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Manovre cognitive

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Manovre cognitive Un modello teorico della creatività di Yahis Martari 1. «Uniqueness», «madness» e creatività quotidiana Tutti vorremmo essere superdotati; almeno quando si parla di intelligenza. Vorremmo essere persone più creative e più inventive delle altre. Perché produrre idee signi ca produrre conoscenza, e spesso produrre conoscenza signica anche produrre ricchezza; per sé e per gli altri. Così, è dagli anni Sessanta che i maggiori governi mondiali cercano di individuare, proteggere, avorire e persino re- plicare i superdotati, i gited , i surdoué , gli hoch-begabte 1 . Quelli che hanno avuto il dono, la dote della creatività. Gente che pensa di più, meglio e in modo imprevedibile. Il primo baluardo del senso comune intorno alla creatività è dunque questo: la creatività è un dono che ha a che vedere molto con la natura e poco con l’educazione. È un dono, appunto; e, si sa, i doni non si acquistano, né si imparano a menadito. Poi il secondo baluardo: l’accoppiata genio-ollia. Persino un certo numero di studi neuropsicologici danno conerma a questo binomio, caro tanto al senso comune popolare quanto alla letteratura roman- tica, vivo n dai primordi della cultura linguistica italiana 2 . Si può dire, in sintesi, che, secondo questi studi, la creatività e la patologia mentale sono spesso legate dal denominatore comune della diversità nel modo di combinare le inormazioni immagazzinate nel cervello 1 In campo psicologico gli studiosi sono spesso stati attratti dall’analisi delle vicende esistenziali dei personaggi di più o meno celebre intelligenza. Cr. per esempio, F. Alonso- Fernández, El talento creador , 1996, trad. it. Il talento creativo: tratti e caratteristiche del genio , Bari, Dedalo, 2001 e soprattutto Creative people at work. Twelve cognitive case studies , a cura di D.B. Fallace e H.E. Gruber, Oxord, University Press, 1992. 2 Già Petrarca, inatti, allertava, nelle sue lettere metriche, sul atto che non esiste genio
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245INTERSEZIONI / a. XXX, n. 2, agosto 2010

Manovre cognitive

Un modello teorico della creatività

di Yahis Martari

1. «Uniqueness», «madness» e creatività quotidiana

Tutti vorremmo essere superdotati; almeno quando si parla diintelligenza. Vorremmo essere persone più creative e più inventivedelle altre. Perché produrre idee signica produrre conoscenza, espesso produrre conoscenza signica anche produrre ricchezza; persé e per gli altri. Così, è dagli anni Sessanta che i maggiori governimondiali cercano di individuare, proteggere, avorire e persino re-plicare i superdotati, i gited , i surdoué , gli hoch-begabte1. Quelli chehanno avuto il dono, la dote della creatività. Gente che pensa di più,meglio e in modo imprevedibile. Il primo baluardo del senso comuneintorno alla creatività è dunque questo: la creatività è un dono cheha a che vedere molto con la natura e poco con l’educazione. È undono, appunto; e, si sa, i doni non si acquistano, né si imparano amenadito.

Poi il secondo baluardo: l’accoppiata genio-ollia. Persino un certonumero di studi neuropsicologici danno conerma a questo binomio,caro tanto al senso comune popolare quanto alla letteratura roman-tica, vivo n dai primordi della cultura linguistica italiana2. Si puòdire, in sintesi, che, secondo questi studi, la creatività e la patologiamentale sono spesso legate dal denominatore comune della diversitànel modo di combinare le inormazioni immagazzinate nel cervello

1 In campo psicologico gli studiosi sono spesso stati attratti dall’analisi delle vicendeesistenziali dei personaggi di più o meno celebre intelligenza. Cr. per esempio, F. Alonso-Fernández, El talento creador , 1996, trad. it. Il talento creativo: tratti e caratteristiche del genio,Bari, Dedalo, 2001 e soprattutto Creative people at work. Twelve cognitive case studies, a curadi D.B. Fallace e H.E. Gruber, Oxord, University Press, 1992.

2 Già Petrarca, inatti, allertava, nelle sue lettere metriche, sul atto che non esiste geniosenza ollia: cr. F. Petrarca, «Epistola metrica a Zoilo», I, 167, in Poemata minora quae extant omnia, a cura di D. De Rossetti, Milano, Società Tipograca dei Classici Italiani, 1831-34,vol. II.

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umano3. Gente geniale e olle. Che mette insieme le cose in modostrano, inconsueto. Alcuni studi sociologici sembrano invece contra-stare con questa prospettiva, sostenendo che la gente creativa tende

a essere un po’ più olle, è vero. Ma è solo un atto legato al mododi vivere in società, e non certo alla genetica.Tuttavia, qualunque sia l’interpretazione che scegliamo, ciò che più

ci sembra interessante è la nascita di un campo di studi ormai ampioche considera la creatività come suo oggetto specico. Un campo distudi transdisciplinari che vede la creatività, ovviamente, non soloal conne con lo spazio della patologia, ma, al contrario, come unmodo comune, almeno in potenza, a tutti gli esseri umani. Cosicché

il binomio «genio e ollia» si scinde una volta per tutte, mettendoin crisi anche la stessa immagine della genialità come diversità unicae deviante: muta il concetto stesso di uniqueness. Come a dire chel’individuo geniale non è più colui che possiede qualcosa che altrinon posseggono, ma, più limitatamente, è colui che possiede un po’di più di una cosa che tutti hanno: la capacità creativa. Capacità diassociare, dunque, e combinare, manipolare, manovrare idee in modoappunto «creativo», originale, imprevisto. In ambito psicolinguisticosi è quindi iniziato a parlare, da qualche tempo a questa parte, dieveryday creativity, cioè di quella creatività linguistica quotidiana checontraddistingue tutti gli esseri umani, e che si contrappone, per suanatura, alla creatività estetica che caratterizza invece gli artisti dellaparola (literary creativity). Ed è signicativo che in questi ultimi annisiano usciti, in ambito anglosassone, almeno due studi indirizzati pro-prio a smantellare il concetto di creatività come universo a sé stante,al di uori del are linguistico comune, analizzando soprattutto l’«artedel parlare comune», patrimonio e palestra di creatività per tutti gli

animali linguistici4. È anche importante sottolineare che la creativitàquotidiana è base e nutrimento, molto spesso, anche per la creativitàin ambito scientico o artistico. La linea di demarcazione è presumi-bilmente relativa più alla percezione sociale delle due diverse mani-estazioni dell’atto creativo, che a un quadro di rierimenti oggettivi.

3 Tra questi studi certamente ricordiamo, di una tra le massime studiose statunitensi didisturbi maniaco-depressivi, Kay Redeld Jamison, Touched with Fire: Manic-Depressive Illness

and the Artistic Temperament , New York, Free Press, 1993. Jamison ricorda la componenteanche amiliare del disturbo in personalità creative, come per esempio Lord Byron In gene-rale, la schizorenia è certamente una chiave di lettura suggestiva, in questo senso. I pazientischizorenici tendono a are associazioni impreviste, a «creare» immagini e idee complessediversamente da quanto acciano i soggetti non schizorenici. Chiunque abbia avuto in sorteun amico o un parente con questa ancora largamente oscura patologia lo può testimoniare. Lopsichiatra Sarno Mednick u tra i primi a sottolineare il nesso tra patologia mentale, creativitàe combinatoria delle inormazioni: cr. S.A. Mednick, The associative basis o the creative proc-ess, in «Psychological Review», 69, 1962, pp. 220-232.

4 Ci rieriamo a R. Carter, Language and creativity: the art o common talk, London-NewYork, Routledge, 2004 e a R. Pope, Creativity: Theory, History, Practicies, London, Routledge,2005.

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Come a dire che c’è una necessaria continuità tra i processi creatividegli individui gited e quelli degli individui non-gited ; e che quindila normalità e la uniqueness sono spesso separate perlopiù sul piano

dell’aspettativa sociale: lo spazio della genialità inizia al di là del limi-te di ciò che ci si aspetta da un soggetto «mediamente» dotato.Pure alla luce di queste considerazioni, che sembrano riposare

ormai su qualche sicurezza scientica, bisogna rilevare che lo studiodella creatività in ambito psicologico e psico-linguistico è piuttostorecente. Meglio: gli psicologi sono stati a lungo restii a riconoscereautonomia scientica a un argomento che, in diverso modo e un po’sotterraneamente, hanno in ondo sempre trattato. Chiamando la

creatività, di volta in volta, produzione di inormazioni o risoluzionedi problemi. Cosicché solo negli ultimi anni la creatività è diventataoggetto di studi e di ricerche rigorose ed esplicite. E solo negli ul-timi anni è stata sottratta al monopolio della letteratura losoca espiritualista e alla manualistica divulgativa e psicometrica5.

Tra gli studi psicologici anglosassoni, la rifessione sulla creativitàgode, ormai da qualche anno, di una certa ortuna. Tanto che esisto-no diverse riviste dedicate unicamente alla creatività: il «Journal o Creative Behavior», il più recente «Creativity Research Journal» e il

giovane «Thinking Skills and Creativity». Per non parlare della pre-senza cospicua di ricerche dedicate alla creatività su riviste dedicatealla scrittura, alla linguistica applicata, o ad altre discipline (comel’architettura o la musica). Basti pensare alla recente uscita di un nu-mero monograco della rivista «Applied Linguistics» (28/4 del 2007)interamente dedicato alla creatività linguistica. Si tratta, in tutti i casi,di strumenti di studio veramente preziosi, che hanno raccolto alcunicontributi ondamentali sull’argomento. Ha ragione Ornella Andreani

Dentici, in Italia, quando interpreta la ortuna degli studi sulla cre-atività e sulla genialità nei paesi anglosassoni come la conseguenzadi una impostazione pragmatica e di un orientamento della societànettamente concorrenziale: perché è proprio questo orientamento checonduce a studiare le persone di successo nel tentativo di riprodurnei tratti e di metterle al servizio di un sistema produttivo6.

Quanto all’Italia, studiare la creatività, soprattutto per chi si occu-pa di lingua, pone un curioso interrogativo: non si comprende se si

stia acendo una cosa uori moda o troppo di moda. La proessiona-5 Per la prima categoria ci rieriamo per esempio al lavoro importante di George Steiner,

Grammar o creation, 2002, trad. it. Grammatiche della creazione, Milano, Garzanti, 2003.Per la seconda si rimanda al prossimo paragrao. Volendo sottolineare gli orizzonti di studiopiù ortunati è opportuno aggiungere anche la creatività come strumento psicoterapeutico inrelazione alla produzione artistica. Valga da esempio, in tal senso, il recentissimo lavoro deldrammaterapista S. Pitruzzella, L’ospite misterioso. Che cos’e la creatività, come unziona e comepuò aiutarci a vivere meglio, Milano, Franco Angeli, 2008 e quello meno recente di U. Amati,Arte, terapia e processi creativi ,  Roma, Borla, 1998.

