sezione I civile; sentenza 28 gennaio 1998, n. 831; Pres. Rocchi, Est. Marziale, P.M. MorozzoDella Rocca (concl. conf.); Caruana (Avv. Bevilacqua, Leone) c. Cassa di risparmio di Bologna(Avv. Zini, Stagni). Cassa App. Bologna 2 settembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 769/770-775/776Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192306 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ciò, anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'ac
quisizione possa ricondursi ad un comportamento della contro
parte, tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quan tificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato: con la detta eccezione, infatti, non si fa valere alcun
diritto sostanziale di impugnazione, secondo il modello, dianzi
delineato, dell'azione costitutiva; né essa è espressamente o per via interpretativa identificabile come oggetto di una specifica
disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Ed alla stregua degli esposti principi, non può indurre a di
verse conclusioni il contenuto della detta eccezione, assertiva
della violazione di un dovere di comportamento gravante sul
l'attore (vale a dire il colpevole aggravamento del danno), o
della rilevanza economica del relativo adempimento (accettazio ne di una nuova occupazione e deduzione dell 'aliunde percep
tum): le proposizioni formulate dal convenuto, assertive o ne
gative che siano, in quanto volte ad assolvere l'ufficio logico di negare la verità delle conclusioni dell'attore, rimangono sem
pre nell'area delle eccezioni. Nel caso in esame non ci si disco
sta da questo modello, poiché, quando il convenuto datore di
lavoro afferma che il lavoratore dopo il licenziamento ha trova
to un lavoro retribuito, sicché il danno da risarcire è minore
dell'importo delle retribuzioni perdute per effetto del licenzia
mento stesso, egli non introduce alcuna domanda di accerta
mento di un fatto diverso da quello che costituisce oggetto del
giudizio per effetto della domanda dell'attore, ma si limita ad
offrire una diversa rappresentazione del medesimo fatto, ne
gando la disoccupazione come fonte di presunzione dell'entità
del danno nella misura dell'importo suddetto; ed analogo di
scorso può svolgersi con riguardo all'eccezione di colpevole iner
zia nell'evitare l'aggravamento del danno, trattandosi ancora
una volta di deduzione rilevante in esclusiva funzione determi
nativa della misura del danno.
Ne risulta, quindi, palese l'infondatezza delle prospettazioni
difensive, sviluppate dal ricorrente in modo particolare con le
memorie, ove la censura di violazione del principio di corri
spondenza fra chiesto e pronunciato viene, fondamentalmente, affidata al rilievo della necessità di una apposita «domanda»
della parte interessata.
Vero è, invece, che, nella specie, il tribunale, dopo avere rite
nuto che si potesse, di fronte al comportamento colposo del
creditore (v. pag. 14 della sentenza, primo capoverso: «Ma tut
to ciò perde rilievo . . .») prescindere dalla pur dimostrata cir
costanza dell'intervenuta prova del lavoro prestato dal Sanfelici
alle dipendenze di terzi per buona parte del periodo successivo
al licenziamento, ha fondato sul detto comportamento — de
sunto dalle dichiarazioni rese dallo stesso lavoratore davanti al
Pretore di Castiglione delle Stiviere — la denegata risarcibilità
di danni eccedenti la misura forfetaria minima: e ciò risponde allo schema, sopra delineato, dell'attribuzione, ai fini della de
cisione sul diritto al risarcimento, della rilevanza giuridica pre vista da una specifica norma (art. 1227) ad un determinato fat
to storico, oggetto di rituale allegazione ed acquisizione proces
suale, fin dal giudizio di primo grado, e conoscibile anche a
prescindere di una specifica iniziativa della parte interessata, quale fondamento di un'eccezione a questa non riservata, né per sua
natura, per disposizione di legge. Né preclusioni di sorta a tale cognizione ex officio si poneva
no in relazione alla struttura «chiusa» del giudizio di rinvio, atteso che oggetto di questo, per effetto della precedente pro nuncia caducatoria di questa corte, era appunto divenuta, fra
l'altro, la questione dell'entità dei danni provocati al ricorrente
dal suo licenziamento illegittimo, nel cui ambito rimaneva con
finata la rilevanza della suddetta eccezione.
L'esaminato motivo di ricorso si palesa, pertanto, infondato
in ogni suo aspetto. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1998.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 gen naio 1998, n. 831; Pres. Rocchi, Est. Marziale, P.M. Mo
rozzo Della Rocca (conci, conf.); Caruana (Avv. Bevilac
qua, Leone) c. Cassa di risparmio di Bologna (Avv. Zini,
Stagni). Cassa App. Bologna 2 settembre 1995.
