si estende a molti setto-ri, oltre quello alimentare.

Dalla cosmesi al tessile, dai mate-riali per la bioedilizia ai servizi turi-stici, Icea fornisce alle aziende lagaranzia che i loro prodotti o servizirispondano ai requisiti più avanzatidi sostenibilità per l’ambiente, lapersona e il sociale. Nata con questoobiettivo, nel 2000, dalla crisi orga-nizzativa e gestionale del sistema dicontrollo AIAB, Icea è frutto diun’operazione di rilancio moltocomplessa, che annovera nella suacompagine societaria enti prove-nienti da ambiti differenti: ACU(Associazione dei consumatori),ANAB (Associazione di bioarchitet-tura), Banca popolare etica e FairTrade Italia (commercio equosolida-le), oltre a una serie di società tecni-che per i controlli a livello regionale.

La dimensione internazionale(diciassette sedi italiane, dieci filialiall’estero e personale ispettivo ope-rante in varie aree del pianeta) con-sente il riconoscimento delle sue cer-tificazioni nei paesi importatori delbiologico italiano.

La cosmesi biologica è un settoreapparentemente ancora in via di defini-zione. A che punto è la normativa ecome un cosmetico biologico rispondeagli indispensabili requisiti di qualità?

In termini generali, la certificazio-ne del biologico fa riferimento allanormativa europea, soprattutto perl’agricoltura e l’ecolabel, e ai proto-colli stabiliti da enti privati, comeIcea, poi resi pubblici.

I protocolli Icea si definiscono nelconfronto con la base produttiva enel riferimento all’obiettivo dellasostenibilità e ai risultati tecnologicie scientifici più recenti.

Un altro modo di procedere, ed è ilcaso della biocosmesi, è quello diconfrontare le nostre norme conquelle vigenti in altri paesi europei efarne una sintesi. Per la cosmesi, ilconfronto tra Icea e i principali certi-ficatori europei (Bdih, in Germania,

Ecocert, in Francia, e Soil As -sociation, in In ghilterra) ha portatoalla definizione dello standardcomune Cos mos. Occorre distinguerefra “cosmesi naturale”, a base dimaterie prime di origine esclusiva-mente naturale, e “cosmesi biologi-ca”, le cui materie prime di originenaturale sono ottenute con metodobiologico certificato. Questo perònon è sufficiente, perché nella pre-parazione di un cosmetico o di undetergente la materia prima subisceun processo di trasformazione chi-mica con cui perde un po’ la sua“naturalità”. Un esempio è dato dalsapone di Marsiglia, risultato dellareazione chimica tra un grasso, chepuò essere di origine biologica, e lasoda, sostanza chimica moltoaggressiva. Una crema di originenaturale può facilmente fermentare,quindi alterarsi, e l’aggiunta di con-servanti, di antibatterici e di altresostanze disinfettanti comporta ilrischio di un’ulteriore alterazione,perché questi additivi non sonosempre salutari. Ecco perché noiparliamo di bioecocosmesi. Per sta-bilire il suo standard abbiamo esa-minato le decine di migliaia diingredienti chimici solitamente uti-lizzati, sottoponendoli a un vaglioestremamente selettivo. Ne abbiamoeliminati moltissimi, pur riscontran-do la loro utilità nella produzione diun buon cosmetico o detergente.Pensiamo a un detersivo per lavare ipavimenti: per essere efficace, devepulire; se non pulisce, anche se è diorigine naturale, non serve a niente.

Hanno superato il vaglio solo queipochissimi ingredienti innocui perla pelle e per l’ambiente, che rispon-dono al requisito etico di non esserestati testati su animali vivi. Il loroutilizzo nella cosmesi bioecologica,in aggiunta alle materie prime diorigine naturale, migliora l’efficaciadel prodotto.

In relazione all’efficacia, è impor-tante considerare la dose. Ad esem-pio, i nostri test per i detergenti pun-tano a stabilire la loro giusta dose di

utilizzo. Un prodotto ultraecologico,usato in dosi abbondanti, finisce peravere un impatto ambientale negati-vo. Viceversa, un prodotto estrema-mente aggressivo dal punto di vistaambientale, se viene diluito nell’ac-qua in quantità minima, non creaproblemi.

