sentenza 18 giugno 1987; Giud. Schiavone; imp. Morroni e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.415/416-419/420Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179711 .
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PARTE SECONDA
dei prevenuti sia presente il dolus malus; tale decisione, confer
mata anche sul punto dalla Suprema corte, ha per cosi dire con
ferito nuova dignità all'errore su leggi diverse dalla legge penale
(art. 47, ultimo comma, c.p.), errore che nella prevalente giuris
prudenza non trovava quasi più spazio, compresso com'era dalla
rigida applicazione della regula iuris di cui all'art. 5 c.p. («Nessu no può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale»), dato che pressoché tutte le norme venivano per un verso o per l'altro ritenute integratrici del precetto penale;
3) senonché, a parere del giudicante, il proscioglimento della
prevenuta deve avere contenuto più ampio di quello testé esami
nato, nel senso che, contrariamente a quanto ritenuto del Pretore
di Taranto, è proprio l'abuso che non sussiste; ed invero, la com
petenza — nel senso, ovviamente, di attribuzione giuridica e non
di capacità professionale — del medico ad eseguire analisi venne
legislativamente riconosciuta nel testo unico delle leggi sanitarie
approvato con r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 (art. 83 e 193); anzi, in riferimento a quest'ultima norma, che disciplinava i «gabinetti di analisi per il pubblico», con circolare del ministro dell'interno
(all'epoca competente in campo sanitario) fu chiarito che le pre scritte autorizzazioni potevano essere rilasciate soltanto a laureati
in medicina e chirurgia; per quanto riguarda i laboratori di anali
si incorporati negli ospedali pubblici, poi, l'art. 16 d.p.r. 27 mar
zo 1969 n. 128 stabilisce che il personale addetto a tali laboratori
deve necessariamente comprendere un primario (o due o tre a
seconda della grandezza dell'ospedale), almeno un posto di aiuto
ed almeno un posto di assistente, e questa dotazione organica è stata conservata anche con l'istituzione del servizio sanitario
nazionale avvenuta con la 1. 23 dicembre 1978 n. 833; dei gabi netti di analisi, infine, si è approfonditamente occupata la presi denza del consiglio dei ministri con decreto 10 febbraio 1984,
precisando che sono «presidi diagnostici di laboratorio quelle strut
ture denominate laboratori di analisi cliniche aperte al pubblico, di natura pubblica o privata, che eseguono, oltre a prelievi ed
eventuali somministrazioni per prove funzionali, indagini su ma
teriale proveniente dal corpo umano dirette a fornire risultati ana
litici o risultati analitici con giudizi diagnostici» e suddividendo quelli privati in laboratori generali di base, laboratori specializza ti e laboratori generali con settori specializzati (art. 3); quanto alla struttura del personale, poi, il decreto prevede quale diretto
re dei primi un medico o un biologo, nonché un collaboratore
laureato in medicina, biologia o chimica, disponendo, significati
vamente, che se il direttore è un biologo, tra i collaboratori vi
deve essere necessariamente un laureato in medicina; Io stesso
vale, ovviamente, per i laboratori specializzati, con ribadimento
del principio generale che il presidio può essere strutturalmente
composto da soli laureati in medicina, ma non da soli biologi o chimici;
4) nella sentenza invocata dai biologi si puntualizza più volte
che la competenza dei laureati in medicina ad eseguire analisi,
pacifica fino al 1957 poiché normativamente prevista dal cit. t.u.
