sezioni unite civili; sentenza 13 aprile 1989, n. 1751; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Nuovo,P.M. Di Renzo (concl. diff.); Cassa rurale ed artigiana di Loconia-Canosa (Avv. Facciolongo,Palmieri) c. Carlone (Avv. Gaito, Inguscio) e Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia;Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia c. Carlone e Cassa rurale ed artigiana diLoconia-Canosa. Cassa Trib. Trani 17 ottobre 198 ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2493/2494-2497/2498Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184147 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
primo indirizzo giurisprudenziale, ma non anche a partire dal
l'impostazione accolta dal secondo.
Le sezioni unite ritengono di comporre il contrasto facendo
proprio quest'ultimo orientamento, che meglio corrisponde alla
ratio delle disposizioni legislative del 1977.
La predetta legge concernente norme per l'applicazione dell'in
dennità di contingenza, nell'introdurre l'art. 1 bis, a norma del
quale l'esclusione degli ulteriori aumenti dell'indennità predetta è estesa a tutte le forme di indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita comunque denominate e da qualsiasi fonte discipli
nate, ha inteso estendere la portata del 2° comma dell'art. 1 del
cit. d.l. n. 12 del 1977 — secondo cui l'indennità prevista dal
l'art. 2120 c.c. deve essere calcolata con esclusione di quanto do
vuto come aumenti di indennità di contingenza successiva al 31
gennaio 1977 — al fine di non circoscrivere l'esclusione predetta alla sola indennità di anzianità.
Devesi, peraltro, precisare che l'estensione della portata della
norma cosi introdotta è evidentemente riferita dal legislatore ad
istituti economici che, anche con denominazione e fonti regolatri ci diverse, presentino pur sempre i connotati propri dell'indenni
tà di anzianità, e cioè di quella prestazione che è caratterizzata
non soltanto dal momento costitutivo della relativa obbligazione, individuato in quello della cessazione del rapporto, ma anche da
riferimento, per la sua determinazione, alla pregressa durata del
rapporto ed alla retribuzione corrisposta al lavoratore, nonché
dalla sua peculiare natura di retribuzione differita oltre che dalla
sua funzione in senso lato previdenziale (v. Corte cost. 27 giugno
1968, n. 75, id., 1968, I, 2054, e 2 dicembre 1970, n. 179, id., 1971, I, 16; Cass., sez. un., 143/81, id., Rep. 1981, voce Previ
denza sociale, n. 198; 5759/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 237;
664/85, id., Rep. 1985 voce cit., n. 274; 3912/85, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1529).
Devesi, inoltre, osservare che la riduzione del costo del lavoro
viene perseguita dalla norma in esame attraverso la «deindicizza
zione» parziale (non già della retribuzione «diretta») ma della
base di calcolo della retribuzione «differita».
La ratio dell'istituto suppone, quindi, la «struttura» propria
dell'indennità di anzianità — che va calcolata moltiplicando per
gli anni di anzianità una frazione dell'ultima retribuzione onni
comprensiva — e viene realizzata, mediante ridimensionamento
degli effetti perversi — specie in tempi d'inflazione galoppante — del c.d. «ricalcolo contrattuale», per tutti gli anni di anziani
tà, della retribuzione menzionata e, segnatamente, della sua com
ponente «indicizzata».
Ora, la qualificazione data dal tribunale al c.d. rimborso con
tributi non risulta sorretta da idonea analisi della sua struttura
e della sua funzione. Esso è stato ritenuto assoggettabile alla 1.
n. 91 del 1977 soltanto in considerazione del momento costitutivo
della relativa obbligazione, ritenuto coincidente con quello del
collocamento anticipato a riposo. Tale valutazione, al di là dei limiti posti dalla censura, e cioè
del riferimento all'applicabilità della 1. n. 91 del 1977, appare
indubbiamente corretta sotto il profilo della interpretazione logico
giuridica della motivazione — alla stregua di quanto risulta dalla
stessa sentenza e dalle deduzioni delle parti —, in ordine alla
qualificazione del c.d. rimborso contributi come trattamento di
fine rapporto, in considerazione, oltre che del titolo giuridico rin
venibile nel contratto, dell'essere oggetto di un diritto la cui ma
turazione, cosi come avviene per il diritto all'indennità di anzianità
e per altre forme di credito che maturano nello stesso momento
(premi di servizio, indennità speciali, ecc.) si verifica al momento
della estinzione del rapporto di lavoro.
