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Sezione II civile; sentenza 29 aprile 1982, n. 2709; Pres. Palazzolo, Est. Albanese, P. M. Catelani...

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Sezione II civile; sentenza 29 aprile 1982, n. 2709; Pres. Palazzolo, Est. Albanese, P. M. Catelani (concl. conf.); Lamanna (Avv. Coderoni, D'Agostino) c. Soc. Agnesi (Avv. Contaldi, Piccini). Cassa App. Genova 5 luglio 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1381/1382-1385/1386 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175525 . Accessed: 28/06/2014 11:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 11:25:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione II civile; sentenza 29 aprile 1982, n. 2709; Pres. Palazzolo, Est. Albanese, P. M. Catelani(concl. conf.); Lamanna (Avv. Coderoni, D'Agostino) c. Soc. Agnesi (Avv. Contaldi, Piccini).Cassa App. Genova 5 luglio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1381/1382-1385/1386Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175525 .

Accessed: 28/06/2014 11:25

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

getto pretermesso con la conseguenza che l'avviso dell'ordinanza di sospensione della procedura esecutiva non era idoneo a salva

guardare la posizione della banca. Questa, infatti, aveva il di ritto di ottenere la declaratoria d'inefficacia, perché avrebbe po tuto realizzare direttamente, ove fosse intervenuto in sede divi

sionale, sia che il bene ipotecato fosse pro quota attribuito al de bitore esecutato ovvero che la garanzia ipotecaria venisse trasfe

rita sul cespite (fondo rustico) allo stesso assegnato. Dal difetto di chiamata era avvenuta, pertanto, una lesione

del diritto dell'istituito la quale faceva scattare il suo interesse a

far accertare dal giudice il fatto generatore del pregiudizio la

mentato e ottenere la conseguente condanna dei condividenti al

relativo risarcimento.

Le anzidette considerazioni tolgono rilevanza ai mezzi secondo

e terzo di ricorso articolati in più censure con i quali, partita

mente, si sostiene: 1) l'istituto bancario non poteva cumulativa

mente richiedere l'inefficacia della divisione e il ristoro dei dan

ni; 2) in ogni caso difettava di interesse ad agire dal momento

che, essendo stata eseguita la vendita forzata, non era possibile

procedere a nuova divisione, essendovi ostacolo nel ricostituire la

massa; 3) la carenza di interesse era da ricondurre anche alla

circostanza che non era stato approvato il progetto di distribu

zione e, comunque, l'asserito danno sarebbe stato bensì' provo cato dalla banca, la quale non avrebbe ottemperato al disposto dell'art. 2825, 2° comma, c. c. che disciplina l'ipoteca su beni

indivisi. I motivi che, per connessione, è opportuno esaminare congiun

tamente non sono fondati.

Prima di procedere al loro esame è, tuttavia, necessario meglio puntualizzare l'iter del processo allo scopo di delimitare il thema decidendi e il decisum onde sgomberare il campo da ele menti ad essi estranei, e ricondurre le esposte censure e l'inda

gine relativa entro gli esatti confini del quid disputandum. Com'è dato evincere dagli atti processuali e dalla parte esposi

tiva, la Banca della provincia di Napoli a suo tempo richiese:

a) la declaratoria di inefficacia della divisione per non essere

stata l'istante posta in grado di prendervi parte attiva; b) pre messa tale declaratoria, la condanna dei condividenti e della Banca

nazionale del lavoro al risarcimento dei danni, quale equivalente economico di quanto avrebbe potuto essa istante realizzare ove

fosse stata chiamata ad intervenire alle operazioni divisionali,

equivalente indicato in lire 6.523.112.

Com'è di tutta evidenza, la prima domanda era strumental

mente collegata alla seconda, quale mezzo al fine.

Nessuna richiesta di rinnovo della divisione, di impugnativa della stessa per frode, e a fortiori di caducazione della vendita

forzata fu mai introdotta nel giudizio di merito neppure impli citamente.

II tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarò ineffi

cace, ex parte qua, la divisione e, riconosciuta l'esistenza del la

mentato danno, ritenne non sufficientemente istruita sul punto la

causa, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del

processo dinanzi a sé.

Di questa sentenza, gravata da appello dal Sanseverino, l'isti tuto appellato si limitò a chiedere la conferma, e la corte di Na

poli, sugli stessi sostanziali presupposti della pronuncia di primo grado, respinse l'impugnazione.

Orbene, tali essendo i termini della controversia, è evidente l'ultroneità dei rilievi espressi nel ricorso per contestare l'interesse ad agire — in specie circa la possibilità o meno di rinnovare la divisione, sul fatto che il progetto di distribuzione non fosse

stato approvato e sull'osservanza, da parte dell'attuale resistente, del disposto di cui all'art. 2825 c. c.

I limiti delle censure sul dedotto difetto di interesse ex art. 100

c. p. c. vanno, infatti, stabiliti con puntuale riferimento all'og

getto della contestazione e delle statuizioni dei giudici di merito, con la conseguenza che l'interesse ad agire, nella fattispecie, de

ve essere considerato, esclusivamente, in rapporto al pregiudi zio economico dedotto dalla banca per non essere stata messa in

grado, in difetto della chiamata obbligatoria ex art. 1113, di

partecipare al giudizio di divisione e onde potere fare valere ivi

le proprie ragioni.

E anche il prospettato problema di un eventuale comporta mento omissivo dell'istituto di credito, in relazione al precetto di cui all'art. 2825 c. c., si pone come un elemento che il tribu

nale, investito dell'istruttoria sul danno (ora sospeso in attesa del

l'esito del presente ricorso), dovrà valutare in quella sede, tenuto

conto che il giudice di primo grado si è limitato, come si è visto,

ad una mera declaratoria iuris rimettendo le parti in prosieguo

per l'opportuna istruzione.

Fatte queste precisazioni, deve anzitutto sottolinearsi l'assoluta

inconsistenza della censura tratteggiata sub 1) in quanto, sul

piano strettamente processuale, non si scorge la ragione per cui la Banca della provincia di Napoli non potesse cumulare nello stesso giudizio le due domande tra loro collegate da un evidente nesso strumentale.

Del pari deve ritenersi fuori discussione l'interesse ad agire dell'istituto ora negato dal ricorrente.

Su questo profilo la corte d'appello ha reso una motivazione

adeguata al caso concreto ed esente da vizi logici e errori di diritto incensurabile, quindi, in sede di legittimità.

Ha osservato, infatti, che la prova di detto interesse era più che sufficientemente acquisita, perché era innegabile il diritto del l'istituto di richiedere, nella sede opportuna, la tutela del credito attraverso i mezzi consentitigli dalla legge (assegnazione di quo ta dell'immobile ipotecato al debitore, trasferimento dell'ipoteca sul terreno, ecc.), e che non si poteva contestare ex post la man cata possibilità del creditore di fare valere anche le proprie ra

gioni sul conguaglio in denaro.

E, con perspicua argomentazione, la corte ha rilevato che l'eventuale indimostrata possibilità di rimediare in sede esecutiva a quanto non era stato possibile fare nel giudizio di divisione

non eliminava l'interesse della parte a partecipare a quest'ulti mo, dovendosi l'attualità dell'interesse riferirsi al momento in cui

la tutela (nella specie la chiamata ad intervenire) viene accor

data dalla legge. Tutte le altre considerazioni svolte sono estranee al tema del

decidere e non hanno rilievo sulla decisione adottata contro le

quali si appuntano le censure del ricorrente.

Alla luce degli esposti rilievi il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 29 apri le 1982, n. 2709; Pres. Palazzolo, Est. Albanese, P. M.

Catelani (conci, conf.); Lamanna (Avv. Coderoni, D'Ago

stino) c. Soc. Agnesi (Avv. Contaldi, Piccini). Cassa App. Genova 5 luglio 1979.

