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PM di novembre 2010

Date post: 08-Mar-2016
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Il nuovo numero, in anteprima!
25
ANNO 84 • n° 980 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA il piccolo missionario novembre 2010 - n. 11 Handala, bambino rifugiato di 10 anni, simbolo della lotta per la giustizia e l’autodeterminazione del popolo Palestinese www.handala.org CONTIENE I.P.
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Handala, bambino rifugiato di 10 anni, simbolo della lotta per la giustizia

e l’autodeterminazione del popolo Palestinese

www.handala.org

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Diceildire

Nov 2010

p. Elio Boscaini

DD omenica 14 novembre le nostre comunità cristia-ne celebrano la Giornata

del ringraziamento. Dire grazie è importante per ciascuno di noi perché ci aiuta a riconoscere che il bene che riceviamo ci viene da altri. Al termine di un’annata agri-cola, quindi, è bello e dovero-so che i contadini, e noi tutti con loro, manifestiamo gratitudine al Signore del cielo e della terra per la ricchezza dei doni dei campi, unita alla gioia per un raccolto ed un’annata agricola andata bene.La terra è fatta per fornire a tutti i mezzi della propria sussisten-za. Ognuno di noi, quindi, ha il diritto di trovarvi ciò che gli è ne-cessario. Gli agricoltori sono sì i produttori di beni materiali fon-damentali, ma anche i custodi di un territorio che coltivano perché amato e servito.Il pensiero vola a quel giardino in cui Dio pose il primo uomo perché lo abitasse e lo coltivasse. La creazio-ne è un dono di Dio per tutti e così Dio vuole rimanga. Da ciò ne deriva la solida-rietà che le nazioni ricche dovrebbero avere nei confronti dei popoli impoveriti.Nel giardino di Dio cresce anche l’handala, un’erba amara del deserto. Handa-la è anche il nome del personaggio di copertina, creato dall’artista e profugo palestinese Naji Al-Ali (1937-1971, assassinato a Beirut). Handala è magro, brutto, scalzo, amareggiato, con i capelli da porcospino ed è girato di spalle, intento ad osservare ciò che accade nella sua terra e nel mondo. Si girerà, tor-nerà a sorridere e a crescere solo quando potrà fare ritorno, da uomo libero, in Palestina.

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Attualità a cura di Laura D’Ascola

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Piccola cronaca di un viaggio indimenticabile in PalestinaPiccola cronaca di un viaggio

I piccoli di

At-Tuwani

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MM i è diffi cile ricordare in tutta la mia vita un’esperienza intensa come questa del mio viaggio in Palestina. Le emo-

zioni nel visitare questi luoghi e nell’incontrare queste persone sono state tante: dalla rabbia, alla compassione, alla sofferenza. Era il 31 dicembre del 2009 e la tappa principale del nostro programma era il villaggio di At-Tu-

wani, a sud di Hebron, un villaggio di pastori e contadini palestinesi, gente pacifi ca che però da qualche anno ha più di un motivo di preoccupa-zione. Gli abitanti sono circa 3000: qualche de-cennio fa erano di più, ma poi se ne sono andati per le troppe diffi coltà. La loro storia ci viene rac-contata da Hafez, uno dei leader della resistenza non violenta dei pastori di queste colline.

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Nov 2010

Alcuni volontari di due associazioni umanitarie (Operazione Colomba e Christian Peacemakers Team), che vi-vono ad At-Tuwani per dare sostegno agli abitanti, hanno deciso di accom-pagnare questi bambini per proteg-gerli. Anch’essi sono stati picchiati.In seguito, volontari e bambini hanno cambiato strada più volte, costret-ti a scegliere un percorso di due ore più lungo per evitare le violenze dei coloni che però li hanno nuovamente attaccati.Il Parlamento israeliano ha quindi de-ciso che una scorta di soldati israe-liani debba accompagnare a scuola i bambini. Questi però non sempre si presentano e non proteggono abba-stanza i piccoli scolari: li seguono in macchina da una certa distanza, ar-rivano in ritardo o li lasciano soli per alcuni tratti del percorso».

LA VIOLENZA

«Molto vicino al villaggio c’è un boschetto, all’interno del quale è sorto un avamposto di coloni israeliani. Questi coloni, sostenuti dall’eser-cito israeliano e dai corpi di difesa privati praticano abi-tualmente una serie di sopru-si nei confronti degli abitanti di At-Tuwani: spesso fanno violente incursioni nelle case periferiche del villaggio, pic-chiano gli abitanti e impedi-

scono ai pastori di portare gli anima-li nei pascoli di loro proprietà. Tutto questo per spingere la popolazione di At-Tuwani ad abbandonare la pro-pria terra.Ma la violenza mag-giore e la più ingiusta perché praticata sui soggetti più deboli, è quella a danno dei bambini di At-Tu-wani e dei villaggi li-mitrofi : la strada che devono percorrere per andare a scuo-la costeggia il bo-schetto in cui vivono i coloni, che da anni li aggrediscono con spintoni, botte e col-pi di catena.

AVAMPOSTOÈ la prima fase di un insediamento. È abitato da un gruppo di coloni, che in attesa di costruirsi delle case in muratura, vivono ancora in strutture provvisorie, di solito tende.

COLONIIsraeliani provenienti da ogni parte del mondo, che si in-sediano in territorio palestinese rivendicando la proprietà della terra per motivi religiosi o di sicurezza. Tolgono i ter-reni ai Palestinesi e vietano loro la circolazione negli spazi circostanti gli insediamenti.

Il boschetto dell’avamposto israeliano

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I bambini di At-Tuwani “costruiscono” un futuro di pace

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I volontari veronesi Sara e Michele con i bambini palestinesi di Nablus

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Terra di Palestina, terra da condividere?

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L’ARMA DELLA NONVIOLENZA

Mentre Hafez parlava, provai ad immaginare come si sentissero questi bambini, cosa pen-sano di questi grandi sconosciuti che li aggre-discono e fanno loro del male. A causa di tutte le violenze che subiscono, i Palestinesi stavano pensando di reagire a loro volta con la violenza. Hafez invece ha iniziato a organizzare incontri per spiegare alle persone che si trattava di una trappola: se avessero risposto con la violenza sarebbero stati cacciati. È così hanno comincia-to ad organizzarsi per realizzare forme di resi-stenza pacifi ca.Hafez, nel ricordare che qui vivono un’ingiusti-zia orribile, afferma la loro convinzione che la li-bertà un giorno arriverà. Fa appello alla nostra solidarietà e al nostro sostegno, perché ognuno di noi racconti la loro storia a tutte le persone che conosce.Dopo aver parlato con Hafez, ci invitano a fare un giro per le strade di At-Tuwani. In una specie di campetto da calcio di asfalto (uno dei pochi pezzi asfaltati del paese) incontriamo una ven-tina di bambini, dai sei agli undici anni, che gio-cano, ridono e fanno confusione. Osservando-

li, rimango molto colpita dalla loro allegria: loro così piccoli e indifesi, vivono in condizioni tali da non poter nemmeno immaginare come vivo io. Alcuni bambini, eccitati dalla presenza di questi intrusi, si avvicinano a noi e ci chiedono i nostri nomi. Quando noi chiediamo i loro si scatena-no e cominciano a urlare parole per noi incom-prensibili e. pretendono che le ripetiamo. “Chis-sà quante sciocchezze o parolacce mi avranno fatto dire” penso divertita. La verità è che le loro risa-te ci riempiono il cuore e siamo al-meno un po’ con-fortati nel vedere che le umiliazio-ni che subiscono ogni giorno non hanno fermato la loro forza e il loro entusiasmo.

RESISTENZA PACIFICAModo non violento di espri-mere il proprio disaccordo rispetto a chi con la forza impone le proprie regole. Nel caso dei Palestinesi, spesso si manifesta conti-nuando a vivere nel territo-rio dal quale li vogliono cac-ciare, oppure organizzando manifestazioni pacifi che di protesta.

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Speciale

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U n’avventura, una vacanza, un viaggio per ca-pire. Otto amici, un pulmino e una lista di nu-meri di telefono avuta da un responsabile di

Libera (vedi box). Prima di allora nessuno di noi era stato in Sicilia; ma tutti sentivamo che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.

UNA VITA PER LA GIUSTIZIA

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati uccisi nel ’92, sono di-ventati i simboli della lotta alla mafi a. Il testimone lo hanno passato ai molti

che rischiano ogni giorno per aver svolto fi no in fondo il loro lavoro. Come Piero Grasso, procuratore costretto a vivere sotto scor-

ta e già scampato ad attentati. O come i suoi fi gli che hanno avuto bisogno di tempo prima di capire e di aiutare il

padre nella sua coraggiosa scelta.La vita di Rita Borsellino, invece, cambiò dopo la morte del fratello in via D’Amelio: da farmacista di-venne uno dei volti più celebri dell’antimafi a. Ora la-vora al Parlamento europeo e cerca di combattere la criminalità organizzata con una legge che preveda la confi sca dei beni, il “tesoro” dei boss.

Viaggio nell’Italia che lotta per la giustizia e la legalità

UNA MAFIA, TANTE MAFIE

I l termine “mafi a”, usato per parla-re di tutta la criminalità organizza-ta, si riferisce, in realtà, solo a quel-la siciliana. Le altre organizzazioni criminali si chiamano: ’ndranghe-ta (Calabria), camorra (Campania), Sacra corona unita (Puglia)

L’ulivo di Falcone e Borsellino in via d’Amelio a Palermo

Viaggio nell’Italia

a cura di Elena Dante

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GIOVANI

CONTRO LA MAFIA

I ragazzi sono un’altra chiave per il cambiamento: in trop-

pi sono costretti a scendere a compromessi o andarsene per-

ché la mafi a soffoca industria e turismo. Ma anche l’antimafi a ha

un cuore giovane: a Palermo i ra-gazzi di “Addio pizzo” dal 2004 assi-

stono chi si rifi uta di pagare per evitare “incidenti” al proprio negozio. Una matti-

na la città si è svegliata piena di adesivi con la scritta “Un popolo intero che paga il pizzo

è un popolo senza dignità”, uno shock per chi pen-sava fosse normale farlo.E poi ci sono le migliaia di ragazzi da tutta Italia che in esta-te lavorano per sostenere i progetti di Libera. Ci hanno spiegato che la loro presenza è una “scossa” anche per i giovani siciliani, che iniziano a farsi domande e scoprono come impegnarsi sul campo per cambiare le cose.C’è anche chi ha perso la vita, come Rita Atria, che da fi -glia di un mafi oso era diventata testimone di giustizia: morì

suicida a 17 anni, dopo la morte del giudice Borsellino al quale era molto

legata. A lei è intitolata un’associazione che educa alla legalità i più piccoli. Come quella bambina di 12 anni che portava i segni di uno schiaffo ricevu-to per aver dato del “mafioso” al nonno. Ferita, ma orgogliosa di averlo detto.

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L ibera nasce il 25 marzo 1995 da un’idea di don Luigi Ciotti, con

l’obiettivo di promuovere la legalità e la lotta alle mafi e. La prima iniziativa dell’associazione è stata una propo-sta di legge per il riutilizzo dei beni confi scati ai mafi osi, tra cui i campi dove in seguito verranno coltivati i prodotti “Libera Terra”. Il progetto è cresciuto e ora conta più di 1500 as-sociazioni, scuole e gruppi in tutta Italia impegnati a diffondere la cultu-ra della legalità.

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Albero “antimafi a” presso la sede di

“Addio pizzo”

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“Stradario siciliano” al museo della legalità a Corleone

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Nov 2010

INSIEME, CONTRO TUTTE LE MAFIE

In questo viaggio la Sicilia e le persone che conoscevamo solo da libri e TV sono diventate reali, le abbiamo portate a casa in ricordi, foto e quaderni di appunti. Abbiamo im-parato qualcosa sui motivi che permettono alla mafi a di prosperare; abbiamo capito che non esiste una ma tante mafi e, ognuna con le sue particolarità e modi diversi per combatterla. E abbiamo scoperto, purtroppo, che la crimi-nalità organizzata è arrivata da tempo anche al nord Italia, dove fa affari sfruttando la complicità e la paura di molti.Dedichiamo un abbraccio ai ragazzi siciliani, a tutti quelli che abbiamo incontrato e che lottano ogni giorno per un futuro senza pizzo e senza mafi e. A loro diciamo: non siete soli!

PER SAPERNE DI PIU’sul web

www.libera.itwww.libera.it • www.telejato.itwww.telejato.itwww.addiopizzo.orgwww.addiopizzo.org • www.ritaatria.itwww.ritaatria.it

Pino Maniaci e la sua redazione “allargata”

Museo della legalità a Corleone

PRIMO PASSO:

INFORMARSI

Se le cose in Sicilia si stanno muoven-do è anche perché si parla fi nalmente di temi “scottanti”. Ci sono i giornalisti “testardi” che continuano a fare il loro mestiere, e c’è chi usa l’arma dell’iro-nia. Come Telejato, telegiornale tra-smesso in 25 comuni della provincia di Palermo; qui, da veri giornalisti, abbiamo letto le notizie e scherzato con Pino Maniaci, il vulcanico diretto-re che spazia dalla cronaca alle que-stioni ambientali. Anche qui, tanti gio-vani: un servizio realizzato a 15 anni dalla figlia Letizia ha contribuito alla chiusura di una fabbrica inquinante. E usava l’ironia anche Peppino Im-pastato, fondatore negli anni ’70 di una piccola radio a Cinisi e ucciso a trent’anni perché “scomodo”. La sua abitazione è ora una “casa della me-moria” piena di libri, foto e disegni; cento passi più in là era la casa del ca-pomafia che Peppi-no aveva denuncia-to. Abbiamo contato insieme i passi fino all’altra casa, chiusa a chiave. La mam-ma di Peppino dice-va: “Spero che quel-la casa resti sempre chiusa, e che la nostra resti sempre aperta”.

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Zoom a cura di

Betty Pagotto

Mai più scuse…

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Nonostante i grandi passi avanti compiu-ti negli ultimi anni e le tante campagne di sensibilizzazione, le donne sono anco-ra vittime di violenza un po’ovunque nel mondo. A ricordarcelo sono proprio le Nazioni Unite, istituendo la data del 25 novembre come giornata interna-zionale contro la violenza sulle donne. C’era proprio bisogno di questa giornata per ricordarsi delle donne che subisco-no violenze ogni giorno? Sì! Per spinge-re i governi, ma anche la gente comune, a prendere atto di questi fatti, condan-nando qualsiasi episodio violento. Il 25 novembre è anche la data di ini-zio di una mobilitazione mondiale per i diritti delle donne. Questa campagna durerà 16 giorni (per questo si chiama

“N“N on portarmi fi ori, porta-mi rispetto”. Sembra il ritornello di un pezzo

rap... Invece no: è lo slogan di un ma-nifesto pubblicitario di qualche anno fa, che invitava a rispettare donne e bambine non solo l’8 marzo, e non solo con i fi ori. Insulti, derisioni o epi-sodi di violenza nei loro confronti, sono molto frequenti: come se il solo fatto di essere “maschio” autorizzas-se alla prevaricazione, all’aggressività o al dominio sull’altra persona.

25 novembre: diciamo NO alla violenza sulle donne

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“Sixteen Days Campaign”) e legherà il 25 novembre al 10 dicembre, giorna-ta internazionale dei diritti umani, ri-cordando il nesso esistente tra i diritti delle donne e quelli della persona.

COME REAGIRE

Che si tratti di donne, uomini o bambi-ni, la violenza è sempre un fatto grave perché annienta la dignità e la libertà della persona. Anche quando si tratta di parole in quanto possono ferire più di uno schiaffo, come ad esempio un insulto o un pedinamento dell’ex-fi -danzato geloso. Televisione e giornali non parlano volentieri delle violenze compiute da conoscenti della vittima (è la cosiddetta violenza domestica), mentre riportano più spesso quelle in

cui l’autore è uno sconosciuto, maga-ri straniero. Questo perché è diffi cile ammettere che persone che cono-scono bene una donna, come mariti, fratelli, amici, fi danzati possano esse-re violenti con lei. Un tema delicato, questo della vio-lenza al femminile, ma di cui è impor-tante parlare proprio perché è molto diffuso. Il messaggio per i più giovani è uno solo: rifi utiamo le amicizie che ci fanno sentire più o meno importanti a seconda del nostro essere maschi o femmine. Impegniamoci perché nei nostri rapporti ci sia sempre posto per il rispetto e la valorizzazione di quel-le differenze che rappresentano una ricchezza, non un’occasione per di-scriminare gli altri. E soprattutto, tro-viamo il coraggio di parlare con chi ci vuole bene e di non tacere. Sempre!

Campagna di sensibilizzazione sulla violenza domestica in Piemonte. Sulle sagome sono riportate le storie

di alcune vittime di violenza.

…mai più silenzio sulla violenza alle donne

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Chasqui

AA vevo 17 anni quan-do la Shell comin-ciò a trivellare e a

fare violenza alla mia terra, l’Ogoniland. Prima che arri-

vassero loro, le grandi multina-zionali del petrolio, la mia gente si dedica-va alla pesca e all’agricoltura. Si viveva di quello che la terra e l’acqua del delta del fi ume Niger davano in grande abbondan-za. Il popolo Ogoni viveva con dignità, lavo-rando con energia per procurarsi ciò di cui aveva bisogno. Non eravamo ricchi di soldi, ma di cultura e tradizioni secolari. Ma da quando i maledetti pozzi iniziarono a vomitare il prezioso – per loro, gli stranieri – “oro nero”, la devastazione si impossessò di ogni cosa. Fiumi, paludi, campi, terreni divennero un immenso acquitrino di acqua e petrolio in cui morivano soffocati piante, ani-mali e persone. Si scavarono decine di pozzi che perforarono in profondità la terra; si co-struirono mostruose raffi nerie, puzzolenti com-plessi petrolchimici e fabbriche di concimi. Una ragnatela di tubi e oleodotti, lunga migliaia di chilometri quanto la distanza esistente tra Londra e New York, deturpò il nostro territorio portando-lo all’asfi ssia e al collasso, a causa delle enormi quantità di gas di scarico prodotti dalle trivellazioni e delle piogge acide inquinanti.Dei posti di lavoro promessi a noi Ogoni dalle autori-tà e dalle multinazionali nessuna traccia. Le attività pe-trolifere, invece, portarono disoccupazione, abbandono del lavoro dei campi e della pesca e all’emigrazione nel-le grandi città, soffocate dai cinturoni della miseria delle periferie. Scoprimmo così che l’immensa ricchezza sotto i nostri piedi era diventata la nostra maledizione. Una tragedia che tuttavia non mi distolse in nessun momento dalla passione

Un uomo di pace

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per la poesia e la scrittura che avevo colti-vato fi n da giovanissimo. Pur rendendomi conto che non potevo cantare i versi dell’arte poetica mentre un popolo di 500mila persone era condannato a morte e penzolava dalle torri di trivellazione.E fu così che quando ebbi molti più anni, nel 1990, fondai il MO-SOP (Movement for the Survival of the Ogoni People), il movi-mento politico che cercava di attirare l’attenzione della Nige-ria e del mondo su quanto stava accadendo nel delta del Niger. Questa scelta ebbe successo ma scatenò la repressione violenta di chi voleva continuare a fare af-fari sulla pelle della gente. Alla fi ne una marea di petrolio nero e sporco e una tempesta di calunnie, falsità e torture spazzarono via defi nitivamente la mia vita.

Signor Presidente, qui è

sotto processo la Shell. Ma questa

compagnia non è oggi sul banco degli

imputati. Verrà però certamente quel giorno perché io vi

dico senza alcun dubbio che la guerra che la compagnia ha

scatenato contro l’ecosistema della regione del delta del Niger

sarà prima o poi giudicata e che i crimini di questa guerra saranno

debitamente puniti. Così come saranno puniti i crimini compiuti dalla

compagnia nella guerra diretta contro il popolo Ogoni.

Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa

povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse;

provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere

che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente.

Non ho dubbi sul fatto che, alla fi ne, la mia causa vincerà. Né la prigio-

ne né la morte potranno impedire la nostra vittoria fi nale.

Nel dichiararmi innocente, faccio appello agli Ogoni, alle popo-

lazioni del delta del Niger e a tutte le minoranze oppresse della

Nigeria perché si sollevino e lottino senza sosta per i loro diritti.

Dio è dalla loro parte. La sura 42 del Corano, versetto 41 re-

cita: “Chi si difende per aver subito un torto non incorre

in nessuna sanzione, ma Allah punirà l’oppressore”.

Venga fi nalmente quel giorno.

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Il 10 novembre 1995, dopo

mesi di carcere, moriva Ken

Saro-Wiwa, poeta, scrittore

e attivista politico, grande di-

fensore della causa del popolo

Ogoni della Nigeria. La sua lotta fi nì

con la condanna a morte per impiccagio-

ne, dopo un processo-farsa in cui fu ricono-

sciuto colpevole assieme ad altri 8 attivisti

ogoni.A distanza di anni da quel tragico giorno,

ora sappiamo che il suo sacrifi cio non è

stato del tutto vano. La sua battaglia per

preservare il territorio del suo popolo dal

saccheggio delle multinazionali del pe-

trolio è servito a far prendere coscienza a

milioni di africani sull’impegno di ciascu-

no di noi per ottenere il rispetto dei diritti

fondamentali di tutti.

Ad un certo momento della sua vita Ken ha

saputo mettere da parte la sua vocazione

di poeta e scrittore, per sporcarsi le mani

nella battaglia per vedere realizzati i va-

lori della giustizia, la libertà e il rispetto

dell’ambiente, valori nei quali credeva fi no

in fondo. A lui devono molto tutti coloro che

lavorano affi nché la Terra assomigli alme-

no un po’ a quel paradiso ideale dove cia-

scuno di noi vorrebbe vivere.

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aaa aaaneneeee nnnnnii aaaaa--ttttoototttoto nonoonno

Parlane con ...PADOVAp. Daniele: [email protected]. Lorena: [email protected]

VENEGONO SUPERIORE (VA)p. Livio: [email protected]. Betty - sr. Eleonora: [email protected]. Domenico: [email protected]

PESAROp. Ottavio: [email protected]

p. Jesùs: [email protected]. Eugenia: [email protected]. Tiziana - sr. Rosa: [email protected]: [email protected]

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Clap clap cinema a cura di Marialuisa Negriolli

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“G“G razie, sono orgogliosa, non ci pos-so credere” esclama una raggian-te Sofi a Coppola ritirando il “Leone

d’oro” per il suo “Somewhere” applauditissimo sia dal pubblico che dalla critica. “Somewhere” (Da qualche parte) è la storia di Jonny Marco, superdivo di Hollywood che entra in profonda crisi quando la ex moglie gli consegna la loro fi -glia undicenne, Cleo, perché trascorra un po’ di tempo con lui. Johnny Marco è un attore all’api-ce del successo, vive nel celebre hotel Chateau Marmont, frequentato solo da gente importante. È un vincente, ha la Ferrari, trova ad ogni angolo belle ragazze “disponibili”. In fondo, però, è solo

e depresso. L’arrivo di Cleo sconvolgerà la sua vita e la convivenza con la bambina lo spingerà a riconsiderare tutta la propria esistenza. «Ho scritto questo fi lm dopo la nascita di mia fi glia Cosima» ha dichiarato Sofi a. «È un fi lm in par-te autobiografi co; mio padre – il regista Francis Ford Coppola – mi portava spesso con sé nei suoi viaggi e anch’io ho vissuto per lunghi perio-di negli alberghi con un senso di straniamento”. Ottimo fi lm di qualità, la storia è scorrevole, la fotografi a accurata, le interpretazioni d’alto li-vello, adatto – date certe situazioni – ai ragazzi degli ultimi anni delle scuole superiori.Ai ragazzi delle scuole medie, invece, interesse-rà “Meek’s Cutoff” (Il sentiero di Meek) di Kelly Reichardt. Un fi lm sul West americano assai di-verso dagli stereotipi di pistoleri, battaglie, con-quiste, capi-tribù e massacri da ambo le parti. Qui la regista oppone un West di silenzi, di don-

eee depresvita e la a riconsscritto qCosimate autobFord Cosuoi viagdi negli aOttimo fi

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ne coraggiose che soffrono con dignità e coraggio, dove i grandi spazi invitano a profonde rifl essio-ni. La vicenda rac-conta la dura vita in una carovana di tre famiglie che han-no assunto la guida Stephen Meek per-ché le accompagni, attraverso l’Oregon, fino alle montagne Cascade. Il viaggio si rivelerà pieno di difficoltà e colpi di scena, con situazioni in cui affi orano i veri carat-teri delle persone, soprattutto delle donne che si dimostreranno migliori degli uomini. “Meek’s Cutoff” ha ricevuto il Premio Signis, attribuitogli da una giuria cattolica con la seguente motiva-zione: “Un antiwestern che inquadra l’epopea di alcuni pionieri americani, affi dando la speranza di un futuro migliore al confronto con l’altro”.

E infine per tutti – anche per i bambini delle scuole elementari – “Pequeñas voces” (Co-lombia). Autori J.Eduardo Carrillo, insegnante universitario di tecniche di animazione e Oscar Andrade, produttore televisivo e cinematogra-fico. Il film racconta la storia vera di 4 bambi-ni soldato colombiani che hanno avuto la loro vita distrutta dalla violenza di un confl itto senza

tregua. Per l’animazio-ne i registi hanno usato come base del film le voci e i disegni realizza-ti dagli stessi bambini soldato. In un secondo tempo i disegni sono stati digitalizzati e ani-mati al computer. Buia e tetra l’iniziazione alla guerra, con l’invio in prima linea di bambini di 10, 12 anni! Potente, avvincente e commo-vente racconto anche con momenti di tene-rezza e speranza di un futuro migliore.Pequeñas Voces

Meek’s Cutoff


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