Ma un siffatto accertamento non è da solo sufficiente a giusti
ficare l'assoggettamento del «rimborso contributi» alla disciplina
legislativa dettata nel 1977 per l'indennità di anzianità e per gli
altri istituti attinenti alla fine del rapporto che di essa presentino
tutti i caratteri strutturali dianzi posti in luce.
La sentenza impugnata invero avrebbe dovuto altresì accertare
se il «rimborso contributi» — pur dovuto dal datore di lavoro
al momento della fine del rapporto — debba essere calcolato,
ai fini della determinazione del suo ammontare, con puntuale ri
ferimento alla pregressa durata del rapporto stesso ed alla misura
della retribuzione corrisposta, ed inoltre se esso presenti natura
di retribuzione differita e funzione (latamente) previdenziale nel
senso sopra indicato.
Soltanto ove la sua indagine conduca ad una risposta positiva
il giudice di merito può infatti correttamente ritenere applicabile
Il Foro Italiano — 1989.
al «rimborso contributi» in questione la regolamentazione di cui
alla normativa del 1977.
Ove invece accerti che il «rimborso contributi» sia stato dalla
contrattazione collettiva concepito con natura e funzioni diverse
da quelle proprie dell'indennità di anzianità, eventualmente più
rispondenti all'effettivo suo contenuto, oltre che alla denomina
zione convenzionale dell'erogazione, il giudice deve concludere
per l'estraneità del contributo — pur in senso lato collegato al
momento della fine del rapporto — all'ambito di operatività del
la ricordata legislazione del 1977.
Nella specie la sentenza impugnata — in quanto ha interpreta to la clausola collettiva alla stregua di un criterio ermeneutico
non conforme a diritto — deve essere cassata sul punto, con il
rinvio della causa ad altro giudice, indicato in dispositivo, il qua le procederà all'indagine sulla natura della prestazione di cui al
l'art. 16, lett. c), dell'accordo citato, tenendo presenti le
considerazioni che hanno determinato la cassazione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 13 apri le 1989, n. 1751; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Nuovo,
P.M. Di Renzo (conci, diff.); Cassa rurale ed artigiana di
Loconia-Canosa (Aw. Facciolongo, Palmieri) c. Cartone (Aw.
Gatto, Inguscio) e Ente regionale di sviluppo agricolo della
Puglia; Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia c. Car
tone e Cassa rurale ed artigiana di Loconia-Canosa. Cassa Trib.
Trani 17 ottobre 1981.
Lavoro (rapporto) — Comando o distacco — Intermediazione
di mano d'opera — Differenze — Fattispecie (L. 23 ottobre
1960 n. 1369, divieto di intermediazione ed interposizione nelle
prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano
d'opera negli appalti di opere e di servizi, art. 1).
Il comando o distacco si distingue dall'intermediazione di mano
d'opera vietata in quanto, se entrambi comportano l'esecuzio
ne della prestazione del lavoratore in favore di un soggetto di
verso da chi ha assunto il lavoratore stesso e ne ha disposto il distacco, solo il primo realizza un rilevante interesse del di
sponente, che deve sussistere sia nel momento iniziale che nella
permanenza del comando. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Con gli altri due motivi del ricorso principale si deduce la violazione degli art. 22 e 23
1. 12 maggio 1950 n. 230, degli art. 1 e 15 d.p.r. 23 febbraio
1962 n. 948, dell'art. 3 1. 14 luglio 1965 n. 901 e dell'art. 1 1.