Tributi in genere — Commissione tributaria — Patrocinio — Ra

gionieri — Disciplina (Cod. civ., art. 2233; d. p. r. 25 gennaio 1959 n. 42, approvazione della tariffa professionale dei ragionie ri e dei periti commerciali, art. 38).

Non contrasta col divieto di patto di quota lite l'art. 38 del re

golamento sulle tariffe professionali dei ragionieri per il patroci nio nelle controversie tributarie, alla cui stregua i compensi so

no liquidati in ragione percentuale del tributo risparmiato. (1)

Diritto. — Con il primo articolato motivo — con il quale denuncia erronea, contraddittoria e insufficiente motivazione cir

ca un punto decisivo della controversia, con violazione e falsa

applicazione dell'art. 38 d. p. r. 25 gennaio 1959 n. 42, dell'art.

2233, 3° comma, c. c., dell'art. 3 e dell'art. 14 disp. sulla legge

(1) Alla corte è stata prospettata la questione di legittimità di una

fonte secondaria — il regolamento sulle tariffe dei ragionieri — in

relazione all'art. 2233 c. c. La Cassazione ha ritenuto la legittimità del regolamento, in quanto l'art. 2233 c. c. riguarda il patto indivi

duale di quota lite, mentre il regolamento sulle tariffe professionali ha

carattere di generalità ed astrattezza, valevole per un numero indefini

to di rapporti col professionista. In questi termini non constano

precedenti. In altra occasione, con la sentenza 3 luglio 1971, n. 2073, Foro it., 1971, I, 2958, la corte dichiarò illegittime le norme contenu

te nel regolamento 8 aprile 1958 n. 520, approvazione della tariffa delle prestazioni professionali dei dottori commercialisti, poiché esse

violavano sia l'art. 2233 c. c., sia l'art. 47 d. p. r. 27 ottobre 1953 n.

n. 1067, delega al governo per la regolamentazione delle tariffe dei

professionisti intellettuali. Sulla natura regolamentare delle norme in materia di tariffe profes

sionali, v. Cass 24 aprile 1981, n. 2454, id., Rep. 1981, voce Profes sioni intellettuali, n. 65; Corte cost. 22 giugno 1976, n. 139, id., 1976, I, 2544.

La Cassazione con la sentenza in epigrafe ha inoltre precisato: a) che il compenso computato sul valore della pratica, ed in percentuale sull'imposta risparmiata dal contribuente al termine del giudizio non è in violazione del divieto di fatto di quota lite ma configura una

ipotesi di palmario; 6) il riferimento al valore della controversia costituisce un parametro per misurare sia l'importanza delle prestazio ni, ai sensi del 2° comma dell'art. 2233 c.c., sia l'apprezzamento per l'opera svolta dal professionista.

In tema di divieto di patto di quota lite, v. Cass. 20 gennaio 1976, n. 167, id., 1976, I, 1002.

In dottrina si veda Musatti, Palmario, voce del Novissimo digesto, XII, 345; Pezzano, Onorario, voce dell'Enciclopedia del diritto, XXX, 175.

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1383 PARTE PRIMA 1384

in generale, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c. p. c. — il

ricorrente chiede l'annullamento del capo della sentenza impu

gnata con il quale, per ritenuto contrasto con il divieto legislati vo del patto di quota lite (art. 2233 c. c.), è stata dichiarata

illegittima e in suo pregiudizio disapplicata la norma regolamen tare della tariffa professionale per i ragionieri e i periti commer

ciali (art. 38 d. p. r. 25 gennaio 1959 n. 42) per la quale l'attivi

tà di patrocinio davanti alle commissioni del contenzioso tributa

rio compiuta dal ragioniere e compensata mediante onorario

determinato, secondo percentuali decrescenti a scaglioni, « con

riferimento al valore della pratica misurato sull'imposta, tassa o

contributo risparmiato per effetto della definizione » dal cliente,

nell'attribuzione di tale onorario ravvisandosi appunto l'attribu

zione di parte del bene costituente l'oggetto della controversia

tributaria.

