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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 18 giugno 1987; Giud. Schiavone; imp. Morroni e...

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sentenza 18 giugno 1987; Giud. Schiavone; imp. Morroni e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 415/416-419/420 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179711 . Accessed: 25/06/2014 04:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 04:34:17 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 18 giugno 1987; Giud. Schiavone; imp. Morroni e altri

sentenza 18 giugno 1987; Giud. Schiavone; imp. Morroni e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.415/416-419/420Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179711 .

Accessed: 25/06/2014 04:34

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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PARTE SECONDA

dei prevenuti sia presente il dolus malus; tale decisione, confer

mata anche sul punto dalla Suprema corte, ha per cosi dire con

ferito nuova dignità all'errore su leggi diverse dalla legge penale

(art. 47, ultimo comma, c.p.), errore che nella prevalente giuris

prudenza non trovava quasi più spazio, compresso com'era dalla

rigida applicazione della regula iuris di cui all'art. 5 c.p. («Nessu no può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale»), dato che pressoché tutte le norme venivano per un verso o per l'altro ritenute integratrici del precetto penale;

3) senonché, a parere del giudicante, il proscioglimento della

prevenuta deve avere contenuto più ampio di quello testé esami

nato, nel senso che, contrariamente a quanto ritenuto del Pretore

di Taranto, è proprio l'abuso che non sussiste; ed invero, la com

petenza — nel senso, ovviamente, di attribuzione giuridica e non

di capacità professionale — del medico ad eseguire analisi venne

legislativamente riconosciuta nel testo unico delle leggi sanitarie

approvato con r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 (art. 83 e 193); anzi, in riferimento a quest'ultima norma, che disciplinava i «gabinetti di analisi per il pubblico», con circolare del ministro dell'interno

(all'epoca competente in campo sanitario) fu chiarito che le pre scritte autorizzazioni potevano essere rilasciate soltanto a laureati

in medicina e chirurgia; per quanto riguarda i laboratori di anali

si incorporati negli ospedali pubblici, poi, l'art. 16 d.p.r. 27 mar

zo 1969 n. 128 stabilisce che il personale addetto a tali laboratori

deve necessariamente comprendere un primario (o due o tre a

seconda della grandezza dell'ospedale), almeno un posto di aiuto

ed almeno un posto di assistente, e questa dotazione organica è stata conservata anche con l'istituzione del servizio sanitario

nazionale avvenuta con la 1. 23 dicembre 1978 n. 833; dei gabi netti di analisi, infine, si è approfonditamente occupata la presi denza del consiglio dei ministri con decreto 10 febbraio 1984,

precisando che sono «presidi diagnostici di laboratorio quelle strut

ture denominate laboratori di analisi cliniche aperte al pubblico, di natura pubblica o privata, che eseguono, oltre a prelievi ed

eventuali somministrazioni per prove funzionali, indagini su ma

teriale proveniente dal corpo umano dirette a fornire risultati ana

litici o risultati analitici con giudizi diagnostici» e suddividendo quelli privati in laboratori generali di base, laboratori specializza ti e laboratori generali con settori specializzati (art. 3); quanto alla struttura del personale, poi, il decreto prevede quale diretto

re dei primi un medico o un biologo, nonché un collaboratore

laureato in medicina, biologia o chimica, disponendo, significati

vamente, che se il direttore è un biologo, tra i collaboratori vi

deve essere necessariamente un laureato in medicina; Io stesso

vale, ovviamente, per i laboratori specializzati, con ribadimento

del principio generale che il presidio può essere strutturalmente

composto da soli laureati in medicina, ma non da soli biologi o chimici;

4) nella sentenza invocata dai biologi si puntualizza più volte

che la competenza dei laureati in medicina ad eseguire analisi,

pacifica fino al 1957 poiché normativamente prevista dal cit. t.u.