Fideiussione e mandato di credito — Fideiussioni per obbliga zioni future — Nuova disciplina — Obbligazioni sorte in epo ca successiva — Garanzia — Esclusione (Cod. civ., art. 1938,
1956; 1. 17 febbraio 1992 n. 154, norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, art. 10).
Fideiussione e mandato di credito — Fideiussioni «omnibus» — Contratti bancari — Recesso del fideiussore — Obblighi della banca — Violazione — Conseguenze (Cod. civ., art.
1175, 1375, 1845, 1938, 1956).
Le fideiussioni per obbligazioni future rilasciate senza la previ sione dell'importo massimo garantito prima dell'entrata in vi
gore dell'art. 10 l. 154/92, pur non essendo nulle, sono ino
peranti rispetto alle obbligazioni sorte in epoca successiva. (1)
Qualora, in presenza di una fideiussione omnibus a garanzia delle obbligazioni assunte dal cliente di una banca, il fideius sore abbia comunicato il proprio recesso mentre è in corso
un rapporto di apertura di credito a tempo indeterminato,
provvedendo ad eliminare le passività sorte in epoca anteriore
al recesso, i principi di correttezza e di buona fede impongo no alla banca di recedere immediatamente dall'apertura di cre
dito tutte le volte in cui il ritardo possa arrecare pregiudizio al fideiussore, compromettendo le possibilità di recupero del
le somme versate per il pagamento del debito; la violazione di tale obbligo rende inoperante la garanzia fideiussoria ri
spetto alle obbligazioni successivamente sorte a carico del de
bitore principale. (2)
(1-2) Il carattere irretroattivo ed innovativo della disciplina posta dal l'art. 10 1. 154/92 (la tesi della retroattività, peraltro, era stata fatta
propria soltanto da talune pronunce di merito, mentre non è mai stata accolta dal Supremo collegio: v., da ultimo, Cass. 14 agosto 1997, n.
7603, Foro it., Mass., 752; 28 luglio 1997, n. 7052, ibid., 680; 23 marzo
1996, n. 2577, id., Rep. 1996, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 27, e Corriere giur., 1996, 901, con nota di L. Guaglione) non
configura alcuna disparità di trattamento tra le fideiussioni prestate pri ma o dopo l'entrata in vigore della disposizione, dal momento che, come ha chiarito Corte cost. 27 giugno 1997, n. 204, Foro it., 1997,
I, 2033 (annotata da F. Briolini, Fideiussione «omnibus» e «ius super veniens al vaglio della Corte costituzionale, in Banca, borsa, ecc., 1997, II, 635; M. De Giorgio, Le fideiussioni «omnibus» ed il giudice istrut tore del tribunale come giudice a quo, in Giur. cos tit., 1997, 1955; G.
Lo,bardi, La Corte costituzionale si pronuncia sulla dibattuta questio ne della fideiussione «omnibus», in Corriere giur., 1998, 31; v. altresì le considerazioni di M. Bin, La nuova disciplina della fideiussione «omni bus» si applica, dunque, anche ai contratti preesistenti, ma solo con
effetto per le obbligazioni successive, in Contratto e impr., 1997, 424) la garanzia non assiste le obbligazioni principali sorte in epoca successi va all'innovazione legislativa; per una delle prime pronunce che si muo vono nel solco tracciato dalla Consulta, cfr. Trib. Trani 14 ottobre
1997, riportata in Quaderno barese, IV, 87 (che parla di nullità della fideiussione omnibus prestata anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina qualora l'obbligazione principale sia sorta in un mo mento successivo, senza che vi sia stato un tempestivo adeguamento delle clausole contrattuali).
Nel caso esaminato dalla pronuncia in epigrafe, la decisione dei giu dici di appello, favorevole alla banca creditrice, non ha resistito al va
glio di legittimità, pur trattandosi di fideiussione già esaurita preceden temente all'introduzione del divieto di garanzia senza limiti. Nel regime ante riforma, la circostanza che la fideiussione omnibus fosse stata pre stata a favore di una banca non comportava soltanto una semplificazio ne della problematica concernente la determinabilità dell'oggetto del ne
gozio (sotto questo profilo, si afferma che le rigide regole che governa no il sistema creditizio non lasciano margini eccessivi di discrezionalità:
cfr. Cass. 20 maggio 1997, n. 4469, Foro it., Mass., 419). Si era, infat
ti, da tempo affermato un orientamento che esigeva dalla banca un
comportamento particolarmente diligente a salvaguardia delle ragioni del fideiussore, nel rispetto del fondamentale principio di buona fede
(cfr. Cass. 19 giugno 1997, n. 5481, ibid., 532; 20 febbraio 1997, n.
