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sezione lavoro; sentenza 14 febbraio 1996, n. 1122; Pres. Panzarani, Est. Vidiri, P.M. Arena (concl....

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sezione lavoro; sentenza 14 febbraio 1996, n. 1122; Pres. Panzarani, Est. Vidiri, P.M. Arena (concl. conf.); Gelmini (Avv. Fusillo, Speri) c. Consorzio ortofrutticolo Valle di Gresta (Avv. Canovi, Robol). Cassa Trib. Rovereto 16 marzo 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2829/2830-2833/2834 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191596 . Accessed: 24/06/2014 20:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Tue, 24 Jun 2014 20:17:10 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 14 febbraio 1996, n. 1122; Pres. Panzarani, Est. Vidiri, P.M. Arena(concl. conf.); Gelmini (Avv. Fusillo, Speri) c. Consorzio ortofrutticolo Valle di Gresta (Avv.Canovi, Robol). Cassa Trib. Rovereto 16 marzo 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2829/2830-2833/2834Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191596 .

Accessed: 24/06/2014 20:17

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La collocazione «sistematica» della previsione della notifica

zione a mezzo del servizio postale nell'art. 149 — a chiusura

delle varie ipotesi di notificazione di cui agli art. 139 ss. e prima della notificazione per pubblici proclami (prevista dall'art. 150,

quando la notificazione nei modi ordinari è sommamente diffi

cile... e nei modi ordinari è evidentemente compresa anche quella a mezzo del servizio postale) — costituisce la conferma che det

ta notificazione è ammessa anche per il militare in attività del

servizio.

E d'altra parte dovendo eseguirsi la notificazione al militare

in attività di servizio «nei modi ordinari» — a norma degli art.

139 ss., espressamente richiamati dall'art. 146, nella residenza,

nella dimora o nel domicilio, ecc. del militare — è di tutta evi

denza che la esclusione della notificazione a mezzo del servizio

postale non troverebbe alcuna plausibile ragione. L'avviso di ricevimento, nel procedimento di notificazione nella

specie, prova l'avvenuta notificazione «in mani proprie».

(Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 feb

braio 1996, n. 1122; Pres. Panzarani, Est. Vidiri, P.M. Are

na (conci, conf.); Gelmini (Avv. Fusillo, Speri) c. Consor

zio ortofrutticolo Valle di Gresta (Aw. Canovi, Robol). Cassa

Trib. Rovereto 16 marzo 1994.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenza

d'appello — Omessa sottoscrizione dell'estensore — Nullità

rilevabile d'ufficio — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 132,

161, 429).

Anche nel rito del lavoro è motivo di nullità insanabile la circo

stanza che la sentenza collegiale sia sottoscritta dal solo presi dente e non anche dall'estensore; tale vizio, allorché riguardi

una sentenza di secondo grado, è rilevabile d'ufficio in Cas

sazione e determina l'annullamento con rinvio al medesimo

giudice che aveva pronunciato la sentenza cassata, il quale

non deve limitarsi ad una formale rinnovazione della decisio

ne sulla base dell'anteriore dispositivo, essendo invece investi

to del potere-dovere di riesaminare il merito della causa. (1)

(1) Conf., in ispecie riguardo alla prima parte della massima, Cass.

14 giugno 1994, n. 5777, Foro it., Rep. 1994, voce Sentenza civile, n. 44; sez. un. 15 luglio 1991, n. 7828, id., Rep. 1991, voce Lavoro

e previdenza (controversie), n. 179; 16 febbraio 1988, n. 1643, id., Rep. 1988, voce cit., n. 186; 13 maggio 1987, n. 4415, id., Rep. 1987, voce

Sentenza civile, n. 41; 28 gennaio 1987, n. 822, ibid., n. 42; 1° agosto

1986, n. 4948, id., Rep. 1986, voce cit., n. 53; 10 febbraio 1986, n.

