sezioni unite civili; ordinanza 3 maggio 1984, n. 280; Pres. A. Gambogi, Rel. Quaglione, P. M.Sgroi V. (concl. parz. diff.); Tognellini e altri (Avv. Salciarini) c. Pietromarchi e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 207/208-213/214Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177533 .
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PARTE PRIMA
eseguita, il creditore può esigerla immediatamente; e che il
principio secondo cui i debiti dello Stato diventano liquidi ed
esigibili, e perciò producono interessi, solo quando la relativa
spesa sia stata ordinata con l'emissione del mandato di pagamen to ai sensi dell'art. 270 del regolamento di contabilità generale dello Stato riguarda esclusivamente le amministrazioni statali,
quelle cioè cui si applica la particolare legislazione della contabi lità dello Stato, e non certo tutti gli enti pubblici, che a detta
legge non sono soggetti. Di qui la natura di interessi corrispettivi propria di quelli
chiesti dagli attuali resistenti, e la conseguente giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo a conoscere della relativa
controversia, secondo la giurisprudenza superiormente richiamata. Il ricorso principale deve essere, pertanto, rigettato. Quanto al ricorso incidentale proposto dai resistenti, e inteso
ad ottenere la diversa qualificazione degli interessi (corrispettivi, anziché moratori), oltre che ai fini della giurisdizione (sopra esaminati), al fine dichiarato di ottenere una diversa decorrenza
degli interessi medesimi (dalla data di scadenza dell'obbligazione, anziché dalla domanda), esso devesi dichiarare inammissibile in forza del cennato principio secondo cui il sindacato che le sezioni unite della Corte di cassazione possono esercitare sulle decisioni del Consiglio di Stato è circoscritto al controllo sull'os servanza dei limiti esterni della giurisdizione e non si estende al contenuto della pronuncia. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; ordinanza 3
maggio 1984, n. 280; Pres. A. Gambogi, Rei. Quaglione, P. M.
Sgroi V. (conci, parz. diff.); Tognellini e altri (Aw. Salcia
rini) c. Pietromarchi e altri.
Cassazione civile — Ricorso congiunto contro sentenza d'appello e di revocazione — Ammissibilità — Forma di notificazione
(Cod. proc. oiv., art. 330). Cassazione civile — Nullità della notifica del ricorso — Rinnova
zione — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 162, 291).
L'unico atto con cui viene proposto ricorso per cassazione sia
avverso la decisione emessa in sede d'appello, sia avverso
quella emanata in sede di revocazione, deve essere notificato due volte ove ciò sia imposto dalle differenti modalità derivanti
dalla diversa posizione processuale assunta dagli intimati nei
due giudizi (nella specie, la notifica del ricorso, eseguita presso la residenza degli intimati, è stata considerata regolare per
quanto attiene all'impugnazione della sentenza emessa in sede
di revocazione, essendo stati gli intimati contumaci in tale
giudizio, ed irregolare relativamente all'impugnazione della sen
tenza emessa in grado d'appello, nel quale gli intimati erano
invece ritualmente costituiti). (1) Le nullità della notifica del ricorso per cassazione sono sanabili
ex tunc non solo con la costituzione degli intimati, ma anche
con la rinnovazione della notifica stessa, ai sensi dell'art. 291
c.p.c. (2)
(1-2) I. - Le sezioni unite sono intervenute con l'ordinanza in
epigrafe per comporre il contrasto di orientamenti giurisprudenziali che si era delineato fra le sezioni della stessa corte in materia di inva lidità, e più precisamente di nullità, della notifica del ricorso in Cas sazione.
L'orientamento assolutamente predominante nell'ultimo decennio, in dividuato con numerosi richiami giurisprudenziali nello svolgimento dell'ordinanza, ai quali si rinvia, ha affermato la sanabilità ex tunc dei vizi importanti la nullità della notifica del ricorso non solo attraverso la costituzione della parte intimata (applicazione, questa, del principio generale contenuto nell'art. 156 c.p.c. per cui il raggiungimento dello
scopo sana le nullità dell'atto), ma anche in forza della rinnovazione della notificazione nulla, ai sensi dell'art. 291 c.p.c.
Le sezioni unite, con l'ordinanza in epigrafe, confermano la validità di questo indirizzo, con elaborate argomentazioni che si pongono come puntuale risposta alla sentenza 15 gennaio 1983, n. 330 (Foro it., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 122), e che aveva invece negato l'applicabilità dell'istituto della rinnovazione della notifica nulla nel
giudizio di legittimità. Tale sentenza, pronunciando su una ipotesi di nullità della notificazione del ricorso per incompetenza dell'ufficiale giudiziario che l'aveva eseguita, nell'escludere l'applicabilità dell'art. 291 c.p.c. al giudizio di Cassazione, e quindi nel negare alla corte medesima la possibilità di ordinare la rinnovazione dell'atto nullo, faceva leva essenzialmente sui seguenti argomenti: predominanza del
l'impulso ufficioso nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, il
Il Foro Italiano — 1985.
