Sezioni unite civili; sentenza 29 ottobre 1982, n. 5668; Pres. Marchetti, Est. Panzarani, P. M.Sgroi V. (concl. conf.); Cassa conguaglio zucchero (Avv. dello Stato Braguglia) c. Iacono.Regolamento di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 3101/3102-3105/3106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176940 .
Accessed: 28/06/2014 15:19
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.220.202.191 on Sat, 28 Jun 2014 15:19:56 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Conseguentemente, essendo stata pubblicata la sentenza il 28
giugno 1979 ed essendo decorso più di un anno (e novanta
giorni) dalla pubblicazione nel momento in cui questa corte si
accinge a pronunciare, appare evidente che, nei confronti del
Pezzotti, la impugnabilità della suddetta decisione risulta esclu
sa.
La inammissibilità del ricorso preclude alla parte la potestà di
rinuncia (giur. costante); conseguentemente non è stata accolta la
richiesta di differimento della causa per consentire il perfezio namento di una rinuncia che non avrebbe potuto modificare il
segno della presente pronuncia. 5. - In conclusione, il presente ricorso per cassazione tardiva
mente proposto deve essere dichiarato inammissibile. (Omis
sis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 29
ottobre 1982, n. 5668; Pres. Marchetti, Est. Panzarani, P.M.
Sgroi V. (conci, conf.); Cassa conguaglio zucchero (Avv. dello
Stato Braguglia) c. Iacono. Regolamento di giurisdizione.
Impiegato dello Stato e pubblico — Cassa conguaglio zucchero — Natura pubblica dell'ente — Controversie riguardanti il
rapporto di impiego — Giurisdizione del giudice amministrati
vo (L. 24 febbraio 1941 n. 254, competenza a conoscere delle
controversie di lavoro e di impiego dei dipendenti di enti
pubblici inquadrati nelle associazioni sindacali; d.l. 15 settem
bre 1947 n. 896, nuove disposizioni per la disciplina dei prezzi, art. 1; d.l. 26 gennaio 1948 n. 98, disciplina delle casse
conguaglio prezzi, art. 2, 6; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 7; 1. 29
gennaio 1982 n. 19, conversione in legge del d.l. 20 novembre 1981 n. 694, recante modifiche al regime fiscale dello zucchero
e finanziamento degli aiuti nazionali previsti dalla normativa comunitaria nel settore bieticolo-saccarifero, ecc., art. 3).
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo conoscere della controversia riguardante il rapporto di lavoro tra la Cassa
conguaglio zucchero ed un proprio dipendente, stante la natura pubblica di tale rapporto, non svolgendo la suddetta cassa alcuna attività di produzione o di scambio di beni o di
servizi, ma essendo questa diretto strumento della politica economica dello Stato e della Comunità economica euro
pea. (1)
(1) Sulla natura pubblica del rapporto di impiego intercorrente tra la Cassa conguaglio zucchero e un proprio dipendente, cfr., in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, 26 novembre 1975, n. 385, Foro it., Rep. 1976, voce Impiegato dello Stato, n. 200, che definisce la Cassa conguaglio zucchero come organo dello Stato ad ordinamento autonomo, mentre la sentenza in epigrafe non prende posizione sul punto, affermando che la problematica riguardante la natura giuridica delle casse conguaglio in generale (se cioè debbano considerarsi organo dello Stato ad ordinamento autonomo oppure debbano ritenersi distinte dall'apparato dello Stato) è inutile ai fini della decisione sulla giurisdizione.
Riguardo, più in generale, alla giurisdizione circa le controversie aventi come parte la Cassa conguaglio zucchero, la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda con la quale un importatore di zucchero, ammesso dal comitato interministeriale all'integrazione del prezzo, chiede alla cassa conguaglio il pagamento di quanto dovutogli, è stata dichiarata da Cass. 15 ottobre 1975, n. 3334, id., Rep. 1976, voce Zuccheri, n. 3. Viceversa si era riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere, unicamente sotto il profilo dell'in teresse legittimo, la violazione del limite, dato dalla remuneratività dell'operazione economica che il legislatore ha inteso favorire in vista di un pubblico interesse, operata dai provvedimenti del comitato interministeriale per lo zucchero d'importazione che determinano la misura dell'integrazione dovuta all'importatore ovvero la misura della quota prezzo dovuta alla cassa conguaglio, v. Trib. Milano 25 maggio 1970, id., Rep. 1971, voce Prezzi (disciplina dei), n. 2, commentata da Salafia, Brevi considerazioni sulla natura degli interessi sui quali incidono i provvedimenti del comitato interministeriale per lo zucchero di importazione, in Mon. trib., 1970, 1058.