1567, ibid., 152, e Contratti, 1997, 573, con nota di M. Spataro; 6
febbraio 1997, n. 1123, Foro it., Mass., 105, e diverse altre decisioni
sulla scia di Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, id., 1989, I, 2750, con note
di R. Pardolesi, A. di Majo e V. Mariconda; sul versante probatorio, Cass. 28 luglio 1997, n. 7050, id., Mass., 679, precisa che grava sul
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato il 28
settembre 1989, Filippo Caruana conveniva in giudizio la Cassa
di risparmio di Bologna, innanzi al tribunale di quella città,
esponendo: — che il 12 maggio 1980 aveva rilasciato fideiussione in favo
re della banca convenuta a garanzia dell'adempimento «di qual siasi obbligazione» che Amedeo Nanni — quale titolare della
ditta «Compressori Eco» di S. Lazzaro di Savena — avesse as
sunto nei confronti del predetto istituto in dipendenza di «ope razioni bancarie di qualunque natura», già consentite o da con
sentirsi; — che il 14 aprile 1987 aveva comunicato alla banca che la
fideiussione doveva intendersi revocata «con decorrenza imme
diata» e che la banca, con lettera del 12 maggio 1987, aveva
dato atto della cessazione della garanzia; — che, al momento del recesso, il conto del Nanni aveva
un saldo passivo di lire 45.178.339, oltre interessi dal 1° aprile 1987;
— che il rapporto tra il Nanni e la banca era proseguito con
alterne vicende, presentando in alcuni momenti anche saldi a
credito; — che il 19 luglio 1989 la banca, premesso di aver revocato
gli «affidamenti» concessi al Nanni, aveva intimato, ad esso
attore, il pagamento della somma di lire 45.178.339, con i rela
tivi interessi; — che tale pretesa, avanzata dopo due anni dalla comunica
zione della dichiarazione di recesso, era palesemente infondata
perché fondata su operazioni poste in essere quando la garanzia non era più operante.
Tanto premesso, l'attore chiedeva che fosse accertata l'inesi
stenza del credito vantato nei suoi confronti dalla banca, con
ogni conseguenza di legge. 1.1. - La convenuta si opponeva all'accoglimento di tale do
manda e chiedeva, in via ri convenzionale, la condanna del con
venuto al pagamento della somma sopra indicata con gli inte
ressi dalla mora al saldo, deducendo, a sua volta: — che con il contratto di fideiussione si era stabilito: a) che
fideiussore l'onere di dimostrare la violazione degli obblighi di corret tezza e buona fede da parte della banca).
In generale, sul ruolo e la funzione della buona fede in executivis, v. Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, id., 1995, I, 1296, con osservazioni di C. M. Barone, nonché, da ultimo, Cass. 23 luglio 1997, n. 6900, id., Mass., 661, e Giust. civ., 1997, I, 2727 (che ha ravvisato la viola zione del principio di buona fede nel caso di frazionamento della do manda di adempimento coattivo dell'obbligazione in distinte azioni giu diziarie, concretandosi in tal modo un pregiudizio per il debitore, non
giustificato da un corrispondente vantaggio, meritevole di tutela, per il creditore).
La novità dell'odierna decisione può cogliersi nel fatto che, a diffe renza di altre occasioni (v. Cass. 21 gennaio 1995, n. 711, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 40, e Giust. civ., 1995, I, 1530), non è stato ritenuto sufficiente, ai fini della tutela del fideiussore, che la garanzia fosse contenuta nei limiti dell'espressione debitoria esistente al tempo in cui il recesso era divenuto efficace; non ci si può esimere dal conside rare l'interesse del fideiussore a ripetere dal debitore principale quanto sia stato da lui corrisposto, interesse che rischia di essere frustrato con un indiscriminato prolungamento del rapporto di apertura di credito, persino dopo l'azzeramento delle passività maturate in epoca anteriore al recesso del garante.
Con riferimento ad un rapporto di apertura di credito in conto cor rente ed all'ipotesi di liberazione del fideiussore prevista dall'art. 1956 c.c., v. Trib. Milano 15 maggio 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 48, e Giur. it., 1996, I, 2, 671, secondo cui, per accertare se il com
portamento della banca durante l'esecuzione del rapporto abbia rispet tato il principio di buona fede, occorre verificare se le condizioni del debitore principale siano peggiorate e se il mancato recesso dai fidi ac cordati abbia effettivamente danneggiato il fideiussore.
Tra i contributi più recenti in ordine alle problematiche inerenti alla fideiussione omnibus, v. S. Piazza, La fideiussione «omnibus» cinque anni dopo la riforma, in Contratto e impresa, 1997, 1080; E. Minervi no La nuova formulazione dell'art. 1956 c.c., in Rass. dir. civ., 1996, 257; F. Briolini, Fideiussioni «omnibus» non «esaurite» e legge sulla
trasparenza bancaria, in Banca, borsa ecc., 1996, I, 685; A. Marzio, La fideiussione «omnibus»: retroattività o meno della l. 154/92, in Nuovo dir., 1996, 212; F. Borchi, La fideiussione «omnibus» e la I. 17 feb braio 1992 n. 154, in Vita not., 1995, 1206.
