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Un solo mondo 3/2017 - eda.admin.ch · 23 La papaia salvata da una vespa ... internazionale e la...

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Un solo mondo N. 3 / SETTEMBRE 2017 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Lotta per l’acqua L’oro blu è una risorsa sempre più contesa Bosnia ed Erzegovina Giovani senza futuro in un Paese immobile Industria 4.0 Un’opportunità anche per i Paesi poveri?
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Eine WeltUn seul mondeUn solo mondo

N. 3 / SETTEMBRE 2017LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Lotta per l’acquaL’oro blu è una risorsa sempre più contesa

Bosnia ed ErzegovinaGiovani senza futuro in un Paese immobile

Industria 4.0Un’opportunità anche per i Paesipoveri?

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2 Un solo mondo n.3 / Settembre 2017

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio26 Dietro le quinte della DSC34 Servizio 35 Nota d’autore con Reto Albertalli35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE) è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, unapluralità di opinioni. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R ACQUA E CONFLITTI6 Acqua, accordi necessari più che mai

I conflitti per l’acqua sono una delle sfide più importanti per l’umanità. Per prevenirli, la Svizzera promuove il dialogo e la cooperazione

11 Senza dialogo siamo tutti dei perdentiIntervista a Sundeep Waslekar, esperto di cooperazione nel settore idrico e presidente del gruppo di riflessione indiano Strategic Foresight Group

13 Per cooperare serve fiduciaGli Stati in Asia centrale sono alla ricerca di nuove soluzioni per cooperare nella gestione dei fiumi transnazionali

15 La crisi idrica in Medio OrienteCon l’iniziativa Blue Peace, la Svizzera intende prevenire i conflitti causati dalla scarsità d’acqua

17 Fatti e cifre

18 Un Paese diviso e immobile La Bosnia ed Erzegovina è confrontata con un’elevata disoccupazione, le tensioni etniche e l’immobilismo statale

21 Sul campo con...Barbara Dätwyler Scheuer, responsabile del Programma di cooperazione svizzero in Bosnia ed Erzegovina e capo missione supplente

22 Una cartolina alternativa da SarajevoSandra Zlotrg ci descrive il suo quartiere e ci dà alcuni consigli per usciredagli abituali circuiti turistici

27 Industria 4.0 anche per i Paesi poveri?Le piattaforme digitali, i sensori e i robot della quarta rivoluzione industriale stanno plasmando un mondo dai tratti ancora sconosciuti

30 Cosa fare per i giovani in Marocco?Carta bianca: Driss Ksikes ci parla delle tante disfunzioni nella scuola marocchina e della scarsa valorizzazione del percorso accademico

31 Danzare per alleviare il dolore dei matrimoni forzatiUn progetto culturale dà la possibilità alle vittime del regime dei Khmer Rossi di rielaborare i traumi e di rimarginare le ferite

23 La papaia salvata da una vespaCon un’iniziativa di lotta biologica, la Svizzera aiuta le famiglie di contadini dell’Africa occidentale a combattere una cocciniglia

24 Lotta alla povertà con l’efficienza idricaIn Asia centrale e meridionale, i contadini aumentano le loro entrate impiegando metodi di irrigazione più efficienti nelle risaie e nelle coltivazioni di cotone

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3Un solo mondo n.3 / Settembre 2017

Editoriale

Oltre quarant’anni fa, durante i miei studi un profes-sore espresse il timore che un’eventuale nuova guerramondiale non si sarebbe combattuta per conquistarenuovi territori o ricchezze, ma per accaparrarsi l’ultimolitro d’acqua pulita. Secondo i miei compagni di corsoera un’ipotesi dettata da un eccessivo pessimismo,frutto di una giornata iniziata con il piede sbagliato.Davanti a noi avevamo ancora un decennio di Guerrafredda, periodo caratterizzato dalla paura di un at-tacco nucleare intenzionale o accidentale che avrebbeprovocato lo sterminio dell’umanità La scarsità d’ac-qua non era decisamente in cima alle preoccupazionidegli studenti elvetici e per decenni non ho più ripen-sato a quel famoso professore.

Ora, invece, so esattamente che cosa intendeva. E miauguro che si sbagliasse.

In questo momento è più che mai difficile fare delleprevisioni sulla base degli ultimi sviluppi. Da un canto,pare che l’umanità non sia mai stata così bene comenel maggio 2017, mese in cui scrivo queste righe.Rispetto al passato, le persone vivono molto più alungo e in buona salute, quantunque per un abitantedi Mosul o dello Yemen simili affermazioni possanosuonare come uno scherno. D’altro canto, molti indiziindicano che alcuni sviluppi a lungo termine rischianodi frenare questa tendenza positiva e di pregiudicare irecenti progressi raggiunti dall’umanità. Uno di questisviluppi è la crescente scarsità d’acqua in molte re-gioni del pianeta.

Da qui al 2025, la grave penuria d’acqua minaccerà1,8 miliardi di persone. Possiamo già constatare in di-verse zone geografiche dell’Africa quali catastrofiumanitarie potrebbe causare questa situazione. Le au-tobotti traboccanti d’acqua sono vitali per la sopravvi-venza a breve termine, ma non sono una soluzione du-revole. Senza acqua in quantità sufficiente non c’ènemmeno produzione di beni e cibo. L’economia lo-cale viene paralizzata. Non è necessario condividere ilpessimismo del mio professore per rendersi conto chela penuria d’acqua è una fonte di conflitti. 286 fiumi elaghi del mondo sono condivisi da almeno due Stati. Ifiumi Congo, Niger, Reno, Danubio, Nilo e Zambesi at-traversano da nove a undici nazioni.

Forse in nessun’altra regione al mondo, la scarsitàidrica è fonte di conflitti quanto in Medio Oriente, dovela quantità d’acqua in numerosi fiumi è diminuita dal50 al 90 per cento e dove si registra una costante cre-scita della popolazione.

Nel 2009, la DSC e la Divisione Sicurezza umana(DSU) del DFAE hanno lanciato l’iniziativa Blue Peace,un approccio specifico alla situazione in questo terri-torio. Si tratta di un’iniziativa che combina la politicainternazionale e la cooperazione tecnica e che si pro-pone di evidenziare gli effetti positivi per la pace dellagestione e del coordinamento comune delle risorseidriche. In Medio Oriente e in Asia centrale Blue Peaceha già contribuito in maniera sostanziale a collegaretra di loro le autorità politiche affinché trovino delle so-luzioni di comune accordo.

Nel novembre 2015, il consigliere federale DidierBurkhalter ha inoltre lanciato il Global High Level Panelon Water and Peace. L’intento è di richiamare l’atten-zione globale sulla relazione tra acqua e pace. Finoraquesta iniziativa ha già conseguito un primo successo:lo scorso mese di novembre il Consiglio di sicurezzadelle Nazioni Unite ha infatti tenuto la sua prima se-duta dedicata ai temi acqua, pace e sicurezza.

La Svizzera si trova sicuramente in una situazione pri-vilegiata grazie alla sua posizione geografica e alle sueriserve d’acqua. Ciò nonostante, in questo ambito an-che il nostro Paese deve affrontare le sfide comuni congli altri Stati: i rapporti di vicinato, lo sfruttamento eco-nomico, la depurazione delle acque e molto altro an-cora. Le soluzioni che è riuscita a trovare fanno dellaSvizzera un partner competente e credibile, in parti-colare nei Paesi in cui la scarsità d’acqua prima o poipotrebbe dare origine a un conflitto. La DSC è grata dipoter fornire contributi concreti attraverso i suoi pro-grammi.

Manuel SagerDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

L’ultimo litro d’acqua pulita

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Periscopio

Piccola pianta dalle grandi qualità (bf) Cucinate in vari modi, le lenticchie d’acqua occu-pano da sempre un posto fisso sulle tavole in Thailandia,Cambogia, Laos e altri Paesi asiatici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Jena, in collaborazione con alcuni professori indiani, ha scoperto che la lenticchiad’acqua senza radici della specie wolffia globosa èun’importante fonte proteica per l’alimentazione umana.Oltre a essere paragonabile alla colza e ai piselli per viadel suo alto tenore di proteine, contiene anche preziosiacidi grassi omega-3. E non è tutto: si riproduce in tempibrevi, in quanto pianta acquatica non necessita di su-perfici coltivabili addizionali e, visto che assorbe senzaproblemi gli oligoelementi sciolti in acqua, contribuisce a compensare eventuali carenze causate da una dietamonotona. Secondo i ricercatori, le lenticchie d’acquapossono inoltre essere impiegate in itticoltura per purifi-care i corsi d’acqua e produrre biocarburante.

Mucche assicurate via satellite(cz) Il governo keniano ha in-trodotto un’assicurazione inno-vativa per aiutare i pastori mi-nacciati dalla siccità. Il KenyaLivestock Insurance Programme

(KLIP) registra e sorveglia lemandrie mediante immagini satellitari. Se durante un periodo di scarse precipitazioniperiscono troppi capi di be-stiame, viene attivato un pro-gramma di sussidi finanziari per

i pastori. Grazie a questa inizia-tiva, gli allevatori dispongonodei mezzi economici necessariper acquistare il mangime per gli animali e per salvare le loromandrie. «Dobbiamo risponderealla siccità in modo più proat-tivo ed efficace», ha spiegato l’economista keniano AndrewMude, ideatore del programma.«Non possiamo semplicementesperare negli aiuti internazionali.Dobbiamo reagire prima».L’assicurazione è stata lanciatanel 2016 ed è finanziata dal go-verno keniano e dalla Bancamondiale. I promotori si augu-rano che entro il 2020 più di100000 famiglie di pastori pos-sano beneficiare dell’assicura-zione KLIP.

La prima centrale elettrica a torba dell’Africa (cz) L’approvvigionamento elet-trico stabile e senza interruzioneè una delle principali difficoltàdi molti Paesi africani. Il Ruandasta cercando soluzioni innova-tive per risolvere questo pro-blema. Nello Stato dell’Africaorientale, lo scorso aprile è statainaugurata la prima centrale atorba del continente. L’impiantosi trova a Gishoma nel Sud-ovest del Paese e stando ai me-dia è costata appena 40 milionidi dollari. In una prima fase lacentrale avrà una potenza di 15megawatt. Una seconda centralea torba di 90 megawatt è in fasedi progettazione. A titolo diconfronto: la centrale nuclearedi Mühleberg, nel canton Berna,genera 370 megawatt di energia.Entro il 2018, il Ruanda vor-rebbe garantire l’allacciamentoalla rete elettrica nazionale al 70per cento dei suoi circa dodicimilioni di abitanti. La nuovatecnologia dovrà contribuire a raggiungere tale obiettivo. In futuro le centrali a torba do-vranno coprire circa il 20 percento del fabbisogno energeticonazionale. In molti Paesi euro-

pei le centrali a torba sono stateabbandonate. Per via dei tempilunghissimi di rigenerazionedella materia prima, l’UE nonconsidera la torba una fonteenergetica rinnovabile.

I droni migliorano la coltivazione del mais ( jlh) Stando agli studi condottidal Centro internazionale per laricerca scientifica sul mais e sulfrumento, l’impiego di dronipuò migliorare la coltivazionedel granoturco. Infatti i velivolitelecomandati e i loro sensoripermettono di ridurre l’impiegodi manodopera e di diminuire i costi per la coltura di questapianta di circa il dieci per cento.I droni permettono inoltre diraccogliere i dati relativi allacrescita, alla struttura e ad altrecaratteristiche delle piante, ana-lisi che favoriscono lo sviluppodi varietà di mais più compati-bili con le condizioni climati-che. L’impiego di questi velivoliin agricoltura è ampiamente dif-

fuso anche in America latina ein Asia. Gli esperti indicano tut-tavia che l’utilizzo delle tecnolo-gie all’avanguardia ha successosolo se è accompagnato dallaformazione dei contadini in materia di produzione di sementi e di tecniche di lavoronei campi.

«Yo si puedo» leggere e scrivere( jlh) Circa il 20 per cento dellapopolazione, ossia oltre 13 mi-lioni di abitanti dello Stato fede-rale brasiliano di Maranhão nel

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Nord-est del Paese, non sa néleggere né scrivere. Tale quotaraggiunge addirittura il 40 percento nelle zone rurali.Un’organizzazione locale dicontadini senza terra ha dichia-rato guerra all’analfabetismo.Applicando il metodo cubano«Yo si puedo» (sì, io posso), nel2016 è riuscita ad alfabetizzarepiù di 7000 giovani e adulti gra-zie ai corsi tenuti nelle varie co-munità. Rispetto alle strategieconvenzionali, l’iniziativa ha re-gistrato subito risultati molto in-coraggianti, frutto soprattuttodella vicinanza con la realtà lo-cale. I contenuti didattici sonoelaborati su misura per la gentedel posto. Inoltre una personaformata espressamente e appar-tenente al comune accompagnagli studenti. Oltre al corso di al-fabetizzazione vero e proprio, ilprogramma prevede anche altre

lezioni, per esempio in materiadi salute o di violenza contro ledonne. Entro la fine del 2017, i promotori dell’iniziativa vo-gliono raddoppiare il numero dipersone che sanno leggere, scri-vere e far di conto.

Malaria, prime vaccinazionisu ampia scala(lb) Ogni due minuti, un bam-bino muore a causa della mala-ria. In totale, all’anno si regi-strano oltre 400mila decessicausati dalla malattia, soprattuttonell’Africa subsahariana. A pa-gare il tributo più pesante sono i bambini d’età inferiore ai 5 anni. Dal 2018, l’Organizza-zione mondiale della sanità(OMS) intende testare su ampiascala l’RTS,S, il primo vaccinocontro la malaria, in Ghana,Kenya e Malawi. «Combinatacon i principali strumenti di

lotta antimalarica, la vaccina-zione ha le potenzialità di sal-vare decine di migliaia di viteogni anno in Africa», sostieneMatshidiso Moeti dell’OMS.Per essere efficace, il vaccinodeve essere somministrato quat-tro volte: una al mese per tremesi e una quarta dopo 18 mesi.Il progetto pilota interesserà

750mila bambini tra i 5 e i 17mesi: metà riceverà l’RTS,S,mentre il resto farà da gruppo dicontrollo. Il vaccino è in gradodi prevenire circa 4 casi di con-tagio su 10 e di diminuire di un terzo le infezioni più gravi,riducendo così i ricoveri inospedale.

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DOSSIER

Acqua, accordi necessaripiù che maiUna delle sfide più importanti per l’umanità è la gestione dell’acqua. Per scongiurare i possibili conflitti tra Paesi è ne-cessario promuovere il dialogo e la cooperazione, strumenti che favoriscono la risoluzione pacifica delle controversie legate allo sfruttamento dell’oro blu. Di Christian Zeier.

Nel giugno del 2013 la situazione era molto tesa.L’Etiopia aveva appena iniziato a deviare il Nilo Az-zurro per avviare la costruzione della gigantesca digaRenaissance, al confine con il Sudan. Colto di sor-presa, l’Egitto, che dipende dalle acque del Nilo, ri-unì in fretta e furia un vertice con i più alti respon-sabili al Cairo. C’era chi proponeva di distruggerela diga con un intervento delle forze speciali, chi vo-leva inviare aerei da combattimento, chi suggerivadi sostenere i ribelli nel Paese vicino. Quello chenessuno sapeva: il loro incontro era trasmesso in di-retta TV. L’allora presidente Mohammed Morsi siè poi scusato pubblicamente, ma le sue dichiarazio-ni non hanno allentato le tensioni: in caso di ne-cessità, l’Egitto avrebbe difeso e assicurato «conogni mezzo» il proprio approvvigionamento idrico.Non si voleva la guerra, ma ogni opzione veniva la-sciata aperta.L’incidente evidenzia l’enorme importanza che han-

no le risorse d’acqua nel 21° secolo. Questo episo-dio illustra inoltre quali risultati si possono ottene-re attraverso la cooperazione tra Paesi. Nel 2015, ipresidenti di Etiopia, Egitto e Sudan hanno firma-to un accordo in cui approvano la costruzione del-la diga Renaissance a condizione che non causi«danni significativi» ai Paesi interessati. Oltre a ciò,l’intesa prevede che venga eseguita una perizia vol-ta a valutare l’impatto del progetto. Anche se le di-scordie si sono nel frattempo sopite, la realizzazionedello sbarramento rimane molto controversa. Nelfrattempo, quattro anni dopo l’episodio del giugno2013, la diga è quasi ultimata.