Fatto. — Con sentenza 30 settembre 1975, pronunciata in sede
di rinvio dalla Corte di cassazione, la Corte d'appello di Roma
confermò la decisione con cui il Tribunale di Perugia aveva
condannato Eleonora Pietromarchi, Lorenzo Attolico, Giacomo
Attolico e Bartolomeo Attolico, in solido, al pagamento, in favore
di Alfredo Tognellini, della somma di lire 9.892.919 con i relativi
interessi legali per differenze di retribuzione e indennità varie
spettantigli per la riconosciuta sua qualità di « fattoretto »; la
stessa Corte di Roma, peraltro, essendo frattanto entrata in vigore la 1. 11 agosto 1973 n. 533, condannò gli stessi soggetti anche al
pagamento del maggior danno subito dal Tognellini per effetto
della svalutazione monetaria sulle somme dovutegli, con decorren
za dalla maturazione di ciascun diritto.
Non avendo le parti trovato un'intesa sulla determinazione del
maggior danno per svalutazione, Alfredo Tognellini nel febbraio
1976 convenne avanti al Pretore di Perugia la Pietromarchi e gli
Attolico, chiedendo la condanna di costoro al pagamento delle
altre somme dovutegli a quel titolo. Il pretore adito, in funzione
di giudice del lavoro, dispose una consulenza tecnica contabile e,
quindi, con sentenza 3 giugno 1977 condannò i convenuti al
pagamento di lire 12.059.815.
Su appello proposto dai convenuti nei confronti degli eredi di
Alfredo Tognellini, frattanto deceduto, il Tribunale di Perugia con sentenza 27 giugno 1978, in parziale riforma della decisione
impugnata, tenuto conto dei pagamenti parziali eseguiti dai debi
tori e della graduale svalutazione monetaria, condannò la Pietro
marchi e gli Attolico al versamento, in favore degli eredi To
gnellini, della somma di lire 3.190.039.
Senonché costoro impugnarono la sentenza per revocazione ai
sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., ritenendola effetto di errore
risultante dagli atti della causa, in quanto il tribunale aveva
assunto a base della propria decisione un conteggio del consulente
tecnico d'ufficio sul presupposto, chiaramente infondato, che vi
fosse calcolata la svalutazione dell'importo orginario dal 31 otto
bre 1960 al 13 maggio 1970.
Tale impugnazione fu respinta dal Tribunale di Perugia con
sentenza 13 gennaio 1979.
Avverso entrambe le predette sentenze hanno proposto ricorso
quale esclude che si possano configurare ipotesi in cui l'inattività delle parti (nella fattispecie: mancato ottemperamento della parte all'ordine di rinnovazione) conduca all'estinzione del processo; collocazione dell'art. 291 c.p.c. nelle norme poste per il procedimento davanti al tribunale ed assenza di una norma di rinvio a tale articolo, fra le norme relative al giudizio di cassazione; inestensibilità dello stesso al
giudizio di Cassazione a mezzo di operazioni analogiche; soppressione della norma del codice di procedura abrogato (art. 525, ult. comma, c.p.c. del 1865), che prevedeva in modo espresso la possibilità della rinnovazione della notifica nulla; esigenza di rispettare il principio della perentorietà dei termini per l'impugnazione, in assenza di deroga espressa. Conseguenza di questa impostazione era che alla nullità della notifica del ricorso, non sanata dalla costituzione della parte intimata, si faceva discendere tout court l'inammissibilità del ricorso stesso.
Con la pronuncia delle sezioni unite in epigrafe si deve invece ritenere pacifica la recuperabilità del ricorso con il puntuale ottempe ramento all'ordine di rinnovazione. Solo in caso di inosservanza dello stesso si produce l'inammissibilità del ricorso (Cass. 6 febbraio 1975, n. 434, id., Rep. 1975, voce Impugnazioni civili, n. 73).
Va precisato che tale disciplina è inestensibile alle ipotesi di inesistenza della notifica del ricorso, per le quali permane un'unica possibilità di sanatoria, quella determinata dalla costituzione dell'inti mato, però con effetto ex nunc. In materia d'invalidità della notifica in esame cfr. Cass. 8 giugno 1981, n. 3678, id., 1981, I, 2738, con osservazione di G. Balena, e Cass. 18 ottobre 1983, n. 6112, id., 1984, I, 1017, con osservazioni di A. Pettini e con nota di richiami sulla distinzione tra ipotesi di nullità e inesistenza della notifica.
II. - Per quanto concerne la prima massima è pacifica nella
giurisprudenza della Cassazione l'ammissibilità della proposizione con
giunta, in un unico atto, del ricorso per cassazione sia contro la sentenza d'appello, sia contro quella emessa nel successivo giudizio di
revocazione. Oltre alle decisioni richiamate nell'ordinanza (Cass. 20
gennaio 1982, n. 376, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 306; 10 dicembre 1981, n. 6533, id., Rep. 1981, voce Impugnazioni civili, n.
16; 13 ottobre 1980, n. 5457, id., 1981, I, 428; 14 novembre 1979, n.
5918, id., Rep. 1979, voce Cassazione civile, n. 38) si presentano in
questo senso anche le più recenti Cass. 2 febbraio 1983, n. 901, id., Rep. 1983, voce cit., n. 34; 20 agosto 1983, n. 5430, ibid., n. 35; 6 novembre 1982, n. 5963, id., Rep. 1982, voce cit., n. 73; 9 novem bre 1982, n. 5880, ibid., n. 75.
Mancano invece — a quanto consta — precedenti specifici sul punto della necessità della doppia notifica del ricorso medesimo, in relazione alla diversa situazione processuale assunta dall'intimato nel giudizio d'appello, da un lato, e in quello di revocazione, dall'altro.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
per cassazione Mario Tognellini, Giacomo Rondoni, Vera Tognel
lini, Maria Tognellini, Sofia Tognellini e Clelia Tognellini, i quali hanno anche presentato una memoria ad illustrazione dei due
motivi, col primo dei quali censurano la sentenza d'appello e con
il secondo, la sentenza di revocazione.
