sezione I penale; sentenza 26 ottobre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (concl.diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo, ord. 2 giugno 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.165/166-169/170Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179640 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
cui risultano affetti alcuni atti preparatori del provvedimento am
ministrativo, considerato: a) che la procedura posta in essere dal
l'amministrazione penitenziaria per qualificare il silenzio
dell'autorità giudiziaria procedente derivante dalla mancata risposta nei termini alla richiesta di parere non appare legittimata da alcu
na norma di legge; b) che, conseguentemente, il provvedimento definitivo venne adottato senza che fossero acquisiti tutti i pre scritti pareri, acquisizione necessaria ai sensi del 2°, 3° e 4° com
ma dell'art. 14 bis 1. penit.; c) che alcuni di essi sono stati espressi senza motivazione; d) che in mancanza di un'esplicita previsione
legislativa su chi debba materialmente esprimere il parere quando l'autorità giudiziaria procedente è un collegio, ad esprimere il pa rere dovrebbe essere il collegio e, comunque, ricorrendo all'ana
logia con l'art. 11, 2° comma, 1. penit., il presidente della corte
di assise (e della corte di assise d'appello) potrebbe essere autoriz
zato solo dopo la convocazione della corte stessa e non quando
questa non è riunita in sessione, dovendo in tal caso provvedere, secondo i principi generali, il tribunale o la corte d'appello (o la sezione istruttoria o il presidente della corte di appello).
I vizi di cui sopra, pur riguardando atti preparatori e non l'at
to definitivo del procedimento, sono suscettibili di ripercuotersi sull'atto definitivo, sotto il profilo della insufficienza e contrad
dittorietà della motivazione del medesimo, sostanziale vizio da
cui è affetto, ad avviso del collegio, il provvedimento in esame.
Questo tribunale condivide la perplessità del p.g. sulla possibi lità di motivare per relationem ad altro provvedimento non defi
nitivo, in quanto l'acquisizione, successiva a tale ultimo
provvedimento, dei pareri necessari e delle segnalazioni di cui al
5° comma dell'art. 14 bis può comportare modifiche o integra zioni delle motivazioni espresse nel provvedimento non definitivo
e in quanto, comunque, la motivazione del provvedimento ammi
nistrativo può dirsi completa e sufficiente solo quando siano stati
acquisiti tutti gli elementi preparatori dell'atto. Prende, ad ogni
modo, atto che la giurisprudenza amministrativa prevalente è nel
senso di ritenere ammissibile la motivazione aliunde, che si ricava
facendo ricorso ad altro provvedimento ed agli atti del proce
dimento.
Nel caso in esame, tuttavia, essendo i pareri acquisiti sprovvisti di motivazione e comunque viziati da nullità, il giudizio deve fon
darsi esclusivamente sulle motivazioni contenute nel provvedimento
provvisorio del 21 gennaio 1987; dal quale si evince che è stata
ravvisata la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione del regime di sorveglianza particolare: 1) nel ritrovamento, nel
covo ove il Senzani è stato arrestato, di un documento contenen
te un piano di attacco nel carcere di Verona; 2) nel non essere
rientrato dal passeggio il 13 giugno 1984, a seguito di protesta insieme ad altri detenuti che sostenevano di non essere stati senti
ti dal magistrato di sorveglianza; 3) nell'aver rotto un vetro per
protesta il 3 aprile 1985; 4) nell'essere stato trovato il 12 dicem
bre 1985 «in piedi sul tavolo intento a cronometrare il tempo
impiegato dalla sentinella da una garitta e l'altra»; 5) nell'essere
stato udito il 23 dicembre 1985 pronunciare previsioni su un evento
pregiudizievole per l'ordine, la sicurezza e la disciplina della casa
circondariale ove era ristretto.
Non sembra che dai dati di fatto ora esposti sia possibile argui re la sussistenza, almeno nel momento attuale, di comportamenti tali da compromettere la sicurezza e turbare l'ordine negli istituti
né comportamenti violenti e minacciosi volti ad impedire le atti
vità degli altri detenuti o internati, né comportamenti diretti a
far valere lo stato di soggezione degli altri detenuti nei suoi con
fronti.