849, ibid., n. 51, e 4 febbraio 1985, n. 739, id., Rep. 1985, voce cit., n. 26. Nello stesso senso, con riferimento all'ipotesi in cui la sentenza

d'appello sia stata sottoscritta, in qualità di presidente, da un magistra to estraneo al collegio risultante dal verbale dell'udienza di discussione,

Cass. 26 gennaio 1995, n. 914, id., Rep. 1995, voce cit., n. 76, e 10

marzo 1987, n. 2522, id., Rep. 1987, voce cit., n. 43.

Per quel che concerne, poi, la (pacifica) rilevabilità d'ufficio e le con

seguenze del difetto di sottoscrizione, relativamente ai poteri del giudice cui viene rimessa la causa, v., tra le altre, Cass. 26 gennaio 1995, n.

910, id., 1995, I, 1849; 14 dicembre 1994, n. 10681, id., Rep. 1994,

voce cit., n. 45; 1° agosto 1986, n. 4948, cit.

Per l'opinione, del tutto minoritaria, favorevole all'emendabilità del

vizio attraverso il procedimento per la correzione degli errori od omis

sioni materiali (art. 287 ss. c.p.c.), v., tra le altre, Trib. Siracusa 12

dicembre 1988, id., 1990, I, 1386, con ampia nota di richiami. E cfr.

anche Cass. 15 ottobre 1985, n. 5059, id., 1986, I, 98, secondo la quale

non si avrebbe alcuna nullità nel caso in cui la sentenza pretorile fosse

depositata in cancelleria lo stesso giorno della lettura del dispositivo in udienza, e il dispositivo, regolarmente sottoscritto, fosse unito agli atti del processo.

Tornando all'orientamento prevalente, ancor più copiosa, natural

mente, è la giurisprudenza che afferma l'insanabilità del vizio relativa

Ii Foro Italiano — 1996.

Motivi della decisione. — Osserva la corte che, sebbene non

sia stata dalla resistente sollevata in questa sede la relativa que

stione, va dichiarata ai sensi dell'art. 161, 2° comma, c.p.c., la nullità della sentenza del Tribunale di Rovereto 17 marzo

1994, come ha chiesto in pubblica udienza il procuratore gene rale. Detta sentenza, infatti, che porta nell'intestazione il nome

del «dott. Simona Caterbi» in qualità di «presidente», e del

«dott. Susanna Menegazzi» in qualità di «giudice relatore», ri

sulta sottoscritta unicamente dal presidente, la cui firma si rile

va accanto a quella del collaboratore di cancelleria. E che non

vi fosse coincidenza nel caso di specie tra presidente ed estenso

re si evince dal verbale dell'udienza di discussione, che attesta

la nomina come giudice relatore della dott. Menegazzi, e dalla

circostanza che dal testo della sentenza depositata il presidente

mente al processo ordinario, escludendo dunque, indipendentemente dalle

ragioni dell'omessa sottoscrizione, l'esperibilità della procedura di cor

rezione: v., tra le decisioni più recenti, Cass. 22 aprile 1995, n. 4564, id., 1995, I, 2110 (con riguardo all'ipotesi in cui la firma del giudice sia stata apposta a margine di ciascun foglio della sentenza, ma non

in calce alla stessa); 27 febbraio 1995, n. 2292, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 78; 11 gennaio 1995, n. 246, ibid., voce cit., n. 77; 26 agosto 1993, n. 9033, id., 1994, I, 2846; 3 novembre 1992, n. 11892, id., Rep. 1992, voce cit., n. 32; 18 gennaio 1991, n. 448, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 28; 19 dicembre 1990, n. 12021, id., Rep. 1990, voce cit., n.

28. Analogo rigore, anzi, viene adoperato nei confronti dei provvedi menti (collegiali) che, essendo stati erroneamente pronunciati con ordi

nanza, anziché con sentenza, siano stati sottoscritti, a norma dell'art.

134 c.p.c., dal solo presidente: v., limitatamente alle decisioni più re

centi, Cass. 26 gennaio 1995, n. 910, cit.; 26 agosto 1993, n. 9033,

cit.; 22 ottobre 1992, n. 11531, id., Rep. 1994, voce Procedimento civi

le, n. 209, e Giur. it., 1994, I, 1, 310, con nota di Latella; quanto alla dottrina, v. soprattutto, in senso critico, Cerino Canova, Ordi

nanza con contenuto di sentenza e sottoscrizione del provvedimento, id., 1981, I, 1, 277).