Diritto. — L'unico ricorso col quale gli eredi Tognellini hanno
impugnato entrambe le sentenze del Tribunale di Perugia risulta
notificato alla Pietromarchi ed agli Attolico nella loro comune
residenza in Roma, in via San Giovanni di Porta Latina n. 15, mediante consegna di una copia per ciascuno di essi a mani di
persona incaricata della consegna. Poiché gli intimati non si sono costituiti in questa sede, è sorto
il problema della regolarità della notifica e, in ipotesi, della
possibilità di rinnovarla, in quanto i predetti — sebbene fossero
rimasti contumaci nel giudizio di revocazione — si erano rego larmente costituiti in quello precedente di appello a mezzo di
procuratore, presso il cui studio avevano anche eletto domicilio.
Esistendo, tuttavia, contrasto nella giurisprudenza di questa corte
circa l'ammissibilità o meno della rinnovazione della notifica del
ricorso, a sensi dell'art. 291 c.p.c., estendendo tale norma anche ai
giudizi di cassazione, la causa è stata rimessa alle sezioni unite
per decidere la questione preliminare circa la validità della
notifica eseguita personalmente agli intimati e per risolvere,
eventualmente, il contrasto di giurisprudenza di cui sopra. Innanzi tutto, in taluni specifici casi è ben ammissibile l'impu
gnazione proposta con un unico atto avverso due o più sentenze fra loro collegate, al fine di consentire, da parte del giudice ad
quem, l'esame più completo e coerente di controversie che
involgono lo stesso oggetto o questioni connesse. Tale possibilità è
esplicitamente prevista dagli art. 340 e 361 c.p.c. per le sentenze non definitive e per quelle definitive pronunciate in un unico
giudizio le quali, infatti, possono essere impugnate congiuntamen te; è, peraltro, giurisprudenza costante di questa corte che sia ammissibile impugnare, con un unico atto; la sentenza emessa nel
giudizio ordinario di merito, di solito in grado di appello, e
quella pronunciata nel parallelo giudizio di revocazione (Cass. 20 gennaio 1982, n. 376, Foro it., Rep. 1982, voce Cassazione
civile, n. 306; 10 dicembre 1981, n. 6533, id., Rep. 1981, voce
Impugnazioni civili, n. 16; 13 ottobre 1980, n. 5457, id., 1981, I,
428; 14 novembre 1979, n. 5918, id., Rep. 1979, voce Cassazione
civile, n. 38). In quest'ultima ipotesi, ed in particolare nel caso sottoposto
all'esame della corte, è da risolvere preliminarmente il problema se l'unico atto processuale complesso, comprendente in realtà due
impugnazioni, possa essere notificato una sola volta secondo le
modalità da accertare, ovvero se la sua notificazione agli intimati
debba ripetersi tante volte per quanti sono i provvedimenti impugnati e secondo la disciplina corrispondente alle indicazioni
che si traggono dai rispettivi processi circa la residenza o la
elezione di domicilio delle parti che, in quanto tali, sono anche
destinatarie del gravame. Nessuna difficoltà si presenta nell'ipotesi di impugnazione pro
posta, con unico atto, avverso la sentenza non definitiva e quella
definitiva, nel senso che il ricorso deve essere notificato alla
residenza propria della parte se questa rimane contumace per tutto il corso del corrispondente grado del processo ovvero al
domicilio eletto risultante in qualsiasi stadio dell'unico giudizio, anche se nell'ultima fase processuale (quella cioè successiva alla
pronuncia di una o più sentenze non definitive) il procuratore non abbia svolto alcuna attività difensiva, giacché la nomina del
difensore e l'elezione di domicilio presso di lui si debbono
ritenere efficaci sino all'emanazione della sentenza definitiva.
Meno agevole è la soluzione del quesito nel caso, come quello in esame, in cui siano impugnate la sentenza ordinaria di merito
e quella parallela emessa in sede di revocazione le quali, come si
è visto, possono essere oggetto di ricorso per cassazione con un
unico atto. In tal caso è piti netta la distinzione fra i due giudizi, uno dei quali relativo ad un gravame proposto avverso una
sentenza, quella di merito, emessa a conclusione di un grado del
processo: è, invero, da escludere che la nomina del procuratore e la contestuale elezione di domicilio fatte nell'ordinario giudizio di merito possano avere efficacia anche nel conseguente giudizio di revocazione nel quale, quindi, la parte deve essere considerata
contumace; e ciò anche nell'ipotesi in cui il mandato e l'elezione
di domicilio siano espressamente estesi a tutti i gradi del processo — come risulta nel caso in esame — in quanto, da un lato, i
poteri di rappresentanza e di difesa conferiti al professionista debbono essere da questo esercitati per produrre l'effetto della
costituzione della parte e, dall'altro, l'elezione di domicilio, essen
do intimamente collegata all'esercizio dei poteri di rappresentanza,
Il Foro Italiano — 1985 — Parte I-14.
non può valere per il giudizio di revocazione ove il procuratore non si sia costituito.