1265/34 e poiché con r.d. 4 giugno 1938 n. 1269 era stato pre scritto che nell'esame di Stato il candidato all'abilitazione doves

se esporre quali ricerche di laboratorio fossero eventualmente

richieste nel caso sottopostogli, indicandone il rispettivo signifi cato semiologico ed eseguendo quelle ricerche che la commissione

avesse ritenuto opportune, sarebbe venuta meno per il fatto che

nel decreto del ministro della pubblica istruzione 9 settembre 1954

n. 274 non è più prevista, ossia «scompare dall'esame di abilita

zione e quindi non costituisce più oggetto di specifica valutazione

di capacità professionale ai fini abilitativi la prova consistente

nell'esecuzione di ricerche di laboratorio»; a tale argomentazione è stato acutamente opposto che il decreto ministeriale summen

zionato non prevede neppure l'esecuzione da parte del candidato

di prove di radiologia, anestesia, ecc. e non per questo potrebbe affermarsi che il laureato in medicina — ovviamente provvisto del diploma di specializzazione — non sia abilitato a fare il ra

diologo, l'anestesista, ecc. (parere pro ventate del prof. aw. Franco

Gaetano Scoca d.d. 8 marzo 1985, inedito, formulato su richiesta

dell'Associazione italiana patologi clinici);

5) quanto all'aspetto più prettamente giuridico, infine, deve ri

II Foro Italiano — 1988.

levarsi che, contrariamente a quanto ritenuto nella più volte men

zionata sentenza del Pretore di Taranto, non vi è stata «a far

tempo dal 1967. . . una stratificazione di norme solo sostanziali

del legislatore meteriale in contrasto con la legge formale»; è sfug

gito, infatti, a quel pretore che il d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128, il quale, come si è visto sub 3, determina quale debba essere la

dotazione organica dei laboratori di analisi degli ospedali, non

è norma secondaria in contrasto con la legge formale, ma è legge formale esso stesso in quanto emanato per delega conferita ex

art. 40 1. 12 febbraio 1968 n. 132 («il governo della repubbli ca. .. è autorizzato ad emanare. . . uno o più decreti aventi for

za di legge ordinaria nelle seguenti materie: 1) ordinamento interno

dei servizi ospedalieri; omissis»); né può condividersi l'assunto

che la direzione del laboratorio di analisi degli ospedali sia «chia ramente preordinata all'organizzazione interna. . . ed implichi sol

tanto che il servizio di analisi, siccome costituente una divisione

dell'ospedale, venga diretto come tutte le altre divisioni da un

sanitario avente la qualifica di primario, al quale incombono le

specifiche attribuzioni di ordine tecnico-amministrativo»; se pur ciò fosse vero (ma non lo è già per il fatto che al primario spetta no funzioni di indirizzo e facoltà di avocazione — art. 63 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761) non si comprenderebbe, infatti, quali funzioni dovrebbero svolgere, se non appunto quelle di analisi,

gli aiuti e gli assistenti, medici anch'essi, la cui presenza nell'or

ganico è obbligatoriamente statuita, tanto più che negli ospedali

regionali o provinciali, nei quali il servizio di analisi chimico cliniche e microbiologiche sia articolato in più settori, ciascun

settore può essere affidato a un direttore biologo o chimico, ov

vero ad un aiuto che abbia conseguito la relativa idoneità; un'ul

tima conferma di quanto fin qui detto si rinviene nell'art. 45 d.p.r. 761/79 citato, a sua volta emanato per delega ex art. 47 1. 23

dicembre 1978 n. 833, nel quale è previsto che il personale medi

co possa, per finalità di aggiornamento tecnico-scientifico, chie

dere il comando per periodi di tempo determinati presso centri, istituti e laboratori.

Concludendo, la dottoressa Mayr ha esercitato ed esercita l'at

tività di analista nel laboratorio dell'ospedale di Brunico del tutto

legittimamente ed il reato addebitatole non sussiste.

PRETURA DI VOLTERRA; sentenza 18 giugno 1987; Giud.

Schiavone; imp. Morroni e altri.

PRETURA DI VOLTERRA; !

Religione e culti (delitti contro la) — Vilipendio della religione dello Stato — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 402, 406, 724).