Secondo Cass. 22 settembre 1993, n. 9661, Foro it., Rep. 1993, voce

Sentenza civile, n. 56, sarebbe invece consentito provvedere, non alla

mera correzione, bensì all'integrale rinnovazione della sentenza (non

sottoscritta) da parte dello stesso collegio o dello stesso giudice mono

cratico che aveva riservato la decisione, i quali, preso atto dell'inesi

stenza della decisione già pubblicata, ed essendo ancora investiti della

potestà di decidere, non consumata da un atto inesistente, potrebbero

procedere ad una nuova deliberazione e redazione della sentenza. Si

tratta, però, di una decisione isolata (in senso contrario, v., espressa

mente, Cass. 11 marzo 1986, n. 1643, id., Rep. 1986, voce cit., n. 52), che trova origine, a ben riflettere, proprio nell'inopportuna ed inesatta

qualificazione del vizio in esame quale motivo di «inesistenza» giuridica della sentenza (in argomento, v., amplius, Balena, In tema di inesi

stenza, nullità assoluta ed inefficacia delle sentenze, id., 1993, I, 179

ss., spec. § 2). Per quel che concerne, poi, l'individuazione dei magistrati concreta

mente tenuti a sottoscrivere ai sensi dell'art. 132 c.p.c., cioè, in caso

di decisione collegiale, del presidente e dell'estensore, va sottolineato

che la giurisprudenza, fino ad oggi, ha sempre fatto prevalere le indica

zioni desumibili dal verbale dell'udienza di discussione su quelle conte

nute nell'intestazione della sentenza. Così, ad es., si è ritenuto: — che fosse motivo di nullità insanabile, ex art. 161, 2° comma,

la sottoscrizione, in qualità di presidente, da parte di un magistrato diverso da quello indicato come tale nel verbale della predetta udienza

(v., per tutte, Cass. 14 dicembre 1994, n. 10681, cit., e 16 novembre

1988, n. 6204, id., Rep. 1988, voce cit., n. 37); — che invece fosse sufficiente la firma del solo presidente (non indi

cato nell'intestazione della sentenza quale estensore della medesima) che

fosse stato relatore della causa all'udienza di discussione, in considera

zione del fatto che la qualità di relatore fa presumere la stesura della

motivazione ad opera dello stesso magistrato (da ultimo, Cass. 3 set

tembre 1994, n. 7634, id., Rep. 1994, voce cit., n. 41; 12 marzo 1994, n. 2406, ibid., n. 40, e 9 settembre 1993, n. 9446, id., 1994, I, 2190,

con nota di richiami; — che infine fosse emendabile, attraverso la procedura per la corre

zione degli errori materiali, la discordanza fra l'intestazione della sen

tenza e il verbale dell'udienza collegiale, relativamente all'indicazione

del giudice non tenuto a sottoscrivere (diverso, cioè, dal presidente e

dall'estensore), dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari,

che la sentenza fosse stata concretamente deliberata dai medesimi giudi ci componenti il collegio all'udienza di discussione (tra le più recenti,

v. Cass. 22 marzo 1995, n. 3268, id., Rep. 1995, voce cit., n. 41; 10

marzo 1995, n. 2815, ibid., n. 42; 15 ottobre 1994, n. 8418, id., Rep.

1994, voce cit., n. 52, e 6 novembre 1991, n. 11853, id., 1992, I, 2461). In altra occasione ho illustrato le ragioni per cui quest'ultimo orien

tamento non sembra condivisibile (v. soprattutto La rimessione della

causa al primo giudice, Napoli, 1984, spec. 234 ss.; nonché Vizi nella

intestazione delle sentenze ed illegittime estensioni della nozione di «ine

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2831 PARTE PRIMA 2832

non risulta esserne stato anche l'estensore. Elementi questi, che

tolgono, per la loro effcacia probatoria, rilevanza alla docu

mentazione esibita nell'udienza odierna ai sensi dell'art. 372 c.p.c. Si ha così una violazione del disposto dell'art. 132, c.p.c.