Accertato cosi che la Pietromarchi e gli Attolico sono rimasti
contumaci nel giudizio di revocazione, a sensi del combinato
disposto degli art. 400, 350, 3° comma, e 359 c.p.c., è da stabilire
con quali modalità dovesse eseguirsi la notifica dell'unico ricorso, col quale sono state impugnate per cassazione le due sentenze di
appello e di revocazione, avendo riguardo alle possibili soluzioni
che hanno tutte attinenza con il caso sottoposto all'esame di
queste sezioni unite. In primo luogo, si deve stabilire se l'unico
atto di impugnazione debba essere notificato due volte con
riferimento alla diversa situazione processuale in cui si sono
trovati gli intimati nei due precedenti giudizi ovvero se sia
sufficiente e valida, ai fini dell'impugnazione di entrambe le
sentenze, una sola notificazione.
Il collegio reputa esatta la prima alternativa. L'apparente ano
malia di pretendere che un unico atto debba essere notificato agli stessi destinatari in due luoghi diversi e con difformi modalità è
superata dal rilievo che l'atto, ancorché documentalmente unico, è
in realtà comprensivo di due impugnazioni proposte avverso
distinti provvedimenti giudiziari resi in processi nettamente sepa rati per rito e per funzione; e, come nessun dubbio può cadere
sulla necessità di due notificazioni (da eseguirsi secondo le diverse
modalità imposte dalla differente posizione processuale assunta
dagli intimati nei due giudizi) ove siano proposti due separati
gravami avverso le sentenze di merito e di revocazione, cosi non
può aversi alcuna perplessità sull'esigenza di notificare due volte
l'unico atto di impugnazione nell'ipotesi considerata, rispondente in concreto al caso di specie.
Come ovvia conseguenza di quanto sopra, il ricorso dei Tognel lini è stato ritualmente notificato alle persone degli intimati nella
loro residenza di Roma, per quanto attiene all'impugnazione della
sentenza di revocazione, mentre la detta notifica è irregolare relativamente al ricorso per cassazione avverso la sentenza di
merito emessa in grado d'appello. Con riferimento a questa seconda impugnazione, poiché non si
tratta di un caso di inesistenza della notifica ma di una sua
nullità, come tale sanabile ex tunc innanzitutto con la costituzione
degli intimati, si pone il quesito se si debba ordinare, ai sensi
dell'art. 291 c.p.c., la rinnovazione della notifica che — ove
ritualmente eseguita — ha anch'essa l'effetto di sanare la nullità
ovvero si debba dichiarare senz'altro l'inammissibilità del ricorso.
Sorge, quindi, l'esigenza di comporre il contrasto insorto nella
giurisprudenza di questa corte sul punto se la norma di cui
all'art. 291 c.p.c., inserita nel titolo I del libro II, che disciplina il
processo avanti al tribunale, sia applicabile anche al giudizio di
cassazione.
Fino al 1962 le sezioni semplici di questa corte avevano
ritenuto, con una serie uniforme di pronunce, l'inapplicabilità dell'art. 291 c.p.c. al giudizio di cassazione in caso di nullità
della notifica del relativo ricorso (Cass. 25 giugno 1957, n. 2442,
id., Rep. 1957, voce Cassazione civile, n. 184; 22 aprile 1961, n.
916, id., Rep. 1961, voce cit., n. 160; 12 maggio 1962, id., 1962, I,
1297; 13 ottobre 1962, n. 2983, id., Rep. 1962, voce cit., n. 22). Nel decennio successivo la giurisprudenza fu profondamente divi
sa, essendosi affermata, in talune decisioni, l'inapplicabilità di
quella norma al giudizio di legittimità (Cass. 16 marzo 1963, n.
662, id., 1963, I, 1764; 16 gennaio 1965, n. 92, id., 1965, I, 217; 4
febbraio 1966, n. 376, id., Rep. 1966, voce cit., n. 291; 15 febbraio
1969, n. 529, id., Rep. 1969, voce Impugnazioni civili, n. 77; 20 feb
braio 1969, n. 2657, ibid., n. 73; 13 ottobre 1969, n. 3292, ibid., n.
73 bis; 29 gennaio 1970, n. 202, id., Rep. 1970, voce Notificazioni
civili, n. 12; 10 luglio 1971, n. 2231, id., Rep. 1971, voce
Procedimento civile, n. 264) mentre altre sentenze sostennero che,
in caso di nullità della notificazione del ricorso per cassazione,
andava fissato un termine per la rinnovazione della notifica (Cass. 5 maggio 1966, n. 1141, id., Rep. 1966, voce Impugnazioni civili,
n. 75; 17 giugno 1966, n. 1563, ibid., n. 73; 20 gennaio 1967, n.
178, id., Rep. 1967, voce cit., n. 68; 29 settembre 1967, n. 2229,
ibid., nn. 38, 43; 4 aprile 1968, n. 1036, id., Rep. 1968, voce
Notificazione civile, n. 37; 28 marzo 1969, n. 1020, id., Rep. 1969,
voce Impugnazioni civili, n. 76; 13 giugno 1969, n. 2107, ibid., n.
75; 12 settembre 1970, n. 1393, id., Rep. 1970, voce Procedimento
civile, n. 178). Quest'ultimo indirizzo, seguito anche dalle sezioni unite con
l'ordinanza 20 aprile 1966, n. 139 (id., 1966, I, 1028), è diventato
costante nella più recente giurisprudenza (Cass. 7 aprile 1972, n.