6 Cr. O. Andreani Dentici, Intelligenza e creatività, Roma, Carocci, 2001, pp. 57ss.

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lizzazione della creatività a vari livelli, dal top manager all’animatoreturistico, passando per l’immancabile pubblicitario, arebbe pensarealla seconda ipotesi. Invece, guardando i curricoli ormativi della

scuola, e i programmi ministeriali soprattutto, verrebbe da pensa-re che di creatività non abbia più voglia di parlare quasi nessuno.Allora è probabile che siano vere entrambe le cose: la creatività èsmisuratamente di moda nei master di specializzazione ed è un po’troppo uori moda nella scuola primaria e secondaria (per taceredell’università).

Proprio partendo da una tale considerazione, nasce questo saggio,in cui si vorrebbe proporre un modello teorico per lo studio della

creatività linguistica, a partire dalla nozione psicologica di «manovracognitiva» e dalla nozione losoca di «intenzionalità creativa». Pri-ma di are questo, però, è d’obbligo delineare un sintetico prolodegli studi sulla creatività in campo linguistico, psico-linguistico, esoprattutto cognitivo.

Nell’insieme, svolgeremo lo studio in tre passi7:– La creatività si può studiare– Si può descrivere un limitato numero di manovre cognitive– La creatività ha a che vedere con l’intenzionalità.

2. La creatività si può studiare (ovvero, i modelli teorici della creati-

vità)

Che cos’è un processo creativo? Rispondiamo con una denizionecomposita che conviene sintetizzare a partire da alcuni tra gli studiscientici più recenti. Un processo creativo è ciò che muove dalle

regole costitutive di qualcosa (un gioco, un sistema culturale, unsotto-codice linguistico, una danza) e conduce alla costituzione diqualcosa di nuovo: un nuovo gioco, un nuovo sistema culturale, unnuovo sotto-codice linguistico, una nuova danza. Inatti, cosa pureovvia ma di assoluta importanza, «probabilmente la caratteristica chepiù denisce la creatività è quella della novità. Essere creativi signi-ca produrre o pensare qualcosa di nuovo»8. Il risultato del processocreativo, poi, deve essere usabile e integrabile nella cultura in cui

approda; altrimenti tra creatività e ollia non ci sarebbe alcun discri-7 Rimandiamo a un lavoro successivo e più ampio la disamina delle questioni losoche e

gran parte del dibattito critico inerente alla creatività.8 Queste le parole di H. Welling, Four Mental Operations in Creative Cognition: The Impor-

tance o Abstraction, in «Creativity Research Journal», 19, 2007, 2/3, p.164;. Ma il parametrodella «novità» come indicatore di creatività è prevedibilmente assai diuso nella letteraturasull’argomento, al di là della provenienza geograca o culturale degli studiosi. Qualche esempio:Creative people at work. Twelve cognitive case studies, a cura di D.B. Fallace e H.E. Gruber, cit., p. 28; E.R. Alencar e D.S. Fleith, Criatividade: Múltiplas prospectivas, Brasília, EditoraUniversidade de Brasília, 2003, pp. 13-14.

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mine. Inne, sia il processo creativo sia il suo prodotto devono esseregraduabili: «alcune cose sono più radicalmente nuove di altre»9. Ilche è importante, perché impone di pensare all’atto creativo come a

qualcosa di relativo (a una cultura) e di qualitativamente variabile.Nello specico, oltre ai modelli computazionali riconducibili allescienze dell’inormazione, dentro ai quali non ci addentreremo10, sonodella psicologia cognitiva e della linguistica, soprattutto testuale11, isuggerimenti più signicativi, almeno nell’individuazione di un certonumero di relazioni di continuità tra i processi di trasormazione deldiscorso. I primi sono cognitivisti e si occupano di verbalizzare ciòche la mente a durante l’atto creativo (o compositivo). I secondi

sono di carattere comportamentistico e indagano i prodotti testualicome output  delle manovre cognitive.Iniziamo dunque con tre lavori, rappresentativi dell’una o dell’al-

tra categoria e che sono stati proposti da autori piuttosto ortunatianche in Italia.

Centrale, dal punto di vista della teoria cognitivista è l’intuizio-ne – divulgata e commentata per l’Italia in molti luoghi da DarioCorno – della scrittura come spazio bivalente tra knowledge telling eknowledge transorming nel lavoro di C. Bereiter e M. Scardamalia12.

E proprio nello spazio teorico della trasormazione di conoscenzasi muove ogni possibile categorizzazione – e la stessa accettabilitàepistemologica – del concetto di manipolazione linguistica e inorma-zionale. Trasormare è inatti iperonimo di manovrare e manipolare,almeno in una delle accezioni possibili. Scrivere, dunque, non soloper trasmettere ma anche per trasormare (manipolare, ricreare) leproprie conoscenze. Uno studio ormai più che classico, e centrale peril campo dell’educazione, è poi il ortunatissimo studio di Howard

Gardner, Formae mentis13. Di grande interesse è ciò che Gardner so-stiene a proposito dell’intelligenza linguistica: in particolare l’esigenzadi una cornice pragmatica per l’educazione linguistica. Questo studio,

9 H. Welling, Four Mental Operations in Creative Cognition: The Importance o Abstraction,cit., p. 164.

10 Ci rieriamo, per esempio, a lavori come Scientic discovery and creative reasoning withdiagrams di P.C.H. Cheng e H.A. Simon, in The creative cognition approach, a cura di S.M.Smith, T.B. Ward e R.A. Finke, Cambridge, The MIT Press, 1995, pp. 205-228; e Making

machines creative di R.C. Schank e C. Cleary, ivi, pp. 229-248. In Italia, nel panorama di studisull’Intelligenza Articiale, sono noti e piuttosto illuminanti i lavori, per certi versi pionieristi-ci, sui sotware creativi di Douglas Hostadter: D.R. Hostadter, Fluid Concepts and CreativeAnalogies, 1985, trad. it., Concetti fuidi e analogie creative, Milano, Adelphi, 1996.

11 La psicolinguistica produce anche intorno allo studio del lessico dei lavori in qualchemisura orientati verso la creatività. Per esempio N. Colecchia, Psicolinguistica e creatività,Venezia, Marsilio, 1979.

12 C. Bereiter e M. Scardamalia, The Psychology o written composition, 1987, trad. it. Psico-logia della composizione scritta, nell’edizione italiana (Firenze, La Nuova Italia, 1995) tradotta,curata e introdotta da Corno.

13  Frames o mind. The theory o multiple intelligences, 1984, trad. it. Milano, Feltrinelli,1988.

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anche se non in modo esplicito, rinvia a una concezione «discorsiva»del are linguistico. L’unica, a nostro modo di vedere, che consentadi parlare di manipolazione linguistica trattando in parallelo il con-

cetto di segno e quello di inormazione.Centrale dal punto di vista della linguistica testuale, invece, è lamodellizzazione che propone T.A. Van Dijk. Lo studioso distinguequattro macroregole di combinazione testuale, riguardo alle quali, aldi là del merito della categorizzazione, è interessante la relazionalitàe l’infuenza tra macro e microstrutture discorsive. Nell’impostazionedi Van Dijk, inatti, le prime rispecchiano le seconde. Le macroregoledi combinazione testuale, da un ordine microstrutturale a un ordine

macrostrutturale, sono le seguenti: Cancellazione debole, Cancellazioneorte (o Selezione), Generalizzazione (di cui un tipo particolare è l’In-terpretazione) e Costruzione14. Più che di manovre della creatività sitratta di orze strutturali del testo, unzioni di reciprocità tra le partidel discorso che lo rendono tale: regole costitutive, insomma.

È inoltre piuttosto interessante che Van Dijk cerchi di tenere in-sieme una «teoria del discorso» e una teoria della cognizione propo-nendo lo studio di una base cognitiva delle macrostrutture15. Solo apartire da questa base, poi, lo studioso ore una classicazione delle

trasormazioni possibili del discorso attraverso diverse manipolazionitestuali che classica come: Cancellatura, Permutazione, Sostituzione,Ricombinazione, Integrazione. Non è inutile ricordare, per il campodell’educazione linguistica in Italia, il modello proposto da DarioCorno16; partendo da una nitida matrice cognitivista che deniscesia il quadro di rierimenti mentali all’interno del quale si sviluppala creatività, sia la natura cognitiva della struttura inormativa, Cornopropone un lavoro didattico strettamente intrecciato con la retorica

– e con una prospettiva linguistico-testuale; impiegando, tra l’altro,ecacemente proprio il modello di Van Dijk.Se queste letture sono state in diversa misura ortunate anche in

Italia, non esiste tuttavia, proprio nel panorama italiano, una vastaletteratura critica e scientica sulla creatività17. E i modelli di prove-nienza statunitense sono ancora scarsamente tradotti, studiati e divul-gati. Procediamo dunque qui a mostrare almeno alcune tra le idee ele teorie con le quali è utile dialogare. Senza pretese di esaustività,

14 Cr. Macrostructures. An Interdisciplinary Study o Global Structures in Discourse, Interac-tion and Cognition Hillsdale, N.J., Lawrence Erlbaum Associates Publishers, 1980, pp. 46ss.

15 Ivi, pp. 200ss.16 Cr. D. Corno, La scrittura. Scrivere, riscrivere, sapere di sapere, Catanzaro, Rubbettino,

1999.17 Nonostante esistano alcune valide eccezioni come Ornella Andreani Dentici (cr. per

esempio Intelligenza e creatività,  cit. e O. Andreani Dentici e S. Orio, Le radici psicologichedel talento, Bologna, Il Mulino, 1972).

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ovviamente; ma per ornire almeno la suggestione dell’ampiezza delpanorama di studi, soprattutto in ambito psico-cognitivo.

Un modello psicologico della creatività sul quale ci si deve soer-

mare è innanzitutto quello di un gruppo di autori che lavorano sullacreative cognition, ovvero la relazione tra cognizione e creatività. Cirieriamo, in particolare, ai volumi The creative cognition approach, acura di Steven M. Smith, Thomas B. Ward e Ronald A. Finke (cit.)e Creative thought: an investigation o conceptual structures and proces-ses,  a cura di Thomas B. Ward, Steven M. Smith, e Jyotsna Vaid18.