La disciplina relativa alla Cassa conguaglio zucchero e ai poteri del C.Lp. in materia è stata sottoposta al vaglio di costituzionalità della Corte costituzionale, la quale, con la sent. 3 agosto 1976, n. 221, Foro it., 1976, I, 2756, con nota di richiami, ha dichiarato l'infondatezza delle questioni riguardanti l'art. 1 d.l. 15 settembre 1947 n. 896 (e l'art. 5 d.1.1. 28 dicembre 1944 n. 411), in riferimento all'art. 97 Cost., nella parte in cui abilitano il C.i.p. ad istituire casse di conguaglio; delle questioni riguardanti lo stesso art. 1 di. 896/47, con riferimento all'art. 23 Cost., circa il potere del C.i.p. di imporre contribuzioni; ed infine con riguardo all'art. 1 d.l. 896/47 e art. 5 d.d.l. 411/44, in
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato di 21 aprile 1980 la signora Francesca Iacono, dipendente della Cassa con
guaglio zucchero, chiedeva al Pretore di Roma — in funzione di
giudice del lavoro — che fosse dichiarato nei confronti della
datrice di lavoro l'unicità del proprio rapporto d'impiego a
decorrere dal 18 maggio 1965 e cioè dal tempo in cui ella era
stata assunta dalla Cassa conguaglio zucchero d'importazione ed
inoltre che fosse dichiarato il suo diritto a superiori qualifiche, con condanna della convenuta al pagamento di differenze retribu
tive. La Cassa conguaglio zucchero, che nel costituirsi aveva già
eccepito il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordina
ria, prima di qualsiasi decisione di merito ha proposto istanza di
regolamento di giurisdizione formulata in un solo motivo ed
illustrata da memoria. In tale procedimento la Iacono non si è
costituita. '
| Motivi della decisione. — Con l'unico motivo la ricorrente —
premesso di essere stata istituita, in base ai d.leg. 15 settembre
1947 n. 896 e 26 gennaio 1948 n. 98, con provvedimento del
C.i.p. 22 giugno 1968 n. 1195, allo scopo d'inserire il settore
italiano dello zucchero nell'ambito comunitario governato dalla
relativa organizzazione (regolamenti del Consiglio CEE n. 1009
del 1967 e n. 3330 del 1974) — deduce che la funzione essenziale
ad essa affidata è quella di riscuotere il sovrapprezzo sullo
zucchero e di ridistribuirne l'ammontare in aiuti, autorizzati dalla
Comunità, in favore dei produttori di bietole e dell'industria di
trasformazione e che altri suoi compiti sono quelli di riscossione
di entrate (ad. es., i contributi sulla produzione eccedentaria di
zucchero) ovvero di distribuzione di integrazioni come il rimbor
so per le spese di magazzinaggio del prodotto.
Argomenta perciò la ricorrente ohe essa agisce come ente
strumentale dello Stato con compiti di perequazione ovvero
compiti demandatile dalla disciplina comunitaria del settore, sen
za alcuna finalità di carattere economico o di conseguimento di
un utile, né operando nel campo della produzione o dello
scambio di beni o servizi. Precisa ancora che il proprio bilancio
consuntivo viene allegato al rendiconto generale dello Stato (1. 25 novembre 1971 n. 1041) al quale sono devolute le eventuali
attività residue.