Va premesso che il legislatore del 1986, nell'abrogare il regime
di cui all'art. 90 1. 354/75, ha voluto condizionare l'applicazione
di un regime detentivo speciale a persone ritenute particolarmen
te pericolose, sulla base di concreti comportamenti che non pos
sono che essere attuali (altrimenti non si spiegherebbe la scadenza
semestrale o trimestrale del regime) o sulla base del permanere
in un atteggiamento minaccioso o pericoloso.
Orbene, dagli accertamenti esperiti, non risulta che il reclamante
abbia tenuto un comportamento tale da giustificare l'adozione
di un provvedimento di sorveglianza particolare e, tanto meno,
in via di urgenza. Risulta infatti, che il Senzani, ristretto presso la casa circonda
riale di Roma Rebibbia dal 9 giugno 1986 e fino al 25 febbraio
1987, non ha posto in essere in tale periodo comportamenti tali
da compromettere la sicurezza e da turbare l'ordine dell'istituto
penitenziario, né risulta aver riportato sanzioni disciplinari; che
Il Foro Italiano — 1988.
fino all'adozione del provvedimento amministrativo reclamato, il suo regime detentivo comportava soltanto una vigilanza più
intensa, riguardante peraltro tutta la sezione 07, rispetto ai dete
nuti ristretti in altre sezioni; che per tutto il periodo di cui sopra ha frequentato tutti i detenuti presenti nella sua sezione; che è
sembrato aver assunto una posizione di leader rispetto ad un grup
po di detenuti, ma non risulta che si sia avvalso di un eventuale
stato di soggezione di costoro nei suoi confronti, né che ne abbia
compresso l'attività.
In conclusione, pertanto, l'amministrazione penitenziaria, nel
l'elencare determinati comportamenti passati del detenuto (alcuni dei quali, peraltro, desunti da elementi indiziari e altri che non
sembrano andare al di là di una infrazione disciplinare), con l'a
dozione attuale del provvedimento, dà per scontato ciò che inve
ce dovrebbe essere dimostrato e che, anzi, le notizie acquisite dall'istituto penitenziario sembrerebbero smentire: l'assenza di una
evoluzione dell'atteggiamento del soggetto nei confronti delle isti
tuzioni e la esasperazione di un atteggiamento conflittuale e sov
vertitore. Ed è qui che si ravvisa il travisamento dei fatti, la
insufficienza e la contraddittorità della motivazione del provvedi mento il quale, allo stato, non viene, sostanzialmente, a modifi
care il regime detentivo del reclamante, ma si risolve in una
ingiustificata limitazione dell'esercizio di taluni diritti (colloqui e telefonate con i familiari), adottata, per di più, in via di urgen
za, senza che ne ricorressero i presupposti e senza che, peraltro,
possano ritenersi soddisfatte quelle esigenze cautelari alla base
della previsione dell'art. 14 bis.
L'atto amministrativo risulta, pertanto, viziato da eccesso di
potere e deve, conseguentemente, essere annullato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 26 otto
bre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (conci,
diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo, ord. 2 giugno 1987.
Ordinamento penitenziario — Detenzione domiciliare — Condi
zioni — Detenzione non superiore a due anni — Nozione (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liber
tà, art. 47 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche alla legge
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà, art. 13).