Quello che ci pare interessante, in questi studi, è soprattutto iltentativo di are incontrare quelle prospettive della ricerca che si

occupano della creatività da un punto di vista cognitivo. Innanzituttola prospettiva di stampo associazionista, che vorrebbe una creativi-tà riducibile a elementi semplici via via combinati, in una visione,dunque, incrementale dell’inormazione nell’atto creativo. In questosenso, un’attenzione particolare è dedicata alle ipotesi che rispondo-no alla domanda «che cosa c’è di vecchio in un’idea nuova?». Laseconda prospettiva è quella adottata dalla psicologia della Gestalt ,che ada tutto il peso dell’atto creativo all’intuizione che rivoluzionail sistema percettivo e cognitivo. In questo caso, gli studi sono rivolti

soprattutto alle condizioni di possibilità di realizzazione di un insight ,cioè di un’illuminazione creativa. La terza prospettiva arontatadagli studiosi della creative cognition è il recente approccio compu-tazionale delle scienze dell’inormazione (di radice connessionista):studi statistici, sperimentazioni sulla relazione mente articiale-menteumana ecc. Il tutto in un quadro d’indagine, pure se rigorosamentepsicologico, molto suggestivo anche in una prospettiva linguistica odidattico-linguistica.

La creative cognition ha un approccio unico, in campo psico-cognitivista, per diverse ragioni. La prima è sicuramente il atto chenon cerca di ridurre a un singolo aspetto la creatività ma, viceversa,indaga i diversi processi mentali impiegati ora per la generazionedelle strutture cognitive (associazioni, sintesi, trasormazioni di ideeecc.), ora per le implicazioni creative di tali strutture (interpretazionedella creatività, test di ipotesi sulle strutture cognitive della creativitàecc.). In altre parole, in questo modello è presente una distinzione

tra i presupposti cognitivi della creatività, e la consapevolezza delare creativo.La seconda ragione di interesse, orse di maggiore importanza, è

la distinzione tra le strutture cognitive impiegate nell’atto creativo ei processi che permettono di ipotizzarle. Le prime sono, per esem-pio, la capacità di combinare materiali semiotici, di costruire modelli

18 Washington, DC, American psychological association, 1997.

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mentali, di are categorizzazioni ecc. Le seconde sono il risultato, intermini di intuizioni creative, di tutte queste capacità. Come a direche un conto è avere le abilità presupposte per la creatività, un altro

conto è essere creativi.La terza ragione, che ci pare ancora più importante, inne, è lanetta distinzione (e l’indagine della relazione) tra processo e prodot-to dell’atto creativo, così da eliminare una certa cira deterministicadai prodotti creativi. Insomma: un conto è trovarsi nella nello statointenzionale di creare e un altro è riuscirci. Su questo torneremo conmolta attenzione nell’ultimo paragrao.

Nel lavoro curato da Ward e colleghi ci pare molto signicativo,

in particolare, il contributo di Thomas B. Ward stesso19

. Attraversouna ricerca sperimentale sonda la prevedibilità di un atto creativo,insistendo sul atto che i principi di categorizzazione non creativasono utili anche a denire dei ramework all’interno dei quali predirele dinamiche cognitive della creatività. La sua ricerca consiste nelmostrare quanto prevedibili siano, per esempio, i suoi intervistati(tutti studenti del college) nel disegnare e nell’apportare variazioniai propri disegni: tali variazioni si possono predire considerando latendenza alla riproposizione di cose note, alla simmetria, al paral-

lelismo strutturale. Insomma, Ward, attraverso un certo numero diesperimenti, arriva a supporre l’esistenza di linee generali di struttu-razione delle nuove idee.

Il lavoro di Ward (e quello di alcuni dei suoi colleghi) è interes-sante, per noi, soprattutto perché presuppone – al di là di un certoriduzionismo – la denibilità delle manovre cognitive. In altre parole,indaga la creatività come un terreno del quale è possibile stendere,anche se approssimativamente, delle mappe.

Di grande rilevanza, sempre nello stesso quadro, è anche il recen-te lavoro di Hans Welling Four Mental Operations in Creative Cogni-tion: The Importance o Abstraction  (cit.), che discute la relazione el’importanza di quattro operazioni mentali ondamentali: applicazione,analogia, combinazione, astrazione.

Si tratta di un quadro più ristretto di quello che proporremonoi nel terzo paragrao, e, a nostro parere, non ancora sucientea convincere della centralità del concetto di manipolazione nella

teoria dell’atto creativo. Tuttavia, per il nostro lavoro, lo studio diWelling ha più di un merito. Innanzitutto, come nel caso di Ward,assistiamo a un esplicito tentativo di sistematizzazione di qualcosache si potrebbe già denire «manovra cognitiva» (mental operation);secondariamente, le idee di Welling sono state un punto di rieri-mento critico anche per le nostre proposte; in terzo luogo, è anche

19 Ci rieriamo in particolare a T.B. Ward, What’s old about new ideas?, in The creativecognition approach, cit., pp. 157-178.

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ammirabile, nel lavoro di Welling, l’argomentazione attraverso eno-meni culturali e artistici di diverso tipo, così da rendere più «viva»l’ipotesi psicologica.

È poi di grandissima rilevanza soprattutto la disamina critica cheWelling compie sulla letteratura psicologica intorno alla creatività,con rierimento ai singoli problemi più cogenti come quello dellacombinazione di inormazioni. Inoltre Welling mette chiaramente inluce la sostanziale compresenza delle diverse operazioni, e quindi lanon-esclusività delle stesse.

Ci pare rilevante, inne, il atto che sia Ward che Welling portinonotevoli argomenti contro una teoria, per così dire, dell’autosu-

cienza dell’intuizione creativa: l’insight  (sul quale torneremo tra pocodiscorrendo della psicologia della gestalt )  può spiegare qualcosa, manon tutto ciò che accade in un atto creativo. Se non altro perché lacultura e la società contengono i presupposti e gli interlocutori delleabilità cognitive che realizzano e riconoscono la creatività.

Un tentativo esplicito e molto convincente di sistematizzazione èanche quello proposto da Victor Ross20, che individua, a partire dauna larga etta della letteratura esistente, dieci «meccanismi , cioè modiin cui le caratteristiche di un problema possono essere manipolate per

creare soluzioni potenziali»21. È innanzitutto di notevole interesse, pernoi, il atto che Ross parli esplicitamente di «manipolazione» e, nondi meno, che «meccanismo» (mechanism) possa essere letto come unasorta di pararasi, per la lingua inglese, delle «manovre cognitive» dicui tratteremo noi. I dieci meccanismi in questione sono riconducibilia cinque macroaree: separazione, cambiamento, copia, combinazione e conversione22. Tutto ciò è ancora molto lontano dal modello che vor-remmo proporre, ma sicuramente non è privo di interesse epistemolo-

gico, oltre che operativo; inatti il lavoro di Ross può essere riportatoin ondo proprio all’intento di tracciare coordinate di sistemazioneepistemologica a partire dalle letture operative e metodologiche piùclassiche e più ortunate.

Per via sia teorica che sperimentale, anche altri studiosi, come peresempio Jonathan Schooler e Joseph Melcher, teorizzano un doppiocampo di applicazioni cognitive: uno legato inestricabilmente allasoluzione intuitiva, e uno legato invece alla soluzione analitica23.

In questo caso la prospettiva di studio presuppone due spazi dellacreatività, ovviamente interagenti, ma dominati da due diversi «modi»della creatività. Il primo legato all’indenibilità della soluzione crea-

20 Cr. V.E. Ross, A model o inventive ideation, in «Thinking Skills and Creativity», 1,2006, pp. 120-129.

21 Ivi, p. 121. I corsivi sono nostri.22 Ivi, p. 125.23 Cr. J.W. Schooler e J. Melcher, The ineability o insight , in The creative cognition

approach, cit., pp. 97-134.

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tiva intuitiva e quasi inconsapevole. Il secondo, viceversa, dominatoda manovre cognitive emerse a consapevolezza24.

Sempre tra i tentativi di sistematizzazione, bisogna almeno ricor-

dare che ha avuto un certo successo anche in Italia il modello dieducazione alla creatività proposto da Paul Torrance; soprattutto ilsuo complesso test di analisi del pensiero creativo (Torrance’s Testso Creative Thinking) che si concretizza in un certo numero di in-dicatori sulla quantità, la qualità, la novità e l’organizzazione delleidee verbalizzate25. Evidentemente, più che di uno strumento teoricosi tratta in questo caso di uno strumento di misurazione della crea-tività, sul quale sono stati tuttavia avanzati, anche molto di recente,

non pochi dubbi26

.In proposito, sempre per ciò che concerne la misurazione, vale laspesa di ricordare due studiosi che hanno avuto un peso importantein questo campo di studi. Il primo è Joy Paul Guilord27, uno deipadri ondatori della teoria psicologica della creatività e anche autoredel noto Unusual Uses Test . Questo tipo di misurazione valuta quantie quali usi un soggetto riesce a immaginare per un oggetto, come peresempio una bicicletta o un mattone. Il secondo studioso, non menonoto, è Sarno Mednick con il suo amoso test di associazione di

parole/concetti remoti. Il test è costruito come un recente e ortunatogioco televisivo anche italiano28, in cui i soggetti devono individuareil denominatore comune di parole apparentemente lontanissime traloro. Per esempio: andare, notte, candidato = bianco29. Si tratta intutti i casi di approcci non indirizzati alla ricerca dei meccanismi co-gnitivi della creatività, quanto piuttosto alla proposta di un modellopsicometrico per misurare il più possibile oggettivamente l’abilitàcreativa. In particolare, nel caso di Mednick, con rierimento al rap-

porto tra capacità di correlazione e potenziale creativo.Uno studio di indubbia rilevanza teorica è invece il lungo artico-lo di Joseph Kaso sulla prospettiva attribuzionale della teoria della

24 Anche la questione della consapevolezza sarà rapidamente trattata nelle prossime pagine,ma per ora limitiamoci a proseguire la rassegna di spunti di interesse teorico.

25 Cr. E.P. Torrance, Torrance tests o creative thinking, s.d., trad. it., Test di pensierocreativo: manuale tecnico e norme,  Firenze, Organizzazioni speciali, 1989 e E.P. Torrance,M. Murdock, e D. Fletcher, Creative problem solving through role playing,  Pretoria, Benedic

Books, 1996.26 Più avanti presenteremo una bibliograa di studi critici intorno all’ambito generale dellapsicometria; qui ci accontentiamo di segnalare un recente studio mirato alla valutazione dellavalidità del test di Torrance: L.S. Almeida, L. Prieto Prieto, M. Ferrando, E. Oliveira e C. Fer-rándiz, Torrance Test o Creative Thinking: the questiono o its construct validity, in «ThinkingSkills and Creativity», 3, 2008, pp. 53-58.

27 La prima proposta del concetto di «pensiero divergente» è dei lavori giovanili di Guil-ord, in opposizione al «pensiero convergente». Torneremo, tra poco, sulla ortuna e sull’im-portanza di questa intuizione.

28 Ci rieriamo alla popolare «ghigliottina» della trasmissione RAI L’eredità.29 Cr. S.A. Mednick, The associative basis o the creative process, cit. e S.A. Mednick, M.T.

Mednick, Examiner’s manual. Remote Associates Test , Boston, Houghton Mifin, 1967.

