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Una festa divenuta L’Italia, la Francia, solo di parte ... · duti i governi di centrodestra e...

Date post: 16-Feb-2019
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Direttore ARTURO DIACONALE Giovedì 27 Aprile 2017 Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 80 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORME ED I DIRITTI UMANI delle Libertà BONANNI A PAGINA 7 “Le cose che verranno”: una sontuosa Huppert CULTURA POLITICA TEDESCO A PAGINA 6 Quando Marco Pannella era “spinelliano” con riserva Mattarella preme per la legge elettorale Il Presidente della Repubblica interviene con decisione per sollecitare le cariche dello Stato e le forze politiche ad uscire dallo stallo e definire una legge elettorale capace di sciogliere i nodi del “Consultellum” U na volta le tensioni e gli scontri che si verificavano in occasione della festa del 25 aprile avvenivano tra antifascisti e fascisti. Sia gli uni che gli altri la consideravano la ri- correnza della fine della guerra civile E mentre i vincitori di quella guerra festeggiavano e cercavano di tenere viva la memoria della loro vittoria, gli sconfitti protestavano nel tenta- tivo di dare comunque una qualche forma di dignità alla loro tragedia. Questa fase di guerra civile fredda è durata per molti decenni e si è inter- rotta solo per un brevissimo periodo durante i governi del centrodestra, interessati per ragioni di contingente opportunità politica a trasformare la celebrazione di una guerra civile, de- stinata fatalmente a perpetuare le la- cerazioni del passato, in una festa del recupero della libertà e della demo- crazia destinata a riunire attorno a questi valori l’intera comunità na- zionale. Quella fase non ha avuto grande fortuna ed è durata molto poco. Ca- duti i governi di centrodestra e finito il loro interesse politico, si è passati a una terza fase, quella attuale, in cui il ricordo della guerra civile e l’appello ai valori di libertà e democrazia sono solo un pretesto per una polemica po- litica immediata che esula dalla vec- chia logica fascismo-antifascismo... di ARTURO DIACONALE È di tutta evidenza che l’unica e vera risposta “politica” ai populi- smi di destra e di sinistra non può che risiedere in un’alternativa di cen- tro, la quale, proprio in quanto tale, guardi un po’ a destra e un po’ a si- nistra; come ha sottolineato il nostro direttore rivolgendosi a un Matteo Salvini che, al contrario, anela a una lepenizzazione della destra italiana. Ma si sa che un Salvini non fa pri- mavera in uno schieramento nel quale Silvio Berlusconi ha fin da su- bito avvertito, già alla vigilia del primo round vinto da Emmanuel Macron, l’alleato leghista che col le- penismo italianizzato non ci sarebbe, non ci sarà e non c’è trippa per gatti. Il Cavaliere sa perfettamente che il moderatismo è l’arma vincente... di PAOLO PILLITTERI Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 Una festa divenuta solo di parte ristretta Gli altri votano, noi manco una legge elettorale G li Stati Uniti hanno votato il nuovo presidente. La Francia ha fatto il primo turno delle elezioni presidenziali, scegliendo i due tra i quali scegliere il presidente della Re- pubblica. A giugno in Inghilterra si voterà per il rinnovo del Parlamento. Da noi non si riesce nemmeno a tirar fuori uno straccio di legge elettorale. Ma gli uomini politici (si fa per dire) italiani, i giornali, i giornalisti e i po- litologi pretendono di giudicare ame- ricani, francesi e inglesi spiegando significati più o meno balordi... di MAURO MELLINI Continua a pagina 2 L’Italia, la Francia, Salvini e la Le Pen, e l’Europa? ECONOMIA ROMITI A PAGINA 4 Il caso Alitalia, l’altra faccia del populismo
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Direttore ARTURO DIACONALE Giovedì 27 Aprile 2017Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 80 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORME ED I DIRITTI UMANI

delle Libertà

BONANNI A PAGINA 7

“Le cose che verranno”: una sontuosa Huppert

CULTURAPOLITICA

TEDESCO A PAGINA 6

Quando Marco Pannella era “spinelliano” con riserva

Mattarella preme per la legge elettoraleIl Presidente della Repubblica interviene con decisione per sollecitare le cariche dello Stato e le forzepolitiche ad uscire dallo stallo e definire una legge elettorale capace di sciogliere i nodi del “Consultellum”

Una volta le tensioni e gli scontriche si verificavano in occasione

della festa del 25 aprile avvenivanotra antifascisti e fascisti. Sia gli uniche gli altri la consideravano la ri-correnza della fine della guerra civileE mentre i vincitori di quella guerrafesteggiavano e cercavano di tenereviva la memoria della loro vittoria,gli sconfitti protestavano nel tenta-tivo di dare comunque una qualcheforma di dignità alla loro tragedia.

Questa fase di guerra civile freddaè durata per molti decenni e si è inter-rotta solo per un brevissimo periododurante i governi del centrodestra,interessati per ragioni di contingenteopportunità politica a trasformare lacelebrazione di una guerra civile, de-stinata fatalmente a perpetuare le la-cerazioni del passato, in una festa delrecupero della libertà e della demo-crazia destinata a riunire attorno a

questi valori l’intera comunità na-zionale.