La misura alternativa della detenzione domiciliare, introdotta dal
l'art. 13 l. 663/ft, è applicabile quale che sia l'entità della pe
na inflitta con la sentenza di condanna, purché quella che in
concreto deve essere ancora espiata non sia, comunque, supe
riore a due anni. (1)
(1) Nello stesso senso la Corte di cassazione si è espressa con altre
due sentenze pronunciate all'udienza del 26 ottobre 1986, ricorrenti Moz
zone e Di Maio. In dottrina, conformemente all'orientamento della Cas
sazione, v. Tampieri, La detenzione domiciliare, in AA.VV., Le nuove
norme sull'ordinamento penitenziario, a cura di G. Flora, Milano, 1987,
277, nonché, a quanto sembra, Di Gennaro - Bonomo - Breda, Ordina
mento penitenziario e misure alternative alla detenzione, 4' ed., Milano,
1987, 277 («I limiti di pena entro i quali la misura risulta applicabile sono quelli di due anni di reclusione [anche se costituenti parte terminale
di una maggiore pena già per il resto scontata o condonata] o dell'intera
pena dell'arresto»); contra Presutti, Commento all'art. 13 l. 663/86,
in Legislazione pen., 1987, 167, ad avviso del quale «. . . l'area di esten
sione della misura è stata tracciata . . . con riferimento alla non elevata
pericolosità del condannato desumibile dalla lieve entità della pena da
espiare ovvero dalla natura dell'illecito commesso». In dottrina sull'isti
tuto in esame vadasi anche Canepa-Merlo, Manuale di diritto peniten
ziario, Milano, 1987, 191.
Scarsamente significativi ai fini della individuazione della voluntas legis
sulla questione oggetto della sentenza che si riporta sono i lavori prepara
tori, nei quali viene parafrasato il testo dell'art. 13 (cfr., ad es., la rela
zione della commissione giustizia del senato sui disegni di legge n. 23
e 423-A, presentati nel corso della IX legislatura, comunicata alla presi
denza il 29 maggio 1986 ed annunciata il 3 giugno successivo).
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PARTE SECONDA
Con ordinanza del 2 giugno 1987 il Tribunale di sorveglianza di Palermo dichiarò inammissibile l'istanza diretta ad ottenere
la detenzione domiciliare e rigettò l'istanza di rinvio dell'esecu
zione della pena proposta da Antonino Norrito, detenuto dal 17
agosto 1984 — dal 3 aprile 1985 agli arresti domiciliari — in
espiazione, in seguito a sentenza di condanna divenuta irrevoca
bile il 25 gennaio 1986, delle pene detentive di anni quattro e
mesi due di reclusione e di un mese di arresto, di cui mesi tre
e giorni quindici di reclusione condonati.
Ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione il condan
nato, che, tramite il difensore, denuncia violazione di legge sul
computo della pena sofferta, al fine di stabilire quella residua, deducendo che inesattamente è stato escluso da tale computo il
periodo trascorso agli arresti domiciliari anche dopo l'irrevocabi
lità della sentenza; denuncia, inoltre, vizi di motivazione sul de
negato rinvio dell'esecuzione, deducendo che non è stato tenuto
conto del suo stato di salute, trattandosi di persona già tossicodi
pendente con accertata sieropositività. Nell'ordine logico deve essere per prima esaminata la censura
concernente il rinvio dell'esecuzione della pena. La censura è infondata. Il tribunale — al fine di accertare le
condizioni di grave inferiorità fisica, che potessero giustificare, ai sensi dell'art. 147, n. 2, c.p., il differimento dell'esecuzione
della pena — ha tenuto conto di tutte le inferiorità indicate dal
condannato e risultanti dagli atti, in particolare dell'accertata po sitività agli anticorpi anti-Hiv, esclusivo oggetto della censura in
esame, rilevando che erano stati ritenuti necessari soltanto con
trolli periodici presso il centro regionale per l'Aids, controlli nor
malmente eseguiti in regime di detenzione.
Quindi non sussiste alcun vizio di motivazione, tanto più se
si consideri che il ricorrente nulla deduce sulla sola necessità di
controlli periodici, ma si limita a prospettare, genericamente, la
contagiosità della malattia, senza nemmeno sostenere che la sie
ropositività sia evoluta in uno stato di infermità per Aids.
Passando alla censura concernente il diniego della detenzione
domiciliare, deve essere per prima esaminata la tesi prospettata dal p.g. requirente, che, se fondata, escluderebbe in radice l'ap
plicazione, nel caso in esame, della suddetta misura alternativa
alla detenzione in un istituto penitenziario. Sostiene il p.g. presso questa Corte suprema che, ai fini del
calcolo della pena da espiare non superiore a due anni, richiesta
per l'applicazione della detenzione domiciliare, l'inciso «anche se
costituente parte residua di maggiore pena» si riferisce soltanto
all'ipotesi in cui vi sia stata custodia cautelare, poi venuta meno, e debba essere eseguita una pena residua non superiore a due
anni, con esclusione della diversa ipotesi della detenzione — in
custodia cautelare e poi in espiazione di pena oppure tutta in
espiazione di pena — senza soluzione di continuità.