Conseguentemente, argomenta ancora la ricorrente, il rapporto
d'impiego che intercorre con essa (così come con la ormai cessata
Cassa conguaglio zucchero d'importazione) ha natura pubblica e
ciò sia che venga considerata come ente pubblico strumentale, sia che le si attribuisca la -natura di organo dello Stato ad
ordinamento autonomo. Precisa quindi che il rapporto con l'attri
ce è sorto mediante atto di nomina del 23 aprile 1971 n. 13786
(rectius n. 13876) confermato con atto del 26 giugno 1971 n.
15325, mentre quello precedente (con la disciolta Cassa congua
glio zucchero d'importazione) risulta da atto del 15 ottobre 1965
n. 11531, laddove l'attrice medesima ha proposto ricorso al
T.A.R. del Lazio per far accertare che il proprio rapporto è di
sciplinato dalla 1. 20 marzo 1975 n. 70 e dal d.p.r. 26 maggio 1976 n. 411. Deduce perciò conclusivamente la cassa istante che
riferimento all'art. 41, 2° comma, Cost., in merito all'istituzione del C.i.z.i. ed al suo funzionamento.
La manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità riguar danti gli art. 1 d.l. 896/47 e 1 d.l. 98/48, in relazione agli art. 3, 23 e 53 Cost., era stata in precedenza affermata da Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 1970, n. 433, id., 1970, III, 269, con nota di richiami, che nella medesima decisione ha anche dichiarato l'insussistenza del con trasto tra il provvedimento del C.i.p., istitutivo della Cassa conguaglio zucchero, e le norme comunitarie direttamente operanti nell'ordinamen to italiano in forza dell'art. 189, 2° comma, del trattato di Roma 25 marzo 1957. Conf. alla prima parte della decisione v. anche Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 1971, n. 223, id., Rep. 1971, voce cit., n. 3.
Con riguardo più in generale alle casse conguaglio, l'estraneità ad esse di finalità mutualistiche o cooperativistiche è stata sostenuta da Cons. Stato, sez. VI, 27 ottobre 1970, n. 698, id., Rep. 1980, voce
Calmiere, n. 5; mentre T.A.R. Lazio, sez. Ili, 14 febbraio 1977, n. 60, id., Rep. 1977, voce Prezzi (disciplina dei), nn. 47, 48, chiarisce che l'istituzione delle casse conguaglio è finalizzata ad interventi di
sostegno delle imprese che rivelino minori capacità produttive rispetto ai livelli considerati come marginali in base a scelte di politica economica operate dagli organi pubblici di amministrazione dei prezzi, e riconosce ai proventi dei sovrapprezzi su determinati prodotti destinati alle casse stesse natura di prestazione imposta per finalità di interesse generale, in conformità agli art. 3, 23 e 53 Cost.
Circa infine il rapporto di impiego tra un ente non economico ed un
proprio dipendente v., da ultimo, Cass. 13 maggio 1980, n. 3135, id., 1981, I, 473 (nella specie, si trattava di dichiarare la natura non economica delle università agrarie delle province dell'ex Stato pon tificio), con nota di Bellantuono, Università agrarie e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie di impiego dei
dipendenti.
This content downloaded from 91.220.202.191 on Sat, 28 Jun 2014 15:19:56 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3103 PARTE PRIMA 3104
la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ammini
strativo.
Tutto ciò richiamato, deve essere riconosciuta la fondatezza
delle argomentazioni della ricorrente.
