SCUOLA DI FOTOGRAFIA
La profondità di campo
Negli scorsi articoli abbiamo parlato a lungo della composizione come arbitrio creativo del
fotografo e come parte fondamentale del messaggio artistico dello scatto. Senza dubbio la
scelta compositiva è uno dei fattori basilari nella ricerca del risultato finale ma non l'unico.
Un altro fattore, fortemente legato alla fisica e all'ottica oltre che alla tecnica fotografica, si
presta a infinite possibilità creative: la profondità di campo (che chiameremo d'ora in poi
PDC)
Cos'è la profondità di campo?
Si può definire la PDC come la distanza tra il punto più vicino e quello più lontano entro i
quali i soggetti fotografati risultano essere nitidi e a fuoco. ***** FOTO1***** In realtà un
solo piano del soggetto è tecnicamente a fuoco, ma la zona attorno ad esso andrà
sfocando gradualmente allargando ai nostri occhi l'area nitida. Nel momento in cui si
impugna la macchina fotografica e si mette a fuoco si va a cercare questo piano
perfettamente nitido (di norma il soggetto della fotografia) decidendo in base ai fattori che
vedremo in seguito quanta zona a fuoco dovrà trovarsi davanti e dietro ad esso: mano a
mano che ci si sposta verso i piani posteriori o antecedenti il livello a fuoco, l'immagine
andrà gradualmente sfocando, ovvero perdendo in nitidezza e diventando sempre meno
riconoscibile e leggibile.
La nitidezza viene persa in modo graduale e normalmente il punto di messa a fuoco non
corrisponde al centro della PDC: a causa dell'angolo di incidenza dei raggi luminosi la
PDC è sempre più spostata verso la parte dietro al soggetto.
Cosa influenza la profondità di campo?
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i fattori che influenzano l'estensione della PDC
sono tre. Innanzitutto l'apertura del diaframma:. un diaframma chiuso regalerà una PDC
più estesa. Al contrario, una zona a fuoco più ristretta verrà ottenuta con aperture
maggiori. Quando si decide di allargare il proprio parco ottiche, l'eventuale acquisto di una
lente più luminosa (e di conseguenza più costosa) non dovrebbe dipendere solamente
dalla possibilità di conquistare qualche diaframma nel caso ci sia una luminosità scarsa.
Nell'ultimo decennio con le macchine digitali e i loro miracolosi alti iso e stabilizzatori
abbiamo già guadagnato tanti stop di luce rispetto alla fotografia analogica. In realtà una
tale scelta dovrebbe essere fatta anche, se non soprattutto, per acquisire la possibilità di
sfocare e gestire in modo più creativo la PDC.
Un secondo fattore è legato alla distanza tra il soggetto e il fotografo: a parità di diaframma
e lunghezza focale la dimensione della PDC è proporzionale alla distanza tra la macchina
fotografata e il piano a fuoco. Più mi avvicino al soggetto minore è la PDC e vice versa.
L'ultimo fattore che incide sulla dimensione della PDC è la lunghezza focale della lente. La
estensione della PDC è inversamente proporzionale alla lunghezza focale dell'obiettivo
utilizzato: scattando una fotografia con un grandangolare si otterrà una profondità
maggiore rispetto ad una fotografia scattata con una teleobiettivo. A questo proposito,
tuttavia, è necessario fare una puntualizzazione. L'influenza che la lunghezza focale ha
sulla PDC non deve nulla a fattori fisici. A dimostrazione di ciò, se si fotografa un soggetto
con un tele da 200 mm a f/2,8 ad una distanza di 10 metri si otterrà una profondità pari a
0,42 metri. Cercando la medesima composizione con un 50 mm sempre a f/2,8 mi dovrò
avvicinare a 2,5 metri dal soggetto ed otterrò la stessa PDC ovvero 0,42 metri.
