sezione lavoro; sentenza 14 febbraio 1996, n. 1122; Pres. Panzarani, Est. Vidiri, P.M. Arena(concl. conf.); Gelmini (Avv. Fusillo, Speri) c. Consorzio ortofrutticolo Valle di Gresta (Avv.Canovi, Robol). Cassa Trib. Rovereto 16 marzo 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 2829/2830-2833/2834Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191596 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La collocazione «sistematica» della previsione della notifica
zione a mezzo del servizio postale nell'art. 149 — a chiusura
delle varie ipotesi di notificazione di cui agli art. 139 ss. e prima della notificazione per pubblici proclami (prevista dall'art. 150,
quando la notificazione nei modi ordinari è sommamente diffi
cile... e nei modi ordinari è evidentemente compresa anche quella a mezzo del servizio postale) — costituisce la conferma che det
ta notificazione è ammessa anche per il militare in attività del
servizio.
E d'altra parte dovendo eseguirsi la notificazione al militare
in attività di servizio «nei modi ordinari» — a norma degli art.
139 ss., espressamente richiamati dall'art. 146, nella residenza,
nella dimora o nel domicilio, ecc. del militare — è di tutta evi
denza che la esclusione della notificazione a mezzo del servizio
postale non troverebbe alcuna plausibile ragione. L'avviso di ricevimento, nel procedimento di notificazione nella
specie, prova l'avvenuta notificazione «in mani proprie».
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 feb
braio 1996, n. 1122; Pres. Panzarani, Est. Vidiri, P.M. Are
na (conci, conf.); Gelmini (Avv. Fusillo, Speri) c. Consor
zio ortofrutticolo Valle di Gresta (Aw. Canovi, Robol). Cassa
Trib. Rovereto 16 marzo 1994.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenza
d'appello — Omessa sottoscrizione dell'estensore — Nullità
rilevabile d'ufficio — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 132,
161, 429).
Anche nel rito del lavoro è motivo di nullità insanabile la circo
stanza che la sentenza collegiale sia sottoscritta dal solo presi dente e non anche dall'estensore; tale vizio, allorché riguardi
una sentenza di secondo grado, è rilevabile d'ufficio in Cas
sazione e determina l'annullamento con rinvio al medesimo
giudice che aveva pronunciato la sentenza cassata, il quale
non deve limitarsi ad una formale rinnovazione della decisio
ne sulla base dell'anteriore dispositivo, essendo invece investi
to del potere-dovere di riesaminare il merito della causa. (1)
(1) Conf., in ispecie riguardo alla prima parte della massima, Cass.
14 giugno 1994, n. 5777, Foro it., Rep. 1994, voce Sentenza civile, n. 44; sez. un. 15 luglio 1991, n. 7828, id., Rep. 1991, voce Lavoro
e previdenza (controversie), n. 179; 16 febbraio 1988, n. 1643, id., Rep. 1988, voce cit., n. 186; 13 maggio 1987, n. 4415, id., Rep. 1987, voce
Sentenza civile, n. 41; 28 gennaio 1987, n. 822, ibid., n. 42; 1° agosto
1986, n. 4948, id., Rep. 1986, voce cit., n. 53; 10 febbraio 1986, n.
849, ibid., n. 51, e 4 febbraio 1985, n. 739, id., Rep. 1985, voce cit., n. 26. Nello stesso senso, con riferimento all'ipotesi in cui la sentenza
d'appello sia stata sottoscritta, in qualità di presidente, da un magistra to estraneo al collegio risultante dal verbale dell'udienza di discussione,
Cass. 26 gennaio 1995, n. 914, id., Rep. 1995, voce cit., n. 76, e 10
marzo 1987, n. 2522, id., Rep. 1987, voce cit., n. 43.
Per quel che concerne, poi, la (pacifica) rilevabilità d'ufficio e le con
seguenze del difetto di sottoscrizione, relativamente ai poteri del giudice cui viene rimessa la causa, v., tra le altre, Cass. 26 gennaio 1995, n.