Sulle norme bancarie uniformi in materia di fideiussione omnibus, già bocciate — per contrasto con la normativa antimonopolistica interna —
dalla Banca d'Italia con provvedimento 3 dicembre 1994 n. 12, in Bollet tino dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, 1994/48, 75, si addensano ora i fulmini comunitari: cfr. le conclusioni dell'avv. gen. Colomer, presentate il 15 gennaio 1998, nelle cause riunite C-215 e 216/96.
Il Foro Italiano — 1998.
la dichiarazione di recesso del fideiussore si sarebbe reputata «conosciuta» dal creditore solo quando la lettera fosse giunta nei suoi uffici e fosse trascorso il tempo ragionevolmente neces
sario per provvedere; b) che il fideiussore era comunque tenuto
a rispondere, oltre che delle obbligazioni in essere al momento
in cui il creditore avesse preso conoscenza del recesso, di ogni altra obbligazione sorta successivamente in dipendenza di rap
porti esistenti in detto momento; c) che, rispetto alle aperture di credito, il recesso sarebbe divenuto operante solo nel mo
mento in cui il creditore avesse potuto recedere dal rapporto, fosse conseguentemente cessata la facoltà di utilizzo del credito
da parte del debitore e fosse decorso il termine di presentazione
degli assegni da lui emessi ancora in circolazione; d) che il cre
ditore era espressamente dispensato dall'onere di agire nei con
fronti del debitore entro i termini stabiliti dall'art. 1957; — che, in coerenza con quanto stabilito da dette clausole,
essa convenuta, del prendere atto, con la lettera del 12 maggio
1987, del recesso della controparte, aveva precisato che la fi
deiussione sarebbe rimasta in vigore «per quanto previsto . . .
in caso di recesso unilaterale»; — che alla data del rilascio della fideiussione, e per tutta
la durata del rapporto, erano in corso con il debitore «vari rap
porti per affidamenti», confluiti nel conto corrente n. 4751/75, acceso presso la filiale di Ozzano Emilia;
— che, nel caso di specie, non era stata posta in essere, dopo la comunicazione del recesso alcuna nuova operazione bancaria
né erano stati concessi nuovi affidamenti al debitore; — che, in ogni caso, il contratto di fideiussione — in caso
di recesso del fideiussore — non prevedeva, per l'istituto di cre
dito, alcun obbligo di recesso immediato dagli affidamenti in corso.
In comparsa conclusionale l'attore si richiamava agli art. 10
e 11 1. 17 febbraio 1992 n. 154, entrata in vigore in epoca suc
cessiva all'udienza di precisazione delle conclusioni, assumendo — ad integrazione delle richieste già formulate — che la pretesa della banca doveva essere riconosciuta illegittima anche sulla
base di quanto previsto da dette disposizioni con le quali il legis latore aveva, rispettivamente:
— circoscritto l'ammissibilità di una fideiussione per obbliga zioni future all'ipotesi in cui fosse stato predeterminato l'im
porto massimo garantito; — escluso la validità della preventiva rinuncia del fideiussore
ad avvalersi della liberazione nell'ipotesi prevista dall'art. 1956
c.c.
Nella stessa sede era eccepita per la prima volta la nullità
della fideiussione, per indeterminatezza dell'oggetto, anche in
relazione alla normativa vigente nel momento in cui il contratto
era stato concluso.
1.2. - Il tribunale, con sentenza depositata il 29 settembre
1993, pur escludendo che potesse essere dichiarata la nullità della
fideiussione, per le ragioni prospettate dall'attore (osservando,
quanto alle disposizioni della 1. 154/92, che esse avevano porta ta innovativa e non potevano essere quindi applicate a contratti
stipulati prima della sua entrata in vigore) accoglieva la doman
da, osservando: — che, secondo quanto convenuto dalle parti, il recesso da
fideiussioni rilasciate a garanzia di rapporti derivanti da apertu re di credito sarebbe stato operante quando la banca avesse po tuto recedere a sua volta da detti rapporti;
— che una lettura secondo buona fede di detta clausola por tava a ritenere come «doveroso», per la banca, il recesso dall'a
pertura di credito non appena si fosse realizzata la situazione
ipotizzata dalla clausola in questione, al fine di evitare che il fideiussore potesse essere esposto a rispondere di obbligazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle esistenti al momento del
recesso; — che, invece, la banca aveva proseguito il rapporto con il
debitore continuando a fargli credito per circa due anni, duran te i quali il debitore, dopo aver in un primo momento estinto
ogni sua passività si era successivamente trovato ad essere nuo vamente gravato da una notevole esposizione debitoria che ave va indotto la banca, il 13 maggio 1989, a revocargli ogni affi
damento; — che tale condotta, palesemente contraria a buona fede,
non poteva giustificare la pretesa creditoria della banca, doven dosi al contrario ritenere che quest'ultima avesse, a suo rischio, continuato ad intrattenere rapporti con il debitore.