Deduce in relazione il ricorrente, anzitutto, che con più esatto

giudizio avrebbe dovuto riconoscersi, secondo la tesi da lui

sostenuta, che il divieto, sancito per i professionisti legali, di

stipulare patti relativi ai beni che formano oggetto della contro

versia per la quale il patrocinio è prestato non può operare

quando il professionista, in relazione a una domanda giudiziale intesa a conseguire per conto di un creditore insoddisfatto il

pagamento di una somma di denaro, abbia con il cliente conve

nuto un compenso in ragione di una percentuale dei pagamenti

realizzati, venendo ostativamente in rilievo al riguardo l'essenziale

« antonomastica » fungibilità del denaro, che fa apparire ar

tificioso l'implicito presupposto di quasi identificazione della mo

neta del compenso con quella del credito realizzato.

E certamente, riconosciuta, come il ricorrente sostiene doversi, la liceità di simile patto per il professionista legale, non può revocarsi in dubbio la legittimità della previsione della tariffa

per i ragionieri, per cui il compenso è ragguagliato all'importo del tributo, cioè al denaro, fatto risparmiare al cliente,

quand'anche si ammetta, nonostante la loro diversità per ragioni

soggettive e oggettive, la valutabilità con egual metro delle due

ipotesi.

Peraltro, indipendentemente dall'esame del suo contenuto, la

rilevata illegittimità della norma tariffaria è da escludere, secon

do ulteriore concorrente deduzione formulata con il motivo in

esame, perché il divieto del patto di quota lite, apportando limitazione alla generalmente garantita libertà contrattuale, ha

carattere eccezionale e non può in via analogica farsi operare oltre i limiti espressi e rigorosi di sua enunciazione, in particola re in confronto di soggetti diversi dai professionisti legali, ai

quali soltanto è testualmente riferito.

Sostiene poi il ricorrente, sotto diverso profilo, che nella as sunzione dell'importo del tributo fatto risparmiare al cliente a criterio per la determinazione del valore della controversia cui

adeguare la liquidazione del compenso non poteva e non può riconoscersi l'attribuzione al professionista (di una parte, o

quota) dei beni formanti oggetto della controversia medesima, cosi come ciò, pacificamente, non si riconosce nel caso in cui il valore anzidetto sia determinato con altro criterio, qual è, per i

professionisti legali, il riferimento alla domanda proposta o al

l'imposta, tassa o contributo richiesti, per le prestazioni in giudi zio o, rispettivamente, in materia stragiudiziale, operato da pre visioni legislative la cui compatibilità con il divieto del patto di

quota lite non è mai stata, e non può essere, messa in dubbio:

perché in ogni caso i beni formanti oggetto della controversia

vengono sempre egualmente in considerazione non per sé, nella loro materiale concretezza, ma invece, come parametro, per il loro valore, al fine della determinazione del valore della con troversia che li ha ad oggetto.

Deduce infine il ricorrente, sempre nell'ambito del primo mo tivo in esame, che comunque, per la decisione della particolare controversia, la rilevata illegittimità della norma tariffaria, quan do anche sussistente, avrebbe dovuto riconoscersi affatto priva di

effetto, perché il compenso a lui spettante era stato calcolato, e dal

collegio professionale liquidato, in base a previsione diversa da

quella negativamente apprezzata, con il diverso criterio del « ca so per caso», applicabile quando l'importo risparmiato superi la metà della pretesa tributaria, come appunto nella specie, con riferimento a diversi prestabiliti elementi (natura della pratica, importanza della stessa, responsabilità assunta dal professionista, benefìcio procurato al cliente, importanza della sede in cui il

professionista opera), indipendentemente dall'importo di tributo fatto risparmiare.