Nel sito www.icea.it si può effet-tuare l’Icea Cosmetics Check, un testdi ammissibilità degli ingredienti diqualsiasi detergente o cosmetico(comprese le creme più sofisticate).Basta inserire il nome dell’ingre-diente (per esempio, sodium laurethsulfate), stabilito dalla codifica INCIinternazionalmente riconosciuta,per sapere se risponde al nostrostandard. Da qui, il valore del pro-dotto certificato come biocosmesi: èsicuro che tutti i suoi ingredientirisulteranno ammessi. Il test è acces-sibile a chiunque desideri verificarese un prodotto venduto come natu-rale è veramente biologico. Pur -troppo, c’è una grande confusione inmateria, così insieme all’ACU stia-mo aprendo un sito, www.bio -furbi.it, per denunciare i pro dottipubblicizzati come naturali, cheperò non hanno nulla di biologico.

Anche negli altri settori mantenia-mo molteplici aspetti di riferimento.A volte, le certificazioni ecologicheper il turismo riguardano solo l’uti-lizzo dei diffusori per evitare lospreco dell’acqua, ma non è l’unicoaspetto da considerare per l’impattoambientale. Anche la cura della per-sona è importante e l’assenza di resi-dui di veleni conta per l’alimenta-zione come per il tessile. Non è suf-ficiente che il cotone sia biologico se,prima di diventare una t-shirt, vienelavato, trattato chimicamente e colo-rato con sostanze altamente aggres-sive per l’ambiente e per le personeche lo lavorano: quando arriva sullanostra pelle è già alterato. Per questoabbiamo selezionato i materiali uti-lizzabili durante la lavorazione inmodo che il capo finito risponda airequisiti di compatibilità.

GAETANO PAPARELLApresidente ICEA (Istituto per la certificazione etica e ambientale)

LA BIOCOSMESI: COS’ÈLA BIOCOSMESI: COS’ÈE COME SI CERTIFICAE COME SI CERTIFICA

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Negli ultimi anni, i problemi inerentiall’ambiente, alla sicurezza sul lavoro ealla qualità aziendale hanno acquisitonotevole importanza e possono costitui-re parametri determinanti per la valuta-zione delle imprese. Tuttavia, spessol’applicazione rigida di norme cogentirischia di rallentarne l’efficienza. CSAIsrl, società di servizi che opera dal 1990sul territorio nazionale, ha sempre datoun supporto alle aziende per combinarele loro esigenze di crescita con le norma-tive introdotte dal legislatore…

CSAI è stata tra le prime società diBologna a offrire consulenza per lagestione delle problematiche relati-ve ai settori della prevenzione esicurezza sui luoghi di lavoro, del-l’inquinamento ambientale e deisistemi di gestione aziendale, quan-do ancora non erano state emanatenormative specifiche. Fin dagli annisettanta, operando nel settore dellamedicina del lavoro, ci siamo con-frontati con le esigenze delle PMI.Quella di occuparci prevalentemen-te di piccole e medie imprese è statauna scelta dettata dal fatto che l’arti-giano è più autentico, diretto e tendea instaurare un rapporto fiduciario.Le PMI non hanno bisogno di tantireferenti e il consulente è come ilmedico di famiglia, a cui l’azienda sirivolge per differenti questioni. Inquesto momento, per esempio, lerichieste maggiori riguardano ifinanziamenti.

Il lavoro del consulente è comples-so e non può essere improvvisato.Solo l’esperienza sul campo qualifi-ca la consulenza, che dev’esserefinalizzata a risolvere i problemi del-l’azienda nei vari ambiti di compe-tenza, non semplicemente ad accre-scere i servizi offerti. Per quantoconcerne l’inquinamento, per esem-pio, spesso dall’emanazione di unanuova normativa scaturisce unnuovo business per le società di con-sulenza, anche quando è risaputoche dopo qualche mese sarà sostitui-ta o abrogata. Ciò che invecedovrebbe fare un vero consulente è

informare l’azienda affinché possaevitare sanzioni amministrative epenali. Il nostro compito è essenzia-le per impedire che prevalgano logi-che burocratiche che frenano la cre-scita delle aziende, valutando anchequando è possibile essere menorigorosi e incontrando, se occorre, irappresentanti dell’istituzione com-petente.