23 ottobre 1960 n. 1369 nonché vizi di motivazione su un punto
decisivo della controversia. Lamenta la cassa rurale che il tribu
nale non abbia tenuto conto che il Carlone era stato regolarmen
te assunto dall'ente di sviluppo e che era stato distaccato a prestare
la sua opera presso la cassa in esecuzione dei fini istituzionali
(1) Le sezioni unite si pronunciano circa la distinzione tra comando
o distacco (lecito) e intermediazione di mano d'opera (vietata) confer
mando il consolidato indirizzo di legittimità, di cui danno conto (Cass. 3 dicembre 1986, n. 7161, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2152, commentata da A. Sbrocca, Comando o distacco del lavoratore
e divieto di interposizione nella prestazione lavorativa, in Mass. giur. lav.,
1987, 344). Ai precedenti citati in sentenza, adde, Cass. 20 gennaio 1987,
n. 501, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 2151; nella giurisprudenza di
merito, sempre nello stesso senso, v. Trib. Vercelli 5 giugno 1986, ibid.,
n. 2157; Trib. Firenze 23 maggio 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1977,
per esteso in Riv. it. dir. lav., 1986, II, 316, con nota di E. D'Avossa,
Sui criteri di distinzione tra «distacco» e interposizione illecita. Per ana
loga individuazione della nozione di comando o distacco, cfr., da ultimo,
Cass. 1° febbraio 1988, n. 877, Foro it., Mass., 142; 13 aprile 1987,
n. 3684, 7 aprile 1987, n. 3396, 22 gennaio 1987, n. 614, id., Rep. 1987,
voce cit., nn. 2148, 2149, 2160; 23 luglio 1986, n. 4720, ibid., n. 2153.
Sul punto cfr., inoltre, i richiami di cui alla nota di G. Pezzano a Cass.
7 agosto 1982, n. 4435, id., 1983, I, 399.
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2495 PARTE PRIMA 2496
propri di tale ente, fra i quali quello di promuovere e favorire la cooperazione agricola nonché ogni altra iniziativa e attività
per lo sviluppo della produzione agricola e per la valorizzazione
economico-agraria delle zone interessate, ivi comprese le attività economiche concorrenti allo stesso fine. Rileva inoltre che il Car
tone, oltre che presso la cassa rurale aveva svolto la propria atti vità anche presso altri enti assistiti dall'ente di sviluppo (come la federazione interregionale casse rurali, l'oleificio cooperativo di Canosa di Puglia, la cooperativa agraria «N. Rossi») e che tutta la sua carriera si svolse anche sul piano economico secondo le norme vigenti presso l'ente di sviluppo. Aggiunge che nell'am bito di tale rapporto egli partecipò anche a concorsi per titoli
per la promozione al grado superiore e che, cessato il distacco,
egli tornò ad espletare il suo servizio presso l'ente di sviluppo. Le censure suddette sono fondate. Poiché il Carlone è stato
regolarmente assunto dall'ente di sviluppo con un formale atto di nomina ed inviato a prestare la sua opera presso la cassa rura
le, il problema fondamentale della presente controversia è se nel la specie vi sia stato un vero e proprio comando o se si sia verificato un caso di intermediazione vietata di mano d'opera.
Come è noto, il comando trova una regolamentazione legislati va nell'ambito della disciplina dell'impiego statale anche se non mancano richiami a detti istituti da parte della legislazione regio nale e, per alcuni enti parastatali, dalla 1. 20 marzo 1975 n. 70
(vedi art. 40). Ma è pacifico che l'istituto è stato considerato ap plicabile anche ad enti pubblici diversi da quelli sopra indicati e il relativo regime è stato identificato in base ai principi generali ricavabili dalla predetta legislazione, come individuati dall'elabo razione giurisprudenziale e dottrinaria.
Esso consiste nella temporanea destinazione di un pubblico di
pendente a prestare la propria attività lavorativa o presso un'am ministrazione diversa da quella di provenienza (ad esempio da un ministero ad un altro) o presso un diverso ente pubblico: la differenza fra le due ipotesi è che nel primo caso le spese del
personale comandato rimangono a carico dell'amministrazione di
provenienza, mentre nel secondo caso tali spese sono sostenute dall'ente destinatario delle prestazioni lavorative.