Cosi riferite le ragioni addotte a sostegno del primo motivo del ricorso, deve anzitutto osservarsi che la questione prospettata per ultima, di carattere preliminare e di potenziale rilievo as

sorbente, non può essere presa in esame, perché dopo essere

stata senza esito sottoposta al giudizio del tribunale non fu dal

ricorrente riproposta in appello, e non è oggetto di pronuncia contenuta nella sentenza impugnata. Ciò, anche a non tener

conto di ipotizzabile preclusione da giudicato interno, comporta che per la parte considerata il ricorso difetta di qualsiasi riferi

mento a un giudizio di cui si chieda il controllo sotto il profilo della legittimità; difetta cioè di un presupposto (di ammissibili

tà) nel caso invece essenziale, dato che con esso non si prospet ta una questione di mero diritto, liberamente deducibile per la

prima volta in sede di cassazione. Invero la proposta indagine sulla applicabilità e sulla effettiva correttamente attuata applica zione dell'uno o dell'altro criterio di liquidazione degli onorari

professionali del ragioniere, in relazione alle diverse previsioni della norma di tariffa, comporta la verificazione della ricorrenza

dell'una o dell'altra situazione cui ciascuna previsione è correlata

e dei modi di calcolo e di liquidazione dei discussi onorari: si

che in realtà inammissibilmente si chiede un giudizio su fatti

invece riservato alla competenza del giudice del merito.

Ciò premesso si osserva che, oltre alla risalente giustificazione

collegata al disfavore verso il commercio di beni attualmente

oggetto di controversia in giudizio e alla considerazione della

posizione di particolare vantaggio al riguardo del patrocinatore della controversia, il sancito divieto del patto di quota lite ha

certamente tra i suoi presupposti essenziali l'esigenza della sog

gezione a uniforme disciplina, garantita da preventivi controlli

pubblicistici, dell'aspetto patrimoniale del rapporto, di normale

necessaria costituzione, tra cliente e patrocinatore, a concorrente

tutela del primo (per tradizione, parte debole) e della dignità e

moralità della categoria dei professionisti legittimati al patroci nio, e quindi indirettamente a tutela del singolo patrocinatore, nonché, ancora e soprattutto, a tutela della funzione giurisdizio nale, ad evidenza suscettibile di pregiudizievole compromissione

per effetto di apporti di difesa che, in contrasto con l'istituziona

le scopo di collaborazione, siano effettivamente o potenzialmente, o anche soltanto appaiano, viziati da innaturale commistione di

interessi personali diversi, per la natura e l'oggetto, da quelli coerenti a un adeguato svolgimento del patrocinio.

Cosi non è dato alle parti del rapporto di patrocinio di

validamente volere (solo contestualmente alla costituzione del

rapporto, peraltro, o nel suo corso) la particolare deroga alle

normali modalità, qualitative, di determinazione del compenso,

questo assumendosi a oggetto negoziale di limitata disponibilità, tanto che, in qualche modo correlativamente, per prestazioni

legali giudiziali, la deroga è espressamente inibita anche sotto

l'aspetto quantitativo, per ciò che attiene ai minimi di tariffa

(art. 24 1. 18 giugno 1942 n. 794), per analoga, se pur non del

tutto identica, ragione di tutela della categoria professionale, e,

indirettamente, della funzione giurisdizionale.

Coessenziale alla nozione di quota lite, per la giuridica rile

vanza agli effetti del divieto sancitone, è pertanto, in uno con

l'elemento oggettivo, quello soggettivo: per cui il divieto opera quando, e soltanto quando, ricorra la particolare deroga, per singoli rapporti di patrocinio, alla generale disciplina data nel

l'ordinamento, per l'aspetto patrimoniale, a tali rapporti, e, in

sieme, simile deroga abbia origine pattizia, da apposita conven zione posta in essere, nei già indicati limiti temporali, tra il

patrocinatore e il cliente, per il singolo rapporto considerato.