Tale tesi non può essere condivisa perché non trova alcun fon
damento né nella lettera della legge né nella ratio e nel sistema.
L'art. 47 ter 1. 26 luglio 1975 n. 354 — introdotto con l'art.
13 1. 10 ottobre 1986 n. 663 — prevede, al 1° comma, l'espiazio ne in regime di detenzione domiciliare della «pena della reclusio
ne non superiore a due anni, anche se costituente parte residua
di maggiore pena», espressione che in nessun modo autorizza l'in
terpretazione, peraltro in malam partem in tema di libertà perso
nale, prospettata dal p.g. È chiara la differenza con l'espressione usata per l'affidamento
in prova al servizio sociale, per il quale la legge (art. 47) fa riferi
mento alla «pena detentiva inflitta», ossia a quella inflitta con
la sentenza irrevocabile di condanna, sicché non è consentito al
cun riferimento alla pena residua (sez. I 9 marzo 1982, Mazzara, Foro it., Rep. 1983, voce Ordinamento penitenziario n. 42). In
vece per la detenzione domiciliare il riferimento — in tutti i casi
e senza alcuna distinzione — è alla pena detentiva ancora da espiare in concreto, con esplicito richiamo a quella residua, con la conse
guenza che la comparazione tra i due istituti conduce a conclusio
ne diversa da quella cui è pervenuto il p.g. La cui tesi non trova conforto nemmeno nella disposizione (pure
contenuta nel 1° comma dell'art. 47 ter) secondo la quale la de
tenzione domiciliare è applicabile «se non v'è stato affidamento
in prova al servizio sociale». Tale disposizione (peraltro del tutto
analoga a quella concernente la misura alternativa della semili
bertà) specifica soltanto che l'affidamento in prova al servizio
sociale — più favorevole al condannato — prevale nella diversa
misura della detenzione domiciliare (ed anche su quella della se
milibertà). Poiché esiste una graduazione tra le varie misure al
II Foro Italiano — 1988.
ternative alla detenzione in istituto penitenziario, la disposizione va intesa, appunto, nel senso che, qualora ricorrano le condizioni
per l'applicazione di una o di un'altra misura, l'applicazione di
quella meno afflittiva per il condannato rende inapplicabile l'al
tra (o le altre) meno favorevoli. Peraltro, in base al principio del favor libertatis, il giudice è tenuto, qualora non ostino altre
ragioni, ad applicare la misura meno afflittiva per il condannato.
Semmai la comparazione è da effettuare con gli arresti domici
liari, inerenti alla custodia cautelare e che costituiscono l'istituto
corrispondente alla detenzione domiciliare, inerente all'espiazio ne della pena in seguito a condanna irrevocabile. E per gli arresti
domiciliari non è previsto alcun assoluto divieto di concessione
con riferimento alla pena edittale per il reato contestato, dato
che la misura è concedibile anche nel caso di cattura obbligato
ria, sia pure qualora concorrano determinate condizioni.
Inoltre né l'art. 47 ter 1. 354/75 né altra disposizione di legge
prevedono alcuna distinzione tra la detenzione sofferta senza so
luzione di continuità e quella in cui tale soluzione vi sia stata.
Né si vede come possa essere giustificato, sul piano razionale, un trattamento cosi decisamente differente per le due situazioni
che sono, ai fini che qui interessano, sostanzialmente identiche.
La disparità di trattamento diventerebbe del tutto assurda nel ca
so in cui fosse intervenuta, per violazione degli obblighi, la revo
ca della libertà provvisoria o l'emissione, dopo la scarcerazione
per decorrenza dei termini, di un nuovo provvedimento di cattu
ra, qualora il periodo di custodia cautelare anteriore al ripristino della custodia stessa fosse tale da ridurre la pena residua a non
più di due anni.