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creatività30. Si tratta di un lavoro che si allontana di molto dall’otticacognitivista in senso stretto, per abbracciare un posizione decisamentepiù sociologica e, in particolare, socio-costruttivista. La prospettiva

attribuzionale, inatti, prescinde proprio dalla convinzione basilare diogni psicologo cognitivista che può essere riassunta nel motto «cre-ativity depends on how people think»31. Per Kaso la creatività nondipende aatto dal modo in cui una persona pensa, ma, al contrario,dipende da ragioni «situazionali»: cioè da infuenze esterne alla mentedel soggetto che crea.

Per questa via, pone molta enasi sugli aspetti cooperativi dellaproduzione, ma anche del riconoscimento del prodotto artistico: in-

sieme, spesso, si realizzano i grandi movimenti creativi, e insieme lisi riconoscono. Il tutto all’interno di una vera e propria «comunitàinterpretativa»32, o, meglio ancora, di una «comunità creativa».

Kaso pone poi attenzione, correttamente, agli aspetti in variomodo stereotipici della creatività: impone cioè uno sguardo critico sul«tipo creativo» e sulle sue caratteristiche, denendo un bias, cioè unaalsa credenza molto tenace, l’autosucienza del soggetto nell’attocognitivo di creazione e la sua caratterizzazione particolare. Ovverosiamette in dubbio la contrapposizione tra tratti tipici dell’individuo cre-

ativo e tratti tipici dell’individuo non creativo, sulla quale, oltretutto,si onda una certa parte della ricerca psicometrica33.

Si deve riconoscere un valore di sintesi davvero importante, perla letteratura anglosassone ma non solo, alle due raccolte di studi,pure manualistici, di Mark Runco e di Robert Sternberg34. Nono-stante manchi ancora, in alcuni casi, un approccio contrastivo diverica degli studi presentati, questi due lavori, piuttosto esaustivi,danno misura della grandissima (anche se in ondo piuttosto recente)

mole di ricerche sulla creatività in campo psicologico sperimentale,e orniscono, non di meno, un chiaro quadro sulle tecniche di spe-rimentazione, oltre che sui risultati raggiunti.

Un posto importante nella letteratura classica sulla creatività, comeabbiamo anticipato, lo ha avuto sicuramente Guilord con la sua

30 Cr. J. Kaso, Explaining creativity: the attributional prospective, in «Creativity ResearchJournal», 8, 1995, n. 4, pp. 311-366.

31

Cr. la prima pagina dell’introduzione di Smith, Ward e Finke in The creative cognitionapproach, cit., p. 1.32 Per la categoria di «comunità interpretativa» cr. soprattutto l’opera di S. Fish, Is there a

text in this class?, 1980, trad. it. C’è un testo in questa classe, Torino, Einaudi, 1981.33 Cr., per esempio, G.J.W. Smith e E. Fäldt, Sel-description or projection: comparison o 

two methods to estimate creativity, in «Creativity Research Journal», 12, 1999, n. 4, pp. 297-301e J.C. Houtz, E. Selby, G.B. Esquivel, R.A. Okoye e K.M. Peters, Creativity styles and personal type, in «Creativity Research Journal», 15, 2003, n. 4, pp. 321-330.

34 Cr. M.A. Runco, The creativity research handbook (Vol. 1),  Cresskill, NJ, Hampton, 1997e R.J. Sternberg Handbook o creativity, Cambridge, Cambridge University Press, 1999. Cr.anche il sintetico M.D. Mumord, Where have we been, where are we going? Taking stock increativity research,  in «Creativity Research Journal», 15, 2003, n. 2/3, pp. 107-120.

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doppia, celeberrima, categorizzazione: pensiero convergente e pensierodivergente. Il primo conduce, convergendo, verso una sola possibilesoluzione. Il secondo conduce, divergendo, a diverse possibili solu-

zioni. Guilord, si è detto, propone uno studio piuttosto orientatoagli aspetti psicometrici, ma la sua lezione sulle caratteristiche delpensiero creativo come pensiero divergente è stata così econda daavere acquisito un posto di grande rilievo anche negli studi cognitiviscientici di carattere epistemologico. Un recente articolo di MichaelMumord35 ne ricorda analiticamente l’importanza sottolineando comeanche aspetti considerarti non primari del programma di ricerca diGuilord siano stati invece ripresi e siano ancora oggi, a distanza di

cinquant’anni, di grande interesse. Nonostante i limiti che la sua im-postazione comportamentista gli imponeva. Occorre tuttavia ricordareche tra le proposte di Guilord, in Italia soprattutto, sono le caratte-rizzazioni psicometriche del pensiero divergente quelle più ortunatenella psicologia e, orse ancora di più, nella pedagogia della creati-vità. Le cinque caratteristiche del pensiero divergente sono, com’ènoto, le seguenti. La fuidità delle idee, innanzitutto, che riguarda gliaspetti quantitativi della produzione delle idee. La fessibilità, poi, cheè la capacità di produrre idee su di un certo oggetto, sorzandosi di

uscire dai contesti più usuali. Inoltre, l’elaborazione, che è la capacitàdi strutturazione delle idee, e la capacità di ridenizione, che consistenel saper are proposte di ottimizzazione intorno a un oggetto noto.E inne l’originalità che consiste nella capacità di produrre idee ilpiù possibile lontane dall’ovvio.

Da più parti è stata dimostrata l’insucienza, e orse anche lanon validità di questi parametri per misurare la creatività36. Tuttavia,resta l’interesse per uno strumento per lo meno indicativo, anche se

certamente non adabile dal punto di vista della misurazione37. Delresto, se la psicometria della creatività è uno strumento né semprerigoroso né sempre malatto, è vero che il valore anche dei lavorimigliori è sempre più che altro suggestivo, come dimostrano ormaimolti contributi38.

35 Cr. M.D. Mumord, Something old, something new: revisiting Guilord’s conception o creative problem solving, in «Creativity Research Journal», 13, 2001, n. 3, pp. 267-276.

36

Cr. per esempio H.G. Gough, The assessment piece o the creativity pie,  in «Psycholo-gical Inquiry», 4, 1993, n. 3, pp. 196-200. Questo articolo riporta un’interessante bibliograasull’insucienza dei test psicometrici in genere, nella misurazione della creatività.

37 «Forse la domanda – la creatività può essere misurata? – è inappropriata. Possiamo chie-derci più utilmente, la creatività dovrebbe essere misurata?» (Introduzione a Creative people at work. Twelve cognitive case studies, a cura di D.B. Fallace, H.E. Gruber, cit., p. 5). 

38 Cr. G.J.W. Smith e E. Fäldt, Sel-description or projection: comparison o two methods toestimate creativity, cit., Houtz et al., Creativity styles and personal type, cit., G.A. Davis, Cre-ativity is orever , Dubuque, IA, Kendell-Hunt, 1998. Sono poi lavori certamente interessanti iseguenti: H.J. Eysenck, Creativity and personality, in The creativity research handbook, volume 1,cit., pp. 41-66; T.Z. Tardi e R.S. Sternberg, What do we know about creativity?, in The natureo creativity, a cura di R.J. Sternberg, New York, Cambridge University Press, 1998, pp. 429-

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Bisogna poi ricordare ancora almeno i classici lavori di Wallach,di Osborn, e di Kris e, in Italia, quelli di Arieti, di D’Alessio eMannetti, di Melucci39; e la manualistica, pur di matrice accademica,

come quella ortunata di Goleman, Ray e Kauman o quella classicadi Young40.Tuttavia, quasi sempre, e soprattutto in questi ultimi due modi di

lavorare sulla creatività, sussistono degli elementi che non vorremmotrattare: 1) psicometrie troppo poco oggettive, 2) cire di visionarietà,3) talvolta simbologie più o meno consapevolmente magiche. 4) Op-pure, viceversa, classicazioni più che rigide e tassonomie dei «passidella creatività».

Non trattiamo qui di questi aspetti perché essi riguardano, in-dipendentemente dalla didenza che essi possono ispirare, non ilmotore cognitivo, ma la trascrizione per via impressionistica di uncomplicato, e in parte misterioso, meccanismo sinaptico di produ-zione di conoscenza.

In direzione dei motori cognitivi muove invece la ricerca rigorosa-mente cognitivista di Philip Johnson-Laird41, il quale ha certamentepiù di un merito, per lo studio della creatività. Primo tra tutti, iltentativo di riportare a un quadro teorico unitario e coerente le que-

stioni della creatività, della comprensione e della coscienza. Questoquadro teorico è il concetto di modello mentale, in stretta relazionecon i concetti di immagine mentale e di rappresentazione proposizio-nale. Il modello mentale è un sistema strutturato di inormazioni cheogni soggetto possiede e che corrisponde al sistema delle cose nelmondo. Ovviamente tale corrispondenza è allibile, e spesso costruitaattraverso approssimazioni di conoscenza. Tuttavia, sostiene Johnson-Laird, è solo in base a modelli mentali che riusciamo a comprendere

le cose; ed è solo attraverso il lavoro su di essi, e a partire da essi,che è possibile produrre idee nuove, e quindi essere creativi.

440; J.F. Feldhusen, Creativity: a knowledge base, metacognitive skills, and personality actors ,in «Journal o Creative Behavior», 29, 1995, pp. 255-268; H.G. Gough, A creative personalityscale or the adjective checklist , in «Journal o Personality and Social Psychology», 37, 1979,pp. 1398-1405; J. Khatena e E.P. Torrance, Khatena-Torrance Creative Perception Inventory,Chicago, Stoelting Company, 1976.

39

M.A. Wallach, Creativity and learning, Boston, Keagan Bearon Press, 1967. A.F. Osborn,L’imagination constructive,  Paris, Dunod, 1976. E. Kris, Psychoanalytic explorations in art , 1953,Ricerche psicanalitiche sull’arte,  Torino, Einaudi, 1988. S. Arieti, Creatività. La sintesi magica,Roma, Il Pensiero scientico, 1990. M. D’Alessio e L. Mannetti, Sul pensiero creativo, Roma,Bulzoni, 1976. Creatività: miti, discorsi, processi , a cura di A. Melucci, Milano, Feltrinelli,1994.

40 D. Goleman, M. Ray e P. Kauman, The Creative Spirit , 1992, Lo spirito creativo, Milano,Rizzoli, 1999. J.W. Young, Tecnique or producine ideas, 1978, trad. it. Tecnica per produrre idée,Milano, Lupetti & co., 1989.

41 Ph. Johnson-Laird, Human and machine thinking, 1993, trad. it. Deduzione induzionecreatività. Pensiero umano e pensiero meccanico, Bologna, Il Mulino, 1994. Id., Mental models,1983, trad. it. I modelli mentali , Bologna, Il Mulino, 1983.