In seguito a un controllo sullasicurezza nei confronti di un’azien-da bolognese, per esempio, gli ispet-tori incaricati, interpretando il TU inmateria di salute e sicurezza nei luo-ghi di lavoro, hanno prescritto l’af-fiancamento di un interprete nellaformazione dei collaboratori, chesono in gran parte cinesi. È evidenteche il costo di un interprete in que-sto momento non è indifferente nelbilancio, oltre a essere poco pragma-tico nell’operatività quotidiana.Qualche giorno dopo, in un congres-so a cui partecipava un autorevolerappresentante dell’Accordo Stato-Regioni per la formazione dei lavo-ratori, ho proposto la possibilità difar seguire un corso di italiano aicollaboratori cinesi. Tale ipotesi nonera stata considerata prima, ancheperché la gran parte dei nostri legi-slatori non si rende conto del funzio-namento di un’azienda e di quantomolte normative ne impediscono lacrescita.

Quali sono le condizioni per la costru-zione di una città che favorisca la dire-zione verso la qualità per la riuscitadelle nostre imprese?

L’attuale momento storico offrel’occasione per mettere in questionei pregiudizi che gravano sull’impre-sa. Non è nostro interesse imbastirepratiche burocratiche che produco-no tonnellate di carta tra avvocati,commercialisti e noi consulenti.Quanto si pretende da un imprendi-tore deve essere semplice, ben ven-gano quindi la formazione e l’adde-stramento, per consentire alle PMIdi gestire molti aspetti oggi total-mente affidati a consulenti esterni e

di abbattere notevolmente alcunicosti. Questo è ancora più importan-te in un momento come quelloattuale, in cui assistiamo a una stret-ta creditizia non giustificata dagliaiuti che le banche continuano aricevere dal governo. Senza conside-rare poi che la crisi è diventato l’ali-bi perfetto per non pagare o perpagare in ritardo. Tra parentesi,raramente è la piccola impresa a farequesta politica, perché molti piccoliimprenditori, pur di pagare i propridipendenti e fornitori, si privano deicompensi per mesi e anni.

Purtroppo, il pregiudizio control’impresa ha favorito talvolta unatteggiamento di chiusura ancheall’interno delle stesse aziende. Inpassato l’operaio più anziano, ilcapo cantiere o lo stesso imprendito-re insegnavano il mestiere al giova-ne apprendista, prendendolo sottobraccio. Oggi è sempre più diffusa lapaura che il nuovo arrivato tolgalavoro agli altri, per cui è più fre-quente il boicottaggio che la trasmis-sione. Questo atteggiamento è dan-noso sia per le imprese sia per lefamiglie e constato come fra i giova-ni ci siano segnali d’insofferenza e didisagio che non vanno sottovalutati.Per questo occorre lavorare in tuttoil contesto sociale per valorizzare leparticolarità, anziché favorire la for-mazione di piccoli robot che giova-no solo alla standardizzazione. Ecredo che in questo momento cisiano le condizioni per pensare inmodo differente.

MARZIA ZAMBELLIpresidente di CSAI Srl, Bologna

VALORIZZIAMO LAVALORIZZIAMO LAPARTICOLARITÀ DELLE AZIENDEPARTICOLARITÀ DELLE AZIENDE

Marzia Zambelli

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Fondata nel 1909, in via Indi pen -denza 15 a Bologna, l’antica gioielleria-orologeria Natale Fontana Gioielliattualmente ha la sede principale in viaRizzoli 1/2A ed è inserita nell’Albo delleBotteghe Storiche per l’originale archi-tettura dei primi del ‘900, autenticomonumento storico del liberty in EmiliaRomagna, realizzato dall’architetto epittore Paolo Sironi – tuttora vincolatodalla Soprintendenza per i Beni e leAttività Culturali, anche nei suoi arrediinterni, e menzionato nelle guide delliberty –, che i proprietari, GiorgioSinigaglia e Pia Semeghini,hanno recuperato con un attentorestauro conservativo globale,restituendolo all’originaria plani-metria…

Il centro storico di Bologna èmolto cambiato negli ultimidecenni, anche per questoabbiamo dislocato l’originariasede principale di via Indi -pendenza. Quest’ultima, infat-ti, fino alla metà del ‘900 erauna via commerciale di altolivello e rappresentava la vetri-na del made in Italy. Un esem-pio ne era il celebre negozioMinarelli (si veda il numero 45della “Città del secondo rina-scimento”, pag. 47), gestito dallafamiglia Tomba, ma, con l’avventodelle multinazionali dell’abbiglia-mento confezionato per grandimagazzini, negli ultimi anni haperso molto del suo fascino elegantegarantito dalle rinomate bottegheartigiane bolognesi.