L'esposizione durante la «Festa dell'Unità» di due cartelli satiri

ci, le cui frasi e immagini — al di là dell'apparenza vilipendio sa e oltraggiosa — sottolineano ed esaltano in forma metaforica e congrua i valori universali di amore, tolleranza, fratellanza e la spiritualità attiva impersonati dal Cristo evangelico, non

costituisce condotta tipica di vilipendio ai sensi dell'art. 402 c.p. — rectius: ai sensi dell'art. 406 c.p., nella cui previsione

ogni fatto di vilipendio della religione deve essere oggi ricom

preso a seguito della affermazione di principio contenuta nel

protocollo addizionale all'accordo 18 febbraio 1984 fra lo Sta

to italiano e la Santa Sede, secondo cui «si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai patti late ranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato

italiano» —, né fatto integrante gli estremi della contravven

zione di cui all'art. 724 c.p. (1)

(1) La sentenza si segnala all'attenzione perché affronta il complesso problema della sopravvivenza delle norme di cui agli art. da 402 a 406

c.p. a seguito del radicale mutamento di disciplina verificatosi con la

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GIURISPRUDENZA PENALE

Fatto e svolgimento del processo. — Con rapporto giudiziario

della locale compagnia dei carabinieri Moroni Sauro, Serenari

Edoardo e Gherardini Francesco erano denunciati perché, in qualità

di organizzatori della «Festa dell'Unità» di Castelnuovo V.C. ave

vano esposto o concorso ad esporre in una pubblica manifesta

zione dei cartelli satirici le cui frasi ed immagini vilipendevano

la religione dello Stato e contenevano bestemmie contro la divini

tà o i simboli venerati nella religione dello Stato.

1. 121/85, la quale ha reso esecutivo l'accordo di modifiche al concordato

lateranense 18 febbraio 1984 e, contemporaneamente, il protocollo addi

zionale, il cui n. 1 espressamente stabilisce: «si considera non più in vigo re il principio, originariamente richiamato dai patti lateranensi, della

religione cattolica come sola religione dello Stato italiano». Che l'aboli

zione del predetto principio sia tale da incidere anche sulla vigente disci

plina dei reati contenuti nel titolo quarto del libro secondo del codice, nonché sull'attuale configurazione del reato di cui all'art. 724 c.p., è pa cifico: si controverte soltanto circa la scelta della soluzione interpretativa

più corretta.

a) La tesi accolta nella pronuncia in rassegna, secondo la quale la fatti

specie di cui all'art. 406 c.p., relativa ai delitti contro i culti ammessi

nello Stato, da ipotesi «residuale» si è ormai trasformata in ipotesi «chia

ve» dell'intero titolo quarto, è stata esplicitamente sostenuta in preceden za da Giud. istr. Trib. Bologna 27 luglio 1985, Giur. merito, 1985, 1129, con nota critica di Punzi Nicolò, e Foro it., Rep. 1986, voce Religione e culti (delitti contro la), n. 1, e da Pret. Avezzano 5 febbraio 1986, Giust. civ., 1986, I, 1508, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 2. Anche

a volerla ritenere in linea di principio come preferibile la tesi in parola si espone tuttavia a un rilievo critico: e cioè, nel nuovo contesto normati

vo venutosi a delineare non sembra avere più senso la maggior pena che

gli art. 403, 404 e 405, quali fattispecie richiamate dall'art. 406 con fun

zione specificativa dei fatti idonei a offendere i culti ammessi nello Stato,

prevedono in relazione ai fatti offensivi della religione cattolica (cfr.

Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 1988, 326). Secondo un altro orientamento, sostenuto in dottrina (Punzi Nicolò,

op. cit., 1135 ss.), dovrebbe invece pervenirsi a una conclusione opposta: la tutela speciale riservata dall'art. 402 alla sola religione cattolica do

vrebbe, cioè, essere estesa quantomeno a quelle formazioni sociali a ca

rattere religioso, che possono legittimamente considerarsi «confessioni».