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In conclusione, acendo solo apparentemente un passo indietrorispetto alle teorie cognitiviste, occorre ricordare la teoria della crea-tività proposta dagli psicologi della gestalt . Il passo indietro è, come

si è detto, solo apparente, perché la questione della «risoluzione diproblemi», intorno alla quale verte una etta importante delle teoriecognitiviste, è in nuce già presente nella psicologia della gestalt . Tantoche, per ciò che concerne la creatività soprattutto, il parlare di con-gurazione e ricongurazione di strutture mentali, in ambito cognitivi-sta, rimanda quasi obbligatoriamente alle intuizioni dei gestaltisti.

Come si è già ricordato in più di un caso, l’intera questionedell’atto creativo ruota, per gli psicologi della gestalt , intorno all’in-

sight , l’intuizione che permette a un soggetto di esercitare una ormadi pensiero creativo, o, secondo la loro terminologia, un «pensieroproduttivo». Contrariamente al pensiero della prospettiva comporta-mentista che è sempre «cieco», perché non vede mai il problema, masi limita a are tentativi di risoluzione in una logica stimolo-risposta,il pensiero produttivo è in grado di produrre nuove congurazionidi percezione della realtà, e quindi anche di ornire nuove soluzioniai problemi. L’esempio arcinoto, sul quale non occorre certo di-lungarsi, è quello della scimmia antropoide di Wolgang Köhler, la

quale, di ronte a una situazione di necessità, produce un utensileecace per raggiungere il cibo, a partire da due utensili separati enon ecaci. Due utensili inutili, dunque; poi l’insight  produttivo invista di un obiettivo, e quindi la nuova congurazione con un soloutensile utile.

Anche Max Wertheimer42, parallelamente, occupandosi però dicognizione umana, considerava la creatività come un percorso dicongurazioni e ricongurazioni di strutture. Ricongurazioni che

avvengono sempre grazie a una sorta di illuminazione. La cosaimportante, qui, è notare la relazione tra questa illuminazione e ilpensiero produttivo, cioè quell’insieme di attrezzature manipolativedell’inormazione che noi sistematizzeremo qui in un numero denitodi «manovre cognitive»: l’insight  deve essere considerato il risultatodell’esercizio del pensiero produttivo, non il motore che innesca talepensiero. In altre parole, l’illuminazione è il risultato di un lavorocognitivo. Va ricordato, in proposito, che la manualistica contem-

poranea, nel tentativo di metodologizzare l’intuizione, riporta conuna certa insistenza una specie di geograa dell’insight , che vieneriassunto nel motto Bus, Bath, Bed . Come a dire che la creativitàincubata mostra i suoi prodotti più requentemente in momenti incui la mente non è impegnata in altri compiti cognitivamente aticosi,e può operare quindi, in modo «inraconscio», sul fuido in orma

42 M. Wertheimer, Productive thinking, 1945, trad. it. Il pensiero produttivo, Firenze, Giunti,1997.

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magmatica delle idee. Quali tempi migliori, per tutto ciò, di quellitrascorsi sui mezzi di trasporto (Bus), o di quelli dedicati alla curadel proprio corpo (Bath), oppure, ancora, di quello stato tra veglia e

sonno che sembra essere così econdo per la risoluzione di problemi(Bed )43?Anche questa classica prospettiva, per molte ragioni, è stata supe-

rata dagli studi più recenti di matrice cognitivista. Esistono però dueragioni per cui la generalizzazione che proponiamo in queste pagineè debitrice delle intuizioni della psicologia della gestalt . Innanzitutto,la creatività è vista, in generale, all’interno di un modello per suggirealla «ssità unzionale» (la denizione classica che gli psicologi che

si occupano di creatività danno al modo routinario e autocostrittivodi arontare i problemi44) che paralizza la creatività.In altre parole, l’atto creativo è visto in relazione a un sistema di

regole più o meno esplicite e più o meno consapevoli della percezio-ne e della produzione di idee. L’atto creativo, che spesso è ostacolatoda queste regole, le rompe e le modica (le ricongura), producendonovità. Beninteso: quello che interessa è soprattutto il tentativo diproporre un modello esplicito di trasormazione della conoscenza,più che la teoria dell’intuizione che sblocca la ssità e produce la

soluzione nuova.La seconda ragione di interesse, a ben vedere strettamente legata

alla prima, è l’orientamento delle acoltà cognitive alla risoluzionedi un problema come condizione della sua risolubilità. La volontà;o, orse, come diremo meglio nell’ultimo paragrao, l’intenzionalitàcreativa. 

3. Creatività e manovre cognitive

Nei precedenti paragra abbiamo parlato di everyday creativity eabbiamo osservato da vicino un numero signicativo di teorie dellacreatività; possiamo ora passare in rassegna l’elenco con cui ci pro-poniamo di denire le manovre cognitive.

La sistemazione che proponiamo non ha un valore denitorio emuove – come ci sembra opportuno e inevitabile – dalla letteratura

esistente. Solo che, al contrario di altri tentativi analoghi di cui ab-biamo discusso sopra, nel nostro caso non abbiamo semplicemente

43 Su questo cr. P. Dart, Bus-Bath-Bed: A Rationale or Irrational Predicate Identications inthe Service o Creativity, Paper presented at the Annual Meeting o the Speech CommunicationAssociation (75th, San Francisco, CA, November 18-21, 1989). In Italia ne parla Paolo Legrenziin Creatività e innovazione, Bologna, Il Mulino, 2005.

44 Cr. un testo importante della psicologia della creatività di matrice gestaltista: K. Duncker,Zur Psychologie des Produktiven Denkens, s.d., trad. it. La psicologia del pensiero produttivo,Firenze, Giunti Barbera, 1969.

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processo di manipolazione quantitativo. Diventa invece un processoqualitativo quando la generalizzazione è un’astrazione (dall’acqua delrubinetto all’acqua tout court ). Tutto questo rappresenta, in ogni caso,

un pensiero generalizzante.In apparenza sembra non esserci nulla di particolarmente creativo,in ciò che abbiamo appena descritto. Eppure questo processo è ilcardinale in un numero sterminato di produzioni creative: dall’arteconcettuale, alla saggistica, alla scoperta scientica.

A certe condizioni, generalizzare, dalla scrittura di un testo sco-lastico alla proposta di una campagna pubblicitaria, è dunque unmodo della creatività. Può parere azzardato porre in continuità due

piani distinti come un testo scolastico e una campagna pubblicita-ria. Tuttavia, come si è già accennato, il recente interesse, anche incampo teorico, per la everyday creativity (la creatività quotidiana)dovrebbe suggerire la plausibilità dell’accostamento. «In un certosenso, la creatività può essere identicata come una proprietà di tuttoil linguaggio»46, no a ipotizzare che, ontogeneticamente e logeneti-camente, la prima unzione del linguaggio sia la creazione di mondoimmaginari attraverso l’esercizio della creatività stessa.

Prendiamo ora un esempio di idea complessa (e tutt’altro che

banale) che ci scorti a mo’ di esemplicazione lungo l’esposizione ditutte le manovre che proponiamo. L’idea in questione, che dovrebbeessere ricordata meglio e più spesso, è espressa dal terzo articolodella costituzione italiana:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senzadistinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condi-zioni personali e sociali.

Seguendo un processo di generalizzazione potremmo pensare chenon occorre essere cittadini italiani per riconoscersi in questa deni-zione. E che essere uguali davanti alla legge è una conseguenza delatto, più generale, che ognuno di noi è un essere umano.

[I] Gli esseri umani hanno pari dignità sociale e sono eguali, senza distinzione disesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personalie sociali.

Si tratta solo di un esempio molto modesto. Ma [I] è già unamanipolazione dell’enunciato attraverso una generalizzazione, benchénon ci sia stata una vera rielaborazione, almeno dal punto di vistasintattico.

46 J. Swann e J. Mayben, Introduction: language creativity in everyday contexts, in «AppliedLinguistics», 28, 2007, n. 4, p. 491.

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L’interesse di [I] risiede proprio nella sua semplicità, che mostracome una manipolazione linguistica anche minima sia già sucienteper osservare, anche se in modo piuttosto «elementare», l’allarga-

mento e la generalizzazione dell’inormazione. In un esercizio dicreatività che in sé non ha evidentemente molto a che are con launiqueness dei creativi di proessione, ma che certamente sottendea ogni tipo di creatività, anche a quella proessionale. I più amositest psicometrici per misurare la creatività, del resto, osservano lacapacità di generalizzazione applicata agli oggetti e alle loro unzio-ni. Molto semplicemente, lo ricordiamo, si chiede agli intervistati disuggerire quanti più possibili usi riescono a immaginare per un dato

oggetto (come un mattone o una bicicletta). Così acendo si richiedeai soggetti, in altre parole, di ampliare l’estensione del mattone odella bicicletta, generalizzando la loro natura a un insieme semprepiù ampio di unzioni.

2. La seconda manovra che rappresenta un denominatore comunedi diversi modelli teorici ed empirici dell’atto creativo, e che è specu-lare alla generalizzazione, è la specializzazione di un’idea complessa aun campo più ristretto. Si tratta, questa volta, di un «restringimento»

dell’idea dalla quale si parte. Supponiamo, per dare conto del tipo diprocesso mentale, di trovarci a un convegno sulla siccità e sulla setenel mondo e di pensare al rubinetto dell’acqua lasciato inutilmenteaperto assai a lungo, per lavarci i denti la mattina stessa, nel bagnodi casa; ecco un pensiero specializzante. Anche in questo caso, inapparenza niente di creativo. Invece, un processo di specializzazionecome questo potrebbe essere il meccanismo cognitivo che dà vita,per esempio, a un ottimo stratagemma pubblicitario per sensibilizzare

i cittadini contro gli sprechi. La specializzazione ha inatti la carat-teristica di creare un panorama di emotività più orte, all’oppostodella generalizzazione che, per sua natura, descrive la realtà semprein modo meno emotivo rispetto all’idea di partenza. È sucienteleggere, a conronto, un manuale di medicina e la descrizione trucu-lenta di una pagina di un romanzo splatter, per osservare la distanzaemotiva che esiste tra i due piani.

Anche in questo caso, il processo di specializzazione può avvenire

a un livello quantitativo oppure a un livello qualitativo, a secondache restringa il campo di osservazione del enomeno, oppure producaun passaggio da un concetto alla descrizione di un enomeno.

Ma torniamo al nostro Articolo e proviamo una specializzazio-ne, per quanto banale. Potremmo pensare che anche due personeparticolari, molto diverse tra loro per sesso, storia culturale, lingua,religione e opinioni politiche sono uguali davanti alla legge:

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[II] Ali Mouhammed e Alessandra Mussolini hanno pari dignità sociale e sonoeguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 

Ed ecco dunque che l’idea più generale di «cittadino» diventaun’idea particolare di due singoli cittadini. Ampliando così notevol-mente lo spettro emotivo dell’inormazione, come si diceva, e co-struendo un’immagine più nitida e più acilmente percepibile di ciòche intendiamo comunicare. L’idea «tutti i cittadini» è di straordina-ria complessità, perché al suo interno dimorano le idee, a loro voltaestremamente complesse, dei singoli individui, tra cui Ali e Alessan-dra. Per questo motivo «tutti i cittadini» non può avere lo stesso a-

cile processo di decodicazione da parte del lettore che hanno invecei due nomi che abbiamo scelto. Ali e Alessandra sono portatori di unsenso che li pone immediatamente in opposizione, almeno in Italia, eche suggerisce molto meglio, anche sul piano emotivo, l’importanzadi questa uguaglianza stabilita dall’Articolo: Ali Mouhammed ci parladi un paese straniero e mediorientale; Alessandra Mussolini ci parladi un partito di Destra. Il primo è un uomo, il secondo è una donna,il primo probabilmente non sarà cristiano, la seconda sì… e così via.