Dal canto nostro, abbiamo semprepuntato a un’offerta commercialespecifica, con case di produzione digioielleria e orologeria di altagamma. Il nostro contributo è statoquindi nell’investimento con risorseproprie non soltanto in ambitoarchitettonico, ma anche nella tradi-zionale eccellenza culturale e com-merciale italiana.

Se ciascuno fa la sua parte, la cittàè valorizzata, ma l’amministrazionedovrebbe incentivare l’apporto delsingolo.

Invece, accade che nelle vie più

importanti dei centri storici italianisi sono installate multinazionali chehanno la possibilità di pagare affittirilevanti, proibitivi per i piccolinegozi di proprietà, che devono con-frontarsi anche con una logica di“orario continuato” che parcellizzain asettici turn over l’assunzione dinuovi dipendenti. Inoltre, a Bo -logna, è stata attuata una politicadeflattiva del centro, abbandonato ase stesso anche nella manutenzionedelle strade e dei portici, che hafavorito l’apertura di grandi centri

commerciali iperserviti di tutto,compresi i parcheggi e le straded’accesso, nelle periferie della città eoltre. In questi anni abbiamo assisti-to alla chiusura dei piccoli negozi,sostituiti da innumerevoli filiali dibanche e dai grandi magazzini digruppi commerciali nazionali e este-ri. I piani regolatori sono rimastiinvariati rispetto alle nuove esigen-ze di vita, a differenza delle altrecittà europee, che invece hannoinvestito anche in moderne metro-politane. Quello che ha impedito aBologna di procedere in questa dire-zione non è stato il problema dellastratificazione: Roma è la città piùstratificata del mondo, eppure èdotata di un’efficiente metropolita-na. La metropolitana avrebbe costi-tuito anzi un’occasione per fare pic-cole soste da cui poter ammirare ireperti storici della città. Così era

stato concepito il sottopassaggio divia Rizzoli, che invece è stato lascia-to all’incuria.

La cifra di Bologna è sempre statoil centro storico e i commercianti egli artigiani non a caso hanno sem-pre investito in proprio per manute-nerlo. Notevole è il caso di Apple,che ha inaugurato il suo più impor-tante store in una palazzina di viaRizzoli, pagando alti affitti e rima-nendo l’unico Apple Store privo diparcheggio.

Lei che ospita gioielli unici nel suonegozio “gioiello”, ha notato una diffe-renza tra la produzione di aziende italia-ne e straniere?

Le aziende di gioielli nel mondosono per l’80 per cento italiane.Pomellato, ad esempio, ha sottoli-neato il gioiello come qualcosa di

prezioso e quotidiano daindossare come un abito.Questa è la specificità del -l’Italia, dove il modo di servireciascun cliente si rifà alla tradi-zione sartoriale. Inol tre, la curache segue all’acquisto contri-buisce a mantenere il rapportoaddirittura per generazioni.Abbiamo seguito i nostri clien-ti nei momenti più importantidella loro vita, che hanno volu-to suggellare con i nostri gioiel-li. Natale Fontana Gioielli pre-senta, infatti, proposte ideateda me personalmente in colla-borazione con il cliente e con ilcontributo di un’equipe di arti-

giani nel nostro laboratorio su dise-gno esclusivo.

Come valorizzare la gioielleria italia-na?

Non è possibile competere sullaquantità, soprattutto con i ritmi diproduzione di paesi come la Cina.L’Italia deve puntare alla creatività ealla qualità assoluta, non a caso icinesi tentano di ripetere il nostrostile. In questo senso la pubblicità èfondamentale per valorizzare l’uni-cità dei nostri manufatti, che altri-menti scomparirebbero nell’anoni-mato della standardizzazione diffu-sa. Chi ha capito questo ha fatto delsuo prodotto un marchio di qualità.Operare in questa direzione è vin-cente. Inoltre, è importante che l’ac-coglienza del cliente sia all’altezzadella qualità che si propone. Il valo-re del gioiello italiano dipendeanche da questa cultura.