(nel testo modificato dall'art. 6 1. 8 agosto 1977 n. 532) perché è mancata la sottoscrizione di uno dei magistrati tenuti a sotto

scrivere la sentenza (il giudice estensore) e perché non si rinvie

ne, prima della sottoscrizione del presidente, l'enunciazione del

l'impedimento alla sottoscrizione di detto magistrato.

Orbene, questa corte ha ripetutamente ribadito che l'omessa

sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, o nel caso

di sentenza emessa da un giudice collegiale, da parte di uno

dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell'art. 132 c.p.c., determina (nel caso in cui l'impedimento del magistrato non

risulti menzionato ai sensi del 3° comma dell'art. 132 c.p.c.) la nullità insanabile della sentenza medesima, restando escluse

l'applicabilità del procedimento di correzione degli errori mate

riali e la possibilità di distinguere tra omissione intenzionale ed omissione involontaria, provocata da errore o dimenticanza. Tale

nullità è in ogni caso deducibile, ai sensi del 2° comma dell'art.

161 c.p.c., fuori dei limiti e delle regole dei mezzi di impugna

zione, sicché non è coperta dal giudicato formale e va rilevata

sistenza», in Foro it., 1992, I, 1880). In questa sede mi limiterò a rile vare che, se davvero il verbale dell'udienza di discussione fosse suffi ciente a fondare una qualche presunzione in ordine alla composizione del collegio giudicante al (diverso e successivo) momento della delibera

zione, rimarrebbe in concreto esclusa qualsivoglia possibilità di prova contraria, tenuto conto che, per l'appunto, di ciò che avviene nel segre to della camera di consiglio non resta traccia alcuna. A mio avviso,

invece, la rigorosa disciplina desumibile dall'art. 161, 2° comma, può spiegarsi solo sul presupposto dell'assoluta insurrogabilità della sotto

scrizione, quale mezzo per accertare l'identità dei giudici che hanno effettivamente concorso alla deliberazione: in via diretta per quel che

concerne i magistrati tenuti a sottoscrivere; in via indiretta quanto al l'altro (o agli altri), la cui partecipazione al collegio giudicante deve

considerarsi provata (almeno, in teoria, fino a querela di falso) dalla

sua inclusione nell'intestazione della sentenza nonché dalla sottoscrizio ne del presidente e dell'estensore.

Non è escluso, del resto, che un ripensamento della giurisprudenza, nella direzione testé indicata, possa essere favorito, in un prossimo fu

turo, dalla nuova formulazione dell'art. 275 c.p.c., che prevede ora come meramente eventuale, e subordinata ad una doppia richiesta di taluna delle parti, la fissazione dell'udienza di discussione dinanzi al

collegio, prima del passaggio della causa in decisione.

Quel ch'è più importante, peraltro, è che il rammentato principio dell'insurrogabilità della firma del presidente e dell'estensore, nel senso dianzi precisato, impone di rimeditare il consolidato orientamento se condo cui il regime risultante dal combinato disposto degli art. 161, 2° comma, e 354, 1° comma, c.p.c. si applicherebbe anche al difetto

parziale di sottoscrizione. Pure a questo riguardo non posso che rinvia re il lettore agli scritti (sopra citati) in cui ho tentato di dimostrare che quest'ultima fattispecie deve piuttosto ricondursi sotto il dominio dell'art. 158 c.p.c., ossia nell'ambito dei vizi di costituzione del giudice; i quali — è appena il caso di ricordarlo — danno luogo ad una nullità

che, quantunque sia definita «insanabile» dalla legge, non sopravvive, però, al giudicato, né impedisce al giudice d'appello, allorché il vizio

riguardi una sentenza di primo grado, una nuova decisione sul merito della causa.