Uso pratico della PDC
Come accennato in precedenza, la PDC è, assieme alla composizione, un importante
strumento creativo in mano al fotografo. La scelta consapevole della profondità influenzerà
enormemente il risultato ottenuto. Al di là dell'uso creativo e quindi estremamente
soggettivo della profondità, ci si deve ricordare che a fronte di una minore PDC si avrà un
maggiore isolamento del soggetto; al contrario, una profondità estesa racconterà
qualcosa in più perché metterà in evidenza tutto ciò che rientra nella vasta zona a fuoco.
La decisione sulla estensione della PDC quindi va presa in base alla fotografia che si
intende scattare, partendo dal genere per arrivare successivamente al risultato desiderato.
Logicamente vi sono alcuni generi che richiedono una PDC piuttosto estesa, la fotografia
paesaggistica in primis. Per raccontare un bel paesaggio è bene (ma non necessario)
includere più dettagli, colori e volumi. Nell'affrontare un paesaggio interessante a livello
fotografico è quindi consigliabile scattare con diaframmi chiusi (cosa che comporta spesso
l'uso del cavalletto). Quanto chiusi? Non troppo. E' risaputo infatti che tutti gli obiettivi
abbiano una resa migliore se utilizzati a diaframmi medi, ciò significa che scattare tra f/8
ed f /16 dovrebbe garantire una buona nitidezza. In questo caso si può raggiungere la
massima estensione della PDC con l'uso della distanza iperfocale
L'uso di una PDC limitata aiuta ad isolare il soggetto dal contesto. Questo tipo di scelta
viene spesso utilizzato nella ritrattistica. Laddove il soggetto emerge da uno sfondo
completamente sfocato l'occhio dell'osservatore è portato a concentrarsi sui dettagli del
viso e della persona ritratta. Per guidare ulteriormente lo sguardo di chi osserva la
fotografia, si può decidere di stringere l'inquadratura e di focheggiare su un particolare del
soggetto, ad esempio un occhio; in questo modo la parte che riteniamo più importante nel
modello ritratto viene immediatamente evidenziata rendendo il resto solo un morbido
contorno.
Nella macrofotografia, l'inevitabile vicinanza tra il fotografo e il soggetto non permette di
avere una PDC estesa: nello scattare fotografie macro infatti ci si trova costretti a chiudere
il diaframma per avere a fuoco tutto il soggetto (o almeno la parte più importante di esso).
Uso creativo della profondità di campo
La fotografia è arte e creatività e questo è l'aspetto più divertente di questa bellissima
passione che tanto sa coinvolgere chi la pratica. Conoscere e utilizzare in modo creativo i
mezzi e le conoscenze tecniche acquisite spesso porta a risultati ancor più soddisfacenti
rispetto al semplice scatto formalmente corretto. La profondità di campo è senza dubbio
uno dei mezzi che possono dare maggiori soddisfazioni: giocando con essa si può
staccare, unire, deformare e dipingere la realtà che ci circonda portando agli occhi di chi
osserva la nostra fotografia un punto di vista unico e sorprendente oppure guidandone
dolcemente lo sguardo laddove vogliamo che cada.
Fotografare a diaframmi apertissimi e ricercare una PDC estremamente ristretta può
creare giochi di volumi e colori davvero eccellenti: un modo per trascinare l'occhio
dell'osservatore all'interno del fotogramma, ad esempio, consiste nel lasciare una zona
fuori fuoco davanti e dietro al soggetto, mostrando il graduale passaggio da nitido a
sfocato (possibilmente entro uno sfondo uniforme in forme e colori). Questa tecnica
inserisce il soggetto all'interno del contesto, lo integra in esso e sorprende chi guarda
l'immagine che all'improvviso scopre il protagonista all'interno di un pattern uniforme
Sempre giocando con diaframmi aperti e una ridotta distanza dal soggetto si possono
reinterpretare i colori di un ambiente. Isolando con una ridotta PDC quello che scegliamo
essere il soggetto della fotografia lo circonderemo con uno sfondo sempre meno leggibile.