Il fondamento di tale istituto sta nella soddisfazione diretta o indiretta di esigenze di servizio dell'ente di provenienza, che
possono poi coincidere con un interesse dell'ente di destinazione
(vedi Cons. Sato, sez. II, 6 maggio 1975, n. 544, Foro it., Rep. 1976, voce Impiegato dello Stato, n. 917) e la sua attuazione de termina una modificazione oggettiva del rapporto, nel senso che l'ente datore di lavoro rinuncia alle prestazioni lavorative del di
pendente e queste vengono invece espletate a favore dell'ente di
destinazione, il quale acquisisce il relativo potere gerarchico (di rettivo e disciplinare). Secondo questa interpretazione, accolta senza
contrasti, non si verifica né una novazione soggettiva del rappor to né il sorgere di un nuovo rapporto con l'ente destinatario delle
prestazioni, per l'incompatibilità, del resto già rilevata dal giudi ce di merito, fra due autonome posizioni, aventi ad oggetto una medesima prestazione lavorativa.
Avviene, invece, che l'obbligazione fondamentale di prestare la propria opera che vincola l'impiegato nei confronti dell'ente da cui dipende e che ne dispone il comando viene adempiuta non a favore di esso ma a favore dell'ente presso il quale è stato
comandato, attuandosi in tal modo, nell'ambito dell'obbligazio ne oggetto di un unico rapporto di impiego, solo una modifica zione nella sua esecuzione.
Tale situazione è puntualmente descritta nell'art. 57 t.u. 10 gen nio 1957 n. 3 sugli impiegati civili dello Stato, modificato dal l'art. 34 d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1077, nel quale si precisa che l'impiegato in posizione di comando è ammesso agli esami, ai concorsi e agli scrutini indetti dall'amministrazione di prove nienza, che provvede alla relativa promozione e agli aumenti pe riodici.
Su questo schema si è modellato il comando nel campo del lavoro privatistico e in quello degli enti pubblici non economici.
Riguardo a questi ultimi si discute della possibilità di un co mando dei loro dipendenti presso enti ed organismi privati, in relazione al quale sono state manifestate delle perplessità sia sot to il profilo che il comando può essere disposto solo nell'ambito dell'amministrazione pubblica sia sotto quello del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione (vedi in propo sito Corte conti, sez. contr. enti, 5 novembre 1968, n. 894, id., Rep. 1969, voce cit., n. 426). Ma la giurisprudenza di questa cor te ha anche in tali ipotesi riconosciuto la legittimità del distacco,
Il Foro Italiano — 1989.
se risulta l'interesse dell'ente distaccante a impiegare in tal modo
l'opera del dipendente per le proprie finalità istituzionali (vedi in questo senso Cass. 15 febbraio 1979, n. 982, id., 1979, I, 616; 6 gennaio 1984, n. 63, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 1050; e particolarmente significativo perchè riguarda un caso, simile a quello in esame, di comando di un impiegato dell'ente di riforma di Puglia a favore d'altro ente privato; Cass. 18 aprile 1983, n. 2655, id., Rep. 1983, voce cit., n. 620).
La sussistenza dell'interesse costituisce anzi l'elemento discri minante fra il comando lecito e l'interposizione vietata di mano
d'opera: questa corte ha, infatti, più volte ribadito che il coman do o distacco da parte del datore di lavoro di un suo dipendente presso altro imprenditore, perchè esegua le sue prestazioni nell'a zienda di questo, è illegittimo e incorre nel divieto di intermedia zione di cui all'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 (che fa riferimento oltre che all'appalto e al subappalto di mano d'opera anche a
qualsiasi altra forma di intermediazione e interposizione) allorché tali prestazioni abbiano obiettiva esecuzione in favore di un sog getto diverso da colui che ha assunto il lavoratore e ha disposto il suo distacco senza realizzare un rilevante interesse di questo, in quanto tale circostanza, a prescindere dall'accertamento di un intento fraudolento delle parti; frustra di per sé lo scopo del sud detto divieto, consistente nell'evitare che la dissociazione fra l'au tore dell'assunzione e l'effettivo beneficiario delle prestazioni di lavoro si risolva in un ostacolo al diritto del lavoratore di preten dere il più vantaggioso trattamento che gli sarebbe spettato, se assunto direttamente da tale beneficiario (vedi in questo senso Cass. 3 dicembre 1986, n. 7161, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2152; 14 febbraio 1983, n. 1131, id., Rep. 1983, voce cit., n. 621; 26 febbraio 1982 n. 1264, id., Rep. 1982, voce cit., n. 913).