I) - Va invero osservato che la ragione per la quale le
controversie del pubblico impiego sono sottratte alla competenza
giurisdizionale dell'autorità giudiziaria ordinaria è ravvisabile
nella diretta interferenza dei relativi rapporti con la struttura
pubblicistica dello Stato o degli altri enti ai quali sono affidati
scopi rientranti fra quelli tipici dello Stato stesso, l'attività per il
cui perseguimento sia svolta nell'esercizio di poteri autoritativi. È
noto peraltro che, nell'estendersi dei compiti dello Stato e degli enti pubblici territoriali ad ambiti che un tempo erano normal
mente riservati all'esclusivo operare dell'iniziativa privata, si è
assistito al fenomeno della creazione di strutture improntate a
criteri di imprenditorialità (organizzazione diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi: art. 2082 c.c.) e ohe sono
venute ad assumere — per quanto concerne gli aspetti patrimo
niali, finanziari e contabili — un'autonoma configurazione rispetto a quella dell'ente pubblico di appartenenza dal quale non hanno
ricevuto le connotazioni proprie della p.a., sicché tali strutture
sono rimaste ad operare nell'esclusivo campo del diritto privato senza esercizio alcuno di poteri autoritativi verso i terzi destina
tari della loro attività. Se peraltro in relazione a numerosi servizi
di pubblico interesse si è avuta la creazione di aziende speciali
prive di distinta personalità giuridica ma dotate dell'anzidetta
autonoma configurazione (c.d. aziende « municipalizzate » e « provincializzate » cfr. in primis il t.u. 15 ottobre 1925 n. 2578), si è parallelamente avuta l'istituzione di un complesso di enti, forniti di distinta personalità di diritto pubblico, operanti in
fondamentali settori della produzione e dello scambio di beni e
servizi (e cioè in quelli delle attività industriali, commerciali,
creditizie, di trasporto, ecc.) e che hanno parimenti adottato (in
regime di monopolio ovvero di concorrenza con i privati) i
sistemi propri dell'imprenditorialità (c.d. enti pubblici economi
ci). Questa situazione ha pertanto reso non più necessaria per
siffatti enti la deroga alla giuridizione del giudice ordinario,
talché la 1. 24 febbraio 1941 n. 254 (anticipatrice dell'entrata in
vigore delle disposizioni di cui agli art. 429, nn. 3 e 4, c.p.c.; v.
ora l'art. 409, n. 4, dello stesso codice sub art. 1 1. 11 agosto 1973 n. 533) ha attribuito la cognizione delle controversie con il
personale dipendente, per l'appunto, a tale giudice, dovendosi
peraltro ritenere il ripristino della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo nell'ipotesi in cui la gestione di servizi
economici sia invece direttamente svolta dall'ente pubblico non
economico utilizzando, non una distinta struttura, bensì i propri
organi amministrativi (sulla tematica in generale, v., ad es., le
sentenze di queste sezioni unite 11 luglio 1975, n. 2740, Foro it.,
Rep. 1975, voce Impiegato di Stato, nn. 237, 244; 13 marzo 1976, n. 878, id., Rep. 1976, voce Ferrovie e tramvie, n. 10; 22
dicembre 1976, n. 4705, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 179; 13 febbraio 1980, n. 1018, id., Rep. 1980, voce Ferrovie e
tramvie, n. 33, e 3 aprile 1980, n. 2146, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 152; v., altresì', sez. lav. 8 luglio 1977, n. 3047, id.,
Rep. 1977, voce Servizi municipalizzati, n. 3).
Si osserva pertanto che, pur rivestendo la materia in esame
diversi aspetti che meritano approfondimento e ohe presentano non lievi difficoltà di ordine teorico, tuttavia quello concernente
l'instrinseca natura oggettiva dell'attività svolta da un ente pub blico costituisce il criterio primario per stabilire a quale giudice sia attribuita la cognizione della controversia d'impiego con i
propri dipendenti, dovendosi in linea generale ritenere la giurisdi
zione esclusiva del giudice amministrativo ogniqualvolta l'attività
stessa non sia in modo prevalente di natura economico-imprendi
toriale, laddove ulteriori indicazioni per l'affermazione di tale
giurisdizione sono fornite dall'esercizio di poteri autoritativi, dalla
conformità degli scopi perseguiti dall'ente con i fini tipici propri della p.a. e dell'inserimento dei dipendenti nell'apparato organiz zativo dell'ente medesimo a seguito di formale atto di nomina
ovvero di atti scritti equipollenti (cfr., ad es., sez. un. 26 mag
gio 1979, n. 2070, id., 1979, I, 1708).