Quindi palesemente l'interpretazione prospettata condurrebbe
alla violazione del principio di eguaglianza previsto dall'art. 3
Cost., sicché, comunque, si imporrebbe la scelta — sicuramente
non esclusa dalla legge — della interpretazione conforme ai prin
cipi costituzionalmente garantiti. Ma v'è di più, perché al comma 3° dell'art. 47 ter 1. 354/75,
ossia dell'articolo in discussione, è prevista l'ipotesi della con
danna da eseguirsi nei confronti di persona in stato di libertà
(tale è anche lo stato di chi sia stato scarcerato per libertà provvi soria o per decorrenza dei termini) unicamente al fine di consen
tire, qualora ricorrano le condizioni per la detenzione domiciliare, la sospensione dell'emissione o dell'esecuzione dell'ordine di car
cerazione in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza. Se la residua pena dovesse essere riferita a tale ipotesi, qui avreb
be trovato razionale collocazione la relativa disposizione e non
nel 1° comma dello stesso articolo, che concerne tutte le ipotesi di pena residua e non soltanto quella particolare del condannato
che si trova in stato di libertà.
Anche la ratio della legge è nel senso della interpretazione qui
adottata, perché con le modifiche di cui alla 1. 663/86 il legislato re ha voluto allargare il campo di applicazione delle misure alter
native alla detenzione in istituto penitenziario, sia nei casi in cui
tale detenzione risulti inutilmente afflittiva e sia in quelli in cui
è stato ritenuto opportuno facilitare l'inserimento del condanna
to nella società civile o tutelare determinate esigenze.
Quanto alla misura della detenzione domiciliare, fissato il pre
supposto della durata della pena da espiare in anni due, anche
come residuo di pena maggiore, sono state poi stabilite le altre
condizioni per l'applicazione della misura, tassativamente indica
te con riferimento a particolari condizioni del condannato ritenu
te degne di tutela poiché inerenti ad uno stato particolare (donna
incinta), a necessità di allattamento o di allevamento della prole, alle condizioni di salute particolarmente gravi, all'inabilità, anche
parziale, di persona anziana, oppure, infine, alle esigenze di salu
te, di studio, di lavoro e di famiglia di persona di età minore
di ventuno anni.
Si tratta di condizioni tutte in linea con la ratio della legge, anche con riferimento alla pena in concreto ancora da scontare, in quanto è stata ritenuta, anche nel caso di pena residua, la
detenzione in istituto penitenziario inutilmente afflittiva, in cor
relazione a determinate esigenze degne di tutela, ed in alcuni casi
addirittura controproducente al fine del recupero sociale del con
dannato minore di anni 21.
Ciò posto, è fondata la censura del ricorrente per quanto con
cerne la ritenuta inapplicabilità, in radice, della misura, richiesta, sotto il diverso profilo della esistenza, nella specie, di una pena residua superiore ad anni due di reclusione.
Come risulta dal calcolo eseguito dal tribunale è stato tenuto
conto, al fine di stabilire la detenzione già sofferta, soltanto del
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GIURISPRUDENZA PENALE
periodo tra l'arresto (17 agosto 1984), mentre è stata del tutto
trascurata — pur dandosi atto che il ricorrente si trovava agli arresti domiciliari dal 3 aprile 1985 — la detenzione sofferta suc
cessivamente all'irrevocabilità della sentenza di condanna, come
se ne fosse derivato un ritorno allo stato di libertà.
È evidente, invece, che in base ai principi che regolano la ma
teria la custodia cautelare, anche se sofferta con le forme partico lari degli arresti domiciliari, in seguito all'irrevocabilità della
sentenza di condanna si trasforma, ai sensi dell'art. 137 c.p., in
carcerazione in espiazione di pena senza alcun ritorno allo stato
di libertà. Né può assumere alcun rilievo la protezione di tale particolare
stato di detenzione oltre il termine di cinque giorni previsto dal
4° comma dell'art. 576 c.p.p., purché dell'inosservanza di quel termine da parte dell'autorità incaricata dell'esecuzione non può derivare alcun nocumento al condannato, ritenuto, comunque,
privo della libertà in uno stato del tutto equiparato alla detenzione.