Mi sembra necessario aggiungere, comunque, che, qualora non si ri tenesse accettabile siffatta conclusione potrebbe profilarsi una questio ne d'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 161, 2° comma, e 158, nella parte in cui, in modo del tutto irragionevole, assoggetterebbe ad un regime diverso e notevolmente sperequato due

fattispecie sostanzialmente simili (ed anzi, a mio sommesso avviso, nep pure sceverabili, dal punto di vista strettamente positivo). Posto, infat

ti, che la nullità comminata dall'art. 161 discenderebbe, in mancanza della firma del presidente o dell'estensore, dall'impossibilità di provare aliunde la partecipazione di tale giudice alla deliberazione, è palesemen te illogico — nonché lesivo dell'art. 3 Cost. — che tale nullità produca conseguenze assai più gravi di quelle che deriverebbero, in forza del l'art. 158, dall'accertata estraneità del medesimo giudice alla decisione, ossia dalla circostanza che il collegio giudicante si sia concretamente formato in violazione dei criteri legali, in ispecie di quelli risultanti da

gli art. 113, 2° comma, e 114, ultimo comma, disp. att. c.p.c. (si pensi alla più grave ipotesi — oggi espressamente considerata dall'art. 274 bis c.p.c. — in cui sia decisa dal giudice istruttore una causa che avreb be dovuto esser rimessa, invece, al collegio).

Anche queste considerazioni, pertanto, m'inducono a preferire l'in

terpretazione restrittiva dell'art. 161, cpv., secondo cui la fattispecie in esso contemplata ricorre solo in caso di difetto totale di sottoscrizio ne. [G. Balena]

Il Foro Italiano — 1996.

anche d'ufficio, e comporta che, anche in esito al giudizio di

cassazione, la causa debba essere rimessa allo stesso giudice che

ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione (cfr. in tali esatti

sensi Cass., sez. un., 19 dicembre 1990, n. 12021, Foro it., Rep.

1990, voce Sentenza civile, n. 28, cui adde, ex plurimis, Cass.

13 maggio 1987, n. 4415, id., Rep. 1987, voce cit., n. 41; 10

febbraio 1986, n. 849, id., Rep. 1986, voce cit., n. 51; 4 feb

braio 1985, n. 739, id., Rep. 1985, voce cit., n. 26; 9 marzo

1981, n. 1297, id., 1981, I, 639). Come è stato evidenziato puntualmente in dottrina l'ipotesi

di mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice,

per non rendere riferibile l'atto sentenza all'organo giurisdizio

nale, configura una eccezione alla regola generale fissata dal

l'art. 161, 1° comma, c.p.c., ed alla sua funzione di assicurare

attraverso il giudicato formale la stabilità del giudicato sostan

ziale, ponendolo al riparo da possibili invalidità della sentenza

che lo contiene. In verità, l'applicazione di tali principi alle con

troversie di lavoro è stata messa in dubbio da un non recente

pronunziato di questa corte, che ha affermato che in dette con

troversie la mancata sottoscrizione da parte del presidente del

collegio giudicante, che ha Ietto in udienza il dispositivo della

sentenza di appello completa di motivazione, non ne determina

la nullità assoluta ed insanabile ma si risolve in una mera omis

sione emendabile con la procedura prevista dall'art. 288 c.p.c. Sulla premessa che la nullità assoluta ed insanabile della sen

tenza ricorra soltanto allorché l'omessa sottoscrizione denoti man

canza di uno dei requisiti essenziali nel processo formativo della

deliberazione, l'indicata sentenza ha sostenuto che, attesa la strut

tura del processo del lavoro che prevede la lettura del dispositi vo in udienza (art. 437 c.p.c.), la mancata firma del presidente in calce alla sentenza depositata, nella sua forma completa co

stituita da dispositivo e motivazione, non può che costituire una

mera omissione materiale, peraltro non deducibile come motivo

di cassazione (cfr., in motivazione, Cass. 2 dicembre 1983, n.

7226, id., 1984, I, 1908). Tale tesi, che pure ha trovato di recente qualche seguito in

dottrina, è stata però abbandonata da un costante orientamento

dei giudici di legittimità, che hanno ripetutamente affermato

che anche in materia di lavoro la mancata sottoscrizione della

sentenza importa la nullità assoluta ed insanabile della sentenza

stessa, rilevabile anche d'ufficio da parte della Corte di cassa

zione, senza che sia consentito distinguere tra omissione volon

taria ed involontaria (cfr., tra le tante, Cass. 14 dicembre 1994, n. 10681, id., Rep. 1994, voce cit., n. 45; 28 gennaio 1987, n. 822, id., Rep. 1987, voce cit., n. 42; 13 maggio 1987, n.