Due soggetti dunque che si dierenziano per tutto, ma che per laLegge italiana sono uguali. Due soggetti che ci sembra di conosceremolto meglio di quanto ci sembra di conoscere «tutti i cittadini».

3. Da qui in poi, per non appesantire troppo nostra esposizioneche, in questa sede, non può che essere piuttosto rapida, ci muove-remo in modo più spedito. La terza manovra cognitiva che ci sem-bra di potere ricavare a partire dalla lettura critica della letteraturaesistente è l’inclusione di un’idea complessa all’interno di un insiemepiù ampio di idee. Chiamiamo questa manovra complessicazione.Essa risponde alla domanda: «che cosa c’è intorno all’idea?». E vede-re che cosa c’è intorno a un’idea complessa signica spesso impararea parlare meglio o più chiaramente dell’idea stessa.

La complessicazione è il meccanismo attraverso il quale possia-mo iniziare a vedere, a raccontare, a descrivere, a partire dal lato,dal margine, cioè da un elemento del contesto in cui si trova l’ideacomplessa. Detto altrimenti, spesso la creatività si esercita intorno a

un’idea complessa sorzandosi di osservarla da un altro punto deldiscorso. E così, per esempio, che si può parlare utilmente di acquainiziando a parlare di terra, di un ume a partire dalla vegetazione,di una onte a partire dalle rocce, e così via.

Tornando alla rielaborazione del nostro Articolo, potremmopensare che l’uguaglianza sociale si esercita in conseguenza di certiaspetti della propria vita. E così, a partire da [II] potremmo arrivarea [III]:

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[III] Ali Mouhammed è arrivato dall’Egitto 19 anni a. «Giuro di essere edelealla Repubblica – recita la ormula del giuramento – e di osservare la Costituzionee le leggi dello Stato». Dopo il rito uciale il vice sindaco ha consegnato la Co-stituzione italiana e il tricolore, oltre a un volume sulla storia di Vigevano. Ora è

nalmente nella situazione di tutti i cittadini italiani, che hanno pari dignità socialee sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, direligione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Anche questo esempio deve essere letto, più che come un veroe proprio esercizio creativo, come il tentativo di illustrare in modosintetico una trasormazione del discorso, nell’area di creatività cheabbiamo denito everyday creativity.

4. La quarta manovra, che può essere denita condensazione diun’idea complessa, si presenta in due accezioni (in molti casi com-presenti): un processo di sintesi locale (condensazione semantica); op-pure un processo di sintesi generale (condensazione sintattica). Se lanostra idea complessa di partenza è sempre l’acqua, e consideriamosempre la nostra ipotetica campagna pubblicitaria contro gli sprechi,possiamo pensare a uno spot che usi la sola parola «sete» come testoverbale – orendo evidentemente un esempio estremo di sintesi.

Nella scrittura letteraria, la orma breve (come l’epigramma oil rammento lirico) o lo stile breve (come la paratassi e la sintassiranta di romanzi anche molto lunghi) sono ottimi esempi di conden-sazione rispettivamente sintattica e semantica. La poesia è ovviamenteuno degli spazi privilegiati della condensazione.

Procediamo con un esempio di condensazione sia semantica chesintattica sul nostro solito Articolo di legge. La prima è esercitatasull’elenco (sesso, razza ecc.); la seconda è esercitata invece attraverso

un costrutto nominale (in Italia tutti uguali):[IV] In Italia tutti uguali davanti alla legge, indipendentemente da come si è e

da quello in cui si crede.

Solo molto rapidamente osserviamo che, da un punto di vistaesplicitamente rielaborativo sulla lingua, la condensazione è lo stru-mento principale della sintesi, sia dal punto di vista sintattico che daquello semantico.

5. La quinta manovra consiste nella trasormazione di un’ideacomplessa in base a un criterio interno o esterno ad essa, e si puòdenire rimodellizzazione. Dal momento che rimodellare può signi-care molte cose, in questa quinta manovra si possono distinguerealmeno tre varianti, a seconda che alcuni dei suoi elementi venganoricongurati, oppure contaminati o trattati in parallelo a elementi diun’altra idea complessa.

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5.a. Nel primo caso, quello della ricongurazione, gli elementicambiano di congurazione spaziale e quindi modicano le relazio-ni di reciprocità. Gli studi narratologici e gran parte dell’estetica

combinatoria dello strutturalismo rancese e italiano sono prodottiesemplari di questo modo della creatività. Seguiamo sempre l’esempiodel nostro Articolo. Manipolare, in questo caso, signica per esem-pio ricomporre il testo in questa semplice ricongurazione sintattica,come sempre più esplicativa che suggestiva:

[V] Senza distinzione di condizioni personali e sociali, di opinioni politiche, direligione, di lingua, di razza, di sesso, davanti alla legge sono eguali e hanno paridignità sociale tutti i cittadini.

D’altro canto, la ricongurazione rappresenta l’ambito d’elezionedella sintassi e quindi della variabilità della signicazione a partireda elementi signicanti. Basta pensare al linguaggio cinematograco,dove un buon montaggio – per quello che concerne più gli aspettinarrativi che quelli tecnici – è spesso il risultato di intuizioni crea-tive sulla congurazione e quindi sulla relazione tra le riprese e trale sequenze.

5.b. Nel caso della contaminazione, gli elementi subiscono imple-mentazioni e/o riduzioni e/o modicazioni da parte di qualche ideacomplessa esterna. Si tratta insomma di prendere due sistemi e mi-schiarli parzialmente. È uno dei modi più ricorrenti della teoria e del-la creatività e ha un numero enorme di realizzazioni e di declinazionitanto nella manualistica quanto nella psicologia sperimentale. La con-taminazione è inatti il luogo dell’incontro di idee, ma anche di siste-mi mentali o narrativi. Nel caso dei sistemi mentali, che cosa succedequando mettiamo un ingegnere a scrivere un romanzo, o un laureatoin lettere a esprimere un’opinione su una ranata questione scien-tica? Nel caso dei sistemi narrativi, che succede quando un abilegruppo di editor trasorma in una lunga sceneggiatura o in un lungoromanzo un breve racconto di uno scaltro autore di successo, srut-tando vari incastri di storie e aprendo così delle «bolle» narrative?

Restando, più modestamente, sul nostro esempio, possiamo con-taminare il terzo articolo della Costituzione italiana con il quarto,

ottenendo il risultato seguente:

[VI] La Repubblica riconosce a tutti i cittadini – i quali sono eguali davanti allalegge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politi-che, di condizioni personali e sociali – il diritto al lavoro e promuove le condizioniche rendano eettivo questo diritto.

5.c. Nel terzo caso, che può essere denito parallelismo, gli ele-menti cambiano tutti di natura, seguendo un algoritmo proporzionale

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rispetto a un’altra idea complessa. È quello che succede quando sidecide di raccontare una cosa dicendone un’altra, come in un’allego-ria, una parabola, una storia Zen, o una avola. È il caso seguente:

[VII] Tutti le api dell’alveare avevano pari dignità ed erano eguali davanti allalegge dell’alveare, senza distinzione di sesso, di razza, di amiglia, di dimensioni odi opinioni...

6. Rappresenta certamente un denominatore comune di variesistematizzazioni del processo creativo anche la metaora di un’ideacomplessa. In questo caso, dell’idea complessa cambiano di naturasolo alcuni elementi, in relazione a un’altra idea complessa. Non è

il caso di 5.c perché nella metaora non c’è alcun parallelo tra unintero sistema di inormazioni e un altro. Vi è solo inrazione alsistema di partenza. Non è il caso 5.b perché in quel caso, nellacontaminazione, non si dà un’esplicita rottura di coerenza come av-viene invece nelle manovre di tipo metaorico. Riprendendo l’esempioprecedentemente atto per la contaminazione: se un editor consegnaun’espansione di un racconto incoerente con il resto del racconto,viene giustamente licenziato. E, riprendendo l’esempio del paralle-

lismo, una allegoria che inrange l’ordine di coerenza per il quale aogni inormazione di un sistema deve corrispondere un legame biu-nivoco con un’inormazione di un altro sistema, non è un’allegoria:e così «tutte le api hanno pari dignità sociale e sono eguali davantialla legge, senza distinzione di sesso…» non può denirsi certamenteun parallelismo rispetto al nostro Articolo. Perché non c’è continuitàe coerenza nella descrizione del mondo delle api (si parla del con-cetto prettamente umano di «dignità sociale»), il quale viene invecemischiato con il mondo degli esseri umani. Ci troviamo dunque dironte a un costrutto metaorico più che allegorico.

Un bell’esempio di manipolazione per metaora, per come la in-tendiamo in queste pagine, è la amosa Gioconda con i ba (1919) diMarcel Duchamp. In essa è proprio la rottura di coerenza a diventareil meccanismo creativo – e anche l’oggetto artistico.

Riprendendo per l’ultima volta il nostro testo dell’articolo dellacostituzione italiana, e tornando quindi alla nostra everyday creativi-ty,  possiamo are i due seguenti esempi che danno misura delle due

accezioni di metaoricità. Il primo è strettamente linguistico, e l’in-razione di coerenza testuale è quasi inavvertibile: almeno nel modoin cui è inavvertibile una metaora di semplice decodicazione. Ilsecondo è un’inrazione vera e propria:

[VIIIa] Tutti i cittadini sono sullo stesso piano davanti alla legge, senza distin-zione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizionipersonali e sociali.

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[VIIIb] Tutti i cittadini hanno pari interesse verso il denaro e il potere e vorreb-bero essere avvantaggiati davanti alla legge!

Il primo caso, [VIIIa], è metaorico, nel senso che possiamoosservare un elemento linguistico che a rierimento alla spazialità(«sullo stesso piano») e che inrange l’ordine di coerenza inormativodell’Articolo, lasciando tuttavia inalterato il signicato del messaggio.Il secondo esempio modica radicalmente il signicato del messaggiodell’Articolo, pur tenendolo come sondo inormativo.