2. - La sentenza era però riformata dalla corte territoriale
che, accogliendo l'appello proposto dalla banca, condannava
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il Caruana al pagamento della somma reclamata dalla con
troparte. I giudici d'appello — dopo aver ribadito che ogni richiamo
alla disciplina dettata dalla 1. 154/92 era da ritenersi inconfe
rente — dovendosi escludere che le disposizioni richiamate fos
sero norme di interpretazione autentica e, come tali, retroattive — osservavano:
— che le clausole del contratto di fideiussione si limitavano
ad individuare il momento di efficacia della dichiarazione di recesso, senza imporre alla banca alcun obbligo (od onere) di
recedere, a sua volta, dal rapporto con il correntista; — che, comunque, la prosecuzione del rapporto con il debi
tore non aveva prodotto, nel caso di specie, alcuna conseguenza
negativa sul fideiussore, dal momento che la somma reclamata
dalla banca non era superiore all'ammontare del saldo negativo del conto al momento del recesso;
— che, d'altro canto, non era possibile portare in detrazione
le rimesse operate sul conto (in epoca successiva al recesso, ma)
prima della cessazione del rapporto, in quanto le singole opera zioni registrate costituiscono fasi di svolgimento di un unico
rapporto e, quindi, solo il risultato finale e complessivo assume
rilevanza al fine di determinare la posizione debitoria (o credi
toria) dell'accreditato.
Sia il ricorrente che la resistente hanno depositato memoria.
2.1. - Il Caruana chiede la cassazione di tale sentenza con
cinque motivi, al cui accoglimento la banca si oppone con con
troricorso.
Motivi della decisione. — 3. - Con i primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, il ricorrente — de
nunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 10 1. 17 feb
braio 1992 n. 154, in relazione agli art. 1938 e 1956 c.c. e al
l'art. 12 disp. prel. c.c.; nonché dell'art. 11 delle stesse disposi zioni preliminari — censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto inapplicabile l'art. 10 della citata legge (che, tra l'altro, limita l'ammissibilità della fideiussione prestata per un'obbliga zione futura all'ipotesi in cui sia predeterminato l'importo mas
simo garantito), senza considerare che detta disposizione:
a) ha natura interpretativa ed è quindi idonea ad incidere re
troattivamente sulla validità del contratto di fideiussione stipu lato il 12 maggio 1980, che non conteneva alcun limite di somma;
b) viene comunque ad incidere sugli effetti dei rapporti non
ancora esauriti, determinandone la cessazione per incompatibi lità con il contenuto delle nuove norme sopravvenute.
3.1. - La censura è infondata sotto entrambi i profili prospet tati. Ed anzitutto in relazione a quello puntualizzato alla lett.
a) del precedente paragrafo. Deve infatti rilevarsi che la qualificazione di una disposizione
di legge come atto di interpretazione autentica di norme giuridi che preesistenti, presuppone una particolare struttura del pre
cetto normativo che, essendo diretto a chiarire, con effetto vin
colante, il significato di una norma preesistente, assume il valo
re di una disposizione complementare di quella interpretata e
non è quindi suscettibile di considerazione autonoma, dovendo
la disciplina da applicarsi ai singoli casi concreti essere desunta
da entrambe le disposizioni (Cass. 25 ottobre 1986, n. 6260, Foro it., Rep. 1986, voce Legge, n. 35; 6 marzo 1992, n. 2740,
id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 286). Non è questo il caso dell'art. 10, 1° comma, 1. 154/92, che,
entrata in vigore nel corso del presente giudizio, si è limitata
a sostituire un nuovo testo a quello originario dell'art. 1938
c.c., in cui è possibile cogliere un elemento di novità, rappre sentato dalla necessaria indicazione dell'importo massimo ga rantito. La norma è, pertanto, chiaramente «innovativa», come
è confermato, sia dal titolo e dalla sua formulazione (che non
contengono indici significativi del suo carattere «interpretati
vo»), sia dall'art. 11,4° comma, della stessa legge che, preve
dendo la decorrenza dell'efficacia di detta disposizione solo dal
centoventesimo giorno successivo all'entrata in vigore della leg
ge (e, quindi, dopo una vacatio assai più lunga di quella ordina
ria) rafforza il convincimento che non si tratti di una norma
destinata semplicemente a dirimere incertezze (e la conseguente
possibilità di interpretazione divergente) sulla portata di una nor
ma preesistente (poiché in tal caso non vi sarebbe stata alcuna
necessità di differirne l'efficacia, non essendovi aspettative «certe»
ed interessi «sicuramente protetti» da tutelare), bensì di una
disposizione destinata a modificare, per l'avvenire, la disciplina
della materia (Cass. 3 marzo 1994, n. 2115, id., Rep. 1995,
Il Foro Italiano — 1998.
