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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 26 ottobre 1987; Pres. Carnevale,...

Date post: 30-Jan-2017
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sezione I penale; sentenza 26 ottobre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (concl. diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo, ord. 2 giugno 1987 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 165/166-169/170 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179640 . Accessed: 25/06/2014 10:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 10:34:18 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 26 ottobre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (concl. diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo,

sezione I penale; sentenza 26 ottobre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (concl.diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo, ord. 2 giugno 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.165/166-169/170Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179640 .

Accessed: 25/06/2014 10:34

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GIURISPRUDENZA PENALE

cui risultano affetti alcuni atti preparatori del provvedimento am

ministrativo, considerato: a) che la procedura posta in essere dal

l'amministrazione penitenziaria per qualificare il silenzio

dell'autorità giudiziaria procedente derivante dalla mancata risposta nei termini alla richiesta di parere non appare legittimata da alcu

na norma di legge; b) che, conseguentemente, il provvedimento definitivo venne adottato senza che fossero acquisiti tutti i pre scritti pareri, acquisizione necessaria ai sensi del 2°, 3° e 4° com

ma dell'art. 14 bis 1. penit.; c) che alcuni di essi sono stati espressi senza motivazione; d) che in mancanza di un'esplicita previsione

legislativa su chi debba materialmente esprimere il parere quando l'autorità giudiziaria procedente è un collegio, ad esprimere il pa rere dovrebbe essere il collegio e, comunque, ricorrendo all'ana

logia con l'art. 11, 2° comma, 1. penit., il presidente della corte

di assise (e della corte di assise d'appello) potrebbe essere autoriz

zato solo dopo la convocazione della corte stessa e non quando

questa non è riunita in sessione, dovendo in tal caso provvedere, secondo i principi generali, il tribunale o la corte d'appello (o la sezione istruttoria o il presidente della corte di appello).

I vizi di cui sopra, pur riguardando atti preparatori e non l'at

to definitivo del procedimento, sono suscettibili di ripercuotersi sull'atto definitivo, sotto il profilo della insufficienza e contrad

dittorietà della motivazione del medesimo, sostanziale vizio da

cui è affetto, ad avviso del collegio, il provvedimento in esame.

Questo tribunale condivide la perplessità del p.g. sulla possibi lità di motivare per relationem ad altro provvedimento non defi

nitivo, in quanto l'acquisizione, successiva a tale ultimo

provvedimento, dei pareri necessari e delle segnalazioni di cui al

5° comma dell'art. 14 bis può comportare modifiche o integra zioni delle motivazioni espresse nel provvedimento non definitivo

e in quanto, comunque, la motivazione del provvedimento ammi

nistrativo può dirsi completa e sufficiente solo quando siano stati

acquisiti tutti gli elementi preparatori dell'atto. Prende, ad ogni

modo, atto che la giurisprudenza amministrativa prevalente è nel

senso di ritenere ammissibile la motivazione aliunde, che si ricava

facendo ricorso ad altro provvedimento ed agli atti del proce

dimento.

Nel caso in esame, tuttavia, essendo i pareri acquisiti sprovvisti di motivazione e comunque viziati da nullità, il giudizio deve fon

darsi esclusivamente sulle motivazioni contenute nel provvedimento

provvisorio del 21 gennaio 1987; dal quale si evince che è stata

ravvisata la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione del regime di sorveglianza particolare: 1) nel ritrovamento, nel

covo ove il Senzani è stato arrestato, di un documento contenen

te un piano di attacco nel carcere di Verona; 2) nel non essere

rientrato dal passeggio il 13 giugno 1984, a seguito di protesta insieme ad altri detenuti che sostenevano di non essere stati senti

ti dal magistrato di sorveglianza; 3) nell'aver rotto un vetro per

protesta il 3 aprile 1985; 4) nell'essere stato trovato il 12 dicem

bre 1985 «in piedi sul tavolo intento a cronometrare il tempo

impiegato dalla sentinella da una garitta e l'altra»; 5) nell'essere

stato udito il 23 dicembre 1985 pronunciare previsioni su un evento

pregiudizievole per l'ordine, la sicurezza e la disciplina della casa

circondariale ove era ristretto.