Una analoga soluzione è anche prospettata, sia pure in linea astratta e

in termini assai problematici, da L. Conti, Nota aggiuntiva ai delitti con

tro il sentimento religioso, in Antolisei, Manuale di diritto penale, 9a

ed. a cura di L. Conti, Milano, 1986, 969 s.

In ogni caso, è auspicata una riforma legislativa intesa a riportare chia

rezza e ordine in questa materia: cfr., in questo senso, Fiandaca-Musco,

op. cit., 327; Conti, op. cit., 697; Muselli, Esiste ancora il reato di

bestemmia?, in Cass, pen., 1987, 67.

Sulla casistica giurisprudenziale in tema di vilipendio della religione, cfr. Crespi-Stella-Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Pado

va, 1986, 677 ss. In dottrina, per una critica dei tradizionali orientamenti

giurisprudenziali, si veda Pulitanò, Spunti critici in tema di vilipendio della religione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1969, 194 ss.

ti) Quanto all'ulteriore problema della sopravvivenza della contravven

zione preveduta dall'art. 724 c.p., che l'organo giudicante per la verità

non affronta in maniera esplicita, la tesi negativa è sostenuta dalla preva lente giurisprudenza di merito: cfr. Pret. Viareggio 22 giugno 1985, Giur.

merito, 1985, 1129, con nota di Punzi Nicolò, e Foro it., Rep. 1986,

voce Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti, n. 7; Pret.

Sapri 27 giugno 1984, Giur. it., 1986, II, 56 con nota di Spagnuolo,

e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 8; Pret. Rimini 27 agosto 1985, Dir.

eccles., 1985, II, 607, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 9; Pret. S.

Donà di Piave 5 novembre 1985, Nuovo dir., 1986, 72, con nota di Maf

fuccini e altresì' commentata da Barbieri, in Dir. eccles., 1986, II, 80,

massimata in Foro it., Rep. 1986, voce cit., n, 10. In senso sostanzial

mente convergente, in dottrina, cfr. Musselli, op. cit., 66; in argomento

si vedano anche i rilievi di Ciampi, Problemi d'interpretazione dell'art.

724 c.p. dopo le modifiche al concordato, in Cass, pen., 1987, 67 ss.

La tesi della compatibilità del reato di bestemmia con i nuovi accordi

intervenuti tra S. Sede e Italia è, invece, affermata dalla Cassazione e

da qualche pronuncia di merito: Cass. 4 febbraio 1986, Mastelloni, Cass.

pen., 1987, 62, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 5; 2 settembre 1985,

Capozzi, Cass. pen., 1987, 63; Pret. Monselice 8 novembre 1985, Dir.

eccles., 1986, II, 79, con nota di Barbieri, e Foro it., Rep. 1986, voce

cit., n. 11; Pret. Ginosa 6 dicembre 1985, ibid., n. 12.

Va inoltre segnalato che Pret. Roma, ord. 29 aprile 1986, Cass. pen.,

1987, 218, ha sollevato eccezione di costituzionalità dell'art. 724 c.p., sia in riferimento all'art. 25, 2° comma, Cost., per sopravvenuta indetermi

II Foro Italiano — 1988.

I prevenuti erano tratti a giudizio per rispondere dei reati tras

critti in epigrafe, art. 402 e 724 c.p., e all'odierno dibattimento,

interrogati gli stessi, escussi i testi, data lettura degli atti consenti

ti, p.m. e difesa concludevano come da verbale.

Motivi della decisione. — Preliminarmente questo pretore ritie

ne di dover risolvere il dubbio in merito all'esatta configurazione

giuridica dell'imputazione elevata: occorre, cioè, verificare se i

fatti addebitati agli imputati concretino la fattispecie criminosa

di cui all'art. 402 c.p. ovvero altra, ovvero nessuna, in considera

zione dei mutamenti legislativi intanto verificatisi.

II capo I del titolo IV del libro II del codice penale è intitolato

ai «delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi» e

comprende cinque articoli, di cui i primi quattro (art. 402-405)

tutelano in vario modo la religione dello Stato e/o il culto catto

lico, mentre l'art. 406 punisce i «delitti contro i culti ammessi

nello Stato».