1060, id., 1972, I, 3191; 14 febbraio 1975, n. 591, id., Rep. 1975,
voce Impugnazioni civili, n. 85; 21 aprile 1976, n. 1385, id., Rep.
1976, voce Cassazione civile, n. 155; 27 ottobre 1978, n. 4905,
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PARTE PRIMA
id., Rep. 1979, voce cit., n. 199; 8 febbraio 1979, n. 876, ibid., n.
201; 12 dicembre 1979, n. 6471, ibid., n. 200; 14 marzo 1980, n.
1721, id., Rep. 1980, voce cit., n. 198; 12 aprile 1980, n. 2363,
ibid., n. 193; 17 maggio 1980, n. 3259, ibid., n. 194; 24 giugno
1981, n. 4118, id., Rep. 1981, voce cit., n. 213), negandosi
l'applicabilità dell'art. 291 c.p.c. nella sola ipotesi di inesistenza
della notificazione (Cass. 16 giugno 1980, n. 3817, id., Rep. 1980,
voce cit., n. 308; 15 giugno 1981, n. 3888, id., Rep. 1981, voce
Impugnazioni civili, n. 112; 18 marzo 1982, n. 1179, id., Rep.
1982, voce Contumacia civile, n. 4). Senonché la sentenza 15
gennaio 1983, n. 330 (id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n.
122) della II sezione civile ha nuovamente aderito alla tesi
dell'inapplicabilità dell'art. 291 c.p.c. al giudizio di cassazione,
riproponendo e ampliando le motivazioni addotte in suo sostegno
dalla giurisprudenza che seguiva questa tesi, per cui si è ravvisata
l'opportunità di una nuova pronuncia delle sezioni unite per la
composizione del contrasto, ai sensi dell'art. 374, cpv., c.p.c.
Ebbene, queste sezioni unite ritengono di dover ribadire il
proprio precedente avviso nel senso dell'applicabilità di quella norma anche al giudizio di Cassazione.
Il sistema organico del codice di procedura civile e la colloca
zione dell'art. 291 in un suo particolare settore non conducono
necessariamente al risultato che la norma sia inapplicabile alle
notifiche dei ricorsi per cassazione affette da vizi importanti la
loro nullità. In effetti, l'art. 291 c.p.c. è inserito fra le norme che,
sotto il titolo I del libro II, regolano il procedimento avanti al
tribunale; non esiste alcun richiamo specifico a detto articolo nel
complesso delle norme che disciplinano il procedimento di cassa
zione; sussiste, bensì, un rinvio generico alle norme del procedi
mento avanti al tribunale, in quanto applicabili, sia ad integrazio
ne della disciplina del procedimento di cognizione di primo grado
avanti al pretore e al conciliatore (art. 311), sia a completamento delle norme regolatrici del processo d'appello (art. 359), richiamo,
quest'ultimo, contenuto nel capo II del titolo III che tratta
specificamente « dell'appello » e non nel capo I riguardante la
disciplina « delle impugnazioni in generale »; v'è, inoltre, una
norma apposita (l'art. 350, 1° comma) corrispondente a quella dell'art. 291 c.p.c., la quale prescrive che l'istruttore delle cause in
grado di appello verifica, alla prima udienza, la regolare costitu
zione del giudizio e, quando occorre, ordina la sua integrazione o
la notificazione prevista dall'art. 332 c.p.c. oppure « dispone che si
rinnovi la notificazione dell'atto d'appello »; esiste, infine, un
rinvio generico alle norme dei processi di primo e di secondo
grado — a seconda del livello processuale in cui l'impugnazione è
proposta — sia per il giudizio di revocazione (art. 400) sia per
quello di opposizione di terzo (art. 406).
In questo panorama di norme reciprocamente integrate che
attengono ai vari procedimenti previsti nel codice di procedura
civile, spicca l'autonomia di disciplina del processo di Cassazione,
in relazione al quale non esiste una norma di contenuto analogo a quello degli art. 291 e 350, 1° comma, c.p.c., né un richiamo
generico alla disciplina degli altri procedimenti di primo e di
secondo grado. Tuttavia l'interprete non può arrestarsi alla con
statazione di quanto emerge dalla mera descrizione del particolare
sistema normativo considerato, ma deve coglierne le ragioni
concrete, atte a giustificare una certa scelta legislativa, specie se
questa sia in contrasto coi principi accolti nel più ampio ordina
mento giuridico cui quello particolare appartiene.
Si è ritenuto di ravvisare la ratio di una cosi anomala
determinazione del legislatore per il solo processo di cassazione,
nel fatto che questo è dominato dall'impulso di ufficio per cui
non potrebbe terminare per inattività delle parti: ciò che si
verificherebbe, invece, se — ordinatasi dalla corte la rinnovazione
della notifica del ricorso — la parte onerata non vi provvedesse
(art. 307, 3° comma, c.p.c.).