Tale dissociazione, dunque, trova giustificazione solo nella sus sistenza all'inizio e nella permanenza per tutta la durata del co mando della necessità di soddisfare particolari esigenze dell'ente distaccante e quindi della persistenza dell'interesse a tale distac
co, elementi questi che per la loro natura sono necessariamente
temporanei: di qui la natura tendenzialmente temporanea del di stacco.
Ne consegue che si verifica un'intermediazione vietata di mano
d'opera con la conseguente instaurazione di un rapporto diretto fra il lavoratore distaccato e il terzo che ne utilizza la prestazio ne, non solo quando il distacco sia fin dall'inizio definitivo (vedi Cass. 20 febbraio 1985, n. 1499, id., Rep. 1985, voce cit., n.
442), ma anche quando perduri nonostante che sia venuto meno l'interesse del datore di lavoro (vedi Cass. 12 novembre 1984, n. 5708, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1039; 23 maggio 1984, n.
3159, ibid., n. 1820; 5 novembre 1983, n. 6544, id., Rep. 1983, voce cit., n. 611).
Ma quando detti elementi in effetti sussistono, non importa che la durata del distacco non sia predeterminata fin dall'inizio, che abbia una durata più o meno lunga, né che esso sia conte stuale all'assunzione del lavoratore o persista per tutta la durata del rapporto (vedi, oltre la giurisprudenza sopra citata, Cass. 8 febbraio 1985, n. 1013, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1849; 6 gen naio 1984, n. 63 id., Rep. 1984, voce cit., n. 1050; 13 maggio 1981, n. 3150, id., Rep. 1981, voce cit., n. 890).
Se questi sono gli elementi differenziatori fra un distacco lecito e un'interposizione vietata di mano d'opera, evidente appare l'in sufficienza e l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Nessun valore indiziario ai fini della seconda ipotesi ha, per quel che si è detto, la circostanza che il Carlone, fin dal momen to dell'assunzione presso l'ente di sviluppo, sia stato destinato a prestar servizio presso la cassa rurale, né che tale distacco sia durato continuativamente per dodici anni (circostanza quest'ulti ma che fra l'altro viene contestata dalle altre parti), senza aver svolto alcuna indagine sull'esistenza iniziale e sulla permanenza di un interesse di detto ente ad operare il distacco di un proprio dipendente in relazione all'attività svolta dall'ente beneficiario.
Altrettanto irrilevante è la circostanza che per tutta tale durata il Carlone osservasse l'orario e le direttive della cassa rurale, per ché tali elementi sono non solo compatibili ma connaturali al distacco: il dipendente distaccato per le modalità di prestazione della attività lavorativa è infatti necessariamente tenuto a seguire la disciplina vigente presso l'ente nel quale tale attività deve esse re svolta e non quella esistente presso l'ente di provenienza.
Né ha alcun rilievo la circostanza, valorizzata dal tribunale, che la cassa rurale provvedeva a rimborsare all'ente di sviluppo la spesa del trattamento economico dell'impiegato distaccato. Ciò
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che è importante per ritenere sussistente la figura del comando
è che il dipendente continui ad essere inquadrato nei ruoli e a
ricevere il trattamento economico dell'ente di provenienza, non
anche che il relativo onere economico rimanga a carico di questo,
perché anzi la regola generale è che quando il comando avviene
a vantaggio di un altro ente (e non di un'altra amministrazione
dello stesso ente) quest'ultimo assume l'onere di detta spesa (vedi art. 57 t.u. sugli impiegati statali sopra citato).