1265/34 e poiché con r.d. 4 giugno 1938 n. 1269 era stato pre scritto che nell'esame di Stato il candidato all'abilitazione doves
se esporre quali ricerche di laboratorio fossero eventualmente
richieste nel caso sottopostogli, indicandone il rispettivo signifi cato semiologico ed eseguendo quelle ricerche che la commissione
avesse ritenuto opportune, sarebbe venuta meno per il fatto che
nel decreto del ministro della pubblica istruzione 9 settembre 1954
n. 274 non è più prevista, ossia «scompare dall'esame di abilita
zione e quindi non costituisce più oggetto di specifica valutazione
di capacità professionale ai fini abilitativi la prova consistente
nell'esecuzione di ricerche di laboratorio»; a tale argomentazione è stato acutamente opposto che il decreto ministeriale summen
zionato non prevede neppure l'esecuzione da parte del candidato
di prove di radiologia, anestesia, ecc. e non per questo potrebbe affermarsi che il laureato in medicina — ovviamente provvisto del diploma di specializzazione — non sia abilitato a fare il ra
diologo, l'anestesista, ecc. (parere pro ventate del prof. aw. Franco
Gaetano Scoca d.d. 8 marzo 1985, inedito, formulato su richiesta
dell'Associazione italiana patologi clinici);
5) quanto all'aspetto più prettamente giuridico, infine, deve ri
II Foro Italiano — 1988.
levarsi che, contrariamente a quanto ritenuto nella più volte men
zionata sentenza del Pretore di Taranto, non vi è stata «a far
tempo dal 1967. . . una stratificazione di norme solo sostanziali
del legislatore meteriale in contrasto con la legge formale»; è sfug
gito, infatti, a quel pretore che il d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128, il quale, come si è visto sub 3, determina quale debba essere la
dotazione organica dei laboratori di analisi degli ospedali, non
è norma secondaria in contrasto con la legge formale, ma è legge formale esso stesso in quanto emanato per delega conferita ex
art. 40 1. 12 febbraio 1968 n. 132 («il governo della repubbli ca. .. è autorizzato ad emanare. . . uno o più decreti aventi for
za di legge ordinaria nelle seguenti materie: 1) ordinamento interno
dei servizi ospedalieri; omissis»); né può condividersi l'assunto
che la direzione del laboratorio di analisi degli ospedali sia «chia ramente preordinata all'organizzazione interna. . . ed implichi sol
tanto che il servizio di analisi, siccome costituente una divisione
dell'ospedale, venga diretto come tutte le altre divisioni da un
sanitario avente la qualifica di primario, al quale incombono le
specifiche attribuzioni di ordine tecnico-amministrativo»; se pur ciò fosse vero (ma non lo è già per il fatto che al primario spetta no funzioni di indirizzo e facoltà di avocazione — art. 63 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761) non si comprenderebbe, infatti, quali funzioni dovrebbero svolgere, se non appunto quelle di analisi,
gli aiuti e gli assistenti, medici anch'essi, la cui presenza nell'or
ganico è obbligatoriamente statuita, tanto più che negli ospedali
regionali o provinciali, nei quali il servizio di analisi chimico cliniche e microbiologiche sia articolato in più settori, ciascun
settore può essere affidato a un direttore biologo o chimico, ov
vero ad un aiuto che abbia conseguito la relativa idoneità; un'ul
tima conferma di quanto fin qui detto si rinviene nell'art. 45 d.p.r. 761/79 citato, a sua volta emanato per delega ex art. 47 1. 23
dicembre 1978 n. 833, nel quale è previsto che il personale medi
co possa, per finalità di aggiornamento tecnico-scientifico, chie
dere il comando per periodi di tempo determinati presso centri, istituti e laboratori.
Concludendo, la dottoressa Mayr ha esercitato ed esercita l'at
tività di analista nel laboratorio dell'ospedale di Brunico del tutto
legittimamente ed il reato addebitatole non sussiste.
PRETURA DI VOLTERRA; sentenza 18 giugno 1987; Giud.
Schiavone; imp. Morroni e altri.
PRETURA DI VOLTERRA; !
Religione e culti (delitti contro la) — Vilipendio della religione dello Stato — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 402, 406, 724).