910, id., 1995, I, 1849; 14 dicembre 1994, n. 10681, id., Rep. 1994,
voce cit., n. 45; 1° agosto 1986, n. 4948, cit.
Per l'opinione, del tutto minoritaria, favorevole all'emendabilità del
vizio attraverso il procedimento per la correzione degli errori od omis
sioni materiali (art. 287 ss. c.p.c.), v., tra le altre, Trib. Siracusa 12
dicembre 1988, id., 1990, I, 1386, con ampia nota di richiami. E cfr.
anche Cass. 15 ottobre 1985, n. 5059, id., 1986, I, 98, secondo la quale
non si avrebbe alcuna nullità nel caso in cui la sentenza pretorile fosse
depositata in cancelleria lo stesso giorno della lettura del dispositivo in udienza, e il dispositivo, regolarmente sottoscritto, fosse unito agli atti del processo.
Tornando all'orientamento prevalente, ancor più copiosa, natural
mente, è la giurisprudenza che afferma l'insanabilità del vizio relativa
Ii Foro Italiano — 1996.
Motivi della decisione. — Osserva la corte che, sebbene non
sia stata dalla resistente sollevata in questa sede la relativa que
stione, va dichiarata ai sensi dell'art. 161, 2° comma, c.p.c., la nullità della sentenza del Tribunale di Rovereto 17 marzo
1994, come ha chiesto in pubblica udienza il procuratore gene rale. Detta sentenza, infatti, che porta nell'intestazione il nome
del «dott. Simona Caterbi» in qualità di «presidente», e del
«dott. Susanna Menegazzi» in qualità di «giudice relatore», ri
sulta sottoscritta unicamente dal presidente, la cui firma si rile
va accanto a quella del collaboratore di cancelleria. E che non
vi fosse coincidenza nel caso di specie tra presidente ed estenso
re si evince dal verbale dell'udienza di discussione, che attesta
la nomina come giudice relatore della dott. Menegazzi, e dalla
circostanza che dal testo della sentenza depositata il presidente
mente al processo ordinario, escludendo dunque, indipendentemente dalle
ragioni dell'omessa sottoscrizione, l'esperibilità della procedura di cor
rezione: v., tra le decisioni più recenti, Cass. 22 aprile 1995, n. 4564, id., 1995, I, 2110 (con riguardo all'ipotesi in cui la firma del giudice sia stata apposta a margine di ciascun foglio della sentenza, ma non
in calce alla stessa); 27 febbraio 1995, n. 2292, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 78; 11 gennaio 1995, n. 246, ibid., voce cit., n. 77; 26 agosto 1993, n. 9033, id., 1994, I, 2846; 3 novembre 1992, n. 11892, id., Rep. 1992, voce cit., n. 32; 18 gennaio 1991, n. 448, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 28; 19 dicembre 1990, n. 12021, id., Rep. 1990, voce cit., n.
28. Analogo rigore, anzi, viene adoperato nei confronti dei provvedi menti (collegiali) che, essendo stati erroneamente pronunciati con ordi
nanza, anziché con sentenza, siano stati sottoscritti, a norma dell'art.
134 c.p.c., dal solo presidente: v., limitatamente alle decisioni più re
centi, Cass. 26 gennaio 1995, n. 910, cit.; 26 agosto 1993, n. 9033,
cit.; 22 ottobre 1992, n. 11531, id., Rep. 1994, voce Procedimento civi
le, n. 209, e Giur. it., 1994, I, 1, 310, con nota di Latella; quanto alla dottrina, v. soprattutto, in senso critico, Cerino Canova, Ordi
nanza con contenuto di sentenza e sottoscrizione del provvedimento, id., 1981, I, 1, 277).
Secondo Cass. 22 settembre 1993, n. 9661, Foro it., Rep. 1993, voce
Sentenza civile, n. 56, sarebbe invece consentito provvedere, non alla
mera correzione, bensì all'integrale rinnovazione della sentenza (non
sottoscritta) da parte dello stesso collegio o dello stesso giudice mono
cratico che aveva riservato la decisione, i quali, preso atto dell'inesi
stenza della decisione già pubblicata, ed essendo ancora investiti della
potestà di decidere, non consumata da un atto inesistente, potrebbero
procedere ad una nuova deliberazione e redazione della sentenza. Si
tratta, però, di una decisione isolata (in senso contrario, v., espressa
mente, Cass. 11 marzo 1986, n. 1643, id., Rep. 1986, voce cit., n. 52), che trova origine, a ben riflettere, proprio nell'inopportuna ed inesatta
qualificazione del vizio in esame quale motivo di «inesistenza» giuridica della sentenza (in argomento, v., amplius, Balena, In tema di inesi
stenza, nullità assoluta ed inefficacia delle sentenze, id., 1993, I, 179
ss., spec. § 2). Per quel che concerne, poi, l'individuazione dei magistrati concreta
mente tenuti a sottoscrivere ai sensi dell'art. 132 c.p.c., cioè, in caso
di decisione collegiale, del presidente e dell'estensore, va sottolineato
che la giurisprudenza, fino ad oggi, ha sempre fatto prevalere le indica
zioni desumibili dal verbale dell'udienza di discussione su quelle conte
nute nell'intestazione della sentenza. Così, ad es., si è ritenuto: — che fosse motivo di nullità insanabile, ex art. 161, 2° comma,
la sottoscrizione, in qualità di presidente, da parte di un magistrato diverso da quello indicato come tale nel verbale della predetta udienza
(v., per tutte, Cass. 14 dicembre 1994, n. 10681, cit., e 16 novembre
1988, n. 6204, id., Rep. 1988, voce cit., n. 37); — che invece fosse sufficiente la firma del solo presidente (non indi
cato nell'intestazione della sentenza quale estensore della medesima) che
fosse stato relatore della causa all'udienza di discussione, in considera
zione del fatto che la qualità di relatore fa presumere la stesura della
motivazione ad opera dello stesso magistrato (da ultimo, Cass. 3 set
tembre 1994, n. 7634, id., Rep. 1994, voce cit., n. 41; 12 marzo 1994, n. 2406, ibid., n. 40, e 9 settembre 1993, n. 9446, id., 1994, I, 2190,
con nota di richiami; — che infine fosse emendabile, attraverso la procedura per la corre
zione degli errori materiali, la discordanza fra l'intestazione della sen
tenza e il verbale dell'udienza collegiale, relativamente all'indicazione
del giudice non tenuto a sottoscrivere (diverso, cioè, dal presidente e
dall'estensore), dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari,
che la sentenza fosse stata concretamente deliberata dai medesimi giudi ci componenti il collegio all'udienza di discussione (tra le più recenti,
v. Cass. 22 marzo 1995, n. 3268, id., Rep. 1995, voce cit., n. 41; 10
marzo 1995, n. 2815, ibid., n. 42; 15 ottobre 1994, n. 8418, id., Rep.
1994, voce cit., n. 52, e 6 novembre 1991, n. 11853, id., 1992, I, 2461). In altra occasione ho illustrato le ragioni per cui quest'ultimo orien
tamento non sembra condivisibile (v. soprattutto La rimessione della
causa al primo giudice, Napoli, 1984, spec. 234 ss.; nonché Vizi nella
intestazione delle sentenze ed illegittime estensioni della nozione di «ine
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2831 PARTE PRIMA 2832
non risulta esserne stato anche l'estensore. Elementi questi, che
tolgono, per la loro effcacia probatoria, rilevanza alla docu
mentazione esibita nell'udienza odierna ai sensi dell'art. 372 c.p.c. Si ha così una violazione del disposto dell'art. 132, c.p.c.
(nel testo modificato dall'art. 6 1. 8 agosto 1977 n. 532) perché è mancata la sottoscrizione di uno dei magistrati tenuti a sotto
scrivere la sentenza (il giudice estensore) e perché non si rinvie
ne, prima della sottoscrizione del presidente, l'enunciazione del
l'impedimento alla sottoscrizione di detto magistrato.
Orbene, questa corte ha ripetutamente ribadito che l'omessa
sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, o nel caso
di sentenza emessa da un giudice collegiale, da parte di uno
dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell'art. 132 c.p.c., determina (nel caso in cui l'impedimento del magistrato non
risulti menzionato ai sensi del 3° comma dell'art. 132 c.p.c.) la nullità insanabile della sentenza medesima, restando escluse
l'applicabilità del procedimento di correzione degli errori mate
riali e la possibilità di distinguere tra omissione intenzionale ed omissione involontaria, provocata da errore o dimenticanza. Tale
nullità è in ogni caso deducibile, ai sensi del 2° comma dell'art.
161 c.p.c., fuori dei limiti e delle regole dei mezzi di impugna
zione, sicché non è coperta dal giudicato formale e va rilevata
sistenza», in Foro it., 1992, I, 1880). In questa sede mi limiterò a rile vare che, se davvero il verbale dell'udienza di discussione fosse suffi ciente a fondare una qualche presunzione in ordine alla composizione del collegio giudicante al (diverso e successivo) momento della delibera
zione, rimarrebbe in concreto esclusa qualsivoglia possibilità di prova contraria, tenuto conto che, per l'appunto, di ciò che avviene nel segre to della camera di consiglio non resta traccia alcuna. A mio avviso,
invece, la rigorosa disciplina desumibile dall'art. 161, 2° comma, può spiegarsi solo sul presupposto dell'assoluta insurrogabilità della sotto
scrizione, quale mezzo per accertare l'identità dei giudici che hanno effettivamente concorso alla deliberazione: in via diretta per quel che
concerne i magistrati tenuti a sottoscrivere; in via indiretta quanto al l'altro (o agli altri), la cui partecipazione al collegio giudicante deve
considerarsi provata (almeno, in teoria, fino a querela di falso) dalla
sua inclusione nell'intestazione della sentenza nonché dalla sottoscrizio ne del presidente e dell'estensore.
Non è escluso, del resto, che un ripensamento della giurisprudenza, nella direzione testé indicata, possa essere favorito, in un prossimo fu
turo, dalla nuova formulazione dell'art. 275 c.p.c., che prevede ora come meramente eventuale, e subordinata ad una doppia richiesta di taluna delle parti, la fissazione dell'udienza di discussione dinanzi al
collegio, prima del passaggio della causa in decisione.
Quel ch'è più importante, peraltro, è che il rammentato principio dell'insurrogabilità della firma del presidente e dell'estensore, nel senso dianzi precisato, impone di rimeditare il consolidato orientamento se condo cui il regime risultante dal combinato disposto degli art. 161, 2° comma, e 354, 1° comma, c.p.c. si applicherebbe anche al difetto
parziale di sottoscrizione. Pure a questo riguardo non posso che rinvia re il lettore agli scritti (sopra citati) in cui ho tentato di dimostrare che quest'ultima fattispecie deve piuttosto ricondursi sotto il dominio dell'art. 158 c.p.c., ossia nell'ambito dei vizi di costituzione del giudice; i quali — è appena il caso di ricordarlo — danno luogo ad una nullità
che, quantunque sia definita «insanabile» dalla legge, non sopravvive, però, al giudicato, né impedisce al giudice d'appello, allorché il vizio
riguardi una sentenza di primo grado, una nuova decisione sul merito della causa.
Mi sembra necessario aggiungere, comunque, che, qualora non si ri tenesse accettabile siffatta conclusione potrebbe profilarsi una questio ne d'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 161, 2° comma, e 158, nella parte in cui, in modo del tutto irragionevole, assoggetterebbe ad un regime diverso e notevolmente sperequato due
fattispecie sostanzialmente simili (ed anzi, a mio sommesso avviso, nep pure sceverabili, dal punto di vista strettamente positivo). Posto, infat
ti, che la nullità comminata dall'art. 161 discenderebbe, in mancanza della firma del presidente o dell'estensore, dall'impossibilità di provare aliunde la partecipazione di tale giudice alla deliberazione, è palesemen te illogico — nonché lesivo dell'art. 3 Cost. — che tale nullità produca conseguenze assai più gravi di quelle che deriverebbero, in forza del l'art. 158, dall'accertata estraneità del medesimo giudice alla decisione, ossia dalla circostanza che il collegio giudicante si sia concretamente formato in violazione dei criteri legali, in ispecie di quelli risultanti da
gli art. 113, 2° comma, e 114, ultimo comma, disp. att. c.p.c. (si pensi alla più grave ipotesi — oggi espressamente considerata dall'art. 274 bis c.p.c. — in cui sia decisa dal giudice istruttore una causa che avreb be dovuto esser rimessa, invece, al collegio).
Anche queste considerazioni, pertanto, m'inducono a preferire l'in
terpretazione restrittiva dell'art. 161, cpv., secondo cui la fattispecie in esso contemplata ricorre solo in caso di difetto totale di sottoscrizio ne. [G. Balena]
Il Foro Italiano — 1996.
anche d'ufficio, e comporta che, anche in esito al giudizio di
cassazione, la causa debba essere rimessa allo stesso giudice che
ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione (cfr. in tali esatti
sensi Cass., sez. un., 19 dicembre 1990, n. 12021, Foro it., Rep.
1990, voce Sentenza civile, n. 28, cui adde, ex plurimis, Cass.
13 maggio 1987, n. 4415, id., Rep. 1987, voce cit., n. 41; 10
febbraio 1986, n. 849, id., Rep. 1986, voce cit., n. 51; 4 feb
braio 1985, n. 739, id., Rep. 1985, voce cit., n. 26; 9 marzo
1981, n. 1297, id., 1981, I, 639). Come è stato evidenziato puntualmente in dottrina l'ipotesi
di mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice,
per non rendere riferibile l'atto sentenza all'organo giurisdizio
nale, configura una eccezione alla regola generale fissata dal
l'art. 161, 1° comma, c.p.c., ed alla sua funzione di assicurare
attraverso il giudicato formale la stabilità del giudicato sostan
ziale, ponendolo al riparo da possibili invalidità della sentenza
che lo contiene. In verità, l'applicazione di tali principi alle con
troversie di lavoro è stata messa in dubbio da un non recente
pronunziato di questa corte, che ha affermato che in dette con
troversie la mancata sottoscrizione da parte del presidente del
collegio giudicante, che ha Ietto in udienza il dispositivo della
sentenza di appello completa di motivazione, non ne determina
la nullità assoluta ed insanabile ma si risolve in una mera omis
sione emendabile con la procedura prevista dall'art. 288 c.p.c. Sulla premessa che la nullità assoluta ed insanabile della sen
tenza ricorra soltanto allorché l'omessa sottoscrizione denoti man
canza di uno dei requisiti essenziali nel processo formativo della
deliberazione, l'indicata sentenza ha sostenuto che, attesa la strut
tura del processo del lavoro che prevede la lettura del dispositi vo in udienza (art. 437 c.p.c.), la mancata firma del presidente in calce alla sentenza depositata, nella sua forma completa co
stituita da dispositivo e motivazione, non può che costituire una
mera omissione materiale, peraltro non deducibile come motivo
di cassazione (cfr., in motivazione, Cass. 2 dicembre 1983, n.
7226, id., 1984, I, 1908). Tale tesi, che pure ha trovato di recente qualche seguito in
dottrina, è stata però abbandonata da un costante orientamento
dei giudici di legittimità, che hanno ripetutamente affermato
che anche in materia di lavoro la mancata sottoscrizione della
sentenza importa la nullità assoluta ed insanabile della sentenza
stessa, rilevabile anche d'ufficio da parte della Corte di cassa
zione, senza che sia consentito distinguere tra omissione volon
taria ed involontaria (cfr., tra le tante, Cass. 14 dicembre 1994, n. 10681, id., Rep. 1994, voce cit., n. 45; 28 gennaio 1987, n. 822, id., Rep. 1987, voce cit., n. 42; 13 maggio 1987, n.
4415, cit.; 10 febbraio 1986, n. 849, cit.; 4 febbraio 1985, n. 739, cit.).
Questo collegio ritiene di aderire a quest'ultimo ormai conso
lidato orientamento giurisprudenziale, in base alla considerazio
ne che in ogni caso, e quindi anche nel processo del lavoro, la sottoscrizione va considerata come elemento costitutivo della
sentenza, la quale nel disposto dell'art. 161, 2° comma, c.p.c. è stata considerata, giusta quanto ha evidenziato la dottrina, come «documento» e non come «atto», con la conseguenza che
il difetto di sottoscrizione ha rilievo di per sé e non invece in
ragione della specifica causa che ha determinato l'omissione (cfr. al riguardo Cass., sez. un., 9 marzo 1981, n. 1297, cit., che
evidenzia — rifacendosi a quanto già osservato perspicuamente da Cass. 22 febbraio 1978, n. 879, id., 1978, I, 850 — l'assolu
ta irrilevanza che per effetto dell'art. 132, ultimo comma, c.p.c., ha ogni causa dell'omissione diversa dall'impedimento del ma
gistrato). Anche nelle controversie di lavoro, la decisione non acquista
valore di sentenza sulla base del solo dispositivo letto in udien
za, dovendo essere detto dispositivo integrato dalla motivazio
ne, che deve accompagnare, giusta il dettato dell'art. Ill Cost., tutti i provvedimenti giurisdizionali.
Quanto ora detto è dimostrato con evidenza: a) dalla regola
generale dell'art. 132 c.p.c. (inclusa nel titolo VI «Degli atti
processuali») che, al 2° comma, include come contenuto di qual siasi sentenza sia «la concisa esposizione... dei motivi in fatto
e diritto della decisione» (n. 4), sia «il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice» (n. 5); b) dall'art.
119 disp. att. c.p.c., che con una disposizione di portata anche
essa generale assegna al presidente il controllo sulla motivazio
ne preparata dall'estensore e ad entrambi la verifica della corri
spondenza dell'originale alla minuta; c) dall'art. 327, 1° com
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ma, c.p.c. (disposizione applicabile anche nel rito del lavoro), che fa decorrere il termine per impugnare dalla data di deposito della sentenza (cfr. in tali sensi, in motivazione, Cass., sez. un., 9 marzo 1981 n. 1297, cit.). Una contraria opinione finirebbe
con il portare a negare al giudice del lavoro, dopo la lettura
del dispositivo in pubblica udienza, ogni potere sulla controver
sia in corso, e con il sottrargli ogni investitura della causa, ren
dendo sostanzialmente irrilevante ogni suo successivo provvedi mento e ponendolo, in tal modo, nell'identica posizione in cui, nelle controversie ordinarie, viene a trovarsi il giudice dopo la
pubblicazione della sentenza.
Consegue da quanto sinora detto che tutti i motivi di ricorso
devono considerarsi assorbiti dalla declaratoria di nullità della
impugnata sentenza del Tribunale-di Rovereto.
Per concludere, la causa va rimessa allo stesso giudice che
ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione (art. 354, 1°
comma, 360, n. 4, art. 383, ultimo comma, c.p.c.). Come è stato chiarito, nel caso in cui la Corte di cassazione,
rilevata la nullità assoluta ed insanabile della sentenza d'appello non sottoscritta da uno dei giudici e priva della menzione del
l'impedimento del medesimo, abbia cassato detta sentenza, ri
mettendo la causa allo stesso giudice di secondo grado a norma
degli art. 354, 1° comma, 360, n. 4, e 383, ultimo comma,
c.p.c., il giudice di rinvio è investito del potere-dovere di riesa
minare il merito della causa e non deve invece limitarsi ad una
formale rinnovazione della sentenza sulla base di quanto stabili
to nel dispositivo della sentenza cassata, e ciò anche nel rito
del lavoro, perché la nullità della sentenza si comunica necessa
riamente anche al dispositivo letto in udienza (cfr. in tali esatti
sensi Cass. 14 dicembre 1994, n. 10681, cit.; 1° agosto 1986, n. 4948, id., Rep. 1986, voce cit., n. 53). Al riguardo va osser
vato che, nelle controversie del lavoro, al dispositivo letto in
udienza, ai sensi dell'art. 429 c.p.c., si può — alla stregua del
combinato disposto dell'art. 431, 1° comma, e dell'art. 433, 2° comma, c.p.c. — riconoscere una efficacia autonoma per
quanto riguarda l'inizio e la prosecuzione della procedura ese
cutiva (cfr. in tali sensi: Cass., sez. un., 9 marzo 1979, n. 1464,
id., 1979; I, 2657), mentre devesi ritenere che, al di fuori di
tale procedura, allorquando la sentenza venga depositata, il sud
detto dispositivo finisce per perdere la sua autonomia per dive
nire parte integrante di detta sentenza, di cui è destinato a se
guire le sorti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 feb braio 1996, n. 954; Pres. Giuliano, Est. Di Nanni, P.M.
Dì Salvo (conci, diff.); Soc. Fama Jersey (Aw. G. Pezzano,
Valori) c. Soc. Penelope (Aw. Cusimano, Maxi). Cassa App.
Firenze 24 febbraio 1994.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Recesso del conduttore — Gravi motivi —
Valutazione (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazio
ni di immobili urbani, art. 27).
Nella valutazione della validità del recesso per gravi motivi, eser
citato dal conduttore di immobile ad uso diverso dall'abita
zione ai sensi dell'art. 27, ultimo comma, l. 392/78, il giudice deve tenere conto della corrispondenza delle ragioni del reces
so a quelle enunciate dal conduttore nell'atto di preavviso,
quando tale corrispondenza sia contestata dal locatore. (1)
(1) Non constano precedenti negli esatti termini.
La pronunzia della Cassazione si fonda sul rilievo che l'atto di reces
so del conduttore, di cui all'art. 27, ultimo comma, 1. 392/78, essendo
diretto a produrre lo scioglimento del rapporto di locazione «attraverso
il meccanismo proprio degli atti unilaterali descritto dall'art. 1344 (ree
Il Foro Italiano — 1996.
Svolgimento del processo. — 1. - La s.p.a. Fama Jersey, con
atto del 6 febbraio 1984, ha convenuto in giudizio davanti al
Tribunale di Prato la s.p.a. Tessitura Mirage ed ha chiesto che
la convenuta fosse condannata al pagamento dei canoni di loca
zione dovuti e non pagati, oltre al risarcimento del danno.
L'attrice ha dichiarato: che, con due contratti di locazione, aveva concesso in locazione alla Tessitura Mirage due locali ad
uso industriale con decorrenza dal 10 ottobre e dall'11 novem
bre 1979; che la Tessitura Mirage aveva disdetto anticipatamen te i contratti ed aveva consegnato i locali nel mese di agosto
1983; che in tale data la Tessitura Mirage era debitrice del cano
ne maturato I'll agosto 1983 ammontante ad oltre 12 milioni; che essa attrice aveva diritto anche al pagamento di lire
64.624.999 per canoni maturati dal 1° ottobre 1983 al 10 gen naio 1984, di lire 73.413.984 a titolo risarcitorio per canoni ma
turati dal 1° ottobre 1983 al 1° novembre 1985 e di lire 7.441.956
per danni arrecati agli immobili.
Istauratosi il contraddittorio, la società Tessitura Mirage ha
resistito alla domanda ed ha eccepito, tra l'altro, che ricorreva
no gravi motivi per la risoluzione anticipata della locazione.
2. - La domanda attrice è stata accolta limitatamente al paga mento dei canoni scaduti ed il tribunale ha condannato la s.p.a. Tessitura Mirage al pagamento della complessiva somma di ol
tre 138 milioni. Questa decisione è stata impugnata dalla società Tessitura Mi
rage, la quale ha ribadito l'esistenza dei gravi motivi previsti dalla legge per il recesso anticipato.
A sua volta, l'appellata ha rilevato che i gravi motivi non
te, 1334) c.c.», e quindi con effetto dal momento in cui perviene a conoscenza del destinatario (ovvero del locatore), da tale momento è
vincolante e non può essere revocato (cfr. nello stesso senso, in dottri
na, F. Lazzaro-R. Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Mila
no, 1988, 122 ss.); con la conseguenza che, «una volta espressa la vo lontà di recesso, il conduttore non può affidarne l'effetto ad elementi causali non contenuti nell'atto di prevviso» richiesto dalla norma e, correlativamente, «il giudice, chiamato a verificare la legittimità del re cesso del conduttore, deve verificare anche che questo corrisponda ai
motivi (che debbono essere gravi) espressi nell'atto di preavviso». Nel principio enunciato dalla corte sembra implicita l'affermazione
che il preavviso in questione deve necessariamente recare indicazione dei «gravi motivi» addotti dal conduttore a giustificazione del proprio recesso. Sul punto v., in questo senso, Trib. Vicenza 26 febbraio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Locazione, n. 415 (e Arch, locazioni, 1990,
300), secondo cui nell'atto di preavviso devono essere indicati, in modo
«espresso e chiaro», sia la data alla quale si intende far cessare la loca
zione, sia i motivi del recesso, giacché altrimenti il locatore, non poten do verificarne la sussistenza e la gravità, sarebbe costretto «ad una me
ra resistenza a fini esplorativi, volta cioè a costringere alla lite il con
duttore al solo scopo di poter saggiare in giudizio la effettiva gravità dei motivi non addotti e rimasti sottesi al negozio di recesso».
Secondo Cass. 24 maggio 1993, n. 5827, Foro it., Rep. 1993, voce
cit., n. 356, peraltro, qualora il conduttore receda dal contratto per
gravi motivi, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 27 1. 392/78, senza
comunicare il dovuto preavviso, egli è tenuto al risarcimento dei danni
che il locatore provi di avere subito per l'anticipata restituzione dell'im
mobile, a meno che dimostri che l'immobile è stato ugualmente utiliz zato dal locatore direttamente o indirettamente.
Sulla nozione di «gravi motivi» ex art. 27, ultimo comma, 1. 392/78
(nonché ex art. 4, 2° comma, in tema di recesso del conduttore dal
contratto di locazione di immobile ad uso di abitazione) — la cui sussi
stenza in concreto, come sottolinea in motivazione Cass. 954/96, è ri
messa alla valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede
di legittimità purché correttamente motivata sulla base di circostanze
oggettive — v., nel senso che essi devono collegarsi a fatti estranei alla
volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla stipulazione del contratto, tali da rendere oltremodo gravosa per lui la prosecuzione del rapporto, Cass. 20 ottobre 1992, n. 11466, id., 1993, I, 3118, con
nota di richiami (riportata anche in Giust. civ., 1993, I, 1551, con nota
di M. De Tula); e, successivamente: Cass. 3 febbraio 1994, n. 1098, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 349; Trib. Milano 9 settembre 1993,
ibid., n. 350 (e Arch, locazioni, 1994, 121); nonché, con specifico riferi
mento all'ipotesi del recesso motivato dalla sopravvenuta insufficienza
dell'immobile, in conseguenza della espansione dell'attività commercia
le del conduttore, Trib. Milano 25 febbraio 1993 e 8 giugno 1992, Foro
it., Rep. 1994, voce cit., nn. 351, 352 (per esteso in Arch, locazioni,
1994, 365 e 136), e Pret. Bologna 4 novembre 1994, id., 1996, 101,
pervenute a differenti conclusioni circa la sussistenza, nel caso concre
to, dei gravi motivi richiesti dal citato art. 27, ultimo comma. In dottri
na, cfr. anche A. Pelò, Recesso de! conduttore e «gravi motivi», id.,
1993, 441.
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