Non senza considerare che per l'ipotesi di persona in stato di
libertà o che ha trascorso la custodia cautelare, o la parte termi
nale di essa, in regime di arresti domiciliari, il 3° comma dell'art.
47 ter 1. 354/75 prevede l'applicazione della procedura di cui al
4° comma dell'art. 47 (nel testo sostituito dall'art. 111. 663/86),
ossia, poiché è richiamata soltanto la procedura, a prevedere la
possibilità che sia consentito al condannato, in attesa della deci
sione del tribunale di sorveglianza, di rimanere nello stato in cui
si trova: di libertà oppure, nel caso che qui interessa, di detenzio
ne in quella particolare forma.
Ovviamente può anche avvenire che, dopo la irrevocabilità del
la sentenza, il condannato non osservi le limitazioni inerenti alla
custodia nel suo domicilio, cosi di fatto riacquistando la libertà,
ma, in tal caso, incorre nel delitto di evasione (art. 385 c.p.) ed è necessario uno specifico accertamento sul punto. Peraltro
dallo stato dell'esecuzione trasmesso al tribunale di sorveglianza dal p.g. competente non risulta nulla in proposito e, anzi, la sca
denza della pena è stabilita tenendo conto della detenzione sof
ferta dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna. È poi del
tutto pacifico che, tenuto conto di tale detenzione, la pena resi
dua era inferiore ad anni due di reclusione.
Pertanto, per quanto concerne la detenzione domiciliare il prov vedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribu
nale di sorveglianza di Palermo, che provvederà a nuova
deliberazione esaminando nel merito l'istanza del Norrito diretta
ad ottenere la detenzione domiciliare.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; ordinanza 13 otto
bre 1987; Pres. Modigliani, Rei. Valente, P.M. (conci, diff.); Amministrazione penitenziaria c. Tuti. Dichiara inammissibile
ricorso avverso Trib. sorv. Torino, ord. 25 maggio 1987.
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Ordi
nanza del tribunale a seguito di reclamo — Ricorso per cassa
zione — Sottoscrizione da parte del capo della segreteria dell'amministrazione penitenziaria — Inammissibilità (L. 26 lu
glio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art.
71 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche alla legge sull'ordi
namento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art. 26).
Il ricorso per cassazione, proposto dall'amministrazione peniten
ziaria avverso l'ordinanza pronunciata dal tribunale di sorve
glianza in sede di reclamo contro il provvedimento di
sorveglianza particolare, è inammissibile se è sottoscritto dal
capo della segreteria anziché dal preposto alla direzione gene
rale, al quale soltanto può riconoscersi capacità di rappresen
tanza esterna dell'amministrazione in relazione agli atti attribuiti
con legge alla competenza della stessa. (1)
(1) L'art. 26 1. 663/86, nel sostituire l'art. 71 ter dell'ordinamento pe
nitenziario, ha dato facoltà all'amministrazione penitenziaria di proporre
Il Foro Italiano — 1988.
Con ordinanza 25 maggio il Tribunale di sorveglianza di Tori
no, accogliendo il reclamo proposto dal detenuto Tuti Mario,
revocava il provvedimento del 19 ottobre 1986, confermato in
via definitiva il 2 gennaio 1987, con il quale l'amministrazione
penitenziaria aveva sottoposto il predetto al regime di sorveglian za particolare, di cui all'art. 14 bis 1. 26 luglio 1975 n. 354, intro
dotto dall'art. 1 1. 10 ottobre 1986 n. 663.
Avverso detta ordinanza ha ricorso per cassazione l'ammini
strazione con ricorso sottoscritto dal capo della segreteria, per il direttore generale.
Il ricorso è inammissibile, perché proposto da soggetto, alla
cui carica in seno all'amministrazione non è riconducibile il dirit
to di impugnazione. È noto che, in relazione alla titolarità del diritto di impugna
zione, che consiste nella attribuzione del diritto ai singoli sogget
ti, il nostro ordinamento processuale ha fissato il principio della
tassatività, nel senso che il diritto di impugnazione spetta soltan
to a coloro ai quali la legge espressamente lo conferisce (art. 190,
3° comma, c.p.p.).