PIA SEMEGHINItitolare della gioielleria Natale Fontana Gioielli, Bologna

LA CIFRA DELLA GIOIELLERIA LA CIFRA DELLA GIOIELLERIA ITALIANAITALIANA

Pia Semeghini

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Con l’acquisizione dell’agenzia Axadi Bologna, che oggi si compone di ulte-riori due filiali in provincia, a Medicinae a Funo di Argelato, lei offre una con-sulenza assicurativa ad aziende e priva-ti. Com’è incominciata la sua esperienzain questo ambito?

Avevo ventidue anni quando sonoentrata nel settore e quasi subito hocapito che la mia vocazione era quel-la di operare nel commerciale, per-ché potevo incontrare persone eaziende diverse, con esigenze moltodifferenti.

È ancora un ambito tipicamentemaschile, ma offre molteopportunità alle donne chevogliono investire nell’attivi-tà. Negli anni scorsi, era anco-ra molto difficile per unadonna integrare la cura dellacasa, dei figli e della famigliacon un’attività che esige ritmiincalzanti. Inoltre, sono tantigli ambiti del business dasempre gestiti da uomini. Nelnostro settore, non c’èun’agenzia con fatturati ele-vati che sia gestita da unadonna. Quando ho fatto ilprimo colloquio, mi chieseropiù volte se avessi intenzionedi avere un figlio a breve. Èuna mentalità in cui è ancorafacile imbattersi. Ricordo,anche il caso di una grandecompagnia, che operava pre-valentemente nel settore degliinvestimenti finanziari, chemi suggerì di vestire in modo piùadulto. La cosa mi sconvolse perchémi aspettavo altre indicazioni daquelli che erano i guru della finanza.

Perché secondo lei le diedero quel sug-gerimento?

Molto probabilmente perché in unambiente maschile una donna,soprattutto se giovane, era conside-rata poco credibile di fronte a pro-fessionisti e imprenditori. Per que-sto motivo, il target che mi venivaaffidato era costituito da casalingheo operai. Forse è una scelta che avrei

fatto anch’io. Infatti, in virtù di quel-l’esperienza, dico spesso ai miei col-laboratori che dobbiamo sempreprestare il doppio dell’attenzione,perché vendiamo un foglio di cartaper amministrare soldi veri. Se lapolizza consigliata non è quella amisura di quel cliente e non si rivelautile all’occorrenza, può essere tardiper rimediare.

Quali sono i servizi che offrite nellavostra agenzia?

La mia missione è quella di rende-re l’agenzia sempre più competitiva,anche per questo ho rilevato il 1°

marzo scorso la sede Axa di VialePietramellara, a Bologna.

Per noi, stipulare un nuovo con-tratto è importante, ma lo è ancoradi più offrire un servizio oltre glistandard. Per questo forniamoanche consulenza e visitiamo diret-tamente il cliente. Offriamo quel ser-vizio che negli ultimi anni è andatoscomparendo perché occorreva gua-dagnare e raggiungere il budget infretta. L’assicurazione, invece, è natacon uno spirito di servizio e, neiventitre anni di attività, ho imparato

che il cliente ha esigenze molto spe-cifiche e, quando è servito con atten-zione, dà soddisfazioni inattese.

All’interno della struttura lavora-no persone specializzate in vari set-tori assicurativi. Io seguo prevalen-temente aziende e imprenditori, poic’è chi è specializzato nella previ-denza, chi nelle polizze per la coper-tura degli infortuni e chi cura speci-fiche tipologie di polizze, chi seguesinistri e RC auto e moto. Ciascunoperò è preparato anche a intervenirenella consulenza di altri ambiti assi-curativi. Investiamo molto nella for-mazione settoriale, ma è importanteche ciascuno abbia un’idea globaledell’attività.

Qual è il futuro per le donne in ambi-to assicurativo?