voce Fideiussione e mandato di credito, n. 29; 20 ottobre 1994, n. 8582, ibid., n. 28; 10 aprile 1995, n. 4117, id., Rep. 1995, voce cit., n. 23; 23 marzo 1996, n. 2577, id., Rep. 1996, voce
cit., n. 27). Ma, se la norma, per quanto si è detto, non ha carattere
interpretativo, ed è quindi priva di efficacia retroattiva, la sua
violazione, non può incidere sulla validità dei contratti che, co
me quello intercorso tra le parti, siano stati conclusi prima della
sua entrata in vigore, poiché, in base ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, il giudizio circa la confor
mità (o meno) di un atto alla legge non può che essere riferito
al momento in cui esso è stato posto in essere (Cass. 21 feb
braio 1995, n. 1877, id., Rep. 1995, voce Contratto in genere, n. 425; 27 ottobre 1995, n. 11196, id., 1996, I, 2866).
3.2. - Venendo al secondo profilo, specificato alla lett. b) del § 3, è certo esatto che il sopravvenire di nuove norme impe
rative, pur non potendo incidere (per quanto si è detto) sulla
validità dei contratti già conclusi, vale tuttavia ad impedire che
essi producano ulteriori effetti contrastanti con quanto da esse
stabilito e che, pertanto, la 1. n. 154 del 1992, pur non determi
nando la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future già rilasciate senza la previsione dell'importo massimo garantito al
la data della sua entrata in vigore, le rende tuttavia inoperanti
rispetto alle obbigazioni sorte in epoca successiva (Corte cost.
27 giugno 1997, n. 204, id., 1997, I, 2033). Invero, il principio di irretroattività non impedisce che la leg
ge nuova si applichi ai rapporti che, pur avendo avuto origine sotto il vigore della legge abrogata, siano destinati a durare ul
teriormente (Cass. 15 gennaio 1996, n. 267, id., Rep. 1996, vo
ce Fascismo, n. 1; 31 marzo 1983, n. 2351, id., Rep. 1983, voce Previdenza sociale, n. 324) e ne modifichi l'assetto con
effetto ex nunc, vale a dire dal momento della sua entrata in
vigore. Ma deve riconoscersi che di tale opportunità il ricorrente non
può beneficiare, dal momento che — come risulta incontrover
tibilmente dalla sentenza impugnata — la 1. 154/92 è stata pub blicata nel corso del presente giudizio e, quindi, tutte le obbli
gazioni rispetto alle quali la garanzia è stata fatta valere, erano
già sorte prima che detta legge fosse entrata in vigore: tale cir
costanza vale ad escludere, altresì, l'ipotizzabilità di dubbi circa
la compatibilità del citato art. 10, per l'aspetto che viene in
rilievo nel presente giudizio, con il principio costituzionale di
uguaglianza sancito dall'art. 3, 1° comma, della Carta costitu
zionale (corte cost. 204/97, cit.). 4. - Con il terzo, il quarto e il quinto motivo, il ricorrente
— denunziando violazione e falsa applicazione degli art. 1936
ss., in relazione agli art. 1175 e 1375 c.c., dell'art. 1845 c.c.; nonché vizio di motivazione — censura la sentenza impugnata
per aver ritenuto legittima la pretesa della banca senza consi
derare: — che il riconoscimento della validità delle fideiussioni c.d.
omnibus, anche prima dell'entrata in vigore della 1. 154/92, non
era senza limiti, posto che la banca beneficiaria di detta garan zia era pur sempre tenuta al rispetto dei principi di correttezza
e di buona fede e che l'operatività della fideiussione era quindi esclusa, non solo quando la banca avesse agito con il proposito di recare pregiudizio alla controparte, ma anche quando non
avesse osservato i canoni di diligenza, schiettezza e solidarietà, cui debbono attenersi sia il debitore che il creditore;
— che il saldo passivo (di lire 121.000.000) esistente al mo
mento della revoca del fido (e, quindi, della cessazione del rap
porto di apertura di credito) non poteva essere ricondotto ai
rapporti già instaurati nel momento in cui il recesso del fideius
sore era divenuto operante, non solo perché tale effetto si era
determinato ben due anni addietro, ma perché successivamente
le passività maturate in epoca anteriore al recesso erano state
eliminate.