Quella fase non ha avuto grandefortuna ed è durata molto poco. Ca-duti i governi di centrodestra e finitoil loro interesse politico, si è passati auna terza fase, quella attuale, in cui ilricordo della guerra civile e l’appelloai valori di libertà e democrazia sonosolo un pretesto per una polemica po-litica immediata che esula dalla vec-chia logica fascismo-antifascismo...

di ARTURO DIACONALE

Èdi tutta evidenza che l’unica evera risposta “politica” ai populi-

smi di destra e di sinistra non puòche risiedere in un’alternativa di cen-tro, la quale, proprio in quanto tale,guardi un po’ a destra e un po’ a si-nistra; come ha sottolineato il nostro

direttore rivolgendosi a un MatteoSalvini che, al contrario, anela a unalepenizzazione della destra italiana.Ma si sa che un Salvini non fa pri-mavera in uno schieramento nelquale Silvio Berlusconi ha fin da su-bito avvertito, già alla vigilia delprimo round vinto da EmmanuelMacron, l’alleato leghista che col le-

penismo italianizzato non ci sarebbe,non ci sarà e non c’è trippa per gatti.Il Cavaliere sa perfettamente che ilmoderatismo è l’arma vincente...

di PAOLO PILLITTERI

Continua a pagina 2

Continua a pagina 2

Una festa divenuta solo di parte ristretta

Gli altri votano, noi manco una legge elettorale

Gli Stati Uniti hanno votato ilnuovo presidente. La Francia ha

fatto il primo turno delle elezionipresidenziali, scegliendo i due tra iquali scegliere il presidente della Re-pubblica. A giugno in Inghilterra sivoterà per il rinnovo del Parlamento.

Da noi non si riesce nemmeno a tirarfuori uno straccio di legge elettorale.Ma gli uomini politici (si fa per dire)italiani, i giornali, i giornalisti e i po-litologi pretendono di giudicare ame-ricani, francesi e inglesi spiegandosignificati più o meno balordi...

di MAURO MELLINI

Continua a pagina 2

L’Italia, la Francia, Salvini e la Le Pen, e l’Europa?

ECONOMIA

ROMITI A PAGINA 4

Il caso Alitalia,l’altra faccia del populismo

La storia e la fine (purtroppo in-gloriosa) di Alitalia è la stessa di

una lunga, anzi troppo lunga, serie diaziende cosiddette di Stato. È la sto-ria delle partecipazioni statali, dellemunicipalizzate; insomma quella sto-ria che ha visto lo Stato infilarsi dap-pertutto e a sproposito.

Del resto, parliamoci chiaro, unagrande fetta dell’immenso debitopubblico, che prima o poi ci farà sal-tare come un tappo di champagne,nasce da lì. Se infatti ci mettessimo afare la somma di quanto, decenniodopo decennio, a partire dagli anniSessanta, siano costate alle cassepubbliche le “controllate” o “parte-cipate”, capiremmo tutto. Tant’è

vero che da noi nemmeno il periododelle privatizzazioni degli anni No-vanta riuscì a risolvere il problema,tanto ipocrita e viziato era il con-cetto di politica industriale. Non vadimenticato, infatti, che solo in Ita-lia, tra i Paesi occidentali, il piùgrande imprenditore è sempre statolo Stato.

Dalle banche (guarda caso) alla

meccanica ai trasporti, all’energia,alla trasformazione, ai servizi di pub-blica utilità, alla manifattura. Tuttostatale, direttamente o indiretta-mente. Di questa immensa impresapubblica, tranne poche eccezioni, èandato tutto a ramengo con svendite,fallimenti, commissariamenti, fusionie incorporazioni onerose e opache.Ecco perché la fine di Alitalia nonnasce dai fatti recenti, ma viene damolto lontano. Quel lontano che unaclasse dirigente miope, opportunistae avida non ha mai corretto perpaura, per interesse, per mancanzadel senso dello Stato.

Insomma, in Italia la politica in-dustriale ha seguito la logica dell’as-sistenza, del consenso elettorale,degli amici da favorire e delle pol-trone da distribuire con stipendi dasceicco. Ecco perché ci ritroviamo ilsistema bancario che ci ritroviamo,le municipalizzate colabrodo e, in-fine, aziende più o meno pubbliche oex pubbliche in disfacimento. Perfarla breve, da noi non solo lo Statoè entrato troppo e ovunque, ma vi èentrato non con la logica dello svi-

luppo, del profitto e del mercato, macon quella del vizio e del “paga Pan-talone”.

Basterebbe ripartire dalle famoseBin (banche d’interesse nazionale)per capire molto di quello che si viveoggi, così come dalle partecipazionistatali per ricostruire la genesi di undisastro industriale, politico ed eco-nomico. Per non parlare ovviamentedei cosiddetti salvataggi, rifinanzia-menti, ricapitalizzazioni e riconver-sioni di un’infinità di gruppiaziendali che sono costati uno spro-posito a perdere.

Per questo la fine di Alitalia di-spiace ma non sorprende, rammaricama non colpisce. Dentro questa finec’è la sintesi di tutti gli sbagli dellapolitica, del sindacato, del manage-ment di Stato, che hanno portato indecenni l’albero del Paese a piegarsicosì drammaticamente. Qualchegiorno fa, in un articolo rivolto alministro Carlo Calenda, offrivamo aproposito qualche modesto e spic-ciolo spunto di riflessione.

Con tutto il rispetto, rileggerlopotrebbe servire.

marie”, che sono ben altro dalla “versione” ita-liota. E c’è chi ci spiega in televisione a chi cor-rispondono in Italia Trump, Le Pen e Macrone che cosa lascia prevedere il voto americano,quello francese per quello italiano, quando pia-cerà a lorsignori di permetterci di votare. A checosa corrispondono per persone in carne e ossaa voti per fantasmi sconosciuti.

Siamo avanti al televisore ad aspettarel’esito del voto francese, americano, inglese. Danoi, però, l’esito effettivo del voto è determi-nato di volta in volta dalla nuova legge eletto-rale (che si fa poco prima di andare a votare).Così il voto conta poco. Per quel poco che vale,c’è poi una magistratura che fa e disfà i partiti,i governi e i parlamenti. E poi avviene che unpersonaggio cui, potendo finalmente ed ecce-zionalmente votare in modo quasi intellegibile,la gente ha dato un gran calcio in quel posto,continui a menarla, tra l’altro per stabilire, lui,appunto, una legge elettorale che stabiliscaprima che a vincere deve essere lui. Questa è lanostra povera Italia.