Più importante del petrolioIl conflitto riguardante il progetto della diga Re-naissance non è un caso isolato. I corsi d’acqua trans-frontalieri, ma anche quelli che fluiscono entro iconfini di una nazione possono dare origine a un

La costruzione della diga Renaissance lungo il Nilo Azzurro, nell’Etiopia nord-occidentale, ha acuito le tensioni tra gliStati percorsi dal fiume.

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7Un solo mondo n.3 / Settembre 2017

Acqua e conflitti

Nel marzo 2015, i governi di Etiopia, Egitto e Sudan hannotrovato un accordo per la gestione del Nilo Azzurro.

conflitto fra gruppi d’interesse. Gli agricoltori vo-gliono irrigare i campi e gli allevatori abbeverare ilbestiame, mentre il settore industriale e quello ener-getico hanno bisogno di acqua per funzionare.Già oggi oltre un miliardo di persone non ha ac-cesso ad acqua potabile pulita, soprattutto in Africa,Asia meridionale e America latina. La crescita de-mografica, i cambiamenti climatici e l’inquinamen-to accentuano questa disputa per l’oro blu. L’ONUcalcola che entro il 2025 quasi due miliardi di per-sone vivranno in territori con un’elevata penuriad’acqua. Nel corso dei prossimi trent’anni, in regionicome il Medio Oriente o il Sahel i problemi legatiall’acqua potrebbero ridurre il prodotto interno lor-do perfino del sei per cento. A detta degli esperti,nel prossimo futuro l’acqua avrà un ruolo geopoli-tico più importante di quello del petrolio.«La crisi idrica globale è uno dei problemi politici,sociali e ambientali più pressanti del 21° secolo», hadichiarato il ministro degli esteri svizzero DidierBurkhalter nel 2012 di fronte all’Assemblea gene-rale delle Nazioni Unite a New York, evidenzian-do i rischi derivanti dall’iniqua distribuzione del-l’acqua in tutto il mondo. In quell’occasione, Bur-khalter ha chiesto alla comunità internazionale diadottare delle misure concrete e globali per lottarecontro questa situazione. «L’acqua non ha soltantoun valore economico e sanitario», ha affermato ilconsigliere federale, «ma è anche un elemento importante della sicurezza umana». È per questa ragione che la Svizzera promuove un nuovo ap-proccio per favorire il coordinamento e i negozia-ti a livello politico.

Non solo pozziLa presa di posizione di Burkhalter dimostra comesia cambiato l’impegno della Confederazione inmateria di politica estera. Da tempo, infatti, la Sviz-zera sostiene progetti di sviluppo che vanno al di làdella costruzione di pozzi e della distribuzione di ac-qua potabile. Nonostante l’acqua dolce e l’igiene sia-no ancora elementi fondamentali, le iniziative pro-mosse dalla DSC vertono anche su aspetti quali ladiplomazia, la ricerca o la comunicazione.L’impegno della Svizzera in Medio Oriente è un ot-timo esempio per illustrare quanto sia poliedricol’approccio elvetico. Negli ultimi anni in questa re-gione l’Aiuto umanitario, in collaborazione con ilProgramma globale Acqua (GPW) e la Divisione Sicurezza umana (DSU), ha favorito l’accesso al-l’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari a oltre1,5 milioni di persone. Questo è l’approccio classi-co. A livello tecnico, la DSC ha invece commis-sionato uno studio volto a illustrare la situazione idrica e le condizioni degli sfollati nella regione siriana del bacino del fiume Oronte. Nel contem-

po, la DSU ha lanciato un progetto per migliorarel’accesso all’acqua nel Nord del Paese. A livello po-litico, la Svizzera ha avviato l’iniziativa Blue Peacegrazie a cui si intende trasformare la crisi idrica nel-la regione in un’opportunità per gli Stati interessa-ti (vedi articolo a pag. 15).

La Pace blu ha la prioritàLa Svizzera persegue tutta una serie di iniziative nelsettore idrico. Insieme all’Unione internazionaleper la conservazione della natura (IUCN), la DSC

promuove, per esempio, il progetto Bridge che siprefigge di rafforzare a livello locale le capacità digestione delle risorse idriche. In questo momentol’attenzione è però rivolta soprattutto alla Pace blu.L’iniziativa globale Blue Peace è incentrata sul temaacqua e sicurezza a livello multilaterale e poggia sudue pilastri: il Geneva Water Hub, un centro dicompetenza in materia di risorse idriche e pace gestito per due anni dalla DSC, e il Global High Level Panel on Water and Peace, che riunisce 15esperti indipendenti provenienti da quattro conti-nenti. Divenuto operativo nel novembre 2015, ilcomitato di alto livello ha il compito di elaborareproposte di prevenzione e di risoluzione dei con-flitti legati alle risorse idriche.«La cooperazione transfrontaliera nel settore idricoè la nostra unica chance», ha scritto di recente il pre-sidente del Water Panel mondiale, Danilo Türk.L’ex presidente della Slovenia considera sbagliato in-dicare l’acqua come il petrolio del 21° secolo. «Ilpetrolio può essere sostituito, ma l’unica alternati-va all’acqua è l’acqua», ha sostenuto Türk. A livel-lo mondiale, 286 bacini fluviali transfrontalieri attraversano oltre 150 Paesi. «I conflitti saranno pra-ticamente inevitabili fintanto che questi Stati non

L’acqua come armaL’acqua non soltanto puòcausare conflitti, ma ancheessere parte della strategiadi guerra. Innumerevolisono i casi in cui le parti inconflitto attaccano, occu-pano o distruggono infra-strutture idriche per ragionistrategiche. Un esempio è il conflitto ucraino, doveattacchi mirati a sistemienergetici e idrici nellaparte orientale del Paesehanno messo in difficoltàmilioni di persone. La di-struzione dei sistemi infra-strutturali per l’approvvi-gionamento idrico èconsiderata una violazionedelle Convenzioni diGinevra. Il Protocollo aggiuntivo relativo alla pro-tezione delle vittime deiconflitti armati non interna-zionali afferma, infatti, che«è vietato attaccare […]beni indispensabili alla so-pravvivenza della popola-zione civile». Questi inclu-dono fra le altre cose leinstallazioni di acqua potabile e le opere di irrigazione.

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Source: Transboundary Freshwater Dispute Database, Department of Geosciences (www.transboundarywaters.orst.edu/database), Oregon S Map produced by ZOÏ Environment Network, March 20178 Un solo mondo n.3 / Settembre 2017

svilupperanno cooperazioni volte ad assicurare unagestione sostenibile delle acque», ricorda Türk. «Lacollaborazione può portare alla pace».

Cooperare invece di fare la guerra«Malgrado la gestione dell’acqua costituisca una sfi-da sia in termini di politica di sicurezza sia di svi-luppo, essa è soprattutto una straordinaria opportu-nità per promuovere la cooperazione e la fiducia re-ciproca», si può leggere nel documento «Acqua esicurezza – Linee d’azione del DFAE». «Molti con-flitti potenziali possono essere evitati grazie ad ac-cordi di gestione sostenibile dell’acqua». Questa tesi è supportata scientificamente dallo Stra-tegic Foresight Group (SFG), un piccolo laborato-rio di idee indiano con sede a Mumbai. I suoi col-laboratori hanno analizzato 84 organizzazioni trans-frontaliere che operano in ambito di gestione dellerisorse idriche e 205 bacini fluviali transfrontalieriin 148 Paesi. A quali conclusioni sono giunti? GliStati che cooperano attivamente nel settore idriconon si fanno la guerra. Inoltre, una stretta collabo-razione può portare a una riduzione della spesa mi-litare e a migliori condizioni di vita per le fasce piùpovere della popolazione.Il think tank indiano ha anche partecipato al lanciodel Global High-Level Panel on Water and Peace.«L’iniziativa Blue Peace ha cambiato la mentalità politica», afferma Sundeep Waslekar, il presidentedello SFG, (vedi l’intervista a pagina 11). Così, iltema acqua e sicurezza ha finalmente ottenuto l’at-tenzione che merita anche a livello internazionale.Waslekar ripone grandi speranze nel Water Panel

Corso superiore e corsoinferioreUna cooperazione attivalungo i fiumi transfrontalieripuò risolvere parecchi pro-blemi. Un elemento nonpotrà però mai esserecambiato: la disparità tra le popolazioni rivierasche.Lo Stato a monte ha infattiil controllo sulle acque.Uno Stato a valle, invece, èmaggiormente confrontatocon l’inquinamento delleacque, causato anche da-gli altri Paesi. Inoltre, seuno Stato decide di erigereuna diga, questo puòavere conseguenze deva-stanti per gli Stati a valle.Poiché un Paese a montedifficilmente rinuncia allasua supremazia, gli accordiche regolano lo sfrutta-mento delle acque trans-frontaliere sono molto importanti.

mondiale. «Se avrà successo, gli sforzi profusi dai suoipromotori potrebbero migliorare l’esistenza di ol-tre due miliardi di persone». Se invece il tentativodi sviluppare un’infrastruttura per gestire a livelloglobale le risorse idriche dovesse fallire, ci si dovràattendere il caos. L’esaurimento delle risorse idrichecauserebbe una riduzione della produzione di derrate alimentari, un aumento della domanda eun’esplosione dei prezzi. «Le conseguenze sarebbe-ro terrorismo, dittature e flussi migratori ancora piùforti», afferma Waslekar. «La posta in gioco è altissima».

Proposte per l’avvenireNel maggio di quest’anno, i rappresentanti del Wa-ter Panel mondiale si sono riuniti per la quarta vol-ta. Dopo due anni di discussioni e negoziati, in Gior-dania hanno approvato una serie di raccomandazioniin materia di risorse idriche. L’augurio è che que-ste indicazioni siano utili in vari ambiti: implemen-tazione di misure volte a tutelare le infrastruttureidriche nei Paesi colpiti da conflitti; sviluppo di nuo-vi strumenti finanziari per sostenere la cooperazio-ne nel settore idrico; promozione di nuovi mecca-nismi per aiutare gli Stati a risolvere in maniera pacifica i conflitti legati all’acqua; adozione di prov-vedimenti per ridurre l’inquinamento dei fiumi

Distribuzione di acqua potabile tramite camion cisternanel campo profughi Zaatari nel Nord della Giordania.

Conflitti e cooperazione neibacini fluviali transfrontalieri

Numero di interazioni dal 1990 al 2008Relazioni internazionali – sia conflitti che alleanze – legatealle risorse idriche comuni

127+41-12616-404-151-30

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I profughi dell’accampamento di Jammam nel Sudan delSud sono alla disperata ricerca di acqua.

transfrontalieri; analisi della legislazione internazio-nale per chiarire i rapporti tra i Paesi a monte e quel-li a valle.Le conclusioni saranno presentate all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre di que-st’anno. «Per la Confederazione si tratta di una pie-tra miliare», afferma Noura Kayal, responsabile diBlue Peace presso il Programma globale Acqua del-la DSC. Infatti, le Nazioni Unite non dispongonoancora di un organismo preposto a mitigare o ri-solvere le controversie relative alle risorse idriche.«La diplomazia dell’acqua è solo una parte delle nostre attività nel Programma globale», spiega Noura Kayal, «ma ha una notevole influenza sulpiano internazionale».

L’esempio dell’Africa occidentaleBasta volgere lo sguardo all’Africa occidentale percomprendere l’importanza della diplomazia dell’ac-qua. Nel 2016, i membri del Water Panel mondia-le si sono riuniti a Dakar per farsi ispirare dalla capitale del Senegal. Il loro interesse era rivolto al-l’Organizzazione per lo sviluppo del fiume Senegal(Organisation pour la Mise en Valeur du Fleuve Sénégal, OMVS), considerata un autentico model-lo in fatto di cooperazione nel settore idrico.Partendo dalla Guinea, il fiume Senegal scorre ver-

so nord attraverso il Mali, poi lungo il confine traSenegal e Mauritania, per sfociare infine nell’ocea-no Atlantico. Lungo il suo bacino idrografico vi-vono 3,5 milioni di persone, pari a quasi il 20 per

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cento della popolazione di questi quattro Stati. Giàin epoca coloniale vi furono i primi tentativi per mi-gliorare la gestione comune delle acque del fiume.Ma la fase decisiva di questo partenariato risale allafine degli anni Sessanta, quando la regione fu con-frontata con un lungo periodo di siccità che mise inginocchio l’agricoltura e provocò l’esodo delle po-polazioni rurali verso i centri urbani. Questa pro-

Da oltre mezzo secolo, la Guinea, il Mali, il Senegal e la Mauritania cooperano per gestire e sviluppare in comune il fiumeSenegal, una cooperazione presa a modello.

lungata penuria di precipitazioni obbligò i quattroPaesi a prendere decisioni che interessavano tutta l’a-rea. Le opzioni erano due: affrontare la crisi unocontro l’altro o insieme. Scelero la seconda. E così,invece di causare conflitti, la difficile situazionecontribuì a riavvicinare gli Stati.

Avanti insiemeNel 1963 i quattro Paesi sottoscrissero un’intesa, i cosiddetti accordi di Bamako, in cui si indicavache le acque del fiume Senegal avevano statuto internazionale e che era necessario creare un comi-tato misto per lo sviluppo del fiume. Questo accordogettò le basi per la cooperazione degli anni succes-sivi. Malgrado il ritiro della Guinea dall’accordo acausa dei contrasti con il Senegal, gli altri tre Paesicontinuano a cooperare in materia di gestione delfiume transfrontaliero. Nel 1972, Mali, Mauritaniae Senegal si sono riuniti nell’OMVS, concedendoalla poco collaborativa Guinea lo statuto di osser-vatore.Nonostante i conflitti minori e le battute d’arrestodegli anni successivi, nel complesso questa coope-

razione è divenuta un modello da seguire. I tre Pae-si partecipanti hanno beneficiato congiuntamentedell’energia elettrica prodotta dalla diga Manantaliche si trova in Mali, hanno continuato a sviluppa-re l’infrastruttura per la gestione delle risorse idri-che e migliorato la fornitura di acqua. Aspetto an-cora più importante: la realizzazione dell’OMVS edi progetti idrici congiunti ha migliorato i rapporti

di vicinato. Anche con la Guinea, che nel 2006 è ri-entrata nella cerchia dei partner della cooperazione.Oggi i canali, le dighe, le centrali idroelettriche e la navigazione vengono gestiti congiuntamente dai quattro Paesi. La Banca mondiale consideral’OMVS una «robusta organizzazione regionale lacui stabilità finanziaria consente lo sviluppo di pro-getti su larga scala». Nonostante alcune turbolenzegeopolitiche, l’organizzazione ha sempre garantitoche tutti gli Stati membri potessero beneficiare inugual misura dell’acqua. Oltre al fiume Senegal, lacooperazione nel settore idrico sarà ora approfon-dita anche per i fiumi Gambia e Congo. «In Africaoccidentale, i capi di Stato hanno riconosciuto la re-lazione tra acqua, pace e sicurezza», conclude Sun-deep Waslekar dello Strategic Foresight Group. «Leacque si smuovono, purtroppo non velocementecome vorrei». ■

(Traduzione dal tedesco)

Iniziative svizzereOltre a Blue Peace, ilProgramma globale Acquadella DSC promuove tuttauna serie di iniziative e distrumenti. A livello globale,il Global Hydrometry Sup-port Facility and InnovationHub elabora dati idrologiciaffidabili utilizzando stru-menti innovativi. La piatta-forma Earth Security Indexfornisce alle autorità infor-mazioni indipendenti inmateria di politiche delle risorse. A livello regionale, il progetto Bridge (BuildingRiver Dialogue andGovernance) migliora lacapacità di gestione dellerisorse idriche medianteformazioni continue e servizi di supporto. E iWater and Land ResourceCentres sono progettatiper migliorare l’uso e losviluppo di dati idrologici e meteorologici in Kenyaed Etiopia.

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Il mondo ha capito quanto sia importantel’acqua potabile?Sundeep Waslekar: L’importanza dell’acqua comerisorsa è ormai assodata, ma per troppo tempo si èsottovalutato il valore dell’acqua per la sicurezzaglobale.

E ora le cose stanno cambiando?Sì, il tema acqua e conflitti è in cima all’agenda glo-bale. Nel novembre 2016, il Consiglio di sicurez-za delle Nazioni Unite ha tenuto il suo primo di-battito in assoluto su acqua, pace e sicurezza. Chel’ONU abbia riconosciuto l’importanza di questoargomento è da considerarsi un evento storico.