E, inoltre, per avere omesso di spiegare come potesse essere
ritenuto conforme ai principi di corrtta e di buona fede il com
portamento della banca, la quale — pur in presenza di una clau
sola che, ricollegando l'operatività della dichiarazione di reces
so al momento in cui il creditore avesse avuto la possibilità di
sciogliersi a sua volta dal rapporto di apertura di credito, aveva
mostrato di prendere in considerazione l'interesse del fideiusso
re a non rispondere di obbligazioni «ulteriori e diverse» rispetto a quelle esistenti al momento del recesso — aveva continuato
a concedere fido al debitore ancora per due anni dopo aver
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PARTE PRIMA
avuto comunicazione del recesso, anche oltre il limite dell'affi
damento in precedenza concesso e dopo che le passività in pre cedenza accumulate erano state eliminate, pregiudicando tra l'al
tro ogni passività di rivalsa del fideiussore verso il debitore prin
cipale. 4.1. - Tali doglianze, che possono essere congiuntamente esa
minare, vanno riconosciute fondate, in relazione alla denunzia
ta violazione, da parte del fideiussore, dei principi di correttez
za e di buona fede nei confronti del fideiussore, che assume
carattere assorbente.
Invero, secondo l'ormai consolidato insegnamento di questa
corte, l'estensione della garanzia fideiussoria a tutte le obbliga zioni presenti e future assunte dal debitore nei confronti di una
banca non è incompatibile con quanto prescritto dall'art. 1346
c.c., sia perché l'oggetto della fideiussione è determinabile per relationem sulla base di operazioni il cui compimento è sogget to alle specifiche disposizioni, anche di natura pubblicistica, che regolano l'esercizio dell'attività creditizia, sia perché la banca, come ogni altro contraente, è tenuta al rispetto dei doveri di
correttezza e di buona fede che regolano l'esecuzione del con
tratto (Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, id., 1989, I, 2750; 20 lu glio 1989, n. 3386, ibid., 3100; 15 marzo 1991, n. 2790, id., 1991, I, 2060; 6 aprile 1992, n. 4208, id., Rep. 1992, voce Fi deiussione ee mandato di credito, n. 34; 22 giugno 1993, n.
6897, id., Rep. 1993, voce cit., n. 21; 25 gennaio 1995, n. 888,
id., Rep. 1993, voce cit., n. 42; 23 marzo 1996, n. 2577, cit.). Muovendo da tali considerazioni, è stata riconosciuta, con
riferimento alla situazione normativa esistente prima dell'entra
ta in vigore dell'art. 10 1. 17 maggio 1992 n. 154, l'incondizio
nata validità della c.d. fideiussione omnibus, sia sotto il profilo della determinabilità dell'oggetto che della deroga a quanto pre visto dall'art. 1956 c.c., ma, al tempo stesso, si è riaffermata
l'inderogabilità dei principi di correttezza e di buona fede, esclu
dendosi l'operatività della garanzia tutte le volte che l'anticipa zione della banca risulta essere stata accordata in violazione di
detti principi e, quindi, in pregiudizio delle ragioni del fideius sore (tra le tante: Cass. 3362/89; 2577/96, cit.).
Il principio di buona fede richiama «nella sfera del creditore
la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del de
bitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» (Relazione al codice, § 558). Esso opera, quindi, come un criterio di reci
procità, che può portare ad ampliare ovvero a restringere «gli
obblighi letteralmente assunti mediante il contratto» e che nel
nuovo quadro di valori introdotto dalla Costituzione rappresen ta la specificazione degli «inderogabili doveri di solidarietà so ciale» tutelati dall'art. 2 della stessa Carta (Cass. 13 gennaio 1993, n. 343, id., Rep. 1993, voce Contratto in genere, n. 354). La sua rilevanza non è pertanto circoscritta alla mera integra zione delle determinazioni delle parti, come in altra occasione si è precisato (Cass. 9 aprile 1987, n. 3480, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 310), poiché essa si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti, l'obbligo di agire n modo da preservare gli interessi del
l'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrat tuali e del dovere, di portata geneale, del neminem laedere (Cass. 9 marzo 1991, n. 2503, id., 1991, I, 2077), oltre che di quanto espressamente convenuto con il contratto o stabilito da singole norme di legge.