L'esposizione durante la «Festa dell'Unità» di due cartelli satiri
ci, le cui frasi e immagini — al di là dell'apparenza vilipendio sa e oltraggiosa — sottolineano ed esaltano in forma metaforica e congrua i valori universali di amore, tolleranza, fratellanza e la spiritualità attiva impersonati dal Cristo evangelico, non
costituisce condotta tipica di vilipendio ai sensi dell'art. 402 c.p. — rectius: ai sensi dell'art. 406 c.p., nella cui previsione
ogni fatto di vilipendio della religione deve essere oggi ricom
preso a seguito della affermazione di principio contenuta nel
protocollo addizionale all'accordo 18 febbraio 1984 fra lo Sta
to italiano e la Santa Sede, secondo cui «si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai patti late ranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato
italiano» —, né fatto integrante gli estremi della contravven
zione di cui all'art. 724 c.p. (1)
(1) La sentenza si segnala all'attenzione perché affronta il complesso problema della sopravvivenza delle norme di cui agli art. da 402 a 406
c.p. a seguito del radicale mutamento di disciplina verificatosi con la
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GIURISPRUDENZA PENALE
Fatto e svolgimento del processo. — Con rapporto giudiziario
della locale compagnia dei carabinieri Moroni Sauro, Serenari
Edoardo e Gherardini Francesco erano denunciati perché, in qualità
di organizzatori della «Festa dell'Unità» di Castelnuovo V.C. ave
vano esposto o concorso ad esporre in una pubblica manifesta
zione dei cartelli satirici le cui frasi ed immagini vilipendevano
la religione dello Stato e contenevano bestemmie contro la divini
tà o i simboli venerati nella religione dello Stato.
1. 121/85, la quale ha reso esecutivo l'accordo di modifiche al concordato
lateranense 18 febbraio 1984 e, contemporaneamente, il protocollo addi
zionale, il cui n. 1 espressamente stabilisce: «si considera non più in vigo re il principio, originariamente richiamato dai patti lateranensi, della
religione cattolica come sola religione dello Stato italiano». Che l'aboli
zione del predetto principio sia tale da incidere anche sulla vigente disci
plina dei reati contenuti nel titolo quarto del libro secondo del codice, nonché sull'attuale configurazione del reato di cui all'art. 724 c.p., è pa cifico: si controverte soltanto circa la scelta della soluzione interpretativa
più corretta.
a) La tesi accolta nella pronuncia in rassegna, secondo la quale la fatti
specie di cui all'art. 406 c.p., relativa ai delitti contro i culti ammessi
nello Stato, da ipotesi «residuale» si è ormai trasformata in ipotesi «chia
ve» dell'intero titolo quarto, è stata esplicitamente sostenuta in preceden za da Giud. istr. Trib. Bologna 27 luglio 1985, Giur. merito, 1985, 1129, con nota critica di Punzi Nicolò, e Foro it., Rep. 1986, voce Religione e culti (delitti contro la), n. 1, e da Pret. Avezzano 5 febbraio 1986, Giust. civ., 1986, I, 1508, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 2. Anche
a volerla ritenere in linea di principio come preferibile la tesi in parola si espone tuttavia a un rilievo critico: e cioè, nel nuovo contesto normati
vo venutosi a delineare non sembra avere più senso la maggior pena che
gli art. 403, 404 e 405, quali fattispecie richiamate dall'art. 406 con fun
zione specificativa dei fatti idonei a offendere i culti ammessi nello Stato,
prevedono in relazione ai fatti offensivi della religione cattolica (cfr.
Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 1988, 326). Secondo un altro orientamento, sostenuto in dottrina (Punzi Nicolò,
op. cit., 1135 ss.), dovrebbe invece pervenirsi a una conclusione opposta: la tutela speciale riservata dall'art. 402 alla sola religione cattolica do
vrebbe, cioè, essere estesa quantomeno a quelle formazioni sociali a ca
rattere religioso, che possono legittimamente considerarsi «confessioni».
Una analoga soluzione è anche prospettata, sia pure in linea astratta e
in termini assai problematici, da L. Conti, Nota aggiuntiva ai delitti con
tro il sentimento religioso, in Antolisei, Manuale di diritto penale, 9a
ed. a cura di L. Conti, Milano, 1986, 969 s.