Terminata la sintetica esposizione delle manovre cognitive, occorreare alcune osservazioni. Prima di tutto bisogna inquadrare precisa-

mente l’ambito disciplinare di un modello come questo, che non hapretese di validità epistemologica generale. Non è cioè un modellopsicologico, ma un modello didattico. Detto in termini ancora piùdiretti, non risponde una volta per tutte alla domanda «che cos’è lacreatività?». Risponde invece alla domanda «come possiamo esercitarela creatività?».

È vero che la prima domanda dà ondamento alla seconda. Cioè,è vero che sono i modelli psicologici che sottostanno alle teoria delle

manovre cognitive a conerire orza all’ipotesi teorica. Però la dimen-sione didattica impone un capovolgimento di prospettiva. Il nostromodello delle manovre cognitive non è l’emergenza a consapevolezzadi un modo del pensiero, ma uno strumento per rendere consapevolel’atto creativo. Non diciamo che le cose vanno sempre in un certomodo (la produzione di un atto creativo) a causa di alcuni modi delpensiero (le manovre cognitive), ma diciamo che, lavorando su alcuniassi (le manovre cognitive), le cose andranno in quel modo.

Questo è tutto ciò che possiamo aermare con sicurezza in questasede, sebbene l’idea di «manovra» in relazione alla creatività abbiacertamente validità epistemologica, come molta della letteraturasull’argomento sembra suggerire.

La prima e più orte obiezione che potrebbe essere avanzata alnostro modello suona seccamente così: «perché queste manovre enon altre?».

Sarebbe complicato produrre una dimostrazione inconutabile dellabontà di questa sistematizzazione. Tale dimostrazione potrebbe esserecondotta riportando tutti gli altri possibili movimenti del pensieroa queste sole categorie. Ma del resto «dimostrare» che le manovrecognitive sono solo queste sei signicherebbe semplicemente mettersiin attesa che qualcuno dimostri che ce ne sono altre, oppure che lemanovre non sono queste. Non è aatto impossibile che ciò accada.Siamo anzi convinti che sarebbe solo questione di tempo.

Allora, orse, è meglio ribadire che se il concetto di manovra co-gnitiva non è operativo, ma epistemologico, le sei manovre proposte,

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per quanto ci paiano una buona sintesi di ciò che si a «a partireda», sono invece solo uno strumento operativo. Soprattutto uno stru-mento per proporre un’educazione esplicita alla creatività dall’altro,

con particolare rierimento alla manipolazione linguistica. Ricordiamotuttavia l’utilità anche teorica di operazioni di sintesi e di propostasistematica come questo o come quello di Welling o come quello diRoss47, che sono costruiti a partire dalla letteratura e dalla rifessionisull’argomento.

 Occorre ora ritornare sulla parzialità dell’atto creativo così com’è

descritto in apparenza dalle manovre cognitive: cioè come sembra

essere descritto, al di là della classicazione, dal concetto stesso dimanovra cognitiva.Esistono inniti esempi di situazioni in cui creare non è manipo-

lare consapevolmente cose date. Uno per tutti: un semplice esercizioscolastico di cosiddetta «creatività orte» – come l’espansione o laconclusione di un racconto – per il atto stesso di impiegare inorma-zioni non prevedibili se non a grandi linee, richiede di are qualcosadi più che comporre.

Ci pare che su questo tutti possano essere d’accordo. E persino

un esercizio di creatività apparentemente limitata come la provascritta di lingua madre dell’esame di maturità italiano (la stesura diun testo a partire da un dossier di documenti) ha delle caratteristichedi inconsapevolezza e di creatività liberata da ogni monitoraggio suiprocessi. Cioè: in ogni esercizio creativo c’è una componente di repe-rimento delle inormazioni nuove, oltre che di combinazione e mani-polazione tra le inormazioni stesse. E a chi «crea» spetta il compitodi ripescare e selezionare nel proprio repertorio di conoscenze, in

base a un certo numero di operazioni creative, le inormazioni con lequali realizzerà il suo prodotto. Prima, durante e dopo la produzione(di scrittura, pittura, indagine scientica ecc.).

Il ripescaggio stesso di alcune inormazioni (conoscenze) dalla pro-pria memoria avviene in base a meccanismi cognitivi estremamentecomplicati, e che hanno un ruolo importante nel processo creativo;esattamente come la manipolazione di tali inormazioni. Questa ase,che pure non è certo manipolazione consapevole, è creatività a tutti

gli eetti.Eppure, ammessa questa parzialità, rispondiamo volentieri all’obie-zione di chi ci consiglia di occuparci anche di questo ripescaggioinconsapevole. E lo acciamo suggerendo che, quasi sempre, i mec-canismi di «generazione delle idee» (cioè il ripescaggio, o pre-writing

47 Cr. H. Welling, Four Mental Operations in Creative Cognition: The Importance o Ab-straction, cit. e V.E. Ross, A model o inventive ideation, cit.

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in accezione limitata, o l’inventio in accezione allargata) sono la stessacosa delle manovre di manipolazione delle idee stesse.

Richiamare un’idea signica, inatti, in un gran numero di casi,

richiamarla attraverso una specializzazione, una generalizzazioneecc.: tutte manovre cognitive che agiscono a partire da inormazioni,dunque. Il ripescaggio, in altre parole, avviene attraverso le manovrecognitive; ma per lo più in maniera inconsapevole.

Per essere ancora più chiari, è con ogni evidenza inaccettabile ilcriterio composizionale come unico modo della creatività: esiste in-atti anche qualcosa come «arsi venire delle idee». Ma «arsi veniredelle idee» richiede manovre cognitive in tutto simili a quelle della

composizione delle idee. Manipolazioni, insomma.Le manovre cognitive non sono dunque, esclusivamente, dei criteridi manipolazione delle idee; piuttosto sono le vie attraverso le qualisi esercita la creatività, sia sul piano dell’inventio, sia su quello delladispositio, per usare la terminologia classica.

Ciò che dierenzia nettamente i due casi è che durante l’inventiola manipolazione è perlopiù inconscia, mentre durante la dispositiola manipolazione è perlopiù conscia.

Evidentemente, se esistono tanti manuali di creatività che di-

spensano strategie per essere creativi (e se è vero che non si trattasempre di consigli Zen di meditazione), è probabile che sia possibileanche operare in modo esplicito nella ase dell’inventio. E, altrettantoevidentemente, non c’è modo di considerare del tutto conscio il com-plesso di processi manipolativi nella ase della dispositio. Inatti, cisono sempre un gran numero di azioni e di sottoprocessi che restanosullo sondo, inconsci.

In tutti e due i casi, dunque, le manovre cognitive, intese come

mosse esplicite, sono da considerarsi, si è detto, degli strumenti peragire in modo esplicito sulla creatività e orse per allenarla. E ilconcetto di «manovra» evoca un «a partire da» che già il concettostesso di «invenire» richiama nettamente: si trova, inatti, ciò che giàesiste.

Inoltre, a una eventuale contro-obiezione che ci rimproverasse laricaduta in categorie millenarie ed elementari (inventio e dispositio,appunto), si potrebbe rispondere acilmente. Per il atto stesso di

essere comuni ai due momenti, dovrebbe essere chiaro, inatti, chele manovre orniscono una chiave analitica più sosticata della stessastrutturazione classica.

Occorre inne notare che, anche se la prospettiva che accomunainventio e dispositio è in ondo non nuova48, di solito il timore deglistudiosi cognitivisti è di trascurare l’aspetto della dispositio cioè del

48 Cr. M.A. Runco, Idea evaluation, divergent thinking and creativity, in Critical creativeprocesses, a cura di M.A. Runco, Norwood, NJ, Ablex, 2002, pp. 69-94.

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lavoro sulle idee già generate, tanto che anche Welling49 pone questoproblema.

Alla ne del secondo paragrao di questo lavoro abbiamo atto

cenno alla nozione di intenzionalità creativa, dicendo che essa ècentrale nella denizione della creatività oerta dalla gestalt  e anchenella nostra. Occorre dunque arontare ora tale questione in modopiù approondito per ormare un quadro esplicativo, anche se noncerto denitivo, del concetto di creatività.

4. La creatività ha a che vedere con l’intenzionalità

Che cos’è l’intenzionalità? E che cosa signica avere intenzione diare qualcosa? C’è dierenza tra le due parole (intenzione/intenziona-lità)? Le questioni dell’intendere, dell’avere intenzione e del «tenderea» sono dibattute, nella losoa del linguaggio (a partire da Witt-genstein e dal suo amoso problema del braccio alzato50) e in sedeepistemologica. Qui ci riacciamo senz’altro a una netta denizionedi John R. Searle (metà losoo del linguaggio e metà epistemologo):«l’Intenzionalità è quella proprietà di molti stati ed eventi mentali

tramite la quale essi sono direzionati verso, o sono relativi a oggettie stati di cose del mondo»51.

La cira dell’orientamento, dunque, denisce la categoria dell’in-tenzionalità: «l’intenzionalità è direzionalità», come dice Searle in Larazionalità dell’azione52. Perciò, l’intenzionalità verso qualche atto si-gnica orientare la propria predisposizione all’azione verso certi «og-getti e stati di cose del mondo». Signica, in altre parole, uno stato

49 Cr. H. Welling, Four Mental Operations in Creative Cognition: The Importance o Ab-straction, cit., p. 174 e M.A. Runco, The evaluative,valuative and divergent thinking o children,in «Journal o creative behaviour», 25, 1991, pp. 311-319. 

50 Cr. Philosophische Untersuchungen, 1967, trad. it.  Ricerche losoche,  Torino, Einaudi,1980,  I § 621, pp. 211-212: «quando «io sollevo il mio braccio», il mio braccio si solleva. Esorge il problema: che cosa rimane, quando dal atto che io alzo il mio braccio tolgo il attoche il mio braccio si alza?». Anche la sua allieva Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe hadedicato un importante studio all’intenzione (Intention, Oxord, Basil Blackwell, 1963). Riper-correre l’importanza storica, in campo losoco, di questo argomento, è molto dicile. Si deve

rilevare, tuttavia, la centralità dell’argomento intenzione/intenzionalità nella denizione teoreticadella specicità della coscienza umana (in campo storico-psicologico, pensando soprattutto aFranz Brentano e a Edmond Husserl) e del linguaggio umano (dove sono centrali le guredegli stessi Wittgenstein, Anscombe e Searle). Su questi temi si veda anche A. Unia, Husserl,Wittgenstein e gli atti intenzionali , Milano, Spirali, 1997. Il rimando inne è anche alla nozio-ne ondativa di G. von Wright di azione come atto intenzionale che cambia lo stato di cosenella realtà (cr. The logic o action in The logic o decision and action, a cura di N. Rescher,Pittsburgh, University o Pittsburgh Press, 1967, pp. 121-136).

51 J.R. Searle, Intentionality,  1983, trad. it. Della intenzionalità, Milano, Bompiani, 1985,p. 11.

52 J.R. Searle, Rationality in action, 2001, trad. it., La razionalità dell’azione, Milano, Raa-ello Cortina, 2003, pp. 32 ss.