È opinione acquisita, specie in dottrina, che le disposizioni con

tenute negli art. 402-405 c.p. creano una condizione di particola

re protezione giuridica per la religione dello Stato — peraltro

ritenuta più volte conforme alla Costituzione (cfr. Corte cost,

n. 39 del 1965, Foro it., 1965, I, 929, e, più di recente, sebbene

indirettamente, Corte cost. n. 188 del 1975 id., 1975, I, 2418) — in ispirazione ai principi politici che presiedettero alla regola

mentazione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica e alla

cui pedissequa tutela esse furono poste.

Lo statuto albertino aveva posto la parola fine alla completa

reciproca indipendenza a cui erano improntati i secolari rapporti

fra due enti sovrani e a questo nuovo regime s'ispirò sia il tratta

to 11 febbraio 1929 tra la S. Sede e l'Italia, reso esecutivo con

1. 27 maggio 1929 n. 810, il cui art. 1 recitava: «L'Italia ricono

sce e riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello statuto

del regno 4 marzo 1848 per il quale la religione cattolica apostoli

ca e romana è la sola religione dello Stato», sia il concordato

sottoscritto nella stessa data.

Com'è noto, l'intervento della Costituzione repubblicana non

ha mutato molto il panorama e se non ha costituzionalizzato il

contenuto dei c.d. patti lateranensi (art. 7, 2° comma, 2a parte,

Cost.), certamente ha attribuito rango costituzionale al principio

che i rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica abbiano

una regolamentazione di natura pattizia (art. 7 Cost.) ed impe

gnino, oltreché gli stipulanti, altresì' i rispettivi «sudditi».

Senza voler affrontare delicati problemi di ordine costituziona

le, peraltro non incidenti ai fini della presente decisione, è di tut

ta evidenza che il codice penale, datato 19 ottobre 1930 e, quindi,

posteriore ai patti, ha voluto riservare alla religione professata

dalla stragrande maggioranza dei cittadini una particolare atten

zione, infatti, ai sensi dell'art. 406 c.p. chiunque commetta con

tro un culto ammesso nello Stato quegli stessi fatti di vilipendio

preveduti e repressi dagli art. 403, 404 e 405 c.p., a tutela della

religione di Stato, è punito con pena inferiore.

La diversità di disciplina, poi, è rilevante sotto altro profilo;

cosi' se per i «culti ammessi» sono punite le offese arrecate me

diante vilipendio di persone (comb. disp. art. 406-403 c.p.) o di

cose (comb. disp. art. 406-404 c.p.) ed è represso il turbamento

natezza del precetto penale a seguito della abolizione del principio della

religione cattolica come unica religione dello Stato, sia in riferimento al

l'art. 3 Cost., per la discriminazione non più motivata tra cittadini in

ragione della fede professata. Un'altra eccezione è stata sollevata da Pret.

Trento, ord. 26 novembre 1985, Dir. eccles., 1986, II, 79, con nota di

Barbieri, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 13, per contrasto dell'art.

724 cit. con gli art. 3, 7 e 8 Cost., sotto il profilo che viene punita la

bestemmia contro la religione cattolica, e non anche quella contro i culti

non cattolici. L'intervento della Corte costituzionale, mentre è auspicato

da qualche autore (Conti, op. cit., 696 s.) è invece ritenuto superfluo

o di dubbia portata risolutrice da parte di altra dottrina (cfr. Musselli,

op. cit., 67; Fiandaca-Musco, op. cit., 326). In generale, sul complesso problema della disciplina dei reati in tema

di religione nell'ambito di un moderno diritto penale costituzionalmente

orientato, cfr. Siracusano, I delitti in materia di religione. Beni giuridici

e limiti dell'intervento penale, Milano, 1983.