È, altresì', noto che tale diritto, di norma, deve essere esercitato
direttamente da colui al quale è conferito, perché, solo eccezio
nalmente, in casi specificamente previsti dalla legge, l'impugna zione può essere proposta a mezzo di procuratore speciale.
Nel caso di specie, poiché l'art. 26 1. n. 663/86 ha attribuito
il diritto di proporre ricorso per cassazione all'amministrazione
penitenziaria, in senso generico, se ne deve necessariamente de
durre che — anche a non volere adottare un eccessivo rigorismo
formale, per la novità ed eccezionalità della situazione processua le istituita dalla norma — il diritto spetti soltanto al titolare della
direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, dovendosi
riconoscere, nello stesso, una rappresentanza esterna dell'ammi
nistrazione in relazione agli atti, dalla legge attribuiti alla sua
competenza. La titolarità del diritto non può riconoscersi, però, al capo della segreteria, per l'assoluta irrilevanza, ai fini in consi
derazione, dell'asserita «delega generale» che allo stesso compe terebbe in caso di assenza o di impedimento del direttore generale.
Soltanto una procura speciale alla proposizione del ricorso avreb
be potuto legittimare alla impugnazione il sottoscrittore del ricor
so, giacché, per il richiamo che l'indicata norma contiene alle
disposizioni del 3° comma dell'art. 640 c.p.p., anche, nel caso
di specie, è consentito al titolare del diritto di avvalersi di procu
ratore speciale.
ricorso per cassazione avverso le ordinanze pronunciate dal tribunale di
sorveglianza in sede di reclamo contro provvedimenti: sul regime di sor
veglianza particolare (art. 14 ter); sull'attribuzione della qualifica lavora
tiva, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività
di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali (art. 69, 6° comma, lett.
a)\ sulle condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e
la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e
la facoltà di discolpa (art. 69, 6° comma, lett. b). L'attribuzione di questa facoltà, la cui singolarità è segnalata nell'ordi
nanza che si riporta, è commentata con perplessità dalla dottrina. Secon
do Canepa-Merlo, Manuale dì diritto penitenziario, Milano, 1987, 361, «si tratta di un rimedio del tutto atipico nel nostro sistema processuale e non ricollegabile ad altri casi normativamente regolati. La ratio di tale
facoltà è da ricercarsi nel fatto che il provvedimento oggetto del reclamo
è un atto rilevante dell'amministrazione penitenziaria». A sua volta, De
Maestri, La giurisdizione di sorveglianza, in Le nuove norme sull'ordi
namento penitenziario, a cura di Flora, Milano, 1987, 559, sottolinea
che l'amministrazione, pur non essendo parte nei procedimenti di recla
mo avanti alla magistratura di sorveglianza, in quanto le è consentito
soltanto di presentare memorie, può assumere tale qualità ed esperire tut
te le attività processuali ai fini del ricorso per cassazione. Infine, Perchi
nunno, in Legislazione pen., 1987, 232, considera la previsione
ingiustificata: «a parte che non si riesce a comprendere come possa confi
gurarsi l'assunzione della qualità di parte processuale della detta ammini
strazione, né è agevole cogliere quale sia il suo diretto interesse a proporre una impugnazione del genere, non si comprende neppure perché non sia
sufficiente l'esercizio di simile facoltà da parte del pubblico ministero,
quale garante dell'esatta osservanza della normativa di cui agli art. 14
ter e 69, 6° comma», ordinamento penitenziario. Sui limiti di sindacato della Cassazione in sede di ricorso avverso l'or
dinanza con cui il tribunale ha deciso sul reclamo in materia di sorve
glianza particolare, v. Cass. 11 giugno 1987, Mambro, riportata in questo
fascicolo, II, 152, insieme ad altri cinque provvedimenti sempre in tema
di sorveglianza particolare.
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