In ogni caso, è auspicata una riforma legislativa intesa a riportare chia
rezza e ordine in questa materia: cfr., in questo senso, Fiandaca-Musco,
op. cit., 327; Conti, op. cit., 697; Muselli, Esiste ancora il reato di
bestemmia?, in Cass, pen., 1987, 67.
Sulla casistica giurisprudenziale in tema di vilipendio della religione, cfr. Crespi-Stella-Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Pado
va, 1986, 677 ss. In dottrina, per una critica dei tradizionali orientamenti
giurisprudenziali, si veda Pulitanò, Spunti critici in tema di vilipendio della religione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1969, 194 ss.
ti) Quanto all'ulteriore problema della sopravvivenza della contravven
zione preveduta dall'art. 724 c.p., che l'organo giudicante per la verità
non affronta in maniera esplicita, la tesi negativa è sostenuta dalla preva lente giurisprudenza di merito: cfr. Pret. Viareggio 22 giugno 1985, Giur.
merito, 1985, 1129, con nota di Punzi Nicolò, e Foro it., Rep. 1986,
voce Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti, n. 7; Pret.
Sapri 27 giugno 1984, Giur. it., 1986, II, 56 con nota di Spagnuolo,
e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 8; Pret. Rimini 27 agosto 1985, Dir.
eccles., 1985, II, 607, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 9; Pret. S.
Donà di Piave 5 novembre 1985, Nuovo dir., 1986, 72, con nota di Maf
fuccini e altresì' commentata da Barbieri, in Dir. eccles., 1986, II, 80,
massimata in Foro it., Rep. 1986, voce cit., n, 10. In senso sostanzial
mente convergente, in dottrina, cfr. Musselli, op. cit., 66; in argomento
si vedano anche i rilievi di Ciampi, Problemi d'interpretazione dell'art.
724 c.p. dopo le modifiche al concordato, in Cass, pen., 1987, 67 ss.
La tesi della compatibilità del reato di bestemmia con i nuovi accordi
intervenuti tra S. Sede e Italia è, invece, affermata dalla Cassazione e
da qualche pronuncia di merito: Cass. 4 febbraio 1986, Mastelloni, Cass.
pen., 1987, 62, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 5; 2 settembre 1985,
Capozzi, Cass. pen., 1987, 63; Pret. Monselice 8 novembre 1985, Dir.
eccles., 1986, II, 79, con nota di Barbieri, e Foro it., Rep. 1986, voce
cit., n. 11; Pret. Ginosa 6 dicembre 1985, ibid., n. 12.
Va inoltre segnalato che Pret. Roma, ord. 29 aprile 1986, Cass. pen.,
1987, 218, ha sollevato eccezione di costituzionalità dell'art. 724 c.p., sia in riferimento all'art. 25, 2° comma, Cost., per sopravvenuta indetermi
II Foro Italiano — 1988.
I prevenuti erano tratti a giudizio per rispondere dei reati tras
critti in epigrafe, art. 402 e 724 c.p., e all'odierno dibattimento,
interrogati gli stessi, escussi i testi, data lettura degli atti consenti
ti, p.m. e difesa concludevano come da verbale.
Motivi della decisione. — Preliminarmente questo pretore ritie
ne di dover risolvere il dubbio in merito all'esatta configurazione
giuridica dell'imputazione elevata: occorre, cioè, verificare se i
fatti addebitati agli imputati concretino la fattispecie criminosa
di cui all'art. 402 c.p. ovvero altra, ovvero nessuna, in considera
zione dei mutamenti legislativi intanto verificatisi.
II capo I del titolo IV del libro II del codice penale è intitolato
ai «delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi» e
comprende cinque articoli, di cui i primi quattro (art. 402-405)
tutelano in vario modo la religione dello Stato e/o il culto catto
lico, mentre l'art. 406 punisce i «delitti contro i culti ammessi
nello Stato».