Per quanto concerne peraltro il primo aspetto — che si è
ritenuto di carattere preminente — va poi conservato che, se
l'attività svolta da un ente pubblico economico presenta pur
sempre delle peculiarità rispetto a quella delle imprese private
(laddove una piena assimilazione si ha invece nell'ormai esteso
fenomeno delle società commerciali pubbliche) e se cioè l'elemen
to della « redditività » deve essere riguardato in un significato più riduttivo rispetto a tali imprese, tuttavia tale attività presenta in
ogni caso il carattere della « economicità », vale a dire della
gestione condotta in modo da tendere almeno al pareggio degli
introiti con le perdite, mentre le forme di organizzazione, i criteri
di scelta e di impiego dei mezzi e le modalità di svolgimento dell'attività stessa debbono essere quelle proprie dell'impresa.
II) - Orbene, se si confrontano tali dati con l'attività delle
casse di conguaglio (e con i relativi scopi) è agevole constatare che esulano completamente gli estremi dell'esercizio di attività economica imprenditoriale. Tali casse invero (come i fondi di
conguaglio, di rischi o di compensazione), costituite in base alla
norma di cui all'art. 1 d.l. c.p.s. 15 settembre 1947 n. 896 e
disciplinate dal d.l.c.p.s. 26 gennaio 1948 n. 98 (molti organismi del genere erano stati peraltro creati nel periodo bellico e in
epoca ad esso prossima, per la cui riorganizzazione, trasformazio ne e liquidazione venne istituita nel 1945 apposita commissione), hanno il primario compito d'intervenire «ai fini dell'unificazione
o perequazione dei prezzi» (art. 1 d.l. n. 896 del 1947 cit.), il
che significa che esse debbono fornire sussi-di a quelle imprese ohe — in conseguenza della disciplina autoritativa dei prezzi
vigente per determinati beni e servizi — si trovino a dover
vendere tali 'beni o a fornire tali servizi a prezzi eguali a quelli
praticati da altre imprese che riescono a produrre i medesimi
beni e servizi a costi inferiori, sussidi consistenti in contributi
integrativi che sono alimentati per mezzo di maggiorazioni dei
prezzi praticati al consumo in relazione ai costi di produzione meno elevati.
Senza necessità di dover scendere ad ulteriore illustrazione —
che la dottrina ha più ampiamente svolto — già da quanto sopra
esposto emerge dunque in modo assolutamente univoco come tali
casse non svolgano in proprio alcuna attività di produzione o di
scambio di beni o di servizi, ma siano piuttosto dei diretti
strumenti della politica economica (concetto del tutto diverso da
quello di esercizio di attività economica) quale compito che lo
Stato moderno ha assunto in vasta misura tra i propri fini e di
cui la disciplina dei prezzi è un rilevante aspetto. Attività, quella
considerata, che è pertanto tipicamente di p.a. in relazione ai
settori di competenza dei ministri che compongono il comitato
interministeriale dei prezzi istituito con il d.l.lgt. 19 ottobre 1944
n. 347 per il coordinamento e la disciplina dei prezzi (v., quindi,
il d.l.lgt. 23 aprile 1946 n. 363 e successive modificazioni), nel
mentre l'autonomia di gestione che caratterizza le suddette casse
(art. 2 d.l. n. 98 del 1948) risponde a evidenti esigenze di natura
tecnica e di più adeguata funzionalità: trattasi pertanto di
organismi che necessariamente operano con le modalità tipiche
della p.a. attuando le disposizioni in materia di savrapprezzi e
contributi (cfr., in particolare, gli art. 6 ss. d.l. n. 98/48).
Tutto ciò deve essere pertanto tenuto presente nei riguardi
della Cassa conguaglio zucchero (succeduta alla Cassa per lo
zucchero d'importazione) per la quale il recente d.l. 20 novembre
1981 n. 694 convertito in legge con la 1. 29 gennaio 1982 n. 19
ha indicato ulteriori compiti in relazione agli aiuti nazionali di
adattamento previsti dalla normativa comunitaria (art. 3), in
conformità del resto all'ampio intervento che viene compiuto nei
vari settori dell'agricoltura in attuazione dei criteri stabiliti dai
regolamenti comunitari e dalle deliberazioni del consiglio dei
ministri della Comunità economica europea (cfr. la 1. 13 maggio
1966 n. 303 e successive modificaz. e integraz.).