Ciò posto, per un verso sembra che di deroga a una disciplina generale, nel senso che qui rileva, non possa parlarsi con riferi mento a una tariffa professionale, approvata dalla competente autorità governativa e avente natura di atto amministrativo rego lamentare, che per tutti i rapporti di patrocinio degli apparte nenti alla categoria, relativi a specificata materia controversa, stabilisca i criteri di determinazione dei compensi, con carattere di generalità, eguaglianza e astrattezza, cosi' essa stessa ponendo per i rapporti considerati una autonoma comune disciplina, cui, per la fonte e il modo di realizzazione, mal si addice un

raffronto, per il controllo di legittimità, con la norma civili stica di divieto del patto individuale di quota lite; e, per altro

verso, è certo che l'adozione dell'anzidetta tariffa per la discipli na di un singolo rapporto non integra né presuppone la stipula zione di una singolare individua convenzione, che per la validità

possa essere apprezzata in base al metro del sancito divieto del

patto di quota lite.

Peraltro, più attenta rinnovata lettura della norma di tariffa della cui applicazione si controverte consente di escludere che

per essa si violi il divieto di quota lite.

La norma invero, come si è detto, prevede, a compenso del

l'opera di patrocinio in controversia tributaria, prestata davanti alle competenti commissioni, un onorario « determinato con rife rimento al valore della pratica » « computato sull'ammontare del

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'imposta risparmiata conseguentemente allo decisione », con ap plicazione di diverse percentuali (di minimo e di massimo) de crescenti per scaglioni di valori crescenti.

In relazione, certamente non è censurabile, sotto il profilo che

qui interessa, l'operato riferimento al valore, in denaro o tradot to in denaro, della pratica, o controversia, alla cui stregua è ad evidenza apprezzata la « importanza dell'opera prestata » cui, enunciando i criteri per la determinazione del compenso del

professionista, fa riguardo l'art. 2233, 2° comma, c. c.: perché

eguale riferimento è fatto dal legislatore per la tariffa dei pro fessionisti legali (art. 3, 5 e 9 1. 13 giugno 1942 n. 794, e

richiami, ivi, delle norme del codice di procedura civile in tema di determinazione del valore della causa).

E parimenti non è censurabile l'adottato criterio di calcolo

dell'onorario mediante variabili percentuali espressamente indica

te, perché ad evidenza analogo rapporto di proporzionalità può essere istituito, con facile calcolo successivo, per ogni compenso in denaro ragguagliato a un valore espresso egualmente in dena

ro, variabile in relazione al variare del valore di riferimento,

quale è appunto il compenso legislativamente previsto per la

categoria dei professionisti legali (art. 19 1. n. 794 del 1942; note ai § III, IV e V della tabella A § li, nn. 37 e 38, della

tabella B, allegate alla medesima legge).

L'assunzione, poi, a valore della controversia, per la deter

minazione dell'onorario del ragioniere, del valore del risultato

utile per il cliente della controversia medesima, anzi che di

quello (peraltro, di norma, maggiore) della pretesa tributaria

contestata — la « domanda » alla quale secondo la previsione dell'art. 9 1. n. 794 del 1942 è fondamentalmente ragguagliato l'onorario dovuto dal cliente al professionista legale — non

comporta, ad evidenza, l'attribuzione in un caso, e non invece

nell'altro, di una quota del bene che forma oggetto della contro

versia, perché comunque sempre a un medesimo bene, per una

sua parte o per la totalità, si ragguaglia la misura dell'onorario.

E del resto, con previsione di indiscussa legittimità, variandosi

rispetto a quella originaria ricordata, le tariffe per i professioni sti legali successivamente emanate (da ultimo quella approvata con d. m. 26 settembre 1979, all'art. 6) fanno anch'esse riferi

mento, per la determinazione dell'onorario dovuto dal cliente al

professionista, al valore del concreto risultato della causa, piut tosto che a quello della domanda, in conformità a quanto è

previsto per la liquidazione dell'onorario a carico della parte soccombente.