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mentale di un qualche tipo (un desiderio, un’ossessione, un amore,una repulsione, una credenza ecc.) direzionato verso il mondo.

Secondo la visione di Searle, l’intenzionalità e l’intenzione non

sono la stessa cosa. La seconda è un caso particolare della prima.Avere un’intenzione di, come credere di, desiderare di ecc. sonoinatti tutti stati mentali orientati a qualche cosa, cioè stati mentalicaratterizzati da un’intenzionalità. L’intenzione, insomma, è uno deipossibili stati mentali intenzionali. Ciò detto, l’analisi di Searle sisoerma spesso sull’intenzione come caso particolare – e ben espli-cativo – dell’intenzionalità.

La nostra proposta è considerare la creatività come un atto che

può essere considerato al pari di una volizione prolungata: e quindicome uno stato mentale intenzionale complesso, con certe caratte-ristiche e certi vincoli. Questa direzione è indicata ormai da moltistudi che pongono al centro della rifessione sull’atto creativo nonl’atto stesso della produzione, ma l’intero percorso di un purposeul work. «Non si mette in discussione il atto che ci sia un’esperienzadi Eureka! nel corso di qualche – e orse di ogni – atto creativo,ma ci si interroga sulla validità di individuare l’essenza del processocreativo in un solo momento, un solo atto»53.

Vediamo più da vicino quali sono le caratteristiche cui abbiamoatto rierimento. Searle distingue saggiamente due tipi di intenzio-ne54: l’intenzione precedente e l’intenzione in atto. La prima intenzioneè quella che a sì che noi ci proponiamo, per esempio, di scrivere unlibro. La seconda intenzione, invece, è quella che ci a stare inchio-dati alla sedia dello studio, nonostante tutte le avversità. La primasi può tradurre come «avere la determinazione di are qualcosa»; laseconda si può tradurre come «cercare di are qualcosa». Questo

discorso può essere generalizzato anche ad altri stati mentali carat-terizzati dall’intenzionalità; si può dunque ragionevolmente parlareanche di intenzionalità precedente e di intenzionalità in atto.

Inoltre, Searle individua due relazioni tra gli stati mentali inten-zionali e il mondo. Una prima relazione per la quale sono gli statimentali a doversi adeguare al mondo, per essere soddisatti; unaseconda relazione, speculare alla prima, per la quale è il mondo adoversi adeguare agli stati mentali per soddisare gli stati mentali

stessi. La prima relazione caratterizza, tra gli altri, quei particolaristati mentali che deniamo «credenze». Se, per esempio, siamo con-vinti di una sciocchezza come del atto che la neve sia blu, sarà beneche riadattiamo la nostra credenza al atto che la neve è bianca. Laseconda relazione caratterizza, tra gli altri, le volizioni: se vogliamo

53  Creative people at work. Twelve cognitive case studies, a cura di D.B. Fallace e H.E.Gruber,cit., p. 16.

54 Cr. J.R. Searle, La razionalità dell’azione, cit., pp. 32ss.

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scrivere un libro sulla creatività sarà bene che lo realizziamo (cam-biando lo stato di cose nel mondo precedente alla stesura). Del resto,sarebbe rispettivamente paradossale e stupido cercare la soddisazione

dei nostri stati mentali dipingendo la neve di blu o imponendoci didesiderare di non avere scritto alcun libro.Detto ciò, possiamo tornare alla creatività. Per un’attività com-

plessa come (a) scrivere un libro, la creatività ha a che are moltocon l’intenzionalità precedente, e moltissimo con l’intenzionalità inatto. Invece, per un’attività meno complessa come per esempio (b)aggiustare un tavolo senza essere dei alegnami, la creatività ha piùa che vedere con l’intenzionalità precedente che con l’intenzionalità

in atto. Inoltre la creatività è un atto intenzionale che, per esseresoddisatto, richiede una trasormazione del mondo. E questo valesia per l’esempio (a) che per l’esempio (b).

Per superare l’idea impressionistica della creatività intesa esclusi-vamente come un misterioso stato di grazia costruito sul puro intuitoè dunque suciente considerare il processo creativo in termini diintenzionalità, ovvero di orientamento della propria disposizione men-tale. Mettersi a are qualche cosa di creativo signica sempre trovarsinello stato intenzionale di arlo e mantenere questa intenzionalità

no alla ne, cioè no a che non lo si è atto del tutto. Insomma:trovarsi nella disposizione di scrivere un libro durante un pomeriggioal parco è una cosa lodevole e che può succedere a tutti, ma nonha a che vedere molto con la possibilità concreta di scrivere davveroil libro. Nello stesso modo, scrivere un po’ di libro non va bene.Per esempio, portare a termine il primo capitolo e poi dire «adessoadatto la mia intenzione creativa al solo primo capitolo» è una cosapiuttosto irragionevole – a meno di avere un rapporto molto strano

con se stessi.Una puntualizzazione importante, in proposito, è che esiste benpiù di un ostacolo tra il nostro pomeriggio al parco e la consegna dellibro all’editore. 1) Innanzitutto possiamo dichiarare di volere scrivereun libro sulla meccanica quantistica, o sull’architettura dei minareti,ma questo non a sì che poi abbiamo davvero un’intenzionalità pre-cedente di are tutto questo. 2) Poi, cosa che distingue un velleitarioda uno scrittore (per quanto pessimo, magari), avere l’intenzionalità

precedente di scrivere un libro non signica aatto che abbiamo poil’intenzionalità in atto: potremmo pensare, domani, di dedicare lanostra vita all’insegnamento del sur, e questo senza toccare minima-mente la nostra odierna intenzione precedente di scrivere un libro. 3)Inne, in un’azione creativa complessa, come scrivere un libro, non èaatto detto che l’inizio dell’intenzionalità in atto garantisca che essasia conservata no alla ne del processo. Potremmo stuarci dopo laprima pagina, dopo il primo capitolo, o persino in prossimità dellane delle nostre atiche.

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Searle chiama ognuno di questi ostacoli «lacuna» (gap) rierendosiall’insucienza causale della relazione tra le premesse e le conseguen-ze. Dire di are una cosa non è causa suciente per trovarsi davvero

nell’intenzionalità di arla; trovarsi in tale disposizione di arla nonè causa suciente per provare a arla; e provare a arla non è causasuciente per portarla a termine55.

Come abbiamo già accennato, il concetto di volontà (intenzione) èmolto signicativo soprattutto nel contributo teorico della gestalt sullacreatività. Ma anche quello di insight , ovvero di illuminazione, percosì dire «preterintenzionale»56 è centrale: come suggono, dunque,

i gestaltisti al paradosso?Ebbene, una seconda puntualizzazione necessaria è che l’insight solo apparentemente non è compreso nella teorizzazione basatasull’intenzionalità. Invece, in molti casi, anche se orse non in tutti, virientra. Nel caso in cui si stia consapevolmente cercando la soluzionea un problema, è il primo atto creativo, magari di un processo. Unpo’ come accade ai creativi di proessione: per esempio ai pubblicita-ri, durante il loro orario di lavoro. La loro disposizione intenzionaleall’insight , in questo caso, è addirittura la ragione per cui possono

considerarsi dei proessionisti: verso l’insight  è direzionata tutta laloro intelligenza, durante riunioni e brainstorming.

Ma l’insight  può are parte del processo intenzionale anche nelcaso in cui non ci sia la ricerca consapevole dell’insight  stesso; pur-ché non si consideri l’intenzionalità in modo strettamente vincolatoalla consapevolezza. Ciò comporta sicuramente un grattacapo teorico,sul quale non abbiamo il tempo, qui, di dilungarci. Ci pare però chenon ci si allontani neppure molto dal senso comune, quando esso

suggerisce che ogni tanto, mentre a noi sembra di are altro, il nostrocervello continua invece a lavorare a un problema precedente. Comea dire che l’orientamento del nostro stato mentale (l’intenzionalità)lavora per risolvere il problema anche se noi non lo sappiamo, cioèanche se noi non ne siamo consapevoli (come suggerisce il mottoBus, Bath, Bed  di cui abbiamo parlato sopra). Vorremmo dichiarareil nostro amore alla danzata durante una passeggiata al parco, edeccoci lì a risolvere il problema di un tavolo rotto.

Persino la serendipità (cioè il trovare soluzioni che non si sapevadi stare cercando57), dunque, non è al di uori dell’intenzionalità,

55 Cr. La razionalità dell’azione,  cit., pp. 57 ss.56 Per queste considerazioni rimandiamo al classico testo di W. Köhler, Gestalt psychology, 

1947, trad. it. La psicologia della Gestalt , Milano, Feltrinelli, 1998.57 Sulla serendipità cr. ancora P. Legrenzi, Creatività e innovazione, cit. Ricordiamo che,

come tutti sanno, in psicologia la categoria è stata reintrodotta da Hebb riguardo a combina-zioni di concetti riuscite ma non cercate (D. Hebb, The organization o behavior , 1949, trad.it., L’organizzazione del comportamento, Milano, Franco Angeli, 1975).

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• Anche insight  e serendipità sono parte dell’intenzionalità dell’at-to creativo, perché l’intenzionalità è un orientamento non sempreconsapevole.

Il modello delle manovre cognitive, pure nella sua squisita opera-tività e provvisorietà, poggia dunque su questi tre pilastri epistemo-logici: manipolazione, discorso e intenzionalità.

Restano in sospeso non poche questioni, alla luce delle conside-razioni atte in queste pagine. Ad esempio la relazione tra combi-nazione e manipolazione, oppure la discussione degli interrogativilosoci che si trovano alla base di questo modello. Inne le non

poche critiche possibili rispetto alle quali sarebbe d’obbligo qualcheulteriore chiarimento. Tuttavia abbiamo avuto la pretesa, qui, soltantodi produrre le nostre prime ipotesi teoriche nel tentativo di contri-buire al dibattito sulla creatività anche in Italia e anche al di uoridi un ambiente rigorosamente psicologico.

Abstract: Mental Operations. A Creativity Model

This paper starts explaining the concept o «everyday creativity» as a perva-sive property o routine language practice, and not only as a special skill o gitedsubjects. The aim is to introduce a «creativity model» helpul or teaching o rstlanguage. First o all, recent works on creativity theory deduced rom major jour-nals («Journal o Creative Behavior», «Creativity Research Journal» and «ThinkingSkills and Creativity») and the eminent studies o Guilord, Runco, Johnson-Lairdand others psychologists are examined. The creativity representation advanced is a6-mental-operations model, based on the concepts o synthesis, analysis, metaphor,reconguration o ideas (or elements o ideas).

Finally creativity is described like an intentional act in terms o John Searle’sintentionality theory, i.e. the intentional orienting o cognitive aculties on problemsolving.

Keywords: Creativity, Intentionality, Language teaching, Mental operation,Speech.

Yahis Martari, Università di Bologna, [email protected]

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