4415, cit.; 10 febbraio 1986, n. 849, cit.; 4 febbraio 1985, n. 739, cit.).

Questo collegio ritiene di aderire a quest'ultimo ormai conso

lidato orientamento giurisprudenziale, in base alla considerazio

ne che in ogni caso, e quindi anche nel processo del lavoro, la sottoscrizione va considerata come elemento costitutivo della

sentenza, la quale nel disposto dell'art. 161, 2° comma, c.p.c. è stata considerata, giusta quanto ha evidenziato la dottrina, come «documento» e non come «atto», con la conseguenza che

il difetto di sottoscrizione ha rilievo di per sé e non invece in

ragione della specifica causa che ha determinato l'omissione (cfr. al riguardo Cass., sez. un., 9 marzo 1981, n. 1297, cit., che

evidenzia — rifacendosi a quanto già osservato perspicuamente da Cass. 22 febbraio 1978, n. 879, id., 1978, I, 850 — l'assolu

ta irrilevanza che per effetto dell'art. 132, ultimo comma, c.p.c., ha ogni causa dell'omissione diversa dall'impedimento del ma

gistrato). Anche nelle controversie di lavoro, la decisione non acquista

valore di sentenza sulla base del solo dispositivo letto in udien

za, dovendo essere detto dispositivo integrato dalla motivazio

ne, che deve accompagnare, giusta il dettato dell'art. Ill Cost., tutti i provvedimenti giurisdizionali.

Quanto ora detto è dimostrato con evidenza: a) dalla regola

generale dell'art. 132 c.p.c. (inclusa nel titolo VI «Degli atti

processuali») che, al 2° comma, include come contenuto di qual siasi sentenza sia «la concisa esposizione... dei motivi in fatto

e diritto della decisione» (n. 4), sia «il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice» (n. 5); b) dall'art.

119 disp. att. c.p.c., che con una disposizione di portata anche

essa generale assegna al presidente il controllo sulla motivazio

ne preparata dall'estensore e ad entrambi la verifica della corri

spondenza dell'originale alla minuta; c) dall'art. 327, 1° com

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ma, c.p.c. (disposizione applicabile anche nel rito del lavoro), che fa decorrere il termine per impugnare dalla data di deposito della sentenza (cfr. in tali sensi, in motivazione, Cass., sez. un., 9 marzo 1981 n. 1297, cit.). Una contraria opinione finirebbe

con il portare a negare al giudice del lavoro, dopo la lettura

del dispositivo in pubblica udienza, ogni potere sulla controver

sia in corso, e con il sottrargli ogni investitura della causa, ren

dendo sostanzialmente irrilevante ogni suo successivo provvedi mento e ponendolo, in tal modo, nell'identica posizione in cui, nelle controversie ordinarie, viene a trovarsi il giudice dopo la

pubblicazione della sentenza.

Consegue da quanto sinora detto che tutti i motivi di ricorso

devono considerarsi assorbiti dalla declaratoria di nullità della

impugnata sentenza del Tribunale-di Rovereto.

Per concludere, la causa va rimessa allo stesso giudice che

ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione (art. 354, 1°

comma, 360, n. 4, art. 383, ultimo comma, c.p.c.). Come è stato chiarito, nel caso in cui la Corte di cassazione,

rilevata la nullità assoluta ed insanabile della sentenza d'appello non sottoscritta da uno dei giudici e priva della menzione del