Né, infine, può opinarsi che, in base alla tariffa per i ragio

nieri, il diritto del professionista a conseguire compenso di ono

rario per le prestazioni in controversia tributaria sia condizionato

e subordinato all'esito utile per il cliente della controversia me

desima, e che, pertanto, possa restare priva di quel compenso

l'opera prestata in controversia definita sfavorevolmente, senza

quell'utile esito: e invece deve aversi per certo che in tali casi al

ragioniere competano gli « onorari per prestazioni varie di con

cetto » previste dall'art. 15 della medesima tariffa per attività

di seguito non specificamente contemplate, tra le quali appunto

deve indubbiamente ritenersi compreso il patrocinio in contro

versia tributaria sfavorevolmente definita, non contemplato dal

l'art. 38 della tariffa in quanto in esso si ha riguardo all'imposta

risparmiata.

Si che il più elevato onorario in questa norma previsto si

giustifica considerando che per essa si attribuisce al professioni sta una integrazione di compenso per apprezzamento concreto

del vantaggio conseguito dal cliente mercé la sua prestazione, con criterio analogo a quello legislativamente accolto nei riguar di dei professionisti legali (art. 5 1. n. 794 del 1942): e per ciò

sembra più pertinente al caso il riferimento al tradizionale istitu

to del palmario, che ha certo legittima cittadinanza nell'ordina

mento, restando comunque esclusa l'ipotizzata assimilazione al

non consentito patto di quota lite.

Merita appena, in ultimo, rilevare che le concorrenti conside

razioni esposte fanno apparire priva affatto di fondamento la

ravvisata disparità di trattamento tra professionisti legali e ra

gionieri, e non configurabile l'illegittimità della norma di tariffa

in esame per contrasto con il principio di eguaglianza sancito

dall'art. 3 Cost.

In accoglimento quindi, nei termini risultanti dalla premessa

motivazione, che dà sufficiente fondamento alla decisione adotta

ta, consentendo di prescindere da ulteriori deduzioni del primo

mezzo del ricorso sin qui esaminato, la sentenza impugnata, che

dalla disciplina del caso sottoposto ha avuto errata comprensione

pervenendo a ingiusta decisione, deve essere integralmente cassa

ta, con statuizione per cui resta assorbito l'esame del secondo

mezzo, con il quale si censurano sotto diversi profili i criteri

adottati dal giudice del merito per la liquidazione del discusso

onorario, a seguito della affermata inapplicabilità della particola re previsione di tariffa; e la causa va rinviata, per rinnovato

giudizio conforme ai principi identificati ed enunciati, alla Corte

d'appello di Torino.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione 1 civile; sentenza 14 aprile 1982, n. 2222; Pres. Sandulli, Est. Scanzano, P. M. Leo

(conci, conf.); Istituto mobiliare italiano (Avv. Zito, Scia

luca) c. Fall. soc. D. C. Servos (Avv. Cersosimo, Mari

netti). Conferma Trib. Asti, decr. 5 marzo 1981.

Ipoteca — Terzo acquirente del bene ipotecato — Interessi —

Responsabilità — Limiti (Cod. civ., art. 1193, 1194, 2855).

Il terzo acquirente del bene ipotecato non risponde degli interessi

che, ai sensi dell'art. 2855 c. c., devono ritenersi sottratti alla

prelazione perché relativi ad annualità non assistite dalla ga ranzia (nella specie, è stato escluso che il creditore, avendo già realizzato nell'ambito della procedura fallimentare a carico del

debitore quanto era ricompreso nella garanzia ipotecaria, potesse pretendere dal terzo le ulteriori somme relative agli interessi di

annualità non garantite, imputando, ex art. 1193 e 1194 c.c., il pagamento coattivo già conseguito agli interessi esclusivi della

garanzia). (1)

Svolgimento del processo. — La IBI s.p.a., a garanzia di un

finanziamento di lire 730.879.000 accordato alla IB Mei s.p.a. dall'Istituto mobiliare italiano, concesse a quest'ultimo ipoteca su

vari immobili agricoli civili ed industriali siti in comune di Asti.