Assolutamente carente di motivazione appare dunque la moti
vazione della sentenza che, sulla base degli elementi suddetti, è
giunta alla conclusione che il rapporto di pubblico impiego tra
il Carlone e l'ente di sviluppo è «solo formale e apparente (e) non fece altro che simulare l'effettivo e reale rapporto di lavoro
subordinato di diritto privato tra il Carlone medesimo e la cassa
rurale»: conclusione questa che non solo non si giustistifica con
gli elementi indiziari sopra rilevati, ma che non tiene conto di
altri fatti essenziali e pacifici fra le parti, e cioè che il Carlone
per tutto il tempo della prestazione del servizio presso la cassa
rurale segui la carriera prevista per i dipendenti dell'ente di svi
luppo, partecipando ai relativi scrutini di promozione, e che alla
cessazione di tale servizio egli riprese il suo posto di lavoro pres so l'ente di sviluppo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 aprile 1989, n. 1660; Pres. Nocella. Est. Tondo, P.M. Martinelli (conci,
conf.); Di Iorio (Avv. Mariconda, Perone) c. Soc. Siae; Soc.
Siae (Aw. Carletti, Comito) c. Di Iorio. Cassa Trib. Roma
10 dicembre 1986.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Sentenza pretorile di con
danna alla reintegra riformata in appello — Obbligazione retri
butiva del datore di lavoro nel periodo intermedio tra sentenza
di primo grado e sentenza d'appello di riforma — Sussistenza
(Cod. civ., art. 2126; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla
tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sinda
cale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento, art. 18).
A seguito di sentenza pretorile di condanna del datore dì lavoro
alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro ex art.
18 l. n. 300 del 1970, poi riformata in appello con pronuncia
passata in giudicato, il dipendente, anche nel caso in cui non
sia stato ottemperato l'ordine giudiziale di reintegrazione, ha
diritto alle retribuzioni relative al periodo compreso tra senten
za di primo grado e sentenza di riforma in appello. (1)
Motivi della decisione. — Con l'unico, complesso motivo del
ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione del
l'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300 (art. 360, n. 3, c.p.c.) e si
deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto ripe tibili le retribuzioni corrisposte al lavoratore non reintegrato, in
(1) Con la sentenza in rassegna la sezione lavoro della Corte di cassa zione conferma, nel decisum e nell'/fér argomentativo, Cass., sez. un., 13 aprile 1988, n. 2925, Foro it., 1988, I, 1493, con nota di A. Proto
Pisani, che rinvia alle numerose altre note riportate su questa rivista, debitamente richiamate, per l'indicazione degli estremi del dibattito. Cass.
2925/88 è pure commentata da A. Minzoni, Riforma della sentenza pre torile di reintegrazione del lavoratore licenziato: nuova pronuncia delle
sezioni unite, in Orient, giur. lav., 1988, 760. Adde, oltre alla decisione
cassata (Trib. Roma 10 dicembre 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro
(rapporto), n. 2555), e agli altri precedenti richiamati da Cass. 1660/89
in epigrafe, Pret. Torino 30 maggio 1987, Riv. it. dir. lav., 1988, II,
790, con nota di V.A. Poso, che ha riconosciuto il diritto del lavoratore
a trattenere le retribuzioni maturate e corrisposte sino al passaggio in
giudicato della sentenza di riforma in appello di quella pretorile di reinte
grazione non eseguita. Per una ricerca empirica sul tema della reintegrazione, cfr. M. Roccel
ia, Licenziamenti illegittimi e reintegrazione nel posto di lavoro. I risul
tati di una ricerca empirica, in Lavoro e dir., 1988, 444.
Il Foro Italiano — 1989.
base alla sentenza pretorile dichiarativa dell'illegittimità del licen
ziamento, allorché tale decisione sia stata riformata con sentenza
passata in giudicato ed ancorché il pagamento delle retribuzioni
sia intervenuto prima della sentenza di riforma; e che altrettanto
erroneamente è stato richiamato l'orientamento, del resto in sé
contraddittorio, della sent. Cass. 26 luglio 1983, n. 5141 (Foro
it., 1983,1, 2411), in quanto nella specie, avendo il primo giudice
qualificato il licenziamento come disciplinare ed avendolo dichia
rato nullo per difetto di contestazione di cui all'art. 7 dello statu
to dei lavoratori, applicabile anche ai dirigenti, sicuramente
applicabile era la tutela reale del cit. art. 18.
Con l'unico mezzo del ricorso incidentale, la Siae denunciava
violazione degli art. 1224, 2° comma, 2727 c.c. e vizio di motiva
zione in ordine alla pretesa mancata allegazione e prova del mag
gior danno da svalutazione.