I Paesi che cooperano nel settore idrico nonsi fanno la guerra. È con questa constatazio-ne che lo Strategic Foresight Group si è fat-to un nome.Mi consenta una precisazione: occorre distingueretra cooperazione fondamentale e cooperazione at-tiva. Quando due Paesi collaborano solo a livellotecnico, ad esempio nella gestione delle risorse idri-

che, possono senz’altro nascere dei conflitti. Ma seesiste una cooperazione attiva, a livello politico, siarriva alla pace.

Molti conflitti hanno luogo all’interno degliStati. Quale ruolo ha la cooperazione nel set-tore idrico a questo livello?Abbiamo studiato i meccanismi diplomatici tra dueStati. Nei conflitti interni entrano in gioco altrimeccanismi, di cui ci siamo occupati troppo poconelle nostre ricerche.

Con la Svizzera lei ha promosso, fra le altrecose, l’iniziativa Blue Peace. Quali risultaticoncreti avete conseguito?Potrei citare la Blue Peace Community in MedioOriente grazie alla quale abbiamo avviato un dialo-go sulla cooperazione nel settore idrico con circaduecento responsabili politici dei vari Paesi. Inquesta regione così instabile, la Community restaper ora l’unica piattaforma di dialogo attiva tra Iraq,Giordania, Libano e Turchia. Inoltre abbiamo pro-mosso i negoziati bilaterali sia tra Israele e Palesti-

Il Giordano ha una portata d’acqua sempre minore, anche perché Israele attinge soprattutto a questo fiume per la suaacqua potabile.

Senza dialogo siamo tutti dei perdentiSundeep Waslekar è presidente dello Strategic ForesightGroup, un gruppo di riflessione indiano con sede a Mumbai. Acolloquio con Christian Zeier, l’esperto di cooperazione nel set-tore idrico parla dell’importanza della sua attività e del ruolodella Svizzera in ambito di diplomazia globale dell’acqua.

Sundeep Waslekar è unrinomato specialista in am-bito di risoluzione dei con-flitti e di buongoverno.Sotto la sua direzione, il la-boratorio di idee StrategicForesight Group con sedea Mumbai, in India, ha col-laborato con 50 Paesi diquattro continenti. Le ideee i consigli di Waslekarvengono discussi, fra gli altri, nel Parlamento euro-peo, nel Parlamento in-diano, in vari forum delleNazioni Unite e durante ilWEF di Davos. Dal 2014,Waslekar è anche collabo-ratore scientifico presso ilCentre for the Resolutionof Intractable Conflictsdell’Harris ManchesterCollege dell’Università diOxford.

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na, sia tra Iraq e Turchia. Questi due ultimi Statiintendono costruire insieme alcune dighe e inten-sificare lo scambio di informazioni. Tutto questonon esisteva prima che venisse lanciata l’iniziativa.

Soprattutto in regioni come il Medio Orien-te, l’acqua è anche un mezzo di pressione po-

litica. Com’è possibile convincere i politici acooperare?Bisogna favorire i colloqui tra i responsabili politi-ci. Tra la Turchia e l’Iraq all’inizio le resistenze era-no enormi. Grazie ai vari incontri è stato possibilecreare una base su cui si è riusciti a intavolare undialogo. Ci sono però anche dei limiti. Per esem-pio, quando si incontra un leader come Assad nonsi può fare nulla. La Siria non era interessata a undialogo nemmeno prima della guerra civile.

Con l’High Level Panel on Water and Peaceintende realizzare un’infrastruttura globaleper la cooperazione nel settore idrico. Se-condo le sue dichiarazioni, in questo modoè possibile migliorare l’esistenza di 2,3 mi-liardi di persone. In che modo?Sarebbero soprattutto i popoli dell’America latina,dell’Asia e dell’Africa a beneficiare di una simile in-frastruttura per l’acqua e la pace. I Paesi in via disviluppo ospitano 200 dei 286 bacini fluviali trans-frontalieri al mondo, in cui vivono oltre due mi-liardi di persone. Una cooperazione più intensa e unamaggiore stabilità ne migliorerebbero l’esistenza.

200 dei 286 bacini fluviali transfrontalieri, tra cui anche ilMekong, si trovano in Paesi in via di sviluppo.

Le cooperazioni nel settore idrico funziona-no prevalentemente a livello regionale. Quel-la lungo il fiume Senegal, per esempio, è con-siderata un successo. Per quale motivo sonorichieste strutture globali?L’argomento principale a favore di un meccanismoglobale è che quest’ultimo può sostenere le co-operazioni idriche regionali. Prima di tutto, in unaregione deve esserci la volontà politica di coope-rare. Poi occorre il sostegno diplomatico e finan-ziario da parte della comunità internazionale. Il fiu-me Senegal è un buon esempio: qui la collabora-zione è iniziata a livello regionale ed è stata poisostenuta da donatori internazionali.

E se l’idea di una cooperazione globale nelsettore idrico dovesse fallire?Gli effetti più drammatici li vediamo in MedioOriente. Per anni i Paesi della regione hanno avu-to l’opportunità di intensificare la cooperazione nelsettore idrico. Ma non l’hanno fatto. Pensavano chel’acqua fosse troppo preziosa e importante per laloro sicurezza. Ora, in molti territori sono gruppinon governativi o terroristici a controllare le infra-strutture idriche. Così gli Stati hanno perso tutto.

In settembre, il Global High Level Panel presenterà il proprio rapporto alle NazioniUnite. L’iniziativa diventerà un braccio sup-plementare della burocrazia dell’ONU?I 15 Paesi partecipanti hanno lanciato l’iniziativavolutamente al di fuori delle Nazioni Unite, affin-ché fosse meno burocratica. In questo modo han-no potuto essere un po’ più audaci e creativi. Maovviamente l’ONU ha molte più possibilità a li-vello di attuazione. Ecco perché le raccomandazionisaranno sottoposte alle Nazioni Unite. E in segui-to si vedrà come potranno essere concretizzate at-traverso le strutture esistenti.

Quale ruolo può avere un piccolo Paesecome la Svizzera in ambito di diplomaziaglobale dell’acqua?La Svizzera è apprezzata per la sua neutralità. Maanche la sua capacità innovativa è eccezionale inambito sia tecnico sia sociale. Il sistema politico, peresempio, è esemplare. I suoi principi fondamenta-li, il dialogo e l’inclusione possono essere applicatiin tutto il mondo. Fin tanto che i leader politici del-la Svizzera saranno consapevoli di questi atout, ilPaese potrà avere un ruolo molto importante. ■

(Traduzione dal tedesco)

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Export senza democraziaL’economia centro-asiaticadipende dall’esportazionedi materie prime.L’economia del Kazakis-tan, per esempio, poggiaper oltre due terzi sulleesportazioni di petrolio,gas naturale, carbone emetalli. Inoltre, le nazioni li-mitrofe vendono all’esteroenormi quantità di oro, co-tone e alluminio primario.La povertà è molto diffusain tutta la regione. Mancan-do prospettive e investi-menti nelle infrastrutture,molti lavoratori migranoverso la Russia. Pur es-sendo culturalmente etero-genee, le ex Repubblichesovietiche hanno sistemipolitici simili, con l’ecce-zione del Kirghizistan, doveun sistema multipartiticoconsente elezioni almenosemilibere. Negli altri Paesinon c’è stato alcun cambioai vertici negli ultimi 25 anni.

(cz) L’Asia centrale è un caso particolare in mate-ria di cooperazione nel settore idrico. In questa re-gione non è la mancanza di strutture transfronta-liere, bensì la loro gestione a essere all’origine deicontrasti tra gli Stati. In passato Kazakistan, Kir-ghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistanappartenevano all’Unione Sovietica e facevanoparte di un’infrastruttura idrica regionale. Con lacaduta dell’URSS il settore idrico statale è collas-sato. Per anni non si è più investito nella manu-tenzione e il personale si è trasferito altrove; è ini-ziato così un lento degrado degli impianti. Oggitroviamo due Paesi ricchi d’acqua ma poveri dienergia, Kirghizistan e Tagikistan, contrapposti atre Paesi poveri di acqua ma ricchi di energia, Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan.«Lo sviluppo demografico e la crescente domandadi acqua stanno alimentando un focolaio di crisinella regione», scrive il Centro di studi per la si-curezza del Politecnico di Zurigo. Che simili in-teressi contrastanti possano avere delle ripercussioninon solo sulla regione, bensì anche su Paesi lonta-ni, per esempio tramite i movimenti migratori, loaveva constatato già nel 2008 l’allora ministra de-

gli esteri Micheline Calmy-Rey in occasione della Conferenza annuale della cooperazione sviz-zera con l’Europa dell’Est. Per questo motivo, gli Stati dell’Asia centrale dovevano essere aiutati adaffrontare i conflitti legati alle risorse idriche.

Puntare sul dialogoNel quadro di un programma regionale, la Sviz-zera sostiene le riforme nel settore della gestionetransfrontaliera delle risorse idriche, promuove lagestione efficiente delle acque e il dialogo fra le par-ti. Dopo le visite del presidente della Confedera-zione Didier Burkhalter in tutti e cinque gli Statidell’Asia centrale, nel 2014 diversi parlamentari diquesti Paesi si sono riuniti in conferenza a Basilea,convenendo sulla necessità di istituire una piatta-forma regionale per favorire il dialogo ad alto li-vello nel settore dell’acqua. Ispirandosi al proget-to svizzero in Medio Oriente (vedi articolo a pag.15), la DSC ha lanciato l’iniziativa Blue Peace Asiacentrale. Il progetto persegue l’obiettivo di mi-gliorare la gestione dei bacini idrici transfrontalie-ri e di promuovere la formazione di una nuova ge-nerazione di esperti in materia di acqua.

Per cooperare serve fiduciaDopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, in Asia centraleanche il settore idrico statale è crollato. Gli Stati della regionesono alla ricerca di nuove soluzioni per migliorare la coopera-zione nella gestione dei fiumi transnazionali. Dal canto suo, laSvizzera investe nella ricerca e nel dialogo.

Grazie al fiume Syrdarja, il Tagikistan e il Kirghizistan sono dei Paesi ricchi d’acqua. A causa della cattiva gestione dellerisorse idriche, i due Paesi sono però poveri di energia elettrica.

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Nel 2016, il Kazakistan ha organizzato, con il so-stegno della Svizzera, una conferenza scientificasulle risorse idriche centro-asiatiche e sul loro sfrut-tamento alla quale hanno partecipato alti delegatiprovenienti da Uzbekistan, Turkmenistan e Tagi-kistan. Nel maggio di quest’anno, un altro conve-gno sulla gestione delle risorse idriche si è tenutonel quadro dell’Esposizione mondiale di Astana.Fra le altre cose, sono stati presentati i primi risul-tati di uno studio commissionato dalla Svizzera incui vengono illustrate le ragioni per cui in Asia cen-trale la cooperazione nel settore idrico non fun-ziona come dovrebbe e quali sono le ripercussio-ni economiche per gli Stati della regione. In que-sto modo l’indagine cerca di fornire un contributosignificativo alla cooperazione transfrontaliera nelsettore idrico.

Servono risorse per cooperare«I Paesi sanno molto bene che la cooperazione puòportare loro dei benefici. Il problema principale inAsia centrale non è questo», spiega Benjamin Pohl,che ha seguito lo studio per l’Istituto di ricerca te-desco Adelphi. Dopo la caduta dell’Unione So-vietica, i politici hanno rivolto la loro attenzioneinnanzitutto ad assicurarsi il potere a livello nazio-nale. Per questo motivo l’infrastruttura esistente,che era pensata per una gestione a livello transna-zionale, in questo momento non può più esseresfruttata in maniera efficiente.Durante il regime sovietico, per esempio, lo sfrut-tamento delle acque del fiume Syrdarja era piani-ficato centralmente. In tal modo era possibile sod-disfare le esigenze degli Stati a valle, che per la loroposizione geografica dipendono in parte dalle at-tività dei Paesi a monte. Dopo il crollo dell’URSSsi è cercato di regolare la gestione delle risorse idri-che mediante degli accordi. D’inverno, Uzbeki-stan e Kazakistan avrebbero dovuto vendere ener-gia elettrica agli Stati a monte, che in cambio si sarebbero preoccupati di far giungere a valle acquaa sufficienza. «L’idea era giusta, ma l’accordo nonha funzionato», spiega Benjamin Pohl. Entrambele parti non sono riuscite ad adempiere ai loro ob-blighi, anche perché non disponevano di capacitàsufficienti. «Questa situazione ha minato la fiduciafra i Paesi. Sono aspetti che occorre tenere sottocontrollo, se si vogliono evitare dei problemi trans-frontalieri».

Timidi passi avantiSecondo Pohl, la situazione attuale è caratterizza-ta da un utilizzo dell’acqua poco efficiente, da ri-vendicazioni parzialmente conflittuali, da forti di-pendenze e da priorità date a progetti nazionali.«Continuando di questo passo, i costi e i rischi per

L’Uzbekistan e il Kazakistan sono confrontati con la graduale scomparsa del lago d’Aral.

i Paesi saranno sempre maggiori», spiega il ricer-catore. Nella peggiore delle ipotesi la mancanza dicooperazione, combinata con altri fattori, potreb-be causare conflitti tra i Paesi o il tracollo di sin-goli Stati.Dalla regione giungono però anche note positive.Da una parte, i Paesi sono stati in grado di evitareconflitti maggiori. Dall’altra si stanno registrandodei progressi. «A più riprese ci sono stati dei pro-mettenti tentativi per migliorare la cooperazione.Lo scorso anno questo avvicinamento ha coinvol-to i più alti vertici politici», afferma BenjaminPohl. Che tale cooperazione non debba avveniresubito al più alto livello regionale è un’altra con-clusione a cui giunge lo studio. «La cooperazionetecnica e amministrativa a livello locale e bilatera-le può essere un ottimo inizio», afferma Pohl.«Grazie alla fiducia riconquistata è possibile mi-gliorare anche le istituzioni regionali». ■

(Traduzione dal tedesco)

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Il Giordano, fiume conteso da vari Stati, porta sempre meno acqua e di conseguenza il Mar Morto si ritira a una velocità di un metro e mezzo all’anno.

(cz) Il Mar Morto sta lentamente scomparendo.Negli ultimi 60 anni, l’afflusso del fiume Giorda-no si è ridotto di dieci volte, mentre l’acqua lun-go le sponde del mare si ritira a una velocità di unmetro e mezzo all’anno. Ciò è dovuto in parte adIsraele, che attinge la sua acqua potabile principal-mente dal questo corso d’acqua. Ma anche gli al-tri Stati attraversati dal Giordano (Libano, Siria eGiordania) reclamano la loro parte. La cattiva ge-stione dell’acqua, una risorsa rara nella regione, èun enorme problema per il Medio Oriente, che ècosì confrontato con una crisi idrica.Stando a una classifica del World Resources Insti-tute (WRI), un gruppo di riflessione indipenden-te statunitense con sede a Washington, Palestina,Israele, Iran, Libano e Giordania sono fra i 15 Pae-si che entro il 2040 saranno particolarmente toc-cati dalla scarsità d’acqua; è un’evoluzione che inuna regione già ricca di tensioni come questa, potrebbe generare altri conflitti, sostengono gliesperti del WRI.

Il costo della guerraSu iniziativa della Svizzera, lo Strategic ForesightGroup (SFG), gruppo di esperti indipendenti in-diani, ha pubblicato uno studio sul costo causatodai conflitti in Medio Oriente. Per la prima voltasi è potuto leggere nero su bianco qual è stato ilprezzo che hanno dovuto pagare i Paesi della re-gione in termini economici, militari e politici. Sea partire dal 1991 fosse regnata la pace, tale la con-clusione dello SFG, in quasi vent’anni la regionesi sarebbe ritrovata con 12 trilioni di dollari in più.Come se ciò non bastasse, la penuria d’acqua po-trebbe rendere i conflitti futuri ancora più deva-stanti.Su questa base, insieme alla Divisione Sicurezzaumana (DSU) del DFAE, la DSC ha lanciato l’i-niziativa Blue Peace in Medio Oriente. La Sviz-zera ha finanziato un secondo studio dello SFG che formula dieci raccomandazioni a breve, me-dio e lungo termine per affrontare la crisi idrica nel-la regione. «In passato ci sono già state delle co-

La crisi idrica in Medio OrienteForse nessun’altra regione al mondo ha vissuto negli ultimi annitanti conflitti come il Medio Oriente. Qui l’acqua è una sfidaenorme, ma anche un’opportunità di cooperazione. Per que-sto motivo la Svizzera ha lanciato l’iniziativa Blue Peace.

Dalla siccità alla guerrain SiriaL’acqua ha un ruolo sem-pre più importante nei con-flitti sia interni che esterni.Un esempio sconcertanteè la guerra civile in Siria.Tra il 2005 e il 2010, lasiccità ha spinto alla rovinaoltre un milione di famigliedi agricoltori. In centinaia dimigliaia hanno perso ognimezzo di sussistenza, fug-gendo per sopravvivereverso i centri urbani.Anche questa catastrofeha favorito le proteste contro il governo siriano,sfociate nell’attuale guerra civile. Il presidente Basharal-Assad aveva tagliato i sussidi per le derrate alimentari e il carburante,peggiorando così la già difficile situazione dei profughi.

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operazioni per gestire l’acqua», spiega Mario Ca-rera, che ha accompagnato l’iniziativa, dapprimacome funzionario della DSU e poi come consu-lente esterno. «Ora stiamo cercando di promuo-vere una collaborazione anche a livello politico enon solo tecnico».Sono stati formulati due obiettivi principali: in pri-mo luogo l’istituzione di un Alto consiglio di co-operazione regionale per l’acqua che sviluppi unavisione comune e metta a disposizione gli stru-menti concreti per la sua attuazione. In secondoluogo la sensibilizzazione e il sostegno concreto deidiversi attori sul campo. Originariamente eranosette i Paesi coinvolti: Turchia, Libano, Siria, Gior-dania, Iraq, Israele e Palestina. Gli ultimi due sonostati ben presto esclusi a causa della mancata riso-luzione dei loro conflitti. In Siria le attività sonostate ridotte al minimo a causa della guerra civile.

Successi e contraccolpiA sette anni dal lancio dell’iniziativa Blue Peace siè fatto un primo bilancio della situazione. Graziealla diffusione di oltre cinquecento articoli, servi-zi radio e televisivi è stato possibile raggiungeremolte persone nella regione, sensibilizzandole sul-la necessità di collaborare nel settore idrico. Sonostati compiuti progressi nella cooperazione lungoil bacino idrografico del fiume Oronte. Inoltre at-traverso incontri transnazionali fra politici, esper-ti e rappresentanti dei media si sono gettate le basiper la Blue Peace Community.Ma l’obiettivo principale, la creazione di un Con-siglio di cooperazione che coinvolga i vertici politici, non è ancora stato raggiunto. «I conflittinella regione hanno frenato i progressi», affermaMario Carera. «Noi continuiamo però a persegui-re il nostro obiettivo. Solo con una struttura so-

La Turchia e l’Iraq hanno intensificato la cooperazione per lo sfruttamento del Tigri, una cooperazione che è un barlumedi speranza nella regione.

vranazionale per gestire la cooperazione è infattipossibile passare dalle parole ai fatti». Carera sottolinea che gli incontri avvenuti nel quadro della Blue Peace Community hanno permesso di sviluppare una cultura comune positiva. Inoltre siregistrano alcuni timidi progressi anche nel qua-dro della cooperazione bilaterale. Esperti in mate-ria di acqua provenienti da Israele e Palestina avreb-bero ripreso il dialogo. Dal canto loro, Turchia eIraq hanno intensificato la cooperazione sul Tigri.

L’acqua come arma politica?La terza fase del progetto DSC-DSU continua sinoalla fine del 2018. Oltre a consolidare il Consigliodi cooperazione transregionale per l’acqua, occor-re concretizzare progetti specifici nei bacini idro-grafici dei fiumi Tigri e Yarmuk. Gli obiettivi sonoambiziosi, le difficoltà rimarranno le stesse.«Ci troviamo di fronte a Paesi molto patriottici»,spiega Mario Carera. Nella regione l’acqua vienespesso usata come arma politica, il che complica lacooperazione transnazionale. Il vero problema nonè accordarsi su una soluzione nel quadro di un col-loquio, bensì difendere e promuovere l’intesa nel-l’ambito delle politiche dei singoli Paesi.I successi conseguiti in altre regioni, come la co-operazione sul fiume Senegal (vedi testo a pag. 9),possono facilitare i negoziati. «Questi esempi cipermettono di presentare agli attori i benefici chepotrebbero trarre da una cooperazione», spiegaMario Carera. Nel frattempo tale strategia sembraportare i primi frutti. Alla luce delle positive espe-rienze maturate in Africa occidentale, c’è chi chie-de di riprodurre un modello analogo anche in Me-dio Oriente. ■

(Traduzione dal tedesco)

Impegno in MedioOrienteL’impegno della DSC inMedio Oriente si concentraprincipalmente su Siria,Libano, Giordania e Iraq.Nella sola Siria, oltre 13milioni di persone dipen-dono dagli aiuti umanitari.Anche i Paesi limitrofi, chehanno accolto molti profu-ghi, si fanno carico di unenorme onere legato allacrisi. Gli obiettivi principalidella Svizzera sono contri-buire a creare condizioni divita sicure per le personecolpite dal conflitto e risol-vere e prevenire i conflitti.A tale scopo la Confedera-zione fornisce contributi fi-nanziari e materiali a orga-nizzazioni umanitarie eagenzie per lo sviluppo, attua progetti propri, inviaesperti tecnici del Corposvizzero di Aiuto umanita-rio (CSA) e promuove il co-ordinamento internazionalee la diplomazia umanitaria.

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Fatti e cifre

Acqua e conflitti

Altre cifre chiave• Entro il 2050, 4 miliardi di persone potrebbero vivere in

regioni soggette a scarsità d’acqua. • In tutto il mondo, soltanto l’8 per cento dell’acqua potabile

è utilizzata dalle economie domestiche. Il 22 per cento viene impiegato nell’industria e il 70 per cento in agricoltura. Maggiore è il reddito pro capite di un Paese, maggiore è anche il consumo di acqua potabile per l’industria. In alcuni Paesi poveri il 10 per cento dell’acqua viene impiegato per la produzione, negli Stati ricchi questa quota è del 60 per cento.

• Il Programma globale Acqua della DSC coordina una quarantina di programmi, progetti e iniziative a livello bilaterale e multilaterale.

• Tra il 2013 e il 2016, la DSC ha investito 327,7 milioni di franchi nel settore dell’acqua.

Conflitti legati all’acqua Centinaia di esperti stilano annualmente una graduatoria dei maggiori rischi per il mondo nel Global Risks Report del Forumeconomico mondiale WEF. Dal 2012, le crisi legate all’acqua occupano i primi posti di questa speciale classifica. «Le tensionitra regioni rurali e urbane e tra regioni più povere e più ricche aumenteranno», si legge nel rapporto. Mancano inoltre le possibi-

lità di reagire. Infatti, i governi e le popolazioni non dispongonodelle infrastrutture di cooperazione necessarie per gestire il 60 per cento delle acque transfrontaliere.

Link• Facts and Trends, UN Water

www.unwater.org (Water Facts and Trends)• Water for People, Water for Life, United Nations World

Water Development Report, UNESCO http://unesdoc.unesco.org

• Global Risks Report del WEF 2017 http://reports.weforum.org (Global Risks)

• The World’s Water, Pacific Institute http://worldwater.org

Citazioni«Il rischio di un conflitto a causa dell’acqua

aumenta, a seguito di un’accresciuta concorrenza,

di una pessima amministrazione e dei cambia-

menti climatici».

Peter Gleick, ricercatore ambientale e presidente

dello US Pacific Institute.

2,7 miliardidi persone non dispongono di acqua a sufficienza per almeno un mese all’anno.

97 per centodell’acqua terrestre è salina e, pertanto, non potabile. Del rimanente 3 percento, il 2,5 per cento si trova nei ghiacciai e nelle calotte polari. Ad esserepotabile è quindi solo lo 0,5 per cento dell’acqua.

10 milioni di km3di acqua potabile si trovano nel sottosuolo. È di gran lunga la maggiore riserva idrica sulla Terra. Le precipitazioni (119000 km3), i laghi naturali (91000 km3), i bacini artificiali (5000 km3) e i fiumi (2120 km3) sono le altrefonti d’acqua dolce disponibili.

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ORIZZONTI

In Bosnia ed Erzegovina le frontiere possono a vol-te anche dividere in due un edificio. È il caso, peresempio, della sede del ginnasio della città di Trav-nik, nel centro della Bosnia: la parte destra del pa-lazzo è stata ristrutturata e ridipinta con un bel co-lore azzurro; l’ala sinistra invece è gialla, l’intona-co si stacca dai muri e il piano terra è imbrattato digraffiti. «Ma la cosa più grave è questo», dice Ja-smin Alibegovic, indicando un recinto che separain due anche il cortile della scuola. L’idea era di avere «due scuole sotto lo stesso tet-to». Ma ciò che doveva essere un progetto comu-nitario, in realtà serve invece solo a dividere. Nel-la parte sinistra dell’edificio, quella fatiscente, visono le classi dei bambini bosniaci musulmani, nel-la parte destra quelle dei croati cattolici. Vi sonodue ingressi, due programmi didattici che propon-gono una diversa interpretazione della storia e del-l’identità nazionale. L’inizio delle lezioni non co-incide e nemmeno la ricreazione si svolge nello stes-so momento.A Jasmin Alibegovic tutto ciò non piace. Bosniacie croati sono uguali esteriormente e anche le lin-

Alcuni giovani nella periferia di Sarajevo, capitale della Bosnia ed Erzegovina dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 70 per cento.

gue sono praticamente identiche. La cosa che dàpiù fastidio al diciottenne è che in genere la mag-gior parte dei cittadini di Bosnia ed Erzegovina sidefinisce in primo luogo bosniaca, serba o croata.Mentre sorseggia una limonata seduto in un caffè,passa il braccio attorno alle spalle dell’amico, Ve-dran Škobic. «Non capisco – gli dice – perché tidefinisci croato solo per il fatto che sei cattolico.Come se non fossimo tutti bosniaci». Vedran ridee gli risponde: «Non è proprio così semplice».

Un Paese, tre popoli Effettivamente, la vita in Bosnia ed Erzegovina nonè per niente semplice. Le profonde divisioni af-fondano le loro radici nella guerra che ha causatocentomila morti e lo sfollamento di più della metàdella popolazione. Ormai sono passati più di 20anni, ma da allora il Paese è diviso lungo le linee didemarcazione etnica. Secondo i principi sancitidalla Costituzione, la Bosnia ed Erzegovina è co-stituita da tre popoli e di conseguenza vi si parlanotre lingue: bosniaco, croato e serbo. Ogni popoloha diritto a un’istruzione scolastica nella propria lin-

Un Paese diviso e immobileI giovani non hanno futuro in Bosnia ed Erzegovina. L’elevatadisoccupazione, le tensioni etniche e la mancanza di riformefanno svanire i loro sogni di un avvenire in patria. E così molti partono per rifarsi una vita all’estero, voltando definiti-vamente le spalle alle loro terra. Di Dirk Auer, Sarajevo*.

Complesso sistema di governo Il Trattato di Dayton, chenel 1995 ha messo finealla guerra in Bosnia edErzegovina, è stato moltodi più di un semplice ac-cordo di pace. Con il trat-tato, i mediatori internazio-nali hanno imposto anchela ricostruzione del futuroStato. Ciò che sulla cartasuonava bene – decentra-lizzazione e la suddivisionedel potere fra i gruppi et-nici – a livello nazionale haportato alla costituzionedel sistema di governoforse più complesso almondo: tre presidenti, dueentità, 14 cantoni, 16 go-verni e oltre 160 ministri.Oltre a essere caro e assurdo, a causa delle rigide quote da rispettaree dei diritti di veto dei varigruppi etnici, la Costitu-zione bosniaca ha pratica-mente istituzionalizzato gliscontri tra le comunità bo-sniaca, serba e croata. Equesto a sua volta fa ilgioco dei partiti nazionali-sti, che influenzano ancoraoggi il panorama politico.

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Bosnia ed Erzegovina

gua. La maggior parte della popolazione bosniacaconvive con i croati nella Federazione di Bosnia edErzegovina, mentre i serbi sono riuniti nella Re-pubblica di Srpska.Jasmin non ha alcuna voglia di partecipare a que-sto dibattito sull’identità. «Come se non ci fosseroaltri problemi», dice. La disoccupazione ha rag-giunto livelli incredibili e sfiora il 50 per cento. Trai giovani, il tasso dei senza lavoro è addirittura del70 per cento. Ma anche chi un lavoro ce l’ha, sten-

Bosnia ed Erzegovinain sintesi

CapitaleSarajevo

Superficie51197 km2

Popolazione3,5 milioni

Speranza di vita76 anni

Etnie e religioniBosniaci (musulmani):50,1% Serbi (serbo-ortodossi): 30,8% Croati (cattolici): 15,4%

Prodotti di esportazioneMetalli e prodotti metallici,tessili, minerali, legno, mobili

Rami economici I rami economici più im-portanti della Bosnia edErzegovina sono il settoredell’energia e la lavora-zione del metallo. Anchel’agricoltura continua adavere una notevole impor-tanza, visto che generacirca il 9 % del prodotto interno lordo. La Bosnia ed Erzegovina beneficiainoltre di un importante sostegno da parte dei migranti (rimesse nel 2015:più del 15% del PIL).

ta a sbarcare il lunario. Il reddito medio è di 400euro al mese. Per non parlare del clientelismo, delnepotismo e della corruzione dilagante, in cui ci siimbatte quotidianamente a tutti i livelli.

La diaspora che non fa ritornoNon c’è quindi da meravigliarsi se molti giovani ve-dono una sola soluzione: lasciare il Paese. Ognianno partono a decine di migliaia. Di solito sonole persone con una buona formazione a cercare unfuturo migliore all’estero. Ben presto anche Jasmine Vedran si uniranno a coloro che sono andati al-trove a cercare fortuna. In questo momento fre-quentano una scuola superiore medica a Travnik.Sanno infatti che il personale medico specializzatoè richiesto in Europa occidentale. Per la Bosnia ed Erzegovina è stata finora vana lasperanza di vedere gli emigranti fare ritorno in pa-tria, portando in dote un bagaglio di esperienze maturate all’estero. Una delle poche migranti di ritorno è Ines Tanovic. Seduta in un caffè di Sara-jevo, la giovane donna ordina un espresso. È origi-naria di Mostar e ha studiato storia dell’arte a Bu-

Tre popoli, tre lingue, tre governi: la Bosnia ed Erzegovina ha forse il governo più complesso al mondo e un apparatostatale che ha istituzionalizzato i contrasti etnici.

gozi di artigianato e caffè. Vi è una scena cultura-le vivace e, anche per il resto, chi la osserva dall’e-sterno, non intravede nulla che ricordi la guerra ei tre anni di assedio della città. Quando parla delladistruzione onnipresente, Ines non si riferisce tan-to ai segni sui muri delle case lasciati dalle bombea mano; segni ancora ben visibili nelle zone peri-feriche della città. La giovane donna si riferisce piut-tosto alle ferite lasciate dalla guerra nella gente, fe-rite non ancora rimarginate. «Ovunque regna unagrande apatia», dice Ines.

Le proteste non sono serviteE poi è successo qualcosa che nessuno si aspettava.Tre anni fa, come un fulmine a ciel sereno la rab-bia del popolo, soffocata e tenuta dentro per cosìtanto tempo, è esplosa sulle strade. Tutto è inizia-to a Tuzla, una città industriale un tempo prospe-rante, dove oggi più della metà della gente è senzalavoro. Per settimane gli operai della fabbrica di de-tersivi Dita si sono radunati dinanzi alla sede del go-verno cantonale per chiedere a gran voce di poterparlare con i dirigenti. Le loro contestazioni non

dapest e Zagabria. Poi è tornata in Bosnia ed Er-zegovina per lavorare per l’ufficio stampa del Sara-jevo Film Festival. «All’inizio vivevo come in unabolla», racconta. «Rimanevo chiusa nel mio mi-crocosmo, dove era facile negare la realtà che micircondava». E infatti non ci vuole molto per negare la realtà, al-meno nella capitale. La città vecchia di Sarajevo daanni ha ripreso ad attirare turisti di ogni dove; nel-le sue viuzze e stradine si susseguono piccoli ne-

Bosnia edErzegovina

Montenegro

Slovenia

Albania

Serbia

Italia

Mar Adriatico

Croatia

Sarajevo

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Nel febbraio 2014, migliaia di persone sono scese in piazza per sfogare la loro rabbia, hanno preso d’assalto e incendiato il palazzo governativo a Sarajevo.

hanno però prodotto alcun risultato. Almeno finoa quando altri scontenti si sono uniti a loro: lavo-ratori, operai e disoccupati, pensionati, studenti einvalidi di guerra. Migliaia di persone sono scese inpiazza, hanno preso d’assalto e incendiato il palaz-zo governativo. È stata la scintilla che ha fattoesplodere le proteste, andate avanti per giorni egiorni, e che si sono estese a macchia d’olio fino acoinvolgere quasi tutte le maggiori città della Bo-snia ed Erzegovina.

La fame è uguale per tuttiInes ricorda che si sentiva percorsa da una specie dicorrente elettrica. Finalmente vi erano delle perso-ne che si ribellavano. «Abbiamo visto come la gen-te si è spazientita e arrabbiata e ha finalmente pre-teso che qualcosa cambiasse». Ed è stata la primavolta che si è alzata una protesta che non fosse mos-sa da uno spirito nazionalista. «Sin dall’inizio, la ri-volta veicolava un messaggio sociale», spiega Ines.La povertà e la disoccupazione fanno infatti soffri-re tutti allo stesso modo: bosniaci, serbi e croati.«Abbiamo fame in tutte e tre le lingue», era unodegli slogan scanditi nelle piazze. Si parlava di uninizio democratico, addirittura di una «primaverabosniaca».Ma poi, con il passare del tempo, le proteste si sonoplacate. Dopo sei mesi, le elezioni hanno riporta-to al potere esattamente gli stessi partiti e le stessefacce. Così le persone sono ricadute nell’apatia esono di nuovo finite preda del pessimismo. «Ora ètornata la stabilità», dice Ines con cinismo. Ed è que-sta la cosa più importante per i politici europei. Maper Ines proprio qui sta il problema; nel fatto chetutto è così stabile, che non cambia nulla.Da tempo, analisti e organizzazioni internazionalisi scervellano per trovare delle soluzioni per supe-

rare questa situazione di immobilismo politico.Ogni anno vengono pubblicati decine di nuovi rap-porti e il dibattito è sempre più caratterizzato da ungenerale cinismo. Infatti la causa dei problemi ènota: un apparato statale che non funziona, che èstato gonfiato e che ha istituzionalizzato i contrastietnici a tutti i livelli. Al momento non si intrave-dono figure di spicco che potrebbero o vorrebbe-ro attuare le riforme di cui il Paese ha così urgen-te bisogno. «Le riforme non possono essere attuate dall’inter-no», costata Kurt Bassuener del DemocratizationPolicy Council. Sono troppi i vantaggi che i poli-tici locali traggono dall’attuale sistema. Per questomotivo sono anni che l’analista esige, senza suc-cesso, un intervento determinato da parte dell’UE.Visti tutti i focolai di guerra nel mondo, a Bruxel-les si è già felici se almeno in Bosnia ed Erzegovi-na regna la calma. «Ma confondono la calma conla stabilità vera», critica Bassuener.E così l’esodo della popolazione continua. JasminAlibegovic di Travnik riflette a lungo, prima di ri-spondere alla domanda su cosa potrebbe indurlo arestare in Bosnia ed Erzegovina. Ama il suo Paese,che non gli offre però alcuna prospettiva, dice. «Eil nazionalismo in politica è sempre più forte, an-che se nella vita di ogni giorno andiamo tutti ab-bastanza d’accordo». Vedran Škobic, il suo amicocroato, annuisce. Insieme a Jasmin ha preso una de-cisione. Tra non molto emigreranno in Germaniaper costruirsi una nuova vita. ■

Dirk Auer è giornalista freelance per i Paesi del Sud-esteuropeo. Vive a Belgrado.

(Traduzione dal tedesco)

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Sul campo con… Barbara Dätwyler Scheuer, responsabile del Programma di cooperazione svizzero in Bosnia ed Erzegovina e capo missione supplente

Creare prospettive Il Trattato di pace diDayton del 1995 ha postofine alla guerra in Bosnia.Ma ancora oggi la Bosniaed Erzegovina è conside-rata politicamente e etni-camente fragile. LaSvizzera vuole creare pro-spettive politiche, socialied economiche per le per-sone e sostenere il Paesenel suo cammino versol’integrazione europea. I progetti sono finanziatisoprattutto dalla DSC edalla SECO, ma anche laSegreteria di Stato per la migrazione è attiva inBosnia ed Erzegovina. LaSvizzera è il quarto Paesedonatore in ordine di im-portanza, dopo l’UE, gliUSA e la Germania, e conil suo programma, incen-trato sui temi governancedemocratica, sanità, eco-nomia, occupazione e migrazione, gode di un’ottima reputazione.

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Da quasi un anno, mio marito ed io abitiamo a Sarajevo insieme a due cani che abbiamo «preso inaffitto» con la casa e il grande giardino coltivato afrutteto. Sarajevo è una città affascinante, intrisa distoria e di culture diverse. In Bosnia ed Erzegovinale tracce dell’ultima guerra sono onnipresenti e lasocietà è tuttora lacerata. Il sistema politico è fra ipiù complessi al mondo. Il Paese è diviso in due en-tità, la federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica di Srpska. Vi è poi il distretto specialedi Brcko. I tre maggiori gruppi etnici, i bosniaci mu-sulmani, i serbi ortodossi e i croati cattolici, nomi-nano ciascuno un loro rappresentante nell’ufficiopresidenziale. Le minoranze, per esempio gli ebreie i rom, sono invece escluse da questa e da altre funzioni politiche. Una modifica costituzionale sarebbe necessaria da tempo; manca però la volon-tà politica.

Questo sistema di governo si ripercuote anche sulla nostra attività quotidiana poiché richiede undoppio o un triplo impegno da parte nostra. Peresempio, quale responsabile del Programma di co-operazione svizzero devo curare i contatti sia con ilministro della sanità della Federazione a Sarajevo

sia con il suo omologo della Repubblica di Srpskaa Banja Luka. I nostri progetti sono sempre attuatiin tutte le regioni del Paese. Questo ci dà la possi-bilità di riunire persone appartenenti a tutti i grup-pi etnici.

Collaboriamo con la metà dei comuni in Bosnia edErzegovina. Grazie a una pianificazione efficiente edi prossimità al cittadino, negli ultimi anni i comu-ni sono riusciti a stanziare circa 50 milioni di fran-chi in più rispetto al passato, milioni che sono statiimpiegati per realizzare dei progetti infrastrutturalia lungo attesi.

«A causa della loro identi-tà, molte persone non

hanno accesso ai servizi,sono escluse da qualsiasiopportunità professionaleo non possono partecipare

ai processi politici».

La disoccupazione giovanile è molto elevata. Mol-ti giovani vorrebbero restare in Bosnia ed Erzego-vina, Paese che però offre loro poche prospettive.Ecco perché li aiutiamo a migliorare le loro quali-fiche e conoscenze affinché abbiano delle buonecarte da giocare sul mercato del lavoro.

É proprio con i giovani che finora ho avuto le di-scussioni più appassionanti. Alcuni sono molto inte-ressati alla problematica degli stereotipi di genere elottano contro la violenza sulle donne. Cresciuti acontatto con la droga e gli abusi, questi giovani uo-mini sono cambiati, sono diventati più autocriticinei confronti dei propri comportamenti e si dannoda fare per cambiare il mondo che li circonda. Ecco,sono queste le persone che vogliamo individuare,sostenere e incoraggiare, i cosiddetti actors of changeche si impegnano per un cambiamento concreto.

La povertà e le disparità sono problemi molto im-portanti per me. A causa della loro identità, moltepersone non hanno accesso ai servizi, sono escluseda qualsiasi opportunità professionale o non posso-no partecipare ai processi politici. Mi riferisco so-prattutto ai rom, alle donne nelle zone rurali, allepersone anziane, ai disabili o ai giovani in cerca diimpiego. In collaborazione con il Programma di svi-luppo dell’ONU stiamo elaborando il Rapporto na-zionale sullo sviluppo umano 2018. Il testo conter-rà indicazioni concrete per favorire l’integrazione eil coinvolgimento di tutta la popolazione. Solo cosìla Bosnia ed Erzegovina sfrutterà completamente ilsuo grande potenziale e farà dei progressi. Questo èanche l’obiettivo che perseguo personalmente. ■

(Testimonianza raccolta da Jens Lundsgaard-Hansen;traduzione dal tedesco)

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La finestra del mio appartamento dà sul palazzo digiustizia della Bosnia ed Erzegovina, dove lavoramia sorella. Di formazione è traduttrice e insegnantedi inglese, ma attualmente è responsabile dell’Uffi-cio risorse umane di un’istituzione che, anche avent’anni di distanza dal conflitto, continua a giu-dicare gli autori di crimini di guerra. Da ragazza miero promessa di non lavorare mai in una scuola.Oggi dirigo un’associazione che propone corsi dilingue straniere; devo ammettere che insegnare mipiace molto di più di ogni altro compito, che siagestione aziendale, contabilità, revisio-ne di testi o il lavoro scientifico.

Dieci giorni fa, la nostra associazioneimpegnata nella promozione dell’ap-prendimento delle lingue si è trasferitain un appartamento più grande, piùbello e più luminoso. In quanto orga-nizzazione di utilità pubblica non cipossiamo permettere un affitto elevatoe abbiamo allestito la nostra sede cen-trale in una casa privata. Spesso mi chie-dono perché non ci siamo trasferiti incentro, visto che ormai tutte le attivitàsono concentrate lì. Ed è proprio conqueste righe che cerco di rispondere.

Ogni testo sulla Bosnia ed Erzegovinatratto da un opuscolo turistico che leg-giamo nel corso di bosniaco, di croatoe di serbo come lingua straniera è im-mediatamente seguito da un testo dicontro-pubblicità. Perché chi decide diapprendere la «nostra» lingua locale,deve prima di tutto imparare a liberar-si dal modo di pensare del turista. E cosìio non vi porterò nel centro storico diBašcaršija, bensì nel quartiere di Otoka,che si trova a metà strada fra il centro eil confine della città. In termini geo-grafici, il cuore di Sarajevo si trova nel-la periferia della città, mentre il quartiere

Una cartolina alternativa da Sarajevo dove abito è in centro. Il quartiere di Otoka è fa-moso per il suo shopping center con il mercato coperto. Con gli stessi soldi con cui in Svizzera sicomprano una manciata di lamponi, qui da noi, seè stagione, ne compriamo due chili. Lo stesso di-scorso vale per le more, i mirtilli e le fragole. Daalcuni anni questa frutta è in vendita per un perio-do sempre più lungo. Il suo prezzo aumenta con il passare dei giorni, mentre perde gradualmente gusto e profumo. Questo è un segnale che ci indi-ca che abbiamo imboccato la strada per l’Europa.

Al mercato ho la mia fornitrice di fidu-cia: così sono sicura che a casa, quandosvuoto le borse della spesa, non trove-rò la metà della frutta marcia. La bustadi carta è infilata in un sacchetto di pla-stica. Ho fatto di tutto per convincerei venditori a non darmelo: «No, grazie,non mi serve...»; «Ho qui una borsa distoffa, grazie...»; «Può mettere tuttonella stessa borsa...». Niente da fare. Larisposta è sempre quella: «Va benecosì».

Che cosa serve a una non turista a Sa-rajevo? Un buon panificio? Ce n’è unoa metà strada tra il mercato e i gratta-cieli. Ho finalmente fatto capire aicommessi che non devono tagliarmi ametà la baguette. Un pane pariginonon è un porro. Il pescivendolo? Pro-prio di fronte al mercato. Mentre mipuliscono il pesce, faccio provviste dipatate e bietole. Poi c’è anche un bar,una pizzeria, un ristorante di cevapcici,una pasticceria, qualche ricevitoria discommesse, una scuola e a cento me-tri un casinò e un ponte.

Dall’altro lato del ponte vi è la ferma-ta del tram che in un quarto d’ora e per80 centesimi porta i passeggeri in cen-

tro. Ci vado raramente, perché dove abito c’è tut-to quello che mi serve per vivere.

Un mese fa, in occasione di un colloquio per unaborsa di studio della Fondazione tedesca Marshallper dirigenti innovativi, ho detto: «Non avrei unlavoro, se non me lo fossi inventato io stessa». Edè proprio così. Faccio quello per cui sono stata for-mata. Ciò che amo. E vivo i miei valori con la mas-sima convinzione. La vita è più interessante dellapubblicità e degli opuscoli turistici. ■

(Traduzione dal bosniaco)

Sandra Zlotrg vive e

lavora a Sarajevo. È diret-

trice di Lingvisti, un’asso-

ciazione attiva nella

promozione dell’apprendi-

mento delle lingue. Lavora

come revisore di testi ed è

insegnante di bosniaco,

croato e serbo come lin-

gua straniera. Ha concluso

gli studi di filosofia con

una tesi sull’argomento

genere e gergo. È autrice

di un manuale per un lin-

guaggio attento alle speci-

ficità di genere in

Parlamento. Ama la bici e

la cioccolata e si diverte a

far capire agli altri che le

regole grammaticali hanno

un senso.

Una voce dalla Bosnia ed Erzegovina

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100 piante in pericoloIl bruco della lafigma(Spodoptera frugiperda),originario delle Americhe,sta devastando i campi digranoturco in Africa.Secondo uno studio delCentro internazionale perl’agricoltura e le bioscienze,un’organizzazione no-profitsostenuta dalla DSC, l’in-setto è «una grave minacciaper il commercio agricolomondiale». La sua larva si nutre principalmente di mais, ma può divorare «oltre 100 specie di piantediverse», come il riso, ilsorgo, la canna da zuc-chero, la barbabietola, l’a-rachide, la soia, il cotone, ilmiglio o la patata. «È ovvioche si diffonderà sull’interocontinente mettendo a re-pentaglio la produzioneagricola di tutto il bacinomediterraneo e in seguitodell’Asia», afferma GeorgGoergen, entomologopresso l’Istituto internazio-nale di agricoltura tropicale.Attualmente si tenta di lottare contro questa piagacon dei metodi biologici e impiegando dei virus specifici.

(zs) La cocciniglia Paracoccus marginatus apprezza lapapaia al punto tale da divorarla completamente.Questo insetto parassita si annida sotto le foglie, sfi-nendo sia le piante sia i suoi coltivatori. «Se non sifa nulla, la coltivazione viene distrutta nel giro didue settimane: diventa biancastra e i frutti cadonoa terra», spiega Armand Adeppo, di Zinvié, nel Suddel Benin. In questo Paese, così come in Togo eGhana, la coltivazione della papaia è un’attività im-portante che occupa 45000 persone.Fuori dal suo habitat originale, il Messico, la cocci-niglia della papaia non ha nemici naturali e arrecagravi danni alle colture, rovinando i frutti e lascian-do i contadini senza raccolto né guadagno.

I tanti vantaggi della lotta biologicaAll’inizio, Armand Adeppo, come molti altri pro-duttori, spargeva dei pesticidi sulle piantagioni percombattere l’invasione di questo parassita. «Utiliz-zavo olio di neem e una sostanza chimica. Ma i ri-sultati non erano soddisfacenti. Inoltre, per acqui-stare questi prodotti ho speso tutti i miei risparmi».Oltre a impoverire ancora di più gli agricoltori, gliantiparassitari hanno causato gravi danni alla loro sa-lute e all’ambiente.La DSC, in collaborazione con l’Istituto interna-zionale di agricoltura tropicale in Nigeria, è corsa airipari. Alcune sue équipe di esperti hanno introdottoin sei Paesi (Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Came-

run e Gabon) un nemico naturale della cocciniglia:l’Acerophagus papayae, una minuscola vespa gialla da-gli occhi bluastri. «Hanno liberato gli insetti dopoaver svolto dei sopralluoghi. Tutto qua. E pensareche io ho speso una fortuna per combattere questacocciniglia», racconta Codjo Vodonou. In preda alladisperazione, questo contadino di Zinvié voleva ab-bandonare le sue terre per mettersi al volante di unozémidjan (mototaxi) di Cotonou. Sei mesi dopo averintrodotto la minuscola vespa, le piante di papaiaerano di nuovo verdeggianti. Così, un raggianteCodjo ha potuto fare ritorno al mercato per ven-dere il suo ricco raccolto. In Benin, tra il 2012 e il 2015 la produzione di pa-paia è aumentata del 76 per cento, in Togo del 43per cento e in Ghana del 157 per cento.È un risultato che ha fatto ritornare il sorriso ai con-tadini poiché il loro lavoro non veniva più distrut-to da un minuscolo parassita. Dalla lotta biologicaha beneficiato anche l’ambiente. Per preservarlo inmaniera sostenibile, la cooperazione svizzera sensi-bilizza i coltivatori sui pericoli legati all’uso di pe-sticidi, informandoli con dei comunicati trasmessidalle stazioni radio locali e organizzando dei mo-menti di incontro. Inoltre nelle università vengonoproposte delle formazioni per far conoscere i van-taggi della lotta biologica. ■

(Traduzione dal francese)

La papaia salvata da una vespa

Molte famiglie africane produttrici di papaia hanno ritrovato una preziosa fonte di vitamine e di reddito grazie alla DSC. Attraverso un’iniziativa di lotta biologica è stato possibile sconfiggere una cocciniglia che rovinava i loro raccolti.

Per lottare contro la cocciniglia che divorava le sue piante di papaia, il contadino nigeriano Codjo Vodonou ha speso tutti i suoi risparmi.

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(lb) I figli rientrano affamati da scuola. A casa, nelSeeland bernese, vengono accolti da un profumoche sa d’oriente. La mamma ha preparato riso ba-smati con verdure al curry. È una specialità che di-segna sempre un grande sorriso sul loro volto, unsorriso condiviso da migliaia di contadini indiania oltre 7000 chilometri di distanza.Il basmati è finito sulla tavola svizzera grazie a unprogetto di Helvetas, sostenuto dalla DSC e dallaCoop. Il grande distributore al dettaglio elveticoacquista e rivende in Svizzera il riso biologico edequosolidale di 4500 famiglie di piccoli agricolto-ri in India. «Solo collaborando con il settore pri-vato è possibile assicurare ai contadini l’accesso almercato e garantire loro un’entrata sicura», spiegaFelix Fellmann della Divisione Programma globa-le Sicurezza alimentare della DSC. È un cosiddet-to partenariato pubblico-privato. (vedi testo a mar-gine a pagina 25).

Ridurre lo spreco di acqua in agricolturaOltre che in India, nel 2015 Helvetas ha lanciatoiniziative analoghe in Kirghizistan, Tagikistan e Pakistan nell’ambito di un programma volto a mi-gliorare l’impiego e la produttività dell’acqua nel-le coltivazioni di riso e cotone; un programma ba-sato sui principi di tre piattaforme per la sosteni-bilità (vedi testo a margine a pagina 24). È il Water and Productivity Project (WAPRO). InAsia meridionale, il 70 per cento dell’acqua viene

impiegato dall’uomo per irrigare i campi; in Asiacentrale tale quota oscilla addirittura tra l’85 e il 97per cento. «Sarà in agricoltura che si deciderà senel 2050 l’umanità disporrà di acqua a sufficienzaper assicurare la sicurezza alimentare», sostieneStefanie Kägi, co-responsabile del progetto WA-PRO di Helvetas. I progetti sono finanziati dalla DSC e dal settoreprivato e poggiano su tre pilastri: la formazione dicontadine e contadini per promuovere un’agri-coltura ecologica e per ridurre l’impiego di acquacon un’irrigazione più efficiente; la sensibilizza-zione di grandi aziende internazionali affinché fa-voriscano mediante incentivi economici la produ-zione sostenibile dei piccoli contadini; la collabo-razione con autorità, settore privato e società civileper incentivare una politica più efficace in mate-ria di gestione dell’acqua.

Nuovi metodi di irrigazione e coltivazioneNelle risaie nella provincia del Punjab, in Pakistanla 35enne Tehmina e due figlie al suo fianco ri-mangono chine a trapiantare piantine di riso sot-to il sole cocente di luglio dalle otto alle 12 ore algiorno. «Ci sono metodi più efficienti per coltiva-re il riso e che riducono le conseguenze sia perl’ambiente sia per l’uomo», dice Jens Soth, co-re-sponsabile del progetto di Helvetas.Nel 2016, quasi 45mila piccoli agricoltori – circail 10 per cento erano donne – hanno seguito dei

Lotta alla povertà con l’efficienza idricaL’acqua è un bene sempre più prezioso. In Asia centrale e meridionale, la DSC sostiene dei progetti volti a impiegare inmaniera più efficiente l’acqua nelle risaie e nelle coltivazionidi cotone. Le famiglie di piccoli contadini hanno un’entrata sicura e ricevono degli incentivi economici.

Nella provincia del Punjab, nel Pakistan, il riso viene seminato con metodi moderni. A destra, un contadino conta il numero di piante di riso per metro quadrato.

Tre piattaforme per la sostenibilitàLa Sustainable RicePlatform (SRP) è un’alle-anza mondiale con l’obiet-tivo di promuovere l’utilizzoefficace delle risorse e lasostenibilità nelle catene di approvvigionamentodell’industria mondiale del riso. La piattaformacoinvolge ONG, partnerdel settore pubblico e pri-vato, quali Nestlé, Mars,Syngenta, WWF, FairtradeInternational. La Better Cotton Initiative(BCI) è un’organizzazionenon a scopo di lucro conl’obiettivo di ridurre l’utili-zzo di acqua e l’impiego di fitofarmaci o fertilizzantichimici. Nata nel 2005, la BCI conta oltre 1000membri provenienti da 48Paesi diversi, tra cui WWF,Oxfam, IKEA, H&M. La Alliance for WaterStewardship è una ONGcreata nel 2008. Ha fissatouno standard internazio-nale e definito degli indica-tori volti a migliorare la so-stenibilità sociale, ambien-tale e finanziaria dell’im-piego dell’acqua dolce.

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Mediante un migliore sistema di canali è stato possibile ridurre la quantità di acqua necessaria per irrigare le coltivazioniin Kirghizistan.

corsi di formazione nei quali hanno appreso me-todi di coltivazione moderni che migliorano laproduttività dell’acqua, ossia la quantità di riso ecotone per metro cubo d’acqua usata. «Prima dilivellare il terreno con uno strumento laser impie-gavo 4 ore per irrigare i miei campi, ora solo dueore e mezza», racconta Saeed, contadino nel Pun-jab. «Non trapianto più il riso, ma lo semino di-rettamente nel campo», dice Abdul Shakoor, unaltro contadino indiano. «Oltre a ridurre i costi eaumentare la produttività, questo metodo non miobbliga più a lavorare per ore con i piedi a mollonell’acqua».

Acqua, strumento di cooperazione e nondi scontroLa trasmissione di conoscenze non basta però percoinvolgere un elevato numero di contadini. «Ser-ve un incentivo affinché le nuove pratiche di col-tivazione siano applicate su ampia scala», sostieneFelix Fellmann. È qui che entra in gioco il setto-re privato. I coltivatori di cotone o riso sono mo-tivati ad adottare i nuovi metodi di produzionebiologica e d’irrigazione mediante un premio di-retto. Inoltre, un minore impiego di acqua o di pe-sticidi riduce i costi, aumentando di riflesso il ri-cavato per i piccoli contadini. In Kirghizistan, peresempio, nei campi sperimentali le entrate per lefamiglie sono aumentate del 30 per cento rispettoalla coltivazione tradizionale di cotone.

In India e Kirghizistan, l’accesso al mercato è resopossibile dalle cooperative di contadini, a cui va ilpremio per la produzione equosolidale; premioimpiegato per ripristinare i canali di irrigazione oper acquistare nuovi macchinari. Rispetto al pas-sato, i contadini sanno così su quali entrate po-tranno contare durante l’anno. Ciò dà loro una certa sicurezza. «Le famiglie hanno molteplici benefici», ricorda Felix Fellmann. «Sostenendoquesto progetto, la DSC lotta contro la povertà,promuove la scolarizzazione e l’accesso all’assi-stenza sanitaria e favorisce la tutela ambientale».Ma non solo. Contribuisce anche a lottare controi conflitti e in favore della pace e della stabilità po-litica, come prevede l’Obiettivo per uno svilupposostenibile n.16 dell’Agenda 2030. L’ultimo pilastro del progetto WAPRO sostienela governance idrica. In futuro, l’acqua e non il pe-trolio sarà la principale risorsa geopolitica mon-diale. Per esempio, in passato le controversie sul-la gestione delle risorse idriche hanno generato gra-vi tensioni tra Kirghizistan e Tagikistan. Grazie allesue competenze in materia di promozione del dia-logo e del compromesso, la Svizzera fornisce unimportante contributo per ridurre i conflitti e faredell’acqua uno strumento di cooperazione e nondi scontro. ■

Pilastro della coopera-zione internazionaleLa Direzione dello sviluppoe della cooperazione (DSC)riesce a perseguire gliObiettivi di sviluppo soste-nibile dell’Agenda 2030solo coinvolgendo attiva-mente tutti gli attori, siaquelli privati sia quelli pub-blici. Per questo motivo, laDSC sviluppa in manieramirata i partenariati pub-blico-privati (Engagementwith the Private Sector,EPS) e cerca di svilupparecollaborazioni strategichetra il settore pubblico e le aziende dell’economia privata, gli imprenditori sociali, gli investitori in stru-menti di impatto sociale e le fondazioni donatrici.La DSC promuove da unaparte il dialogo con gli at-tori del settore privato suquestioni legate allo svi-luppo sostenibile, dall’altracollabora con questi ultimiper migliorare l’efficacia deisuoi progetti. Queste co-operazioni le permettonodi accedere a nuove cono-scenze, favoriscono l’inno-vazione e mobilitano nuoverisorse finanziarie.

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Dietro le quinte della DSC

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pano alla pianificazione e allarealizzazione di tutti i progetti.Durata del progetto: 2010-2017Budget: 12 milioni di CHF

Rilanciare l’agricoltura palestinese(bm) Il settore agricolo è unodei pilastri fondamentali dell’e-conomia palestinese. Le suepossibilità di crescita sonoenormi, ma non sono ancorastate sfruttate sufficiente-mente. In collaborazione con il ministero dell’agricoltura, laDSC sostiene il settore agro-alimentare per favorirne lo svi-luppo sostenibile, di cui bene-ficerà la popolazione. La co-operazione svizzera intendeaumentare la redditività e laproduttività agricola miglio-rando l’accesso ai mercati e la competitività delle imprese.Inoltre la DSC aiuterà le co-operative di donne a identifi-care i mercati di nicchia e ivantaggi che offrono.Durata del progetto: 2017-2021Budget: 3 milioni di CHF

L’acqua quale elemento aggregante in Honduras(bm) Oltre a essere arida,molto povera e vulnerabile, laregione del golfo di Fonsecanell’Honduras meridionale nondispone nemmeno di strutturestatali forti. Per migliorare la si-tuazione, la DSC punta sull’ac-qua, quale elemento aggre-

Carestia in Africa e Yemen:la DSC intensifica gli aiuti(ung) Dall’inizio dell’anno, lacarestia minaccia 20 milioni dipersone in Nigeria, Somalia,Sud Sudan e Yemen. Già at-tiva da tempo in questi quattroPaesi, la DSC ha stanziatoaiuti supplementari per 15 mi-lioni di franchi con l’obiettivodi rafforzare il suo impegnoumanitario in queste regioni.Da anni la DSC sostiene pro-getti locali per lottare control’insicurezza alimentare, raffor-zare i mezzi di sussistenza efavorire l’accesso all’acqua eproteggere i civili. Quest’annoil contributo svizzero comples-sivo in questi quattro Stati hagià raggiunto i 63 milioni difranchi.Durata del progetto: 2017Budget: 15 milioni di CHF

Oltre 50 nuove scuole nelSud-est del Myanmar(ung) Da diversi decenni ilSud-est del Myanmar è scon-volto dai violenti scontri traforze governative e gruppi ar-mati etnici. Dal 2010, in questaregione l’Aiuto umanitario dellaDSC sta realizzando un impor-tante progetto di costruzione eripristino di opere comunitarie.Ha costruito più di 50 scuole e17 unità sanitarie e ha ripristi-nato altre 80 infrastrutture, inparticolare pozzi e ponti. Gliabitanti dei villaggi parteci-

gante visto che serve sia alconsumo giornaliero sia allaproduzione agricola locale oagroindustriale. La DSC in-tende riunire intorno allostesso tavolo il settore pub-blico e privato, i piccoli agri-coltori, i rappresentanti dei comuni e i grandi imprenditoriper intavolare un dialogo voltoa migliorare la qualità e la so-stenibilità della gestione dellerisorse idriche. Inoltre vuolerafforzare le strutture comunalia livello locale. Nel contempola cooperazione svizzera pro-muove un processo di nego-ziazione sul campo volto aprevenire i conflitti.Durata del progetto: 2017-2021Budget: 8 milioni di CHF

Democrazia rafforzata inKirghizistan(cek) Dopo lunghe agitazionipolitiche e una riforma costitu-zionale, dal 2010 il Kirghizistanè una democrazia parlamen-tare. Ma il nuovo sistema poli-tico pone il Paese dell’Asiacentrale di fronte a sfide nonfacil i da superare. La DSC e ilProgramma delle NazioniUnite per lo sviluppo stannoaiutando il Kirghizistan ad af-frontare questo importantecambiamento. Gli sforzi pro-fusi contribuiscono a raffor-zare le istituzioni democratichee a migliorare il coinvolgi-mento delle cittadine e dei cit-

tadini nei processi politici. Perriuscirci il progetto si concen-tra su un maggiore controlloparlamentare delle attiv ità delgoverno, controllo volto a ga-rantire servizi pubblici efficacied efficienti per tutta la popo-lazione di questa ex Repub-blica sovietica.Durata del progetto: 2017-2021Budget: 3,8 milioni di CHF

Promozione dell’innovazionein Croazia(gur) Con un tasso di disoccu-pazione del 12,8 per cento, laCroazia si situa ben al di sopradella media UE dell’8,2 percento. Insieme alla Segreteriadi Stato per la formazione, laricerca e l’innovazione SEFRI,la DSC sostiene il programmadi promozione dell’innovazione«Eurostars» in Croazia. Il pro-gramma promuove la competi-tività del settore privato e losviluppo di progetti di ricercainnovativi da parte di piccole emedie aziende. Infatti, propriole PMI hanno un ruolo impor-tante nella creazione di occu-pazione. Tramite il cofinanzia-mento e le attività di consu-lenza, la Svizzera contribuiscealla realizzazione di progetti diricerca di alta qualità. Questodovrebbe rendere la Croaziauna piazza più attrattiva per gli investimenti.Durata del progetto: 2017-2022Budget: 1 milione di CHF

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Industria 4.0 anche per i Paesi poveri?Le piattaforme digitali, i sensori e i robot della quarta rivoluzioneindustriale stanno plasmando un mondo nuovo dai contorni ancora sconosciuti. Quale ruolo avranno i Paesi in via di svi-luppo? Ce la faranno a tenere il passo o resteranno ancora piùindietro? Di Jens Lundsgaard-Hansen.

«L’adeguamento tecnologico più rapido nella sto-ria dell’umanità»; sono questi i termini usati in unostudio della Columbia University e della Ericssonper descrivere il successo di internet, computer,smartphone, social media e stampanti 3D. E la cosapiù pazzesca è che la quarta rivoluzione industria-le, la cosiddetta Industria 4.0, sta creando un mon-do nuovo. Molte persone temono che questo nuovo mondonon sarà migliore. Camille Zimmermann, diret-tore e studioso presso Trendone Svizzera, aziendache segue e indaga a livello mondiale le nuove ten-denze, parla della paura del cambiamento causatadallo sviluppo tecnologico. Un sentimento diffu-so anche qui da noi, benché il nostro Paese si tro-vi in una posizione privilegiata. «La Svizzera è innovativa ed è una società della conoscenza. Latendenza alla delocalizzazione dei posti di lavorosi attenuerà. L’Industria 4.0 non si basa sulla ma-nodopera a basso costo, ma sul sapere disponibilein loco».

Il mondo diviso dal divario digitaleE i Paesi in via di sviluppo? Ce la faranno a saliresu questo treno già in corsa e a recuperare il ritar-do? O resteranno ancora più indietro? «Nelle zonerurali dell’Africa i sistemi di pagamento elettroni-ci e le strutture mobili di consulenza sanitaria oagricola offrono nuove opportunità alla popola-zione», afferma Andrina Beuggert, una giovanesvizzera esperta di sviluppo e innovazione. Infatti, nei Paesi in via di sviluppo, le persone chepossiedono un cellulare sono più numerose diquelle che hanno accesso alla corrente elettrica eall’acqua potabile. Eppure, tutti gli esperti con-cordano nell’affermare che un profondo divario di-gitale sta spaccando il nostro mondo. Stando al bi-lancio della Banca mondiale formulato nel suoRapporto sullo sviluppo nel mondo 2016, i «divi-dendi digitali» non sono ripartiti in modo equili-brato. Sono in molti a credere che le tecnologiedella comunicazione e dell’informazione (TIC)siano fra gli strumenti più importanti per attuare

A Nairobi, capitale del Kenya, quotidianamente migliaia di passeggeri si informano sugli orari e acquistano il biglietto del bus via telefono cellulare.

Rivoluzioni industriali Lo sviluppo industriale èsolitamente suddiviso inquattro fasi. Prima rivolu-zione: lavoro meccanicoalimentato dalla forza del-l’acqua e del vapore, mec-canizzazione della tessitura(circa 1800). Seconda rivo-luzione: automatizzazionee elettrificazione, prime ca-tene di montaggio (circa1900). Terza rivoluzione:ampio impiego di elettri-cità, IT e computer (circa1970). Quarta rivoluzione:digitalizzazione (oggi). Gliapparecchi e le personesono interconnessi, i sen-sori comunicano medianteinternet. Si creano nuoviservizi e nuovi processiproduttivi (robot, stampanti3D). Internet a banda largaè sempre più performante(3G, 4G, in fase di sviluppo5G) ed è la condizione im-prescindibile affinché lepopolazioni dei Paesi in viadi sviluppo possano acce-dere alla rete tramite glismartphone.

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l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile. Tut-te le persone dovrebbero aver accesso a internet a banda larga. Per quattro miliardi di persone, tut-tavia, la realtà è un’altra.

Il balzo avantiMolti Paesi in via di sviluppo, che non hanno par-tecipato alle rivoluzioni industriali precedenti, vo-gliono ora lanciarsi direttamente nella quarta. IlRuanda, per esempio, nella sua «Visione 2020» siè prefisso l’obiettivo di «trasformare la società agri-cola in una società dell’informazione e della co-noscenza». Il piccolo Paese africano promuovel’accesso a internet, dota le scuole di computer portatili o gestisce le informazioni dei pazienti sucartelle informatizzate. «I Paesi in via di sviluppo stanno scavalcando le tecnologie più vecchie per utilizzare direttamente quelle più moderne», indi-ca Elvis Melia, specialista di nuove tecnologie ecollaboratore presso l’Istituto tedesco per la poli-tica dello sviluppo. Anche l’India sta promuovendo la digitalizzazio-ne. «L’India vuole essere protagonista della rivo-luzione digitale mondiale», spiega Thomas Schnei-der, ambasciatore e vicedirettore presso l’Ufficiofederale della comunicazione (UFCOM). «La stra-tegia Digital India è incentrata in particolare sui po-veri. L’accesso a internet deve permettere a tutti icittadini di sbrigare le pratiche amministrative e co-municare online con le autorità. Inoltre vuole fa-vorire l’uguaglianza e abbattere gli ostacoli fisici»,

continua il rappresentante della Svizzera in orga-nizzazioni quali l’Unione internazionale delle te-lecomunicazioni. Garantire a tutti l’accesso al web,significa però sviluppare e proporre in rete offer-te e servizi regionali nella lingua locale. Anche ilForum economico mondiale (WEF) in Africa del2016 scrive nel suo bilancio che per quanto ri-guarda le nuove tecnologie, l’Africa non può partire da dove hanno iniziato gli altri, ma deveinvestire nel futuro digitale in tempi rapidi e condeterminazione.

Difficile recuperare il ritardoI Paesi in via di sviluppo allora sono sulla buonastrada per migliorare la loro posizione rispetto aiPaesi emergenti e industrializzati? Tra gli espertiprevale lo scetticismo, malgrado i segnali positivi.Uno dei motivi è l’esiguità della base «analogica»su cui dovrebbe poggiare la digitalizzazione suampia scala: l’accesso all’elettricità e alle infrastrut-ture, la stabilità politica e la partecipazione socia-le sono spesso insufficienti. Recuperare questi ri-tardi – lo hanno affermato in molti anche al WEFin Africa – richiederà decenni. Per Camille Zimmermann, i fattori chiave sono ilsapere e il lavoro. «In relazione all’Industria 4.0, ladomanda da porsi è chi sarà in grado di approfit-tare meglio degli altri dei vantaggi derivanti dallasua posizione, partendo dalla messa in rete, alknow-how e alla stabilità politica», ricorda il di-rettore di Trendone Svizzera. «I Paesi industrializ-

Dialogo globale Dalla sua creazione in occasione del vertice mon-diale ONU sulla societàdell’informazione (WSIS)del 2003 e del 2005,l’Internet GovernanceForum (IGF) è diventatauna delle piattaforme didialogo più importanti almondo. Fino a 3000 spe-cialisti attivi negli ambientieconomici e governativi oesponenti della comunitàscientifica e tecnica partecipano alle edizionidell’IGF. Durante questiconvegni si discute fral’altro delle opportunità edei rischi delle nuove appli-cazioni digitali, della tuteladei diritti umani nel mondodigitale o dell’utilizzo ditecnologie della comunica-zione e dell’informazioneper lo sviluppo sostenibile.La Svizzera ospiterà ilprossimo IGF, che avràluogo dal 18 al 21 dicem-bre presso la sededell’ONU a Ginevra. Lapartecipazione all’IGF èaperta a tutti gli interessati.

L’India vuole essere una protagonista della rivoluzione digitale a livello mondiale. La sua strategia «Digital India» si concentra soprattutto sui poveri.

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Con la sua «Visione 2020», il Ruanda si è prefisso l’obiettivo di trasformare la società agricola in una società dell’infor-mazione e della conoscenza.

zati sono in una posizione migliore. I Paesi in viadi sviluppo rischiano di perdere il vantaggio com-petitivo su cui potevano contare finora: la mano-dopera a basso costo». In altre parole: i progressitecnologici devono essere accompagnati anchedallo sviluppo del sapere.

Quale lavoro per il futuro?Sapere, lavoro e digitalizzazione: questo trinomioè oggetto di dibattiti in tutto il mondo. La digita-lizzazione e l’automatizzazione creeranno posti dilavoro per personale altamente qualificato, ne man-terranno alcuni per i lavoratori non qualificati, di-struggendone però molti nel settore intermedio.Per esempio, come farà l’Africa a combinare la di-gitalizzazione, che favorisce i tagli di posti di la-voro nel settore intermedio, con l’impellente bi-sogno di impieghi per persone poco qualificate? Ciononostante, gli esperti vedono nuove oppor-tunità anche per l’Africa. In futuro si potrebbe in-segnare l’uso dei dispositivi digitali, invece di farseguire corsi di formazione che durano svariatianni. Ciò permetterebbe ai giovani di inserirsi en-tro pochi mesi in un mondo del lavoro in conti-nua evoluzione. Anche le considerazioni di ElvisMelia vanno in questa direzione: «Con la digita-lizzazione, molte competenze oggi trasmesse dal-la formazione professionale non saranno più ri-chieste». La digitalizzazione aumenterà anche il benessere, che a sua volta permetterà nuove for-me di impiego attraverso piattaforme online per

lavori redazionali o in ambiti quali la ricerca, la cul-tura o l’intrattenimento e in settori che oggi nonesistono ancora. Nel suo Rapporto sull’economia2016, la Banca mondiale avanza addirittura la tesisecondo cui meno della metà degli attuali scolariimparerà e svolgerà un mestiere che conosciamooggi.Quali conclusioni trarre dinanzi a tutte queste in-certezze? Due fattori sembrano incontestati. Pri-ma di tutto, le tecnologie della comunicazione edell’informazione sono essenziali anche per i Pae-si in via di sviluppo. I governi, sostenuti dalle azien-de private e dai Paesi ricchi, devono impegnarsi afondo per promuovere la diffusione di internet abanda larga e per offrire servizi nella lingua del po-sto. In secondo luogo, la digitalizzazione deve po-ter poggiare su una solida base «analogica». È proprio questa base che la cooperazione tradi-zionale allo sviluppo cerca da sempre di consoli-dare. Per questo motivo, anche in futuro sarà im-portante promuovere il sapere e le competenzenella formazione di base, nelle materie MINT(matematica, informatica, scienze naturali e tecni-ca) e in ambito sociale e creativo. Vi è poi un’al-tra certezza: le grandi incognite e le sfide dell’In-dustria 4.0 non risparmiano nessuno, né i Paesi in-dustrializzati, né quelli in via di sviluppo. ■

(Traduzione dal tedesco)

Internet e governancedigitale nellaConfederazione In Svizzera, la responsabi-lità tecnica per internet egovernance digitale com-pete all’Ufficio federaledella comunicazione (UFCOM), che è attivonelle varie organizzazioniinternazionali e nei pro-cessi che trattano l’infra-struttura, i contenuti, la regolamentazione e i diritti(umani) della società digi-tale e dell’economia (ITU,ICANN, UNESCO ecc.).Steve Tharakan è il re-sponsabile presso la DSCin materia di digitalizza-zione e sviluppo. Internet ele tecnologie digitali hannoun ruolo importante in nu-merosi progetti della DSC.La tecnologia satellitare ele banche date elettroni-che, ad esempio, sosten-gono i produttori di riso in molti Paesi dell’Asia del Sud.

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Uno dei miei migliori amicimarocchini, un professore uni-versitario, mi ha detto ungiorno: «La gente come noi,che dovrebbe rappresentare l’élite, non ha nessun interesseimmediato a promuovere unascuola pubblica migliore, per-ché i nostri figli frequentanoscuole private o missioniestere». Il mio amico partiva da una concezione liberale dellagiustizia, vale a dire che se ilsenso d’ingiustizia non è perso-nale, l’altruismo di un’azionepubblica servirà solo a mettersia posto la coscienza e non acambiare la situazione.

Un altro amico, indiano e resi-dente negli Stati Uniti, mi haconfidato in seguito che per ri-formare le nostre società e perrenderle più vivibili per i gio-vani bisogna pensare la solida-rietà in un quadro liberale, egocentrico; una capacità di cuipurtroppo noi non siamo dotati.Secondo lui, occorre pensarepartendo dall’altro, non per restaurare un comunismo de-sueto, ma per condividere glispazi di socializzazione.

Ho appena concluso, con alcuniteam universitari del Sud delMediterraneo, un lavoro di ri-cerca sulle attitudini, le compe-tenze, le aspettative e le azionidei giovani. I dati riguardanti ilMarocco sono allarmanti e allostesso tempo rassicuranti. Circail 70 per cento dei giovani lavo-ratori non ha un contrattod’impiego. Ma sa comunquesbrogliarsela. Non tutti però sela cavano. Le strutture di for-mazione, di regolamentazione e di sostegno che dovrebberofacilitare la loro scalata socialesono in gran parte inefficaci oinadeguate. Leggendo quanto èemerso da tre anni di indagini,interviste e gruppi di riflessionemi sono chiesto che cosa signi-ficasse tutto ciò per me. Eroscioccato, leggermente rassicu-rato, indifferente?

Qualche tempo dopo è statopubblicato, con ampio ritardo,il rapporto del Consiglio supe-riore dell’istruzione pubblica, ilquale non ha fatto che confer-mare la moltitudine di disfun-zioni nella scuola marocchina:l’abbandono precoce, l’ipertro-

fia dei programmi non formalisenza risultati tangibili, la man-canza di visioni e l’eccessivacentralizzazione dell’ammini-strazione scolastica. Questa tra-gica constatazione non è nénuova, né sorprendente. Peggioancora: non stimola nessunpiano d’azione a breve termine.

In quel momento mi si è ripre-sentata l’immagine dei diplo-mati presso l’Istituto di studiavanzati di gestione di Rabat,dove insegno. Neolaureati en-tusiasti, felici di entrare a pienotitolo nel mondo del lavoro.Eppure sono pochissimi quelliattratti dall’imprenditorialità.Mi sono reso conto che attornoa me osservavo lo smarrimento,mentre io vivevo alla giornatasu un’isola singolare che per-mette all’élite di perdurare. Misono accorto di come il per-corso accademico che porta allarealizzazione di sé sia poco va-lorizzato e scarsamente condi-viso nello spazio pubblico. Diquanto enorme sia ancora ilpercorso di informalità. Diquanto siamo ancora lontanidalla società della conoscenza.

Che fare, a questo punto? Hocapito la necessità di inventareuna terza via oltre a quella sug-geritami dai due amici: quelladei ricercatori-cittadini che in-nescano dinamiche sociali inmolteplici focolai dormienti.Non si tratta unicamente di co-noscere, ma anche di veicolare.Non solo di comprendere ledifficoltà, ma di affrontarle fa-vorendo gli scambi, la condivi-sione di esperienze e le trasfor-mazioni attraverso l’esempio.Senza tutto ciò, rimarremo sballottati tra il comfort liberaledel sapere e l’imbarazzo eticodell’ingiustizia. ■

(Traduzione dal francese)

Cosa fare per i giovani in Marocco?

Driss Ksikes, nato nel 1968 aCasablanca, è giornalista e au-tore di diversi racconti e saggi.Già direttore della rivista «TelQuel» (2001-2006), è attual-mente professore pressol’Istituto di studi superiori di ge-stione a Rabat (HEM BusinessSchool), dove dirige il centro diricerca ed è responsabile dellarivista «Economia». In collabo-razione con diversi enti delMaghreb e del Mediterraneo,Driss Ksikes realizza progettinell’ambito dei mass media edella cultura. Tiene inoltre labo-ratori di scrittura e collaboracon diverse riviste culturali.

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Danzare per alleviare il dolore dei matrimoni forzatiLa crudeltà dei matrimoni forzati sotto il regime dei Khmer Rossi in Cambogiaviene messa in scena in un delicato balletto. Sostenuto dalla DSC, questo pro-getto artistico partecipa alla creazione di una memoria collettiva con l’intentodi rimarginare le ferite e lenire il dolore delle vittime. Di Zélie Schaller.

CULTURA

In lingua khmer phka sla signi-fica «fiori di areca». Nei matri-moni cambogiani simboleg-giano la vita dopo la caduta deipetali. All’inizio di quest’anno,questi fiori hanno dato il nomea un balletto messo in scena aPhnom Penh, capitale dellaCambogia, grazie al sostegnodella DSC. L’opera è un omag-gio alle coppie unite con laforza sotto la dittatura deiKhmer Rossi. Lo spettacolovuole far conoscere, senza veli,la storia delle vittime e, in unqualche modo, essere una ripa-razione per il dolore e il tortosubiti.La musica, che mescola melodietradizionali e canti patriottici,immerge gli spettatori nel dolo-roso ed emozionale contestostorico dell’epoca. Indossando

costumi neri come i dirigentidei Khmer Rossi, i ballerinifanno rivivere l’atmosfera diviolenza e paura che ha segnatoquesto periodo.

Strappate alle loro vite«Perché mai un uomo non vor-rebbe una donna?», chiede unodei narratori. Prima che riesca ariflettere sulla questione, il pub-blico viene catapultato indietronel tempo, a quarant’anniprima. Le ballerine lavoranosotto l’occhio vigile di guardieostili. Una dopo l’altra vengonostrappate ai loro compiti e datein sposa, con movimenti a volteviolenti altre delicati. Alcune simuovono armoniosamente, al-tre invece lottano con tutte leloro forze. La scena rappresentale diverse esperienze vissute

all’epoca dei fatti.«Sono stata costretta a sposareun uomo che non avevo maivisto. Avevo 15 anni. Mi oppo-nevo alle regole del partito, cheper questo motivo mi voleva

uccidere», racconta una cambo-giana con lo sguardo sconvolto.E un sopravvissuto aggiunge tristemente: «Le donne hannoespresso la loro collera nei con-fronti dei matrimoni forzati. Ma in realtà è un destino che èspettato anche a molti uomini».

Esistenze distrutteTra il 1975 e il 1979 sono statiorganizzati dai 200 ai 300 milamatrimoni forzati in nome del-l’ideologia politica, il cui scopoera quello di distruggere i «sen-timenti individuali» e incre-mentare la popolazione. Gli uomini e le donne non si sce-glievano; il più delle volte nonsi conoscevano nemmeno. Leloro unioni venivano pronun-ciate in cerimonie collettive allequali le famiglie non potevanoassistere. Gli «sposi» dovevanogiurare fedeltà al partner desi-gnato e pure al regime. E dove-vano anche giurare di pro-creare. Circa 500000 esistenzesono state distrutte in questomodo.Il balletto racconta la storia di

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tre coppie: due di esse hannoavuto un destino tragico, men-tre la terza ha conosciuto la feli-cità. Le testimonianze delle vit-time raccolte da Theresa deLangis, specialista in materia diviolenze di genere, hanno ispi-rato il dramma messo in scenada Sophiline Cheam Shapiro.La coreografa cambogiana, leistessa una sopravvissuta deiKhmer Rossi, si occupa damolto tempo di temi incentratisulla giustizia sociale e sull’u-guaglianza. «Una delle sfidemaggiori di questo lavoro èstata la forma», ricorda la coreo-grafa. «Molto elegante, la danzaclassica cambogiana racconta la leggenda degli dei e dei re,mentre Phka Sla presenta storievere. È stato molto difficile tro-vare un equilibrio tra interpre-tazione artistica e testimonianzereali». Eppure Sophiline CheamShapiro è riuscita nel suo in-tento, alleviando così almeno inparte le sofferenze delle vittimee riconciliando le generazioni.«L’arte ha questa capacità unica:sa favorire il dibattito senza

conflitti. Talvolta la società puòessere crudele nei confronti deideboli e dei feriti. Possiamorenderla benevola e più giustapromuovendo l’empatia», os-serva Sophiline Cheam Shapiro.«Abbiamo scritto un ballettoclassico contemporaneo affinché

il pubblico riconosca nel matri-monio forzato il crimine deiKhmer Rossi. Questa produ-zione è molto importante perfar conoscere ai giovani la tri-stezza degli anziani».Riconoscendosi nelle vicendemesse in scena, la madre di una

collega è finalmente riuscita aesprimere il proprio dolore, aggiunge la coreografa.

Aiuto psicologicoLe «nozze rosse» hanno causatoprofondi traumi. L’argomento èrimasto tabù fino a poco tempofa. Le donne erano paralizzatedalla vergogna, perché soventequesta pratica implicava stupricommessi sia dal coniuge chedai dirigenti dei Khmer Rossi sela sposa rifiutava di consumareil matrimonio. Per elaborarequeste atrocità, il progetto PkaSla non si è fermato sul palco-scenico. L’ONG TransculturalPsychosocial Organization hafornito sostegno psicologico ai sopravvissuti per «aiutarli a liberarsi dei brutti ricordi e a superare il trauma», spiega il direttore Sotheara Chhim.L’organizzazione ha tenuto dei dibattiti dopo gli spettacoli e allestito svariati atelier.Per estendere il dialogo a tuttala comunità, l’associazione KdeiKaruna ha elaborato con alcunisopravvissuti e degli adolescentiun’esposizione multimediale iti-

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nerante incentrata sulla violenzadi genere. «Affrontare questoargomento e promuovere il dia-logo intergenerazionale è fon-damentale per superare il pas-sato. È importante lavorare coni giovani per creare una culturabasata sulla giustizia e sulla de-mocrazia», sottolinea VivianeHasselmann, incaricata dei pro-grammi DSC Salute globale ebuongoverno in Cambogia. Persalvaguardare a lungo termine la memoria collettiva, il centroBophana per la valorizzazionedel patrimonio audiovisivo dellaCambogia ha raccolto nume-rose testimonianze e realizzatoun film documentario che verràdiffuso quest’anno dalla televi-

sione nazionale.Alla Chaktomuk Hall di PhnomPenh lo spettacolo ha già regi-strato un incoraggiante con-corso di pubblico, fra i quali oltre 150 sopravvissuti. «Per alcuni l’esperienza è stata talmente travolgente da co-stringerli a lasciare la sala per calmarsi. Ma la stragrande maggioranza delle persone eraentusiasta, soddisfatta e grata di vedere la propria storia presentata in questo modo»,racconta Sophiline CheamShapiro. Dopo la capitale, l’av-ventura prosegue nelle provincedi Battambang e Kampot. ■

(Traduzione dal francese)

Alla sbarra dopo 40 anniTra il 1975 e il 1979 i Khmer Rossi hanno ucciso 1,7 milionidi cambogiani, pari a un quarto della popolazione. In colla-borazione con le Nazioni Unite, nel 2006 è stato istituito untribunale speciale per giudicare i principali responsabili diquesta dittatura. Durante il primo processo, Kang Kek Ieu,ex direttore di un centro di tortura e noto anche con ilnome di guerra «Duch», è stato condannato all’ergastolonel febbraio 2012. Il secondo processo ha chiamato allasbarra Nuon Chea e Khieu Samphan, i numeri due e tre delregime. Nel 2014 sono stati riconosciuti colpevoli di criminicontro l’umanità e condannati all’ergastolo. Entro la finedel l’anno è attesa una seconda sentenza nei loro confronti;devono rispondere per i crimini legati ai matrimoni forzati,accuse mosse loro da 3867 parti civili.

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ServizioFilm

Turismo e sostenibilità(df) Quale sarà il futuro del turi-smo invernale nello spazio al-pino dinanzi alle conseguenzedei cambiamenti climatici? Il tu-rismo negli slum è eticamenteaccettabile? Che ne è dei dirittiumani nei parchi nazionali afri-cani? Chi approfitta dei sog-giorni di breve durata degli ope-ratori volontari nei Paesidell’emisfero Sud? Il turismo

ecologico può essere un’alterna-tiva al turismo di massa? Comefunziona la pubblicità turistica? I film della raccolta DVD«Tourisme et soutenabilité» ri-spondono a queste e altre do-mande, inserendole negli scenaripiù disparati. In occasione del-l’anno internazionale del turi-smo sostenibile, sette cortome-traggi invitano a confrontarsi inmodo approfondito con gliaspetti sociali, ecologici ed eco-nomici del turismo. «Tourisme et soutenabilité –Aspects sociaux, économiques et environnementaux du voyage», intedesco «Fernweh. Tourismus imSpannungsfeld von Wirtschaft,Umwelt und Gesellschaft»; settecortometraggi e documentari

(dai 12 anni), DVD o video on demand. Per informazioni: éducation21, tel. 031 321 00 22,www.filmeeinewelt.ch

Compilation di denuncia(er) L’iniziativa di formare uncollettivo fuori dagli schemi na-sce a Marsiglia nel 2015. Vi ade-riscono subito dieci musicistenate in Africa occidentale, tra lequali Mariam Doumbia,Angelique Kidjo, Rokia Koné eNneka. Alcune artiste sono gio-vani, altre già affermate. Ad ac-comunarle è la voglia di realiz-zare insieme un nuovo progettomusicale. I dodici brani registratinelle lingue mandinka, francesee inglese denunciano la menta-lità machista, la violenza sessualee le mutilazioni genitali. Il col-lettivo non propone i classicisuoni e ritmi africani, bensì unavarietà di stili musicali; dal man-dinka blues alla musica pop efunk, ai groove reggae e dubafricani, avvolti in un modernoe omogeneo tessuto di musicaelectro. Il risultato è un mixsquisito che mette in risalto itimbri caratteristici delle vocifemminili. Da notare: una parte

dei ricavi sarà devoluta al PanziHospital nella Repubblica de-mocratica del Congo, una strut-tura in cui vengono assistite ecurate migliaia di donne vittimedi violenza. Questo ospedale daanni si occupa di portare soc-corso alle donne stuprate delKivu, la regione orientale delloStato dell’Africa centrale.Various: «Les AmazonesD’Afrique - République Amazone»(Real World/Indigo)

Effetto serenità(er) È uno stile unico e originalequello creato dal cantautoreJames Yorkston, dal bassista JonThorne e da Ustad Sabri Khan,suonatore di sarangi, caratteri-stico strumento indiano ad arco.I tre musicisti intrecciano condelicatezza e virtuosità il folkscozzese con qualche accento dicountry blues americano, il jazz

britannico e la musica classicaindiana con i caratteristici suonimeditativi degli archi. I branisono impreziositi da alcune notedi pianoforte, da accordi armo-niosi di chitarra o fisarmonica e qua e là da leggere pizzicatedelle corde del bouzouki greco.Le tre voci dei musicisti, a voltepiene e scure, altre calde echiare o trasparenti e legger-mente offuscate, sprigionano serenità e bellezza. Un albumtutto da godere, una world music eccellente al di fuori deisentieri battuti. Yorkston/Thorne/Khan: «NeukWight Delhi All Stars»(Domino/Irascible)

Selezione meravigliosa (er) Il khoomei è un’esperienzaacustica inedita per noi occiden-tali. È il canto armonico tradi-zionale della Mongolia, entratoa far parte del patrimonio cultu-rale dell’UNESCO nel 2010. Le composizioni musicali dipin-gono quadri sonori dalle millesfaccettature, attingendo all’e-norme repertorio di tecniche estili, di suoni bassi, quasi ranto-lanti alternati a note alte e acute,a volte gorgheggianti e sospesein aria. I 43 brani registrati sul

Musica

Innamorarsi sulle sponde del Mar Rosso(mr) Una commedia romantica dall’Arabia saudita? Nonsembra una cosa abituale e infatti non lo è. Il film saudita«Barakah Meets Barakah» ci presenta sorprendenti e spi-ritosi squarci di vita quotidiana di un mondo che ci ècompletamente sconosciuto. Il protagonista, Barakah, èun umile funzionario nella città di Gedda che a tempoperso fa l’attore nella tragedia «Amleto». Bibi è una donnadi una bellezza indomita, figlia adottiva di una ricca cop-pia alle prese con una crisi matrimoniale. Uniti dal destinoin un Paese ostile ai corteggiamenti, i due riescono ascardinare l’intero sistema tradizionale, retto da un gala-teo ferreo e da lla polizia religiosa, usando i più raffinati eincredibili stratagemmi. La commedia romantica ci per-mette di addentrarci nel funzionamento della vita in Arabiasaudita. Il primo lungometraggio del regista MahmoudSabbagh è stato premiato alla Berlinale e ha già entusias-mato più di 12000 spettatori nei cinema svizzeri. Ora ilfilm è disponibile su DVD presso le Edizioni Trigon Film. «Barakah Meets Barakah» di Mahmoud Sabbagh, lungo-metraggio, Arabia saudita 2016; www.trigon-film.org

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Manuel Sager (responsabile)George Farago (coordinazione globale)Sylvie Dervey, Beat Felber, Barbara Hell, Marie-Noëlle Paccolat, Özgür Unal

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Luca Beti (lb), Jens Lundsgaard-Hansen (jlh),Zélie Schaller (zs), Christian Zeier (cz)

Ernst Rieben (er)

Progetto grafico:Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Stämpfli SA, Berna

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla reda-zione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 058 462 44 12Fax 058 464 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 47 400

Copertina: la diga del re Talal in Giordaniaapprovvigiona d’acqua i contadini della valledel Giordano; Ed Kashi/Redux/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Oltre gli stereotipi

Reto Albertalli, fotografo ticinese, silascia impregnare dalla vita dei luo-ghi che visita per regalarci imma-gini intime e non scontate.

Nel mio primo viaggio in Palestina,mi sono fatto fregare da tutti i cli-ché: dai carrarmati, dal filo spinato,dal muro. Sono tornato a casa daiTerritori occupati con un grandesenso di frustrazione. Le mie im-magini raccontavano storie stravi-ste. Tre mesi dopo sono tornato inPalestina, nel campo profughi diJenin. Questa volta come inse-gnante di fotografia. Sono rimastotre mesi e mi sono lasciato impre-gnare dalla vita del posto. Questaesperienza mi ha aperto gli occhisu una realtà intima e lontana daglistereotipi. È stata una sorta di rive-lazione per me. Le mie fotografieerano la conseguenza di un vissutocondiviso, fatto di sguardi, piccoligesti, difficoltà e paure. Un annodopo, in Afghanistan la storia rischiava di ripetersi. All’inizio i miei scatti immortalavano soggettiscontati. È in una scuola circense aKabul, dove ho insegnato fotogra-fia, che sono riuscito a penetrare lasuperficie della realtà. Come permiracolo sono apparse alcune gio-vani donne afghane, un soggettoquasi tabù. Si sono lasciate ritrarre,rompendo le barriere culturali e sociali del loro Paese. Sono tornatoa Ginevra con dell e immagini diuna forza straordinaria.

(Testimonianza raccolta da Luca Beti)

fda

Libri

campo o masterizzati in studio,di cui 28 inediti, compongonouna meravigliosa selezione, rac-colta in due CD. I canti co-prono un arco temporale di tregenerazioni (1954-2016). Sonoesibizioni a cappella di profes-sionisti e dilettanti, in parte conaccompagnamento di musica dacamera o orchestrale. Degli stru-menti tradizionali sentiamo ilviolino a testa di cavallo, il liutoa collo lungo, l’arpa ebraica e layatga, la cetra mongola. Le va-rianti rurali e urbane si alternanoa quelle in veste etno-rock, formando un mix straordinarioe affascinante. Il capolavoro so-noro è coronato da un bookletdi 47 pagine (in fr./ing./mong.). Various: «Une Anthologie duKhöömii mongol» (Buda Musique)

Africa saccheggiata (bf ) Per certi aspetti, l’Africa èforse il continente più ricco almondo: un terzo dei giacimentidi materie prime si trova pro-prio sotto la sua superficie terre-stre. Per la maggior parte dellapopolazione questa ricchezza èpiù un male che un bene. Infattiil saccheggio dei tesori del sot-tosuolo è fatale per gli uomini eper i sistemi politici dell’Africa.Nel suo libro «The looting ma-chine», Tom Burgis, che peranni è stato corrispondente inAfrica per il quotidiano britan-nico «Financial Times», svelasenza riserve e con dati allamano le strutture e le relazionipolitiche di questo grande busi-ness, macchinazioni sconosciute

finora al grande pubblico. Ilviaggio investigativo di TomBurgis attraverso il continenteafricano, dal delta del Niger, patria dell’industria petroliferanigeriana, ai territori ricchi digiacimenti di materie prime delCongo orientale, si legge comeun romanzo di spionaggio. Èun’opera da una parte grandiosae affascinante, dall’altra oppri-mente e sconcertante. Der Fluch des Reichtums» (titolooriginale: «The looting machine») di Tom Burgis; Westen VerlagFrankfurt 2016

Il mare davanti(lb) Sono anni di paura, di man-canza di libertà. Siamo neglianni Ottanta. L’Eritrea è sottol’occupazione Etiope. Dopo lesei di sera ci si deve chiudere incasa perché vige il coprifuoco. E così, Ziggy, il protagonista del libro «Il mare davanti» diErminia Dell’Oro, deve sbir-ciare dall’uscio di casa per am-mirare la cupola stellata sopraAsmara. Con il naso rivolto al-l’insù e gli occhi pieni di emo-

zione, il bambino sogna di scor-razzare libero tra le strade delsuo quartiere senza paura di im-battersi nei soldati del colon-nello etiope. La libertà arriva,ma è di breve durata. Pochi annidopo la liberazione, nel 2001 «la paura torna a soffiare»sull’Eritrea. E così Ziggy, laureato in matematica, sognal’Europa. Lascia la sua cittàsconvolto da una pena pro-fonda. Passato il confine con ilSudan, attraversa un desertosterminato. In Libia, si gioca iltutto per tutto su un barcone di-retto a Lampedusa. «Un grido digioia attraversò, come un tuono,l’aria del primo pomeriggio –Terra capitano». È il 3 ottobre2007 e Ziggy è finalmente li-bero. «Il mare davanti» è una testimonianza, a volte toccante,di chi è pronto a tutto pur di lasciarsi alle spalle ciò da cuifugge. Con il racconto in primapersona, Erminia Dell’Oro,giornalista italiana nata adAsmara, non si limita a narrarciil viaggio di TsegehansWeldeslassie verso l’Europa,bensì ci fa conoscere la storia recente dell’Eritrea. «Il mare davanti – Storia diTsegehans Weldeslassie» diErminia Dell’Oro; EdizioniPiemme, 2016

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«L’importanza dell’acqua come risorsaè ormai assodata, ma per troppo temposi è sottovalutato il valore dell’acquaper la sicurezza globale».Sundeep Waslekar, pagina 11

«Chi decide di apprendere la ‘nostra’lingua locale, deve prima di tutto imparare a liberarsi dal modo di pensaredel turista». Sandra Zlotrg, pagina 22

«Con la digitalizzazione, moltecompetenze oggi trasmesse dalla formazione professionale non sarannopiù richieste». Elvis Melia, pagina 29

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