Senonché, innanzi tutto, anche sul corso del giudizio di cassa
zione è previsto che possa avere incisiva influenza la condotta
processuale delle parti, essendo previsti casi di sospensione ovvero
di estinzione del processo e casi di inammissibilità del ricorso per
loro inattività: cosi la mancata esecuzione della notifica ordinata
dalla corte nell'ipotesi di impugnazione relativa a cause scindibili,
comporta, ai sensi dell'art. 332 c.p.c., la sospensione del processo;
la proposizione della domanda di revocazione sospende il termine
per proporre il ricorso per cassazione o il procedimento già
instaurato (art. 398 c.p.c.); l'estinzione del processo può avvenire
per rinuncia del ricorrente ai sensi degli art. 390 e 391 c.p.c.;
inoltre, a norma dell'art. 375 c.p.c., deve essere dichiarata l'inam
missibilità del ricorso per l'omessa integrazione del contraddittorio
ove questa sia stata disposta dalla corte ex art. 331 c.p.c. È,
pertanto, vano individuare la ragione giustificatrice della pretesa
Il Foro Italiano — 19S5.
scelta legislativa nella sua conformità ad un principio (quello
dell'impulso ufficioso) che è accolto solo entro certi limiti nel l'ambito del procedimento di cassazione e rispetto al quale, comunque, non contrasterebbe l'applicazione dell'art. 291 c.p.c. a
quel procedimento, in via estensiva od analogica. La giurisprudenza di questa corte e la dottrina processualistica
— pur riconoscendo che anche il processo di cassazione risultan te dalla disciplina del codice di procedura del 1865 fosse ispirato al principio dell'impulso di ufficio — non ritenevano, tuttavia, che a questo contraddicesse una norma, come quella dell'art. 525, ult.
comma, secondo cui alla notificazione del ricorso era applicabile il disposto dell'art. 145, cpv., in forza del quale, quando la nullità
riguardava soltanto la notificazione dell'atto, la citazione era idonea ad impedire ogni decadenza purché fosse rinnovata nel nuovo termine stabilito dal giudice; e ciò perché il ricorso per cassazione era equiparato alla citazione di primo grado e all'atto
d'appello quanto alla sua notificazione onde, in caso di mancata costituzione della controparte, doveva assegnarsi al ricorrente un termine perentorio per rinnovare, nella forma prescritta, la no
tificazione, e solo nell'ipotesi di inosservanza del nuovo termine doveva applicarsi la sanzione dell'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 528, n. 1, c.p.c. abrogato.
In realtà, sia secondo il codice di rito del 1865, sia secondo il codice vigente, il principio dell'impulso d'ufficio si manifesta in una serie di particolari disposizioni che, tuttavia, non valgono a sottrarre del tutto lo svolgimento e la sorte del processo dalla
disponibilità delle parti il cui interesse resta, di norma, prevalente rispetto all'interesse pubblico; anche il processo di cassazione inizia su ricorso della parte rimasta soccombente nel giudizio di
merito, salva l'ipotesi eccezionale del ricorso proposto dal procu ratore generale della Corte di cassazione ex art. 363 c.p.c., per cui il suo svolgimento sino alla pronuncia finale presuppone la
regolare ricostituzione del rapporto giuridico processuale in sede di legittimità e a tale fine è principalmente rivolto l'ordine di rinnovazione della notifica. Il fatto, cioè, che il ricorrente non
ottemperi all'ordine di rinnovare la notificazione determina, bensì, l'inammissibiltà del gravame per inattività della parte, ma tale sanzione opera pur sempre nella fase preliminare dell'introduzione del giudizio di cassazione in analogia a quanto si verifica
nell'ipotesi dell'integrazione necessaria del contraddittorio, prevista e disciplinata dall'art. 375 c.p.c.
In concreto, l'impulso di ufficio, quale elemento caratteristico del processo di cassazione, si manifesta in una serie di adempi menti compiuti a cura della presidenza e della cancelleria della
Suprema corte; il cancelliere — scaduti i termini per la notifica del controricorso e per il suo deposito — sottopone il ricorso e l'eventuale controricorso all'esame del primo presidente che as
segna la causa alle sezioni unite ovvero ad una delle sezioni
semplici, il cui presidente, a sua volta, nomina il relatore e fissa d'ufficio l'udienza di discussione ovvero l'adunanza della camera di consiglio (art. 376 e 377 c.p.c.); quindi, la cancelleria comu nica gli atti al procuratore generale e dà avviso dell'udienza
agli avvocati delle parti (art. 377, cpv., c.p.c.); altre significative manifestazioni dell'impulso di ufficio si rinvengono nelle norme secondo cui: 1) la rinuncia al ricorso non ha effetto dopo le conclusioni del p.m. di cui all'art. 376 c.p.c. e dopo l'inizio della relazione all'udienza (art. 390 c.p.c.); 2) il procuratore generale può in ogni caso chiedere — malgrado l'ammissibiltà della rinuncia della parte — la decisione del ricorso nell'interesse della
legge (art. 363 c.p.c.); 3) all'udienza di discussione il ricorso è
giudicato anche in assenza del ricorrente o di entrambe le parti (art. 379 c.p.c.).
Ebbene con tale complesso di norme, in cui si compendia il
principio caratteristico dell'impulso di ufficio, non contrastano affatto altre disposizioni che tengono conto della disponibilità, nelle parti, del diritto sostanziale controverso e della prevalenza dell'interesse concreto di costoro ad una pronuncia giudiziale, sicché non appare contraddicente al principio dell'impulso di ufficio — quale è generalmente inteso sulla base dell'indicata normativa — la possibilità che il ricorso sia dichiarato inammissi bile per inazione delle parti.