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PARTE SECONDA

di funzioni religiose (comb. disp. art. 406-405 c.p.), solo la reli

gione dello Stato, viceversa, riceve una tutela tout court essendo

ne punito il vilipendio in se e per se disancorato, cioè, da ogni offesa concreta a persone o cose; in altre parole si può dire che

la nostra legge penale non punisce il vilipendio di un culto am

messo nello Stato.

Questo, in estrema sintesi, era lo schema normativo che era

di fronte al legislatore nel momento in cui con 1. 25 marzo 1985

n. 121 ha ratificato e dato esecuzione all'accordo, con protocollo

addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, con il quale sono state apportate modificazioni al concordato lateranense dell' 11

febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa sede.

Modificazioni, per i fini che qui interessano, invero radicali

poiché, ai sensi dell'art. 13, 1° comma, 1. 121/85, lo stesso con

cordato è espressamente abrogato se ed in quanto «le (sue) dispo sizioni non (sono) riprodotte nel presente testo»; cioè, sia

nell'accordo vero e proprio che nel protocollo addizionale, poi ché entrambe hanno ricevuto «piena ed intera esecuzione» dal

l'art. 2, 1° comma, 1. 121/85.

Orbene, al punto n. 1 del protocollo si legge: «Si considera

non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai patti

lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Sta

to italiano» e ciò, se sul piano costituzionale inevitabilmente im

porterà un nuovo ruolo dell'art. 7 ed una nuova linfa per l'art.

8, sul piano penalistico è evidentemente gravido di conseguenze. Di queste ultime, la prima e più vistosa è certamente che l'art.

402 c.p. ha perduto l'oggetto della sua tutela: non si può vilipen dere ciò che non esiste più nella realtà giuridica.

Invero, potrebbe dirsi che il punto 1 del protocollo afferma

che la religione cattolica non è più la sola religione dello Stato

e non che è scomparso il principio della «religione di Stato».

A parere di questo giudicante, tale interpretazione — oltre a

vacillare storicamente, perché non tiene conto delle vicissitudini

che hanno reso necessario e/o opportuno affermare che la «reli

gione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Sta

to» (art. 1 trattato 11 febbraio 1929) — finisce col vanificare

se stessa, poiché propone come religione dello Stato tutte le reli

gioni, dacché indiscriminatamente esse «sono egualmente libere

davanti alla legge» (art. 8 Cost.). Ciò senza contare che detta

interpretazione porterebbe a considerare, a contrario, abrogato l'art. 406 c.p. che tutela i culti ammessi e ad estendere a questi la speciale protezione penale garantita dagli art. 402 ss. ma fini

rebbe inevitabilmente, contro l'insormontabile ostacolo letterale

rappresentato dall'uso singolare della locuzione «religione dello

Stato» che è cosa ben diversa dal «sentimento religioso».

Riaffermata, dunque, l'esattezza della prima interpretazione, accolta da questo giudicante sulla scia di autorevole dottrina, re

sta da affermare che la religione cattolica entra a pieno titolo

nella categoria dei «culti ammessi» che diventa, ormai, da resi

duale, l'unica con cui confrontarsi.

L'art. 406 c.p., però, come visto, non punisce il vilipendio im

mediato del «culto» bensì solo talune fattispecie di attuazione

mediata dello stesso (art. 403, 404 c.p.), che nella materialità del

fatto qui in giudizio non sussistono e pertanto gli imputati vanno

mandati assolti.

Questa, in tutta coscienza, è l'unica interpretazione che possa evincersi dall'attuale quadro normativo.

Ma il fatto tipico non sussiste anche sotto altro e più radicale

aspetto, cioè sotto il profilo stesso del vilipendio. Questo termi

ne, nel linguaggio comune — al quale l'interprete deve rifarsi

per volontà della stessa legge (art. 12, 1° comma, preleggi) —

significa: schernire, disprezzare, tenere a vile — nella specie —

i valori etico spirituali della religione cattolica.