Non sembra che dai dati di fatto ora esposti sia possibile argui re la sussistenza, almeno nel momento attuale, di comportamenti tali da compromettere la sicurezza e turbare l'ordine negli istituti

né comportamenti violenti e minacciosi volti ad impedire le atti

vità degli altri detenuti o internati, né comportamenti diretti a

far valere lo stato di soggezione degli altri detenuti nei suoi con

fronti.

Va premesso che il legislatore del 1986, nell'abrogare il regime

di cui all'art. 90 1. 354/75, ha voluto condizionare l'applicazione

di un regime detentivo speciale a persone ritenute particolarmen

te pericolose, sulla base di concreti comportamenti che non pos

sono che essere attuali (altrimenti non si spiegherebbe la scadenza

semestrale o trimestrale del regime) o sulla base del permanere

in un atteggiamento minaccioso o pericoloso.

Orbene, dagli accertamenti esperiti, non risulta che il reclamante

abbia tenuto un comportamento tale da giustificare l'adozione

di un provvedimento di sorveglianza particolare e, tanto meno,

in via di urgenza. Risulta infatti, che il Senzani, ristretto presso la casa circonda

riale di Roma Rebibbia dal 9 giugno 1986 e fino al 25 febbraio

1987, non ha posto in essere in tale periodo comportamenti tali

da compromettere la sicurezza e da turbare l'ordine dell'istituto

penitenziario, né risulta aver riportato sanzioni disciplinari; che

Il Foro Italiano — 1988.

fino all'adozione del provvedimento amministrativo reclamato, il suo regime detentivo comportava soltanto una vigilanza più

intensa, riguardante peraltro tutta la sezione 07, rispetto ai dete

nuti ristretti in altre sezioni; che per tutto il periodo di cui sopra ha frequentato tutti i detenuti presenti nella sua sezione; che è

sembrato aver assunto una posizione di leader rispetto ad un grup

po di detenuti, ma non risulta che si sia avvalso di un eventuale

stato di soggezione di costoro nei suoi confronti, né che ne abbia

compresso l'attività.

In conclusione, pertanto, l'amministrazione penitenziaria, nel

l'elencare determinati comportamenti passati del detenuto (alcuni dei quali, peraltro, desunti da elementi indiziari e altri che non

sembrano andare al di là di una infrazione disciplinare), con l'a

dozione attuale del provvedimento, dà per scontato ciò che inve

ce dovrebbe essere dimostrato e che, anzi, le notizie acquisite dall'istituto penitenziario sembrerebbero smentire: l'assenza di una

evoluzione dell'atteggiamento del soggetto nei confronti delle isti

tuzioni e la esasperazione di un atteggiamento conflittuale e sov

vertitore. Ed è qui che si ravvisa il travisamento dei fatti, la

insufficienza e la contraddittorità della motivazione del provvedi mento il quale, allo stato, non viene, sostanzialmente, a modifi

care il regime detentivo del reclamante, ma si risolve in una

ingiustificata limitazione dell'esercizio di taluni diritti (colloqui e telefonate con i familiari), adottata, per di più, in via di urgen

za, senza che ne ricorressero i presupposti e senza che, peraltro,

possano ritenersi soddisfatte quelle esigenze cautelari alla base

della previsione dell'art. 14 bis.

L'atto amministrativo risulta, pertanto, viziato da eccesso di

potere e deve, conseguentemente, essere annullato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 26 otto

bre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (conci,

diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo, ord. 2 giugno 1987.

Ordinamento penitenziario — Detenzione domiciliare — Condi

zioni — Detenzione non superiore a due anni — Nozione (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liber

tà, art. 47 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche alla legge

sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure

privative e limitative della libertà, art. 13).

La misura alternativa della detenzione domiciliare, introdotta dal

l'art. 13 l. 663/ft, è applicabile quale che sia l'entità della pe

na inflitta con la sentenza di condanna, purché quella che in

concreto deve essere ancora espiata non sia, comunque, supe

riore a due anni. (1)

(1) Nello stesso senso la Corte di cassazione si è espressa con altre

due sentenze pronunciate all'udienza del 26 ottobre 1986, ricorrenti Moz

zone e Di Maio. In dottrina, conformemente all'orientamento della Cas

sazione, v. Tampieri, La detenzione domiciliare, in AA.VV., Le nuove

norme sull'ordinamento penitenziario, a cura di G. Flora, Milano, 1987,

277, nonché, a quanto sembra, Di Gennaro - Bonomo - Breda, Ordina

mento penitenziario e misure alternative alla detenzione, 4' ed., Milano,

1987, 277 («I limiti di pena entro i quali la misura risulta applicabile sono quelli di due anni di reclusione [anche se costituenti parte terminale

di una maggiore pena già per il resto scontata o condonata] o dell'intera

pena dell'arresto»); contra Presutti, Commento all'art. 13 l. 663/86,

in Legislazione pen., 1987, 167, ad avviso del quale «. . . l'area di esten

sione della misura è stata tracciata . . . con riferimento alla non elevata

pericolosità del condannato desumibile dalla lieve entità della pena da

espiare ovvero dalla natura dell'illecito commesso». In dottrina sull'isti

tuto in esame vadasi anche Canepa-Merlo, Manuale di diritto peniten

ziario, Milano, 1987, 191.

Scarsamente significativi ai fini della individuazione della voluntas legis

sulla questione oggetto della sentenza che si riporta sono i lavori prepara

tori, nei quali viene parafrasato il testo dell'art. 13 (cfr., ad es., la rela

zione della commissione giustizia del senato sui disegni di legge n. 23

e 423-A, presentati nel corso della IX legislatura, comunicata alla presi

denza il 29 maggio 1986 ed annunciata il 3 giugno successivo).

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PARTE SECONDA

Con ordinanza del 2 giugno 1987 il Tribunale di sorveglianza di Palermo dichiarò inammissibile l'istanza diretta ad ottenere

la detenzione domiciliare e rigettò l'istanza di rinvio dell'esecu

zione della pena proposta da Antonino Norrito, detenuto dal 17

agosto 1984 — dal 3 aprile 1985 agli arresti domiciliari — in

espiazione, in seguito a sentenza di condanna divenuta irrevoca

bile il 25 gennaio 1986, delle pene detentive di anni quattro e

mesi due di reclusione e di un mese di arresto, di cui mesi tre

e giorni quindici di reclusione condonati.

Ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione il condan

nato, che, tramite il difensore, denuncia violazione di legge sul

computo della pena sofferta, al fine di stabilire quella residua, deducendo che inesattamente è stato escluso da tale computo il

periodo trascorso agli arresti domiciliari anche dopo l'irrevocabi

lità della sentenza; denuncia, inoltre, vizi di motivazione sul de

negato rinvio dell'esecuzione, deducendo che non è stato tenuto

conto del suo stato di salute, trattandosi di persona già tossicodi

pendente con accertata sieropositività. Nell'ordine logico deve essere per prima esaminata la censura

concernente il rinvio dell'esecuzione della pena. La censura è infondata. Il tribunale — al fine di accertare le

condizioni di grave inferiorità fisica, che potessero giustificare, ai sensi dell'art. 147, n. 2, c.p., il differimento dell'esecuzione

della pena — ha tenuto conto di tutte le inferiorità indicate dal

condannato e risultanti dagli atti, in particolare dell'accertata po sitività agli anticorpi anti-Hiv, esclusivo oggetto della censura in

esame, rilevando che erano stati ritenuti necessari soltanto con

trolli periodici presso il centro regionale per l'Aids, controlli nor

malmente eseguiti in regime di detenzione.

Quindi non sussiste alcun vizio di motivazione, tanto più se

si consideri che il ricorrente nulla deduce sulla sola necessità di

controlli periodici, ma si limita a prospettare, genericamente, la

contagiosità della malattia, senza nemmeno sostenere che la sie

ropositività sia evoluta in uno stato di infermità per Aids.

Passando alla censura concernente il diniego della detenzione

domiciliare, deve essere per prima esaminata la tesi prospettata dal p.g. requirente, che, se fondata, escluderebbe in radice l'ap

plicazione, nel caso in esame, della suddetta misura alternativa

alla detenzione in un istituto penitenziario. Sostiene il p.g. presso questa Corte suprema che, ai fini del

calcolo della pena da espiare non superiore a due anni, richiesta

per l'applicazione della detenzione domiciliare, l'inciso «anche se

costituente parte residua di maggiore pena» si riferisce soltanto

all'ipotesi in cui vi sia stata custodia cautelare, poi venuta meno, e debba essere eseguita una pena residua non superiore a due

anni, con esclusione della diversa ipotesi della detenzione — in

custodia cautelare e poi in espiazione di pena oppure tutta in

espiazione di pena — senza soluzione di continuità.

Tale tesi non può essere condivisa perché non trova alcun fon

damento né nella lettera della legge né nella ratio e nel sistema.

L'art. 47 ter 1. 26 luglio 1975 n. 354 — introdotto con l'art.

13 1. 10 ottobre 1986 n. 663 — prevede, al 1° comma, l'espiazio ne in regime di detenzione domiciliare della «pena della reclusio

ne non superiore a due anni, anche se costituente parte residua

di maggiore pena», espressione che in nessun modo autorizza l'in

terpretazione, peraltro in malam partem in tema di libertà perso

nale, prospettata dal p.g. È chiara la differenza con l'espressione usata per l'affidamento

in prova al servizio sociale, per il quale la legge (art. 47) fa riferi

mento alla «pena detentiva inflitta», ossia a quella inflitta con

la sentenza irrevocabile di condanna, sicché non è consentito al

cun riferimento alla pena residua (sez. I 9 marzo 1982, Mazzara, Foro it., Rep. 1983, voce Ordinamento penitenziario n. 42). In

vece per la detenzione domiciliare il riferimento — in tutti i casi

e senza alcuna distinzione — è alla pena detentiva ancora da espiare in concreto, con esplicito richiamo a quella residua, con la conse

guenza che la comparazione tra i due istituti conduce a conclusio

ne diversa da quella cui è pervenuto il p.g. La cui tesi non trova conforto nemmeno nella disposizione (pure

contenuta nel 1° comma dell'art. 47 ter) secondo la quale la de

tenzione domiciliare è applicabile «se non v'è stato affidamento

in prova al servizio sociale». Tale disposizione (peraltro del tutto

analoga a quella concernente la misura alternativa della semili

bertà) specifica soltanto che l'affidamento in prova al servizio

sociale — più favorevole al condannato — prevale nella diversa

misura della detenzione domiciliare (ed anche su quella della se

milibertà). Poiché esiste una graduazione tra le varie misure al

II Foro Italiano — 1988.

ternative alla detenzione in istituto penitenziario, la disposizione va intesa, appunto, nel senso che, qualora ricorrano le condizioni

per l'applicazione di una o di un'altra misura, l'applicazione di

quella meno afflittiva per il condannato rende inapplicabile l'al

tra (o le altre) meno favorevoli. Peraltro, in base al principio del favor libertatis, il giudice è tenuto, qualora non ostino altre

ragioni, ad applicare la misura meno afflittiva per il condannato.

Semmai la comparazione è da effettuare con gli arresti domici

liari, inerenti alla custodia cautelare e che costituiscono l'istituto

corrispondente alla detenzione domiciliare, inerente all'espiazio ne della pena in seguito a condanna irrevocabile. E per gli arresti

domiciliari non è previsto alcun assoluto divieto di concessione

con riferimento alla pena edittale per il reato contestato, dato

che la misura è concedibile anche nel caso di cattura obbligato

ria, sia pure qualora concorrano determinate condizioni.

Inoltre né l'art. 47 ter 1. 354/75 né altra disposizione di legge

prevedono alcuna distinzione tra la detenzione sofferta senza so

luzione di continuità e quella in cui tale soluzione vi sia stata.

Né si vede come possa essere giustificato, sul piano razionale, un trattamento cosi decisamente differente per le due situazioni

che sono, ai fini che qui interessano, sostanzialmente identiche.

La disparità di trattamento diventerebbe del tutto assurda nel ca

so in cui fosse intervenuta, per violazione degli obblighi, la revo

ca della libertà provvisoria o l'emissione, dopo la scarcerazione

per decorrenza dei termini, di un nuovo provvedimento di cattu

ra, qualora il periodo di custodia cautelare anteriore al ripristino della custodia stessa fosse tale da ridurre la pena residua a non

più di due anni.

Quindi palesemente l'interpretazione prospettata condurrebbe

alla violazione del principio di eguaglianza previsto dall'art. 3

Cost., sicché, comunque, si imporrebbe la scelta — sicuramente

non esclusa dalla legge — della interpretazione conforme ai prin

cipi costituzionalmente garantiti. Ma v'è di più, perché al comma 3° dell'art. 47 ter 1. 354/75,

ossia dell'articolo in discussione, è prevista l'ipotesi della con

danna da eseguirsi nei confronti di persona in stato di libertà

(tale è anche lo stato di chi sia stato scarcerato per libertà provvi soria o per decorrenza dei termini) unicamente al fine di consen

tire, qualora ricorrano le condizioni per la detenzione domiciliare, la sospensione dell'emissione o dell'esecuzione dell'ordine di car

cerazione in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza. Se la residua pena dovesse essere riferita a tale ipotesi, qui avreb

be trovato razionale collocazione la relativa disposizione e non

nel 1° comma dello stesso articolo, che concerne tutte le ipotesi di pena residua e non soltanto quella particolare del condannato

che si trova in stato di libertà.

Anche la ratio della legge è nel senso della interpretazione qui

adottata, perché con le modifiche di cui alla 1. 663/86 il legislato re ha voluto allargare il campo di applicazione delle misure alter

native alla detenzione in istituto penitenziario, sia nei casi in cui

tale detenzione risulti inutilmente afflittiva e sia in quelli in cui

è stato ritenuto opportuno facilitare l'inserimento del condanna

to nella società civile o tutelare determinate esigenze.

Quanto alla misura della detenzione domiciliare, fissato il pre

supposto della durata della pena da espiare in anni due, anche

come residuo di pena maggiore, sono state poi stabilite le altre

condizioni per l'applicazione della misura, tassativamente indica

te con riferimento a particolari condizioni del condannato ritenu

te degne di tutela poiché inerenti ad uno stato particolare (donna

incinta), a necessità di allattamento o di allevamento della prole, alle condizioni di salute particolarmente gravi, all'inabilità, anche

parziale, di persona anziana, oppure, infine, alle esigenze di salu

te, di studio, di lavoro e di famiglia di persona di età minore

di ventuno anni.

Si tratta di condizioni tutte in linea con la ratio della legge, anche con riferimento alla pena in concreto ancora da scontare, in quanto è stata ritenuta, anche nel caso di pena residua, la

detenzione in istituto penitenziario inutilmente afflittiva, in cor

relazione a determinate esigenze degne di tutela, ed in alcuni casi

addirittura controproducente al fine del recupero sociale del con

dannato minore di anni 21.

Ciò posto, è fondata la censura del ricorrente per quanto con

cerne la ritenuta inapplicabilità, in radice, della misura, richiesta, sotto il diverso profilo della esistenza, nella specie, di una pena residua superiore ad anni due di reclusione.

Come risulta dal calcolo eseguito dal tribunale è stato tenuto

conto, al fine di stabilire la detenzione già sofferta, soltanto del

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GIURISPRUDENZA PENALE

periodo tra l'arresto (17 agosto 1984), mentre è stata del tutto

trascurata — pur dandosi atto che il ricorrente si trovava agli arresti domiciliari dal 3 aprile 1985 — la detenzione sofferta suc

cessivamente all'irrevocabilità della sentenza di condanna, come

se ne fosse derivato un ritorno allo stato di libertà.

È evidente, invece, che in base ai principi che regolano la ma

teria la custodia cautelare, anche se sofferta con le forme partico lari degli arresti domiciliari, in seguito all'irrevocabilità della

sentenza di condanna si trasforma, ai sensi dell'art. 137 c.p., in

carcerazione in espiazione di pena senza alcun ritorno allo stato

di libertà. Né può assumere alcun rilievo la protezione di tale particolare

stato di detenzione oltre il termine di cinque giorni previsto dal

4° comma dell'art. 576 c.p.p., purché dell'inosservanza di quel termine da parte dell'autorità incaricata dell'esecuzione non può derivare alcun nocumento al condannato, ritenuto, comunque,

privo della libertà in uno stato del tutto equiparato alla detenzione.

Non senza considerare che per l'ipotesi di persona in stato di

libertà o che ha trascorso la custodia cautelare, o la parte termi

nale di essa, in regime di arresti domiciliari, il 3° comma dell'art.

47 ter 1. 354/75 prevede l'applicazione della procedura di cui al

4° comma dell'art. 47 (nel testo sostituito dall'art. 111. 663/86),

ossia, poiché è richiamata soltanto la procedura, a prevedere la

possibilità che sia consentito al condannato, in attesa della deci

sione del tribunale di sorveglianza, di rimanere nello stato in cui

si trova: di libertà oppure, nel caso che qui interessa, di detenzio

ne in quella particolare forma.

Ovviamente può anche avvenire che, dopo la irrevocabilità del

la sentenza, il condannato non osservi le limitazioni inerenti alla

custodia nel suo domicilio, cosi di fatto riacquistando la libertà,

ma, in tal caso, incorre nel delitto di evasione (art. 385 c.p.) ed è necessario uno specifico accertamento sul punto. Peraltro

dallo stato dell'esecuzione trasmesso al tribunale di sorveglianza dal p.g. competente non risulta nulla in proposito e, anzi, la sca

denza della pena è stabilita tenendo conto della detenzione sof

ferta dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna. È poi del

tutto pacifico che, tenuto conto di tale detenzione, la pena resi

dua era inferiore ad anni due di reclusione.

Pertanto, per quanto concerne la detenzione domiciliare il prov vedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribu

nale di sorveglianza di Palermo, che provvederà a nuova

deliberazione esaminando nel merito l'istanza del Norrito diretta

ad ottenere la detenzione domiciliare.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; ordinanza 13 otto

bre 1987; Pres. Modigliani, Rei. Valente, P.M. (conci, diff.); Amministrazione penitenziaria c. Tuti. Dichiara inammissibile

ricorso avverso Trib. sorv. Torino, ord. 25 maggio 1987.

Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Ordi

nanza del tribunale a seguito di reclamo — Ricorso per cassa

zione — Sottoscrizione da parte del capo della segreteria dell'amministrazione penitenziaria — Inammissibilità (L. 26 lu

glio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla

esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art.

71 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche alla legge sull'ordi

namento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, art. 26).

Il ricorso per cassazione, proposto dall'amministrazione peniten

ziaria avverso l'ordinanza pronunciata dal tribunale di sorve

glianza in sede di reclamo contro il provvedimento di

sorveglianza particolare, è inammissibile se è sottoscritto dal

capo della segreteria anziché dal preposto alla direzione gene

rale, al quale soltanto può riconoscersi capacità di rappresen

tanza esterna dell'amministrazione in relazione agli atti attribuiti

con legge alla competenza della stessa. (1)

(1) L'art. 26 1. 663/86, nel sostituire l'art. 71 ter dell'ordinamento pe

nitenziario, ha dato facoltà all'amministrazione penitenziaria di proporre

Il Foro Italiano — 1988.

Con ordinanza 25 maggio il Tribunale di sorveglianza di Tori

no, accogliendo il reclamo proposto dal detenuto Tuti Mario,

revocava il provvedimento del 19 ottobre 1986, confermato in

via definitiva il 2 gennaio 1987, con il quale l'amministrazione

penitenziaria aveva sottoposto il predetto al regime di sorveglian za particolare, di cui all'art. 14 bis 1. 26 luglio 1975 n. 354, intro

dotto dall'art. 1 1. 10 ottobre 1986 n. 663.

Avverso detta ordinanza ha ricorso per cassazione l'ammini

strazione con ricorso sottoscritto dal capo della segreteria, per il direttore generale.

Il ricorso è inammissibile, perché proposto da soggetto, alla

cui carica in seno all'amministrazione non è riconducibile il dirit

to di impugnazione. È noto che, in relazione alla titolarità del diritto di impugna

zione, che consiste nella attribuzione del diritto ai singoli sogget

ti, il nostro ordinamento processuale ha fissato il principio della

tassatività, nel senso che il diritto di impugnazione spetta soltan

to a coloro ai quali la legge espressamente lo conferisce (art. 190,

3° comma, c.p.p.).

È, altresì', noto che tale diritto, di norma, deve essere esercitato

direttamente da colui al quale è conferito, perché, solo eccezio

nalmente, in casi specificamente previsti dalla legge, l'impugna zione può essere proposta a mezzo di procuratore speciale.

Nel caso di specie, poiché l'art. 26 1. n. 663/86 ha attribuito

il diritto di proporre ricorso per cassazione all'amministrazione

penitenziaria, in senso generico, se ne deve necessariamente de

durre che — anche a non volere adottare un eccessivo rigorismo

formale, per la novità ed eccezionalità della situazione processua le istituita dalla norma — il diritto spetti soltanto al titolare della

direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, dovendosi

riconoscere, nello stesso, una rappresentanza esterna dell'ammi

nistrazione in relazione agli atti, dalla legge attribuiti alla sua

competenza. La titolarità del diritto non può riconoscersi, però, al capo della segreteria, per l'assoluta irrilevanza, ai fini in consi

derazione, dell'asserita «delega generale» che allo stesso compe terebbe in caso di assenza o di impedimento del direttore generale.

Soltanto una procura speciale alla proposizione del ricorso avreb

be potuto legittimare alla impugnazione il sottoscrittore del ricor

so, giacché, per il richiamo che l'indicata norma contiene alle

disposizioni del 3° comma dell'art. 640 c.p.p., anche, nel caso

di specie, è consentito al titolare del diritto di avvalersi di procu

ratore speciale.

ricorso per cassazione avverso le ordinanze pronunciate dal tribunale di

sorveglianza in sede di reclamo contro provvedimenti: sul regime di sor

veglianza particolare (art. 14 ter); sull'attribuzione della qualifica lavora

tiva, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività

di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali (art. 69, 6° comma, lett.

a)\ sulle condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e

la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e

la facoltà di discolpa (art. 69, 6° comma, lett. b). L'attribuzione di questa facoltà, la cui singolarità è segnalata nell'ordi

nanza che si riporta, è commentata con perplessità dalla dottrina. Secon

do Canepa-Merlo, Manuale dì diritto penitenziario, Milano, 1987, 361, «si tratta di un rimedio del tutto atipico nel nostro sistema processuale e non ricollegabile ad altri casi normativamente regolati. La ratio di tale

facoltà è da ricercarsi nel fatto che il provvedimento oggetto del reclamo

è un atto rilevante dell'amministrazione penitenziaria». A sua volta, De

Maestri, La giurisdizione di sorveglianza, in Le nuove norme sull'ordi

namento penitenziario, a cura di Flora, Milano, 1987, 559, sottolinea

che l'amministrazione, pur non essendo parte nei procedimenti di recla

mo avanti alla magistratura di sorveglianza, in quanto le è consentito

soltanto di presentare memorie, può assumere tale qualità ed esperire tut

te le attività processuali ai fini del ricorso per cassazione. Infine, Perchi

nunno, in Legislazione pen., 1987, 232, considera la previsione

ingiustificata: «a parte che non si riesce a comprendere come possa confi

gurarsi l'assunzione della qualità di parte processuale della detta ammini

strazione, né è agevole cogliere quale sia il suo diretto interesse a proporre una impugnazione del genere, non si comprende neppure perché non sia

sufficiente l'esercizio di simile facoltà da parte del pubblico ministero,

quale garante dell'esatta osservanza della normativa di cui agli art. 14

ter e 69, 6° comma», ordinamento penitenziario. Sui limiti di sindacato della Cassazione in sede di ricorso avverso l'or

dinanza con cui il tribunale ha deciso sul reclamo in materia di sorve

glianza particolare, v. Cass. 11 giugno 1987, Mambro, riportata in questo

fascicolo, II, 152, insieme ad altri cinque provvedimenti sempre in tema

di sorveglianza particolare.

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