Una riflessione ulteriore sul punto induce a considerare che ove si volesse ritenere già investita del gravame la Corte di cassazione con la notifica, ancorché irrituale e nulla, del ricorso, con la
conseguente immediata soggezione del processo all'impulso di ufficio per il superiore interesse della legge ad una pronuncia sulle questioni di diritto proposte, sarebbe irrazionale e contrad dittorio negare alla corte il potere di disporre la rinnovazione della notifica del ricorso, nelle forme dovute, escludendo, quindi, e proprio in sede di legittimità, che il giudice possa compiere
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tutto il necessario per rendere ammissibile quella pronuncia, nel
regolare contraddittorio delle parti e per il raggiungimento del fine cui l'impulso di ufficio è preordinato.
In definitiva, tutte le considerazioni su estese valgono a dimo
strare che la mancata riproduzione, per il processo di cassazione, di una norma analoga a quella degli art. 291 e 350 c.p.c., non
può essere giustificata col riferimento al potere d'impulso d'ufficio
caratterizzante il giudizio di legittimità; e, pertanto, questa appa rente lacuna, altrimenti priva di ogni giustificazione, è legittima mente colmata col ricorso ai principi generali del processo civile e all'analogia.
Si è già detto che il ricorso per cassazione — sebbene manchi di
una formale vocatio in ius e sia diretto alla Suprema corte — è
equiparabile alla citazione di primo grado e all'atto d'appello per l'effetto sostanziale suo proprio della ricostituzione del rapporto
giuridico processuale, con l'inizio di una nuova fase giudiziale,
per cui è ragionevole ritenere che le notificazioni di questi tre atti
fondamentali di tutto l'arco del processo civile — al pari delle
notifiche della domanda di revocazione e dell'opposizione di terzo — siano soggette alla medesima disciplina non solo quanto alle
modalità di esecuzione, ma anche per l'eventuale loro sanatoria
sia in dipendenza della costituzione spontanea degli intimati sia
per l'ordine di rinnovazione impartito dal giudice. Va sottolineato, al riguardo, che le notificazioni sono regolate sotto il titolo VI
del libro I relativo agli atti processuali in genere; che, in
relazione ad esse, spettano al giudice anche poteri d'ufficio (art. 151 e 154 c.p.c.); che le nullità delle notificazioni, di cui all'art.
160 c.p.c., non possono pronunciarsi senza istanza di parte se la
legge non dispone che siano pronunciate d'ufficio (art. 157 c.p.c.); che il giudice il quale pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti cui la nullità si estende
(art. 162 c.p.c.); che, infine, anche le modalità di notificazione
delle impugnazioni sono sottoposte a identica disciplina sotto il
titolo III capo I del libro II, riguardante le impugnazioni in
genere.
L'interpretazione di un simile sistema normativo nel senso che
solo la nullità della notifica del ricorso per cassazione determina
l'inammissibilità del gravame se non sia sanata dalla costituzione
della controparte — disconoscendosi perciò alla Corte suprema il
potere di iniziativa per la rinnovazione dell'atto di notifica nullo — sarebbe assolutamente irrazionale, in contrasto coi principi
ispiratori del processo civile in genere e del giudizio di cassazio
ne in specie, oltre che ai limiti della legittimità costituzionale in
riferimento agli art. 3 e 24, cpv., Cost.
Né può attribuirsi un qualsiasi significato all'omessa riproduzio
ne, nel nuovo codice di rito, di una norma corrispondente a
quella dell'art. 525, ult. comma, c.p.c. abrogato e all'esclusione da
esso di una norma di tale contenuto già prevista nel progetto
preliminare (art. 373) e in quello definitivo (art. 386). L'ordinanza
20 aprile 1966, n. 139 di queste sezioni unite ha puntualmente riferito l'evoluzione della normativa in materia ed ha posto in
rilievo, anche con richiamo alla relazione finale, che la disposi zione di cui ai predetti art. 373 e 386 fu espulsa dal testo
definitivo del codice di procedura civile in concomitanza con
l'inserimento in esso dell'art. 291 e proprio col dichiarato proposi to di aderire ai rilievi che sarebbe stato opportuno consentire
l'ordine di rinnovazione della notifica non solo del ricorso per cassazione, ma anche dell'atto introduttivo dei giudizi di merito
nel caso di nullità delle precedenti notificazioni.
In questa più approfondita prospettiva la omessa inclusione, nel
nuovo codice di rito, di una norma corrispondente a quella dell'art. 528, n. 1, c.p.c. abrogato acquista un significato del tutto
opposto a quello che i fautori dell'opinione contraria vi attribui
scono, giacché — si è osservato con assoluto rigore logico nella
detta ordinanza n. 139/66 — la contemporaneità dell'esclusione di
quella norma specifica e dell'auspicata introduzione dell'art. 291
nell'ordinamento processuale autorizzava a ritenere che il legisla tore avesse voluto attribuire a quest'ultima norma un carattere
generale per quanto atteneva all'ordine di rinnovazione delle
notifiche di atti introduttivi del giudizio affette da vizi comportan ti la loro nullità.