Si deve, in primo luogo, disporre la riunione dei ricorsi, propo sti contro una stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
Il ricorso principale è, tutto ciò premesso, fondato.
Le sezioni unite di questa Suprema corte, derimendo, con sen
tenza 13 aprile 1988, n. 2925 (id., 1988, I, 1493), un insorto con
trasto giurisprudenziale, hanno statuito che l'art. 18 1. n. 300 del
1970, nel prevedere l'obbligo del datore di lavoro (che non abbia
ottemperato all'ordine di reintegrazione, contenuto nella senten
za pretorile dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento) di cor
rispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del
rapporto di lavoro, equipara alla effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente la mera utilizzabilità di esse; e che da
ciò consegue: a) che, una volta rimosso quell'ordine con sentenza
di riforma dichiarativa della legittimità del licenziamento (anche non passata in giudicato), le retribuzioni relative a frazioni di
tempo anteriori alla rimozione possono essere richieste, anche in
separato giudizio, in forza del principio codificato nell'art. 2126
c.c.; ti) che per la frazione di tempo successiva alla predetta sen
tenza di riforma, nessuna retribuzione è più dovuta; c) che, una
volta passata in giudicato la medesima sentenza, sono ripetibili le retribuzioni, eventualmente corrisposte, relative a periodi di
tempo successivi alla pronuncia d'appello, ma non anche quelle relative al periodo corrente tra la sentenza di primo grado dichia
rativa dell'illegittimità del licenziamento e la sentenza di riforma.
Alla stregua di questi principi — che il collegio non ha motivo
di disattendere — si deve ritenere erronea sia l'affermazione della
sentenza impugnata relativa all'inapplicabilità, nel caso di man
cata reintegrazione, della disciplina dell'art. 2126 c.c., sia la su
bordinata tesi della non operatività della c.d. «teoria
dell'irripetibilità» nel caso in cui la sentenza di riforma abbia
accertato la sussistenza di un rapporto privo di stabilità reale, cui l'art. 18 è inapplicabile.
Sotto il primo profilo, l'estensione dell'art. 2126 c.c. alle retri
buzioni maturate nel periodo intermedio tra la sentenza pretorile e la sentenza d'appello di riforma è giustificata, infatti, «dalla
equiparazione instaurata tra la utilizzazione in concreto delle pre stazioni del lavoratore e l'offerta per la loro utilizzazione (la mo
ra credendi del datore di lavoro offrendo ex art. 1206 c.c. base
di ragionevolezza alla volontà di legge)»; nonché dalla considera
zione che la caducazione dell'ordine di reintegrazione non elimi
na la pregressa situazione di fatto, «caratterizzata dalla messa
a disposizione delle proprie prestazioni lavorative da parte del
lavoratore licenziato ed in attesa di chiamata a riprendere il servi
zio; dal distoglimento del predetto dalla ricerca di altre occasioni
di lavoro e di guadagno in forza dell'aspettativa predetta; dalla
equiparazione ex lege dell'utilizzabilità alla utilizzazione delle pre stazioni del lavoratore, da parte del datore di lavoro, agli effetti
del riconoscimento della permanenza di un residuo vincolo fat
tuale (di origine negoziale) tra i due soggetti».
Questa stessa impostazione poi comporta — sotto il secondo
profilo — il superamento dell'invocato indirizzo giurisprudenzia le espresso dalle sentenze 26 luglio 1983, n. 5141, cit., e 17 aprile
1987, n. 3846 (id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2551) di questa corte, perché la giustificazione dell'irripetibilità fondata
sull'art. 2126 c.c. (e non già su di un preteso carattere sanziona
torio per la inottemperanza all'ordine del giudice) parifica l'ipo
tesi della mancata reintegrazione a quella della reintegrazione attuata e rende del tutto irrilevante, nel primo come nel secondo
caso, la natura del vizio inficiante il provvedimento di reintegra
zione e quindi anche il fatto che esso sia stato erroneamente emesso
in relazione ad un rapporto privo di stabilità (quale indubbiamente
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