Una parte di tali immobili venne poi trasferita dalla IB Mei

(che intanto ne era divenuta proprietaria per avere incorporato la IBI) alla s.p.a. D.C. Servos.

Dichiaratosi dal Tribunale di Asti, con distinte sentenze del 6

ottobre 1977, il fallimento della IB Mei e della D.C. Servos,

l'I.M.I, oltre ad insinuare il proprio credito nel fallimento IB

Mei, presentò domanda di ammissione al passivo anche nel

fallimento della s.p.a. D.C. Servos per l'identico credito di lire

952.858.949, per residuo capitale ed interessi dal 1° gennaio 1977, oltre agli ulteriori interessi dalla data del fallimento in

poi, ai sensi degli art. 54 e 55 1. fall, e 2855 c. c., facendo

valore la garanzia cui la detta ultima società era tenuta quale terza acquirente di beni ipotecati. Il giudice delegato ammise il

credito in via di prelazione ipotecaria in conformità della ri

chiesta.

(1) Non constano precedenti specifici in termini. La corte, tuttavia, non ha avuto la benché minima difficoltà ad adattare la soluzione già prescelta da Cass. 30 marzo 1981, n. 1815, Foro it., Rep. 1981, voce

Ipoteca, n. 10 e 3 dicembre 1979, n. 6282, id., Rep. 1980, voce

Fallimento, n. 255, relativamente alla responsabilità del terzo datore

d'ipoteca, alla fattispecie del terzo acquirente. Se si ammette dunque l'operatività dei limiti di cui all'art. 2855

c. c. nei confronti del terzo datore, a fortiori — afferma il collegio — tale limite varrà per l'acquirente dei beni ipotecati, in quanto la sua responsabilità è ancor meno autonoma rispetto a quella del terzo datore, avendo titolo esclusivamente nell'iscrizione del vincolo ipoteca rio (sui limiti della responsabilità del terzo acquirente nel caso di

espropriazione promossa nei suoi confronti, cfr. anche Cass. 9 no vembre 1959, n. 3312, id., Rep. 1961, voce Ipoteca, n. 14; e per il caso di pagamento volontario, Cass. 5 gennaio 1967, n. 47, id., 1967, I, 994).

Sull'applicabilità dei criteri di imputazione ex art. 1193 e 1194 c.c. soltanto ai pagamenti volontari, valendo, per quelli coattivi, le regole legali della graduazione, v., oltre le sentenze già citate, Cass. 2 marzo

1976, n. 688, id., Rep. 1976, voce Obbligazioni in genere, n. 34, nonché 24 agosto 1962, n. 2646, id., Rep. 1962, voce Pagamento nelle

obbligazioni, n. 7. In dottrina, nel senso della limitazione della responsabilità del terzo

alla sola somma iscritta (più gli accessori ex art. 2855), anche se

mipore del credito, v. Rubino, L'ipoteca immobiliare e mobiliare, in

Trattato, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1956, sia nel caso di

espropriazione (p. 427), sia in quello di pagamento integrale (p. 446);

analogamente Gorla, Pegno. Ipoteca, in Commentario, a cura di

Scialoja e Branca, 1963, 391; Tamburrino, Delle ipoteche, in Com

mentario Utet, 1976, libro VI, tomo III, 271; Maiorca, Ipoteca (dir.

civ.), voce del Novissimo digesto, 1963, IX, 100; Degni, Tutela dei

diritti, in Commentario D'Amelio e Finzi, 1943, 763. Non v'è invece unanimità di consensi sull'operatività della limita

zione di responsabilità nel caso assimilabile del terzo datore: favore

vole alla soluzione accolta in giurisprudenza (v. le sentenze sopra

cit.) è Rubino, op. cit., 476; contrario è invece Gorla, op. cit., 391.

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