A questo giudicante, invero, non pare che nei disegni e nelle

frasi di cui all'imputazione (peraltro, pedissequa riproduzione di

due «vignette» del noto umorista Giuliano apparse sulla rivista

«Frezeer» del 9 dicembre 1985, si possa ravvisare quel dileggio di cui s'è detto e che, comunque, deve corrispondere non ad un

sentire soggettivo bensì a quello come oggettivamente è venuto

a formarsi nella coscienza di un popolo in un dato momento

storico.

Il Foro Italiano — 1988.

Il Cristo — raffigurato fra i due ladroni — in dette «vignette»

rappresenta i valori universali di amore, tolleranza e fratellanza

che, secondo l'idea dell'umorista, sono traditi, da un lato, da

quelle forze politiche che amano definirsi cristiane, dall'altro, dal

modus vivendi perbenista che cela la propria ipocrisia dietro la

professione di comodo di una agiografica fede cattolica.

Che tali concetti siano stati raffigurati attraverso una metafora

è evidente, e lo è per un duplice ordine di motivi:

a) innanzitutto perché un'opinione di Gesù Cristo sull'operato

del ministro della pubblica istruzione, sen. F. Falcucci, è storica

mente quanto meno. . . improbabile («La Falcucci mi fa: E tu

che cazzo vuoi? A 33 anni pretendi ancora il diritto allo studio?

Allora ha chiamato la polizia. Io ho urlato 'Forza ragazzi' e mi

sono lanciato a testa bassa. Ma mi hanno preso e frustato. Gli

apostoli se l'erano date a gambe e tutti gli altri del movimento

avevano organizzato un sit-in pro Barabba. Caro mio fare il Ge

sù Cristo è un mestieraccio. . .»)

b) secondariamente, poi, era proprio in animo del Cristo evan

gelico «sobillare le folle» nel sedimento culturale più profondo,

creando un movimento universale ispirato ad un'attiva, più che

contemplativa, spiritualità, che realizzasse il dettato «ama il pros simo tuo come te stesso».

Cosi, semmai fosse possibile e semmai ve ne fosse bisogno, il Cristo, a parere di questo giudice, esce esaltato, dalla seconda

vignetta, nel suo splendore e nella sua purezza più profonda, pur se continuamente attaccato, come in origine, dai «mercanti nel

tempio» (il secondo cartello, infatti, raffigura due personaggi e

la seguente dicitura: «Gesù Cristo aveva ormai 33 anni e quindi la sua vocazione alla contestazione giovanile puzzava. Anche gli

apostoli erano gente di mezza età e quindi come movimento non

stava in piedi. A 33 anni uno deve avere il suo posto di lavoro

e la sua famiglia e non andare in giro per la Galilea a sobillare

le folle. Se veramente era figlio di Dio era un figlio molto vizia

to. L'abbiamo crocifisso per il suo bene. Quindi ogni volta che

torna lo inchiodiamo»). Altresì' evidente è, infine, che il linguaggio usato nella prima

«vignetta» è differente da quello della seconda e ciò per l'ovvio

motivo che tanto i destinatari, quanto gli argomenti affrontati

sono dissimili: nella prima sono i giovani e ben si adatta ad essi

un idioma scarno, simbolico, fatto, come suol dirsi, d'immagini, a volte anche rude ma, comunque, abbastanza efficace — nella

specie — a rappresentare il disagio di chi ad una richiesta di com

prensione ritiene — in una libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) — d'aver ottenuto una risposta di repressione. Mentre,

d'altro canto, «gli apostoli che se l'erano date a gambe» risponde certamente alla verità storica rappresentata dal «tradimento» di

Pietro. Nella seconda vignetta, invece, il linguaggio è quello con

formista, quasi asettico, con intonature saccenti, idoneo a para frasare — a parere dell'autore — il contegno che la gerarchia ebraica effettivamente tenne e sulla cui ipocrisia, come su quella di parte del popolo, il sacrificio del Cristo trionfa, fortunatamen

te, ormai da duemila anni.

Altro che vilipendio! Altro che bestemmie! Da una analisi ra

zionale ed un minimo attenta emerge, al contrario, un profondo

segno d'amore verso il Cristo e l'intero messaggio evangelico.

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