MAURo MElliNi

2 l’oPiNioNE delle libertà giovedì 27 aprile 2017Politica

tanto insistito su questi rischi, ma hanno av-vertito i francesi che da un lato si ha a che farecon una vera e propria “date historique”, dal-l’altro ci si trova di fronte, né più né meno, auno choc politico. Perché? Le ipotesi sonotante e anche da noi sono state avanzate alcunetendenze soprattutto se si confrontano, inFrancia, i risultati elettorali e se si ragiona suun ballottaggio a due nel quale, fin da ora, sa-rebbe più che prudente non sbilanciarsi negliauguri presidenziali anticipati al giovane Em-manuel e alla sua giovanile Brigitte.

Ma ragioniamo un attimo sul perché dei ri-schi di un’esplosione postoci da uno scrupo-loso Jérôme Fenoglio sempre su “Le Monde”,il quale pone l’attenzione su un fatto che nonpuò sfuggire a una più attenta lettura delprimo turno, laddove il risultato di Marine LePen è bensì di due punti indietro a quello diMacron ma di cinque in più rispetto a quelliprecedenti, mostrando che “pour la premièrefois, le Front National vient de dépasser les 20pour cent de voix à une élection présidentielle”e questo nonostante una “mauvaise campagnede la candidate Fn”. A questo choc se ne ag-giunge un altro, ovvero il letterale rovescia-mento (“bouleversement”) dei fondamentipolitici del Paese sia con l’eliminazione dei duegrandi partiti, socialista e gollista, sia nell’op-posizione delle grandi città rispetto al restodella Francia.

Tutto vero, si capisce, ma anche tutto oquasi rilevato dai nostrani osservatori dei massmedia, almeno i più attenti. Il punto invece sulquale si è meno insistito, anche da parte delnobile e pur smagato “Le Monde”, è l’effettoche una vittoria finale della Le Pen, non cosìdel tutto immaginifica, avrebbe dentro e spe-cialmente fuori dalla Francia, cioè in Europa. Equi, su questo eventuale choc, il nostro Cava-liere ha ragionato più di tutti, ché le sue reite-rate punture di spillo (per ora) all’irruentocapo leghista hanno sempre avuto come se-condo punto le conseguenze inevitabili per Ueed Euro di una vittoria lepenista con l’uscitapiù o meno veloce dei cugini francesi da un’Eu-ropa che, al contrario, sta dimostrando nelleelezioni in diversi Paesi, dall’Austria al-l’Olanda, di battere i populismi tenendo fermiunione comune e moneta.

La Francia che piace al Front National, è

segue dalla prima

...ma che è tutta interna a una parte limitatadella sinistra.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mat-tarella ha tentato di ricondurre la celebrazionein parte al suo significato originario di festeg-giamento per la vittoria sul fascismo e in partea quello dell’esaltazione dei valori condivisidella libertà e della democrazia. Ma in piazzaa marciare separatamente sotto bandiere di-verse sono stati quelli del Partito Democraticodi osservanza renziana e quelli degli scissioni-sti antirenziani e della sinistra più radicale. Egli insulti alla Brigata Ebraica a Milano nonsono venuti da qualche nostalgico fascista onazista, ma da quei militanti dei centri socialiche fanno parte dell’ultrasinistra radicale e chein nome dell’anticapitalismo e dell’antimperia-lismo hanno elaborato un’ideologia antisemitadel tutto simile a quella nazista del secoloscorso.

Questa terza fase, fatta di uso strumentaledel 25 aprile in funzione delle polemiche in-terne della sinistra italiana, segna il declino diuna celebrazione che sia quando rientravanella logica fascismo-antifascismo, sia quandoera incentrata sui valori generali della libertà edella democrazia, riguardava nel bene e nelmale l’intero Paese. Se ora tocca una parte, perdi più sempre più ristretta, perde di ogni signi-ficato ed è destinata a venire inesorabilmenterimossa dalla coscienza popolare.

ARTURo diAcoNAlE

...in Italia, in Francia e non solo. E sa ancheche in caso di vittoria delle estreme, a “droite”come a “gauche”, si va incontro a quelli chel’autorevole quotidiano “Le Monde” dell’altrogiorno ha definito come “les risques d’une ex-plosion”. Il quotidiano d’Oltralpe è indubbia-mente schierato per Macron, ma i suoicommenti al post primo turno hanno non sol-

una Francia libera e bella, sovranista, patriot-tica, non sottomessa al giogo dei poteri forti edelle burocrazie dell’Unione. E l’aspirazionesalviniana a un simile modello vincente, non sisa mai, anche in Italia racconta esplicitamenteun altro tipo di “bouleversement” cui la Lega ciha abituati, fin da quando sul Po l’UmbertoBossi alzava al cielo “lumbard” le altissimegrida per sfasciare l’assetto nazionale, distrug-gere la comunanza storica della stessa patria,in favore della piccola, piccolissima patria lom-barda (e veneta e piemontese). Ma già qualcheanno dopo, la Lega, allora tutta bossiana, ve-niva coinvolta alla grande coi suoi ministri nelgoverno nientepopodimeno che nazional-pa-triottico ed europeista presieduto da Berlu-sconi, con Pier Ferdinando Casini, MaurizioSacconi, Roberto Maroni, dando l’addio alle“revanche” lombardiste. Col rovesciamentodel Salvini di oggi si dà un addio di segno op-posto chiedendo consensi sulla scia lepenista,per una Patria Italia, anch’essa scissionista, madall’Europa. Ma siamo sempre alle piccole,anzi, piccolissime patrie. Che al Cavaliere nonpiacciono. Meno male...

PAolo PilliTTERi

...del voto dato (e da dare). Americani, francesie inglesi hanno scelto e sceglieranno presidenti,deputati. Li hanno scelti per quello che sono,per chi sono e per quel che rappresentano. Noi“spieghiamo” le loro scelte, le critichiamo, ne“deduciamo” quel che ci aggrada. Spieghiamoche Donald Trump è un cafone, che EmmanuelMacron si è fatto apprezzare perché è belloc-cio, che... che...