Riconosciuto dunque che la Cassa conguaglio zucchero integra
un tipico strumento di amministrazione attiva non svolgendo essa
alcuna attività imprenditoriale in proprio, bensì operando nei
confronti delle imprese ai fini della realizzazione della politica statale e comunitaria dei prezzi, da ciò consegue che il rapporto
di lavoro che intercorre fra essa e i propri dipendenti deve
necessariamente qualificarsi di pubblico impiego ove risulti la
volontà degli organi della cassa d'inserire i dipendenti medesimi
nella propria struttura organizzativa (v., ancora, la cit. sentenza
n. 3070 del 1979). All'evidenza inutile, ai fini della presente
decisione, è pertanto affrontare ex professo la problematica relati
va alla natura giuridica delle casse conguaglio in generale se cioè
siano organi dello Stato ad ordinamento autonomo (come ha
ritenuto la giurisprudenza del Consiglio di Stato: cfr. ad. es., la
decisione della VI sez. 26 settembre 1975, n. 385, id., Rep. 1976,
voce Impiegato dello Stato, n. 200, riguardante proprio la Cassa
conguaglio zucchero) ovvero siano distinte dall'apparato dello
Stato (cfr., in particolare, Cass. 26 marzo 1957, n. 1039, id., 1957,
I, 750, che, a proposito della Cassa conguaglio trasporto sanse,
l'ha reputata organo del Consorzio nazionale produttori olio dalle
sanse e ciò peraltro in una situazione processuale di mancata
impugnazione circa il punto della decisione del giudice d'appello che l'aveva ritenuta priva di personalità giuridica, laddove l'esclu
sione della rappresentanza e della difesa dell'avvocatura dello
Stato, in tale sentenza ritenuta, è stata poi superata dalla previ
sione di cui al d.p.r. 14 febbraio 1957 n. 179, pubblicato il 9
aprile successivo).
This content downloaded from 91.220.202.191 on Sat, 28 Jun 2014 15:19:56 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Alla stregua delle suesposte ragioni la domanda proposta dal
l'attrice risulta pertanto basata su circostanze idonee a configurare un rapporto di pubblico impiego, in relazione al quale deve
essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministra
tivo (art. 7, 2° comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 1° luglio
1982, n. 3949; Pres. Brancaccio, Est. Santosuosso, P.M.
Cantagalli (conci, diff.); Centemaro (Aw. Bonifazi) c. Soc.
cotonificio Fossati. Conferma Trib. Monza, decr. 18 gennaio 1980.
Fallimento — Ripartizioni parziali dell'attivo — Crediti non
ammessi al passivo — Accantonamento prudenziale — Ammis
sibilità — Fattispecie (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 113).
Nelle ripartizioni parziali dell'attivo possono essere prudenzial mente accantonate somme maggiori di quelle obbligatoriamente
fissate dall'art. 113 l. fall, (nella specie, trattavasi di somme
presumibilmente dovute per imposta sulle plusvalenze realizzate
nel corso della procedura). (1)
Motivi della decisione. — Il ricorrente, premesso che la par condicio creditorum della procedura concorsuale esige il congela mento della situazione contabile e patrimoniale al momento della
dichiarazione di fallimento e ohe pertanto nella ripartizione dell'attivo non possono accantonarsi somme per crediti ipotetici,
imprecisati, improbabili, non rivendicati, deduce che, pur se le
plusvalenze realizzate nel corso della procedura fallimentare siano
tassabili e che soggetto passivo dell'imposta possa essere la massa
fallimentare, non può formare oggetto di accantonamento la
pretesa tributaria futura e improbabile; come invece ha disposto il giudice delegato, sottraendo ingiustificatamente una notevole
parte dell'attivo ai creditori ammessi.
Deve anzitutto rilevarsi che il ricorso è ammissibile.