l'impedimento del medesimo, abbia cassato detta sentenza, ri

mettendo la causa allo stesso giudice di secondo grado a norma

degli art. 354, 1° comma, 360, n. 4, e 383, ultimo comma,

c.p.c., il giudice di rinvio è investito del potere-dovere di riesa

minare il merito della causa e non deve invece limitarsi ad una

formale rinnovazione della sentenza sulla base di quanto stabili

to nel dispositivo della sentenza cassata, e ciò anche nel rito

del lavoro, perché la nullità della sentenza si comunica necessa

riamente anche al dispositivo letto in udienza (cfr. in tali esatti

sensi Cass. 14 dicembre 1994, n. 10681, cit.; 1° agosto 1986, n. 4948, id., Rep. 1986, voce cit., n. 53). Al riguardo va osser

vato che, nelle controversie del lavoro, al dispositivo letto in

udienza, ai sensi dell'art. 429 c.p.c., si può — alla stregua del

combinato disposto dell'art. 431, 1° comma, e dell'art. 433, 2° comma, c.p.c. — riconoscere una efficacia autonoma per

quanto riguarda l'inizio e la prosecuzione della procedura ese

cutiva (cfr. in tali sensi: Cass., sez. un., 9 marzo 1979, n. 1464,

id., 1979; I, 2657), mentre devesi ritenere che, al di fuori di

tale procedura, allorquando la sentenza venga depositata, il sud

detto dispositivo finisce per perdere la sua autonomia per dive

nire parte integrante di detta sentenza, di cui è destinato a se

guire le sorti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 feb braio 1996, n. 954; Pres. Giuliano, Est. Di Nanni, P.M.

Dì Salvo (conci, diff.); Soc. Fama Jersey (Aw. G. Pezzano,

Valori) c. Soc. Penelope (Aw. Cusimano, Maxi). Cassa App.

Firenze 24 febbraio 1994.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Recesso del conduttore — Gravi motivi —

Valutazione (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazio

ni di immobili urbani, art. 27).

Nella valutazione della validità del recesso per gravi motivi, eser

citato dal conduttore di immobile ad uso diverso dall'abita

zione ai sensi dell'art. 27, ultimo comma, l. 392/78, il giudice deve tenere conto della corrispondenza delle ragioni del reces

so a quelle enunciate dal conduttore nell'atto di preavviso,

quando tale corrispondenza sia contestata dal locatore. (1)

(1) Non constano precedenti negli esatti termini.

La pronunzia della Cassazione si fonda sul rilievo che l'atto di reces

so del conduttore, di cui all'art. 27, ultimo comma, 1. 392/78, essendo

diretto a produrre lo scioglimento del rapporto di locazione «attraverso

il meccanismo proprio degli atti unilaterali descritto dall'art. 1344 (ree

Il Foro Italiano — 1996.

Svolgimento del processo. — 1. - La s.p.a. Fama Jersey, con

atto del 6 febbraio 1984, ha convenuto in giudizio davanti al

Tribunale di Prato la s.p.a. Tessitura Mirage ed ha chiesto che

la convenuta fosse condannata al pagamento dei canoni di loca

zione dovuti e non pagati, oltre al risarcimento del danno.

L'attrice ha dichiarato: che, con due contratti di locazione, aveva concesso in locazione alla Tessitura Mirage due locali ad

uso industriale con decorrenza dal 10 ottobre e dall'11 novem

bre 1979; che la Tessitura Mirage aveva disdetto anticipatamen te i contratti ed aveva consegnato i locali nel mese di agosto

1983; che in tale data la Tessitura Mirage era debitrice del cano

ne maturato I'll agosto 1983 ammontante ad oltre 12 milioni; che essa attrice aveva diritto anche al pagamento di lire

64.624.999 per canoni maturati dal 1° ottobre 1983 al 10 gen naio 1984, di lire 73.413.984 a titolo risarcitorio per canoni ma

turati dal 1° ottobre 1983 al 1° novembre 1985 e di lire 7.441.956

per danni arrecati agli immobili.

Istauratosi il contraddittorio, la società Tessitura Mirage ha

resistito alla domanda ed ha eccepito, tra l'altro, che ricorreva

no gravi motivi per la risoluzione anticipata della locazione.

2. - La domanda attrice è stata accolta limitatamente al paga mento dei canoni scaduti ed il tribunale ha condannato la s.p.a. Tessitura Mirage al pagamento della complessiva somma di ol

tre 138 milioni. Questa decisione è stata impugnata dalla società Tessitura Mi

rage, la quale ha ribadito l'esistenza dei gravi motivi previsti dalla legge per il recesso anticipato.

A sua volta, l'appellata ha rilevato che i gravi motivi non

te, 1334) c.c.», e quindi con effetto dal momento in cui perviene a conoscenza del destinatario (ovvero del locatore), da tale momento è

vincolante e non può essere revocato (cfr. nello stesso senso, in dottri

na, F. Lazzaro-R. Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Mila

no, 1988, 122 ss.); con la conseguenza che, «una volta espressa la vo lontà di recesso, il conduttore non può affidarne l'effetto ad elementi causali non contenuti nell'atto di prevviso» richiesto dalla norma e, correlativamente, «il giudice, chiamato a verificare la legittimità del re cesso del conduttore, deve verificare anche che questo corrisponda ai

motivi (che debbono essere gravi) espressi nell'atto di preavviso». Nel principio enunciato dalla corte sembra implicita l'affermazione

che il preavviso in questione deve necessariamente recare indicazione dei «gravi motivi» addotti dal conduttore a giustificazione del proprio recesso. Sul punto v., in questo senso, Trib. Vicenza 26 febbraio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Locazione, n. 415 (e Arch, locazioni, 1990,

300), secondo cui nell'atto di preavviso devono essere indicati, in modo

«espresso e chiaro», sia la data alla quale si intende far cessare la loca

zione, sia i motivi del recesso, giacché altrimenti il locatore, non poten do verificarne la sussistenza e la gravità, sarebbe costretto «ad una me

ra resistenza a fini esplorativi, volta cioè a costringere alla lite il con

duttore al solo scopo di poter saggiare in giudizio la effettiva gravità dei motivi non addotti e rimasti sottesi al negozio di recesso».

Secondo Cass. 24 maggio 1993, n. 5827, Foro it., Rep. 1993, voce

cit., n. 356, peraltro, qualora il conduttore receda dal contratto per

gravi motivi, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 27 1. 392/78, senza

comunicare il dovuto preavviso, egli è tenuto al risarcimento dei danni

che il locatore provi di avere subito per l'anticipata restituzione dell'im

mobile, a meno che dimostri che l'immobile è stato ugualmente utiliz zato dal locatore direttamente o indirettamente.

Sulla nozione di «gravi motivi» ex art. 27, ultimo comma, 1. 392/78

(nonché ex art. 4, 2° comma, in tema di recesso del conduttore dal

contratto di locazione di immobile ad uso di abitazione) — la cui sussi

stenza in concreto, come sottolinea in motivazione Cass. 954/96, è ri

messa alla valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede

di legittimità purché correttamente motivata sulla base di circostanze

oggettive — v., nel senso che essi devono collegarsi a fatti estranei alla

volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla stipulazione del contratto, tali da rendere oltremodo gravosa per lui la prosecuzione del rapporto, Cass. 20 ottobre 1992, n. 11466, id., 1993, I, 3118, con

nota di richiami (riportata anche in Giust. civ., 1993, I, 1551, con nota

di M. De Tula); e, successivamente: Cass. 3 febbraio 1994, n. 1098, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 349; Trib. Milano 9 settembre 1993,

ibid., n. 350 (e Arch, locazioni, 1994, 121); nonché, con specifico riferi

mento all'ipotesi del recesso motivato dalla sopravvenuta insufficienza

dell'immobile, in conseguenza della espansione dell'attività commercia

le del conduttore, Trib. Milano 25 febbraio 1993 e 8 giugno 1992, Foro

it., Rep. 1994, voce cit., nn. 351, 352 (per esteso in Arch, locazioni,

1994, 365 e 136), e Pret. Bologna 4 novembre 1994, id., 1996, 101,

pervenute a differenti conclusioni circa la sussistenza, nel caso concre

to, dei gravi motivi richiesti dal citato art. 27, ultimo comma. In dottri

na, cfr. anche A. Pelò, Recesso de! conduttore e «gravi motivi», id.,

1993, 441.

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