Quando (e dovremo forse dire, se...) avremouna legge elettorale voteremo per delle liste,senza scegliere le persone (sarebbe pericoloso,ne profitterebbero le mafie). Una volta (quandoc’erano anche i voti di preferenza) si votava peril partito e si sceglieva tra quelli che il partitoci proponeva. Adesso niente preferenze, le per-sone da eleggere le scelgono i presentatori delleliste. Che non sono i partiti, che non ci sonopiù. Ci imbrogliano (il Pd) parlando di “pri-

Una festa divenuta solo di parte ristretta

Gli altri votano, noi manco una legge elettorale

L’Italia, la Francia, Salvini e la Le Pen, e l’Europa?

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CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19,00

L’ultimo atterraggiodi ElidE Rossi e AlfREdo MoscA

punti di conflitto di destra/sinistra,ma prevalentemente ad altri. NéMacron né Marine Le Pen hannoinfatti come oggetti principali di

contrasto la condizione operaia, lalotta di classe, il profitto, il piano ola libertà d’impresa e così via, men-tre lo sono i rapporti con l’Europa

e l’Euro, l’immigrazione, le rela-zioni con le comunità islamiche,eventuali misure protezionistiche.Temi tutti in sintonia con la nuova

discriminante identità/globalizza-zione. In questo senso, Macron èl’immagine speculare della Le Pen,e tutt’e due lo sono del nuovo “con-

tenuto” del criterio del politico.Con il quale, a quanto sembra, sidovranno fare i conti nei prossimidecenni.

Quando ero studente la bestianera dei miei colleghi di sinistra

(e non solo) era il “sistema”, che nonera soltanto quello politico, ma coe-rentemente alla loro ideologia mar-xista, anche e soprattutto l’assetto didominio e sfruttamento economico eculturale. Si sa com’è finita: comeprevedeva Ionesco, i rivoluzionaridel ’68 finirono tutti ad impie-garsi nel sistema “a stipendio econ l’inquadramento”, e, giusta-mente, anche con pensione più chedecorosa.

Mi è ritornata alla mente in que-sti giorni, con la “tappa francese”del cambiamento in corso, consi-stente nella sostituzione della scri-minante destra/sinistra (meglioborghesia/proletariato) dominantenel “secolo breve” e sopravvissuta,pur indebolita, a quello, con lanuova, che è identità/globalizza-zione. Questa subentra alla prece-dente in modi vari. Tutti comunqueaccomunati dallo sfasciare il “si-stema” nelle sue persone (come rot-tamazione) o nelle sue istituzionipolitiche e/o statali (come deperi-mento o eliminazione) o, per lo più,in entrambi i modi. Per cui i “segni

del cambiamento” sono dati più chedalla vittoria elettorale dei populi-sti, dalla sostituzione dei vecchileader con altri, spesso estranei opoco compromessi con il “sistema”e/o con la consunzione delle forzepolitiche riconducibili alla vecchiadiscriminante amico/nemico (bor-ghesia/proletariato) in attesa che ar-rivi lo scrollone definitivo che facciacadere le mele marce.

Così nelle elezioni austriache i duepartiti che nel dopoguerra avevanodominato la scena pubblica sonostati accantonati (insieme avevano ri-portato circa un quarto dei voti); inquello americano Donald Trump haprima battuto la nomenklatura re-pubblicana, poi Hillary Clinton e ilPartito democratico; in quelle olan-desi il successo (relativo) dei populi-sti ha comunque ridotto al lumicinoi socialisti olandesi. Lo stesso schemasi è ripetuto alle presidenziali fran-cesi, con qualche variazione.

Infatti, i partiti “egemoni” (socia-listi e post-gaullisti) sono stati elimi-nati dal ballottaggio e il candidato

socialista anche con una percentualedi suffragi trascurabile (il 6 percento); assieme hanno totalizzato il26 per cento dei votanti.

Il leader emergente (e probabilefuturo presidente), Emmanuel Ma-cron, ha costituito un partito per-sonale, e ha riportato, col suomovimento neonato, quasi la per-centuale dei due “vecchi” partiti. Ifrancesi che fino a qualche decenniofa davano a quelli da due terzi a trequarti dei suffragi, ora solo unquarto. Peraltro Macron, che, dato ilsuo curriculum vitae da ex dirigentedella Banca Rothschild non può na-scondere di avere qualche rapportocon la finanza, offre un paio dispunti interessanti. Il primo: la rapi-dissima ascesa dello stesso e del suomovimento (che richiede notevolimezzi e appoggi) e le evidenti dime-stichezze di cui sopra, fa pensare chela tattica “globalizzatrice” di con-trasto all’avanzata dei populisti sia:a) cambiata; b) che sia “in linea” conla nuova scriminante identità/globa-lizzazione. Quanto al cambiamento

è semplice: si è preso atto che i vec-chi partiti poco o punto possonofare, e se ne crea all’uopo uno nuovodi zecca. A quelli superati è assicu-rato un ruolo al massimo di compri-mari, se non di comparse; le

primedonne sono i nuovi.Inoltre al movimento “En mar-

che!” e al suo candidato il pro-gramma e la stessa collocazione sonoin sintonia con la nuova scriminante;non sono riconducibili ai “classici”

3l’oPinione delle libertàPrimo Piano

diTeodoro KliTsche de laGranGe

giovedì 27 aprile 2017

Botta e risposta

In merito alla surreale vicenda Ali-talia, commentando l’insensata

scelta dei lavoratori della compa-gnia aerea di bandiera di bocciarel’unica operazione di salvataggiopossibile, Alberto Orioli scrive pa-role di fuoco sulle pagine de “Il Sole24 Ore”.

“Ha prevalso la propaganda delsindacato di corporazione o di basee l’idea che esista il Piano B dellanazionalizzazione. Se l’intesa confe-derale, con la giusta dose di impe-gni presi ‘con senso diresponsabilità’ in nome dell’inte-resse superiore della compagnia eforse del Paese, viene considerata unferrovecchio, un modo ‘vetero’ difare sindacalismo, lo è tanto piùproprio l’idea del Piano B, del rifu-gio sotto le comode ali garantite daicontribuenti”.

Va giù duro il vicedirettore delnostro più diffuso giornale econo-mico quando ricorda che “Panta-lone ha già pagato e molto nelcarnevale aereo dell’ultimo decen-nio”.

Malgrado ciò, l’idea irrealizzabiledella nazionalizzazione di Alitalia,trasformandola in un baracconepubblico interamente finanziato

dallo stesso Pantalone, ha fatto per-dere del tutto il lume della ragione aquasi il 70 per cento dei suoi lavo-ratori. Ed è su questo punto cheOrioli esprime a mio avviso un’ana-lisi molto lucida, mettendo in rela-zione la drammatica vicenda dellacompagnia aerea con il dilagantepopulismo italiota.

“Rimane l’amarezza nel consta-tare che quando la ragionevolezzatenta di farsi strada in questi tempipopulisti, giacobini e semplificatoriviene sempre respinta dal messaggioconfezionato per la pancia e non peril cervello. La vertenza Alitalia saràdavvero uno spartiacque. Diventeràil simbolo della vera malattia delnostro tempo, del vero spread cheinquina la discussione pubblica: ladifferenza tra la crescente comples-sità dei temi (sia micro che macro,siano essi oggetto di discussione sin-dacale o di confronto politico piùgenerale) e la proposta di soluzioni

ipersemplificate a uso dellabattuta a effetto o dello slo-gan, possibilmente traduci-bile in hashtag”.

Uno spartiacque, mi per-metto di aggiungere, che rap-presenta per il Paese nel suocomplesso il confine tra unasalvezza fatta di inevitabilisacrifici e un altrettanto ine-vitabile collasso sistemico setali sacrifici non si realizze-ranno, continuando ad inse-guire il paradigma di unsistema malato che tende ascaricare i propri evidentisperperi e le proprie diseco-nomie sulle spalle di qualcunaltro.

Nel caso specifico di Alita-lia, c’è ancora qualcuno che

considera, soprattutto per un Paesea forte vocazione turistica come ilnostro, strategica la presenza di unacompagnia di bandiera. Tutto que-

sto senza considerare, come ricordaOrioli, che “l’avvento delle compa-gnie low-cost ha fatto impallidire ilmito della compagnia di bandieracome baluardo dell’identità nazio-nale”.

Da questo punto di vista, se quelche conta è avere molti visitatori aprescindere da chi li trasporta in Ita-lia, è ancora molto attuale un anticopensiero di Confucio, ripreso suc-cessivamente da Mao Tse-tung:“Non importa di che colore sia ilgatto, l’importante è che prenda itopi”.

4 l’oPiNioNE delle libertà Economia giovedì 27 aprile 2017

Alitalia, l’altra faccia del populismodi Claudio Romiti

Una specie di pulizia etnico-poli-tica. In Istria e Dalmazia, con

oltre 100mila uccisi e buttati nellefoibe e 300mila deportati ed espro-priati dei beni mobili e immobili. Neltriangolo della morte, tra ReggioEmilia e Ferrara, 10mila morti am-mazzati. Poi ci sono casi come quellodell’ex direttore del carcere di ReginaCoeli, persona descritta come mitis-sima, il contrario di un torturatoreda linciare e annegare nel Tevere per-ché non rivelasse chi erano i fascistitorturatori al suo interno passati coni partigiani comunisti dopo il 25aprile. Episodi rimossi, tranne chenei libri del “revisionista” Giam-paolo Pansa. Come sono state ri-mosse le stragi di preti, centinaia, intutta la Val Padana, o le uccisioni(precedute dagli stupri) di almeno500 ausiliarie della Repubblica diSalò. Assassinii di gente inerme. Uc-cisioni eseguite a sangue freddo,qualcuna per vendetta, molte per in-staurare il nuovo ordine comunistain Italia.

La resistenza dei partigiani comu-nisti è stata soprattutto questo. Allafine quella quota di partigiani comu-nisti che si macchiarono di questestragi non potendo negare la verità ebollare come “revisionismo” tuttociò che non collimava con le lorovulgate, si difesero pure parlando di“vendette” tipiche di un clima daguerra civile. Ma non era vero nean-

che questo: semplicemente, i parti-giani comunisti stavano cercando diuccidere le persone migliori delPaese, niente affatto compromessecon il nazifascismo, in previsionedella presa del potere in Italia. Cosache fu evitata solo dagli accordi diYalta, che poi gli stessi Stalin e To-gliatti fecero osservare scrupolosa-mente, anche a quei compagni chevolevano continuare la lotta armata.E, a ogni buon conto, Palmiro To-

gliatti, che era il Guardasigilli, fecevarare un’amnistia mirata per gliomicidi commessi dai partigiani.

Nel quadro di questi omicidi asangue freddo (non molto dissimilida quelli che poi negli anni Settantaavrebbero cominciato a fare i briga-tisti rossi, che proprio alla guerrapartigiana si richiamavano), oltre acrimini infami ma tutto sommato“politici”, come l’assassinio a sanguefreddo in un giardinetto sull’Arno

del filosofo Giovanni Gentile, o lostesso sterminio della Brigata parti-giana Osoppo (tra i trucidati il fra-tello maggiore di Pier Paolo Pasolini,che mai perdonò a Togliatti e al-l’establishment del Partito comunistaitaliano i silenzi su quel crimine), cisono state le stragi di sacerdoti. E so-prattutto, spesso precedute da stupridi massa, le uccisioni di un numeroimpressionante di donne. A comin-ciare, come detto, dalle ausiliariedella Repubblica di Salò. Donne in-difese che provvedevano a curare iferiti o a lavori di complemento, madi certo non soldatesse. Le uccisero eper anni le chiamarono “puttane”anche nei libri di storia. E solo di re-cente alcune associazioni di soprav-vissute e di parenti di quelle donneuccise hanno costituito un vero eproprio database che ricorda e inparte racconta anche il loro martirio.

Vale la pena qui di riportare unincipit dell’ultima lettera alla propriamadre di una delle tante ausiliarietrucidate (200 come minimo primadella fine della guerra e altrettantenei due anni successivi) e che risaleal 24 luglio 1944: “Mamma mia ado-rata, purtroppo è giunta la mia ultimaora. È stata decisa la mia fucilazioneche sarà eseguita domani, 25 luglio.Sii calma e rassegnata a questa sorte

che non è certo quella che avevo so-gnato. Non mi è neppure concesso diriabbracciarti ancora una volta. Que-sto è il mio unico, immenso dolore. Ilmio pensiero sarà fino all’ultimo ri-volto a te e a Mirko. Digli che com-pia sempre il suo dovere di soldato eche si ricordi sempre di me. Io il miodovere non ho potuto compierlo e hofatto soltanto sciocchezze, ma muoioper la nostra Causa e questo mi con-sola. È terribile pensare che domaninon sarò più; ancora non mi riesce dicapacitarmi. Non chiedo di esserevendicata, non ne vale la pena, mavorrei che la mia morte servisse diesempio a tutti quelli che si fannochiamare fascisti e che la nostra Causanon sanno che sacrificare parole...”.

Ecco, il 25 aprile dei comunisti èstato soprattutto questo. Oggi che ipartigiani non esistono quasi più(meno di 5mila all’ultimo “censi-mento” del 2015 e meno della metàiscritti all’Anpi), i loro nipotini dacentro sociale utilizzano la data e laricorrenza per bruciare le bandiere diIsraele e insultare quelli della Brigatapartigiana ebraica. Perché allora stu-pirsi se i pochi reduci di Auschwitz ei componenti della comunità israeli-tica capitolina da tre anni si rifiutanodi marciare con gente simile? Al-meno a Roma...

“Quel che troviamo in queltesto è una visione degli Stati

Uniti d’Europa tutt’altro che demo-cratica, e ancor meno liberale”.

Questo il j’accuse, tagliente e do-loroso come una stilettata, sferratoda Luca Ricolfi nel suo recentissimo“Sinistra e popolo. Il conflitto poli-tico nell’era dei populismi” (Longa-nesi). Le critiche mosse dal sociologotorinese ed editorialista de “LaStampa” al Manifesto di Ventotenedi Altiero Spinelli, Ernesto Rossi edEugenio Colorni sono sia di metodoche di contenuto.

“I democratici non rifuggono perprincipio dalla violenza, ma la vo-gliono adoperare solo quando lamaggioranza sia convinta della suaindispensabilità, cioè propriamentequando non è più altro che un pres-soché superfluo puntino da metteresulla i. Sono perciò dirigenti adattisolo nelle epoche di ordinaria ammi-nistrazione [...]. Nelle epoche rivolu-zionarie, in cui le istituzioni nondebbono già essere amministrate, macreate, la prassi democratica fallisceclamorosamente” e la “metodologiapolitica democratica” si rivela “unpeso morto”.

Questo si legge nel documentodell’agosto del 1941. Il partito della“Rivoluzione europea”, precisa ilManifesto, “attinge la visione e la si-curezza di quel che va fatto, non dauna preventiva consacrazione daparte della ancora inesistente volontàpopolare, ma nella sua coscienza dirappresentare le esigenze profondedella società moderna. Dà in talmodo le prime direttive del nuovoordine, la prima disciplina socialealle nuove masse. Attraverso questadittatura del partito rivoluzionario siforma il nuovo Stato e attorno adesso la nuova democrazia”.

Gli estensori del Manifesto, sem-bra dunque di capire, che accusa-vano gli Stati nazionali di essersitrasformati in “entità divine” e diaver partorito da ultimo la “reazio-naria civiltà totalitaria” ritenevanoche per dare corpo alla loro propostapolitica fosse necessario mutuare,

perlomeno temporaneamente, dalleesperienze totalitarie le idee di par-tito-guida costituto da rivoluzionaridi professione e di dittatura tempo-ranea (cosa è d’altronde la momen-tanea dittatura del partitorivoluzionario di cui sopra se non lariproposizione della marxiana e tran-sitoria dittatura del proletariato?).

Ma quali sono poi i contenuti ditale proposta? Certamente i redattoridel documento non ritenevano chel’istituto della proprietà privata fosseun dato intrinseco al nuovo ordina-mento che andavano progettando.Più in generale, “forze economiche” e“interesse individuale” erano “gi-gantesche forze di progresso” nellamisura in cui venivano convogliate“verso gli obiettivi di maggiore uti-lità per tutta la collettività”. Esclusala “statizzazione generale dell’econo-mia” che non può che degenerarenella sua burocratizzazione, “la pro-prietà privata deve essere abolita, li-mitata, corretta, estesa, caso percaso, non dogmaticamente in linea diprincipio”.

In dettaglio, le imprese monopoli-stiche o di interesse generale (elettri-

che e siderurgiche) e i settori strate-gici (compreso quello delle grandibanche) devono essere pubblici: “èquesto il campo in cui si dovrà pro-cedere senz’altro a nazionalizzazionisu scala vastissima, senza alcun ri-guardo per i diritti acquisiti”. Poi ri-forma agraria ed estensione dellaproprietà operaia nell’industria,scuola pubblica, indipendenza dellamagistratura, libertà di stampa e as-sociazione, abolizione del concor-dato; infine, assicurazione a “coloroche riescono soccombenti nella lottaeconomica [...], con una serie diprovvidenze”, di “un tenore di vitadecente, senza ridurre lo stimolo allavoro e al risparmio”.

Questa era la “Rivoluzione euro-pea” e “socialista”, perché si propo-neva “l’emancipazione delle classilavoratrici e la creazione per esse dicondizioni più umane di vita”.

Sebbene Ricolfi ammetta fugace-mente che taluni di questi obiettivifossero effettivamente “ragionevoli”,cionondimeno conclude seccamentecome sia “difficile non vedere la na-tura giacobina e decisamente antide-mocratica di un simile progetto

politico”, stigmatizzando coloro che,soprattutto a sinistra, di tale naturanon se ne sono mai accorti (o hannofatto finta di non accorgersene).

In verità, una non perfetta conso-nanza di vedute con l’impostazionespinelliana è stata manifestata de-cenni fa da chi, successivamente,questa concordia discors avrebbepreferito rendere sempre più sfu-mata.

Nell’intervista rilasciata all’Unitàil 30 gennaio del 2016, pochi mesiprima di morire, Marco Pannella,commentando la visita dell’alloraprimo ministro Matteo Renzi a Ven-totene, ricordava e rilanciava l’ideaspinelliana degli Stati uniti d’Europacontro l’“Europa ancora prigionieradelle sovranità degli Stati nazionali”,per poi suggerire a Renzi di “fare suoquello spirito che era di De Gasperi,Adenauer e di Spinelli quando si bat-tevano negli anni Cinquanta per ilprogetto di trattato per istituire laComunità europea di difesa (Ced)”,cosa altra rispetto alle “tentazioni se-curitarie” nazionali che, illudendosidi combattere il terrorismo, non fa-cevano che alimentare il “complesso

militare industriale”.Del progetto della Ced, morto per

mano francese nell’agosto del 1954,non vi è traccia però nell’interventodi Pannella alla Camera dei deputatiil 15 febbraio del 1977, in occasionedel dibattito sulla ratifica del trattatosiglato dai Paesi membri delle Co-munità europee che introduceval’elezione a suffragio universale di-retto del Parlamento europeo. Inquell’intervento il leader radicale siscagliava “contro il prodotto del ro-manticismo nazionalista, delle logi-che degli Stati nazionali” el’“ottimismo ingiustificato” di Spi-nelli che confidava che l’Europa po-tesse “costituirsi in una entità capacedi una propria strategia e di una pro-pria forza militare e industriale” inun momento in cui la ricerca scienti-fico-tecnologica era “amministratanel mondo dalle multinazionali delcomplesso industriale-militare”, so-prattutto statunitensi. Fin da allora,però, a questo impianto Pannellacontrapponeva la “conversione dellespese e delle strutture militari [...] inspese e strutture civili e sociali”; solo“con questo metodo forse, che è unmetodo di tipo socialista, pacifista,internazionalista, si riesce a reperire– in teoria almeno – una reale possi-bilità di crescita storica”.

Se quindi Pannella affermava diessere d’accordo con Spinelli sullaquestione specifica dell’elezione di-retta del Parlamento europeo, allostesso tempo non rinunciava a se-gnalare “tutta la distanza che c’è trachi, come Spinelli, punta tutto sulloStato federale per la politica di po-tenza che egli si illude consenta, echi, come noi, è interessato allo Statofederale perché siamo federalisti eperché ci interessa battere, anche inquesta occasione, l’illusione di unoStato europeo giacobino, centraliz-zato e accentrato che possa in fretta,con maggior fretta, riuscire a garan-tire storicamente alla società giusti-zia e libertà. Illusione pericolosa cheda socialisti libertari combattiamo ecombatteremo”.

(*) Professore associato in Storia Contemporanea - Università Roma Tre

di Luca TedeSco (*)

Quando Pannella era “spinelliano” con riserva6 L’oPinione delle Libertà Politica giovedì 27 aprile 2017

25 aprile, i partigiani di ieri e l’Anpi di oggidi Rocco Schiavone

Armored philosophy. O, comedire, the combacting philosophy:

una modalità inedita e complessa,apparentemente arida del pensiero,in cui le persone non sono altro checoscienze sospese al filo dell’egoi-smo.

Questa, in sintesi, è anche la so-stanza profonda del film franco-te-desco ”Le cose che verranno” (nellesale dal 20 aprile), diretto da MiaHansen-Løve, con Isabelle Huppertnella parte di Nathalie, insegnante difilosofia in un liceo parigino. Un’esi-stenza al femminile devoluta a uncombattimento senza tregua e quar-tiere che si riveste della corazza im-penetrabile di Achille, che vuoledimenticare il suo tallone espostoperché le ricorda la natura mortaledel semidio che è in lei. Il film narradi spericolati fuoripista lungo i sen-tieri della dialettica, infestati dalle ra-dici sporgenti del sottobosco che

provocano dossi e un calvario di sus-sulti in chi guida e nei suoi passeg-geri. Le tempeste esistenziali sonopotenziali veicoli di violente passioni,ma Nathalie le imprigiona all’internodel suo sarcofago di vergine di ferro,che può lasciare in vita solo chi ha laforza di impedirle di richiudersi in sestessa, evitando così una fine dolo-rosa per i suoi incauti ospiti, attiraticome le falene dalla luce del suo fa-scino irresistibile di odalisca dallebelle lettere. Lei, incrollabile, impe-dirà alle lacrime di consumare il loropercorso di sollievo ed espiazione efarà di un simbolo della iattura, unagatta nera un po’ obesa, l’ancora disalvezza del suo cuore solitario e in-durito. Ex sessantottarda senza piùillusioni, Nathalie azzera i vagiti diuna rinascente, quanto inutile prote-sta studentesca, con un cipiglio dasergente maggiore che fa l’appello digiornata per ordinare in fila le sue re-clute. Ma la sua vita è un castellosotto assedio, affamato fino allo sfi-

nimento nei suoi af-fetti e nel suo narci-sismo intellettuale;entrambi messi adura prova da unlato dagli amori fedi-fraghi di un tradi-mento coniugale chespezzerà (senza ri-torno per decisionedi colei che è statatradita) un percorsocomune durato unquarto di secolo.L’altra assediante, lapiù pericolosa e peg-giore di tutti, è rap-presentata da unamadre totalmente ri-flessiva nella para-noia del suo vissutoalterato di femme fa-tale che non ha sa-puto trattenere quasi nulla dei suoitre matrimoni. Tranne quell’unica fi-glia, messa fuori dal suo ventre unpo’ per caso ma che, nel progrediredella sua demenza senile, vorrebbe atutti i costi far tornare nel proprioutero, afferrandola con gli artiglidella paura della morte, dell’autodi-struzione che copre il vuoto terribiledi un’esistenza finita nel nulla.

Un materno, cioè, senza un indi-rizzo noto dove potersi rifugiare perchiedere affetto e consolazione. Sep-pellito finalmente con l’accompagna-mento di un caos calmo, in cui soloun’orazione funebre scoprirà qual-che tratto autobiografico della de-funta, illustrato da un’impassibileHuppert al celebrante in una sorta diintervista post mortem. Ma anche lafine del suo matrimonio si svolgesenza il minimo dramma: la fieraprofessoressa Nathalie si confrontacon assoluta indifferenza, senza direuna sola parola, a una rivale ignota evincente. Come una sorta di praticaburocratica. Senza liti e senza nes-suna possibilità di ritorno, pur ten-tata da lui con la sorpresa di unmazzo di rose lasciate sul tavolo eterminate ingloriosamente, con unasemplice smorfia di disgusto, nellapoubelle casalinga. La corazza diNathalie resterà indenne anchequando il suo pilastro intellettuale,costituito dalla collana colta dellaphilò da lei diretta, affonderà nellesabbie mobili della mancata redditi-vità economica e commerciale, cosìdecretata da una coppia di americanboys tanto ignoranti quanto spietati.

E se tutto crolla attorno a Natha-lie, rimangono intatte le sue graniti-

che certezze, l’illimitata fiducia inse stessa, che la condurrà ben oltrel’ennesima delusione per il suobellissimo e geniale studente chesceglie l’amore illusorio e spietatodi un’universalità anarchica, che siagita in un vuoto ricolmo soltantodi parole colte, avulse dalla pra-tica quotidiana. La scena di chiu-sura ci chiarirà come questa

sconcertante protagonista scelgala redenzione della carnalità, incui lei, donna matura e con i piediben piantati a terra, si farà caricocon grande naturalezza della suafamiglia nuova e giovane: quellacostituita dai propri figli e nipoti.Per dire: morte e resurrezionesono sempre e soltanto all’internodi noi stessi!

7l’oPinione delle libertà

di Maurizio Bonanni

giovedì 27 aprile 2017 Cultura

“Le cose che verranno”: una sontuosa Huppert

Il rapporto dell’Organizzazionemondiale della sanità parla chiaro:

al mondo ci sono circa due miliardidi persone a cui viene negato l’ac-cesso a fonti di acqua potabile equasi altrettante quelle che, utiliz-zando acqua contaminata, vanno in-contro a colera, dissenteria maanche, in 500mila casi l’anno, allamorte.

A dare una valida speranza a que-sta enorme porzione di mondo, undispositivo nato dalla collaborazionetra il Massachusetts Institute of Te-chnolgy (Mit) e la University of Ca-lifornia, grazie al quale, estraendoacqua potabile dall’aria, sarebbepossibile portare l’oro blu nelle zonepiù povere della Terra. Secondoquanto riportato dalla rivista“Science”, lo strumento non sfrutte-rebbe alcun tipo di energia se nonquella solare e sarebbe efficace anchein zone molto aride in cui il livello diumidità non supera il 20 per cento.

A fare la fortuna dell’esperi-mento un materiale organico e me-tallico detto Mofs (Metal organic

frameworks), creato dal chimicostatunitense Omar Yaghi più di ven-

t’anni fa e in grado di catturare siagas che liquidi. Per permettere diestrarre l’acqua dall’aria, i ricerca-tori avrebbero costruito un Mofscomposto da zirconio e acido adi-pico in grado di trattenere vaporeacqueo. A quel punto il dispositivoutilizzerebbe la luce del sole per se-parare le molecole di vapore e im-magazzinare l’acqua raccoltafacendola finire in uno specifico col-lettore.

Se ad oggi vari centri di ricercaavevano prodotto Mofs in grado dicatturare anidride carbonica, idro-geno e anche metano, il nuovo stu-dio ha permesso, con un solo chilodi Mofs, di estrarre circa tre litri diacqua in dodici ore in luoghi dove illivello di umidità non va oltre il 30per cento. Si tratterebbe, come af-ferma uno dei ricercatori, di “unpasso in avanti importante per otte-nere acqua dall’aria anche a bassaumidità, come fosse un normale

deumidificatore, del tipo di quelliche abbiamo in casa, anche se questiin effetti producono poca acqua acaro prezzo”.

L’obiettivo del team di ricerca èora quello di sviluppare materialiancor più performanti capaci di rea-lizzare una raccolta di acqua pota-bile su più larga scala, masoprattutto studiare un modo perrendere il dispositivo accessibile atutti. “Al momento - ha spiegatoEvelyn Wang, ingegnere meccanicodel Mit - in laboratorio questa tec-nologia è molto costosa. L’obiettivoè quello di renderla accessibile allezone in via di sviluppo”.

L’augurio, come del resto speranoi ricercatori, è che con pochi ulte-riori aggiustamenti il dispositivopossa estrarre dall’aria facilmenteacqua potabile in quantità suffi-ciente per disinnescare un’emer-genza che causa centinaia dimigliaia di morti ogni anno.

di Maria Giulia Messina

La ricerca del Mit: estrarre acqua dall’ariaSCIENZA e TECNOLOGIA

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