È opinione acquisita, specie in dottrina, che le disposizioni con
tenute negli art. 402-405 c.p. creano una condizione di particola
re protezione giuridica per la religione dello Stato — peraltro
ritenuta più volte conforme alla Costituzione (cfr. Corte cost,
n. 39 del 1965, Foro it., 1965, I, 929, e, più di recente, sebbene
indirettamente, Corte cost. n. 188 del 1975 id., 1975, I, 2418) — in ispirazione ai principi politici che presiedettero alla regola
mentazione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica e alla
cui pedissequa tutela esse furono poste.
Lo statuto albertino aveva posto la parola fine alla completa
reciproca indipendenza a cui erano improntati i secolari rapporti
fra due enti sovrani e a questo nuovo regime s'ispirò sia il tratta
to 11 febbraio 1929 tra la S. Sede e l'Italia, reso esecutivo con
1. 27 maggio 1929 n. 810, il cui art. 1 recitava: «L'Italia ricono
sce e riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello statuto
del regno 4 marzo 1848 per il quale la religione cattolica apostoli
ca e romana è la sola religione dello Stato», sia il concordato
sottoscritto nella stessa data.
Com'è noto, l'intervento della Costituzione repubblicana non
ha mutato molto il panorama e se non ha costituzionalizzato il
contenuto dei c.d. patti lateranensi (art. 7, 2° comma, 2a parte,
Cost.), certamente ha attribuito rango costituzionale al principio
che i rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica abbiano
una regolamentazione di natura pattizia (art. 7 Cost.) ed impe
gnino, oltreché gli stipulanti, altresì' i rispettivi «sudditi».
Senza voler affrontare delicati problemi di ordine costituziona
le, peraltro non incidenti ai fini della presente decisione, è di tut
ta evidenza che il codice penale, datato 19 ottobre 1930 e, quindi,
posteriore ai patti, ha voluto riservare alla religione professata
dalla stragrande maggioranza dei cittadini una particolare atten
zione, infatti, ai sensi dell'art. 406 c.p. chiunque commetta con
tro un culto ammesso nello Stato quegli stessi fatti di vilipendio
preveduti e repressi dagli art. 403, 404 e 405 c.p., a tutela della
religione di Stato, è punito con pena inferiore.
La diversità di disciplina, poi, è rilevante sotto altro profilo;
cosi' se per i «culti ammessi» sono punite le offese arrecate me
diante vilipendio di persone (comb. disp. art. 406-403 c.p.) o di
cose (comb. disp. art. 406-404 c.p.) ed è represso il turbamento
natezza del precetto penale a seguito della abolizione del principio della
religione cattolica come unica religione dello Stato, sia in riferimento al
l'art. 3 Cost., per la discriminazione non più motivata tra cittadini in
ragione della fede professata. Un'altra eccezione è stata sollevata da Pret.
Trento, ord. 26 novembre 1985, Dir. eccles., 1986, II, 79, con nota di
Barbieri, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 13, per contrasto dell'art.
724 cit. con gli art. 3, 7 e 8 Cost., sotto il profilo che viene punita la
bestemmia contro la religione cattolica, e non anche quella contro i culti
non cattolici. L'intervento della Corte costituzionale, mentre è auspicato
da qualche autore (Conti, op. cit., 696 s.) è invece ritenuto superfluo
o di dubbia portata risolutrice da parte di altra dottrina (cfr. Musselli,
op. cit., 67; Fiandaca-Musco, op. cit., 326). In generale, sul complesso problema della disciplina dei reati in tema
di religione nell'ambito di un moderno diritto penale costituzionalmente
orientato, cfr. Siracusano, I delitti in materia di religione. Beni giuridici
e limiti dell'intervento penale, Milano, 1983.
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PARTE SECONDA
di funzioni religiose (comb. disp. art. 406-405 c.p.), solo la reli
gione dello Stato, viceversa, riceve una tutela tout court essendo
ne punito il vilipendio in se e per se disancorato, cioè, da ogni offesa concreta a persone o cose; in altre parole si può dire che
la nostra legge penale non punisce il vilipendio di un culto am
messo nello Stato.