Lo sfocato (meglio se reso con un diaframma ricco di lamelle) andrà a sciogliersi in una
tavolozza di colori che circondano il punto focale dell'immagine avvicinando la fotografia
ad un quadro astratto
Un ulteriore gioco creativo con la PDC sta nel mettere a fuoco una parte meno importante
lasciando il soggetto leggermente sfuocato anche se leggibile e riconoscibile. La
composizione della fotografia e il contesto devono supportare questo approccio poiché il
protagonista dell'immagine deve essere evidente e immediatamente identificabile seppur
fuori fuoco. Questa tecnica di solito sortisce un piacevole stupore in colui che la osserva
perché ne stimola la fantasia e l'immaginazione portandolo a ricostruire in modo nitido e
naturale quello che si riesce solo ad intuire.
bokeh
Dalla nascita della fotografia digitale e dalla sua diffusione sulla rete alcuni termini sono
diventati internazionali. Un esempio è il termine BOKEH, parola di origine giapponese
(boke) che significa SFOCATURA oppure, se riferita all'uomo, CONFUSIONE MENTALE.
L'uso del termine bokeh ha iniziato ad essere utilizzato nella lingua anglosassone per
definire la zona fuori fuoco e distinguerla in modo veloce dalla “depth of field”, ovvero dalla
PDC. Tuttavia, col passare del tempo il termine nipponico ha presto acquisito un
significato molto più specifico: viene in effetti utilizzato non più per indicare la zona fuori
fuoco ma la qualità della stessa. Mentre la PDC dipende dai fattori elencati nell'articolo, il
bokeh è legato alla qualità della lente e al numero delle lamelle nel diaframma. Ci sono
lenti addirittura nate per regalare un bokeh insuperabile (il Minolta / Sony 135 f 2,8 / f 4
STF ad esempio che con i suoi due diaframmi riesce a dare uno sfocato cremoso e unico).
diaframma
All'interno di ogni obiettivo è disposta una membrana chiamata diaframma, tramite cui il
fotografo ha la possibilità di controllare la quantità di luce che andrà a colpire il sensore o
la pellicola per tutto il tempo in cui l'otturatore rimarrà aperto. Il centro esatto del
diaframma corrisponde all'asse ottico della lente. Il diaframma è formato da più lamelle
che, sovrapponendosi, permettono una maggiore o minore apertura, riproducendo così la
funzione dell'iride nell'occhio. Il controllo dell'apertura si trova direttamente sull'obiettivo nei
modelli più vecchi (di solito senza autofocus) mentre è controllato direttamente dalla reflex
negli apparecchi più moderni.
Le aperture del diaframma vengono indicate da un valori numerici detti f/stop e sono stati
standardizzati a Liegi nel 1905 nel modo seguente:
f/1, f/1,4, f/2, f/2,8, f/4, f/5,6, f/8, f/11, f/16, f/22, f/32, f/45, f/64
Questa scala è data innanzitutto dal rapporto tra il diametro (=d) della lente e la sua
lunghezza focale (=f). Ad esempio dato un obiettivo di 300 mm e di diametro pari a 75 mm
si ha 75/300 = 1/4 dove f / 4 è l'apertura massima dell'obiettivo. Nella scala dei diaframmi
tra un valore e il successivo vi è uno stop di differenza, ovvero un diaframma a f/1 fa
passare circa il doppio della luce rispetto ad un f/1,4.
IPERFOCALE
Data una lunghezza focale e un dato diaframma (meglio se intermedio), la distanza
iperfocale indica a quanti metri si deve trovare il piano di fuoco per ottenere la maggior
estensione della profondità di campo. Per fare un esempio, se su una macchina a pieno
formato ho un 50 mm diaframmato a f / 11 la distanza iperfocale è a 8,8 metri: mettendo
fuoco su quella distanza otterrò la massima PDC. Per calcolare la distanza iperfocale
esistono numerose tabelle, se ne trovano facilmente anche in rete. E' importante ricordare
che il calcolo dell'iperfocale varia anche in base alla dimensione del sensore, è necessario
quindi fare attenzione a scegliere la tabella corretta per la propria reflex.