Ed invero, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, n. 42 del 1981 (Foro it., 1981, I, 1228), che ha dichiarato
l'illegittimità dell'art. 26 1. fall, nella parte in cui assoggetta al
reclamo al tribunale i provvedimenti decisori emessi dal giudice
delegato in materia di piani di riparto, il decreto con il quale il
giudice approva e rende esecutivo un piano di riparto, incidendo
su posizioni di diritto soggettivo, ha natura sostanziale di senten
ti) In argomento, Cass 7 giugno 1978, n. 2851, Foro it., Rep. 1978, voce Fallimento, nn. 376, 377, secondo la quale gli accantona menti specifici si riferiscono a poste attuali del riparto in relazione a crediti ammessi, ancorché con riserva, e non possono operare nella
ipotesi di posizioni creditorie che non abbiano ancora trovato alcun riconoscimento nella formazione dello stato passivo; non cosi, peraltro, per un prudente contenimento della percentuale da ripartire, che può essere invece disposta dal giudice delegato. Cass. 17 novembre 1976, n. 4266, id., 1977, 1, 2729 (nella motivazione), in una fattispecie nella
quale la limitazione del riparto parziale ad una percentuale inferiore al novanta per cento delle somme disponibili era avvenuta per ragioni prudenziali in attesa della definizione della opposizione allo stato
passivo proposta da un creditore escluso, ha chiarito trattarsi dell'eser cizio di un potere discrezionale da parte del tribunale fallimentare (in sede di impugnazione di provvedimento negativo del giudice delegato), che non attribuisce al creditore alcun titolo o diritto particolare. In dottrina, Bonsignori, Liquidazione dell'attivo, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, 269; Provinciali, Trattato dir. fall., Ili, 1736.
La fattispecie presa in esame dalla sentenza che si riporta ri guarda l'accantonamento di somme relative alle imposte sulle plusva lenze realizzate nel corso della procedura, ma la sentenza ha esplici tamente avvertito che nella economia della controversia non dovevano essere affrontati i problemi riguardanti gli aspetti oggettivi e soggettivi della imponibilità di tali plusvalenze, che sono perciò rimasti estranei al thema decidendum. E ciò anche se la sentenza da ultimo richiama
gli argomenti contenuti nel decreto del giudice delegato (oggetto della
impugnazione) circa la evidenza delle plusvalenze, la loro tassabilità a carico della massa e la ipotizzata imminenza della pretesa tributaria. Cass. 5 febbraio 1982, n. 660, Foro it., 1982, I, 1313, con osservazione di D. Tedeschi, pronunziatasi (a quanto consta) per la prima ed unica volta in argomento, ha ritenuto che il curatore fallimentare ha
l'obbligo della dichiarazione relativa al risultato finale della liquidazio ne, ma non quello di accantonare l'importo corrispondente alle imposte dovute sulle plusvalenze realizzate. Ai richiami contenuti nella nota
cit., adde, nello stesso senso, Lo Cascio, Due temi fiscali ancora irri solti: plusvalenze e sopravvalenze attive, in Giur. comm., 1983, I, 389; Morozzo Della Rocca, Fallimento e fisco: la tassazione delle plusva lenze, in Fallimento, 1982, 473; Apice, Plusvalenza e fallimento: radiografia di una discordia a fasi alterne, id., 1983, 331; in senso contrario, Falsitta, La questione fiscale delle procedure concorsuali, id., 1982, 1125.
za non altrimenti impugnabile, e quindi può essere denunziato
con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost.
Ciò è stato più volte affermato da questa Corte suprema (sent.
5784/81, id., 1982, I, 426; 654/82, id., Rep. 1982, voce Fallimento, n. 483; 660/82, id., 1982, I, 1313).
La censura sollevata nel ricorso, però, appare infondata.
Nell'economia della presente controversia non vanno affrontati i
problemi relativi agli aspetti oggettivi e soggettivi dell'imponibilità delle plusvalenze realizzate nel corso della procedura fallimentare, ma sola la legittimità dell'esercizio del potere riconosciuto agli
organi del fallimento dalla norma dell'art. 113 1. fall.
Nel disciplinare i poteri del giudice delegato in tema di riparti zioni parziali dell'attivo, la legge fallimentare indica anzitutto
l'accantonamento minimo obbligatorio (il dieci per cento), cui il
giudice deve in ogni caso attenersi per riparare ad eventuali
errori od omissioni.