Non v'è alcun dubbio, infine, che — essendo il ricorso inciden
tale sottoposto, quanto alla natura, agli elementi costitutivi e alle
modalità di notificazione, alla medesima disciplina del ricorso
principale — sia anche ad esso applicabile la sanatoria della
notifica nulla mediante ordine di rinnovazione dell'atto irritual mente eseguito. Peraltro, anche in relazione al ricorso incidentale e al controricorso il problema del rinnovo della notifica invalida si porrà solo nell'ipotesi che questi atti non risultino avere
raggiunto il loro scopo, ciò che potrà essere evidenziato dallo
Il Foro Italiano — 1985.
svolgimento di difese rispettivamente contrapposte (controricorso al ricorso incidentale ai sensi dell'art. 371 c.p.c. e produzione di
memorie difensive ex art. 378 c.p.c.). Pertanto, dovendosi ritenere ammissibile anche il ricorso degli
eredi Tognellini proposto avverso la sentenza d'appello emessa dal Tribunale di Perugia in data 27 giugno 1978, sebbene «ritualmen te notificato alla Pietromarchi e agli Attolico nella loro residenza in Roma, anziché in Perugia presso lo studio dell'aw. Siro Centofanti dal quale gli stessi erano rappresentati e difesi, in unione agli avv. Pietrangelo Faricci e Lello Cremissini, in forza di procura in calce all'atto d'appello, deve essere ordinata, ai sensi dell'art. 291 c.p.c., la rinnovazione della notifica del ricorso agli intimati, secondo le modalità suddette, entro il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione di questa ordinanza.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 aprile 1984, n. 2602; Pres. Rubinacci, Est. Corsaro, P. M. Leo (conci, conf.); Currado e Sellitri (Aw. Giara, Liuni) c. Torre. Con
ferma Trib. Monza 22 dicembre 1978.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —
Contumacia in primo grado — Eccezioni e prove nuove —
Preclusione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 360, 437).
Il divieto di eccezioni e prove nuove in appello, stabilito dall'art. 437, 2° comma, c.p.c. (nel nuovo testo di cui alla l. 11 agosto 1973 n. 533) è applicabile anche nei confronti di chi è rimasto volontariamente contumace nel giudizio di primo grado (nella specie, dallo svolgimento del processo emerge che i giudici di merito avevano ritenuto ammessi i fatti dedotti dal ricorrente a causa della contumacia del convenuto, ma il punto non ha costituito oggetto specifico di ricorso per cassazione). (1)
(1) 1. - Sull'applicabilità del divieto di eccezioni e prove nuove di cui all'art. 437, 2° comma, c.p.c. anche al convenuto rimasto contuma ce nel giudizio di primo grado, la giurisprudenza è costante: Cass. 26 aprile 1983, n. 2837, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 473, secondo la quale il convenuto rimasto contumace nel giudizio di primo grado può contestare nell'atto di appello la fondatezza della domanda attorea, ma nel rispetto delle disposizioni degli art. 434 e 437 c.p.c.; Cass. 26 aprile 1983, n. 2838, ibid., n. 474; Cass. 28 luglio 1983, n. 5192, ibid., n. 541, secondo la quale l'« appellante contumace nel giudizio di primo grado soggiace alle preclusioni o decadenze nelle quali sia incorso omettendo di costituirsi tempestivamente e, in particolare, a quelle di cui all'art. 416, 2° e 3° comma, c.p.c., le quali hanno valore assoluto ed inderogabile e devono essere rilevate dal giudice anche di ufficio»; Cass. 18 febbraio 1983, n. 1229, ibid., n. 551, secondo cui la parte contumace in primo grado può dedurre in sede di appello il proprio difetto di legittimazione passiva, trattandosi non già di una eccezione riservata al potere dispositivo della parte medesima, bensì di deduzione difensiva inerente ad un fatto costitutivo della domanda e del diritto fatto valere in giudizio, la cui mancanza è dal giudice rilevabile anche d'ufficio; Cass. 11 luglio 1983, n. 4689, ibid., n. 571, secondo cui la parte rimasta volontariamente contumace, pur dovendo, in caso di successiva costituzione accettare il processo nello stato in cui si trova, può tuttavia produrre nel giudizio d'appello nuovi documenti, riferendosi il divieto di cui all'art. 437 c.p.c. alle sole prove costituende e non a quelle costituite; Cass. 27 maggio 1982, n. 3277, id., 1982, I, 2428, secondo cui è preclusa in appello l'eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta dagli appellanti contumaci in primo grado; Cass. 27 maggio 1982, n. 3248, id., Rep. 1982, voce cit., n. 486 e Cass. 6 agosto 1982, n. 4406, ibid., n. 485, per le quali il divieto di introdurre in sede di appello domande ed eccezioni non tempestivamente proposte in primo grado (416 e 437 c.p.c.) non trova deroga in favore dell'appellante rimasto contumace in detto giudizio di primo grado; Cass. 9 novembre 1982, n. 5902, ibid., n. 530; 5 marzo 1982, n. 1362, ibid., n. 532; 14 aprile 1981, n. 2265, id., Rep. 1981, voce cit., n. 474, secondo la quale è improponibile in appello la deduzione del datore di lavoro, contumace in primo grado, in base alla quale il licenziamento del dipendente, da questo impugna to, rientra nell'ambito di un licenziamento collettivo; Cass. 9 luglio 1980, n. 4373, id., Rep. 1980, voce Successione ereditaria, n. 36, secondo la quale la limitazione della responsabilità dell'erede per i debiti del de cuius entro il valore dei beni ereditari, per il caso di accettazione con beneficio di inventario integra un'eccezione in senso proprio, e, pertanto, con riguardo ad un debito di lavoro, azionato con il procedimento disciplinato dal rito del lavoro, non può essere invocata per la prima volta in grado di appello dall'erede che sia rimasto contumace in primo grado; Cass. 8 agosto 1977, n. 3868, id., Rep. 1978, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 335, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 437, 2° comma, c.p.c. nella parte in cui nega al contumace in
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