Questo, in estrema sintesi, era lo schema normativo che era
di fronte al legislatore nel momento in cui con 1. 25 marzo 1985
n. 121 ha ratificato e dato esecuzione all'accordo, con protocollo
addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, con il quale sono state apportate modificazioni al concordato lateranense dell' 11
febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa sede.
Modificazioni, per i fini che qui interessano, invero radicali
poiché, ai sensi dell'art. 13, 1° comma, 1. 121/85, lo stesso con
cordato è espressamente abrogato se ed in quanto «le (sue) dispo sizioni non (sono) riprodotte nel presente testo»; cioè, sia
nell'accordo vero e proprio che nel protocollo addizionale, poi ché entrambe hanno ricevuto «piena ed intera esecuzione» dal
l'art. 2, 1° comma, 1. 121/85.
Orbene, al punto n. 1 del protocollo si legge: «Si considera
non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai patti
lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Sta
to italiano» e ciò, se sul piano costituzionale inevitabilmente im
porterà un nuovo ruolo dell'art. 7 ed una nuova linfa per l'art.
8, sul piano penalistico è evidentemente gravido di conseguenze. Di queste ultime, la prima e più vistosa è certamente che l'art.
402 c.p. ha perduto l'oggetto della sua tutela: non si può vilipen dere ciò che non esiste più nella realtà giuridica.
Invero, potrebbe dirsi che il punto 1 del protocollo afferma
che la religione cattolica non è più la sola religione dello Stato
e non che è scomparso il principio della «religione di Stato».
A parere di questo giudicante, tale interpretazione — oltre a
vacillare storicamente, perché non tiene conto delle vicissitudini
che hanno reso necessario e/o opportuno affermare che la «reli
gione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Sta
to» (art. 1 trattato 11 febbraio 1929) — finisce col vanificare
se stessa, poiché propone come religione dello Stato tutte le reli
gioni, dacché indiscriminatamente esse «sono egualmente libere
davanti alla legge» (art. 8 Cost.). Ciò senza contare che detta
interpretazione porterebbe a considerare, a contrario, abrogato l'art. 406 c.p. che tutela i culti ammessi e ad estendere a questi la speciale protezione penale garantita dagli art. 402 ss. ma fini
rebbe inevitabilmente, contro l'insormontabile ostacolo letterale
rappresentato dall'uso singolare della locuzione «religione dello
Stato» che è cosa ben diversa dal «sentimento religioso».
Riaffermata, dunque, l'esattezza della prima interpretazione, accolta da questo giudicante sulla scia di autorevole dottrina, re
sta da affermare che la religione cattolica entra a pieno titolo
nella categoria dei «culti ammessi» che diventa, ormai, da resi
duale, l'unica con cui confrontarsi.
L'art. 406 c.p., però, come visto, non punisce il vilipendio im
mediato del «culto» bensì solo talune fattispecie di attuazione
mediata dello stesso (art. 403, 404 c.p.), che nella materialità del
fatto qui in giudizio non sussistono e pertanto gli imputati vanno
mandati assolti.
Questa, in tutta coscienza, è l'unica interpretazione che possa evincersi dall'attuale quadro normativo.
Ma il fatto tipico non sussiste anche sotto altro e più radicale
aspetto, cioè sotto il profilo stesso del vilipendio. Questo termi
ne, nel linguaggio comune — al quale l'interprete deve rifarsi
per volontà della stessa legge (art. 12, 1° comma, preleggi) —
significa: schernire, disprezzare, tenere a vile — nella specie —
i valori etico spirituali della religione cattolica.
A questo giudicante, invero, non pare che nei disegni e nelle
frasi di cui all'imputazione (peraltro, pedissequa riproduzione di
due «vignette» del noto umorista Giuliano apparse sulla rivista
«Frezeer» del 9 dicembre 1985, si possa ravvisare quel dileggio di cui s'è detto e che, comunque, deve corrispondere non ad un
sentire soggettivo bensì a quello come oggettivamente è venuto
a formarsi nella coscienza di un popolo in un dato momento
storico.
Il Foro Italiano — 1988.
Il Cristo — raffigurato fra i due ladroni — in dette «vignette»
rappresenta i valori universali di amore, tolleranza e fratellanza
che, secondo l'idea dell'umorista, sono traditi, da un lato, da
quelle forze politiche che amano definirsi cristiane, dall'altro, dal
modus vivendi perbenista che cela la propria ipocrisia dietro la
professione di comodo di una agiografica fede cattolica.
Che tali concetti siano stati raffigurati attraverso una metafora
è evidente, e lo è per un duplice ordine di motivi:
a) innanzitutto perché un'opinione di Gesù Cristo sull'operato
del ministro della pubblica istruzione, sen. F. Falcucci, è storica
mente quanto meno. . . improbabile («La Falcucci mi fa: E tu
che cazzo vuoi? A 33 anni pretendi ancora il diritto allo studio?
Allora ha chiamato la polizia. Io ho urlato 'Forza ragazzi' e mi
sono lanciato a testa bassa. Ma mi hanno preso e frustato. Gli
apostoli se l'erano date a gambe e tutti gli altri del movimento
avevano organizzato un sit-in pro Barabba. Caro mio fare il Ge
sù Cristo è un mestieraccio. . .»)
b) secondariamente, poi, era proprio in animo del Cristo evan
gelico «sobillare le folle» nel sedimento culturale più profondo,
creando un movimento universale ispirato ad un'attiva, più che
contemplativa, spiritualità, che realizzasse il dettato «ama il pros simo tuo come te stesso».
Cosi, semmai fosse possibile e semmai ve ne fosse bisogno, il Cristo, a parere di questo giudice, esce esaltato, dalla seconda
vignetta, nel suo splendore e nella sua purezza più profonda, pur se continuamente attaccato, come in origine, dai «mercanti nel
tempio» (il secondo cartello, infatti, raffigura due personaggi e
la seguente dicitura: «Gesù Cristo aveva ormai 33 anni e quindi la sua vocazione alla contestazione giovanile puzzava. Anche gli
apostoli erano gente di mezza età e quindi come movimento non
stava in piedi. A 33 anni uno deve avere il suo posto di lavoro
e la sua famiglia e non andare in giro per la Galilea a sobillare
le folle. Se veramente era figlio di Dio era un figlio molto vizia
to. L'abbiamo crocifisso per il suo bene. Quindi ogni volta che
torna lo inchiodiamo»). Altresì' evidente è, infine, che il linguaggio usato nella prima
«vignetta» è differente da quello della seconda e ciò per l'ovvio
motivo che tanto i destinatari, quanto gli argomenti affrontati
sono dissimili: nella prima sono i giovani e ben si adatta ad essi
un idioma scarno, simbolico, fatto, come suol dirsi, d'immagini, a volte anche rude ma, comunque, abbastanza efficace — nella
specie — a rappresentare il disagio di chi ad una richiesta di com
prensione ritiene — in una libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) — d'aver ottenuto una risposta di repressione. Mentre,
d'altro canto, «gli apostoli che se l'erano date a gambe» risponde certamente alla verità storica rappresentata dal «tradimento» di
Pietro. Nella seconda vignetta, invece, il linguaggio è quello con
formista, quasi asettico, con intonature saccenti, idoneo a para frasare — a parere dell'autore — il contegno che la gerarchia ebraica effettivamente tenne e sulla cui ipocrisia, come su quella di parte del popolo, il sacrificio del Cristo trionfa, fortunatamen
te, ormai da duemila anni.
Altro che vilipendio! Altro che bestemmie! Da una analisi ra
zionale ed un minimo attenta emerge, al contrario, un profondo
segno d'amore verso il Cristo e l'intero messaggio evangelico.
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