4.2. - La sentenza impugnata ha escluso che la banca, una vota ricevuta la dichiarazione di recesso del fideiussore, fosse tenuta a recedere, a sua volta, dal rapporto con il debitore cor rentista ed ha conseguentemente ritenuto fondata la sua pretesa di chiamare il garante a rispondere del saldo passivo del conto al momento della chiusura (verificatasi due anni dopo il recesso del fideiussore e dopo che nel frattempo il passivo accumulatosi
prima di quest'ultima data era stato azzerato), sia pure entro i limiti del passivo esistente in quel momento. Ma a tale conclu sione la corte territoriale è pervenuta solo sulla base di quanto espressamente convenuto dalle parti nel contratto di fideiussio
ne, osservando che la clausola specificamente riferita agli effetti del recesso del fideiussore in relazione all'apertura di credito si limitava a regolare il momento di operatività della dichiara zione di recesso, senza porre, a carico della banca, alcun obbli
go (od onere) di recedere dal rapporto instaurato con il cor rentista.
È evidente, però, che, così decidendo, si è omesso del tutto di considerare il rilievo che il principio di buona fede assume nella determinazione degli obblighi delle parti e di valutare, alla
Il Foro Italiano — 1998.
stregua di tale principio, il comportamento tenuto dalla banca
che — come viene posto in rilievo nella stessa sentenza impu
gnata — dopo aver preso atto del recesso del fideiussore ha
continuato a far credito al correntista per più di due anni, e
anche dopo che le passività in precedenza maturate erano state
azzerate.
4.3. - Ad escludere la rilevanza di tali situazioni non vale
osservare che il rapporto di apertura di credito è unitario e che
le rimesse attive e passive che si avvicendano sul conto sono
inscindibili, avnedo i versamenti la funzione di ripristinare la
disponibilità e di consentire ulteriori prelievi. In questo caso,
infatti, viene in considerazione non la posizione del debitore, ma quella del fideiussore, la cui posizione, pur essendo stretta
mente collegata a quella del debitore principale, si pone su di
un piano diverso, trattandosi di soggetto che «garantisce l'a
dempimento di un'obbligazione altrui». E che, appunto per que sto, dopo aver provveduto al pagamento del debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore prin
cipale ed ha il diritto di ripetere da quest'ultimo tutto quanto è stato da lui versato con gli interessi e le spese (art. 1944, 1949, 1950 c.c.).
La circostanza che la garanzia sia limitata al saldo passivo esistente alla data del recesso (Cass. 20 gennaio 1995, n. 711,
id., Rep. 1995, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 40), non basta pertanto a tutelare l'interesse del fideiussore, la cui
protezione va considerata anche in relazione alle possibilità di
recuperare dal debitore principale le somme corrisposte per l'e
stinzione del debito. E non vi è dubbio, quindi, che nel valutare
la correttezza del comportmento del creditore verso il fideiusso
re debba aversi riguardo anche a tale aspetto del rapporto, tan
to più che esso è preso direttamente in considerazione dal legi slatore con una disposizione che, ponendo al creditore l'obbligo di agire, pena la perdita della garanzia, nei confronti del debi
tore alla scadenza dell'obbligazione principale, a tutela delle ra
gioni del fideiussore (art. 1957 c.c.), è da rigaurdare, come si
lege nella Relazione al codice, quale specificazione di quel «do vere di correttezza, che è norma di condotta anche nell'esercizio
dei diritti» (ivi, § 765). Non diversamente dall'art. 1956 c.c.
che, proprio in considerazine dell'interesse del fideiussore alla
salvaguardia delle proprie possibilità di regresso, trasforma «la
facoltà di non dare esecuzione all'obbligazione assunta di far
credito qualora sia sopravvenuta insolvibilità del debitore» (art. 1461 c.c.) in «obbligo di condotta», la cui violazione è sanzio nata con la liberazione del fideiussore dall'obbligazione di ga ranzia (ivi, § 766).
5. - Di ciò non ha tenuto conto la sentenza impugnata, che va conseguentemente cassata, con rinvio della causa ad altra
sezione della Corte d'appello di Bologna, che si atterrà ai se
guenti principi di diritto: — la legittimità del comportamento della banca, che dopo
aver preso atto del recesso del fideiussore, abbia continuato ad
operare con il correntista per alcuni anni, anche dopo che le
passività sorte in epoca anteriore al recesso sono state elimina
te, deve essere verificata alla stregua dei principi di correttezza e di buona fede, i quali operano, su un piano di reciprocità, quale fonte integrativa degli effetti del contratto, portando ad
ampliare ovvero a restringere gli obblighi letteralmente assunti dalle parti o derivanti da specifiche norme di legge;
— il recesso della banca dal rapporto di apertura di credito a tempo indeterminato, a seguito del recesso del fideiussore, è doveroso tutte le volte in cui il ritardo nella chiusura del con to può arrecare pregiudizio al fideiussore, compromettendo le
possibilità di recupero delle somme versate per il pagamento del debito;
— la violazione di tale obbligo, da parte del creditore, rende
inoperante la garanzia fideiussoria rispetto alle obbligazioni suc cessivamente sorte a carico del debitore principale.
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