Soprattutto nei momenti di crisi, ledonne dimostrano più tenacia e, selavorano con correttezza e concostanza, possono ottenere ottimi

risultati. Ho notato che negliultimi anni c’è una grandedeterminazione a riuscire daparte delle donne, che sonopiù curiose e ambiziose. Pensoche l’assicurazione offra molteopportunità alle donne chevogliono investire.

Quali sono i suoi progetti perl’avvenire?

La persona che ha costituitoquesta agenzia l’ha fatto congrande dedizione e puntuali-tà, perciò mi auguro di ammi-nistrarla con la stessa atten-zione.

In questo momento c’è ungrande investimento nel-l’agenzia da parte di chi cilavora. Il mio sogno è lasciareun valore, non solo in terminieconomici, anche ai miei colla-boratori. Chi si confronta conla direzione di un’esperienza

non può evitare l’insegnamento e lacomunicazione. Anche per questostipulo direttamente i contratti erispondo al telefono come i mieiimpiegati, e vado a incassare le ratedelle polizze come i miei subagenti.

Inoltre, dato che lavorano con mepersone di età differenti, il mio pros-simo obiettivo è di insegnare a unragazzo o a una ragazza di vent’an-ni questo mestiere. Uno degli scopidella vita è restituire ciò che ti hadato, ciò che ti è stato insegnato eche ti ha permesso di crescere.

ROBERTA FARINELLAtitolare Studio RC Sas, Agenzia Axa Assicurazioni, Bologna

UN SERVIZIO ASSICURATIVOUN SERVIZIO ASSICURATIVOOLTRE GLI STANDARDOLTRE GLI STANDARD

Roberta Farinella

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Nel settembre 2011 è entrata in vigo-re la nuova variante alla norma CEI 64-8 di riferimento per gli impianti elettri-ci. La CEI 64-8 V3 classifica gli impian-ti elettrici in tre livelli. Quali sono ivantaggi per l’utente?

In particolare, l’allegato A ponealcune regole per gli impianti diunità immobiliari a uso residenziale.L’utente finale può ora chiedereall’installatore che la realizzazionedell’impianto elettrico sia di livello1, 2 o 3. Il primo livello individua laconfigurazione minima di unimpianto a norma. I livelli superioriaumentano le prestazioni che, nellivello 3, contemplano l’impiantodomotico, adeguandosi meglio allenecessità degli utenti e alla morfolo-gia dell’abitazione. Chi oggi sta

costruendo o ristrutturando devetenere conto di questa tabella per-ché, se l’immobile rientra nel livello3, avrà vantaggi rilevanti. L’in -tegrazione o la predisposizione diun sistema domotico in casa ogginon costituisce un investimentoimpegnativo, ma offre l’opportunitàdi vivere la casa con un confort mag-giore, per questo sta suscitando unnotevole interesse negli ultimi anni.

Mediaintegra è leader anche per gliimpianti audio-video. In quali ambitisono attualmente più richiesti?

In questo momento sono richiestisoprattutto dal settore professionale,che ha l’esigenza di allestire sale riu-nioni e salette per videoconferenze.Oggi, è possibile predisporre un’in-frastruttura di base di qualità, che

successivamente può essere arric-chita con ulteriori servizi. Chi tendea risparmiare sugli impianti di base,alla lunga si ravvede dell’investi-mento poco efficiente.

In che termini la domotica e l’audio-video contribuiscono alla cifra diambienti residenziali e lavorativi?

Stiamo lavorando per dare la pos-sibilità a tutti di usufruire quotidia-namente di impianti di domotica eaudiovideo di qualità, senza spen-dere cifre rilevanti. Tutti guardano latelevisione, vedono film e ascoltanomusica, ma oggi possono farlo inmodo nuovo. In ambito professiona-le si aggiunge il fatto che i nostriimpianti giovano anche all’immagi-ne dell’azienda, che ha la possibilitàdi presentare prodotti e fare riunioniin modo più efficiente.

Inoltre, Mediaintegra è da sempreattenta a installare impianti funzio-nali e di design che si integrano per-fettamente con il contesto in cuisono inseriti. È un valore aggiuntoche abbiamo acquisito in anni diesperienza.

SIMONE GHERMANDItitolare di Madiaintegra, Bologna

L’INTEGRAZIONEL’INTEGRAZIONECOME MISSIONECOME MISSIONE

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