Prevede poi quattro ipotesi nelle quali devono obbligatoriamen te essere trattenute e depositate le quote assegnate.
Ma la lettera e la ratio della norma fanno chiaramente intende
re che queste disposizioni non sono esaustive dell'esercizio del
potere di accantonamento affidato dalla legge agli organi fallimen
tari.
Si tratta, invero, di ripartizione parziale che, in quanto tale,
esige criteri prudenziali in vista del successivo evolversi della
procedura concorsuale; per altro verso le cautele, ove non ecces
sive e con riferimento a ragionevoli considerazioni, non pregiudi cano irrimediabilmente le ragioni dei creditori così come risultano
dagli accertamenti conclusivi e definitivi.
Gli organi fallimentari, pertanto, possono prudentemente ed
opportunamente accantonare somme maggiori di quelle espressa mente stabilite in modo obbligatorio dall'art. 113 1. fall., anche in
relazione a crediti ohe in quel momento non siano stati ancora
ammessi, ma che si prospettino con gravi elementi di probabilità, essendone già sorti i presupposti.
Il provvedimento in proposito, emesso dal giudice di merito, è
incensurabile in questa sede, se congruamente motivato e non
viziato dal punto di vista logico o giuridico. Nella specie, il decreto del giudice delegato, non solo risulta
abbondantemente motivato, ma contiene argomenti circa l'eviden
ziazione delle plusvalenze realizzate nel corso della procedura, la
loro tassabilità a carico della massa, e quindi sulla molto proba bile imminenza della pretesa tributaria.
Tale provvedimento, pertanto, non merita di essere cassato.
CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 5 marzo 1983; Pres. Buggè, Est. Blandini; Aimini (Avv. Cosciani) c. Corti
(Aw. Nardini, Molinari).
CORTE D'APPELLO DI MILANO; n n i. T7_i t>_ a • • ;
Sequestro — Sequestro conservativo — Legittimazione attiva del
creditore già munito di titolo esecutivo giudiziale — Esclusione.
È inammissibile il sequestro conservativo invocato a tutela di un
diritto già consacrato in un titolo esecutivo giudiziale. (1)
(1) Con la riportata sentenza la Corte d'appello di Milano ha negato la convalida di un sequestro conservativo concesso a favore di un creditore già munito di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, ritenendolo contrario ai principi generali che informano la tutela cautelare cosi come strutturata nell'ordinamento processuale vigente.
In realtà, il collegio ha fatto proprie le motivazioni addotte da una parte della dottrina nonché da una minoritaria giurisprudenza di merito a sostegno dell'inammissibilità del sequestro a tutela di un diritto già consacrato in un titolo esecutivo, e cioè: a) la strumentalità del provvedimento cautelare rispetto ad un futuro provvedimento di merito di cui, in via provvisoria, vengono anticipati gli effetti: pertanto « colui che invoca un sequestro deve vantare un diritto il cui accertamento sia ancora da verificare e la cui realizzazione sia attualmente impossibile »; b) la necessità di un giudizio di merito
svolgentesi coevemente ovvero separatamente da quello di convalida, ma da instaurarsi in ogni caso se è vero che la mancata proposizione dello stesso provoca, a mente dell'art. 683 c.p.c., l'inefficacia della misura cautelare; c) la conversione del sequestro in pignoramento, prevista dall'art. 686 al sopravvenire della sentenza di condanna esecutiva, che sarebbe concettualmente inattuabile qualora il creditore già possedesse il titolo esecutivo giudiziale.
Tale orientamento pone, inoltre, in rilievo il fatto che il creditore, munito di titolo esecutivo, ben potrebbe procedere al pignoramento immediato, ottenendo dal giudice l'esonero dall'osservanza dei termini di cui agli art. 480 e 481 c.p.c., allorché, secondo la disposizione del successivo art. 482, in pendenza del termine per adempiere si concre tizzi il pericolo di perdere le garanzie del proprio credito: tale ultima
This content downloaded from 91.220.202.191 on Sat, 28 Jun 2014 15:19:56 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions